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ANNO XXIII NUMERO 175 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2018 LA GIUSTIZIA E IN OSTAGGIO Utilizzare il diritto penale come uno strumento contro i nemici sociali è una tentazione ricorrente. Legittima difesa e carcere. Contro lo tsunami della demagogia giudiziaria di Giovanni Fiandaca Alfonso Bonafede, nato a Mazara del Vallo il 2 luglio 1976, è il ministro della Giustizia del governo Conte (foto LaPresse) Prima di guardare a singoli temi, è il ca- so di soffermarsi proprio su questa ispira- zione di fondo che a dire il vero seguita ad emergere, anche implicitamente, dagli in- terventi e dalle interviste di esponenti del- larea di governo perché essa è in grado di condizionare il modo di legiferare in rela- zione alle varie questioni che saranno di volta in volta affrontate. In poche parole, ed estremizzando, limpressione è in sinte- si questa: che i nuovi governanti tendano a concepire la legge penale e la pena come armi per combattere i nemici del popolo, identificati come tali alla stregua delle at- tuali ideologie populiste e in base alle logi- che di una persistente campagna elettorale che strumentalizza le paure e i sentimenti di insicurezza (a torto o a ragione) diffusi nella popolazione. Lo ha ben visto, con sen- sibilità da politologo, Angelo Panebianco in un recente articolo sul Corriere (ed. 15 luglio). Come giurista, rilevo che la propen- sione a utilizzare il diritto penale come uno strumento di guerra contro nemici sociali di turno, esasperando il rigore punitivo a discapito dei principi del garantismo libe- rale, costituisce una tentazione storica- mente ricorrente. Specie quando nuove forze al potere ambiscono (almeno a livello propagandistico) a realizzare cambiamenti politici radicali insieme a presunte rivolu- zioni morali collettive. Questa funzionaliz- zazione politica in chiave populista ha rag- giunto punte estreme, ad esempio, nel caso del diritto penale della Germania nazista (che assunse il sano sentimento del popo- loa criterio ultimo della punibilità) e in quello del diritto penale della Russia so- vietica (che elevò a criterio decisivo del pu- nibile gli interessi del proletariato inter- pretati alla luce della coscienza rivoluzio- naria). Certo, lattuale compagine governa- tiva è lontana da simili estremismi, ma preoccupa comunque e non poco che es- sa sembri replicare il vizio autoritario di selezionare soggetti pericolosi da bandire dalla società in quanto nemici che attenta- no alla sicurezza del popolo sano (questa volta immigrati da allontanare e crimina- lizzare, Rom da sgomberare, ladri e rapina- tori da neutralizzare con una legittima di- fesasenza limiti, pene draconiane insie- me a Daspo e agenti sotto copertura per i corrotti; e, più in generale, riaffermazione del primato e irrigidimento della pena de- tentiva, con eliminazione o riduzione dello spazio delle misure alternative, ecc.). In realtà, in una democrazia costituziona- le come la nostra, è in linea di principio con- testabile che le scelte di politica penale (in quanto incidenti in senso limitativo sulle li- bertà fondamentali costituzionalmente rile- vanti) possano desumere la loro ragione giu- stificatrice, in termini razionali e valoriali, dalla mera volontà della maggioranza. A maggior ragione, quando come sta acca- dendo in Italia le forze di maggioranza van- no guadagnando consenso, mentre lopposi - zione appare sempre più debole. Chi ha oggi la forza di difendere nel dibattito pubblico, e allinterno della discussione parlamenta- re, le ragioni del garantismo penale così co- me trasfusi in un insieme di noti principi co- stituzionali che dovrebbero in teoria funge- re da barriere allo strapotere di una maggio- ranza legiferante? Non a caso, gran parte della riflessione sviluppata dagli studiosi di diritto penale nel corso degli ultimi decenni si è incentrata proprio sui vincoli e i limiti, che la Costituzione oppone alla discreziona- lità del legislatore parlamentare al momen- to di decidere che cosa punire e come puni- re. Vincoli e limiti, al cui rispetto ha dato un contributo notevole anche la giurispruden- za della Corte costituzionale, e sui quali la elaborazione scientifica mantiene ancora cantieri aperti (si veda, ad esempio, il recen- te scritto del tedesco Thomas Vormbaum, dove si spiegano i motivi per prevedere co- stituzionalmente una maggioranza qualifi- cata per creare o modificare norme penali). Di tutto ciò dovrebbero essere in qualche modo consapevoli anche Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede, proprio perché (seppure a livelli diversi di gerarchia accademica) studiosi di diritto, prima ancora che pre- mier e guardasigilli. A meno che, una volta assunto il ruolo di governanti, essi non ab- biano voltato le spalle alla loro formazione di provenienza. Sarebbe tranquillizzante poter confidare nel contrario. Ma un qual- che sospetto non parrebbe azzardato, con- siderando ad esempio che non hanno af- fatto brillato per profondità di pensiero e competenza tecnica gli argomenti utiliz- zati dallo stesso nuovo Ministro per con- trastare la riforma carceraria elaborata dal precedente governo a guida Pd. La cri- tica alla riforma si è avvalsa infatti di slo- gan e di formulette del tipo cè lesigenza di far stare insieme la rieducazione e la certezza della pena, oppure la rieduca- zione deve essere perseguita col lavoro carcerariopiuttosto che con le misure al- ternative. Affermazioni di questo genere, se appaiono prive di seria consapevolezza criminologica, risultano però politica- mente redditizie perché assai gradite al popolo: il messaggio di un carcere tutto da scontare, senza misure alternative da eseguire nel mondo esterno, soddisfa pul- sioni punitive e bisogni di sicurezza oggi emotivamente diffusi ancor più che in pas- sato. Ed è questo ciò che politicamente con- ta davvero per il guardasigilli di un governo come quello in carica (anche se il Bonafede dei tempi dellapprendistato universitario si sarà, quasi sicuramente, imbattuto in qualche testo didattico o scientifico che spiega perché il carcere così come lo cono- sciamo, nella maggior parte dei casi, disedu- ca ulteriormente più di quanto non riedu- chi!). E che dire della riforma, che sembra dav- vero incombere, della legittima difesa? Gli argomenti spesi per giustificarla hanno in- vero ancor minore dignità di quelli impie- gati per affossare la riforma penitenziaria. Einfatti unautentica bufala, una mistifi- cazione propagandistica, far credere ai cit- tadini che si possa realizzare una modifica legislativa che esenti da indagini e accer- tamenti giudiziali anche approfonditi co- lui il quale uccide o ferisce qualcuno allo scopo di difendersi da unaggressione: se tali accertamenti sono inevitabili persino nel caso delluccisione di un cane (per ve- rificare il delitto di uccisione di animali), non si vede come legittimamente prescin- derne nel caso ben più grave delluccisio - ne di un uomo (per verificare se tale ucci- sione sia stata veramente giustificata dalla necessità di difendersi, o sia stata ad esem- pio motivata da una esigenza difensiva sol- tanto apparente dietro la quale si nascon- de in effetti una intenzione criminosa, o da una reazione manifestamente eccessiva che trascende la necessità di autodifesa ecc.). E, altresì, impensabile riscrivere listitu - to della legittima difesa, eliminando dai suoi presupposti il requisito della propor - zionetra aggressione e reazione difensiva. Come ben si rileva nella recente (e preoccu- pata) presa di posizione dell’“Associazione italiana dei professori di diritto penale, il requisito della proporzione è in ogni caso implicito nello stesso concetto di necessi- di difendersi: una difesa manifesta- mente sproporzionata cesserebbe di es- sere difesa e assumerebbe i contenuti di unoffesa. In una democrazia rispettosa di principi di consolidata civiltà giuridica, e del rango prioritario che ai beni della vi- ta e dellintegrità personale (degli stessi delinquenti!) è riconosciuto in una Costi- tuzione come la nostra, nessuna maggio- ranza parlamentare è autorizzata ad assu- mere la sicurezza dei cittadini a fonda- mento giustificativo di una trasformazione della legittima difesa in un diritto di dife- sa svincolato da limiti invalicabili, come se si trattasse di una incondizionata licen- za di uccidere. Una eventuale riforma in questo senso sarebbe sicuramente illegit- tima, per violazione di principi costituzio- nali, sovranazionali e internazionali, e co- me tale sarebbe destinata a essere cassata dalle Corti competenti. Diverso sarebbe il discorso se, fuori da slogan illusori e fuorvianti, lobiettivo ri- formistico fosse quello di migliorare la at- tuale formulazione dellart. 52 del codice penale, in modo da consentire prima ai cit- tadini e poi alla magistratura di individua- re con maggiore certezza gli spazi di una autodifesa legittima. E, in aggiunta, si po- trebbe eventualmente valutare lopportu- nità di una ragionevole integrazione della disciplina vigente, nel senso ad esempio di prevedere espressamente la non puni- bilità di possibili eccessi difensivi dovuti a grave turbamento psichico. Ma, proprio per agevolare il compito di introdurre mo- difiche davvero migliorative, scongiuran- do il rischio di inammissibili stravolgi- menti o di soluzioni pasticciate, è auspica- bile che i lavori di riforma non siano affi- dati soltanto alla fabbrica politica. Il nuovo guardasigilli, che certo non disde- gna il mondo accademico, chiami in soc- corso qualificati rappresentanti della scienza penalistica e li incarichi di parte- cipare alla riscrittura dellart. 52. Evero che le due ideologie populiste, gialla e verde, dovrebbero mostrare una diffiden- za di principio anche verso il ceto profes- sorale. Ma una cosa è la propaganda ideo- logica, altra cosa è passare dalla propa- ganda alla gestione del lavoro governativo e legislativo. Come la stessa formazione di questo governo paradossalmente dimo- stra, i professori servono e servono più di prima. I rischi del populismo giudiziario si possono raccontare con le derive anti garantiste della Germania nazista e della Russia sovietica Non hanno brillato per profondità e competenza gli argomenti utilizzati da Bonafede e Conte contro la riforma carceraria Una trasformazione della legittima difesa in un diritto di difesa svincolato da limiti invalicabili è una bufala che deve essere smascherata Il Guardasigilli chiami qualificati rappresentanti della scienza penalistica e li incarichi di riscrivere l art. 52, sulla legittima difesa La Consulta conferma il divieto per i magistrati di iscriversi ai partiti. Che fa Emiliano? Roma. La Corte costituzionale si è espressa venerdì scorso, con la sentenza n. 170, sulla questione di legittimità solle- vata dal Consiglio superiore della magi- stratura sulle norme che vietano liscri - zione e la partecipazione sistematica e continuativa dei magistrati ai partiti poli- tici. La richiesta era stata avanzata nel- lambito del procedimento disciplinare a cui è sottoposto dinnanzi al Csm il gover- natore della Puglia, Michele Emiliano, magistrato che negli ultimi 14 anni ha ri- coperto innumerevoli incarichi elettivi e ruoli dirigenziali nel Partito democratico (giungendo persino a candidarsi alla se- greteria nazionale). Nella sentenza i giudici costituzionali hanno affermato che il divieto di iscrizio- ne dei magistrati ai partiti politici (stabi- lito dal decreto legislativo 109 del 2006) è legittimo. La Consulta, da un lato, ha sta- bilito che i magistrati possono candidarsi a ricoprire cariche politiche ed essere eletti (essendo questo un diritto costitu- zionale fondamentale che va garantito a tutti i cittadini) ma, dallaltro lato, ha ri- badito che è legittimo prevedere sanzioni disciplinari nei confronti delle toghe che si iscrivono a partiti o partecipano in ma- niera sistematica e continuativa alla loro attività, poiché va preservato il signifi- cato dei princìpi di indipendenza e im- parzialità, nonché della loro apparenza, quali requisiti essenziali che caratteriz- zano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica(tanto più ha notato la Corte in un contesto normativo che consente al magistrato di tornare alla giurisdizione, in caso di mancata elezione oppure al termine del mandato elettivo). I giudici costituzionali si sono detti consapevoli del fatto che la rappresen- tanza politica, secondo quanto previsto dalla stessa Costituzione, si realizza pro- prio attraverso il sistema dei partiti e che nessun cittadino, nemmeno il cittadino- magistrato, si candida da solo, dato che la candidatura presuppone necessaria- mente un collegamento con i partiti poli- tici. Tuttavia, ciò non rende automatica- mente lecito per il magistrato iscriversi a un partito o partecipare stabilmente alla sua attività: Come del resto qualunque cittadino hanno sentenziato i giudici anche (e a maggior ragione) il magistrato ben può, ad esempio, svolgere una cam- pagna elettorale o compiere atti tipici del suo mandato o incarico politico senza necessariamente assumere, al contempo, tutti quei vincoli (a partire dallo stabile schieramento che liscrizione testimonia) che normalmente discendono dalla par- tecipazione organica alla vita di un parti- to politico. Spetta al Csm decidere, di fronte al caso specifico, di volta in volta, se i confini tra la partecipazione alla vita politica e quella alla vita di partito sono stati superati dal magistrato. I legali di Emiliano hanno commentato positivamente la sentenza affermando che questa si sarebbe spinta a stabilire il principio per il quale la vita di partito può appartenere anche ai magistrati, purché sia ragionevolmente proporzio- nale al ruolo istituzionale politico che il magistrato ricopre. In realtà, i giudici costituzionali sembrano piuttosto aver stabilito che la vicinanza di un magistra- to a un partito (necessaria per candidar- si) non deve mai trasformarsi in una sua partecipazione sistematica alla vita del partito stesso. Cosa che invece sembra essere accaduta nel caso di Emiliano, che durante il suo mandato prima di sindaco di Bari (dal 2004 al 2014) e poi di presi- dente della regione Puglia (dal 2015) ha anche ricoperto gli incarichi di segreta- rio regionale e presidente regionale del Pd in Puglia, per poi candidarsi nel 2017 anche alle primarie per lelezione del se- gretario nazionale del partito. Di fronte a questo curriculum, quindi, è probabile che il Csm, che ora riprende- rà il procedimento a carico di Emiliano, possa decidere di sanzionare il magistra- to-governatore con un provvedimento leggero (come lammonimento o la censu- ra) o un atto più severo (come la perdita dellanzianità, che paradossalmente Emiliano sta continuando a maturare, o la sospensione dalle funzioni). Quale che sarà lesito del procedimen- to disciplinare, il caso Emiliano (e la stessa pronuncia della Consulta) ci ricor- dano ancora una volta come sia necessa- rio un intervento legislativo del Parla- mento per limitare il via-vai delle toghe in politica, a tutela dei principi di im- parzialità e indipendenza della magi- stratura. Nel 2014, durante la scorsa legislatura, il Senato era riuscito ad approvare un disegno di legge che riformava in manie- ra incisiva le norme sulla candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magi- strati. Il testo passò poi alla Camera, dove rimase fermo per tre anni in commissio- ne Giustizia, presieduta da Donatella Ferranti, magistrato eletto nelle liste del Pd ed emblema del vulnus rappresentato dalle porte girevoli tra aule di giustizia e politica (dopo dieci anni in politica, lo scorso marzo Ferranti è tornata in magi- stratura, per indossare la toga di giudice supremo di Cassazione). Dopo un lungo travaglio, la riforma venne approvata an- che dalla Camera ma con contenuti total- mente stravolti e annacquati”– rispet - to al testo originario. La fine della legi- slatura, ad ogni modo, ha impedito lap - provazione definitiva del ddl. Di recente, a prospettare un intervento di riforma è stato incredibilmente il neo- ministro della Giustizia, il grillino Alfon- so Bonafede. In ossequio al credo giusti- zialista del Movimento 5 stelle, in Bona- fede non si è sopita la convinzione che la magistratura debba svolgere un ruolo di supplenza nei confronti della politica (Un magistrato ha un bagaglio di espe- rienza e competenza molto importante che può decidere, dedicandosi alla poli- tica, di mettere al servizio della colletti- vità, ha scandito il Guardasigilli durante la seduta straordinaria al plenum del Csm un mese fa), ma è perlomeno balzata alla sua mente lidea che far rientrare, dopo unesperienza politica, un magistra- to nel proprio ruolo non sia proprio il massimo del rispetto dei principi costitu- zionali. Così, Bonafede ha annunciato che la maggioranza di governo intende impedire, per legge, che un magistrato che abbia svolto incarichi politici elettivi possa tornare a svolgere il ruolo di magi- strato requirente o giudicante, e questo perché lassunzione di un ruolo politico compromette irrimediabilmente la sua immagine di giudice terzo. Il governo gialloverde, dunque, potreb- be decidere di intervenire quantomeno per disciplinare (limitare) la via di ritor- no dei magistrati-politici nelle aule di giustizia. Tanto più se si pensa che in favore della riforma si è espresso recen- temente anche lex pm di Mani pulite, da poco eletto consigliere in Csm, Pierca- millo Davigo, che sulla questione è dra- stico: I magistrati non dovrebbero fare politica. Non per legge, ma per una scelta etica personale. Bene, benissimo. An- che se dimentica, Davigo, che letica do- vrebbe imporre ai magistrati anche di non sconfinare i propri ambiti interve- nendo continuamente nel dibattito pub- blico e giudicando nel merito le iniziati- ve della politica. Ma questa è unaltra sto- ria. Ermes Antonucci (segue dalla prima pagina)

IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2018 LA GIUSTIZIA E ... · si questa: che i nuovi governanti tendano a concepire la legge penale e la pena come armi per combattere i nemici

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ANNO XXIII NUMERO 175 - PAG IV IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 26 LUGLIO 2018

LA GIUSTIZIA E’ IN OSTAGGIOUtilizzare il diritto penale come uno strumento contro i nemici sociali è una tentazionericorrente. Legittima difesa e carcere. Contro lo tsunami della demagogia giudiziaria

di Giovanni Fiandaca

Alfonso Bonafede, nato a Mazara del Vallo il 2 luglio 1976, è il ministro della Giustizia del governo Conte (foto LaPresse)

Prima di guardare a singoli temi, è il ca-so di soffermarsi proprio su questa ispira-zione di fondo – che a dire il vero seguita ademergere, anche implicitamente, dagli in-terventi e dalle interviste di esponenti del-l’area di governo – perché essa è in grado dicondizionare il modo di legiferare in rela-zione alle varie questioni che saranno divolta in volta affrontate. In poche parole,ed estremizzando, l’impressione è in sinte-si questa: che i nuovi governanti tendano aconcepire la legge penale e la pena comearmi per combattere i nemici del popolo,identificati come tali alla stregua delle at-tuali ideologie populiste e in base alle logi-che di una persistente campagna elettoraleche strumentalizza le paure e i sentimentidi insicurezza (a torto o a ragione) diffusinella popolazione. Lo ha ben visto, con sen-sibilità da politologo, Angelo Panebiancoin un recente articolo sul Corriere (ed. 15luglio). Come giurista, rilevo che la propen-sione a utilizzare il diritto penale come unostrumento di guerra contro nemici sociali

di turno, esasperando il rigore punitivo adiscapito dei principi del garantismo libe-rale, costituisce una tentazione storica-mente ricorrente. Specie quando nuoveforze al potere ambiscono (almeno a livellopropagandistico) a realizzare cambiamentipolitici radicali insieme a presunte rivolu-zioni morali collettive. Questa funzionaliz-zazione politica in chiave populista ha rag-giunto punte estreme, ad esempio, nel casodel diritto penale della Germania nazista(che assunse il “sano sentimento del popo-lo” a criterio ultimo della punibilità) e inquello del diritto penale della Russia so-vietica (che elevò a criterio decisivo del pu-nibile gli interessi del proletariato inter-pretati alla luce della coscienza rivoluzio-naria). Certo, l’attuale compagine governa-tiva è lontana da simili estremismi, mapreoccupa comunque – e non poco – che es-sa sembri replicare il vizio autoritario diselezionare soggetti pericolosi da bandiredalla società in quanto nemici che attenta-no alla sicurezza del popolo sano (questavolta immigrati da allontanare e crimina-lizzare, Rom da sgomberare, ladri e rapina-tori da neutralizzare con una “legittima di-fesa” senza limiti, pene draconiane insie-me a Daspo e agenti sotto copertura per icorrotti; e, più in generale, riaffermazionedel primato e irrigidimento della pena de-tentiva, con eliminazione o riduzione dellospazio delle misure alternative, ecc.).

In realtà, in una democrazia costituziona-le come la nostra, è in linea di principio con-testabile che le scelte di politica penale (inquanto incidenti in senso limitativo sulle li-bertà fondamentali costituzionalmente rile-vanti) possano desumere la loro ragione giu-stificatrice, in termini razionali e valoriali,dalla mera volontà della maggioranza. Amaggior ragione, quando – come sta acca-dendo in Italia – le forze di maggioranza van-no guadagnando consenso, mentre l’opposi -zione appare sempre più debole. Chi ha oggila forza di difendere nel dibattito pubblico,e all’interno della discussione parlamenta-re, le ragioni del garantismo penale così co-me trasfusi in un insieme di noti principi co-stituzionali che dovrebbero in teoria funge-re da barriere allo strapotere di una maggio-ranza legiferante? Non a caso, gran partedella riflessione sviluppata dagli studiosi didiritto penale nel corso degli ultimi decennisi è incentrata proprio sui vincoli e i limiti,che la Costituzione oppone alla discreziona-lità del legislatore parlamentare al momen-to di decidere che cosa punire e come puni-re. Vincoli e limiti, al cui rispetto ha dato uncontributo notevole anche la giurispruden-za della Corte costituzionale, e sui quali laelaborazione scientifica mantiene ancoracantieri aperti (si veda, ad esempio, il recen-te scritto del tedesco Thomas Vormbaum,dove si spiegano i motivi per prevedere co-stituzionalmente una maggioranza qualifi-cata per creare o modificare norme penali).

Di tutto ciò dovrebbero essere in qualche

modo consapevoli anche Giuseppe Conte eAlfonso Bonafede, proprio perché (seppurea livelli diversi di gerarchia accademica)studiosi di diritto, prima ancora che pre-mier e guardasigilli. A meno che, una voltaassunto il ruolo di governanti, essi non ab-biano voltato le spalle alla loro formazionedi provenienza. Sarebbe tranquillizzantepoter confidare nel contrario. Ma un qual-

che sospetto non parrebbe azzardato, con-siderando ad esempio che non hanno af-fatto brillato per profondità di pensiero ecompetenza tecnica gli argomenti utiliz-zati dallo stesso nuovo Ministro per con-trastare la riforma carceraria elaboratadal precedente governo a guida Pd. La cri-tica alla riforma si è avvalsa infatti di slo-gan e di formulette del tipo “c’è l’esigenza

di far stare insieme la rieducazione e lacertezza della pena”, oppure la “r i e d u c a-zione deve essere perseguita col lavorocarcerario” piuttosto che con le misure al-ternative. Affermazioni di questo genere,se appaiono prive di seria consapevolezzacriminologica, risultano però politica-mente redditizie perché assai “gradite alpopolo”: il messaggio di un carcere tutto

da scontare, senza misure alternative daeseguire nel mondo esterno, soddisfa pul-sioni punitive e bisogni di sicurezza oggiemotivamente diffusi ancor più che in pas-sato. Ed è questo ciò che politicamente con-ta davvero per il guardasigilli di un governocome quello in carica (anche se il Bonafededei tempi dell’apprendistato universitariosi sarà, quasi sicuramente, imbattuto in

qualche testo didattico o scientifico chespiega perché il carcere così come lo cono-sciamo, nella maggior parte dei casi, disedu-ca ulteriormente più di quanto non riedu-chi!).

E che dire della riforma, che sembra dav-vero incombere, della legittima difesa? Gliargomenti spesi per giustificarla hanno in-vero ancor minore dignità di quelli impie-gati per affossare la riforma penitenziaria.E’ infatti un’autentica bufala, una mistifi-cazione propagandistica, far credere ai cit-tadini che si possa realizzare una modificalegislativa che esenti da indagini e accer-tamenti giudiziali anche approfonditi co-lui il quale uccide o ferisce qualcuno alloscopo di difendersi da un’aggressione: setali accertamenti sono inevitabili persinonel caso dell’uccisione di un cane (per ve-rificare il delitto di uccisione di animali),non si vede come legittimamente prescin-derne nel caso ben più grave dell’uccisio -ne di un uomo (per verificare se tale ucci-sione sia stata veramente giustificata dallanecessità di difendersi, o sia stata ad esem-pio motivata da una esigenza difensiva sol-tanto apparente dietro la quale si nascon-de in effetti una intenzione criminosa, o da

una reazione manifestamente eccessivache trascende la necessità di autodifesaecc.).

E’, altresì, impensabile riscrivere l’istitu -to della legittima difesa, eliminando daisuoi presupposti il requisito della “propor -zione” tra aggressione e reazione difensiva.Come ben si rileva nella recente (e preoccu-pata) presa di posizione dell’“Associazioneitaliana dei professori di diritto penale”, ilrequisito della proporzione è in ogni casoimplicito nello stesso concetto di “n e c e s s i-tà” di difendersi: una difesa manifesta-mente “sproporzionata cesserebbe di es-sere difesa e assumerebbe i contenuti diun’offesa”. In una democrazia rispettosadi principi di consolidata civiltà giuridica,e del rango prioritario che ai beni della vi-ta e dell’integrità personale (degli stessidelinquenti!) è riconosciuto in una Costi-tuzione come la nostra, nessuna maggio-ranza parlamentare è autorizzata ad assu-mere la sicurezza dei cittadini a fonda-mento giustificativo di una trasformazionedella legittima difesa in un diritto di dife-sa svincolato da limiti invalicabili, comese si trattasse di una incondizionata licen-za di uccidere. Una eventuale riforma inquesto senso sarebbe sicuramente illegit-tima, per violazione di principi costituzio-nali, sovranazionali e internazionali, e co-me tale sarebbe destinata a essere cassatadalle Corti competenti.

Diverso sarebbe il discorso se, fuori daslogan illusori e fuorvianti, l’obiettivo ri-formistico fosse quello di migliorare la at-tuale formulazione dell’art. 52 del codicepenale, in modo da consentire prima ai cit-tadini e poi alla magistratura di individua-re con maggiore certezza gli spazi di unaautodifesa legittima. E, in aggiunta, si po-trebbe eventualmente valutare l’o p p o r t u-nità di una ragionevole integrazione delladisciplina vigente, nel senso ad esempiodi prevedere espressamente la non puni-bilità di possibili eccessi difensivi dovutia grave turbamento psichico. Ma, proprioper agevolare il compito di introdurre mo-difiche davvero migliorative, scongiuran-do il rischio di inammissibili stravolgi-menti o di soluzioni pasticciate, è auspica-bile che i lavori di riforma non siano affi-dati soltanto alla fabbrica politica. Ilnuovo guardasigilli, che certo non disde-gna il mondo accademico, chiami in soc-corso qualificati rappresentanti dellascienza penalistica e li incarichi di parte-cipare alla riscrittura dell’art. 52. E’ veroche le due ideologie populiste, gialla everde, dovrebbero mostrare una diffiden-za di principio anche verso il ceto profes-sorale. Ma una cosa è la propaganda ideo-logica, altra cosa è passare dalla propa-ganda alla gestione del lavoro governativoe legislativo. Come la stessa formazione diquesto governo paradossalmente dimo-stra, i professori servono e servono più diprima.

I rischi del populismo giudiziariosi possono raccontare con le deriveanti garantiste della Germanianazista e della Russia sovietica

Non hanno br i l la to perprofondità e competenza gliargomenti utilizzati da Bonafede eConte contro la riforma carceraria

Una trasformazione dellalegittima difesa in un diritto di difesasvincolato da limiti invalicabili è unabufala che deve essere smascherata

Il Guardasigilli chiami qualificatirappresentanti della scienzapenalistica e li incarichi di riscriverel’art. 52, sulla legittima difesa

La Consulta conferma il divieto per i magistrati di iscriversi ai partiti. Che fa Emiliano?Roma. La Corte costituzionale si è

espressa venerdì scorso, con la sentenzan. 170, sulla questione di legittimità solle-vata dal Consiglio superiore della magi-stratura sulle norme che vietano l’iscri -zione e la partecipazione sistematica econtinuativa dei magistrati ai partiti poli-tici. La richiesta era stata avanzata nel-l’ambito del procedimento disciplinare acui è sottoposto dinnanzi al Csm il gover-natore della Puglia, Michele Emiliano,magistrato che negli ultimi 14 anni ha ri-coperto innumerevoli incarichi elettivi eruoli dirigenziali nel Partito democratico(giungendo persino a candidarsi alla se-greteria nazionale).

Nella sentenza i giudici costituzionalihanno affermato che il divieto di iscrizio-ne dei magistrati ai partiti politici (stabi-lito dal decreto legislativo 109 del 2006) èlegittimo. La Consulta, da un lato, ha sta-bilito che i magistrati possono candidarsia ricoprire cariche politiche ed essereeletti (essendo questo un diritto costitu-zionale fondamentale che va garantito atutti i cittadini) ma, dall’altro lato, ha ri-badito che è legittimo prevedere sanzionidisciplinari nei confronti delle toghe chesi iscrivono a partiti o partecipano in ma-niera sistematica e continuativa alla loroattività, poiché “va preservato il signifi-cato dei princìpi di indipendenza e im-parzialità, nonché della loro apparenza,quali requisiti essenziali che caratteriz-zano la figura del magistrato in ogniaspetto della sua vita pubblica” (tantopiù – ha notato la Corte – in un “contestonormativo che consente al magistrato ditornare alla giurisdizione, in caso dimancata elezione oppure al termine delmandato elettivo”).

I giudici costituzionali si sono detticonsapevoli del fatto che la rappresen-tanza politica, secondo quanto previstodalla stessa Costituzione, si realizza pro-

prio attraverso il sistema dei partiti e chenessun cittadino, nemmeno il cittadino-magistrato, si candida “da solo”, dato chela candidatura presuppone necessaria-mente un collegamento con i partiti poli-tici. Tuttavia, ciò non rende automatica-mente lecito per il magistrato iscriversi aun partito o partecipare stabilmente allasua attività: “Come del resto qualunquecittadino – hanno sentenziato i giudici –anche (e a maggior ragione) il magistratoben può, ad esempio, svolgere una cam-pagna elettorale o compiere atti tipicidel suo mandato o incarico politico senzanecessariamente assumere, al contempo,tutti quei vincoli (a partire dallo stabileschieramento che l’iscrizione testimonia)che normalmente discendono dalla par-tecipazione organica alla vita di un parti-to politico”. Spetta al Csm decidere, difronte al caso specifico, di volta in volta,se i confini tra la partecipazione alla vitapolitica e quella alla vita di partito sonostati superati dal magistrato.

I legali di Emiliano hanno commentatopositivamente la sentenza affermandoche questa si sarebbe spinta a stabilire ilprincipio per il quale “la vita di partitopuò appartenere anche ai magistrati,purché sia ragionevolmente proporzio-nale al ruolo istituzionale politico che ilmagistrato ricopre”. In realtà, i giudicicostituzionali sembrano piuttosto averstabilito che la vicinanza di un magistra-to a un partito (necessaria per candidar-si) non deve mai trasformarsi in una suapartecipazione sistematica alla vita delpartito stesso. Cosa che invece sembraessere accaduta nel caso di Emiliano, chedurante il suo mandato prima di sindacodi Bari (dal 2004 al 2014) e poi di presi-dente della regione Puglia (dal 2015) haanche ricoperto gli incarichi di segreta-rio regionale e presidente regionale delPd in Puglia, per poi candidarsi nel 2017

anche alle primarie per l’elezione del se-gretario nazionale del partito.

Di fronte a questo curriculum, quindi,è probabile che il Csm, che ora riprende-rà il procedimento a carico di Emiliano,possa decidere di sanzionare il magistra-to-governatore con un provvedimentoleggero (come l’ammonimento o la censu-ra) o un atto più severo (come la perditadell’anzianità, che paradossalmenteEmiliano sta continuando a maturare, ola sospensione dalle funzioni).

Quale che sarà l’esito del procedimen-to disciplinare, il caso Emiliano (e lastessa pronuncia della Consulta) ci ricor-dano ancora una volta come sia necessa-rio un intervento legislativo del Parla-mento per limitare il via-vai delle toghein politica, a tutela dei principi di im-parzialità e indipendenza della magi-stratura.

Nel 2014, durante la scorsa legislatura,il Senato era riuscito ad approvare undisegno di legge che riformava in manie-ra incisiva le norme sulla candidabilità,eleggibilità e ricollocamento dei magi-strati. Il testo passò poi alla Camera, doverimase fermo per tre anni in commissio-ne Giustizia, presieduta da DonatellaFerranti, magistrato eletto nelle liste delPd ed emblema del vulnus rappresentatodalle porte girevoli tra aule di giustizia epolitica (dopo dieci anni in politica, loscorso marzo Ferranti è tornata in magi-stratura, per indossare la toga di giudicesupremo di Cassazione). Dopo un lungotravaglio, la riforma venne approvata an-che dalla Camera ma con contenuti total-mente stravolti – e “annacquati” – rispet -to al testo originario. La fine della legi-slatura, ad ogni modo, ha impedito l’ap -provazione definitiva del ddl.

Di recente, a prospettare un interventodi riforma è stato incredibilmente il neo-ministro della Giustizia, il grillino Alfon-

so Bonafede. In ossequio al credo giusti-zialista del Movimento 5 stelle, in Bona-fede non si è sopita la convinzione che lamagistratura debba svolgere un ruolo disupplenza nei confronti della politica(“Un magistrato ha un bagaglio di espe-rienza e competenza molto importanteche può decidere, dedicandosi alla poli-tica, di mettere al servizio della colletti-vità”, ha scandito il Guardasigilli durantela seduta straordinaria al plenum delCsm un mese fa), ma è perlomeno balzataalla sua mente l’idea che far rientrare,dopo un’esperienza politica, un magistra-to nel proprio ruolo non sia proprio ilmassimo del rispetto dei principi costitu-zionali. Così, Bonafede ha annunciatoche la maggioranza di governo intende“impedire, per legge, che un magistratoche abbia svolto incarichi politici elettivipossa tornare a svolgere il ruolo di magi-strato requirente o giudicante”, e questoperché “l’assunzione di un ruolo politicocompromette irrimediabilmente la suaimmagine di giudice terzo”.

Il governo gialloverde, dunque, potreb-be decidere di intervenire quantomenoper disciplinare (limitare) la via di ritor-no dei magistrati-politici nelle aule digiustizia. Tanto più se si pensa che infavore della riforma si è espresso recen-temente anche l’ex pm di Mani pulite, dapoco eletto consigliere in Csm, Pierca-millo Davigo, che sulla questione è dra-stico: “I magistrati non dovrebbero farepolitica. Non per legge, ma per una sceltaetica personale”. Bene, benissimo. An-che se dimentica, Davigo, che l’etica do-vrebbe imporre ai magistrati anche dinon sconfinare i propri ambiti interve-nendo continuamente nel dibattito pub-blico e giudicando nel merito le iniziati-ve della politica. Ma questa è un’altra sto-ria.

Ermes Antonucci

(segue dalla prima pagina)