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41 Il nostro West ALESSANDRO BISON E ROBERTO PERIN FOTO DI LUCIANO ZOPPELLARO 1861 L’Italia (non tutta, in verità) è finalmente unita. A par- te alcune propaggini ancora austriache e Roma, per la quale sarebbe stato necessario attendere il fatidico 20 settembre 1870, l’Italia era finalmente “una” ma, come è noto, la resistenza all’- annessione al Regno d’Italia si sarebbe ben presto esplicata anche attraverso il fenomeno del brigantaggio. Questo fatto costituisce un elemento importante della nostra storia che è, in realtà, la storia di un’arma: la pistola a rotazione mod.1861 da Reali Carabinieri. Correva l’anno 1861, dicevamo, e l’ex Regno delle Due Sicilie, anche se an- nesso all’Italia, era tutt’altro che “pacificato”, dato che le bande di briganti, a- dottando le tecniche della guerriglia, stavano mettendo a dura prova le truppe italiane impegnate nella zona. Inizialmente, in virtù della loro mobilità, furono i Bersaglieri ad essere im- pegnati nella lotta contro i briganti. In seguito fu la volta dei Carabinieri. Ben presto fu evidente che i briganti, da bravi guerriglieri, attaccavano di sorpresa e a colpo sicuro. Diventava, perciò, pressante la necessità di dotare le truppe di un’arma efficiente e moderna, che permettesse anche al singolo isolato di far fronte ad un congruo numero di assalitori, a loro volta armato, nella maggior parte dei casi, con armi non modernissime: a parte il trombone, che spesso nel- l’iconografia popolare accompagna i fuorilegge, i briganti erano armati di dop- piette da caccia, di pistole ad avancarica, dei tipici pugnali di fattura meridiona- le, probabilmente di molte armi ex borboniche “riciclate” e, naturalmente, di quelle tolte al “nemico”. La scelta cadde su un prodotto all’epoca modernissimo che, con poche mo- difiche, sarebbe diventato la nostra 1861, la prima arma di ordinanza dell’Italia Unita ad essere concepita ex-novo. Se consideriamo la lunga storia delle armi di ordinanza dell’Esercito Italiano dall’Unità ad oggi, troveremo ben pochi esempi di adozione di armi concettual- mente “nuove”, ed a dire il vero ce ne vengono in mente solo tre: l’adozione del fucile Vetterli, che fu adottato nel 1870 per sostituire il Carcano del 1868 (una trasformazione a retrocarica dei precedenti fucili a luminello). Mutuato dalla versione adottata dall’Esercito svizzero, a differenza di quest’ultimo utilizzava cartucce a percussione centrale (nella versione svizzera erano a percussione a- nulare) e mancava del sistema di ripetizione, che sul Vetterli svizzero era del tipo Kropatschek. La mancanza del sistema di ripetizione si può spiegare con la

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Il nostro West ALESSANDRO BISON E ROBERTO PERIN

FOTO DI LUCIANO ZOPPELLARO

1861 L’Italia (non tutta, in verità) è finalmente unita. A par-te alcune propaggini ancora austriache e Roma, per la quale sarebbe stato necessario attendere il fatidico 20

settembre 1870, l’Italia era finalmente “una” ma, come è noto, la resistenza all’-annessione al Regno d’Italia si sarebbe ben presto esplicata anche attraverso il fenomeno del brigantaggio. Questo fatto costituisce un elemento importante della nostra storia che è, in realtà, la storia di un’arma: la pistola a rotazione mod.1861 da Reali Carabinieri. Correva l’anno 1861, dicevamo, e l’ex Regno delle Due Sicilie, anche se an-nesso all’Italia, era tutt’altro che “pacificato”, dato che le bande di briganti, a-dottando le tecniche della guerriglia, stavano mettendo a dura prova le truppe italiane impegnate nella zona. Inizialmente, in virtù della loro mobilità, furono i Bersaglieri ad essere im-pegnati nella lotta contro i briganti. In seguito fu la volta dei Carabinieri. Ben presto fu evidente che i briganti, da bravi guerriglieri, attaccavano di sorpresa e a colpo sicuro. Diventava, perciò, pressante la necessità di dotare le truppe di un’arma efficiente e moderna, che permettesse anche al singolo isolato di far fronte ad un congruo numero di assalitori, a loro volta armato, nella maggior parte dei casi, con armi non modernissime: a parte il trombone, che spesso nel-l’iconografia popolare accompagna i fuorilegge, i briganti erano armati di dop-piette da caccia, di pistole ad avancarica, dei tipici pugnali di fattura meridiona-le, probabilmente di molte armi ex borboniche “riciclate” e, naturalmente, di quelle tolte al “nemico”. La scelta cadde su un prodotto all’epoca modernissimo che, con poche mo-difiche, sarebbe diventato la nostra 1861, la prima arma di ordinanza dell’Italia Unita ad essere concepita ex-novo. Se consideriamo la lunga storia delle armi di ordinanza dell’Esercito Italiano dall’Unità ad oggi, troveremo ben pochi esempi di adozione di armi concettual-mente “nuove”, ed a dire il vero ce ne vengono in mente solo tre: l’adozione del fucile Vetterli, che fu adottato nel 1870 per sostituire il Carcano del 1868 (una trasformazione a retrocarica dei precedenti fucili a luminello). Mutuato dalla versione adottata dall’Esercito svizzero, a differenza di quest’ultimo utilizzava cartucce a percussione centrale (nella versione svizzera erano a percussione a-nulare) e mancava del sistema di ripetizione, che sul Vetterli svizzero era del tipo Kropatschek. La mancanza del sistema di ripetizione si può spiegare con la

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Briganti ed il loro armamento, tratti da “Il brigantaggio in immagini” di Carlo Palestina

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scarsa fiducia delle alte cariche dell’Esercito nel soldato italiano, che disponen-do di un fucile “ad elevata celerità di tiro” avrebbe sprecato inutilmente muni-zioni, e forse anche con la scarsa fiducia nel sistema Kropatschek, magari rite-nuto poco adatto agli strapazzi ai quali sarebbe stato sottoposto…dal soldato italiano. Il problema fu risolto definitivamente nel 1887 con l’adozione del si-stema di alimentazione Vitali (la Regia Marina seguì una strada autonoma, con le modifiche Bertoldo del 1882 e Ferracciù del 1890). La pistola Mauser 1899 per la Regia Marina, che fu la prima pistola automatica ad essere adottata su larga scala da una Forza Armata e che, probabilmente, piacque molto anche per la possibilità di trasformarla in una piccola ed efficiente carabina, mediante l’-applicazione del caratteristico calciolo-fondina, dotando, così, i marinai di un’-arma compatta, potente (soprattutto in confronto ai nostri revolver mod. 1874 e 1889), relativamente maneggevole e in grado di erogare un elevato volume di fuoco. Durante le prove per l’adozione fu verificato che l’arma era sufficiente-mente potente da abbattere un cavallo, mettendo così i nostri marinai in grado di difendersi anche da attacchi di cavalleria nel non improbabile caso, visti i tempi e le aspirazioni coloniali italiane, che qualche drappello fosse sbarcato chissà dove per “mostrare i muscoli” della nostra “Italietta”. Della nostra 1861, a distanza di 140 anni dalla sua adozione, a colpirci è proprio la modernità con-cettuale rispetto non solo alle armi precedentemente in dotazione, che spesso

Lefaucheux mod. 1861 da RR.CC con alcune rare cartucce a spillo…. di recente as-semblaggio

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Lefaucheux mod.1861 RR.CC tratto da L. SALVATICI, Pistole Militari Italiane, ed. Olim-pia-1985

Colt 1860 Army

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Confronto tra le due armi “coetanee”, appare evidente la diversa lunghezza e praticità del porto tra le due armi

Osservate la notevole lunghezza del tamburo Colt rispetto alla Lefaucheux. Indica la diversa capacità delle camere del tamburo e la conseguente maggior potenza della Colt. In compenso la Lefaucheux, oltre a pesare circa 200 grammi in meno si carica con velocità sorprendenti rispetto a qualsiasi arma ad avancarica

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erano pistole ad avancarica derivate (per trasformazione) da precedenti modelli a pietra focaia, ma anche alla molto più quotata, e coeva, produzione d’oltre oceano (potenza del grande schermo…). Da queste considerazioni è nata l’idea di titolare l’articolo: perché nel bene e nel male, anche la ’61 costituisce un simbolo di un’epoca in cui in Italia la “frontiera” era meno tangibile, ma non per questo meno viva nelle menti di coloro i quali vissero le prime tumultuose fasi dell’Unita d’Italia. Abbiamo pensato quindi di confrontare la “nostra” pi-stola con la coeva produzione d’oltre oceano, segnatamente le Colt Navy e Army. A dire il vero, bisogna ammettere che la mod. 1861 non sfigurava affatto, anzi: probabilmente assuefatti a considerare le pistole a spillo come armi dozzi-nali e di maneggio poco sicuro ed oltretutto anche fragili, condizionati nel no-stro giudizio dalla vista di innumerevoli esemplari “replicati” in Belgio e Spa-gna da (fortunatamente per loro) sconosciuti artigiani, abbiamo dimenticato l’e-sistenza dei molto più rari (e seri) esemplari militari. Confrontiamo quindi le armi in questione: la Colt e la mod.1861. Riportia-mo le due armi disegnate in esploso e due foto, per aiutare il confronto struttu-rale. Hanno entrambe il telaio aperto, ma mentre nella prima il sistema di bloc-caggio canna-castello avviene con un traversino passante nell’asse del tamburo, nella seconda questo avviene per avvitamento e successivo bloccaggio alla par-

Lefaucheux “canna corta”

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te inferiore del castello con una vite. “Sistema poco pratico e che richiede l’uso di un attrezzo (cacciavite, coltel-lo…) per smontare la pistola, diranno i soliti esterofili”, aggiungendo magari che “una volta persa la vite …..”. E noi ribatteremo che, nel corso degli anni, probabilmente era la canna di una Colt a cominciare a “ballare” prima (ne sanno qualcosa i collezionisti che possiedono esemplari “riparati d’epoca” proprio nella zona della giunzione canna-castello). Inoltre, per quanto sia spiacevole perdere la preziosa vitina della Lefaucheux, questo almeno non comporta lo sfilamento della canna (sì, perché se è difficile perdere il traversino – che in apertura viene fermato a fon-do corsa da una apposita vitina – se per un qualsiasi accidente questo esce dalla sua sede, la canna della Colt si sfila). Un’altra considerazione: attrezzi o non attrezzi, le pistole di questo tipo an-davano sì smontate (anche per pulirle dalle fecce derivanti dall’uso della polve-re nera), ma probabilmente non così di frequente come potremmo supporre, proprio per la necessità di non far prendere gioco alle varie parti. Inoltre la Le-faucheux, al contrario delle Colt destinate principalmente agli ufficiali unioni-sti, era data in dotazione anche alla truppa, con tutto quello che ne consegue in termini di possibilità di danneggiare filetti, smarrire vitine, eccetera eccetera. Quindi in ogni caso era molto meglio far visionare periodicamente le armi a un armiere qualificato, dotato del famoso cacciavite, piuttosto che trovarsi per le mani vari pezzi di ferraglia. A proposito: un vecchio manuale, riferendosi al ’91, recita “… è bene che il cacciavite sia, in massima, maneggiato dal solo capo-squadra, per impedire che soldati inesperti, nell’allentare e stringere le viti, ne guastino le teste e le parti vicine all’arma…”. E si parla di smontare il ’91 che, come sappiamo, non è certo un esempio di sofisticazione e delicatezza meccanica… “Le pistole a spillo sono fragili”: si dirà. Relativamente parlando, sì. Una pistola a castello chiuso è più robusta di una a castello aperto, ovviamente a parità di materiali impiegati. Molti, ufficiali nordisti, alla fine della Guerra di Secessione, potendo scegliere, si portarono a casa la Remington 1858 e lascia-rono allo Stato le varie Colt. Non si vede però perché una pistola a spillo do-vesse essere meno robusta di un’analoga realizzazione a castello aperto e ad avancarica del tamburo. Molto dipende anche dalla qualità dei materiali impie-gati e, ad onor del vero, non ci sembra il caso di giudicare di scarsa qualità i materiali con i quali è stata realizzata la nostra pistola. Prova ne sia il fatto che, complice probabilmente uno scarso utilizzo, a distanza di 140 anni le armi che abbiamo esaminato si presentano ancora in buone condizioni (a parte leggere tracce di corrosione esterna) e soprattutto funzionano ancora perfettamente, ma di questo parleremo in altra occasione. In sintesi, come sono sempre esistiti i fucili da caccia di pregio, quelli dozzinali e quelli “onesti”, (cioè realizzati sen-za particolari pretese estetiche e ricercatezze stilistiche, ma non per questo me-

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no sicuri e affidabili di altri ben più costosi), esistono pistole a spillo dozzinali (e sono purtroppo la maggior parte) e ne esistono di buona qualità. Queste ulti-me sono generalmente di origine militare o destinate ad un uso militare, di con-seguenza un buon metodo per distinguerle dalle altre è ovviamente il loro cali-bro “sostanzioso”, che si attesta sugli 11-12 mm. Al contrario, consigliamo di diffidare degli esemplari di piccolo calibro, di piccole dimensioni (generalmente dotati di grilletto pieghevole) e soprattutto anonimi, cioè privi di ragione sociale del costruttore. Questi ultimi erano generalmente destinati, so-prattutto a partire dall’introduzione delle cartucce a percussione centrale, ad un pubblico meno abbiente e che non aveva la necessità di usare “sempre” la pisto-la. Erano le armi che il padre di famiglia piccolo-borghese, il medico di campa-gna, il pizzicagnolo non potendo (o volendo) permettersi una delle nuove, pic-cole, modernissime semiautomatiche da tasca o da taschino acquistavano, nella speranza di non doverle mai usare, per riporle nel cassetto del comodino. Come testimoniato da alcuni ritrovamenti, pare che le piccole “spillo” du-rante la Prima Guerra Mondiale siano finite anche in trincea, ultima risorsa dei giovani fanti che le avevano portate da casa o acquistate per poche lire.

Lefaucheux mod. 1861 da RR.CC con un libro “Avvenimenti D’Italia del 1860

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Stando ai dati in nostro possesso proponiamo una sintetica……….

Cronologia

Stati Uniti d’America: 1836 25 febbraio, Samuel Colt brevetta il “tamburo ruotante meccanicamente”, nasce il mito Colt.

1855 5 aprile, Rollin White (ex collaboratore di Samuel Colt) brevetta il “tamburo forato da ambo i lati”.La Smith & Wesson lo acquista e scaduto il brevetto Colt (1857) diventa la ditta produttrice dei più moderni revolver dell’e-poca.

1864 Scade il brevetto White-Smith-Wesson, tutti possono produrre moderni revolver con “tamburo ruotante meccanicamente e forato da ambo i lati”.

Europa: 1800 Primi anni, già si usano rivoltelle con cartucce “lip fire” (una strana ap-pendice laterale al fondello, su cui il cane, battendo, accende la polvere). E’ l’-antenata della “pin fire”, meglio conosciuta come cartuccia a spillo.

1828-1840 In Francia , Houillier e Casimir Lefaucheux, studiano e sviluppano la cartuccia a “spina” detta poi a “spillo”.

1851 All’esposizione mondiale di Londra, , Eugene Lefaucheux (figlio di Casi-mir), presenta la prima rivoltella a spillo.

1854 Eugene Lefaucheux brevetta la sua rivoltella in Gran Bretagna.

1855, All’esposizione mondiale di Parigi, Lefaucheux, ottiene apprezzamenti e stima per la sua arma.

1855 Il Consiglio degli Armamenti Navali Francese, per risolvere l’annoso problema delle rivoltelle ad avancarica, con caricamento lungo e delicato, sca-ricamento difficile, polvere nera perennemente esposta all’umidità e alla salse-dine della vita marinara, cerca e prova varii modelli di revolver. Forte interesse è rappresentato dal revolver di Lefaucheux che utilizzando cartucce a “spillo” si pone come prodotto di avanguardia e innovatore.

1856 - 1857 Molte armi sono provate e scartate. Rimangono in lizza le Le-faucheux, Colt Navy e Beaumont-Adams. Il Consiglio degli Armamenti Navali Francese decide per il revolver di Lefaucheux. I vantaggi erano evidenti sui revolver ad avancarica, più veloce nel caricamento, più leggeri a pari dimensio-ni, assenza della leva calcatoio, uguale robustezza e precisione.

1858 La Marina Francese affida la costruzione del revolver alla Manufattu-ra Imperiale di Saint-Etienne e riceve il nome di “ Pistolet Revolver M.le 1858”, alcune armi sono prodotte anche dalla Escoffier, abituale fornitore

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del governo. Lefaucheux si riserva il diritto di fabbricare e vendere armi analoghe per il mer-cato civile e militare di altri stati.

1859 La Regia Marina Sarda adotta il revolver Lefaucheux; verosimilmente a cagione delle comuni questioni da risolvere e dei contatti tra ufficiali dell’Ar-mata Sarda con i Francesi nel corso di varie spedizioni militari.

1861,17 marzo. E’ proclamato il Regno d’Italia. L’unione territoriale portò e-normi problemi sul piano organizzativo e amministrativo dello Stato. Notevoli poi erano le differenze economiche, sociali, culturali e industriali tra nord e sud. Nasce il “brigantaggio”, inizialmente come resistenza all’invasore piemontese e per rimettere sul trono Francesco II. Fu una “guerra” spietata, la prima dell’esercito italiano, fatta di battaglie, agguati, stragi, reati comuni e vandalismi per entrambe le parti. Tra il 1860 e la fine del 1864, (ma continuò, sporadicamente fino al 1870) impegnò 120.000 soldati dell’esercito italiano, forze di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie nazionali, corpi di volontari contro migliaia di “briganti” organizzati in oltre 400 bande e guidati spesso da abili condottieri come Crocco, Ninco-Nancò, Borjés, Masini, Romano, la Gala. Il numero dei morti, complice la malaria su-però quello dei caduti di tutte le guerre di Risorgimento.

1861, 31 maggio nota n°104 della “Direzione Generale delle Armi speciali – Divisione Tecnica d’artiglieria, sezione Materiale”. In sintesi: I) Ogni Carabiniere riceverà una pistola revolver invece delle due pistole M.1847 di cui è attualmente armato II) Il modello di revolver adottato pei Carabinieri si è quello Lefaucheux già in uso presso la Reale Marina (Giornale Militare 1859, pag.453) con le varianti seguenti: a) Accorciamento della canna di 40 millimetri; b) Bacchetta disgiunta dall’arma. III) Le modificazioni di cui al numero precedente si faranno solo alle pistole revolver di cui si commetterà in avvenire la fabbricazione, ritenendo quali esse si trovano quelle già confezionate di cui si farà acquisto per provvedere imme-diatamente alle esigenze di servizio. IV) I due modelli summenzionati si denomineranno pistola revolver da Carabi-nieri Reali, Mo.1861, e pistola revolver Mo. Lefaucheux secondo che saranno o no modificati nel senso sovraespresso”.

1861, 2 giugno. Primo contratto stipulato con Lefaucheux per 8000 pistole a-naloghe a quelle della Marina Francese. Gli accordi presero avvio tra la fine del 1860 e inizi del 1861 (prima dell’Unità d’Italia).

1861,19 dicembre. E’ pubblicata sul Giornale Militare l’”Istruzione sulle pisto-le-revolver in uso presso i Carabinieri”, nella quale, oltre alla nomenclatura

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delle armi ed alle istruzioni per l’uso e manutenzione, erano descritti i tre diver-si modelli di revolver distribuiti ai militari dell’Arma, ossia: 1) Pistola-revolver M°.1861 2) Pistola-revolver M°. Lefaucheux 3) Pistola-revolver M°. Lefaucheux corta.

Perché da iniziali due tipi di revolver riportati nella nota n° 104 del 31 maggio 1861, si passa a tre revolver nel 19 dicembre 1861? È evidente che “… si farà acquisto per provvedere immediatamente alle esigenze di servizio. Leggasi urgenza di armare i RR.CC. con un solo revolver a sei colpi invece di due pistole ad un colpo per affrontare i gravi disordini nel-l’Italia meridionale. Lefaucheux distribuì inizialmente armi destinate al mercato civile, (mod. Lefaucheux “lungo”), poi ne accorciò la canna sulle successive spedite, (mod. Lefaucheux “corta”), infine, quando fu in grado di rispettare le specifiche del capitolato italiano, ecco la mod. 1861 da RR.CC.

Particolare del tamburo da 6 colpi; più utile di due pistole ad avancarica da un colpo cia-scuna. Notare il mirino saldato a stagno, caratteristica non presente sulle mod.1861: probabile indizio del fatto che le 5000 Lefaucheux “corte” furono ottenute semplicemen-te accorciando la canna delle “commerciali” e riposizionando il mirino

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Tabella 1

Presumibili numeri e matricole di revolver a spillo “regolamentari” Lefaucheux Lunga acquistati circa 3000 pezzi n° di matricola compresi tra 19.000 e 31.000 Lefaucheux Corta acquistati circa 5000 pezzi n° di matricola compresi tra 22.000 e 35.000 RR.CC mod. 1861 acquistati circa 12000 pezzi n° di matricola compresi tra 35.000 e 52.000 Non mancano esemplari con numeri di matricola molto diversi, a testimo-niare ulteriori piccoli ed autonomi acquisti. I numeri di matricola elevati, rispetto al numero delle armi acquistate, deriva dal fatto che Lefaucheux utilizzava un’unica numerazione per diversi prodotti, modelli e vendite. In totale produsse circa 130.000 pistole. Le Lefaucheux furono distribuite ai RR.CC, seguirono le Guardie Doganali (poi Guardie di Finanza), Pubblica Sicurezza, Artiglieria, Genio. Spesso gli uf-ficiali le acquistavano in proprio. L’arma pur essendo presto sostituita con l’ottima ed elegante mod. 1874 con cartuccia a percussione centrale, rimase nei ranghi militari fino ai primi de-cenni del ‘900.

Le due armi a confronto

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Riepilogo Il revolver Lefaucheux ebbe uno straordinario successo. Fu in dotazione alla marina francese, all’Italia, allo Stato Pontificio, all’esercito spagnolo, alla mari-na danese, marina norvegese, all’esercito svedese. Durante la guerra civile ame-ricana, 12.400 revolver furono acquistati dai confederati (sudisti), ma un buon numero ne acquistarono anche gli unionisti (nordisti) sia in calibro 12 che 9 mm. Fu ampiamente usata nella guerra in Crimea; dagli spagnoli nelle loro varie e ampie colonie americane contro le insurrezioni per l’indipendenza, compresa la guerra ispano–americana per il controllo di Cuba. Era un’arma costosa e spesso era in uso solo presso ufficiali o a corpi armati molto specializzati e addestrati. Ampiamente copiato, soprattutto in Spagna, Germania e Belgio, spesso in bassa qualità, per contenerne il prezzo, ma anche con superbi materiali e lavo-razioni, fu costruito in varie forme e calibri compresi tra i 2 e 15 mm. In Italia lo produsse anche la Glisenti. Esistono anche copie belghe realizzate in calibro militare, su licenza Lefau-cheux, dotate anche di doppia azione. Tra i collezionisti ed i musei sono presenti alcune Lefaucheux trasformate, seguendo l’esempio francese (nel 1873 trasformò moltissime mod. 1858 a spil-

Caratteristiche Mod. 1858 Marina Fran-

cese

Lefaucheux “Lungo”

Lefaucheux “Corto”

RR.CC Mod 1861

Lunghezza totale 295 mm 295 mm 257 mm 250 mm Lunghezza canna 155 mm 157 mm 120 mm 120 mm Calibro alla volata 11 mm 11 mm 11 mm 10.7 mm Camere cartuccia 12 mm 12 mm 12 mm 12 mm Lunghezza cilindro 33 mm 33 mm 33 mm 30 mm

Peso arma 1090 grammi 1050 grammi 1000 grammi 980 grammi Bacchetta espulsione bossoli unita all’arma unita all’arma estraibile separata

Coccia dell’impugnatura arrotondata sagomata

a spigoli sagomata a spigoli arrotondata

Ponticello del grilletto

ponticello ovale

sperone d’appoggio

sperone d’appoggio

ponticello ovale

Scheda tecnica Tabella 2

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Osservate nel cerchio la coccia arrotondata, nelle frecce il ponticello ovale e la presen-za della bacchetta per l’espulsione dei bossoli

Osservate nel cerchio la coccia a spigoli, nelle frecce il ponticello con lo sperone e la presenza della bacchetta per l’espulsione dei bossoli

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Lefaucheux “corta”, osservate la coccia a spigoli, il ponticello con lo sperone, e l’assen-za della bacchetta per i bossoli, che potrebbe essere stata persa - o tolta in epoca d’uso per evitare inceppamenti del tamburo?

Mod. 1861 da RR.CC, elegante nella sua semplicità, osservate la coccia arrotondata, il ponticello ovale e l’assenza della bacchetta per l’espulsione dei bossoli, che essendo separata dall’arma è stata persa

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lo in percussione centrale) per impiegare le più funzionali e sicure cartucce a percussione centrale, talvolta lasciando la possibilità di continuare a usare an-che quelle a spillo. Si tratta di interventi eseguiti su singoli esemplari per richie-sta del proprietario con lo scopo di ammodernare l’arma. Riportiamo di seguito i disegni, mancando gli esemplari, e foto delle armi in questione, indicando le differenze più evidenti tra i vari modelli. Bibliografia Alfredo Bartocci - Luciano Salvatici, Armamento individuale dell’esercito Pie-

montese e Italiano 1814-1914, Firenze, 1978 (1° volume) – 1987 (2° volu-me)

Carlo Palestina, Il brigantaggio in immagini, Rionero, 1985 Norm Flayderman, Flayderman’s Guide to antique american firearms (5th Edi-

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mi 9/1973, pp 42-46 Fausto Serra, Le Rivoltelle D’Ordinanza Francesi, Diana Armi 3/1970, pp 62-

68 Alberto Riccadonna, Spilli Benemeriti, Armi e Tiro 8/1998, pp 72-79 Sinossi, Storia Politico-Militare, Roma, 1921 Luciano Salvatici, Tamburi e Fiamme Gialle, Diana Armi 3/1994, pp 76-81