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Il Maestro e le margherite, presentazione

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La qualità dell’assistenza sanitaria secondo Avedis Donabedian

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Il Maestro e le margherite

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Il Maestro e le margheriteLa qualità dell’assistenza sanitaria secondo Avedis Donabedian

Edizione italiana commentata a cura di Stefania Rodella

Con contributi di Julio Frenk Mark Best e Duncan Neuhauser Haroutune K. Armenian

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Stefania RodellaCoordinatore dell’Osservatorio Qualità ed EquitàAgenzia Regionale di Sanità della Toscana

Prima edizione italiana: novembre 2010Titolo originale: An Introduction to Quality Assurance in Health Care© 2003 by The American University of Armenia CorporationPublished by Oxford University Press, Inc.© 2010 Copyright per l’edizione italiana e per i testi di Rodella, Frenk, Best, Neuhauser e ArmenianIl Pensiero Scientifico EditoreVia San Giovanni Valdarno 8, 00138 RomaTel. (+39) 06 862821 – Fax (+39) 06 [email protected] – www.pensiero.itwww.facebook.com/PensieroScientifico

Tutti i diritti sono riservati per tutti i PaesiNessuna parte del presente volume può essere riprodotta,tradotta o adattata con alcun mezzo (compresi i microfilm,le copie fotostatiche e le memorizzazioni elettroniche)senza il consenso scritto dell’Editore La violazione di tali diritti è perseguibile a norma di legge

Stampato in Italia dalle Arti Grafiche Tris srlVia delle Case Rosse 23, 00131 RomaProgetto grafico e impaginazione: Typo srl, RomaIn copertina: una mappa storica dell’Armenia (Photos.com)e un ritratto di Avedis DonabedianCoordinamento editoriale: Bianca Maria SagoneISBN 978-88-490-0331-4

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Presentazione dell’edizione italiana di Stefania Rodella VII

Avedis Donabedian, il mentore globale di Julio Frenk XXVII

Avedis Donabedian, medico e poeta di Mark Best e Duncan Neuhauser XXXI

Avedis Donabedian, ricordi personali di Haroutune K. Armenian XXXIII

Presentazione dell’edizione originale di Rashid Bashshur XXXVII

Prefazione dell’autore XXXIX

Guida alla lettura XLI

An introduction to quality assurance in health care

Introduzione 3

1. Le componenti della qualità nell’assistenza sanitaria 15

2. Determinare l’oggetto del monitoraggio 47

3. Stabilire le priorità da sottoporre a monitoraggio 55

4. Selezionare gli approcci alla valutazione della performance 59

5. Formulare criteri e standard 71

6. Ottenere le informazioni necessarie 89

7. Scegliere quando e come misurare 101

8. Costruire un sistema di monitoraggio 123

9. Cambiare i comportamenti 129

10. L’efficacia del monitoraggio di qualità 139

Appendice 145

Bibliografia 153

Opere di Avedis Donabedian sul tema della quality assurance 157

Indice

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VI Il Maestro e le MargherIte

Schede di approfondimento di Stefania Rodella

1. Il Total Quality Management (TQM) 12

2. I cicli della qualità 14

3. Qualità dell’assistenza: modelli concettuali 36

4. Efficienza 39

5. Quality-Adjusted Life Years 40

6. Equità in salute e nell’assistenza sanitaria 42

7. Relazione tra qualità delle cure e risultati di salute 69

8. Indicatori per il monitoraggio e la valutazione della qualità 85

9. Modelli cognitivi in relazione con la salute 143

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Il Maestro è “Mister structure, process and outcome”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi allievi. Le sue teorie sulla qualità dei servizi sanitari, delineate per la prima volta alla fine degli anni ’60, hanno avuto fortuna duratura e grande diffusio-ne in molti Paesi e per almeno 40 anni, anche se, come egli stesso afferma, non sempre sono state correttamente comprese.

Il nome Avedis in armeno significa “buone notizie”; il co-gnome è stato diffusamente citato con pronuncia americana (donabìdian), mentre Avedis preferiva comprensibilmente la pronuncia tradizionale armena (donabediàn). Le fotografie più recenti lo ritraggono come un signore canuto, con gli occhiali, una figura esile e un’espressione un po’ apprensiva, che in alcu-ne immagini scivola in un accenno di sorriso. Di lui sir Muir Gray, che ha recensito il testo inglese originale di questa tradu-zione, ha detto “Avedis Donabedian era un Armeno e la sua nazionalità era in molti modi tanto importante per lui quanto lo erano per Archibald Cochrane le radici scozzesi”.1 Il libro “An introduction to quality assurance in health care” è stato scritto nella fase finale di ciò che il curatore del volume ha descritto come una “battaglia con un avido cancro che indeboliva i suoi muscoli ma lasciava intatta la sua mente” ed è stato pubblicato nel 2003, tre anni dopo la sua morte all’età di 81 anni.

Le margherite sono le sue poesie. Più precisamente, una di esse, “Daisies in winter”, tratta dalla raccolta non pubblicata ‘‘A second supplement to recollections of fugitive loves” e ripro-

1 “Avedis Donabedian: Introduction to quality assurance in healthcare”. Book review by Sir Muir Gray: www.healthcarecultureprogramme.org/podcasts/1/

dotta nel 2004, con il permesso del figlio Haig Donabedian, nella rivista Quality and Safety in Health Care.

Di quest’arte, che praticò per tutta la vita, il Maestro disse, quando la sua fine era prossima:

Quando ero giovane, scrivevo poesie d’amore. Nell’età di mezzo ho scritto poesie religiose. Diventando vecchio ho iniziato a scri-vere dei vecchi amici, dei vecchi amori e delle mie esperienze giovanili. Più di recente le mie poesie sono diventate di nuovo a sfondo religioso. Scrivere poesie è molto importante per me. Sono Armeno ma sono cresciuto in Palestina con amici arabi, ebrei, cristiani. Sono andato a scuola in Libano ma ho speso la gran parte della mia vita adulta negli Stati Uniti. Tutte queste espe-rienze hanno arricchito il mio lavoro come medico e come inse-gnante. Ma è la poesia che più di ogni altra cosa dice chi sono.

VII

Presentazione dell’edizione italiana

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VIII Il Maestro e le MargherIte

In una corrispondenza del 1997 con Duncan Neuhauser,2 che gli chiede di inviargli un libro dei suoi versi, Avedis risponde: “Non c’è nessun libro né, probabilmente, ci sarà. La mia poesia è decisamente fuori moda, immersa com’è in un romanticismo antiquato e per giunta di insufficiente virtuosismo. Per lo più, ho scritto per me stesso, non tanto per mio personale piacere, ma per il bisogno di fronteggiare in qualche modo le cose do-lorose nella mia vita”. “Ma la tua poesia”, risponde Neuhauser, “attraversa il confine tra il nostro austero lavoro professionale e la nostra condizione umana ricca di emozioni... con la poesia dici alle generazioni future che la nostra colta ricerca di una migliore assistenza sanitaria è stata condotta da donne e uomi-ni appassionati e sensibili”.3

Questa traduzione, per i lettori italiani, di quello che è stato il testamento intellettuale di Donabedian, risponde a più di un intento. Il primo di essi potrebbe essere ascritto alla vo-ce “storia del pensiero”: a distanza di molti anni dalla pubbli-cazione in lingua italiana di un’altra sua opera ormai esaurita e quasi introvabile,4 è sembrato utile rendere facilmente acces-sibile un testo classico, conciso e al tempo stesso rappresenta-tivo del pensiero di uno studioso che, in tutto il mondo, è stato forse più citato che letto.

Un secondo intento esprime un’esigenza di continuità: tan-te sono state le teorie e diversi i modelli, proposti e applicati in molti Paesi, così come in Italia, a sostegno di azioni e pratiche più o meno estese per il miglioramento della qualità dei servi-zi sanitari. In ognuno di essi sussistono probabilmente elemen-ti già presenti in altri; tuttavia troppo spesso accade che nuovi modelli o teorie, più o meno intenzionalmente, si sostituiscano

2 Duncan Neuhauser, Professore presso il Dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica della Case School of Medicine, Case Western Reserve University, Cleveland, USA.3 Best M, Neuhauser D. Avedis Donabedian: father of quality assurance and poet. Qual Saf Health Care 2004; 13:472-3.4 Donabedian A. La qualità dell’assistenza sanitaria. Roma: Carocci, 1990.

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Due poesie di Donabedian tratte dalla raccolta non pubblicata “A second supplement to recollections of fugitive loves”, 1995-1996 (per gentile concessione della Fundación Avedis Donabedian di Barcellona).

IXPresentazIone dell’edIzIone ItalIana

a quelli che già esistono, presentandosi come “il nuovo” e per-petuando un’apparenza di contrasto e opposizione là dove in-vece probabilmente sarebbe possibile far emergere la sostanza delle analogie, la gradualità degli arricchimenti, la molteplicità delle prospettive. Rileggere Donabedian ha dunque significato anche una verifica di “attualità”, una ricerca di corrispondenze, un’attenzione a ciò che è comune, che non cambia, che rimane

valido, che può a ragione rappresentare ancora oggi “una base sicura”5 contro l’invadente frammentarietà e discontinuità dei nostri tempi; ma è stato anche un esercizio critico, un’occasio-ne per riflettere, fare associazioni, condurre approfondimenti e riproporli, di pari passo, al lettore, come una traccia – certa-mente una delle tante possibili – per un viaggio guidato nella letteratura e nelle esperienze del mondo della qualità, discipli-na tuttora controversa e in parte sfuggente, anch’essa probabil-mente, come i testi di Donabedian, più citata che appresa, più dichiarata che praticata.

Il terzo intento si ricollega ad ambizioni pedagogiche (an-zi, andragogiche). Donabedian parla ai professionisti e sotto-linea la valenza etica che per loro dovrebbe rivestire un impe-gno concreto sulla qualità. È un messaggio di cui siamo forse in molti a sentire ormai, insistentemente, la mancanza; una dimensione, quella dell’etica professionale, che troppo poco, o troppo timidamente, o solo da alcune rare voci, viene asso-ciata alla teoria e alla pratica della qualità nei servizi socio-sanitari. Perché se è vero che le nostre organizzazioni molto devono ancora imparare per applicare con successo i metodi e gli strumenti della buona gestione, è altrettanto vero che nessun professionista, a cominciare da coloro che promuovo-no e guidano le piccole e grandi imprese a cui vengono affi-date ogni giorno assistenza e cura di “coloro che soffrono”,6 dovrebbe allentare o rinunciare a perseguire quella tensione etica quotidiana che, al di là di ogni soluzione, innovazione o riorganizzazione pratica, più o meno vincente, continua ad essere la condizione essenziale a cui ancorare risposte e garan-zie da offrire a chi cerca aiuto per la propria salute.

5 Questa espressione è stata presa in prestito dal titolo italiano di un celebre libro dello psicanalista britannico John Bowlby, che sviluppò la teoria dell’attac-camento, affermando che “tutti noi, dalla nascita alla morte, siamo al massimo della felicità quando la nostra vita è organizzata come una serie di escursioni, lunghe o brevi, dalla base sicura fornita dalle nostre figure di attaccamento”.6 Così si esprime infatti Donabedian nel suo stesso libro (vedi Prefazione dell’autore).

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X Il Maestro e le MargherIte

La vita 7

Donabedian era nato nel 1919 a Beirut, in Libano, negli ul-timi tempi del genocidio del popolo armeno.8 Il padre e la madre, di origini contadine, venivano da una piccola città della Turchia centrale, Hoghe (Harput in turco),9 non lontana dalla capitale. La nonna paterna, che in qualche modo aveva a che fare con la medicina, poiché era una specie di guaritrice popolare e ostetrica autodidatta, era molto ansiosa di dare a suo figlio un’educazione. Così lo mandò a un ottimo college,

7 Le notizie qui riportate sono state tratte soprattutto da due fonti: un’intervi-sta ad AD condotta da Edward Berkowitz (professore di Storia e politiche pub-bliche presso la George Washington University) nel 1998, dal titolo “History of Health Services Research Project: interview with Avedis Donabedian”, pubblicata sul sito della National Library of Medicine (National Information Centre on Health Services Research and Health Care Technology – NICHSR): www.nlm.nih.gov/hmd/nichsr/donabedian.html; e un obituary pubblicato nel 2000 sul Bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (vol. 78, n. 12) dopo la morte di Donabedian, scritto da Julio Frenk, suo ex allievo molto amato e a quell’epoca Executive Director dell’Evidence and Information for Policy presso l’OMS a Ginevra. Le informazioni contenute in queste due fonti sono state integrate da altri testi, citati nelle note di questa presentazione.8 L’espressione genocidio armeno – talvolta olocausto degli Armeni o massacro degli Armeni (in lingua armena Hayoc’ C’eġaspanowt’yown o Medz Yeghern “gran-de crimine”, in turco Ermeni Soykırımı “genocidio armeno”) – si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli Armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione di Armeni negli anni 1915-1916. Il termine genocidio è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli Armeni il 24 aprile. Il 24 aprile 2010 è stato commemorato il 95° Anniversario del Genocidio Armeno. Sul piano interna-zionale, al 2010 sono 21 gli stati che hanno ufficialmente riconosciuto il geno-cidio, tra cui l’Unione Europea (sei risoluzioni adottate tra il 1987 e il 2005) e l’Italia, con una risoluzione adottata nel 2000 (http://genocide.am). 9 Harput, o Kharput, città della provincia di Elharzig situata a un’altitudine di circa 1000 metri, si trova tra il Tigri e l’Eufrate; quindi la regione corrisponde all’antica Mesopotamia (tra i fiumi), ma da un punto di vista geografico è in real-tà collocata nell’Anatolia orientale. Nella sua storia recente, è stata per molti anni un importante centro per i missionari americani, che avevano costruito un semi-

l’Euphrates College, diretto dai missionari americani. Il padre concluse gli studi e per un po’ di tempo insegnò, ma c’erano problemi politici e così decise di lasciare tutto, nonostante avesse davvero pochi soldi, per andare a Beirut a studiare me-dicina in un’università americana. La madre rimase ad Harput con due figlie, ma a un certo punto iniziarono le deportazio-ni. Così Donabedian parla di questo periodo storico:

Talvolta li chiamano massacri, altre volte genocidio, ma fonda-mentalmente consistevano nel raccogliere gli uomini armeni più influenti e fucilarli: raccoglierli in gruppi, fucilarli e poi seppel-lirli in fosse comuni. Donne e bambini e alcuni uomini più an-ziani venivano deportati e quindi strappati via da qualunque luogo in cui vivessero e mandati a marce forzate attraverso il deserto, attraverso l’Iraq, giù fino in Siria. Alcuni arrivarono fino al Libano e alla Palestina. Lungo la strada morivano di fame, di malattia, di attacchi diretti, morivano perché venivano gettati in grotte o spinti in acqua. Sono morti in tanti, davvero tanti; le stime parlano di un milione, un milione e mezzo, nessuno lo sa con precisione. Mia madre è passata attraverso tutto questo.

Molti componenti della famiglia di Avedis morirono, incluse le sorelle. Ma la madre fu veramente coraggiosa, forte, piena di risorse, intelligente. Non era andata a scuola, fu il marito, dopo il matrimonio, a insegnarle a leggere e a scrivere in ar-meno. Ma sopravvisse al disastro. Nel frattempo, il padre stu-diava medicina ed era più o meno al sicuro perché a Beirut non ci furono deportazioni o saccheggi.

Dopo le terribili esperienze della guerra, i genitori di Dona-bedian si riunirono a Beirut. Qui nacque dunque Avedis, duran-

nario teologico, delle scuole ed il “Collegio dell’Eufrate” per le loro missioni pro-testanti. Nel novembre 1895, durante quelli che furono chiamati i “massacri ha-midiani”, Kharput fu attaccata, molte case, chiese e monasteri armeni furono saccheggiati, le scuole protestanti furono date alle fiamme. Molti Armeni perirono nei massacri. Nel 1915, Kharput fu una delle città colpite dal genocidio armeno.

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In alto: marcia degli Armeni deportati dalla città di Harput (immagine della Croce Rossa americana).

In basso: profuga armena con il figlio (immagine dalla mostra fotografica di Armin Wegner organizzata dalla Comunità Armena di Roma).

XIPresentazIone dell’edIzIone ItalIana

te la seconda fase degli studi medici del padre che, dopo la laurea, si trasferì in Palestina e si stabilì, con la sua vita e il suo lavoro, a Ramallah, a quel tempo una piccola città che contava circa 3000 abitanti, tutti cristiani, in una zona abitata da musulmani. Il padre lavorò a Ramallah come medico della comunità. Era:

Il tipico esempio di persona che faceva veramente e praticamen-te tutto. Era molto dedicato ai suoi pazienti, ce la metteva tutta nel tenersi aggiornato, leggendo riviste mediche e ordi-nando libri in continuazione. Aveva una grandissima curiosi-tà riguardo alla sua arte e alla sua pratica, ma era soprattutto una persona di grande umanità, davvero gradevole. Visse a Ramallah tutta la sua vita.

Dopo Avedis nacquero due fratelli e una sorella, che in segui-to, come lui, si sarebbero trasferiti negli Stati Uniti. Della propria appartenenza religiosa Donabedian dice:

Siamo cristiani, tutti gli Armeni sono cristiani. Ma non siamo ortodossi, siamo protestanti. I miei nonni si convertirono al Protestantesimo in seguito all’intervento dei missionari in quell’area. Così mio padre era un cristiano e io sono nato co-me cristiano e protestante, così come mia moglie. Siamo Ar-meni cristiani protestanti. Come nazione, gli Armeni sono diventati cristiani intorno al 300 d.C.

Così Donabedian, cresciuto in questa piccola città araba, figlio di un medico, frequenta una scuola quacchera privata (appar-tenente alla rete delle famose “Friend’s Schools”), dove riceve la migliore educazione allora disponibile in Palestina. Ma, so-prattutto, Avedis dichiara di aver ricevuto un’educazione alla coscienza sociale e all’apertura mentale, alla disponibilità ad accettare le differenze:

Penso che tutti coloro che frequentarono quella scuola furono in qualche modo contagiati da questa mentalità e da questa disponibilità ad accettare le diversità. Loro insegnavano che

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XII Il Maestro e le MargherIte

un buon musulmano è esattamente uguale a un buon cristia-no o a un buon ebreo. Così fu davvero una bella esperienza, sia in termini di formazione che di ideologia.

Dopo la scuola superiore decide di studiare medicina, seguen-do le orme del padre, perché, sostiene,

che altro si poteva fare a quei tempi in Palestina? Si poteva scegliere di essere un farmacista, un dentista o un medico. Non credo sia stata una scelta molto ponderata. Mio padre era un medico, io ho fatto il medico... avevo paura del sangue, ma ho scelto di fare il medico.

Per studiare medicina ritorna alla sua Beirut natale, a quell’epoca città cosmopolita, elegante, tranquilla, certo assai diversa da ciò che sarebbe diventata. Lì Avedis incontra Do-rothy, che più tardi sposerà; e qui, come il padre, frequenta l’Università americana. Si laurea nel 1944 e a quel punto, dovendo scegliere la specializzazione, si orienta verso la me-dicina interna, perché...

Non riuscivo a immaginarmi come specialista. Qualunque specialità era semplicemente troppo ristretta. Per intenderci, visitare solo bambini per tutto il tempo... non potevo sce-gliere niente che fosse più limitato della medicina in gene-rale, così sono diventato un medico generalista. Sono torna-to alla città di mio padre, la mia città, Ramallah, e ho perso un po’ di tempo qui e là senza decidere che cosa fare. Alla fine ho preso lavoro all’ospedale della Missione inglese a Gerusalemme.

Ma dopo un anno o due si rende conto dell’utilità di svilup-pare un’esperienza specifica in qualche settore. Così sceglie la pediatria e trascorre sei mesi in Inghilterra, non diventando uno specialista nel vero senso della parola, ma acquisendo maggiori competenze nella cura dei bambini. Erano momen-ti difficili, sia il viaggio di andata sia quello di ritorno vengo-

no fatti in navi militari, cabine separate per donne e uomini, in Inghilterra c’era il razionamento, non c’era frutta, ma Ave-dis ricorda quel periodo come un momento felice e poi, sot-tolinea, “eravamo giovani”. Quando ritorna a Gerusalemme e, dopo aver lavorato per un po’ ancora all’Ospedale della Missione inglese, si accinge ad avviare il suo ambulatorio me-dico privato, scoppia la guerra10 e tutto va in fumo. Donabe-dian e la moglie perdono tutto: proprietà, mobili, libri, ogni cosa. Tornano a Beirut e Avedis ottiene un lavoro all’Univer-sità americana, dove gli viene chiesto di fare “tutto quello che nessun altro voleva fare”. Esercita soprattutto come medico generico, svolgendo anche qualche attività di insegnamento in fisiologia e farmacologia, nutrizione... fa insomma un po’

10 Siamo negli anni ’47–’48, quando ha inizio il conflitto arabo-israeliano.

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In alto: scorcio di Beirut (I love Beirut/photos.com).

In basso: Chiesa Armena di Sant’Elia a Beirut.

XIIIPresentazIone dell’edIzIone ItalIana

di tutto, ma il suo lavoro principale è avere cura di pazienti e studenti, prestando anche servizio in un piccolo “piano di salute” (una specie di Health Management Organization ) col-legato all’Università. Più tardi diventa direttore del Servizio sanitario per gli studenti. Dopo qualche anno di questa atti-vità Donabedian vuole imparare di più, sia sul modo di con-durre un ospedale, sia sulla diffusione delle malattie: la scelta della Public health è pressoché obbligata. E nel 1953 prende la strada degli Stati Uniti e si stabilisce ad Harvard con una borsa di studio, mentre la moglie ottiene una borsa alla Boston University per proseguire i suoi studi in discipline infermieri-stiche. Quando parte, Donabedian spera di poter restare negli Stati Uniti a lungo, per molte ragioni:

La prima ragione era l’incertezza politica. I miei genitori erano rifugiati nel Medio Oriente e non sentirono mai di appartenervi. Erano trattati con ogni riguardo, mio padre era un medico, ma semplicemente non facevano parte di quella popolazione. Loro erano rifugiati, noi eravamo diventati ri-fugiati. Io ero un rifugiato palestinese in Libano, usavo le carte di razionamento. Mi dissi: “Questo accadrà ancora. I miei figli diventeranno rifugiati. Quando è troppo è troppo. Negli Stati Uniti invece potranno sistemarsi in modo abba-stanza stabile”. Poi c’erano ragioni professionali; semplicemen-te vedevo maggiori opportunità. Non volevo essere legato a quell’unica università, senza possibilità di andarmene se aves-si avuto dei contrasti.

Nel 1955 Donabedian conclude il suo Master of Public health. In teoria, secondo gli accordi, egli dovrebbe tornare in Libano e riportare nel suo Paese le competenze acquisite. Ma grazie al suo principale insegnante e supervisore, Franz Goldmann (anch’egli un rifugiato dalla Germania, con una famiglia ebrea), viene presentato a Leonard Rosenfeld, un autorevole ricercatore che acconsente a sponsorizzarlo e lo assume come assistente di ricerca in un suo progetto. Così Avedis smette di essere un vero medico...

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In alto: Università del Michigan.

In basso: Donabedian e il suo allievo Julio Frenk (dal sito della University of Michigan School of Public Health).

Nella pagina a destra: Frenk, ora preside della Harvard School of Public Health.

XIV Il Maestro e le MargherIte

Non ho mai veramente pianificato quello che faccio ora. Quando sono venuto negli Stati Uniti non sapevo nemmeno che cosa fossero la Blue Cross o la Blue Shield.11 Non sapevo proprio nulla. Rosenfeld divenne la persona più importante della mia vita, plasmò i miei interessi e mi formò nel campo della Health services research.

Seguendo il progetto di Rosenfeld, Donabedian comincia a interessarsi alla valutazione di qualità in diversi settori dell’as-sistenza alla popolazione di Boston, tra cui l’assistenza prena-tale, il follow-up in comunità di pazienti con malattie croniche dimessi dall’ospedale, gli standard di cura in diversi tipi di ospedali. Quando quel progetto ebbe termine, dopo un breve periodo trascorso ad insegnare epidemiologia e medicina so-ciale al NewYork Medical College, fu lo stesso Rosenfeld a rac-comandare Avedis per un incarico all’Università del Michigan, presso la scuola di Public health, dove dal 1961 in avanti avreb-be insegnato Health care administration e avrebbe proseguito la carriera accademica, diventando uno dei più autorevoli membri della facoltà.

Qui, ad Ann Arbor, in quegli anni si sta sviluppando un programma multidisciplinare che vede fianco a fianco medici, sociologi, economisti, psicologi, esperti di management, epi-demiologi, statistici, impegnati nell’analisi descrittiva e nella comprensione del sistema sanitario, in una prospettiva che era, di fatto, quella tipica della Health care policy e dell’Health care management.

Penso che le due principali prospettive, in qualche misura in competizione tra loro, siano da un lato quella del welfare e delle politiche sociali e, dall’altro, quella tipica del manage-ment e del privato business-oriented. Non è chiaro quale sarà

11 Blue Cross e Blue Shield rappresentano una Federazione di 39 compagnie di assicurazione degli USA. Le due organizzazioni, nate separatamente l’una nel 1929 e l’altra nel 1939, sono confluite in un’unica federazione nel 1982.

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