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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
-SEZIONE DI LATINA-
INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO
-2005-
IL GIUDICE AMMINISTRATIVO, GARANTE DI LEGALITA’ E DI
GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE
Relazione del Presidente Franco BIANCHI
IL GIUDICE AMMINISTRATIVO, GARANTE DI LEGALITA’ E DI
GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE
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INDICE:
1) Breve escursus del sistema italiano di Giustizia Amministrativa.
Il Giudice Amministrativo, garante di legalità e di giustizia nell’Amministrazione.
E’ questo l’argomento della inaugurazione odierna. Davanti al Giudice Amministrativo
le istanze di giustizia crescono annualmente nell’ordine dell’8-10%. Per meglio
comprendere il ruolo attuale del Giudice Amministrativo italiano, necessita un
rapidissimo escursus sul nostro sistema di Giustizia Amministrativa.
Partiamo dal 1865. Una Legge la n. 2248, all. E) abolì i Giudici Amministrativi. Si
optò, a quel tempo, per un sistema a Giudice unico. Tutte le controversie contro la P.A.
furono devolute al Giudice Ordinario. Questa idea piace ancora oggi a taluni, che
auspicano una unica giurisdizione per tutte le controversie. Sono scelte di politica
ordinamentale e costituzionale che non possiamo affrontare in questa sede. Approvata
la legge ci si accorse che molte posizioni dei cittadini, relative a licenze, autorizzazioni
varie, nulla osta, permessi ed altro, erano rimaste prive di tutela giurisdizionale. Non
costituendo esse diritto civile o politico, il Giudice ordinario (di allora) non riusciva a
rendere giustizia. L’obiettivo politico che si era inteso conseguire, era quello di erigere
il Giudice Ordinario a baluardo contro lo strapotere della P.A.. Tale obiettivo era
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fallito!
Per molti provvedimenti della P.A., il povero cittadino non trovava, infatti, un Giudice
cui rivolgersi. Doveva accontentarsi dei (semplici) ricorsi amministrativi, da presentare
alla stessa Amministrazione che gli aveva creato guai. Possiamo immaginare con quale
fiducia!
Si corse ai ripari nel 1889. Con altra Legge (n. 5992), si affidò al Consiglio di
Stato la competenza a giudicare sui ricorsi contro gli atti ed i provvedimenti della P.A.
(aventi ad oggetto non già diritti civili e/o politici verso la P.A., affidati al Giudice
Ordinario, bensì interessi degli individui e degli Enti), per la cui tutela non vi era più un
Giudice.
Nasce così il Sistema Italiano di Giustizia Amministrativa, chiamato sistema
dualistico. E’ quello ancora vigente. Questo sistema prevede due Giudici distinti di pari
importanza, per le cause contro la P.A.: il G.O. per le controversie fra cittadini e P.A.
in tema di diritti soggettivi pieni e il G.A. in tema di interessi legittimi. Cosa sono gli
interessi legittimi?
Sono passati più di 100 anni e nessuno riesce a dare una definizione certa di
interesse legittimo. Tutti però hanno capito che il sistema italiano di giustizia
Amministrativa –complessità a parte- è davvero garantista per il cittadino, molto più di
altri ordinamenti europei a giurisdizione unica.
La scelta di questo sistema, tipicamente italiano, non fu né casuale né bizzarra: si
volle contrapporre allo strapotere degli Apparati pubblici, (politici e non) un Giudice
speciale, competente, cui affidare nel contempo, la tutela dello interesse pubblico (cui
deve mirare ogni azione della P.A. e, nel contempo) di quello privato (sottostante e
correlato ad esso, ugualmente protetto dall’ordinamento).
Naque così la categoria dell’interesse legittimo, differenziata sì dal diritto
soggettivo (quale posizione giuridica) ma ritenuto anch’esso meritevole di tutela
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dinnanzi ad un Giudice.
In questo sistema, costituiva grave rovescio della medaglia, la necessità di adire
due Giudici, consecutivamente, per ottenere piena tutela degli interessi lesi.
Il proprietaro di un area illegittimamente occupata, requisita, espropriata, per esempio,
era costretto a rivolgersi prima al Giudice Amministrativo per ottenere, se gli andava
bene, l’annullamento dell’atto ablatorio e successivamente al G.O. per ottenere il
ristoro dei danni materiali che aveva subito (a causa di un atto illegittimo della P.A.). Il
sistema è oggi cambiato. Lo vedremo subito.
Nel 1948, si approva la Costituzione repubblicana: con gli artt. 24 e 113, si avalla
il sistema dualistico di tutela del cittadino nei confronti della P.A.. La Costituzione
recepisce il criterio del riparto della giurisdizione fra G.O. e G.A., in base alla
posizione giuridica tutelata, salvo le “particolari materie” di giurisdizione esclusiva del
G.A., fissate con legge.
Nel 1971 (con la L. n. 1034 -di questa citiamo il numero-) con la nascita delle
Regioni si dà, finalmente, attuazione all’art. 125 Cost. che prevedeva l’istituzione di
Tribunali Amministrativi di Primo Grado in ogni Regione. Nascono così i T.A.R. quali
Giudici Amministrativi di primo grado.
Il Consiglio di Stato, resta solo Giudice di appello, a parte la sua “nobile” attività
consultiva, della quale non parlerò. Si istituzionalizza, anche nel processo
amministrativo, il doppio grado di giudizio. La scelta non era imposta dalla
Costituzione, ma tanto si volle.
Arriviamo subito all’anno 2000, in agosto in pieno Giubileo, entra in vigore altra
Legge (n. 205) che, trasforma radicalmente il processo amministrativo.
Il sistema dualistico (tutto italiano) di Giustizia Amministrativa riceve nell’anno
2000 (ad opera della L. n. 205), un colpo mortale, tanto da far dubitare la stessa
Corte di Cassazione ed altri G.O. della costituzionalità della legge. Si
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introduce un nuovo sistema di riparto della giurisdizione tra G.O. e G.A., basato non
più, sulle situazioni giuridiche tutelate, ma su blocchi di materie. La giurisdizione
esclusiva, ossia vuoi per i diritti che per interessi, viene estesa a blocchi di materie
importanti e rilevantissime nella attuale società, quali 1) appalti di lavori e forniture in
qualsiasi settore della P.A. allargata; 2) i servizi pubblici, tipologia complessa e vasta;
3) l’edilizia e l’urbanistica, che include notoriamente tutto il governo del territorio (con
esclusione dei soli profili ambientali e di tutela naturale e paesaggistica).
Il sistema dualistico italiano di Giustizia amministrativa recepito nell’art. 113
Cost., I comma (osservarono i commentatori) è sostanzialmente superato da un nuovo
sistema in cui il G.A. è diventato il giudice prevalente della P.A., quale giudice della
funzione pubblica, con poteri cognitori estesi sia ai diritti, che agli interessi legittimi,
nonché a diritti patrimoniali conseguenziali ivi incluso il risarcimento del danno (in
tutte le forme consentite dall’ordinamento codicistico per l’attività illegittima ed illecita
della P.A.).
Le novità, definite epocali, apportate dalla L. n. 205/00 determinarono un ciclone
di plausi ed entusiasmi fra i giuspubblicisti ed in vasti settori politici e culturali; anche
le nostre due precedenti Cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario hanno
risentito del ciclone. Si vide, nella novella legislativa, la fine di un serio problema per
noi giudici Amministrativi, e la fine di un forte disagio per tutti i cittadini.
Oggettivamente parlando, sembrava un bel vantaggio veder concentrati presso un solo
giudice, il G.A., nelle materie dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici, tutti
indistintamente le controversie, sia in materia di diritti pieni, che di interessi legittimi.
Il ciclone si è subito spento!
E’ intervenuta, a luglio scorso, la Corte Costituzionale che ha ricondotto i limiti
della giurisdizione amministrativa, alle norme costituzionali.
Con una sentenza (la n. 204/2004) di tipo manipolativo o forse sostitutivo, la Corte ha
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spazzato via, definitivamente, la giurisdizione esclusiva del G.A. nelle materie (nuove)
dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici, in quanto non compatibili con il
criterio costituzionale (art. 103) del riparto di giurisdizione tra i due giudici. Onorevoli,
Deputati e Senatori: Il legislatore, dice la Corte Costituzionale, non è tributario di una
assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’assegnare questa o quella materia alla
giurisdizione esclusiva del G.A., bensì ha il potere, più limitato di individuare non già
“blocchi” di materie, ma “particolari”, ossia “determinate” materie, da affidare, in
esclusiva -sia per la tutela di diritti che di interessi- al G.A.. La Costituzione vuole –
aggiunge la Corte- che il G.A. resti il Giudice ordinario dell’Amministrazione, tutte le
volte in cui questa esercita una funzione o potestà pubblica.
E’ iniziata, in tutta Italia, la serie di congressi, ove si scontrano e confrontano i
fautori dell’ampliamento o della restrizione della giurisdizione amministrativa. Non
dirò una parola, al riguardo.
I G.A. devono, intanto ubbidire, con convinzione, e serenità a questa sentenza.
La Sentenza, ha lanciato un monito severo al Parlamento, ed ha ricondotto la
giurisdizione del G.A. nei limiti previsti dalla Costituzione vigente. Questa non
depotenzia, affatto, il ruolo del G.A., ma lo irrobustisce, lo esalta, riconducendolo alla
Costituzione.
Vi dico il perché di questo personale ottimismo!
La sentenza riafferma, oggi, dopo 60 anni dalla Costituzione, (quando molti ne mettono
in discussione gli stessi principi cardini) la piena dignità del Giudice Amministrativo,
quale Giudice Ordinario dell’Amministrazione (intesa nel senso più lato possibile) tutte
le volte in cui questa agisce nell’esercizio di una potesta pubblica. La. P.A., fuori da
questi ambiti potestativi, opera (lo possiamo, lo dobbiamo ammettere), come un
qualunque individuo; è corretto, quindi, ritenere che i suoi atti, se lesivi, siano portati –
come è sempre avvenuto dal 1899- davanti al G.O.. La Corte in questo modo ha fatto
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giustizia di talune tendenze, riconoscendo che la giurisdizione è funzionalmente unica,
anche quando gli apparati di giudici restano duplici o molteplici. Anche questo è un
monito per il Legislatore –a mio sommesso avviso.. Nessuno tocchi il G.A. –dice la
Corte Costituzionale- perchè la sua presenza, nell’ordinamento, conferma il principio
dell’unità funzionale della giurisdizione.
In secondo luogo, la sentenza riconosce formalmente la legittimità della scelta del
Legislatore di aver voluto affidare al G.A., -togliendolo al G.O., badate bene- il
risarcimento del danno derivante dall’attività illegittima della P.A.. Dice la Corte: bene
ha fatto il Legislatore a garantire al cittadino una tutela piena ed effettiva anche nel
processo amministrativo.Ogni volta che si va davanti al G.A.; circa 1500 volte l’anno,
nella nostra circoscrizione, si chiede oggi (di norma) non solo la demolizione dell’atto,
ma il risarcimento del danno materiale subito. La resa di giustizia, che già da qualche
anno il cittadino esige dal G.A., è dunque, anche di tipo riparatorio patrimoniale. Il
tema del risarcimento è così divenuto di particolarissimo interesse per il P.A.. Non
tratteremo oggi questo tema, salvo che il dibattito non lo introduca.
2) Le ragioni costituzionali della centralità del G.A..
Tra i cittadini di ogni ceto ed età si diffonde sempre più la mentalità di poter
chiedere giustizia, al T.A.R., nei confronti del potere.
La crescente istanza di legalità e giustizia non trova il naturale rimedio nel
pluralismo delle istituzioni politiche, incapaci di assorbire le istanze stesse perchè
motivate essenzialmente dal bisogno primario di conservazione. Non trova rimedio,
nemmeno nelle istituzioni sociali che pure, con toni alti, denunciano e chiedono legalità
e giustizia. Restano le istituzioni giudiziarie che decidono.
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Il potere di decidere è insito nell’attività giudiziaria: è il Giudice che mette la parola
fine. Nemmeno i regimi assoluti, quando hanno tentato di condizionare i giudici, hanno
offuscato, nei sudditi, la convinzione (o meglio l’illusione) di poter ricorrere ad un
Giudice contro l’illegalità.
La giurisdizione è il luogo di definizione delle liti. In questa opera, se debitamente
approfondita, il giudice coglie la realtà e conosce le istituzioni e le comunità nei cui
confronti opera.
Se questo è vero, in generale, per le istituzioni giudiziarie lo è ancor di più per le
istituzioni di giustizia amministrativa che si interpongono tra i cittadini, gli apparati di
potere e tra gli stessi apparati in lite tra loro per risolvere la controversia, e, nel
contempo, orientare l’esercizio della funzione pubblica. Comune contro Comune;
Comune contro Regione; Regione contro Stato e viceversa e via dicendo. Anche queste
controversie hanno i T.A.R. come Giudici.
E’ oggetto della giustizia amministrativa l’esercizio della funzione pubblica. Esso
(oggetto) lo ritroviamo non nel singolo processo, ma negli effetti che le sentenze
producono sull’esercizio della funzione pubblica, la quale risente del sindacato
giudiziario. La nostra Costituzione (artt. 24 e 113) garantisce ai cittadini un sindacato,
nei confronti di tutti gli atti di amministrazione, con i quali si faccia esercizio di potestà
pubbliche. Nasce da qui la posizione centrale delle istituzioni di giustizia
amministrativa ed è questo il fondamento costituzionale dei TT.AA.RR. e del
Consiglio di Stato.
3) Il Giudice Amministrativo nel ruolo di garante di legalità e giustizia
nella Amministrazione.
Le recenti riforme costituzionali (mi riferisco al Titolo V della Costituzione) nel
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loro complesso hanno esaltato il principio dell’autonomia, definendo un tipo di Stato
“federale” -si dice- (tutto da attuare ancora) fondato sul decentramento e sul pluralismo
dei pubblici poteri che oggi appartengono ai vari Soggetti del Governo territoriale.
Questi Soggetti sono (i Comuni, le Provincie, le Città Metropolitane, le Regioni, lo
Stato). Taluni di questi godono di autonomia legislativa, altri godono di autonomia
statutaria, regolamentare, finanziaria nell’esercizio delle funzioni di governo loro
proprie. Si è voluta questa Riforma per meglio rapportare il governo territoriale alle
esigenze delle collettività locali. E’ facile capire che queste forme spinte di
“decentramento” e di “autonomia” mal tollerano i controlli, di legittimità e di merito,
preventivi o successivi, da parte di organi esterni e sopraordinati.
La riforma costituzionale ha, infatti, spazzato via tutti i precedenti controlli
sull’attività amministrativa. Gli atti, i provvedimenti amministrativi, i Regolamenti, gli
Statuti e quant’altro, appena approvati e pubblicati, diventano oggi immediatamente
esecutivi. Resta un unico rimedio per il cittadino leso: il ricorso (costoso e traumatico,
nonostante tutto) al T.A.R.!
Da qui nasce la centralità del Giudice amministrativo ed il suo ruolo di Garante di
legalità e di giustizia dell’Amministrazione.
Il Giudice Amministrativo, nell’attuale sistema di giustizia, non è però un P.M.;
non grava su di esso l’obbligo di iniziativa giudiziaria; essa appartiene soltanto al
ricorrente, il quale, se vuole una “resa di giustizia” conforme a Costituzione e legge,
deve avere la voglia personale e la capacità (del suo avvocato, s’intende) di prospettare
la controversia, in maniera quanto più possibile completa, sia nei motivi di fatto, sia nei
motivi di diritto, in modo che il Giudice possa trovare la regola di legge più adatta.
Il Giudice deve cogliere le deviazioni della azione amministrativa esplorando fatto
e norme, le quali si “illuminano vicendevolmente” (parole testuali del grande Maestro
Abbamonte). E’ questa l’essenza del sindacato affidato al G.A..
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Il Giudice Amministrativo, forte del potere istruttorio, che oggi la Legge gli
riserva, non esercita a pieno il ruolo –come vuole la Costituzione- di garante di legalità
e di giustizia (nell’Amministrazione), se non ricostruisce il fatto nei suoi presuposti,
elementi e nei fini che hanno dato i contenuti alla funzione amministrativa esercitata e
finita sotto accertamento giudiziale. Il G.A., fermo sull’atto, stante il tipo di processo
impugnatorio, deve, però andare oltre lo schermo dell’atto, che sovente offusca le
ragioni vere dell’azione amministrativa. Lo sappiamo tutti cosa si nasconde, spesso,
dietro gli atti dell’Amministrazione.
Signori Amministratori non sono i G.A. a picconare il sistema di gestione della Vostra
Comunità territoriale: è la Costituzione, che vuole un sindacato penetrante, accordando
ai cittadini tutela nei confronti di tutti gli atti amministrativi, nessuno escluso (artt. 24 e
113) i quali atti amministrativi devono perseguire sempre, il buon andamento
dell’Amministrazione, nonché assicurare giustizia e legalità (art. 100). L’eccesso di
potere, costante parametro di legalità e giustizia, presente nelle nostre Sentenze ed
Ordinanze, deve essere dunque scovato e represso. L’eccesso di potere –da non
confondere mai con l’abuso di potere- è l’applicazione ipocrita della legge. Anche
queste parole, direi testamentarie, sono del Prof. Abbamonte (Lunga vita all’insigne
Maestro).
E’ in questo senso che si coglie la centralità della posizione riservata dalla
Costituzione al Giudice Amministrativo, il quale la realizza, nel suo ambito territoriale,
giorno per giorno, esercitando il suo potere sotto gli occhi delle Autorità e dei Cittadini
che vedono nelle sentenze rese la reale misura della tutela dei singoli nei confronti del
potere.
Per la verità, al T.A.R. di Latina e Frosinone, noi (qui il plurale maiestatis è
d’obbligo, perché tutte le nostre decisioni, nessuna esclusa, sono sempre collegiali)
oltre che rendere giustizia sotto gli occhi delle Autorità e dei cittadini, cerchiamo di
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guardare negli occhi le Autorità ed i ricorrenti e di essere, a nostra volta, guardati negli
occhi, attraverso un’attività istruttoria penetrante che, forse, mi si permetta, spesso è
mancata nel processo amministrativo. Mi riferisco alle consulenze, alle verificazioni
tecniche da noi guidate, alle ispezioni dei luoghi per carpire de visu lo stato dei fatti
controverso, alla audizione, in camera di consiglio, delle parti e dei loro legali e tecnici
di fiducia, per percepire “de audito” i più salienti punti controversi della causa.
Questa attività ci distoglie un pò, ed appesantisce il lavoro; ma l’utilità che se ne trae,
nella resa di giustizia, è davvero grande. Siamo appassionati ed entusiasti di questo
“modus decidendi”; e mi sembra che lo siano anche i Signori Avvocati.
Il privilegio e la garanzia di questo sindacato penetrante non sta, solo, nel far
emergere, “in toto”, il fatto controverso nella sua oggettiva realtà, e nel confrontarlo
con i canoni costituzionali del buon andamento, della legalità e della giustizia
nell’Amministrazione, ma nel radicare, nelle Autorità amministrative emananti
(Consigli, Giunte Comunali, Sindaci, Dirigenti, ecc.) un approccio nuovo allo
svolgimento della attività amministrativa, più conscio delle responsabilità che si
assumono e più fortificato dallo impegno profuso nella predisposizione ed emanazione
dell’atto. Essi sanno che in caso di giudizio, davanti al T.A.R., non saranno solo i legali
a vedersela con il Giudice, ma saranno essi stessi a guardare ed essere guardati negli
occhi dai Giudici, i quali chiederanno loro, nell’Aula di giustizia, di giustificare l’atto e
con esso il potere pubblico esercitato.
Il Giudice amministrativo solo così percepisce e vive la centralità della sua
funzione giustiziale e diventa, in questo modo, garante di legalità e giustizia, mediando,
in nome della legge, tra cittadino e Autorità.
Un siffatto accertamento giudiziale reca un altro vantaggio: agevola la
realizzazione di un altro principio vigente, dal 1993, nel nostro ordinamento: quello
della separazione tra attività politica di programmazione e di indirizzo, oggi affidata ai
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soggetti politici, e attività amministrativa gestionale, affidata ai soggetti burocratici.
Questi ultimi, dovendo essi stessi spiegare, direttamente al giudice, la ratio dei loro atti,
e la finalità con essi perseguita, mettono più attenzione nella motivazione dell’atto,
giustificando debitamente il potere esercitato e trovano più forti ragioni di autonomia e
di opposizione nei confronti delle Autorità politiche, proprio come vuole la legge. Non
è poco, per i tempi che corrono!
La funzione amministrativa, che di per sè implica l’esercizio discrezionale di
potestà, nel perseguimento di un interesse pubblico, è l’oggetto costante del giudizio
amministrativo, che deve far emergere il rispetto della generale trasparenza e
razionalità delle funzioni pubbliche esercitate.
Le norme sul procedimento amministrativo e sulla semplificazione della funzione
pubblica sono certamente strumenti straordinari di garanzia, “ex ante”, di legalità e
giustizia. Quando non bastano (e purtroppo accade sovente anche a causa
dell’abolizione di tutti i controlli) viene in aiuto il G.A. nella sua funzione
equilibratrice tra cittadino ed Autorità, ovvero tra interesse individuale privato ed
interesse pubblico.
Il corretto esercizio del potere da parte di Voi Amministratori pubblici oggi siete
in tanti ad ascoltare e Vi ringrazio, è la prima garanzia di legalità della funzione
pubblica e degli interessi dei singoli.
Noi giudici amministrativi non disconosciamo i gravi ostacoli che (Voi) incontrate
nel corso del procedimento e le responsabilità, anche di tipo patrimoniale, che oggi
assumete nell’esercizio della Vostra attività. La comprensione (alta) del giudice non lo
esime, tuttavia, dall’annullare atti e trarne le conseguenze anche di tipo risarcitorio, in
presenza di vizi di legittimità che deviano l’azione amministrativa e recano danni ai
cittadini. Molti atti, troppi, cadono ancora, nelle nostre aule, per il più antico dei vizi di
legittimità; ossia il difetto di motivazione. Ricordatevi che motivare l’atto non significa
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fare una esercitazione letteraria per rendere, in bella forma, l’atto stesso; significa
invece, giustificare il potere esercitato, nell’interesse pubblico, (indicando, come recita
l’art. 3 L n. 241, i presupposti di fatto e di diritto nonché le risultanze emerse nel corso
dell’istruttoria).
Mi piace osservare -e quando mi capita, abondo- che pur con tutte le copernicane
trasformazioni dell’Ordinamento e della P.A., vige sempre, per tutti i soggetti che
operano nell’Amministrazione, il principio costituzionale che ogni attività, senza
eccezione alcuna, va sempre finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo o
pubblico, che dir si voglia. E’ bene esercitata la potestà pubblica, se è soddisfatto
l’interesse pubblico. E’ questo il connotato vero della P.A., pur nella sua nuova veste e
nei suoi nuovi fini. E se qualcuno dice che oggi tutto è cambiato, rispondiamo pure che
nulla è cambiato!
La stella polare dell’interesse pubblico è sempre più alta e brillante. L’interesse
pubblico è la guida per ogni operatore!
Pensiamo agli interessi pubblici che deve tutelare un Comune: l’ambiente,
l’urbanistica, la viabilità, l’istruzione, i servizi pubblici, la riscossione delle imposte,
ecc.. Non bastano i soldi per tutto! Si rischia il dissesto!
E in caso di conflitto, quale interesse pubblico prevale? Lo stabilisce il titolare del
potere, motivando i propri atti, a giustificazione del potere esercitato. Se nasce un
contenzioso, la parola passa al G.A., giudice della funzione pubblica, il quale entra in
campo per tutelare in via diretta l’interesse pubblico e, in via mediata, quello privato.
L’istruttoria penetrante -nei sensi ricordati- compiuta dal G.A., con consulenze,
verificazioni, audizioni, ispezione dei luoghi, appare spesso come una sorta di
investigazione diretta sui soggetti operanti e giù critiche alla G.A. da parte dei Soggetti
interessati, i quali arrivano anche a tacciare i giudici ed i provvedimenti giudiziali di
invasività delle scelte politiche ed amministrative compiute! Può darsi che qualche
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giudice ecceda; in tal caso il biasimo è giustificato!
Il biasimo generalizzato (ed è tanto di moda in questi anni) è, invece, il segno negativo
dei tempi perchè si dimentica che il G. per tradizione, storia e Costituzione è il Giudice
(Ordinario) della funzione pubblica; esso rifiuta istintivamente il coinvolgimento
diretto nell’Amministrazione attiva ed è, a dir però spaventato, dal poter sostituire
l’Amministrazione. E’ un “credo” fermo di noi G.A. quello di lasciare
all’Amministrazione la “riserva” dell’Amministrazione.
E’ questa la soglia invalicabile per noi G.A.. E’ un dato genetico che ci portiamo
appresso! Eppoi, gli Avvocati, al pari dei Giudici, sono i garanti delle competenze
intangibili della P.A.! Con questo ho terminato. Spero di essere riuscito a trasmettervi i
principi basilari del sistema italiano di Giustizia Amministrativa. Quando si conoscono
i cardini di un sistema, si è sulla strada giusta per conoscere il funzionamento globale
dell’intero sistema.
Con questi sentimenti, forti dell’impegno ad assicurare la credibilità del processo
Amministrativo, in termini di celerità, imparzialità, equilibrio, effettività, tutti valori da
riferire ormai al Superiore ordinamento giuridico europeo ed al cittadino europeo e con
l’auguriio di rincontrarci di qui ad un anno -che Dio lo voglia- dichiaro aperto, per il
T.A.R. di Latina e di Frosinone l’Anno Giudiziario 2005.
4) La Giustizia amministrativa nella sua dimensione quantitativa: dati
nazionali, pontini e ciociari.
Mi piace, ora, darvi la dimensione quantitativa della G.A., in campo nazionale, in
terra pontina e ciociara.
La Legge n. 205 del 2000, con le sue rilevantissime modifiche sul processo
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amministrativo, è entrata in vigore nell’agosto del 2000. I dati statistici che prendiamo
a riferimento sono del 2003 in campo nazionale e del 2004 in sede locale.
Il processo rappresenta, come è agevole intuire, il momento patologico
dell’attività amministrativa: esso rivela, di norma, i mali che affliggono la Legislazione
e l’Amministrazione, causati da normative inadeguate o da applicazioni non perfette di
normative pur buone.
Con l’applicazione della legge n. 205, il contenzioso ebbe, nell’immediato, una
contrazione, rispetto ai 100.000 ricorsi annui, consolidati, dovuta al trasferimento della
giurisdizione sul Pubblico Impiego contrattualizzato al Giudice del lavoro. Ora il
contenzioso ha ripreso a crescere ed il numero complessivo di ricorsi ha raggiunto di
nuovo la quota precedente.
Nel 2003, un cittadino su 726, ha proposto, a torto o a ragione, un ricorso
giurisdizionale davanti al T.A.R. contro una P.A.. La necessità di ricorrere è
determinata essenzialmente dal progressivo peggioramento tecnico della legislazione e
dalla dispersione di competenze tra tanti Enti ed Organi. Complessivamente, in tale
anno, il contenzioso amministrativo è aumentato in primo grado, dell’8% ed in appello
del 18%.
Al T.A.R. di Latina i dati sono oscillanti. Dal 1996 al 2004 questa è la sequenza. 1674
– 1311 – 1228 – 1264 – 1950 – 1499 – 1458 – 1347 – 1325. Mancano annualmente
circa 350-400 ricorsi, che pur di competenza di Latina, sono proposti al T.A.R. di
Roma.
Questi ricorsi, in assenza di eccezione di incompetenza, restano incardinati a Roma. Il
nostro Ordinamento, non vi meravigliate, consente anche di poter scegliere il Giudice.
Solo le parti possono muovere eccezioni e riportare la causa dinnanzi al Giudice
naturale. Ma se non lo fanno le parti, il giudice scelto non può sollevare, d’ufficio,
l’incompetenza territoriale. Qualche sospetto di incostituzionalità della norma, è forse
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ravvisabile!
Vorremmo auspicare una inversione di tendenza del contenzioso, perchè se questo
accadrà, significherà che le leggi e la loro applicazione, da parte dei multiformi
soggetti che ora compongono la P.A., saranno ispirate al bene generale, pubblico e
collettivo. La riforma dell’Ordinamento costituzionale e del sistema amministrativo,
con il decentramento “spinto”, e con le maggiori autonomie locali ed i maggiori poteri
amministrativi, soprattutto in questa fase di avvio, non consente di poter effettuare
previsioni ottimistiche.
Vedete, la stessa (ben nota) legge sul procedimento amministrativo (la n.
241/1990) ha fatto anch’essa lievitare il contenzioso e ciò non può non sorprendere se
si pensa che il suo obiettivo primario era proprio quello di normalizzare l’attività
amministrativa, renderla più trasparente, più partecipata, meno autoritativa, meno
unilaterale, più proporzionata al contemperamento degli interessi pubblici e privati. In
ogni caso, diciamolo, si tratta di una legge di avanzata civiltà giuridica. Gli effetti
positivi si avranno più in là nel tempo. Nella giungla delle norme vigenti, continua la
“caccia all’errore” che tanto paralizza l’Amministrazione e spesso nulla porta al
privato.
La produttività del Giudice Amministrativo di I° grado è aumentata, nella misura
del 36% nell’anno 2003. Il T.A.R. di Latina è esattamente nella media nazionale per
produttività. Nel 2004 a Latina, sono state pubblicate, in totale 1461 Sentenze e 913
Ordinanze cautelari: ognuno dei magistrati ha quindi scritto 450 Sentenze e 300
Ordinanze. Sono stati emessi, inoltre, 111 decreti ingiuntivi, respingendone
solo 47: 140 Ordinanze e Decreti Presidenziali di vario tipo. Nonostante la grave
carenza di organico, dovuta al collocamento anticipato al riposo di un magistrato ed al
trasferimento di altro magistrato, transitato al Consiglio di Stato, la produttività del
T.A.R. di Latina, nel 2004, è aumentata di ben 98 sentenze.
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I rimedi approntati dal Legislatore (riti accelerati e vari rimedi di natura
processuale ed organizzativa) sono utili ma non adeguati, dal punto di vista strutturale,
rispetto alla domanda di giustizia: 400 Giudici amministrativa in servizio, non tutti
impegnati nell’attività giudiziaria, non ce la fanno! Nel 2004, a Latina, così come in
campo nazionale, pur essendo in servizio solo 3 Magistrati su 5, sono stati decisi più
ricorsi rispetto a quelli introitati.
Come sapete, tutto il personale alle dipendenze della P.A., contrattualizzato,
quanto al contenzioso –eccetto le procedure di assunzione- è passato al giudice
ordinario. E’ rimasto al Giudice amministrativo il contenzioso per talune categorie
(alcuni dicono forti) di pubblici dipendenti: magistrati, avvocati dello Stato, militari e
corpi di polizia, carriera prefettizia e diplomatica professori universitari. Tali
trasferimento di giurisdizione al Giudice Ordinario ha ridotto anche a Latina, il
contenzioso sul pubblico impiego. Tale contenzioso in campo nazionale, nel 2003, ha
raggiunto l’11,7%; a Latina, nel 2004, il 14% (185 ricorsi).
La materia dell’edilizia ed urbanistica occupa in campo nazionale il primo posto
nel contenzioso amministrativo, con una % del 25%.
Segue al secondo posto, la materia Igiene, Sanità ed Ecologia, ed al terzo posto
l’Attività della P.A.. A Latina, i ricorsi in edilizia ed urbanistica, nel 2004 hanno
raggiunto la percentuale del 43,5% che è quasi doppia di quella nazionale. Il
contenzioso in edilizia ed urbanistica subirà nei prossimi anni un generalizzato arresto,
a causa del recente condono edilizio che sospende tutti i provvedimenti amministrativi,
giurisdizionali pendenti nella materia. Un numero consistente di ricorsi (sui 3000)
pendenti in materia edilizia, nel corrente anno e nel 2006 scompariranno dall’arretrato,
divenendo essi improcedibili, per l’avvenuta presentazione delle domande di nuovo
condono. Il T.A.R. di Latina sta effettuando, iniziando dal 2004 ed andando a ritroso,
una vasta attività istruttoria, a tappeto, rivolta ai ricorrenti ed ai Comuni, per conoscere
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se, dopo il provvedimento sanzionatorio irrogato (sanzione finanziaria, sospensione
lavori, demolizione, acquisizione) sia stata o meno presentata, per lo stesso immobile
sanzionato, una domanda di sanatoria edilizia o di condono. Partiranno, in questi
giorni, migliaia di O.P.I. (Ordinanze Presidenziali Istruttorie) dirette ai Comuni delle
provincie di Latina e Frosinone, ai quali viene assegnato un tempo di 120/180 giorni
per inviare la relativa documentazione di condono. Si tratta di un impegno massiccio
per gli stessi Comuni che dovranno attrezzarsi al meglio per adempiere alla richiesta
istruttoria.
E’, ancora elevato, il numero dei ricorsi per l’esecuzione del giudicato o di
sentenze di I° grado (esecutive) non sospese dal Consiglio di Stato; è questo un chiaro
sintomo dell’inottemperanza delle Amministrazioni Pubbliche di fronte alle sentenze
del Giudice.
Quanto agli esiti, i ricorsi in I° grado sono accolti per il 57,98%.
In concreto, un pò di più di un provvedimento su due, emesso dalla Pubblica
Amministrazione (tra quelli portati in giudizio) è illegittimo!
Il T.A.R., più accoglista è la Sicilia con l’80% (questo potrebbe significare che la
P.A. in Sicilia sbaglia più frequentemente). Segue la Campania con il 71,65% e la
Calabria con il 62%. Nel Lazio, si accolgono, in I° grado il 45%. I T.A.R. meno
accoglisti sono quello di Trento (28,16%), della Valle d’Aosta (26%), della Toscana
(32%). Questo può significare che la P.A. a Trento, ad Aosta ed in Toscana opera più
legittimamente!
Le sentenze di I° grado appellate sono il 10,54%. Di queste, il 43,41% è riformato
in appello. Ne consegue che le sentenze di I° grado diventano definitive nella
percentuale del 97,10%. La Giustizia Amministrativa la si fa prevalentemente in I°
grado.
E’ ovvio che i casi più importanti arrivano in Consiglio di Stato che esplica
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mirabilmente -va riconosciuto- un importante ruolo di nomofilachia nell’ambito della
Giustizia Amministrativa.
Concludo, ringranziandovi ancora di cuore, anche per la pazienza e l’attenzione
con la quale mi avete ascoltato.
BIBLIOGRAFIA
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