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il foglio di yorick idee da leggere inoltrare stampare http://www.yorickthefool.blogspot.com za interna ed invisibile. Non è forse il momento che anche in noi, come in Am- leto, la sua voce inizi a parlare? è per provare ad articolare in pa- role e pensieri un’altra idea di presente, per dire ciò che forse non si dovrebbe dire (ciò che è scomodo dire?), per fare proposte “in- attuali” nel senso di Ni- etzsche, proposte fuori tem- po... utopiche, che qui si ten- ta di ris- vegliare la sua voce. perchè dovremo rimanere confinati in ciò che è e non provare ad in- ventare ciò che ancora non è? ma per fare ciò, ci vuole un po’ di follia; anzi, c’è bisogno del risveglio di una moltitudine di folli. la follia è definita solo dalla prospettiva di ciò che detta le regole, di ciò che “domina”. Musil lo chiama “il senso della realtà”, e già quasi un secolo fa si chiede- va perchè mai “si dovrebbe dare più importanza a ciò che è, che a ciò che non è”. per lui, parla nelle voci altrui, qua- si come una risonan- Yorick dunque, di per sè, non ha mai avuto voce; egli [email protected] dare più importanza a ciò che non è o non è ancora è vivere secondo il “senso della possibilità”, più che secondo quello della “realtà”. numero uno, ottobre ‘10

il foglio di yorick_numero uno

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spazio di pensiero collettivo, progettazione e critica di proposta per un nuovo presente

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il foglio di yorick

idee da leggere inoltrare stampare

http://www.yorickthefool.blogspot.com

za interna ed invisibile. Non

è

forse il momento

che anche in noi, come in Am-

leto, la sua voce

inizi a parlare? è per provare

ad

articolare in pa-

role e pensieri un’altra idea

di

presente, per

dire ciò che forse non

si

dovrebbe dire

(ciò che è scomodo dire?),

per

fare proposte “in-

attuali”

nel senso di

Ni-

etzsche, proposte

fuori tem-

po... utopiche,

che qui si ten-

ta di ris-

vegliare la sua voce. perchè dovremo rimanere confinati in ciò che è e non provare ad in-

ventare

ciò che ancora non è? ma per fare ciò, ci vuole un po’ di follia; anzi, c’è bisogno del

risveglio

di una moltitudine di folli. la follia è definita solo dalla prospettiva di ciò che detta

le regole,

di ciò che “domina”. Musil lo chiama “il senso della realtà”, e già quasi un secolo fa si

chiede-

va perchè mai “si dovrebbe dare più importanza a ciò che è, che a ciò che non è”. per lui,

parla nelle voci altrui, qua-

si

come una risonan-

Yorick dunque, di per sè, non

ha mai avuto voce; egli

[email protected]

dare più

importanza a ciò che non è o non è ancora è vivere secondo il “senso della possibilità”,

più che

secondo quello della “realtà”.

numero uno, ottobre ‘10

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Che cos’è “il foglio di yorick”, questa cosa che avete appena “aperto” (già, ma senza sfogliarlo!) e che, forse, vi ap-prestate a leggere? Si potrebbe cominciare dicendo che non è una “cosa” ben definita. È piuttosto “più cose” alla ricerca di una sintesi, di una forma nuova. Dunque è anche un tentativo, una prova: appunto, un esperimento. Proviamo a mettere un po’ d’ordine.

Cosa ci troveremo dentro. Primo esperimento.Aprire uno spazio critico. “il foglio di yorick” vorrebbe essere un luogo per molte voci, luogo del pluralismo dello sguardo sul nostro tempo. Ma vorrebbe anche andare oltre la presentazione delle molte voci: non vorrebbe arrestarsi ad una generica condanna del nostro presente, alla denuncia e all’informazione; vorrebbe anche essere uno spazio in cui lo sguar-do e la critica del presente assumono una prospettiva progettuale, sforzandosi di tracciare i contorni di un futuro pos-sibile. Uno spazio di critica e di proposta, quindi; un foglio a partire dal quale parlare, discutere. Perché la critica mutila se stessa se non diviene (pro)positiva e non favorisce l’incontro.

Forme intermedie. Secondo esperimento.Carta o schermo. Libro o e-book. Lo scenario del presente è un’intersezione di modi e supporti comunicativi, nessuno dei quali è ancora risultato vincente. Lanciare una sfida. Far interagire questi modi antagonisti in maniera virtuosa, compli-ce. Il sottotitolo dice: idee da leggere inoltrare stampare. Leggere: il formato A4 orizzontale rende agevole la lettura a schermo intero (ctrl+L), rimanendo funzionale anche alla stampa su carta nel formato più tradizionale. I links attivi, colorati, permettono inoltre di usare “il foglio di yorick” come un ipertesto, collegandolo alla rete e aprendolo oltre i suoi stessi confini.Inoltrare: la diffusione de “il foglio di yorick” sarà gratuita e a portata di mouse, facile per tutti i suoi lettori.Stampare: forse la scommessa maggiore. Ogni articolo sarà un piccolo “foglio” autonomo, con tutti i riferimenti e le indi-cazioni presenti sul giornale. L’idea è quella dello “stampa e diffondi”: ogni lettore potrà stampare l’articolo che più gli è piaciuto o che ritiene più importante, lasciandolo poi nei luoghi dove potrà essere letto da altre persone che en-treranno così in contatto con il mondo di yorick. Autobus, uffici, aule studio, piazze…. Ovunque. Stampare, insomma, per seminare le idee su terreni che forse sono fertili ma che non conosciamo nemmeno. E qui arriviamo ad una ulteriore scom-messa.

Un nuovo lettore. Terzo esperimento.Creare partecipazione, condivisione, allargare la cerchia del dibattito. Un nuovo lettore, che non si limiti a rilanciare con un clic di mouse. “stampa e diffondi” vuol dire anche scegliere luoghi da colonizzare, territori incerti verso i qua-li aprirsi, territori intorpiditi da scuotere. Un modo, anche, per uscire dalla virtualità telematica, per ricreare una agorà fatta di voci, di sguardi, di toni, di sostanza. Passare nelle mani di una persona un’idea per il nostro presente è occasione di parole, di conoscenza, di scambio che non sempre un “inoltra” garantisce. Un lettore che partecipi, dunque, all’opera di informazione e di proposta. Un lettore che diventi anche autore, rispondendo agli articoli e inviandone di propri.

Tutto questo è in movimento, si nutre di idee scambiate tra amici a volte migliaia di km lontani. Assomiglia molto ad una avventura, e come ogni avventura non sa dove andrà a finire e chi incontrerà, né che mezzi adopererà. L’unica cosa di cui noi siamo convinti è che abbiamo bisogno di nuove forme per poter continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: pen-sare.

il progetto_tre esperimenti

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scelto dalla redazione

Camminando per le nostre città, sfogliando riviste di ogni tipo o accendendo la tele-visione, colpisce come gli spazi pubblici e i canali televisivi siano “intasati” da immagini ricorrenti che ritraggono una donna dalle forme generose, dall’atteggiamento provocatorio e la cui perfezione sfiora l’irreale. Di fronte a questi messaggi ci si chiede dove siano finite le donne “vere”, quelle che non si spaventano di essere come sono, e così vogliono essere accettate e considerate. Esse finiscono per essere le spettatrici di una progressiva regressione culturale che strumentalizza corpi e donne, contro la quale tuttavia sembrano mancare gli strumenti per un’indignazione colletti-va. Questo documentario di 25 minuti vuole essere una spinta al risveglio. Realizzato nel 2009 a cura di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi, Cesare Cantù. Vi invitiamo, cari lettori, a guardare il video e a visitare il blog www.ilcorpodelledonne.net. Buona visione!

clicca sull’immagine

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indice ... editoriale

Dopo l’esperimento del “numero zero”, eccoci qui pronti a lanciare il numero uno del-la nostra newsletter. “il foglio di yorick” è in perenne metamorfosi, si nutre dei consigli e delle idee di tutti... perciò, non esitate a farci avere la vostra opinio-ne, a scriverci, a darci suggerimenti. sarà bello far crescere assieme questo espe-rimento. un grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto con mail di incoraggiamento dopo il numero zero: è anche grazie a loro che abbiamo cominciato a credere a questa avventura un po’ di più. e ora... buona lettura (ma non solo)!

Quell’immenso cimitero sommerso p.6 La camera da presa ci restituisce l’immagine di un mare tranquillo, mosso da leggere onde, blu e immenso. Poi si ferma su un’immagine: è l’immagine di un vecchio pescatore di Mazara del Vallo che, come è consuetudine ormai da molti anni, sale a bordo del suo peschereccio per andare a pescare.

di Alessandra Garda

Riflessioni su un’esperienza con Libera p.11Qualche mese fa avevo raccontato, per Ctm altromercato, l’esperienza estiva di campo scout trascorsa con Libera- asso-ciazioni, nomi e numeri contro le mafie (parte di questo articolo riprende quanto già pubblicato sul sito www.altromer-cato.it), ma in quest’occasione volevo andare oltre, cercando di aprire nuovi orizzonti di riflessione.

di Laura Battistella

Emergenza educazione civica p. 9Tutti gli anni, all’inizio di settembre e a metà giugno, i giornali parlano dei “problemi della scuola”. Garantito; tanto quanto è garantito che in estate trattano del caldo “al di sopra delle medie stagionali” e che in inverno almeno una testata titolerà “L’Italia nella morsa del gelo”. Poi passa.

di Gracco Spaziani

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indice ... editoriale

Nasce la prima associazione antimafia a Verona p.20Come si legge sullo statuto della neonata associazione di promozione sociale, le finalità principali sono la promozione della cultura antimafia, soprattutto tra le giovani generazioni, mettendole in guardia dalle infiltrazioni mafiose che ormai hanno raggiunto il Veneto e la sensibilizzazione della popolazione tramite incontri, convegni e conferenze con esperti del settore, volti ad approfondire la conoscenza diretta del fenomeno; in tal senso molta attenzione sarà dedi-cata alla valorizzazione delle storie di tutte quelle vittime di mafia ormai dimenticate.

comunicato stampa

Tirocini e precariato. Bamboccioni è ora di organizzarsi p.17Nel diritto del lavoro italiano esistono delle categorie ben definite per gli apprendisti e i contratti di formazione e lavoro, o simili forme di lavoro/apprendimento che permettono al lavoratore di fare esperienza, senza avere la stes-sa retribuzione di un lavoratore ordinario. Queste categorie sono tutelate, giuridicamente e nella pratica, con limiti agli orari, regole sulla retribuzione, sulla possibilità di eventuale assunzione.

di Stefano Panozzo

Sudafrica, oltre i mondiali? p.14Il Sudafrica del 2010 sarà ricordato in Italia come il Paese in cui la nazionale di calcio ha fatto una pessima figura sportiva ai Mondiali. I mega-eventi sportivi di questo genere hanno l’incredibile capacità di mettere un intero Paese al centro dell’attenzione internazionale per qualche settimana, per poi relegarlo di nuovo nella penombra che lo avvol-geva precedentemente.

di Francesco Gastaldon

Per portare avanti la nostra iniziativa abbiamo bisogno di voi… quindi “leggi inoltra e stampa!”, come dice il nostro motto. Se ogni lettore lo invia ad anche solo 5 per-sone, in un batter d’occhio arriviamo ad una “tiratura” di 1000 copie! Aspettiamo i vostri commenti e i vostri consigli, le vostre lettere, le vostre segnalazioni, e ov-viamente i vostri articoli… non esitate a scriverci, vogliamo continuare a ragionare e pensare assieme; facciamo crescere le idee!

Lettera aperta al Sindaco Flavio Tosi p.21G. le Sindaco Flavio Tosi, Le scrivo questa lettera aperta dopo aver meditato sui recenti fatti che hanno coinvolto, e che stanno tuttora coinvolgendo, la Lega Nord nel comune di Adro; e soprattutto dopo aver pensato a quello che Lei ha sostenuto, poche sere fa, durante la trasmissione “Otto e Mezzo”, in cui questo argomento è stato messo a tema.

comunicato di redazione

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Lampedusa ed Algeri. Ha visitato car-ceri, “centri di accoglienza” e centri di identificazione ed espulsione. Ne ha viste e sentite di ogni genere. Ha rac-colto poi tutto questo materiale in vari libri ed ha fondato un sito internet, “Fortress Europe”, un osservatorio onli-ne sulle e per le vittime dell’emigra-zione. Sì perché migliaia di emigrati provenienti dalla Libia, dall’Algeria, dal Marocco durante gli anni duemila sono morti nelle acque del nostro mare. Dal 1988 almeno 14.995 giovani sono mor-ti tentando di espugnare la “Fortezza Europa”.Questa questione è complessa e i fatto-ri da considerare sono molti. Di sicuro il grosso problema è rappresentato dal fatto che il mare è una frontiera ben diversa dai confini territoriali. Questi ultimi sono linee che dividono in manie-ra netta due Stati: da una parte vige il diritto di uno Stato ed immediatamente dall’altra parte le regole da applica-re sono quelle dello Stato confinante. Non è così semplice quando il confine è rappresentato dal mare; o meglio, dalla zona grigia del mare. Oltrepassate le poche miglia di acque territoriali ci si trova in acque internazionali dove per l’appunto vige il diritto internazionale

È da qualche giorno, dalla sera in cui sono stata in una famosa libreria di Bruxelles per la presentazione dell’ul-timo libro di Gabriele Del Grande “Il mare di mezzo”, che questa immagine è fissa nella mia mente. Credo sia la pro-va tangibile della trasformazione che il nostro mare (nostro e dei nostri vici-ni!) ha subito in questi ultimi anni. Le onde nascondono una verità che la comunità internazionale in primis e il nostro governo hanno interesse a tenere sommersa. Una verità che invece persone come Gabriele Del Grande lavorano ogni giorno per far riemergere. Parlo di un immenso cimitero, quello dei senza iden-tità (in quanto vengono respinti o im-prigionati o ancora uccisi senza che in alcuni casi venga accertata la loro pro-venienza nonché il loro status giuridi-co), dei senza diritti, dei senza nome, dei dispersi in mare. Quel cimitero si chiama Mediterraneo.Gabriele Del Grande è un ragazzo di 26 anni, un mio coetaneo, che ha girato in lungo e in largo il Mediterraneo alla ricerca di racconti, di storie, di voci che potessero testimoniare quello che sta accadendo in questi anni al largo delle nostre coste. Ha trascorso quat-tro anni tra la Sicilia e la Libia, tra

alessandra gardail foglio di yorick

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quell’immenso cimitero sommerso

La camera da presa ci restituisce l’im-magine di un mare tranquillo, mosso da leggere onde, blu e immenso. Poi si ferma su un’immagine: un vecchio pe-scatore di Mazara del Vallo che, come è consuetudine ormai da molti anni, sale a bordo del suo peschereccio per andare a pescare. Davanti a lui c’è un piccolo monitor di bordo nel quale sono indicate le rotte che utilizza per orientarsi in mare; prestando attenzione a questa map-pa nautica digitale ci si rende subito conto che è costellata di simboli ricor-renti. Sono moltissimi e tutti uguali: si tratta di teschi. Stanno lì per indi-care al vecchio pescatore, che utilizza per la pesca il metodo “a strascico”, i punti in cui è meglio non gettare le reti, i punti da evitare per non avere strane sorprese, per non rischiare di trovare, impigliato nelle reti, qualche cosa che pesce non è.

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vengono respinti quando ancora sono in mare, prima ancora che raggiungano le nostre coste. Ma dove andranno? Finisco-no nuovamente nei territori dai quali sono scappati. Vengono respinti senza che ci si curi minimamente se nel Paese d’origine o di transito sia garantito un rispetto minimo dei diritti umani. In tema di asilo si applica la Convenzione di Ginevra, la quale impone agli Stati di garantire protezione internaziona-le ai rifugiati. La Convenzione vieta agli Stati di respingere dei richieden-ti asilo in uno Stato, anche se solo di transito, che non abbia ratificato tale Convenzione e che quindi non preveda uno standard minimo di rispetto dei dirit-ti umani. A questo proposito mi chiedo: come conciliare questo divieto con la pratica italiana ormai consolidata di respingere barconi carichi di immigra-ti eritrei e somali verso la Libia (la quale non fa parte dei paesi firmatari della Convenzione), senza a volte neppu-re controllare se queste persone siano o meno destinatari di protezione interna-zionale?In generale in Italia basta accendere la televisione o aprire un quotidiano per rendersi conto di quanto il lessico usato per trattare queste questioni sia

fi nella “guerra contro l’immigrazione illegale”, senza preoccuparsi troppo del rispetto dei diritti umani dei migranti respinti e poi bloccati in Libia o del-le vite dei tanti che, pur di fuggire da situazioni terribili, sfidano la morte avventurandosi nelle acque del Mediter-raneo diretti verso Lampedusa piutto-sto che verso la Francia o la Sardegna. Tale complicità si allarga poi al mondo dell’informazione che alimenta il clima di terrore che vuole gli immigrati come il capro espiatorio nonché l’origine di tutti i nostri mali, gli autori di ogni episodio di cronaca nera che ormai ri-empie le pagine di quotidiani di ogni colore politico.Con il sostegno della stampa e dei mez-zi di informazione, sta avvenendo una vera e propria strumentalizzazione di questi fatti (che dal mio punto vista faremmo meglio a definire come veri e propri crimini) da parte della propagan-da operata da certi partiti italiani. È vero, se guardiamo le stime c’è stata una riduzione dei richiedenti asilo e le persone sbarcate sulle coste sicilia-ne sono diminuite; ma a che costo? Dove sono finiti? Forse non sono partiti? Sono stati arrestati o respinti? Hanno cambiato rotta? Spesso questi immigrati

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con la conseguenza che risulta complicato accertare la responsabilità degli Stati per le azioni ivi compiute. E i respingi-menti spesso avvengono in acque interna-zionali!Di fronte a tutto questo si assiste ad una totale indifferenza da parte del-la comunità internazionale e del nostro governo, che si trasforma in complicità di noi tutti verso quello che è un vero è proprio crimine contro l’umanità. Nel 2008 l’Italia ha siglato con la Libia degli accordi, a cui si stava lavoran-do in realtà già all’epoca del governo Prodi, con lo scopo comune di chiudere il contenzioso coloniale e allo stesso tempo combattere l’immigrazione clande-stina. Si tratta di accordi di coopera-zione tra forze di polizia e politiche in nome della sicurezza e della lotta contro il terrorismo. Insieme all’Italia anche l’Europa in generale sta cercando la collaborazione del colonnello Ghedda-

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retti di queste storie di emigrazione. C’è qualcos’altro al di là della sicu-rezza, questo termine in nome del quale ogni giorno autorizziamo con il nostro silenzio tali crimini. Perché molte cose non ci vengono dette, sono “sommerse” appunto. E come farle emergerle? Dando ad ognuno un nome, una storia, dando ad ogni cifra un volto, una voce. Sembra una semplice operazione, eppure porta con sé una forza rivoluzionaria. Ci per-mette di immedesimarci in Mérouane pie-no di sogni e di speranza che saluta un padre che non rivedrà più per dirigersi verso quella che crede essere “la terra promessa”, oppure in Isaias rinchiuso in un container per ore ed ore per essere trasportato da una prigione all’altra, o ancora in Ikram morto in mare per anda-re in Francia a sposarsi. Tutto questo per cosa? Per quale reato? Sarà forse un reato quello di sognare, di ricercare una vita migliore, di avere il coraggio di lasciare tutto e salire su una barca per solcare un mare intero senza nessuna certezza di ciò che c’è al di là? Per-ché, diciamocelo, per decidere di venire in un Paese come il nostro, credo che per come si sta mettendo la situazione oggigiorno si debba avere un gran corag-gio...

assolutamente non appropriato e distorca la percezione del problema, essendo anzi strumentale ed alimentando un clima di paura e terrorismo psicologico assoluta-mente a vantaggio delle politiche re-pressive della classe dirigente. I ter-mini utilizzati fanno sempre riferimento alla sicurezza, alla protezione dei cit-tadini, e poco si parla invece di tute-la dei diritti umani o protezione dello status di rifugiato; si discrimina tra viaggiatori in buona fede e non, quasi ci fosse una differenza tra buoni e cat-tivi. Questo approccio contribuisce alla solidificazione sempre maggiore delle frontiere, non solamente di quelle fi-siche ma prima di tutto di quelle nelle nostre menti. Ci sentiamo ripetere che gli immigrati devono essere cacciati. In realtà sono i governi che ogni anno, per mezzo del Decreto flussi1, stabiliscono il volume delle entrate, ossia il nume-ro di immigrati che il Paese è in grado di assorbire; in poche parole la quan-tità di forza lavoro a basso prezzo che il mercato “richiede”, di cui il mercato necessita. Questo significa che lo Stato italiano ha bisogno di un certo numero di immigrati.Sono convinta che sia fondamentale ascoltare le voci dei protagonisti di-

Ci sentiamo spesso ripetere che il pro-blema è in parte risolto in Italia in quanto, secondo alcune stime, si assi-ste ad una diminuzione degli immigrati irregolari. Ma, mi chiedo, a che costo? Che fine hanno fatto? Sono nelle carceri libiche? O forse nei centri di identifi-cazione ed espulsione italiani? Sicura-mente molti di loro sono rappresentati da quei teschi sul monitor del vecchio pescatore siciliano. La macchina da presa ritorna sul pesca-tore. Quel vecchio ne ha viste tante per mare. Lo schermo che lampeggia davanti ai suoi occhi è il simbolo di un’evolu-zione. Il suo mare si sta trasforman-do in un cimitero..un immenso cimitero sommerso.

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1 Il decreto flussi è l’atto normativo con il quale il governo stabilisce ogni anno quanti cittadini stranieri non comunitari possono entrare in Italia per motivi di lavoro; è stato approvato con cadenza annuale in base alla legge n°40/1998 Turco-Napolitano.

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verse di come dev’essere un partito di destra oggi. Al di là dei contrasti su specifici temi, si nota soprattutto la differenza di linguaggio. Da una parte ragionamenti complessi, riferimenti alla Costituzione e alle istituzioni del-lo stato. Dall’altra, urla scomposte e slogan ripetuti in maniera martellante. Chi vincerà? E in quale sede si andrà a definire il punto di arrivo? In sede elettorale, direi. Nel breve termine è possibile che tutto si risolva con un decoroso compromesso o, chissà, forse anche con un indecoroso scambio di fa-vori. Ma nel lungo termine la partita tra due visioni alternative del concet-to di destra rimarrà comunque aperta. E la sede in cui si deciderà chi ha vinto e chi ha perso non sarà la direzione di un partito, o un vertice di maggioranza: sarà, prima o poi, nel 2010 o nel 2011 o nel 2013, l’espressione della volontà popolare.La sovranità appartiene al popolo, come afferma la Costituzione (che subito dopo

Tutti gli anni, all’inizio di settem-bre e a metà giugno, i giornali parlano dei “problemi della scuola”. Garantito; tanto quanto è garantito che in estate trattano del caldo “al di sopra delle medie stagionali” e che in inverno alme-no una testata titolerà “L’Italia nella morsa del gelo”. Poi passa.Io insegno da venticinque anni e sta-volta vorrei pronunciarmi anch’io sui problemi della scuola. Non parlerò dei tagli: l’hanno già fatto in molti. Non parlerò della Gelmini che, assieme al presidente del consiglio, è andata in visita ufficiale al Cepu, da lei evi-dentemente ritenuto un’istituzione uni-versitaria esemplare. No, il mio tema è l’educazione civica. Ma prendo il di-scorso un po’ alla larga. Comincio dal-lo scontro politico in atto all’interno della coalizione di destra. Dice: ma che c’entra con l’educazione civica? Ci ar-rivo.Dunque, in agosto abbiamo assistito a un aspro conflitto tra due concezioni di-

gracco spazianiil foglio di yorick

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emergenza educazione civica

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po la formazione del cittadino italiano medio è inferiore a quella dell’europeo medio; o no?? E chi dovrebbe insegnare l’educazione civica se non la scuola? Su tanti altri temi, dal bullismo, all’e-ducazione sessuale, alle buone maniere e così via, si assiste spesso a uno scari-cabarile tra scuole e famiglie; ma sul-la preparazione in fatto di meccanismi istituzionali di una democrazia, beh, non c’è santi: è un compito della scuo-la.Mettiamoci una mano sulla coscienza, noi insegnanti, e chiediamoci: QUANTO spazio diamo a questo settore? Non ce la pos-siamo cavare dicendo “qualche cenno l’ho fatto, ma i programmi delle materie vere sono così vasti... c’è poco tempo...”. No, l’educazione civica è una priori-tà; è un insegnamento che dev’essere non solo impartito, ma anche approfondito; non solo sviluppato nella conoscenza esatta di una serie di nozioni (il di-

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aggiunge: il quale la esercita nei limi-ti e nei modi, ecc.), e al popolo spet-terà la scelta. Ora, i sondaggi attual-mente dicono che l’elettorato di destra in massima parte è sensibile al fascino delle urla e degli slogan più che al richiamo dei ragionamenti articolati. C’è da meravigliarsi? Una buona fet-ta dell’opinione pubblica quando sente parlare di equilibri istituzionali, di separazione dei poteri, di indipendenza della magistratura, di differenza tra assoluzione e prescrizione, di conflitto di interessi, di leggi ad personam, di autonomia dell’informazione, NON CAPISCE DI COSA SI STA PARLANDO, lo considera linguaggio oscuro, politichese, burocra-tese, latinorum per imbrogliare il popo-lo, quel popolo che parla come mangia, che dice pane al pane, tasse alle tasse e bingo-bongo ai bingo-bongo.Ed eccoci al problema dell’educazione civica. E’ evidente che in questo cam-

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ritto è materia di precisione, come si sa), ma anche chiarito, esplicitato nel senso storico che sta dietro a quelle nozioni, nell’utilità effettiva di cer-ti meccanismi istituzionali. Insomma, è anche un insegnamento di valori. Va evitato, e rigorosamente, ogni riferi-mento in termini di polemica o di elo-gio a partiti e uomini politici attuali: non è compito del docente indirizzare i futuri cittadini riguardo alle scel-te elettorali. La scuola deve rimanere neutrale nella competizione tra partiti per il governo della cosa pubblica. Ma deve fornire ai giovani tutti gli stru-menti mentali necessari per orientarsi in maniera responsabile e cosciente in un settore così delicato, che richiede ponderazione e non pressapochismo.

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laura battistellariflessioni su un’esperienza con Libera

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provazione della legge 109/1996 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie: una presa di posizione importante, poi-ché questa legge riconosce il ruolo “an-timafia” che la società civile, il mondo dell’associazionismo, della cooperazione sociale, hanno e devono avere nel no-stro Paese. Libera, facendosi portavoce della legge 109/1996 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, non ha fatto altro che affermare la necessità irrinunciabile di una lotta alla mafia che si concretizzi in politiche sociali di educazione alla legalità e di lavoro, soprattutto in quei territori del nostro Paese in cui alle organizzazioni mafiose è permesso garantire un posto di lavoro.Quindi è grazie a questa legge e ai suoi sviluppi successivi se è stato possibile il nostro campo estivo.Noi, piccolo clan di un gruppo scout di paese, volevamo semplicemente vivere un’esperienza di servizio che ci per-mettesse di rinsaldare il nostro piccolo gruppo... abbiamo vissuto molto di più: ci siamo riscoperti cittadini. Perché attivarsi nella lotta antimafia è segno di protagonismo reale ed espressione del più alto valore dell’essere cittadino.Anch’io che, in quanto capo scout di questi miei ragazzi, che si affacciano

conoscenza del fenomeno mafioso. Questo concetto, ben esplicitato da don Ciotti nell’articolo di pochi giorni fa, suona come un’esplicitazione dell’esperienza di campo estivo vissuta con il mio clan (gruppo scout AGESCI Soave 1) a fine giugno, proprio in uno dei beni con-fiscati alla mafia siciliana, bene che ha iniziato da poco il suo percorso di “riabilitazione” proprio grazie alla vo-lontà d’azione di Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie.La nostra esperienza di campo estivo si è inserita all’interno del progetto E!STATE LIBERI di Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie; un viag-gio- per noi che l’abbiamo vissuto- alla riscoperta del concetto di cittadinanza. Libera è nata nel periodo successivo alle stragi di Capaci e via d’Amelio e di quelle del 1993, che hanno colpi-to Firenze, Roma e Milano, dandosi come obiettivo lo sviluppo di una cultura an-timafia basata sui diritti, un’antimafia che possiamo definire “sociale” e che lavora a fianco di quella istituzionale, assicurata con determinazione ed effi-cienza dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. La prima azione che Libe-ra ha realizzato in questa direzione è stata la mobilitazione a favore dell’ap-

associazioni, nomi e numeri contro le mafie.OSARE PER CRESCERE

Qualche mese fa avevo raccontato, per Ctm altromercato, l’esperienza estiva di campo scout trascorsa con Libera- asso-ciazioni, nomi e numeri contro le mafie (parte di questo articolo riprende quan-to già pubblicato sul sito www.altromer-cato.it), ma in quest’occasione volevo andare oltre, cercando di aprire nuovi orizzonti di riflessione. Ho iniziato a riflettere sui contenuti di questo ar-ticolo a pochi giorni dall’attentato al procuratore di Reggio Calabria Salvatore Di Landro e dopo aver letto l’artico-lo di don Ciotti presidente di Libera, apparso su Il Manifesto il 27.08.2010, in cui ci chiama a trasformare la soli-darietà in corresponsabilità: perché le mafie, sfondo di questo mio articolo, si possono vincere attraverso una mobili-tazione collettiva che passi attraverso la condivisione, la consapevolezza e la

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iniziale a favore di uno nuovo: resti-tuire dignità e sicurezza all’agrumeto, per contribuire a restituire a noi tut-ti, cittadini d’Italia, un bene che ci è stato tolto dalla mafia.Quest’anno, a dieci anni dalla confisca del terreno di Belpasso, Libera- attra-verso un concorso pubblico che ha dato vita alla cooperativa “Beppe Montana”- lo ha restituito alla società.Molti sono i lavori di bonifica da realizzare, non solo quelli di natura agricola sull’a-grumeto, ma anche su tutta la struttu-ra immobiliare che un tempo costituiva la residenza del custode del terreno e le stalle dei cavalli, sfruttati nelle corse clandestine.Contribuire a quest’o-pera di bonifica ci ha permesso di sen-tire il terreno di Belpasso veramente nostro: ci siamo resi conto di non aver investito energie ed impegno su cosa d’altri. Quest’esperienza ci ha concre-tamente fatto capire che i beni confi-scati sono cosa nostra!Belpasso però non è stata soltanto un’esperienza di lavoro di bonifica e, nello specifico, di boni-fica dei confini dell’agrumeto; è stato soprattutto luogo di incontri signifi-cativi che ci hanno reso più consapevoli di quanto una logica di condivisione di

Ma come è stata possibile questa nostra piccola, ma tanto importante, rivoluzio-ne culturale?Belpasso (CT), Cooperativa “Beppe Mon-tana”, la neonata cooperativa di Libera nella regione Sicilia: uno dei dodici beni confiscati alle mafie che, per tut-ta l’estate, hanno proposto dei campi di volontariato e studio a giovani e adulti di ogni provenienza, associazionistica e non. Non avevamo ben chiaro che cosa si-gnificasse sporcarsi le mani in un ter-reno confiscato e lasciato a se stesso da circa dieci anni quando siamo sbarca-ti a Belpasso. L’abbiamo scoperto in una settimana di sveglie all’alba per fal-ciare, rastrellare e rimuovere tutto ciò che quei lunghi dieci anni di abbandono avevano causato: bruttura. I 16 ettari del terreno di Belpasso sono stati con-fiscati ai Riela, famiglia mafiosa le-gata al clan Santapaola e un tempo pro-prietaria del Riela Group, che deteneva il monopolio degli autotrasporti in Si-cilia. Belpasso: un agrumeto vasto, così vasto da sembrare sconfinato, così biso-gnoso di ritrovare i colori dei frutti maturi... E’ stata la visione degli al-beri senza frutti a darci lo slancio per scardinare il nostro personale obiettivo

al diritto di voto e scalpitano di volon-tà di affermazione della propria iden-tità, dovrei essere già in possesso di una certa consapevolezza e maturità, sono tornata alla mia realtà quotidiana di cittadina del Nord Italia con nuove pro-spettive sulla realtà che mi circonda.Le nostre egoistiche aspettative di vive-re un’esperienza che fosse significativa dal punto di vista delle relazioni inter-personali, sono state scalfite ed abbat-tute per lasciare spazio all’assunzione di una responsabilità, senza compromes-si, di rendere, con azioni concrete, “il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”... Baden Powell, fondatore dello scoutismo, ci aveva visto veramente lun-go! Ed oggi, posso affermare con certez-za di prova empirica che non c’è miglior servizio, elemento caratterizzante di uno scout, di quello che ti permette di met-terti in gioco in quanto cittadino.

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coscienza di solidarietà corresponsabi-le offrendo ed offrendosi l’opportunità di esperienze, occasioni, incontri che ci spingano ad attivarci, a conosce-re, a riflettere per poi a decidere da che parte stare. Non ci si può attivare senza consapevolezza, senza la minima idea di cosa significhi assumersi del-le responsabilità. C’è bisogno di osare il proprio futuro, la propria esisten-za, c’è bisogno di mettersi in gioco. In quanto educatore, ora voglio rivolgermi a chi, in varie forme, si ritrova a ri-coprire un ruolo simile al mio: puntiamo in alto con i nostri ragazzi, spingia-moli oltre il limite delle loro e delle nostre aspettative, affinché costrui-scano un loro percorso in quanto citta-dini responsabili ed attivi, anche se a me piace definirli attenti. Cresceremo insieme. E, insieme a noi, la realtà che ci circonda. Perciò vi lascio con una breve rifles-sione, scritta al termine di questo viaggio e che riassume la nostra volontà di non fermarci a Belpasso:

intenti ed ideali possa essere vincente contro il mostro che la mafia rappre-senta. L’ascolto del vissuto di vittime di mafia, magistrati, volontari di Libe-ra e, soprattutto, la condivisione del lavoro con i membri della cooperativa ci ha dato prova, chiara conferma, del fatto che “la società civile detiene una forza ineguagliabile nel preservare i valori della democrazia, quanto mai ne-cessari oggi che assistiamo ad una crisi della legalità che nel nostro Paese ha raggiunto livelli ormai imbarazzanti” (Don L. Ciotti). Questo è solo un picco-lo racconto di un’esperienza di vita, me ne rendo conto e mi scuso con voi let-tori se non sono stata in grado di ri-assumerlo in modo efficace o sufficien-temente accattivante o esaustivo. Vuole essere però il segno che se è vero, e lo è, che bisogna saper trasformare il pro-prio senso di solidarietà verso fatti, fenomeni e dinamiche sociali che viviamo o che semplicemente sfiorano la nostra esistenza in corresponsabilità, è altre-sì vero che è necessario sviluppare una

Siamo partiti. Un viaggio lungo, come meta una terra a noi lontana, esattamente dalla parte opposta del nostro stivale.Terra di sole, di mare, di persone iso-lane nell’anima. Terra di gelsi, terra di Magna Grecia, terra colta. Terra di grano, mandorle ed agrumi.Terra di poeti, scrittori e filosofi.Terra di vulcani, di Mezzogiorno... ter-ra di isole.Terra che lotta.Terra di terre... strappate a chi si so-stituisce allo Stato, macchiata di abusi e terrore.Terra impedita del suo domani... il no-stro domani.Terra nostra: vicina.Siamo partiti.

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per costruire e rinnovare gli stadi e le infrastrutture sportive. Per ora, finita l’euforia di giugno e luglio, i cambia-menti positivi che il Mondiale avrebbe dovuto portare faticano a mostrarsi. Spenti da appena due mesi i rifletto-ri internazionali, il Sudafrica è già alle prese con i suoi drammatici proble-mi sociali. Pochi giorni fa (l’articolo è giunto il 21/settembre, n.d.r.) si è concluso uno sciopero, che per settimane ha bloccato scuole, ospedali e servi-zi pubblici, dei lavoratori del settore pubblico, delusi dagli aumenti salaria-li troppo ridotti. E proprio in questi giorni il movimento Abahlali baseMjondo-lo, che riunisce circa 10 mila abitanti di baraccopoli fra Durban, Cape Town e alcune altre cittadine, sta promuovendo una settimana di sciopero dei baraccati per costringere il governo a rendersi conto delle condizioni di vita nei co-siddetti “insediamenti informali”. Se-condo alcune stime recenti delle Nazioni Unite, circa il 28% della popolazione urbana sudafricana vive in condizioni “informali”, e cioè in una baraccopo-

disuguaglianze. Le frotte di giornalisti, inviati e com-mentatori che si sono riversate all’e-strema punta del continente africano hanno raccontato un Sudafrica un po’ disorganizzato, ma comunque in grado di gestire il mastodontico carrozzone della FIFA World Cup. A detta di molti, questo Mondiale è stato un evento la cui rile-vanza va al di là di quella sportiva. Il governo sudafricano ha puntato mol-tissimo su questa Coppa del Mondo per riuscire a mostrarsi come un Paese afri-cano diverso dagli altri, lontano dai drammi che affliggono le altre nazioni del continente. Il risultato è ancora incerto: si vedrà se questo investimento in immagine riuscirà a riportare nelle casse dello Stato un po’ dei 33 miliar-di di rand (circa 3,5 miliardi di euro)

Il Sudafrica del 2010 sarà ricordato in Italia come il Paese in cui la naziona-le di calcio ha fatto una pessima figu-ra sportiva ai Mondiali. I mega-eventi sportivi di questo genere hanno l’in-credibile capacità di mettere un intero Paese al centro dell’attenzione inter-nazionale per qualche settimana, per poi relegarlo di nuovo nella penombra che lo avvolgeva precedentemente. È vero anche che il Sudafrica non è un Paese qualun-que. Nell’immaginario di molti europei è lo Stato africano che “ce l’ha fat-ta”, dove una lunga e brutale storia di segregazione ha lasciato il posto alla realizzazione del sogno della “nazione arcobaleno”. Ma purtroppo la realtà non è quella rappresentata nel film “Invic-tus”, dove una partita di rugby riesce a far superare sofferenze, ingiustizie e

francesco gastaldonsudafrica. oltre i mondiali?

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proteste, molte delle quali particolar-mente aggressive ed eclatanti, per il mancato o deficitario service-delivery, e cioè la fornitura di servizi di base (in particolare acqua, luce, infrastrut-ture, servizi igienici, trasporti) alle comunità e alle aree residenziali più povere.Nel panorama delle proteste degli ul-timi anni, Abahlali baseMjondolo è uno dei più rilevanti movimenti sociali di base attivo nel Sudafrica contemporaneo. Nato in alcune baraccopoli di Durban nel 2005 per iniziativa di alcuni residenti poveri della zona di Clare Estate, al momento il movimento conta circa 10.000 membri regolarmente iscritti nel 2010 distribuiti in circa quaranta insedia-menti informali sparsi fra le città di Durban, Cape Town, Howick, Eshowe, Pine-town e Pietermartizburg. Abahlali riven-dica il diritto dei poveri a vivere in città, il diritto a ricevere una casa, la fornitura di servizi fondamentali (acqua, elettricità, servizi igienici) agli insediamenti informali, il coinvol-gimento dei baraccati nelle decisioni

si è arricchita con rendite minerarie e altre attività. Il governo di Jacob Zuma, in carica dal maggio 2009, non è riuscito a gestire lo scontro fra ANC e ala sinistra della coalizione di governo e si sta muovendo senza troppa convinzione per contrasta-re la pandemia di AIDS, in un paese in cui ci sono più di 5 milioni e mezzo di persone che vivono con HIV su una po-polazione totale di circa 50 milioni. Inoltre, nonostante le illusioni ini-ziali, Zuma non è riuscito a ricompor-re il conflitto fra l’ANC, i sindacati e il South African Communist Party né ad affrontare in modo serio i malumori popolari degli strati più poveri della popolazione. Il Sudafrica non è nuovo alle proteste popolari: fra gli attori principali di queste nuove lotte ci sono le comunità delle ex township, gruppi anti-privatizzazione, organizzazioni di poveri in lotta per i servizi pubblici, contadini senza terra, occupanti abusi-vi e abitanti delle baraccopoli. Negli anni recenti, l’anno 2009 è stato carat-terizzato da un numero elevatissimo di

li, in un edificio occupato e fatiscente (come succede spesso nel centro di Johan-nesburg) oppure è senza tetto. Il sogno di una “vita migliore per tutti”, che era uno dei principali slogan dell’African National Congress (ANC) di Mandela alla fine dell’apartheid, si scontra con la dura realtà quotidiana di un Paese in cui le differenze fra neri e bianchi sono an-cora fortissime. Secondo i dati dell’OC-SE, la disuguaglianza economica nel Paese è aumentata dal 1993 ad oggi, la povertà urbana è cresciuta e secondo uno studio dell’Università di Cape Town il Sudafrica è la nazione con le più grandi disugua-glianze di reddito del mondo. Fra i ric-chi non ci sono più solo i bianchi (ere-dità del regime segregazionista) ma anche una nuova classe di neri con importanti connessioni con il mondo politico, che

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che il governo sudafricano sta attuando da molto tempo hanno subito una intensi-ficazione e trovato una giustificazione nella retorica della Coppa del Mondo.Le aree centrali delle città, in par-ticolare zone turistiche e vicine agli stadi, sono diventate “zona rossa” per i venditori di strada (un’attività che in Sudafrica dà lavoro a quasi un milio-ne di persone); a Cape Town il famige-rato campo di transito di Blikkiesdorp, una città di lamiera simile ad un campo di prigionia, è diventato la discari-ca dove la municipalità ha trasferito tutti i soggetti sgraditi, come senza tetto, bambini di strada, abitanti di baraccopoli sgomberate; nelle città in cui si sarebbero giocate le partite, le zone vicino agli impianti sportivi hanno visto salire il valore degli immobili e i proprietari hanno sfrattato gli inqui-lini (abusivi o regolari) che vivevano negli edifici. Le manifestazioni orga-nizzate per protestare contro lo sper-pero di denaro pubblico in vista della Coppa del Mondo sono state proibite o represse.

che riguardano le politiche urbane le-gate agli insediamenti. Nel maggio 2010 tre attivisti di Abahlali sono stati in Italia per incontrare movimenti, asso-ciazioni e cittadini nell’ambito della campagna “Mondiali al Contrario” orga-nizzata dal settimanale Carta insieme ai missionari comboniani di Castelvolturno e altri amici. Nel loro viaggio a bordo di un furgone, i membri del movimento hanno raccontato in varie città italiane quello che i Mondiali di calcio avreb-bero realmente significato per la popo-lazione del Sudafrica, al di là della retorica pubblicitaria.Oltre agli stadi, il governo sudafricano ha investito anche in polizia, sicurez-za, autostrade, aeroporti, linee ferro-viarie di lusso. Il Paese aveva bisogno di “far cambiare la percezione del Su-dafrica nel mondo”. Questa esigenza ha spinto le autorità a tentare di nascon-dere le contraddizioni che affliggono il paese. La triste abitudine di “ripulire” le città in vista dei mega-eventi non ha trovato nella “nazione arcobaleno” una eccezione. Le politiche “anti-poveri”

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Secondo l’arcivescovo Desmond Tutu, questo Mondiale avrebbe dovuto portare orgoglio e unità ad una nazione divisa. In realtà, pare ne abbia evidenziato con più forza le profonde contraddizioni.

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zione. In alcune realtà il tirocinio sta diventando un vero e proprio affare per gli enti o le imprese coinvolte. In particolare gli stage internazionali presentano costi proibitivi per chi vuo-le fare domanda, anche in casi di enti pubblici. Il Tirocinio Mae-Crui organiz-zato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane assieme al Ministero degli Affari Esteri, che invia studenti a lavorare per 3-4 mesi in ambasciate, consolati e rappresentanze, non prevede il minimo rimborso spese, e ovviamente nemmeno l’ombra di uno stipendio, per studenti che passano mesi all’estero. Questo tirocinio, uno dei pochi acces-sibili per chi vuole farne un’esperien-za all’estero, è strutturato in maniera nettamente classista, escludendo a pri-ori moltissimi studenti da questa pos-sibilità. Questi tirocini spesso valgono pochissimi crediti formativi come uno o due esami, anche se durano dei mesi. Dall’art. 34 della Costituzione:“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.La Repubblica rende effettivo questo di-ritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devo-no essere attribuite per concorso.”

zione. Ma, nonostante i tirocinanti, in molti casi, non si limitino ad un’atti-vità formativa e lavorino quanto persone con contratti regolari, non gli si da la dignità di lavoratori, li si consi-dera studenti e per questo non si pensa sia necessario provvedere a garantirne i diritti. La legge 196 del 1997 (scritta dal ministro di centrosinistra Treu), che regola questa categoria, stabilisce garanzie minime per i tirocinanti, li-mitandosi a tutelarli in caso di infor-tunio sul lavoro, a porre un limite di un anno per la durata dei tirocini e a porre limiti sul numero di tirocinanti in rapporto al numero di dipendenti con contratti a tempo indeterminato. La legge 196/97 in teoria prevedrebbe (all’Art.18 Par.1): “Al fine di realiz-zare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte profes-sionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, attraverso inizia-tive di tirocini pratici e stages (…)”.Ma, se per alcuni tirocini, in effetti si ha un’esperienza formativa effettiva secondo le linee illustrate, per molti altri si ha un lavoro vero e proprio, a tempo pieno (anche più di 40 ore setti-manali), senza retribuzione, senza rim-borsi spese, senza promesse di assun-

Nel diritto del lavoro italiano esistono delle categorie ben definite per gli ap-prendisti e i contratti di formazione e lavoro, o simili forme di lavoro/appren-dimento che permettono al lavoratore di fare esperienza, senza avere la stessa retribuzione di un lavoratore ordinario. Queste categorie sono tutelate, giuri-dicamente e nella pratica, con limiti agli orari, regole sulla retribuzione, sulla possibilità di eventuale assunzio-ne. I tirocinanti non sono minimamente considerati in questo ambito. Moltissimi corsi di laurea all’università prevedono tirocini obbligatori per laurearsi, ma pochissimi danno una mano agli studenti per trovarne uno decente che sia real-mente formativo. Spesso ci sono elenchi di imprese intenzionate a risparmiare un po’ senza fornire in cambio prepara-

stefano panozzotirocini e precariato.bamboccioni è ora

di organizzarsi

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re, Ministero del Lavoro e Unione Euro-pea). Da questo studio risulta che nel 2009 c’erano circa 320000 tirocinanti che lavoravano in aziende e che il 14,8% delle imprese ha ospitato tirocinanti.1 Inoltre questo studio afferma che sol-tanto l’11,6% dei tirocinanti del 2009 è stato assunto o sarà assunto al termine del tirocinio.2 È rilevante notare che, da questi dati, risulta che il Nord-Est, spesso citato come “modello” negli ultimi anni, è l’area del Paese con la percentuale più elevata di aziende che fanno uso di tirocinanti (18,6%) e so-prattutto è l’area con la percentuale più bassa di assunzione al termine del tirocinio (9,5%). Considerata l’inci-denza di questo problema è indubbiamente necessario fare qualcosa.Ma cosa fare e come agire?È estremamente difficile che un tiro-cinante si ribelli o anche banalmen-te chieda un rimborso o qualche minimo diritto. La totale assenza di promesse di assunzione, la necessità di non “bru-ciarsi” agli occhi di un possibile futu-ro datore di lavoro, o anche la speran-za di una buona lettera di referenze o infine il timore di essere considerato un piantagrane nel futuro ambiente la-vorativo, sono disincentivi sufficien-

studenti desiderosi di opportunità per farsi valere ma ovviamente le regioni più ricche avranno più risorse per con-cedere queste opportunità. I diritti de-gli studenti dovrebbero essere tutelati, semmai, in base al reddito, loro o dei loro genitori, non in base alla regione di provenienza. Si forniscono le opportunità migliori soltanto agli studenti che possono es-sere mantenuti dalla propria famiglia. Si costringono i giovani a rimanere per mesi senza diritti o retribuzione svol-gendo un lavoro spesso paragonabile, se non superiore a quello di un lavorato-re retribuito, si ritarda ancora di più l’emancipazione individuale ed il rag-giungimento dell’indipendenza dalla fa-miglia, dalla quale si deve essere man-tenuti sistematicamente per anni.Il numero di tirocinanti in Italia è certamente in crescita, anche se non è facile ottenere dati in proposito. La “Repubblica degli stagisti”, un co-nosciuto Blog che si occupa di questo tema, lamenta appunto la mancanza di dati chiari sul numero di tirocinanti degli enti pubblici. Per quanto riguar-da il settore privato, esiste uno studio del Sistema Informativo Excelsior (rea-lizzato in collaborazione da Unioncame-

Nell’attuale mercato del lavoro, in par-ticolare in determinati ambiti, il tiro-cinio è una parte integrante del percor-so di formazione e non averne svolto uno preclude molte possibilità lavorative. Molte offerte di lavoro richiedono di avere esperienza nel settore, acquisibi-le solo come tirocinanti o in posizioni analoghe. Se questo genere di “formazio-ne” è indispensabile per la carriera deve essere considerato compresa nello scopo dell’art.34 della Costituzione e, di con-seguenza, un diritto per tutti. Su questo punto è difficile ottenere dati chiari, in quanto la richiesta di “esperienza pregressa” spesso non specifica il tipo di contratto e può capitare di sentir-si dire ad un colloquio “ma lei ha fatto solo un tirocinio”.Svariati studenti ottengono finanziamen-ti per i tirocini dalla loro università o dalla loro regione. C’è da dubitare della equa ripartizione territoriale di que-sti finanziamenti. Tutte le regioni hanno

1 Rapporto Sistema Informativo Excelsior 2010 Volume 2 p.105. http://excelsior.unioncamere.net/web/Excelsior_2009_Nazionale2.pdf 2 Ibidem p.106

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Uno degli attori che si sta movendo su questo tema è il NIDIL-CGIL, il sinda-cato Nuove Identità DI Lavoro, che com-prende tirocini, co.co.co., co.co.pro. e in generale le nuove categorie di con-tratti precari. Analoghi gruppi stanno creandosi anche nella CISL e nella UIL. Ma anche questi nuovi soggetti han-no grosse difficoltà ad agire. Uno dei problemi è come organizzare i lavoratori precari, se in organismi di rappresen-tanza dei precari in generale oppure in organismi comprendenti tutti i lavora-tori, precari e non, di un settore (es. i metalmeccanici). Inoltre anche all’in-terno dei sindacati il peso dei precari è ovviamente ridotto rispetto a catego-rie più tradizionali di lavoratori, di conseguenza i problemi del precariato possono essere sottorappresentati.È necessario promuovere la sindacaliz-zazione dei precari, in particolare dei tirocinanti, in modo da condurre la lotta alla precarietà, per fare contare di più questo genere di realtà all’in-terno del sindacato stesso, per renderlo più consapevole delle problematiche più

ti per la maggior parte delle persone. Bisogna considerare inoltre che i sin-dacati stanno adattandosi adesso a rap-presentare queste nuove categorie, oc-cupandosi comunque più dei “co.co.co.” e di altre categorie di Lavoratori con la L maiuscola che non di studenti che non si iscriveranno certo in massa al sin-dacato. Un altro problema è l’esistenza di contratti di tirocinio di tipologie estremamente eterogenee, perfino all’in-terno dello stesso luogo di lavoro. Questo ostacola il crearsi di un “comune sentire” tra i tirocinanti che affronta-no in molti casi problemi diversissimi. Considerato che moltissimi stage dura-no pochi mesi, pochi ritengono che val-ga la pena di condurre una battaglia, difficile e rischiosa che difficilmente produrrà risultati in tempi brevi, si preferisce subire con la convinzione che tanto sarà per poco. Il “per poco” in molti casi è un concetto fuorviante. In certi ambiti lavorativi gli studenti e i neolaureati passano da uno stage all’al-tro per anni prima di venire assunti sul serio.

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recenti.In generale bisogna stimolare i giovani a pensare “a lungo termine”. Se è vero che mobilitarsi per migliorare le con-dizioni di un breve tirocinio può non servire a breve termine, è anche vero che moltissimi giovani passano per anni da un tirocinio all’altro e una mobi-litazione per migliorare le condizioni generali dei tirocini beneficerà, prima o poi, anche loro.

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ciale tramite le infiltrazioni mafiose” ha detto il neo presidente.“La mafia ormai è una solida realtà su tutto il versante del lago di Garda, in-filtrata com’è nelle speculazioni edi-lizie e nell’acquisizione di aziende in dissesto economico, e gestisce da anni il traffico di droga di tutta l’Euro-pa; la stessa droga che quotidianamente passa dal nostro territorio. La nostra associazione vuole essere un punto di riferimento per tutti coloro che voglio-no fare qualcosa contro quella che ormai è una pericolosa realtà quotidiana” ha concluso Calasanzio.L’inizio delle attività è previsto per la fine di settembre: è già in cantiere un grande incontro con personaggi im-portanti del mondo della Giustizia. Per tutti coloro che fossero interessati, il sito dell’associazione è www.giuseppe-epaoloborsellino.blogspot.com e l’indi-rizzo mail [email protected]

di tutte quelle vittime di mafia ormai dimenticate. Punto molto importante e più volte sottolineato durante l’assem-blea è la “stimolazione” delle altre associazioni presenti sul territorio ad occuparsi e a partecipare alla promozio-ne della cultura antimafia come elemento fondante di ogni società che vuole de-finirsi libera; a tal proposito saranno organizzate periodiche tavole rotonde e incontri con altre realtà associative vicine al tema.I dodici soci fondatori hanno eletto come presidente Benny Calasanzio, 25 enne nipote degli imprenditori Borselli-no, cui è dedicata l’associazione. Suo vice sarà invece Stefano Pippa, giovane studente di Filosofia. “La nascita di un’associazione sfacciatamente antimafia in un territorio come quello veronese è sicuramente un segnale per le persone per bene, ma anche un pessimo presagio per coloro che hanno intenzione di mas-sacrare il territorio e il tessuto so-

E’ stata costituita ieri a Verona l’As-sociazione Antimafia “Giuseppe e Paolo Borsellino, imprenditori vittime inno-centi della mafia”. Come si legge sullo statuto della neonata associazione di promozione sociale, le finalità prin-cipali sono la promozione della cultura antimafia, soprattutto tra le giovani generazioni, mettendole in guardia dal-le infiltrazioni mafiose che ormai hanno raggiunto il Veneto e la sensibilizza-zione della popolazione tramite incon-tri, convegni e conferenze con esper-ti del settore, volti ad approfondire la conoscenza diretta del fenomeno; in tal senso molta attenzione sarà dedi-cata alla valorizzazione delle storie

a veronacomunicato stampanasce la prima associazione antimafia

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G. le Sindaco Flavio Tosi,Le scrivo questa lettera aperta dopo aver meditato sui recenti fatti che hanno coinvolto, e che stanno tuttora coinvolgendo, la Lega Nord nel comune di Adro; e soprattutto dopo aver pensa-to a quello che Lei ha sostenuto, poche sere fa, durante la trasmissione “Otto e Mezzo”, in cui questo argomento è sta-to messo a tema. Le scrivo perché, in quanto cittadino veronese, vorrei ave-re dei chiarimenti su come Lei intende la vita democratica, la cui dialettica, in cui io credo fortemente, in quanto Primo Cittadino Lei ha il dovere, cre-do, di proteggere e tutelare. Ho avuto modo di ascoltare le sue parole sulla vicenda, che in parte mi hanno conforta-to: Lei sostiene che il sindaco di Adro abbia esagerato e ha assicurato che a Verona un episodio simile non accadrà. Questo mi rincuora, perché se io aves-si un figlio o una figlia in quel comu-ne, non potrei manderli a scuola fino a quando quei simboli (come tutti i sim-boli, riferibili in un modo o nell’al-tro a qualche formazione politica) non venissero tolti. E scriverei ogni giorno al Presidente della Repubblica affinché intervenisse immediatamente. Mi sento

comunicato di redazionelettera aperta al sindaco flavio tosi

Questa lettera è stata inviata in data 1/10/10 al sindaco di Verona Flavio Tosi da uno dei componenti

della redazione, su iniziativa autonoma. Con decisione unanime abbiamo deciso di pubblicarla in apertu-

ra di questo numero de “il foglio di yorick” come editoriale di redazione per esprimere la nostra preoc-

cupazione verso un fatto che, seppur sembri isolato e circoscritto, a nostro giudizio deve essere inter-

pretato come paradigmatico di un certo clima e di una certa situazione attualmente respirabile in alcune

parti d’Italia, segnatamente al nord.

Questo nostro gesto vorrebbe d’altra parte essere anche uno sprone per tutti ad utilizzare le armi demo-

cratiche- cioè a dire, in primis, il dialogo e il dibattito- per problematizzare, discutere e se il caso

confutare, le decisioni e le posizioni che i nostri rappresentanti politici assumono in particolari cir-

costanze. Riavvicinarsi alla politica è anche e soprattutto riappropriarsi del dialogo e del dialogo con

le istituzioni; è “chiedere conto”, costantemente, dei “sì” e dei “no” che i nostri rappresentanti profe-

riscono e non proferiscono; è chiedere loro di assumere e argomentare quei “sì” e quei “no”. Se la demo-

crazia non deve limitare se stessa al solo momento del voto, allora il dialogo con le istituzioni deve

essere costante e costante il dibattito attorno all’operato delle istituzioni; e se se le istituzioni

vogliono essere pienamente democratiche, e rispettare la democrazia di cui sono espressione, non possono

negare la risposta ai propri cittadini.

Ad oggi, due settimane dopo l’invio, gli interrogativi espressi in questa lettera non hanno ancora avuto

risposta. Chiediamo a tutti coloro che condividono la posizione che qui esprimiamo di inviare a loro vol-

ta questa lettera al sindaco di Verona, firmandola con il proprio nome (per copiare/incollare il testo:

http://yorickthefool.blogspot.com/2010/10/lettera-aperta-al-sindaco-flavio-tosi.html ), in modo da solle-

citarne la risposta. Se non la otterremo, questo non potrà che gettare un’ombra sulla democraticità delle

nostre istituzioni.

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dini, e che sarà di nuovo sottoposto al giudizio popolare tra qualche tempo; i cittadini valuteranno il suo operato, vicenda in questione compresa, e quindi potranno rivotarlo o meno. Questo di-scorso non prevede minimamente una tu-tela delle minoranze durante un mandato. Dice semplicemente che, se la maggioran-za della cittadinanza voterà di nuovo il sindaco in questione, questo sancirebbe automaticamente la bontà del suo opera-to. E questo discorso, in quanto citta-dino veronese, mi spaventa. Mi spaventa perché non riesco a capire perché, al-lora, Lei pensi che il sindaco di Adro abbia “esagerato”; e anche perché non mi riconosco nel Suo modo (se è effettiva-mente questo) di vedere la democrazia. Io, che sono un semplice cittadino ma che credo nei valori democratici, credo che la democrazia trovi la sua defini-zione più piena non come governo della maggioranza, ma come rispetto e tutela della minoranza da parte della maggio-ranza. Ma di questo nel Suo ragionamen-to non c’è traccia; ma allora perché il sindaco di Adro avrebbe esagerato? In base a cosa?

dunque tranquillo. Tuttavia l’ho sentita dire, prima di ammettere quello che ha ammesso (e cioè che Oscar Lancini avrebbe esagerato), che quel simbolo, in fondo, è un simbolo culturale; che “il sole delle Alpi” si incontra sui monti della nostra terra. Sebbene questo possa essere vero, non posso non ritenere questa esternazio-ne un insulto al buon senso. Tanti sim-boli politici del passato e del presente (ad esempio la svastica, ad esempio la croce celtica) sono simboli culturali; ma quando sono assunti da una fazione poli-tica diventano simboli politici, e quando sono usati da un sindaco leghista, essi sono usati in senso politico. Come citta-dino veronese, mi sono sentito preso in giro da questa Sua precisazione, chiara-mente demagogica e artificiosamente sem-plificatrice. Ma Lei stesso sa che questa distinzione tra simbolo culturale e po-litico esiste, come implicitamente la sua ammissione successiva che il sindaco di Adro avrebbe “esagerato” lascia in qual-che modo intendere. C’è un’altra cosa che però mi lascia per-plesso. Lei ha sostenuto che il sindaco in questione è stato eletto dai citta-

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Credo di avere diritto a un Suo chiari-mento su questo punto, perché un Cit-tadino ha il diritto di sapere che cosa può aspettarsi, e perché, dal suo Primo Cittadino, che è la sua prima garanzia. Se Lei crede, come me, che l’esposizio-ne di un simbolo politico in un ambiente pubblico sia una violenza alla neutrali-tà dell’educazione, e un sopruso per la minoranza che nel simbolo non si ricono-sce, mi piacerebbe che lo rendesse noto. Che lo dicesse, a me e a tutti i miei concittadini. E che, di conseguenza, facesse qualcosa perché la situazione si sblocchi. Ogni silenzio non è in fondo una implicita connivenza?

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stefano panozzo

laura battistella

francesco gastaldon

gracco spaziani

alessandra garda

simone valerio

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