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ricerca, editing, grafica: viviana verna il filo rosso della memoria Anpi San Donato “Casali - Romagnoli” Bologna questo lavoro è dedicato a Celestina Tanzi, di San Donato, partigiana e donna che resta nel cuore di chi l'ha conosciuta. Dalle sue mani abbiamo ricevuto la nostra Bandiera e con essa una eredità preziosa: l'impegno per il futuro e l'orgoglio della memoria

Il filo rosso della memoria

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Memorie di Resistenza in San Donato - tavole della mostra sulla Resistenza nel quartiere San Donato (Bologna), realizzata dalla sezione ANPI San Donato

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i l fi lo rosso de l la memor iaAnpi San Donato“Casali - Romagnoli”

Bologna

questo lavoro è dedicato a Celestina Tanzi,

di San Donato, partigiana e donna

che resta nel cuore di chi l'ha conosciuta.

Dalle sue mani abbiamo ricevuto la nostra Bandiera e con essa una eredità preziosa:

l'impegno per il futuro e l'orgoglio della memoria

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i l fi lo rosso de l la memor iaAnpi San Donato“Casali - Romagnoli”

Bologna

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Nelle strade del nostro quartiere donne e uomini hanno vissuto e combattuto per libertà e democrazia, molti sono morti. Eppure i più non sanno, non ricordano: troppo distratti o troppo giovani; oppure arrivati qui da altre città e altri paesi. Anche la narrazione pubblica cancella sempre più la memoria

partigiana.

Abbiamo voluto restituire questa memoria al nostro San Donato - da sempre quartiere operaio, popolare, antifascista - riallacciando il filo rosso che - ne siamo convinti - lega quelle vicende e quelle vite del passato con i nostri ideali e il nostro presente.

Non volevamo spiegare la Storia: storici ed insegnanti lo fanno meglio di quanto mai potremmo fare noi; volevamo raccontare storie di persone, con un nome, un viso, un mestiere, insomma una vita perché tornino ad essere per questa comunità molto più di un nome su una lapide.

Ma soprattutto perché pensiamo che non ci sia bisogno di sottolineature o di enfasi: i fatti parlano da soli, per chi ha orecchie e cuore per ascoltarli.

Due sono gli assi di questa narrazione: i luoghi e le persone.

I luoghi sono sia quelli legati agli eventi di quegli anni – la storia - che quelli in seguito dedicati ad essi – la memoria - cioè sia l’evento che il ricordo che ne abbiamo conservato: così il territorio è diventato un racconto, una storia di cui ci sentiamo parte.

Le persone sono sia partigiani che vittime “civili” della violenza nazifascista, legati a San Donato per esserci vissuti o averci combattuto; o perché le loro famiglie sono venute a vivere qui e fanno parte di questa comunità.

Le loro storie abbiamo voluto raccontarle con semplicità, senza retorica, così che “arrivassero” con immediatezza anche ai più giovani, o ai nuovi cittadini che non hanno ancora familiarità con la nostra lingua e la nostra storia.

Abbiamo scelto di omettere i dettagli più crudeli, le immagini più tremende, perché speriamo che questi racconti possano appassionare e coinvolgere anche i più giovani nelle scuole, che è giusto che sappiano ma ai quali va risparmiata la visione dell’orrore. Siamo sicuri che resti intatta, chiara e forte, la

verità dei fatti e il loro significato.

Abbiamo pensato allora ai cantastorie, che raccontando una storia di parole ed immagini, tenevano viva la memoria popolare. I nostri partigiani sono coloni, operai, camerieri, casalinghe, fornai, contadine: la Resistenza è stata lotta di popolo e deve restare nella memoria popolare.

Ecco allora il racconto delle vite di uomini e donne che sono morti ma, soprattutto, hanno vissuto "in direzione ostinata e contraria" all'ingiustizia e alla dittatura: dalle loro voci stiamo imparando qualcosa sul nostro presente e sulla dignità e il coraggio necessari per attraversarlo.

la memoria della Resistenza in San Donato

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la memoria della Resistenza in San DonatoAnpi San Donato“Casali - Romagnoli”

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LAPIDE VIA PIOPPE, ai partigiani Aldo Arstani e Pietro Simoni “Nino”17

LAPIDE VIA SCANDELLARA, ai 13 partigiani morti nell’esplosione della base16

LAPIDE VERONICO, al Granatiere di Sardegna Romolo Veronico15

LAPIDE VIA PIANA, ai partigiani comunisti di San Donato dalla sezione P.C.I. nel 1951 14

LAPIDE CENTRO CIVICO ZANARDI a partigiani caduti di San Donato, il Quartiere13

VIA MASETTI, via S.Donato/via Michelino - al partigiano Corrado Masetti12

VIA GALEOTTI, via S.Donato/p.zza Mickiewicz - al partigiano Ermanno Galeotti11

CASA DEL POPOLO CORAZZA, via Andreini n. 2 - al partigiano Leonildo Corazza10

CIRCOLO ARCI TRIGARI, via Bertini n. 9/2 - al partigiano Mauro Trigari9

CIRCOLO ARCI GUERNELLI, via Gandusio n. 6 - al partigiano Guido Guernelli “Giulio”8

SCUOLA PRIMARIA DON MINZONI, via Valparaiso n. 2 - a Don Giovanni Minzoni vittima del fascismo7

SCUOLA MATERNA BARONCINI, via Benini n. 3 - alla partigiana Jole Baroncini6

SCUOLA PRIMARIA ROMAGNOLI, via Beroaldo n. 34 - al partigiano Dino Romagnoli5

SCUOLA MATERNA ROCCA, via Gandusio - al partigiano Mario Rocca4

GIARDINO SCHIASSI, via Sighinolfi - all’antifascista Omero Schiassi3

GIARDINO BENTIVOGLI, via San Donato n. 68 - al partigiano Renato Bentivogli “Renè”2

GIARDINO PASELLI, via Repubblica - a Franco Paselli, neonato trucidato a San Martino di Caprara1

:: LA MEMORIA

BASE BOLOGNESI, via Quarto di Sopra, 11 - rifugio e appoggio per la 7^ brigata G.A.P.

BASE RAMAZZOTTI, via Viadagola - tutta la famiglia apparteneva alla 4^ brigata Venturoli

STAZIONE SAN SISTO, via Calamosco/via S.Donato - sabotata per non farla usare ai tedeschi

SEDE TODT, ex Vivaio - attaccata dai partigiani per liberare lavoratori destinati alla Germania

BASE BILACCHI, via San Nicolò di Villola - base della 4^ brigata Venturoli

BASE BENTIVOGLI, ex via Bassa dei Sassi - famiglia contadina che nascondeva i partigiani

SCALO FERROVIARIO San Donato - subì un pesante bombardamento, che costò 30 vittime

CASE ZAMBONI, via Piana, 57 - storiche case popolari, abitate da famiglie antifasciste

CASA BENTIVOGLI, via San Donato, 72 - Renato Bentivogli fu fucilato con altri 11 al poligono di tiro

CASA FELISATI, via San Donato, 12 - Egisto Felisati fu brutalmente ucciso in casa dalle Brigate Nere

OFFICINE RIGHI, via San Donato, 65 - fu teatro di un importante sciopero

CASA BARONCINI, via Rimesse, 25 - tutta la famiglia Baroncini prendeva parte alla Resistenza

BASE SCANDELLARA, via Scandellara, 8 - base della 7^ G.A.P. distrutta da una esplosione

CASA MUSI, via Mondo(,43?) - Giocondo e Paride Musi caddero entrambi per la Resistenza

BASI VIA MONDO, via Mondo n. 45 e 47 - basi operative della 7^ brigata G.A.P.

:: LA STORIA

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Giovanni nasce a Ravenna nel 1885, dove suo

padre ha una locanda. Nel 1909 diventa sacerdote.

È cappellano militare nella Grande Guerra, dimostrando tale coraggio da ricevere una medaglia d'argento.

Ama il dialogo e l’impegno sociale: aderisce al Partito Popolare, ma è amico di sindacalisti socialisti, è al fianco dei "suoi"

contadini, sostiene il movimento cooperativo. Fa opera di carità ma anche di educazione: vuole per i ragazzi della parroc-

chia un'educazione diversa da quella fascista dei Balilla e fonda un gruppo scout, allora il segretario del fascio di Argenta

lo minaccia: gli scout "in piazza non verranno!" E Don Giovanni: "finché c'è Don Giovanni, verranno anche in piazza".

È forse la goccia che fa traboccare il vaso, quel prete è scomodo e va ammazzato: la sera del 23 agosto 1923 Don Gio-

vanni cade sotto le bastonate di due squadristi, ha ancora la forza di trascinarsi per qualche metro, fino alla sua chiesa,

dopo un'ora muore.

:: Don Giovanni Minzoni

:: Omero Schiassi

Omero nasce nel 1877 a San Giorgio di Piano. Nel bar tabacchi dei suoi genitori, con-

vinti socialisti, cresce in mezzo a discorsi su ideali socialisti e progresso dei lavoratori.

Studia legge a Bologna con Giacomo Matteotti (sono intimi amici), poi gira l'Italia per

organizzare le lotte dei mezzadri, così a 25 anni è schedato come "sovversivo". È

appassionato e infaticabile: avvocato di sindacalisti e lavoratori impegnati nelle lotte,

al fianco di Zanardi, il "sindaco del pane" nelle sue rifor-

me.

Con l'avvento del fascismo lo scontro con il regime non

può tardare: nella notte del 24 gennaio 1921 gli squadristi

devastano la Camera del Lavoro e distruggono anche il suo

ufficio. È l'inizio di una persecuzione, i fascisti lo voglio morto:

riesce miracolosamente a sfuggire ad un tentativo di assassinio. Alla fine deve espatriare e

diventa "il socialista errante": nella lontana Australia continua a battersi per il socialismo e

scrive per l'Avanti! Muore nel 1956. Sulla sua tomba si legge:

"sostenne la libertà, l'umanità e la giustizia"

i precursori:: an fascis prima della Resistenza ::

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Ma il 20 aprile ’44

il loro furgone pieno di munizioni incontra un posto di blocco alla Croce del Biacco, otto brigatisti neri armati di mitra:

sono scoperti. Nello scontro a fuoco Ermanno è ferito, si nasconde in una buca, lo scovano: i fascisti lo finiscono a

pugnalate e lasciano il suo corpo lì per giorni. Il “Biondo” è il primo caduto della 7a Gap, medaglia d'argento al

valor militare: “…Richiamando su di sé il fuoco avversario, dava la possibilità al convoglio di proseguire e dopo

aver da solo annientato numerosi avversari, cadeva colpito a morte…”

Ermanno è nato nel ‘24 a Pian di Setta.

Figlio di minatore, è aggiustatore alle Minganti. In fabbrica è nel sindacato antifa-

scista. Dopo l’8 settembre è tra i primi giovani a fianco dei “vecchi compagni”, nasce la 7a

Brigata GAP, Ermanno è il “Biondo”. Lui e la partigiana “Lina” sembrano una innocua coppiet-

ta mentre pedinano i gerarchi fascisti o fanno ricognizioni per i sabotaggi; i soldati fanno la

guardia davanti al deposito di armi di San Luca, Ermanno e i compagni passano in silenzio

dal retro; sotto il naso dei tedeschi al Meloncello portano il carretto cigolante pieno di

esplosivo; attraversano il centro città con bombe a mano in sporte della spesa, un po’ di verdu-

re a coprirle… e poi tante azioni, sabotaggi e colpi di mano.

:: Ermanno Galeo “Biondo”

Ma una spia fa una soffiata,

le SS li circondano: 500 nazisti contro 19 partigiani! Non si arrendono: si battono per più di tre ore ma cadono ad uno

ad uno. “Bolero” con i pochi superstiti tenta di spezzare il cerchio, ma cade colpito a morte. Da allora la 63a diventa

la brigata Bolero e lui sarà medaglia d’oro al valor militare.

A Casteldebole il sangue deve ancora scorrere: i partigiani feriti vengono torturati prima di essere finiti,

un tedesco è morto e per rappresaglia i nazisti rastrellano 15 civili: li legano con fil di ferro e li

ammazzano a mitragliate. I responsabili non verranno mai processati.

Corrado è di Zola.

Fino a 21 anni ha fatto il calzolaio, poi nel ’36 la chiamata alle armi: combatte “per il Duce e il

fascismo” in Spagna e poi nell’occupazione di Jugoslavia e Slovenia. È stato ferito, ma ha capito

tante cose: tornato a casa sceglie di combattere sì, ma per sconfiggere nazismo e fascismo.

Diventa “Bolero” e combatte in montagna, è coraggioso ed ha esperienza militare: è nominato

comandante della 63a brigata Garibaldi. Nell’ottobre del ’44, dopo una feroce controffensiva

nazista, l’ordine è di confluire a Bologna, si spera in un’insurrezione imminente. Si aprono la

strada combattendo e nella notte tra il 29 e il 30 “Bolero” e i suoi devono passare il fiume a

Casteldebole, ma il Reno è in piena, i compagni dall’altra riva tentano con una barca

ma non c’è nulla da fare, allora si rifugiano in un capanno, in attesa.

:: Corrado Mase “Bolero”

il “Biondo” e “Bolero”:: il valore e la memoria ::

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È il 12 luglio

del 44 quando Aldo e “Nino” vengono catturati dai fascisti allo scalo

ferroviario di San Donato. Sono giorni difficili, in cui si susseguono le

azioni armate in città, con il loro tragico seguito di esecuzioni som-

marie. Anche i due ragazzi sono ammazzati subito e il 14 luglio il

Carlino titola:

“Fucilati sul posto perché in possesso di armi”

“Nino” è di San Giovanni in Per-

siceto, lavora nei cantieri edili, fa l’operaio ferraiolo (che è quello che costruisce le

armature di ferro per il cemento armato, un lavoro che si fa ancora oggi). Fino a

quando viene chiamato a fare il militare ed entra nei carabinieri. Nella foto

sembra orgoglioso della sua divisa fiammante! Va a Torino e poi di là a far la

guerra in Jugoslavia, dal ‘39 al ’43. Poi “Nino” torna in Italia e entra nella Resi-

stenza: battaglione Oriente della 4a brigata Venturoli Garibaldi, con i suoi

compagni opera a Granarolo.

:: Pietro Simoni “Nino”

Aldo è nato a Crevalcore, da mamma Maria e

papà Callisto.

Nel ‘44 ha19 anni, anche se nella foto sembra più grande, mentre sorride spavaldo con la

sigaretta tra le dita: li ha compiuti il 28 febbraio. Tre mesi dopo, a maggio, si fa partigiano:

4a brigata Venturoli Garibaldi, quella che opera nella Bassa.

:: Aldo Arstani

Aldo e Nino:: la lapide di via Pioppe ::

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Il terzo figlio di

Amedeo e Maria si chiama Amerigo. È nato un po’ dopo i fratelli più grandi,

nel ‘32 e quando i fratelli vanno partigiani lui è solo un ragazzino che lavora

la terra su in collina. Dal 3 settembre del 1944 comincia a collaborare con la

36a brigata Bianconcini, che opera nella sua zona: forse Amerigo ha già

saputo della tragica morte dei suoi due fratelli maggiori, forse la sua lotta di

resistenza è anche un atto di omaggio e di amore per Giuliano e Gastone.

Sarà l’unico dei fratelli Meliconi a vedere la Liberazione.

La guerra

in Appennino è durissima, Giuliano e Gastone la affrontano insieme: insieme combattono nell’ultimo scontro, quello in cui

vengono catturati, insieme vengono fucilati, a Monteacuto delle Alpi il 16 luglio del 1944.

I documenti dell’esercito nazista registrano la loro morte e quella dei loro compagni, con un laconico “9 banditi uccisi”.

Gastone è di due anni più piccolo di Giuliano,

dev’essere molto legato al fratello, in ogni caso li uniscono gli ideali e parte con lui

per la montagna il 15 gennaio del 1944.

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.

:: Gastone Meliconi

Giuliano è nato nel

1924, è il più grande dei tre figli di Amedeo e Maria.

Nel gennaio del 1944 fa l’operaio a Bologna e non ha ancora 20 anni. Come tanti giovani

scappa dalla città, anche per non essere arruolato con la forza nell’esercito filonazista della

Repubblica Sociale, ma soprattutto per unirsi ai partigiani sugli Appennini. Giuliano allora

si unisce alla brigata Giustizia e Libertà Montagna che combatte tra Gaggio, Porretta e

Lizzano.

:: Giuliano Meliconi

i tre figli di Maria ed Amedeo:: comba en di montagna ::

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Mario è di Pianoro,

il fatidico 8 settembre 1943 compie

vent’anni. Anche lui ha la licenza elementare e fa

l’operaio meccanico. È partigiano nella 62a brigata Camicie Rosse, dedi-

cata al nome del partigiano “Pampurio”, caduto in combattimento. La brigata combatte

sull’Appennino tra la Toscana e l’Emilia. Anche lui cade nelle mani dei

fascisti quello stesso 14 agosto ed è con Loris nel gruppo che viene portato

a Pizzocalvo. Probabilmente non si conoscevano, Loris e Mario, ma credevano nelle

stesse cose, avevano scelto di combattere per le stesse idee; sono saliti insieme a Pizzocal-

vo, sotto la minaccia dei fucili fascisti, forse conoscendo la sorte che li attendeva, e

insieme quel 15 agosto del 1944 sono stati ammazzati.

:: Mario Rocca

g combat

Lì l’angoscia è

ancora nell’aria: poco più di un mese prima le brigate nere fasciste e i nazisti hanno portato via otto uomini dalle loro case,

senza spiegazioni e senza motivo apparente e di loro le famiglie non sanno più nulla. Dopo la guerra sapranno che

sono stati uccisi e sepolti a pochi passi da lì. Due giorni dopo fascisti e tedeschi sono tornati

coi camion ed hanno portato via tutto a quelle famiglie: "avevamo dei pulcini piccolini,

hanno preso anche quelli". Ed è ancora a Pizzocalvo che altro sangue scorre: Loris e gli altri

vengono fucilati, la sua lotta di liberazione è finita prima ancora di cominciare.

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senza spiegazioni e senza motivo

sono stati uc

coi camio

hanno pr

vengo

Loris è nato a Bologna nel luglio

del 1914, i suoi genitori hanno nomi belli e austeri: Severo e Onesta. Loris ha conseguito la licenza

elementare e poi è diventato manovale ferroviere. Tra i ferrovieri era forte lo spirito antifascista, e

lui decide di entrare nella Resistenza: è il mese di giugno del 1944, Loris contatta i partigiani di

Rastignano, a Pianoro, e fa il “grande salto”: con altri quattro compagni si nasconde a Monte

Calvo, aspettando con ansia di essere trasferito in zona operativa e fare la sua parte. Ma un dela-

tore li denuncia o un rastrellamento scopre il loro rifugio, forse non lo sapremo mai, in ogni

caso nella notte del 14 agosto le brigate nere lo catturano. Subito lo portano a Pizzocalvo, nelle campagne

di San Lazzaro, con altri partigiani catturati.

:: Loris Gennelli

la storia di Loris e Mario:: ancora morte a Pizzocalvo ::

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“Distintissima

signora...” a scrivere a Medea Cremonini in Musi è un cappellano dei partigiani della

Stella Rossa, don Luigi Tommasini: la lettera che arriva nella casa di via Mondo n. 43

annuncia a Medea, “mamma di eroi”, che suo figlio Paride è morto in montagna,

ucciso dai nazisti.

a

3

,

Paride è il secondo figlio di

Amedeo Musi e Medea Cremonini. È nato il 29 giugno 1927 e fa il postino. È orgoglioso del fratello

partigiano ed anche lui vuole fare la sua parte: senza dir niente ai genitori, molto presto va anche

lui ad arruolarsi nelle brigate partigiane: "cara mamma, ti prego di farti animo e coraggio... Caro

Giocondo, sono convinto che tu biasimerai il mio operato ma che in fondo in fondo ne sarai con-

tento... mai come in questo momento mi sento onorato di poterti abbracciare... Caro babbo per-

donami tu pure e acqua in bocca... Caro Franco dai retta alla mamma e cerca di darle ciò che

non ho saputo darle io ...”.

Combatte sull’appennino bolognese, diventa ispettore organizzativo della brigata Stella

Rossa Lupo. Anche Paride cade in combattimento, è il 18 luglio del 1944. E ha appena 17 anni.

:: Paride MusiAmedeo M

partigianian

lui ad arui a

Giocon

tento

don

no

Rossa

Il più grande dei fratelli Musi nasce il 16 ottobre 1914, a Bologna. Fa il fornaio ed è comunista e per questo ha già fatto un

anno di carcere nel 1931. Fa già attività clandestina antifascista prima dell’Armistizio, poi diventa partigiano: è coman-

dante di battaglione della 1a brigata Irma Bandiera. Mentre si accinge a far saltare un ponte

ferroviario è catturato e portato al carcere di San Giovanni in Monte; lì viene torturato, ma

non tradisce i compagni. Poi, il 30 agosto del 1944, lo fucilano con altri

11 al Poligono di tiro di Bologna.

I fornai hanno un bollettino sindacale clandestino, “La

Riscossa”, e lì a Giocondo e agli altri colleghi caduti

promettono: “Lottando per l'ideale per cui siete caduti

vi vendichiamo e vi ricordiamo”. Giocondo lascia una

moglie, Milena, e una bambina, Ivonne.

:: Giocondo Musi

due fratelli par giani:: via Mondo, 43 ::

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Bologna

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In quelle case hanno vissuto antifascisti e parti-

giani. Non a caso la sezione del Partito Comunista

di San Donato, che dopo la guerra era proprio là,

vi pone una lapide in memoria dei partigiani

comunisti caduti. E lo spirito indomito di quella via e dei suoi abi-

tanti sopravvive in due scritte dell’epoca che, per quanto sbiadite, inneggiano ancora a “pace, lavoro e libertà”

Nel 1921, mentre le squadracce seminano il terrore, un gruppo di fascisti di ritorno da

una spedizione punitiva, vede una bandiera rossa issata sulle Case Zambo-

ni e sale sui tetti per toglierla. Ma gli abitanti reagiscono, allora i fascisti

fanno fuoco sulla gente che protesta. Ma in via Piana si era già organizzata

l’autodifesa popolare contro lo squadrismo e dalle finestre rispondono al

fuoco. Quando intervengono i carabinieri circondano le case e le perquisi-

scono. Arrestano 15 persone quel giorno, ovviamente nessun fascista.

Quella strada è proprio via Piana e

forse non per caso Romolo e Iroldo erano lì, magari venivano dalle

case Zamboni, lì accanto, o vi erano diretti.Certo non per caso le pattuglie fasciste controllano la

zona: un vero covo di “sovversivi”, le Case Zamboni! I fascisti devono vederle come il fumo negli

occhi. Sono state costruite nel 1909, lo stesso anno in cui è nato Iroldo. I primi 16 “alloggi per i

meno abbienti” di Bologna: un solo piano, i bagni all’esterno, per famiglie che vivevano in barac-

che ai margini della città. Gli umili, insomma, gli indesiderabili, il sottoproletariato, che dà al

regime del filo da torcere: tra la gente di via Piana i fascisti trovano la più fiera opposizione,

prima ancora di andare al potere.

Iroldo è nato nel 1909 ed è di Argenta. Ma vive Bologna e fa il muratore. I compagni lo conoscono come “Arold”, capo plotone

nella 1a brigata Irma Bandiera. “Arold” ha 35 anni quel 26 agosto del 1944, quando i fascisti lo freddano con un colpo alla

nuca, in mezzo ad una strada.

:: Iroldo Regazzi

Romolo fa il portalettere, ha 24 anni ed è sergente del 2°

reggimento Granatieri di Sardegna. Adesso, dopo l’armistizio, è stato richiamato dall’esercito della R.S.I. Lui è partito,

per forza, ma appena ha potuto è scappato ed è tornato a Bologna. È un disertore e sa di

essere in pericolo: non sappiamo come e dove si nasconda Romolo, ma sappiamo che il

25 ottobre 1944 è in via Piana, incrocia una pattuglia fascista che lo ferma, forse lo identi-

ficano, di certo lo perquisiscono e gli trovano addosso una rivoltella: è spacciato. Lo ucci-

dono sul posto, carcere e processo non sono previsti, la vita di Romolo finisce su

quell’asfalto, dove pochi mesi prima era già scorso il sangue di una brutale esecuzione.

“A ld” l t

:: Romolo Veronico

via Piana:: una strada tante storie ::

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Bologna

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“Autentico flagello della popolazione,

...le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito. ...gli

uomini di queste formazioni erano capaci di assassinare chiunque, di compiere qualsiasi nefandezza quando si

trattava di eliminare un avversario politico.”

E a parlare non è un partigiano, ma il generale von Senger, comandante tedesco della piazza di Bologna, che cacciò le due

Brigate Nere dalla città: la crudeltà di questi eredi delle squadracce era troppo anche per loro!

Egisto è un noto comunista

e antifascista, è tenuto d'occhio e sa di rischiare grosso.

Ha già provato la galera fascista, ma lui è uno che non si arrende. Fino a che il 19

settembre 1944 cinque brigatisti neri irrompono nella sua casa e, dopo aver picchiato la moglie, lo uccidono

nella loro camera da letto, alla presenza di Giannina e della loro figlia, che non potrà mai dimenticare quello spettacolo

atroce. Quel terribile giorno del settembre 1944 Giannina viene picchiata, assiste impotente all'omicidio

di Egisto e viene trascinata all'Ufficio politico investigativo della tristemente famosa

Guardia Nazionale Repubblicana, in via Mengoli, noto luogo di torture. E qui

ancora picchiata brutalmente, tanto da ammalarsi. Sarà poi liberata nell'otto-

bre del 1944 e potrà tornare da sua figlia.

Giannina è nata nel 1907, è sposata con Egisto, mamma di una ragazza, e fa la bidella. È solidamente antifascista

come suo marito e dopo la sua liberazione dal carcere decide insieme a lui di mettere la loro casa a disposizio-ne della Resistenza. Anche Nella Baroncini, che con la sua famiglia diffonde la stampa clandestina e che per questo pagherà con la deportazione, ricorda quella casa e le riunioni a cui ha partecipato.

:: Giannina Molinari

È nato all'inizio del 1903, all'alba del secolo e fa il

cameriere. A 18 anni si iscrive al PCI: è il 1921 ed il PCI è appena stato fondato.

Da quel momento Egisto si batte sempre contro il fascismo, con tutti i mezzi, prima

a viso aperto e poi clandestinamente, da quando nel 1926 il fascismo "sopprime" il

PCI, fino a che il Tribunale speciale lo condanna a 16 anni per essere iscritto al suo par-

tito e per aver “con attiva propaganda seriamente minacciato i sindacati fascisti”.

E' il 1938 ed Egisto resta in carcere fino all'8 settembre 1943, quando viene liberato e

torna a casa dalla sua famiglia, in San Donato.

:: Egisto Felisa

iasi nefandezza quando siiii

impotente all'omicidio

sa

“Autentico flagello della popolazione,

...le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito. ...gli

uomini di queste formazioni erano capaci di assassinare chiunque, di compiere qualsiasi nefandezza quando si

trattava di eliminare un avversario politico.”

E a parlare non è un partigiano, ma il generale von Senger, comandante tedesco della piazza di Bologna, che cacciò le due

Brigate Nere dalla città: la crudeltà di questi eredi delle squadracce era troppo anche per loro!

Egisto è un noto comunista

e antifascista, è tenuto d'occhio e sa di rischiare grosso.

Ha già provato la galera fascista, ma lui è uno che non si arrende. Fino a che il 19

settembre 1944 cinque brigatisti neri irrompono nella sua casa e, dopo aver picchiato la moglie, lo uccidono

nella loro camera da letto, alla presenza di Giannina e della loro figlia, che non potrà mai dimenticare quello spettacolo

atroce. Quel terribile giorno del settembre 1944 Giannina viene picchiata, assiste impotente all'omicidio

di Egisto e viene trascinata all'Ufficio politico investigativo della tristemente famosa

Guardia Nazionale Repubblicana, in via Mengoli, noto luogo di torture. E qui

ancora picchiata brutalmente, tanto da ammalarsi. Sarà poi liberata nell'otto-

bre del 1944 e potrà tornare da sua figlia.

Giannina è nata nel 1907, è sposata con Egisto, mamma di una ragazza, e fa la bidella. È solidamente antifascista

come suo marito e dopo la sua liberazione dal carcere decide insieme a lui di mettere la loro casa a disposizio-ne della Resistenza. Anche Nella Baroncini, che con la sua famiglia diffonde la stampa clandestina e che per questo pagherà con la deportazione, ricorda quella casa e le riunioni a cui ha partecipato.

:: Giannina Molinari

È nato all'inizio del 1903, all'alba del secolo e fa il

cameriere. A 18 anni si iscrive al PCI: è il 1921 ed il PCI è appena stato fondato.

Da quel momento Egisto si batte sempre contro il fascismo, con tutti i mezzi, prima

a viso aperto e poi clandestinamente, da quando nel 1926 il fascismo "sopprime" il

PCI, fino a che il Tribunale speciale lo condanna a 16 anni per essere iscritto al suo par-

tito e per aver “con attiva propaganda seriamente minacciato i sindacati fascisti”.

E' il 1938 ed Egisto resta in carcere fino all'8 settembre 1943, quando viene liberato e

torna a casa dalla sua famiglia, in San Donato.

:: Egisto Felisa

è spoè spoè sp

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PCPC

titotito

E' il 1E' il 1

torna torna

quella casa in via S. Donatoquella casa in via S. Donato:: gli assassini delle Brigate Nere ::

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i l fi lo rosso de l la memor iaAnpi San Donato“Casali - Romagnoli”

Bologna

2414132

Non si

hanno numeri esatti

sui morti del poligono, almeno

270, forse di più: fu il sindaco

Dozza, nel 1955, a volere che un

monumento li ricordasse tutti.

Lino vive a Medicina

ed è bracciante, ha 22 anni nel

1944 ed è partigiano della 5a bri-

gata Matteotti. I tedeschi cattu-

rano anche lui: è il 12 novembre

e finisce in cella, ne uscirà solo

per cadere anche lui, sei giorni dopo, contro quel muro del

poligono di tiro.

:: Lino Rubbini

Allora il cardinale di Bologna

scrive a Kesserling “mi è stato comunicato che un mio sacerdote con altri dieci è stato fucilato per la solita rappre-

saglia. Questa notizia mi ha angosciato… Ora mi giunge notizia che a questi undici si vogliono aggiungere altre nuove

vittime… Vi scongiuro come vescovo e come italiano che risparmiate queste nuove vittime ... un atto di clemente giustizia

sarà veramente apprezzato da questa città che, ve lo dico con tutta la forza dell'ani-

mo, è stanca di vedere scorrere così il sangue”. Non ci sarà risposta, se non altre

esecuzioni.

Corrado è più giovane, è del ’20, fa l’operaio verniciatore. Anche

lui è partigiano, ma combatte in montagna nella 66a brigata Jacchia. Viene arrestato dalle Brigate

Nere e incarcerato a Bologna. È l’alba del 20 settembre 1944 quando Corrado ed altri 11 vengono

prelevati senza preavviso dalle loro celle. Anche questa è una rappresaglia, sono spacciati. Tra i

dodici, due sacerdoti. Don Natale Monticelli e don Ildebrando Mezzetti, che impartisce a tutti

loro l’assoluzione. Poi sono messi al muro. Anche di queste morti “Il Resto del Carlino” dà notizia

il giorno dopo: è stata fatta giustizia contro “alcuni ribelli impenitenti”, “sovversivi in flagranza di

reato”.

:: Corrado Scardovi

Renato è nato nel 1912. È di Ma-

lalbergo ma nel 1943 vive a San Donato. Fa il fontaniere e – dopo

aver fatto i due anni di leva a 20 anni – è stato richiamato nel 1939: combatte in Albania e

Grecia, torna alla fine del ‘42. Dopo l’8 settembre 1943 Renato riprende le armi, ma questa

volta per combattere il nazifascismo: diventa partigiano della 1a Brigata Irma Bandiera. Tra il

luglio e l’agosto del 1944 la guerriglia urbana dilaga: scontri, sabotaggi, attacchi ai convogli

anche in pieno giorno. Fascisti e nazisti non stanno a guardare: partigiani e antifascisti torturati

e uccisi, tanti arrestati e tra loro “Renè”. Ma la risposta preferita dei nazifascisti è la rappresaglia:

per le recenti azioni partigiane il 30 agosto prelevano dal carcere Renato ed altri 11, tra i quali

anche Giocondo Musi. Li portano al poligono di tiro, in via Agucchi: la loro sorte è segnata. Il

giorno dopo è su “Il Resto del Carlino” la notizia della fucilazione dei “fuorilegge”.

:: Renato Ben vogli “Renè”

la lunga strage del poligono:: ribelli impeniten ::

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Bologna

14

Nasce nel 1881. Iscritto al PSI e sindacalista fin da giovanissimo, non poteva

non scontrarsi con il regime fascista. Un tipo indomito, Adelmo: i fascisti lo arrestano nel 1930 perché canta Bandie-

ra rossa (anche questo era un reato!), e di nuovo l'anno dopo per "grida sediziose": lui non ha paura di protestare.

Liberato dopo un anno, non si rassegna alla dittatura di Mussolini ed ancora lo arrestano, per "offese al capo del gover-

no". Di nuovo nel 1937, perché lo sorprendono per strada a cantare L'Internazionale. E infine nel 1938 "disegna emble-

mi comunisti, inneggia alla vittoria della Spagna repubblicana": condannato a cinque anni di confino in Lucania a Gara-

guso, come Primo Levi. Dopo il confino diventa partigiano.

È il 1943 , ha 62 anni e si arruola nella 63a brigata Bolero Garibaldi. Ma i tedeschi

lo catturano e lo imprigionano a Mauthausen. L’orrore del campo di concentra-

mento ha la meglio su questo vecchio indomabile leone: Adelmo muore il 20

settembre del 1944.

:: Adelmo Capelli

Primo è nato con il secolo, nel 1900. Ha 22 anni quando i fascisti prendono il potere

con la Marcia su Roma.

È iscritto al PCI e questo lo espone alle persecuzioni del regime: nel 1924 emigra in

Francia, in cerca di un po' di libertà. Ma nel 1936 decide di tornare. Perché?

Non lo sappiamo, ma possiamo immaginare che volesse dare il suo contributo all'anti-

fascismo e di certo non piega la testa: i comunisti sono schedati e controllati, nel set-

tembre del 1940 sulla sua pratica scrivono "Non ha dato fin’oggi prove sicure e concrete di

ravvedimento. Viene vigilato".

Nel giugno del 1944 Primo è in montagna, a vivere la bella avventura della libera

Repubblica Partigiana di Montefiorino. Poi continua a combattere, nella Brigata Scara-

belli della 2a Divisione Modena, fino a che - a 45 anni, a pochi giorni dalla Liberazione -

muore durante un bombardamento a Serramazzoni.

:: Primo Gruppioni

Primo e Adelmo: an fascis:: quelli della “vecchia guardia” ::

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Bologna

:: Lia Bernardini

Un processo non sarà mai celebrato, le testimonianze e i rapporti finiranno nell’”armadio della vergogna” con le voci e la domanda di giustizia di centinaia e centinaia di morti. Da quelle carte la voce di una testimone arriva a noi: "Non ho mai visto bestie simili nella mia intera vita."

Accorrono i vicini, i padri e i mariti, di corsa pazzi di terrore. C’è un bambino ancora vivo: Romolo Ugolini, ha due anni e un proiettile in testa ma respira ancora. Muore la sera, lo mettono in braccio alla sua mamma morta, con il fratellino Sergio, di 12 anni. Durante la notte le donne fanno la guar-dia mentre gli uomini fabbricano le bare e scavano le fosse: tutti hanno paura che i tedeschi tornino, ma a quei morti verrà data sepoltura.

Il massacro termina, Claudio torna

nella borgata: Cà di Berna è distrutta e 29 persone sono morte. Nella stanza,

macchie di sangue sui muri e buchi di proiettili. Fra i morti anche la sua

mamma, zia Gelsomina e zia Augusta con il figlio adottivo Romolino, di 5 anni;

ci sono le tre cugine: Clementina di 14 anni, Delia di 21, Lia di 22. E

il corpo di un partigiano massacrato tra le case.

:: Delia Bernardini

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:: Gelsomina Burchi

1, Lia di 22. EE

:: Maria Bernardini

:: Clemen na Bernardini

Claudio è sulla porta di casa quando tutto comincia, la mamma gli grida di scappare e lui corre lungo il fosso.

Tutti vengono spinti in una casa e comincia la carneficina: sparano alla testa a tutti, anche ai bambini. Poi i tedeschi fanno

fuoco con un mortaio sulla casa e attraverso il buco fatto nel muro gettano granate. Prima di andarsene danno tutto alle

fiamme. Mentre Claudio corre e si nasconde, continua a sentire gli spari che non si interrompono e presto anche il puzzo di

bruciato e il rumore delle case in fiamme che crollano.

Qualcuno dice che

sta arrivando una formazione tedesca. I partigiani e gli altri uomini decidono di nascondersi

fuori dall’abitato, donne, vecchi e bambini restano nelle

case: nessuno immagina che siano in pericolo. Non possono saperlo, ma è

l’avanguardia dei reparti di Walter Reder “il monco”, che lascerà una scia di sangue

incancellabile fino a Marzabotto. L’ordine è lasciarli passare, ma qualcuno perde la testa

e spara qualche colpo. Arriva il grosso del reparto SS e apre il fuoco, ma sulle case.

Siamo a Cà di Berna, vicino Lizzano, nel 1944. Qui vive Claudio, che ha 14 anni. Il papà è morto in

miniera, lui vive con la mamma Maria Bernardini e due fratelli. Il quarto, Arturo, è nel lager di

Buchenwald. A Cà di Berna ci sono altre famiglie e in casa Piovani c’è anche una base partigiana.

Il 27 settembre pioviggina, la gente sta chiusa in casa.

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Cà di Berna:: “mai viste bes e simili” ::

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Bologna

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All'alba i tedeschi, guidati dai fascisti, arrivano di sorpresa a

Ca’ di Gostino, sede del comando, e seminano la morte. Per tutto il giorno si combatte accanitamente nella valle, tanti

sono gli atti di eroismo, ma i tedeschi sono troppo numerosi e ben armati, i partigiani subiscono anche il fuoco degli

alleati, che non sanno che dietro i tedeschi ci sono loro, alla fine di quella battaglia non resterà che ritirarsi. Intanto però

la compagnia di "Saetta" ha occupato Cà di Marcone, ma i tedeschi attaccano: si combatte a distanza ravvicinata intorno

a quelle case, disputando metro per metro. "Saetta" è colpito, i compagni lo vedono cadere e morire, ma il suo corpo non

sarà mai identificato. Forse riposa ancora là, sull'Appennino.

Renato è più giovani di Dante, è nato nel '20.

Dopo le scuole elementari è andato a fare il bracciante. Ha fatto la guerra, tre anni nell'esercito,

ma dopo l'8 settembre si è rifiutato, come tanti, di continuare a combattere per i nazifascisti ed

è diventato partigiano: "Saetta". È vice comandante della compagnia di Ettore, Brigata Biancon-

cini. Con la sua compagnia l'11 ottobre è anche lui in Appennino, su quel fronte insanguinato:

i partigiani vogliono sfondare le linee tedesche, per unirsi agli alleati.

:: Renato Torreggiani “Sae a”

Dante lo ritroviamo nella brigata Bianconcini, è diventato

"Febo". È settembre, gli alleati hanno sfondato la Linea Gotica in più punti, dall’altro lato i partigiani attaccano, ma

Kesserling prima di arrendersi è deciso a scatenare l’inferno. A monte Battaglia si combatte per giorni, la compagnia

di “Febo” protegge le retrovie, resiste dentro un cimitero, poi sfonda le linee tedesche e si riunisce agli altri. Ancora

un giorno e una notte di battaglia, senza dormire, ormai sono tutti sfiniti ma decisi a resistere, intorno è un vero ma-

cello e anche “Febo” viene colpito da una raffica di mitra. Lo danno per morto, ma è solo ferito: sotto una pioggia

a dirotto i suoi compagni lo trasportano verso i soccorsi, “Febo” resiste fino all’ospedale alleato. Purtroppo le sue

condizioni si aggravano e morirà a Firenze.

Dante Barilli è calzolaio, è nato nel ‘14. Nel 1944 ha

trent’anni, gli ingiungono di arruolarsi per la RSI, ne va anche della sicurezza della sua

famiglia se rifiuta. Allora finge di partire, prende un treno ma di nascosto scende in via

Cadriano, a Quarto. Con altri disertori come lui si nasconde nei campi e col buio cerca

in paese qualche antifascista che li aiuti. Li accoglie la cascina della famiglia Gottardi,

che diventerà una delle prime basi della Resistenza in zona: un nascondiglio fra le

balle di paglia e poi vanno tutti ad unirsi alle brigate partigiane in montagna.

:: Dante Barilli “Febo”

Febo e Sae a:: par giani di montagna ::

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Bologna

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Ma i tedeschi del Mag-

giore Reder, "il Monco", vogliono lasciarsi

dietro solo morte: il giorno dopo arriva un'altra squadra, rastrella

tutti e li ammassa davanti alla chiesa di San Martino. Franco è in braccio alla sua

mamma Anna, terrorizzata. È in quel momento che arriva dal bosco suo papà, che sta

venendo a trovarli. È ferito ad una gamba, ma vede la sua famiglia e corre incontro a sua

moglie. Tra le SS c'è un italiano, lo sentono parlare in dialetto: indica Dante come partigia-

no e lui viene ucciso davanti ad Anna, che è come impazzita, comincia a gridare, viene spinta

contro il muro con gli altri. Allora iniziano le mitragliatrici. Dopo, le SS passano tra i corpi per finirli uno ad uno con

pistole o baionette. Anche Franco è trucidato. Ha 40 giorni e non conoscerà mai la vita. Chi, impietrito, li guarda nascosto

nei boschi racconterà che, finito il "lavoro", le SS si fermano a riposarsi e fumare di fronte all’aia. I superstiti e i partigiani che

tornano il giorno dopo per seppellire i morti scoprono l'ultima bestialità: sono stati tutti bruciati.

Ma il 29 settembre si avvicinano i

rastrellamenti e gli uomini si nascondono nei boschi, anche nonno

Duilio. Donne vecchi e bambini sono lasciati a casa: nessun uomo toccherebbe donne e bam-

bini indifesi, neppure i tedeschi l’hanno mai fatto! Infatti la squadra passa e non succede nulla. Le SS

sono dirette alla chiesa di Casaglia, dove faranno strage di tutti coloro che vi si sono rifugiati,

soprattutto donne e bambini: il loro parroco Don Ubaldo è ucciso sull'altare, una ragazza para-

lizzata viene uccisa in chiesa, tutti gli altri vengono ammassati nel cimitero ed uccisi a mitra-

gliate e con bombe a mano. Di tutto questo i Paselli non sanno nulla, non sanno che tra quei

morti ci sono anche loro parenti, compreso Claudio, il cuginetto di due anni di Franco.

giore R

dietro solo morte: il giorno do

Duilio. Donne vecchi

neppure i tede

a chiesa

onne e b

uccisa

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ono

il 20 agosto 1944 a San Martino, sulle colline di Marzabotto nasce un bambino: è

Franco, figlio di Dante e Anna, giovani sposi diciottenni. Nasce in un

mondo sconvolto dalla violenza: tutta la numerosa famiglia Paselli ha

lasciato la casa paterna di Casoni per rifugiarsi a San Martino più in

alto: lì saranno più al sicuro, pensano. Dante è partigiano della Briga-

ta Stella Rossa, tutte le famiglie là hanno uomini nella brigata. Il

giorno prima che nascesse Franco c’è stato uno scontro molto duro

con i tedeschi; eppure la liberazione appare vicina. La sua mamma

Anna ha fiducia che presto Dante tornerà a casa e la guerra sarà

finita. E magari allora si farà a Franco la sua prima fotografia.

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:: Anna Naldi

:: Dante Paselli

la storia di Franco Paselli:: se ques sono uomini ::

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Bologna

2514138

Quel giorno a

Porta Lame c'era anche Daniele. Il

suo nome di battaglia è "Diavolo", anche se a guardar-

lo nella foto fa tenerezza la sua faccia d'angelo: è un ragazzino, non ha

neppure diciott'anni, ma è già praticamente un veterano.

Dopo la battaglia bisogna ritirarsi in basi di ripiego, Daniele con altri 16 si rifugia in

una base in piazza Unità n. 5. L'avanzata alleata si è fermata e fascisti e nazisti hanno

modo di concentrarsi sulla caccia ai partigiani in città: è il 15 novembre e dalla finestra

il comandante vede avvicinarsi un tedesco in sidecar che consulta una

mappa, dietro di lui altri, poi carri armati, 18 autoblindo, una colonna di

uomini in assetto di guerra... è l'inizio di un rastrellamento a tappeto, una situazione quasi disperata.

Si distruggono le carte, si prendono le armi, i fascisti salgono le scale e sfondano le porte. Li trovano, piccona-

no la porta, entrano ma sono ricacciati indietro. Comincia la sparatoria, i tedeschi usano anche le armi pesanti,

bisogna uscire da lì! Daniele è al piano terra sulla porta, vuole tentare il tutto per tutto e affrontarli, ma non ha

nessuna speranza contro le mitragliatrici, che lo ammazzano ad appena diciassette anni.

:: Daniele Chiarini “Diavolo”

Guido è del 1906,

fa il fontaniere e vive alle Case Zamboni, con la moglie Corinna e i figli Gastone di 17

anni e Rossana di 10. Partecipa alla lotta antifascista in città con coraggio, diventa poi

un componente della 7a gap: il partigiano "Giulio". Il 7 novembre 1944 è nella base di

vicolo del Macello, da giorni aspettano l'insurrezione vivendo come soldati in prima

linea: turni di guardia, sveglia, rancio... "Giulio" è il cuoco della base. Ma i tedeschi li sco-

prono: all'alba attaccano, inizia la battaglia di Porta Lame.

La base è circondata, bersagliata anche con mortai, cannoni e un carro armato Tigre. Tutti

mantengono la calma e continuano a sparare, respingono attacchi su attacchi. Ma i muri crol-

lano sotto i colpi, bisogna uscire subito e passare nell'edificio di fronte, ma

c’è da attraversare un cortile che è sotto il tiro di una mitragliatrice

appostata sul campanile di fronte: Guido e "William" escono per primi, per incoraggiare i compagni: ce la fanno! Ma

gli altri esitano, il tratto è breve ma è sotto il fuoco nemico. Allora Guido di slancio torna indietro per convincerli,

non si può aspettare: allora escono, passeranno quasi tutti, ma proprio "Giulio" cade sotto i colpi, con altri

due. La battaglia continua e il sacrificio di Guido e degli altri non è stato inutile: alla fine

l’accerchiamento è rotto e la battaglia è vinta: a Porta Lame sono morti 12

partigiani e diverse diecine di nazifascisti.

:: Guido Guernelli “Giulio”

cadu in ba aglia:: Porta Lame e Bolognina ::

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Bologna

La notte del 13 dicembre le brigate nere passano di casa in casa, tirano giù dal

letto i partigiani, li portano via. Li comanda Gaspare Pifferi, torturatore ed

assassino. Con loro, un uomo col volto coperto da una sciarpa, indica quelli da

portare via. La sciarpa cade, viene riconosciuto: è Dante Amadori, un compagno!

Forse non ha resistito alla tortura, forse era un fascista infiltrato... La rabbia e il

senso di tradimento sono grandi. Subito sono a casa Pinardi: Roberto riesce a

scappare da un finestrino e poi giù nel Savena Abbandonato, Bruno e Vanes

invece vengono costretti a vestirsi, tra urla e colpi, portati via. . Tutti buttati su un

autocarro, solo Romano Donati, il comandante della compagnia di Sant'Anna

riesce a fuggire. Si prosegue per le fornaci, i fascisti circondano l'abitato con i mitra e prendono tutti.

Poi portano tutti alla Casa buia, li aspetta la Facoltà di Ingegneria, ora luogo di torture. Ma Bruno e Vanes non ci arrive-

ranno, i prigionieri sentono una terribile scarica di mitra fuori alla Casa Buia: Bruno e Vanes cadono ammazzati. La banda

di Pifferi "concluderà la serata" denudando e torturando una partigiana.

Ma in quell'autunno del '44 i rischi sono tanti, non solo rastrellamenti e posti di blocco: fascisti e nazisti promettono

denaro e sale ai delatori, infiltrano spie, torturano i partigiani catturati perché denuncino i compagni e qualcuno - meno

forte di tempra e di ideali – cede.

Corticella

allora è un paesino, solidamente antifascista: la gente li aiuta e li

nasconde, quando un battaglione in trasferimento passa cantan-

do Bandiera Rossa la gente applaude dalle finestre, i fornaciai

della cooperativa danno asilo ai partigiani, alla fornace si fanno le

bombe e nell'officina si cambiano targa e colore alle

auto rubate ai fascisti.

Vanes e Bruno sono fratelli: Bruno è più grande di due

anni, nel 1943 ha 22 anni, ha la licenza elementare e fa l'operaio meccanico, mentre Vanes di

anni ne ha venti ed è barbiere. Sono stati in guerra, uno granatiere e l'altro carrista. La loro è

una famiglia antifascista, in particolare uno dei fratelli, Roberto, più grande di loro, è stato arre-

stato nel ‘35 dai fascisti e, considerato comunista, viene sempre “vigilato”. Adesso Vanes è stato

richiamato alle armi dalla R.S.I. e non vuole partire. Ma per i renitenti c'è la pena

di morte e Vanes si arruola, ma solo per disertare: torna a casa e

diventa partigiano, insieme ai fratelli. Tutti nella 1a brigata Gari-

baldi, quella dedicata a Irma Bandiera, la "Mimma", torturata bru-

talmente e poi uccisa.

Bruno Pinardi “Camoscio” ::

:: Vanes Pinardi “Topo”

“Topo” e “Camoscio”:: la sporca opera dei delatori ::

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Bologna

6 21

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:: Adelchi Baroncini:: Teresa Benini

:: Jole Baroncini“...Quando finirà dunque questa maledetta guerra, quando verrà quel giorno che ci troveremo alla

nostra sgangherata tavola, ma ben apparecchiata di ogni ben di Dio? Vedere ancora papà là seduto con

la sua tuta da lavoro, che alla domenica ci urtava tanto..."

”...Veramente se avremo fortuna di ritornare tutti, la mamma e papà non dovranno più

lavorare no, noi siamo giovani, ci rimetteremo presto e lavoreremo, essi avran-

no tanto bisogno di riposo! Neppure in casa mamma dovrà più lavorare. Oh, se sapessi Nella

quanto penso io a questo! Che soddisfazione fare per loro un po’ di sacrificio, dopo che loro

hanno fatto tanto per noi!...”

Il 4 marzo del 1945 la vita di Jole finì, a 28 anni, nella camera a gas. A Bologna torneranno, sole, Lina e Nella.

"Non ci sembrava giusto non fare niente",

dice Nella. Ma è molto pericoloso e qualcuno fa una spiata: il 24 feb-

braio 1944 le SS arrestano Adelchi in Officinia e poi vanno a casa a

prendere le quattro donne.

Lina si prende tutte le responsabilità: le SS torturano lei e Adelchi per un mese.

Poi vengono tutti deportati a Fossoli dove vedranno fucilare tanti compagni. Aldelchi viene deportato in Austria, a Mau-

thausen; finirà al terribile castello di Hartheim, dove sui prigionieri vengono eseguiti orribili esperimenti, che porteranno

alla sua morte il 3 gennaio 1945.

Dopo poco Teresa e le sue figlie vengono caricate con altre 41 donne in un carro bestiame: destinazione Ravensbrueck. Con

il viaggio comincia l'inferno che le porta in un altro e tremendo mondo: è il lager.

Teresa muore per prima di stenti. Jole è molto malata, dall'infermeria scrive a Nella:

Adelchi Baroncini è operaio, lavora all'Officina Automezzi Riparazioni Esercito

(O.A.R.E.), Teresa Benini, sua moglie, casalinga. Le loro tre figlie Jole, Angelina

detta Lina e Nella sono impiegate, sanno scrivere a macchina: la loro casa, un

alloggio popolare in via delle Rimesse 25, diventa subito un centro stampa e

loro riproducono e distribuiscono propaganda antifascista e stampa clande-

stina, come l’Unità e La Lotta.

“una tragedia nella tragedia della guerra”:: la storia dei Baroncini ::

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Bologna

1413

Il

10 febbraio Carlo e Orfeo vengono prelevati, con

altri 53. Il registro del carcere dice che vengono affidati al “Comando tedesco SS”. Forse

vogliono deportarli in Germania... chissà cosa passa nella testa di quei 55 uomini. Invece le

SS li portano sul terrapieno della ferrovia, vicino alla stazione di San Ruffillo. La zona è deser-

ta: è spesso bombardata, cannoneggiata, la popolazione è tutta sfollata. Il terreno è pieno di

voragini per le bombe sganciate dagli alleati. Per i nazisti il luogo ideale per consumare un

massacro nascosto. Carlo e Orfeo, con tutti gli altri, vengono uccisi a San Ruffillo: la buca di

una bomba sarà la loro tomba fino alla fine della guerra. Lo stesso destino aspetta ancora

quasi altrettanti uomini nei mesi seguenti: uno sterminio silenzioso, la città non sa. Solo dopo

la guerra cominceranno ad emergere quei corpi e con essi la verità e qualcuno ricorderà di aver sentito quelle raffiche

di mitra. Non tutti verranno identificati; a tutti loro è dedicata una lapide, su cui si legge: “da queste fosse rosse di sangue

risuona la voce dei partigiani trucidati dai nazifascisti ad ammonire i vivi che non c'è civile grandezza senza libertà ed amore”

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Negli stessi giorni di Carlo

arriva nelle celle di San Giovanni in Monte anche Orfeo. Lui ha qualche anno in più, 25, ed è

aiuto macchinista nelle ferrovie. Tanti antifascisti e partigiani sono ferrovieri: chi non è in

brigata, fa comunque del suo meglio per combattere i nazifascisti, con sabotaggi o aiutan-

do i prigionieri a scappare. Orfeo fa parte della 4a brigata Venturoli e fa la sua parte in

quei mesi tremendi, fino a quando un delatore lo denuncia: anche questo sta accaden-

do troppo spesso in quest’ultimo inverno di lotta. Vengono a prenderlo e

lo portano in una cella. :: Orfeo Galle

Carlo è nato nel 1925 a Minerbio e fa il tornitore a Bologna. È comunista,ed è diventato

partigiano: nome di battaglia “Mazza”. Combatte contro i nazisti, con la 36a brigata Bian-

concini Garibaldi in Appennino. Dopo l’arresto dell’avanzata alleata tutto è diventato più

duro lassù: i tedeschi possono concentrare le proprie forze nella caccia agli odiati partigiani,

i “banditen”. È in quei mesi, all’inizio di gennaio del 1945, che Carlo viene catturato e portato

a San Giovanni in Monte: resterà in quella cella per meno di un mese.

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:: Carlo Mazzacura “Mazza”

San Ruffillo: il colpo di coda dell’odio :: una strage nascosta ::

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Bologna

141310

Ma il 7 novembre del

1944 Luciano e suo padre Ettore vengono catturati dai tedeschi a Ozzano. È l’inizio di un incubo: rin-

chiusi a Bologna, nel carcere di San Giovanni in Monte. Da lì si usciva solo, a turno, per essere portati nella sede della Gesta-

po o in quella delle Brigate Nere ed essere interrogati e torturati. Ma da quella cella Luciano e suo padre escono, il 22

dicembre, per andare verso un destino peggiore: deportati a Mauthausen, poi a Gusen. Luciano non ce la fa, il

ragazzino partigiano, che ha conosciuto l’inferno dei lager, muore il 7 aprile del 1945, ad agosto avrebbe com-

piuto 17 anni. Papà Ettore sopravvive, come Eliseo viene liberato il 5 maggio. A Gusen hanno lasciato un

fratello e un figlio.

Luciano è nato

nell’agosto 1928. Nel ’43 è solo un ragazzino di 15 anni che studia alle Aldini e lavora come meccani-

co alla Ducati, che dall’8 settembre 1943 è occupata dai nazisti e non produce ancora moto ma

radio, antenne, macchine fotografiche. Eppure Luciano, così giovane, ha le idee chiare:

vuole combattere il fascismo e si unisce alla Resistenza. Diventa il partigiano “Lucciola”

nella 66a brigata Jacchia, a Monterenzio.

:: Luciano Venturi “Lucciola”

Venti giorni dopo Adolfo e Lodomilla vengono rilasciati,

troveranno la loro casa bruciata, dopo la guerra sapranno che Bruno è stato ucciso a Sabbiuno, il suo corpo gettato

con gli altri nei calanchi. Leonildo e Eliseo a gennaio vengono ammassati senza spiegazioni con altri prigionieri su

camion, destinazione il campo di transito di Bolzano e di lì a Mauthausen, Gusen. Il 5 maggio 1945 Mauthausen è liberato,

ma solo Eliseo torna a casa, Leonildo è morto il 3 aprile, senza conoscere la figlia che Albertina sta portando in grembo.

:: Leonildo Corazza

Leonildo e la sua

famiglia vivono nelle campagne di Calderara, sono coloni di un gerarca fascista. Ci sono i tre fratelli

Leonildo, Eliseo e Adolfo, sua moglie Lodomilla e i loro 4 figli, tra cui Bruno e Corrado, partigiani. Tutti

antifascisti: casa Corazza è una base partigiana. La proposta è stata di Bruno, il comandante partigia-

no “Bandiera”, ma Adolfo, Lodomilla e tutti gli altri hanno accettato con convinzione: un vano scava-

to nelle balle di paglia e quel cascinale diventa un rifugio sicuro per i partigiani, i Corazza non solo

li ospitano, ma procurano loro da mangiare, li curano e papà Adolfo non fa mai mancare una botti-

glia di grappa che distilla lui. Nel settembre 1944 la zona è piena di tedeschi, i rischi

aumentano, sono giorni drammatici. Ma accadono anche cose belle: Leonildo si sposa con

Albertina. Passano poco più di 15 giorni, all’alba di un nebbioso 3 dicembre un delatore guida brigate nere ed SS a casa

Corazza, che viene circondata e perquisita. Per fortuna i partigiani sono appena partiti, ma i nazisti portano via

tutti, si salva solo Corrado, che per fortuna non è lì. Per tutti, interrogatori e carcere.

due famiglie nel ’45:: Leonildo e gli altri, Luciano e suo papà ::

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ricerca, editing, grafica: viviana verna

i l fi lo rosso de l la memor iaAnpi San Donato“Casali - Romagnoli”

Bologna

20165

:: Alfio Zerbini

:: Dante Brusa:: Rino Maiani

:: Walter Giorgi

:: Ezio Sabbioni “Gim”

:: Dino Romagnoli “Pantera”

:: Sergio Marchi “Biondino”

:: Enzo Balducci

:: Giuseppe Zambrini

:: Giuseppe Zaniboni “Pino”

:: Luciano Zonarelli

:: Rossano Buscaroli “Sfracassa”

:: Iliano Zucchini “Leo”

Era il 18 aprile del ‘45, mancavano tre giorni alla liberazione di Bolo-

gna, per questo l’ordine era stato di avvicinarsi alla città, con armi ed esplosivi, e tenersi pronti alla bat-

taglia finale. Nella base di via Scandellara c’erano i gappisti della 7a, da Medicina e Castenaso.

All’improvviso un’enorme esplosione rade al suolo la base: 13 partigiani morti, tanti feriti.

Ancora adesso non si sa cosa accadde, se fu sabotaggio o incidente. Certo c’erano tanti esplosivi.

Dalle fotografie di quelle tredici vittime ci restituiscono lo sguardo dei ragazzi, alcuni giovanissimi.

Di alcuni di loro non sappiamo molto, poco più del nome, di alcuni non abbiano neppure una foto,

ne abbiamo scelta una “simbolica” .

Uno dei ragazzi di Scandellara, Dino Romagnoli “Pantera”, è di San Donato: famiglia antifasci-

sta, partigiana anche la sorella Adele. A lui sono dedicate le scuole Romagnoli. Dino muore

non ancora diciottenne, come altri dei ragazzi di

Scandellara: il più “vecchio” di loro non ha ancora

compiuto 26 anni.

i ragazzi di via Scandellara:: morire all’alba della libertà ::

Page 23: Il filo rosso della memoria

ricerca, editing, grafica: viviana verna

Ringraziamo in primo luogo le persone che hanno voluto parlare con noi e raccontare.

Abbiamo poi un immenso debito di riconoscenza con tutti coloro che da anni raccolgono informazioni e documenti e raccontano la Resisten-za; in particolare dobbiamo citare Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Luciano Bergonzini, Nazario Sauro Onofri: senza il loro lavoro noi non saremmo andati da nessuna parte.

Ci teniamo a citare anche le principali tra le fonti sul web a cui abbiamo attinto: la banca dati della Certosa, il sito su la strage di Monte Sole, quello dell'ANPI di Pianoro e il sito Rai dedicato alle testimonianze dai Lager, oltre a wikipedia e wikimedia.

A chiunque vorrà approfondire uno o più aspetti di quanto ha appena letto forniremo volentieri le complete indicazioni bibliografiche, carta-cee e da web.

Questa ricerca è in progress, chiunque vorrà condividere con noi informazioni e, soprattutto, i propri ricordi ci regalerà qualcosa di prezioso.

Infine, questa mostra non avrebbe potuto esistere senza il tavolo di progettazione partecipata del Quartiere San Donato e il contributo degli sponsor, che sentitamente ringraziamo.

Siamo di buona Memoria.

Siamo la forza di una grande storia di libertà,

la Resistenza.

Siamo il futuro che la Costituzione ci ha consegnato,

respiro dei diritti, cultura civile, Democrazia. Pace.

Siamo l’ANPI,

La nuova stagione.

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Bologna