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Il gioco del cinema che verrà - Cristina Piccino e altri, 14.01.2016 I film dell'anno. Titoli per la nuova stagione. In attesa dei primi grandi appuntamenti festivalieri, Sundance, Rotterdam, Berlinale, verifiche sempre molto incerte dell’immaginario. Fuori i nomi: Martin Scorsese e Avi Mograbi, Clint Eastwood e Amir Naderi, Werner Herzog e Giankian-Ricci Lucchi. E poi: Bertrand Bonello e Lucrecia Martel, Lav Diaz e James Gray, Fred Wiseman e Alex Proias L’invenzione del mondo: Joao Pedro Rodrigues e Gianikian Ricci Lucchi Nel gioco della «classifica», i-film-dell’anno, che torna puntuale a ogni fine ho colpevolmente dimenticato — fretta, inadeguatezza della memoria — uno dei film più belli del 2015 appena passato: Inherent Vice, Vizio di forma di Paul Thomas Anderson, un regista che amo moltissimo sin dai primi suoi film. E da qui voglio partire per i miei desideri (di visioni) del 2016, perché quel film, rimosso anche dai grandi premi come l’Oscar (e quasi in modo scontato) esprime profondamente il senso di quello che mi piacerebbe vedere nell’anno che verrà. Film per un cinema irriverente, sensuale, libero, spudorato, anarchico, che non asseconda mode e superfici plasticose mascherate da sperimentalismo, che non cerca la lezioncina pomposa, che rifiuta l’autoritarismo (inchiodare lo spettatore con le spalle al muro) e che trascina invece emozione, dolcezza, ribellione, piacere. E soprattutto rischio di una meraviglia inattuale e non prevedibile. L’utopia di inventare il mondo. Per questo metto all’inizio della mia ideale e anche stavolta parzialissima «lista», O Ornitològo di Joao Pedro Rodrigues, il regista portoghese che riesce a mescolare sensualmente invenzione fiabesca, Storia, erotismo e attualità in magnifiche dichiarazioni di amore al cinema. Sarà questo l’anno in cui vedremo il nuovo film di Clint Eastwood, Sully, ispirato a Chesley «Sully» Sullenberger, il pilota che con un atterraggio di fortuna sull’Hudson è riuscito a salvare tutti i suoi passeggeri. E quello di Martin Scorsese, Silence storia di due preti che cercano di diffondere il cristianesimo in Giappone. Due registi, Eastwood e Scorsese, che il rischio lo praticano a ogni film, e che soprattutto non cercano mai di compiacere le attese e la retorica. Kelly Reichardt, di cui arriverà Certain Women, è una regista con la sensibilità speciale per avventurarsi nei paesaggi epici e nei sogni dell’America. Così come Todd Solondz che quei paesaggi li proietta nelle zone intime, segrete dei suoi personaggi, per il suo Wiener Dog (un cane bassotto) c’è poco da attendere: anteprima al Sundance. Nel cortocircuito possibile del 2016, quel punto sfuggente sui bordi dei fotogrammi in cui indipendenza e grandi budget si incontrano in una ricerca (indipendente appunto) dello sguardo le categorie sfumano e il cinema declina le sue gamme migliori. Attendo il prossimo film di Frederick Wiseman già al lavoro dopo Jackson Heights, uno dei racconti più netti dell’America (e mondo)

Il Gioco Del Cinema Che Verra

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Il gioco del cinema che verrà- Cristina Piccino e altri, 14.01.2016

I film dell'anno. Titoli per la nuova stagione. In attesa dei primi grandi appuntamenti festivalieri,Sundance, Rotterdam, Berlinale, verifiche sempre molto incerte dell’immaginario. Fuori i nomi:Martin Scorsese e Avi Mograbi, Clint Eastwood e Amir Naderi, Werner Herzog e Giankian-RicciLucchi. E poi: Bertrand Bonello e Lucrecia Martel, Lav Diaz e James Gray, Fred Wiseman e AlexProias

L’invenzione del mondo:

Joao Pedro Rodrigues e Gianikian Ricci Lucchi

Nel gioco della «classifica», i-film-dell’anno, che torna puntuale a ogni fine ho colpevolmentedimenticato — fretta, inadeguatezza della memoria — uno dei film più belli del 2015 appena passato:Inherent Vice, Vizio di forma di Paul Thomas Anderson, un regista che amo moltissimo sin dai primisuoi film. E da qui voglio partire per i miei desideri (di visioni) del 2016, perché quel film, rimossoanche dai grandi premi come l’Oscar (e quasi in modo scontato) esprime profondamente il senso diquello che mi piacerebbe vedere nell’anno che verrà. Film per un cinema irriverente, sensuale,libero, spudorato, anarchico, che non asseconda mode e superfici plasticose mascherate dasperimentalismo, che non cerca la lezioncina pomposa, che rifiuta l’autoritarismo (inchiodare lospettatore con le spalle al muro) e che trascina invece emozione, dolcezza, ribellione, piacere.E soprattutto rischio di una meraviglia inattuale e non prevedibile. L’utopia di inventare il mondo.Per questo metto all’inizio della mia ideale e anche stavolta parzialissima «lista», O Ornitològo diJoao Pedro Rodrigues, il regista portoghese che riesce a mescolare sensualmente invenzionefiabesca, Storia, erotismo e attualità in magnifiche dichiarazioni di amore al cinema.Sarà questo l’anno in cui vedremo il nuovo film di Clint Eastwood, Sully, ispirato a Chesley «Sully»Sullenberger, il pilota che con un atterraggio di fortuna sull’Hudson è riuscito a salvare tutti i suoipasseggeri. E quello di Martin Scorsese, Silence storia di due preti che cercano di diffondere ilcristianesimo in Giappone. Due registi, Eastwood e Scorsese, che il rischio lo praticano a ogni film,e che soprattutto non cercano mai di compiacere le attese e la retorica.Kelly Reichardt, di cui arriverà Certain Women, è una regista con la sensibilità speciale peravventurarsi nei paesaggi epici e nei sogni dell’America. Così come Todd Solondz che quei paesaggili proietta nelle zone intime, segrete dei suoi personaggi, per il suo Wiener Dog (un cane bassotto)c’è poco da attendere: anteprima al Sundance.Nel cortocircuito possibile del 2016, quel punto sfuggente sui bordi dei fotogrammi in cuiindipendenza e grandi budget si incontrano in una ricerca (indipendente appunto) dello sguardo lecategorie sfumano e il cinema declina le sue gamme migliori. Attendo il prossimo film di FrederickWiseman già al lavoro dopo Jackson Heights, uno dei racconti più netti dell’America (e mondo)

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contemporanea senza appiattire mai una sola sequenza alle esigenze «obbligate» dell’attualità(eppure si parla di migranti e di diritto di cittadinanza).A Lullaby to the Sorrowful Mystery di Lav Diaz ( lo scopriremo presto, alla prossima Berlinale) chenella rivendicazione di una voce alla prima persona degli immaginario coloniali diffusi nelle Filippinesembra ritrovare le esperienze più barocche e fiammeggianti del cinema delle «nuove onde», Rochae Bressane e Sganzerla e Brocka che era riuscito a trasformare la lotta di classe in fiammeggiantimelò.Ritrovare nel 2016 la trama del nostro tempo presente negli archivi — ma saranno tali? — di AngelaRicci Lucchi e Yervant Gianikian di nuovo al lavoro su un film «russo» nel quale raccolgono vociindomite, poesia e vita. Amir Naderi, iraniano, poi americano ha scelto i paesaggi dell’Alto Adige perMountain. Un set in alta montagna dove è stato ricostruito un antico villaggio, per raccontare lastoria di una sfida. Come è quella di ogni suo film.

(Cristina Piccino)

Inattuali e fuori orario:Bertrand Bonello e Kelly Reichardt

I più attesi sono quelli nati fuori orario: i film inattuali. Che vuol dire inattuale ? Non vuol dire inanticipo. Vuol dire al contrario presente ma non al passo con i tempi. Qualche esempio.Due anni fa, prima che la questione dei richiedenti asilo e dei rifugiati diventasse la notizia delgiorno in Europa, il cineasta israeliano Avi Mograbi aveva cominciato a lavorare con un gruppo dirichiedenti asilo che si trovano in un campo nel mezzo del deserto, confinati dallo stato di Israele. Illavoro consiste in un atelier di teatro che utilizza la tecnica del «Teatro degli oppressi» sviluppata inBrasile da Augusto Boal. Il presupposto politico è che Israele tratta in maniera inumana quelli chebussano alle sue porte per chiedere asilo. E lo scopo è di produrre una riflessione nel pubblico(israeliano). In che senso la storia di questi rifugiati è diversa da quella di tanti ebrei che negli annitrenta e quaranta fuggivano dall’Europa chiedendo asilo altrove? Difficile dire come il filmrisponderà a questa domanda. Mograbi è noto per costruire i suoi film facendoli. Il set per luiè sempre un momento in cui le idee iniziali vengono distrutte e un nuovo film prende corpo (cheporta sempre delle tracce, come delle cicatrici, dell’antico progetto). Lo sapremo presto: forse giàa Cannes.L’altro «inattuale» è il prossimo film di Bertrand Bonello. Il progetto si chiamava in partenza Parisest une fête. Ma è possibile che il titolo d’arrivo sia diverso. Anche in questo caso, il tema sembravenire dritto dalle pagine dei giornali. Dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) trattarsi di una storia digiovani che progettano ed eseguono una serie di attentati a Parigi. Ora questa breve sinossi (che inquesto caso è un’indiscrezione) porta fuori strada. Bonello si è interessato spesso alle dinamiche diquelli che potremmo chiamare gruppi in fusione. Basti pensare a Della Guerra (2008). Ma la suavisione è sempre agli antipodi di tutto quello che si osserva sul grande schermo in materia dipersone che si trascendono in un’azione collettiva. Di certo, quest’ultimo non è ispirato all’attualità.

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Bonello lo aveva scritto molto prima delle stragi di gennaio e di novembre. Non sarà un film su ungruppo armato di matrice islamica. Da quanto trapela, dovrebbe trattarsi di un film su un gruppo lecui azioni fanno pensare alle tecniche del situazionismo. La sola cosa certa è che, comunque sia ilfilm e qualunque sia il suo contenuto effettivo, sarà visto nel clima venutosi a creare in seguito agliattentati che hanno colpito Parigi nel 2015. Clima in cui tutto è d’attualità, salvo la riflessione.Chi è più inattuale di Kelly Reichardt? Tutti i suoi film procedono con il passo del’osservatore.E sembrano fatti apposta per mettere lo spettatore nella situazione imbarazzante di dover decidereda sé cosa pensare di quello che vede. Forse l’ultimo, Night Move, in cui un gruppo di ecologistidecideva di passare all’azione, deve esserle sembrato troppo attuale. Nel prossimo, Certain women, tornerà alle sue origini, all’ovest americano, a quel suo cinema che sembra sempre essere sceso percaso da uno di quei treni merci che attraversano lentamente il paese, caricando e scaricando qui e làgruppi di diseredati che la crisi, la grande depressione sempre inattuale, sradica e fa rotolare adovest. Questa volta Reichardt è scesa in una città del Montana, dove incrocia tre storie didonne…Vedremo.All’apice dell’inattualità, e dell’attesa, c’è ovviamente Werner Herzog. Ogni nuovo film di Herzog è:La storia di una conquista, un film impossibile, un documentario su come l’impossibile è stato infineconquistato. La prossima scalata si chiamerà Salt and Fire. L’impresa dovrebbe comportare unvulcano sudamericano e un disastro ecologico. La morale, si dirà, è non è nuova: c’è da scommettereche sulla sommità del vulcano il nostro Sigfried troverà la cosa più preziosa: il valore dell’inutile.Una lezione per tutti e un film per nessuno.

(Eugenio Renzi)

Donne e famiglie disfunzionali:Pedro Almodovar e Paolo Virzì

A vent’anni attendevo i film di Pedro Almodovar con grande emozione: la sua presenza era unaboccata di trasgressione, sesso, eccitazione davanti alla mirabilia dei colori, dei personaggi, delletrame che si intersecavano e si modificavano e si accrescevano le une con le altre. Devo tristementeammettere che le ultime prove del regista mi hanno lasciato l’amaro in bocca: Gli abbracci spezzati(2009), La pelle che abito (2011), Gli amanti passeggeri (2013) non mi hanno provocato più che unsorriso sulle labbra. Ogni volta però non smetto di sperare che possa riprendere a graffiarel’immaginario collettivo affondando i dentini nella polpa del nostro collo vampirizzabile. Chissà sequesta Julieta, ennesimo personaggio femminile, sarà indimenticabile quanto Carmen Maura donnasull’orlo di una crisi di nervi o la vibrante Marisa Paredes di Tutto su mia madre: Almodovarnarratore di donne contraddittorie, donne in corpi maschili con desideri femminili, un gendermutante e senza confini, condizione umana che è emersa piano piano, negli anni, dopo che lui cel’aveva, per primo, coraggiosamente presentata.I Coen (Joel e Ethan) sono un’attesa scontata, condivisa. I due fratelli del cinema americano,nell’arco della loro carriera, hanno deluso meno dello spagnolo: gli ultimi due o tre titoli (A seriousman 2009, Il Grinta 2010, A proposito di Davis, 2013) erano delle pellicole di alto livello ma nonsempre sconvolgenti come Fargo (1996). Stavolta il plot di Ave, Cesare! fa già ridere: negli anni 50

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a Hollywood Josh Brolin, un fixer (risolutore di problemi) dovrà scoprire cosa è accaduto alprotagonista del film in costume (George Clooney) scomparso nel bel mezzo delle riprese. Cinemanel cinema in una finta antica Roma: riferimenti promiscui a Truffaut, Huston e le pellicole trashitaliane sui gladiatori, un mix da non perdere. Sarà il film di apertura del festival di Berlino.

Ho letto La famiglia Fang di Kevin Wilson (edito in Italia da Fazi) alla sua uscita nel 2012 e l’hotrovato trascinante, duro, estremamente coinvolgente. La Kidman deve averla pensata come me, hacomprato i diritti e ed è diventata la protagonista della pellicola che porta la regia di Jason Bateman,che lo interpreta come protagonista maschile. La storia esplora una famiglia disfunzionale i cuigenitori (Christopher Walken e Maryann Plunkett) sono due performer affermati che, negli anniSettanta, usano i figli come parte attiva delle loro azioni artistiche, neutralizzando le loro identitàribattezzandoli come Bambino A e Bambino B. La matrice letteraria, per un adattamento per ilgrande schermo, ha i suoi punti di forza e le sue insidie: la scrittura di Wilson è fluida, ironica,sagace, speriamo abbiano trovato il modo di restituirla in immagini visualizzando una storiadrammatica ma grottesca, cinica ma amorosa, devastante ma catartica.Tra gli italiani mi incuriosisce sempre Virzì: ha girato La pazza gioia accostando la passionale moglieMicaela Ramazzotti all’austera Valeria Bruni Tedeschi ad interpretare due donne molto diverse traloro che hanno entrambe commesso degli errori. Chissà che ha combinato Massimo Gaudioso cheesordisce in solitaria, vent’anni dopo Il caricatore (Cappuccio, Gaudioso, Nunziata), con Un paesequasi perfetto, remake del canadese La grande seduzione di Jean-François Pouliot del 2003, passatoquasi inosservato da noi, con Fabio Volo (usato dal ex compare Cappuccio nel suo Uno su due).Vedremo.

(Fabiana Sargentini)

Supereroi e blockbusterAnthony e Joe Russo e Michael Bay

Immaginando i titoli che vedremo nel 2016, inevitabilmente l’attenzione è puntata sui grandi nomi.Da Clint Eastwood, affiancato da Tom Hanks per Sully, a Jeff Nichols e alla sua prima sortita nelcinema fantastico con Midnight Special. Grande curiosità anche per James Gray, atteso alla provadel nove con un progetto cui ha dedicato moltissime energie, ossia The Lost Land of Z.Perversamente, essendo questi i valori accertati, si sposta volentieri lo sguardo in direzioni piùludiche. Se il 2015 è stato l’anno dei supereroi, il 2016 si annuncia altrettanto agguerrito.Ovviamente il titolo maggiormente atteso, e non potrebbe essere altrimenti, è l’adattamentocinematografico del Doctor Strange, personaggio Marvel esoterico creato da Stan Lee e Steve Ditko.Alle redini del progetto il (quasi) sempre interessante Scott Derrickson, regista di horror notevolicome The Exorcism of Emily Rose, Sinister e Liberaci dal male. Se si mette nel conto che il dottoredelle arti mistiche sarà interpretato da Benedict «Sherlock» Cumberbatch, è inevitabile che il tassodi attesa «nerd» tocca livelli preoccupanti. Per restare in casa Marvel, si aspetta con qualche

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trepidazione anche Captain America: Civil War dei fratelli Anthony e Joe Russo. La saga politicadella registrazione dei supereroi scritta da Mark Millar diventa il terreno di scontro fra CaptainAmerica e Iron Man. Curiosità elevatissima anche per il prossimo film dei Vendicatori, semprediretto dai Russo, ma previsto per il 2017. Sempre dalla scuderia Marvel, si attende invece Deadpool,il più dissacrante e autoironico degli eroi in calzamaglia che non disdegna l’ultraviolenza splatter.Tutti blockbuster, ovviamente, a conferma di una politica produttiva che preferiscemacroinvestimenti a strategie di medio budget. Ovvio che il rischio dell’indigestione è dietro l’angolo.Basti pensare al pessimo Zack Snyder cui sono state affidate le chiavi del pantheon della DC e delquale si attende con molta preoccupazione Batman vs. Superman: Dawn of Justice. Snyder, infatti,sul modello The Hateful Eight, vorrebbe presentare in Ultra Panavision, ossia a 70mm, il suo opus.E fra tanti eroi in calzamaglie aderenti e multicolori, in armatura e non, ritorna il principe degli eroipulp (in senso strettamente storico e filologico). Diretto da David Yates, regista del dittico finale diHarry Potter, si attende The Legend of Tarzan, interpretato da Alexander Skarsgård, Margot Robbiee Samuel L. Jackson. È dal 1984, escludendo Bo Derek e varie riduzioni a cartoni animati, che lacreazione più celebrata di Edgar Rice Burroughs non trova un’adeguata trasposizione filmica. Latartaruga di Skarsgård promette benissimo così come le scimmie digitali. S’incrociano le dita. Chiinvece continua a giocare al di fuori dei perimetri del già noto è il testardo e affascinante AlexProyas, autore de Il corvo e Dark City. Con Gods of Egypt, il regista, nato proprio in Egitto nel 1963,sembrerebbe avere messo in piedi una potenzialmente molto interessante fantasmagoria in grado dimuoversi fra suggestioni steampunk, peplum e revisionismo supereroistico. Attesissimo, ma non datutti, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi di Michael Bay in momentanea libera uscita daiTransformers, franchise della quale si prevede sempre nel 2017 il quinto capitolo. Il problema,ovviamente, fra tutti questi grossi calibri, e capire se troveranno la strada della distribuzione italianaanche l’equivalente delle sorprese indie di quest’anno (ricordiamole: Bone Tomahawk, Cop Car, TheInvitation e Diary of a Teenage Girl).

(Giona A. Nazzaro)

Paesaggi d’America

Todd Solondz e i fratelli Coen

L’avevamo visto l’ultima volta a Venezia nel 2011 con Dark Horse, una delle sue commedie nereingiustamente passata in sordina, senza ricevere alcun premio nel concorso di quell’annoe rimanendo privo di una qualsiasi distribuzione italiana. Lui è il regista americano Todd Solondz,e la ragione della sua poca digeribilità per il grande pubblico è forse la durezza con cui si cimenta –specialmente nei suoi due capolavori: Fuga dalla scuola media e Happiness, rispettivamente il suoprimo e secondo film — nello smascherare lo stereotipo patinato della provincia americana piccoloborghese, con uno sguardo verso i personaggi al contempo cinico ed empatico. Il suo prossimo film,Wiener-dog, è una commedia di cui per ora si sa solo che racconterà la storia di un bassotto che giraper l’America regalando gioia a chi incontra. Ma è già uno dei film che aspettiamo di più nel 2016:

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debutterà al Sundance il 22 gennaio.Il sovvertimento degli stereotipi è alla base anche del cinema più «classico» e strutturato dei fratelliCoen, loro pure attesi nel 2016 con Ave, Cesare! il loro ritorno alla commedia dopo A Serious Mandel 2009. Uno stile, quello di Joel e Ethan Coen, meno sperimentale di quello di Solondz, e che simuove sempre nell’ambito del genere, le cui regole vengono però costantemente sovvertite pergiungere a una messa in discussione delle convenzioni che lo strutturano. Il risultato è unafilmografia che ha sinora rivisitato tutti i modelli classici del cinema americano – dal noir al westernalla stessa commedia — ma anche una visione divertita e al contempo tragica della realtà che liaccomuna ancor più allo sguardo del regista di Dark Horse — volto a svelare l’orrore e la solitudinenella provincia ignorante e bigotta — con cui condividono anche un misto di distaccamentoe simpatia per i loro protagonisti terribili o terribilmente idioti.Una rivisitazione degli stereotipi – in questo caso quelli legati all’eroismo — ce la potremo forseaspettare anche sul versante dei blockbuster, con uno dei titoli più attesi della stagionecinematografica che verrà: Batman v. Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder, che giunge a solitre anni di distanza dall’uscita dell’ultimo capitolo della trilogia di Nolan sul Cavaliere Oscuro. Se ilmediocre reboot di Superman — Man of Steel, sempre di Snyder — non lascia ben sperare,e nonostante contro la scelta di Ben Affleck nei panni dell’uomo pipistrello sia nata anche unaironica petizione rivolta alla Casa Bianca, va detto che Dawn of Justice è liberamente tratto da unadelle graphic novel più belle che siano state realizzate su Batman. The Dark Knight Returns, diFrank Miller, è infatti una delle opere che ha iniziato una rilettura della figura di Batman in chiavedark – quella che poi ha ispirato le sue migliori manifestazioni cinematografiche – rimettendo indiscussione e spesso ribaltando gli assunti alla base dell’eroismo a Gotham City, e dotando l’uomopipistrello di una profonda ambiguità.Al di fuori di questo schema di messa in discussione delle convenzioni – ma comunque da segnalarefra le uscite del 2016 – è il ritorno dell’enfant prodige Xavier Dolan, regista canadese che a soli 26anni scrive, gira, monta e produce i suoi film, in cui spesso è anche attore e costumista. Film che simuovono nell’ambito del melodramma e che riguardano quasi sempre la necessità dei personaggi,spesso portatori di una vena autobiografica, di trovare un posto nel mondo. Nel 2016 sono attesi bendue titoli diretti da Dolan: Juste la fin du monde, storia di uno scrittore malato terminale che tornaa casa dopo una lunga assenza e The Death and Life of John F. Donovan, sua prima produzioneamericana, che racconta la corrispondenza fra una star del cinema e un bambino di 11 anni.

(Giovanna Branca)

La Storia, le storie

Sergei Loznitsa e Xavier Dolan

Dopo i recenti Maidan e The Event, Sergei Loznitsa torna al film di finzione con Babi Yar,ambientato nel 1941 all’inizio dell’invasione nazista in Unione Sovietica, quando in due giorni disettembre vennero uccise e gettate in una fossa comune decine di migliaia di ebrei. Storietragicamente conosciute e immaginate da molti altri autori, ma in questo caso la caduta agli inferi diun’intera umanità (vittime e carnefici) è vista da un regista che nei lavori precedenti ha dimostrato

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una sensibilità profonda nel provare a risalire a un senso della nostra storia passata e presente.Se siamo curiosi di vedere all’opera un regista alla sua seconda prova dopo un esordio piuttostocontroverso, allora non si può non menzionare True Crimes del regista greco Alexandros Avranasche dopo Miss Violence dirige Jim Carrey e Charlotte Gainsbourg in un thriller (co-produzionePolonia, Stati Uniti) tratto da un articolo uscito nel 2008 sul «New Yorker» di David Grann. Undetective indaga su un delitto le cui modalità sono molto simili a quelle descritte in un libro. Al di làdi una trama che in apparenza può sembrare tradizionale, la memoria va a come Miss Violencedivise critica e pubblico in due, tra chi gridò al capolavoro capace di entrare nelle maglie del mondocontemporaneo che annichilisce le esistenze nella quotidianità più banale e chi, invece, rilevò in quelracconto di violenze famigliari un misero e autocompiaciuto estetismo. Che direzione avrà preso quiAvranas? Quale influenza avrà avuto la presenza di un cast così altisonante?A distanza di otto anni, cioè quando realizzò La mujer sin cabeza, Lucrecia Martel torna alla regia diun lungometraggio con Zama, tratto dal romanzo di Antonio di Benedetto, scritto nel 1956e ambientato nel diciassettesimo secolo in Paraguay. Da un punto di vista autoriale, si tratta di unritorno importante perché la regista, a partire da La ciénaga (2001), è stata tra coloro che hannomaggiormente contribuito alla rinascita del cinema argentino.Per quanto riguarda il film, a differenza degli altri suoi tre lungometraggi, Zama sembra discostarsiper la collocazione storica e geografica. Il romanzo racconta di un modesto funzionario coloniale,Don Diego de Zama, che vive nella speranza che un giorno le sue sorti possano migliorare, magarianche con un gesto eroico. Proprio questo interrogarsi sul senso dell’esistenza, sul tempo trascorsovanamente e sulla necessità di comprendere come rovesciare un destino misero, ricolloca questavicenda in un tempo sospeso, restituisce questa figura al nostro contemporaneo.L’uomo, gli altri e il mondo. Tre termini che troveremo nei film che Xavier Dolan: Juste la fin dumonde e The Death and Life of John F. Donovan. Il primo è tratto da una pièce teatrale di Jean-LucLagarce e interpretato da Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Marion Cotillard, Léa Seydoux e VincentCassel. La storia inizia con il ritorno in famiglia, dopo una lunga assenza, di uno scrittore cheannuncia la sua morte imminente e prosegue con ciò che questa rivelazione scatena nelle diverserelazioni famigliari. Con The Death and Life of John F. Donovan si passa dal racconto intimo a unavisione dissacrante dello star system. John Donovan è una stella del cinema e inizia unacorrispondenza con un amico di penna che ha undici anni. E se in Juste la fin du monde è ilprotagonista a rivelare qualcosa di sé e a modificare la realtà circostante, in questo caso le parti siinvertono. Le accuse infondate di pedofilia ai danni di John Donovan da parte di una giornalistasenza scrupoli porteranno il protagonista alla distruzione.

(Mazzino Montinari)

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