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IL MICROSCOPIO OTTICO
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Il pdf di questa lezione (ottica.pdf) e scaricabile dal sito
http://www.ge.infn.it/∼calvini/biot/
Questo materiale consiste in una riedizione di natura
prevalentemente tipografica di una presentazione preparata
dal prof. R. Rolandi.
30/03/2017
Lo scopo di questa parte e la descrizione dei principi fisici
che sono alla base del funzionamento del microscopio ottico.
Il microscopio ottico e uno strumento che di un oggetto
fornisce un’immagine ingrandita.
L’ottica geometrica da una spiegazione sufficientemente ac-
curata del modo con cui il microscopio ottico forma l’imma-
gine ingrandita di un oggetto.
Questa modalita di formazione dell’immagine e comune ad
altri strumenti ottici.
2
OTTICA GEOMETRICA: LUCE E RAGGI
Le onde elettromagnetiche sono oscillazioni del campo elet-
tromagnetico che si propagano con una velocita che nel
vuoto assume il valore c ∼= 2.998 · 10+8 m/s.
La luce rappresenta la parte visibile dello spettro delle onde
elettromagnetiche. I valori di frequenza del visibile stanno
tra 4.3 · 10+14 Hz e 7.5 · 10+14 Hz mentre si hanno (nel
vuoto) valori di lunghezza d’onda tra 4 ·10−7 m e 7 ·10−7 m.
L’ottica geometrica studia la propagazione della luce me-
diante il concetto di raggi, intesi come perpendicolari al
fronte dell’onda elettromagnetica. Il concetto di raggio lu-
minoso e intuitivo, ma per averne un’idea concreta, anche se
approssimata, basta pensare all’effetto della luce che pene-
tra da una piccola apertura in una stanza buia e polverosa.3
La descrizione della propagazione della luce fornita dall’ottica
geometrica e approssimata. Tuttavia l’approssimazione ri-
sulta tanto migliore quanto meglio sono rispettate le seguenti
condizioni, dette condizioni di Gauss:
1) la luce si propaga in linea retta nei mezzi trasparenti,
omogenei e isotropi;
2) la lunghezza d’onda della radiazione impiegata e piccola
rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti ottici;
3) se gli strumenti ottici (lenti, specchi) hanno superfici
sferiche, la dimensione lineare della zona delle superfici in-
vestita dalla radiazione luminosa deve essere molto piu pic-
cola dei raggi di curvatura delle superfici;
4
4) i raggi che investono le superfici ottiche devono essere
quasi paralleli all’asse ottico (raggi parassiali);
5) la radiazione deve essere monocromatica.
Le condizioni 3, 4 e 5 non sono rispettate nei piu comuni
sistemi ottici. Basti pensare che di solito si usa luce bianca,
la quale non e ovviamente monocromatica.
Si hanno spesso aberrazioni di varia natura, per le quali
risulta necessario escogitare compensazioni mediante oppor-
tuni accorgimenti costruttivi.
5
OTTICA GEOMETRICA: 2 LEGGI FONDAMENTALI
Le leggi della riflessione e della rifrazione rappresentano le
due leggi fondamentali dell’ottica geometrica.Nella figura 1-a e riprodotto un e-
sperimento in cui un raggio di luce
proveniente dall’aria incide sulla su-
perficie piana di un oggetto di vetro:
una parte del raggio viene riflessa
all’indietro in aria ed una parte,
quella rifratta, procede nel vetro conuna direzione deviata rispetto all’originale.
Nell’esperimento la visualizzazione dei raggi e stata eseguita
mediante effetti di diffusione (nebbia nell’aria e particelle in
sospensione nel vetro).6
Nella figura 1-b l’esperimento viene
schematizzato geometricamente: θ1
e l’angolo di incidenza, θ′1 e l’angolo
di riflessione e θ2 e l’angolo di rifra-
zione. Con le notazioni usate nella
figura le leggi della riflessione e della
rifrazione possono essere enunciate nel seguente modo:
1) il raggio incidente, quello riflesso e quello rifratto giac-
ciono tutti nello stesso piano che contiene la normale;
2) l’angolo di incidenza e quello di riflessione sono uguali in
base a
θ′1 = θ1 (legge della riflessione) ; (1)
7
3) tra l’angolo di incidenza θ1 e quello di rifrazione θ2 sussiste
la relazione (legge della rifrazione)
sin θ1
sin θ2=v1
v2. (2)
dove v1 e v2 sono rispettivamente le velocita della luce nei
mezzi 1 e 2 (vedi figura 1-b). Per un mezzo i (trasparente)
si puo definire l’indice di rifrazione (assoluto) ni come
ni =c
vi, (3)
ossia come rapporto tra la velocita c della luce nel vuoto e
la velocita vi della luce nel mezzo i. Con questa definizione
la legge (2) puo essere riscritta nella seguente forma
sin θ1
sin θ2=n2
n1. (4)
8
Gli indici di rifrazione sono sempre maggiori dell’unita. Per
il vuoto si ha ovviamente nvuoto = 1.
I valori che l’indice di rifrazione di una sostanza assume
dipendono dalla frequenza/lunghezza d’onda della luce usata
(dispersione della luce). In questa trattazione si supporra di
avere a che fare con luce monocromatica (vedi condizioni di
Gauss).
Nella slide successiva (figura 2) si mostrano i valori degli
indici di rifrazione di alcune sostanze per luce di lunghezza
d’onda λ = 5.893 · 10−7 m (valore di λ nel vuoto, e la riga
D del Na, frequenza f = 5.087 · 10+14 Hz).
9
10
LENTI SOTTILI
Le lenti sono oggetti che servono a deviare in maniera con-
trollata i raggi di luce. Sono percio fatte con materiali tra-
sparenti aventi indici di rifrazione diversi da quello dell’aria
ed hanno due superfici di cui almeno una e curva.
Ci si limitera a considerare lenti sferiche, cioe lenti le cui
facce sono calotte sferiche. Una delle due facce puo essere
anche piana (raggio di curvatura infinito).
La retta congiungente i centri di curvatura delle due calotte
sferiche e detta asse ottico.
11
Inoltre ci si limitera a considerare solo le lenti sottili, tali
cioe che il loro spessore lungo l’asse ottico risulti trascurabile
rispetto ai raggi di curvatura in gioco.
La trattazione geometrico-matematica delle lenti sottili e
abbastanza semplice. In particolare il piano della lente puo
essere introdotto con l’assunzione che la lente giaccia in
questo piano, che e perpendicolare all’asse ottico. Il punto
intersezione tra l’asse ottico ed il piano della lente e detto
centro della lente e verra indicato nelle figure con O. Le
proprieta ottiche delle lenti sottili sono simmetriche rispetto
al piano della lente.
Nella slide successiva (figura 3) sono riprodotte le sezioni di
alcuni tipi di lenti.12
13
LENTI CONVERGENTI
Le lenti convergenti trasformano un fascio di raggi paralleli
all’asse ottico in un fascio di raggi che convergono verso
l’asse ottico e lo intersecano in un punto chiamato fuoco.
Le lenti divergenti non verranno trattate in questi appunti.
La distanza del fuoco dal piano della
lente viene indicata con f ed e detta
distanza focale. Ogni lente ha due
fuochi ed un’unica distanza focale
in quanto i due fuochi sono disposti
simmetricamente rispetto al piano
della lente e ne sono equidistanti.
14
La distanza focale f dipende dal materiale di cui e fatta
la lente, dal mezzo in cui essa e immersa e dai raggi di
curvatura delle superfici della lente secondo l’equazione
1
f=n2 − n1
n1
1
R1−
1
R2
, (5)
dove n1 ed n2 sono rispettivamente gli indici di rifrazione
del mezzo in cui e immersa la lente e di quello del materiale
di cui la lente e fatta. Le quantita (con segno) R1 ed R2
sono i raggi di curvatura relativi rispettivamente alle facce
anteriore e posteriore della lente (... rispetto alla direzione
di arrivo dei raggi).
Il loro segno viene stabilito in accordo con la seguente con-
venzione che e la stessa usata per i diottri sferici:15
un raggio di curvatura viene considerato positivo quando il
corrispondente centro di curvatura risulta “a valle” rispetto
alla direzione di arrivo dei raggi luminosi e negativo se il
centro di curvatora si trova “a monte”.
Pertanto le distanze focali possono essere tanto positive
quanto negative. Pero nel caso delle lenti convergenti sono
sempre positive.
In particolare, nel caso di lente convergente biconvessa la (5)
da due contributi positivi in quanto R2 e negativo. Nel caso
di lente con faccia piana, il corrispondente contributo nella
(5) e nullo in quanto si ha un raggio di curvatura infinito.
16
LENTI SOTTILI: COSTRUZIONE IMMAGINE
Se le condizioni di Gauss vengono rispettate, una lente sot-
tile fa corrispondere a punti luminosi posti su di un piano
perpendicolare all’asse ottico punti immagine posti su un
altro piano pure perpendicolare all’asse ottico (ortoscopia
della lente). I due piani sono detti piani coniugati.
La costruzione geometrica dell’immagine viene eseguita in
base alle 3 seguenti regole:
a) i raggi che passano per il centro della lente (O), definito
come l’intersezione del piano della lente con l’asse ottico,
non vengono deviati;
b) i raggi paralleli all’asse ottico sono deviati dalla lente in
modo tale da passare per il fuoco “a valle”;17
c) proseguono paralleli all’asse della lente i raggi tali che
essi o i loro prolungamenti all’indietro hanno attraversato il
fuoco “a monte”.
Due sole rette sono necessarie per localizzare la posizione
di un punto immagine. Pertanto delle 3 regole enunciate, 2
sole bastano. L’uso della terza puo servire per controllo.
Nella figura 5 si
mostra come una
lente convergente
forma l’immagine
di una candela.
18
Nella figura 6 della slide successiva viene mostrata la costru-
zione dell’immagine A’B’ che una lente convergente forma
dell’oggetto AB.
Il piano della lente (perpendicolare al foglio ed indicato con
linea tratteggiata) divide lo spazio in due semi-spazi. Quello
a sinistra, che contiene l’oggetto, e detto spazio oggetto,
l’altro e chiamato spazio immagine.
Nella figura p rappresenta la distanza dell’oggetto dal piano
della lente e q da la distanza dell’immagine pure dal piano
della lente. Un eventuale valore negativo per q va interpre-
tato come immagine posizionata nello spazio oggetto.
19
20
Tra p, q e la distanza focale f della lente vale la seguente
relazione, detta equazione dei punti coniugati,
1
p+
1
q=
1
f, (6)
la quale tipicamente viene utilizzata per ricavare q, noti p ed
f . Nel caso descritto nella figura 6 i valori di p, q ed f sono
positivi.
Si osservi che le linee che determinano la posizione dell’im-
magine seguono il percorso dei raggi reali. Questo vuol dire
che, se si mette uno schermo in corrispondenza del piano che
contiene A’B’, si puo osservare l’immagine sullo schermo.
Se al posto dello schermo ci fosse una pellicola fotografica,
questa rimarrebbe impressionata.21
In questa configurazione geometrica la lente convergente
da di AB un’immagine reale in quanto formata dall’incrocio
dei raggi luminosi veri e propri. Questo fatto e collegato
con la positivita di q e quindi con l’essere A’B’ nello spazio
immagine. Si ha concentrazione di energia luminosa in cor-
rispondenza di un’immagine reale.
Si vedra in seguito che, quando q e negativo, si ha la for-
mazione di un’immagine virtuale posizionata nello spazio
oggetto. L’immagine virtuale e formata dal prolungamento
all’indietro dei raggi luminosi e nella sua posizione non si ha
concentrazione di energia luminosa.
22
INGRANDIMENTO LINEARE
Si definisce ingrandimento lineare (o trasversale) M di una
lente il seguente rapporto
M = −q
p= −
f
p− f= −
q − ff
, (7)
che, in base alla similitudine dei triangoli ABO e A’B’O
della figura 6, eguaglia in valore assoluto il rapporto A′B′AB
tra
l’altezza dell’immagine e l’altezza dell’oggetto. Per ricavare
la seconda uguaglianza e la terza serve la (6).
La quantita M puo essere sia positiva che negativa: ad un
valore positivo per q corrisponde un valore negativo per M
(immagine reale capovolta) mentre ad un valore negativo
per q corrisponde un valore positivo per M (immagine vir-
tuale diritta).23
MICROSCOPIO SEMPLICE
Si usa una lente convergente come microscopio semplice
se si colloca tra fuoco e lente l’oggetto di cui si desidera
un’immagine ingrandita. La lente cosı impiegata funge da
lente di ingrandimento. Eseguendo la costruzione grafi-
ca (figura 7), si ottiene un’im-
magine virtuale diritta nello
spazio oggetto. Con f > p ≥ 0 il
calcolo da q < 0 e in base alla (7)
si ottiene M ≥ 1. L’immagine
virtuale, formata dal prolunga-
mento all’indietro dei raggi lumi-nosi, e vista dall’occhio dell’osservatore che vede l’oggetto
piu grande e dove non e.24
OCCHIO E CAMERA OSCURA
E un dato di fatto che una lente convergente usata come
lente di ingrandimento “fa vedere un oggetto piu grande”.
La quantificazione “di quanto piu grande” necessita di al-
cune considerazioni sul funzionamento dell’occhio e porta
all’introduzione del concetto di ingrandimento visuale, an-
che detto ingrandimento angolare.
Dal punto di vista ottico l’occhio degli animali superiori e
una camera di forma grosso modo sferica formata da una
parete opaca in cui si trova un’apertura. L’apertura e occu-
pata da una lente (cristallino) munita di diaframma (l’iride).
L’immagine si forma sulla retina, che e situata sulla calotta
sferica opposta all’apertura anteriore.25
La retina e l’equivalente della lastra fotografica o, meglio,
del sistema di sensori delle macchine fotografiche digitali.
La retina e composta da cellule fotosensibili (coni e baston-
celli) che trasformano il segnale luminoso in segnale bio-
elettrico e lo inviano al cervello, il quale lo interpreta come
immagine(∗). Il principio base del funzionamento dell’occhio
e lo stesso della macchina fotografica e della camera o-
scura. Quest’ultima e semplicemente una camera a pareti
opache con una sola piccola apertura (foro stenopeico) pre-
sente in una parete. I raggi provenienti da un oggetto ed
entranti nella camera attraverso l’apertura formano sulla
parete opposta della camera un’immagine reale capovolta
dell’oggetto.(∗) vedere il sito
http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/mineman/didattica/did2000/Fisica4/ottica
26
La nitidezza e la luminosita dell’immagine dipendono dalle
dimensioni dell’apertura. Sino a quando sono rispettate
le condizioni dell’ottica geometrica, ossia dimensioni lineari
dell’apertura molto maggiori della lunghezza d’onda della
luce usata, quanto piu piccola e l’apertura, tanto piu nitida,
ma meno luminosa, risulta l’immagine. Infatti, come si vede
in figura, da uno stesso
punto dell’oggetto par-
tono piu raggi che at-
traversano il foro ed in-
contrano la parete in
punti diversi. Un punto luminoso viene trasformato in una
estesa zona luminosa, la cui dimensione puo essere ridotta
restringendo il diametro del foro stenopeico.27
Infatti, restringendo il diametro del foro si restringe la di-
mensione trasversale del fascio di raggi che, originati da
uno stesso punto, riescono ad attraversare l’apertura. Cosı
facendo si rende l’immagine piu nitida, ma meno luminosa.
Per avere immagini nitide e luminose allo stesso tempo, si
pone, al posto dell’apertura, una lente convergente che au-
menta il numero di raggi che, originati da ogni punto dell’og-
getto, entrano nella camera e convergono nel punto cor-
rispondente dell’immagine. Lo scotto da pagare per questa
soluzione consiste nel fatto che la lente, per la legge dei punti
coniugati, forma un’immagine nitida solo ad una distanza q
che dipende dalla sua distanza focale f e dalla distanza p
dell’oggetto dal piano della lente.28
Percio lo schermo dove si forma l’immagine non puo essere
posto a una distanza qualsiasi dall’apertura dove e situata la
lente. Se la lente ha distanza focale fissa si deve cambiare
la distanza dello schermo dalla lente a seconda dei valori
di p, che individuano la posizione dell’oggetto. Questo e il
caso delle macchine fotografiche. L’operazione di “messa a
fuoco” consiste proprio nel regolare la distanza tra la lente
e la pellicola affinche questa venga a coincidere con la po-
sizione del piano immagine quale e definita dalla legge dei
punti coniugati.
Nell’occhio invece la messa a fuoco avviene attraverso l’a-
dattamento della distanza focale della lente (cristallino). In-
fatti appositi muscoli (muscoli ciliari) cambiano i raggi di
curvatura delle superfici del cristallino (accomodamento).29
INGRANDIMENTO VISUALE
Nella figura 9 viene illustrata la geometria della formazione
dell’immagine sulla retina. L’oggetto AB e posto alla di-
stanza d dall’occhio.L’immagine MN reale e
capovolta si forma sulla
retina, alla distanza δ dal
cristallino. L’elaborazione
cerebrale fa percepire MN
come diritta. I raggi AM e
BN non sono deviati inquanto passano per il centro O della lente cristallino e for-
mano l’angolo 2ω, che rappresenta l’angolo di visuale.
30
Infatti, quando si osserva l’oggetto AB ad occhio nudo, le
sue dimensioni apparenti sono in relazione alle dimensioni
dell’immagine MN che si forma sulla retina e all’angolo di
visuale 2ω sotto il quale l’oggetto e visto dall’occhio. In base
alla relazione, valida per piccoli angoli di visuale,
MN ∼= 2ω δ ∼= ABδ
d(8)
la dimensione MN , che quantifica il numero di recettori della
retina impegnati nella visione di AB, puo essere aumentata
riducendo d mediante l’avvicinamento di AB all’occhio e
sfruttando la capacita di accomodamento del cristallino.
Pero le capacita di accomodamento sono limitate e si as-
sume come minima distanza per la visione distinta il valore
d◦ = 25 cm = 0.25 m (distanza del punto prossimo).31
Se si da all’occhio un qualche strumento per aumentare
l’angolo di visuale di un oggetto rispetto a quanto otteni-
bile ad occhio nudo, si definisce come ingrandimento visuale
o ingrandimento angolare Iv fornito dallo strumento il rap-
porto
Iv =2ω′
2ω◦=
M ′N ′
(MN)◦(9)
tra l’angolo di visuale 2ω′ ottenuto con l’ausilio ottico ed
il miglior angolo di visuale 2ω◦ ottenibile ad occhio nudo.
L’ingrandimento Iv e anche uguale al rapporto tra le dimen-
sioni delle immagini sulla retina nelle due situazione cor-
rispondenti.
32
MICROSCOPIO SEMPLICE
L’interposizione di una lente convergente di piccola distanza
focale f (microscopio semplice o lente di ingrandimento) tra
occhio ed oggetto e in grado di produrre un buon valore per
Iv.
33
L’oggetto AB posto tra il fuoco F1 e la lente produce un’im-
magine diritta virtuale A’B’ che viene vista dall’occhio sotto
l’angolo 2ω′. Se AB e molto vicino a F1, l’immagine virtuale
A’B’ e molto lontana, le due rette B’O” e B’O’ sono quasi
parallele e si puo approssimare ω′ con ω′′ ∼= AB2 f . Con queste
approssimazioni il calcolo dell’ingrandomento angolare Iv da
Iv =2ω′
2ω◦∼=
2ω′′
2ω◦∼=AB
f
d◦AB
=d◦f. (10)
In queste condizioni si puo scrivere per l’ingrandimento an-
golare ottenibile da una lente convergente di distanza focale
f l’espressione
Iv =d◦f
=0.25 m
f=
D
D◦=
D
4 diottrie, (11)
34
dove D = f−1 e detto potere diottrico di una lente e viene
misurato in diottrie = m−1 e D◦ = 1d◦
= (0.25 m)−1 =
4 diottrie. Pertanto una lente con potere diottrico D =
12 diottrie produce un ingrandimento visuale Iv = 3 X.
Dalla (11) e evidente che l’ingrandimento visuale offerto
dalla lente di ingrandimento risulta inversamente proporzio-
nale alla sua lunghezza focale e in linea di principio non ci
sono limiti all’ingrandimento ottenibile purche si utilizzino
lenti con distanze focali abbastanza piccole. Tuttavia l’im-
piego di siffatte lenti pone diversi problemi di costruzione e
di uso e si preferisce usare il microscopio composto.
35
MICROSCOPIO COMPOSTO
Con il termine microscopio usualmente si vuole indicare il
microscopio composto, il cui schema ottico e mostrato nella
figura 11. Il microscopio composto e formato da due lenti
convergenti: la prima, quella piu vicina all’oggetto da e-
saminare, ne forma un’immagine reale capovolta e viene
chiamata obiettivo, mentre la seconda, quella piu vicina
all’occhio del microscopista, viene chiamata oculare e forma
un’immagine virtuale ingrandita della precedente immagi-
ne reale, con la quale condivide l’orientamento. L’occhio
vede l’immagine virtuale, la quale risulta capovolta rispetto
all’oggetto da esaminare.
36
Il disegno non e in scala con un vero microscopio. Per ragioni
grafiche la lunghezza del tiraggio s e stata disegnata molto
ridotta.
37
Come si vede nella figura 11, l’obiettivo forma dell’oggetto
AB l’immagine reale capovolta A’B’, la quale a sua volta
costituisce l’oggetto per l’oculare. La distanza tra obiettivo
e oculare e regolata in modo che l’immagine A’B’ si formi
tra il fuoco dell’oculare e lo stesso oculare, il quale fun-
ziona da lente di ingrandimento formando l’immagine vir-
tuale A”B” di A’B’. In definitiva il microscopio composto
funziona in maniera analoga al microscopio semplice, for-
mando un’immagine virtuale e ingrandita dell’oggetto che si
vuole esaminare.
Sulla base del modo di funzionare del microscopio composto
si puo scrivere l’espressione per il suo ingrandimento visuale
Iv come segue38
Iv = |Mob|d◦foc
= |Mob|0.25 m
foc, (12)
dove il rapporto rappresenta l’ingrandimento angolare dell’o-
culare ottenuto in base alla (10), mentre il fattore Mob e
l’ingrandimento lineare dovuto all’obiettivo. Infatti l’oculare
guarda un’immagine reale ingrandita proprio di questo fat-
tore, il quale in base alla (7) puo essere espresso come
|Mob| =|qob|pob
. (13)
Nelle normali condizioni operative (vedi la figura 11) si ha
pob∼= fob e qob
∼= s, dove con s si indica il tiraggio, che e la
distanza tra il fuoco dell’obiettivo ed il fuoco dell’oculare.39
Finalmente si arriva a scrivere per l’ingrandimento visuale Iv
del microscopio composto l’espressione
Iv =s d◦fob foc
. (14)
Si vede che l’ingrandimento visuale cresce con il tiraggio s.
Negli strumenti moderni, adatti ad alti ingrandimenti, si ha
per il tiraggio s ∼= 16 cm, fob puo essere di qualche mil-
limetro (es. fob ∼ 0.5 cm) e foc di qualche centimetro (es.
foc ∼ 2.5 cm). Da questi valori derivano per l’ingrandimento
visuale numeri dell’ordine di circa 300 X−400 X. Nei micro-
scopi da dissezione o stereomicroscopi, usati nei laboratori
per manipolare piccoli campioni e che devono avere un largo
campo visivo e grandi distanze di lavoro (grande fob), gli in-
grandimenti di solito non superano i 20 X − 30 X.40