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IL NUOVO CONCETTO IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELL ALLEANZA STRATEGICO DELL ALLEANZA ASPETTI D INTEROPERABILITA GIURIDICA ASPETTI D INTEROPERABILITA GIURIDICA C.V. F ABIO CAFFIO 14 STRATEGIA

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELL ......sostanza se stessa sul piano politico ed organizzativo (pur aprendosi ai paesi dell’ex Patto di Varsavia) ma, dimostrando vitalità e flessibilità,

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  • IL NUOVO CONCETTO IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELL�ALLEANZASTRATEGICO DELL�ALLEANZAASPETTI D�INTEROPERABILITA� GIURIDICAASPETTI D�INTEROPERABILITA� GIURIDICAC.V. FABIO CAFFIO

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    Premessa

    All’indomani dell’operazione in SomaliaUNOSOM II condotta sotto comando econtrollo ONU ma con un Vice ComandanteUSA (1) si è sviluppato in ampio dibattito inseno all’ONU sul tipo di missioni daorganizzare.

    Il punto riguardava in particolare lemissioni di peace-enforcement (intese comeoperazioni coercitive in cui è autorizzato l’usodella forza in situazioni diverse dalla legittimadifesa, contro qualunque parte che ostacoli ilraggiungimento del mandato delle NazioniUnite) (2) che si erano dimostrate di difficilegestione da parte delle N.U.. L’analisi di taliinconvenienti aveva portato il Segretario delleN.U. pro-tempore, Boutros Ghali ad affermarecon franchezza che le operazioni di peace-enforcement “dovrebbero essere condotte dauna Forza multinazionale al di fuori delleNazioni Unite” (3), in quanto né il Consigliodi Sicurezza né il Segretario Generale ha almomento la capacità di dirigere, comandare econtrollare operazioni per tale scopo (azionidi enforcement).

    Il “nuovo corso” delle N.U. hacominciato a ricevere applicazione durantela crisi bosniaca quando, a seguito degliAccordi di Dayton del 1994, il Consiglio diSicurezza ha autorizzato gli Stati membri ele Organizzazioni regionali a creare unaForza multinazionale: il che è stato fattodalla NATO con la “Stabilization Force”(SFOR) (4).

    Il ruolo della NATO nella prevenzionedelle crisi

    Di pari passo con la sempre più evidentedifficoltà delle N.U. a gestire in primapersona l’uso della forza per ristabilire la pacee la legalità internazionale è emersa con

    sempre maggior evidenza l’attitudine e lavolontà della NATO a porsi come attoreprimario della scena internazionale. Ilproblema è che, come è stato detto, leNazioni Unite non avrebbero le capacità permettere in atto operazioni di imposizionedella forza (5).

    È noto d’altronde che la causa di ciò stanel fatto che non sono mai stati attuati gliaccordi previsti dagli artt. 42 e 43 della Cartadelle N.U. di assegnazione di Forze da partedegli Stati membri da impiegare sottol’autorità del Consiglio di Sicurezzacoadiuvato da un Comitato di Capi di StatoMaggiore.

    Da aggiungere infine che non è un misteroche negli anni passati l’atteggiamento degliStati Uniti nei confronti dell’ONU è in certamisura cambiato passando da unincondizionato consenso a dubbi di varianatura circa la capacità dell’ONU di“garantire gli interessi americani di lungoperiodo” (6).

    (1) Non va dimenticato che il contingente USA era anche inserito nella catena di comando nazionale in quanto il Gen. T. M. Montgomery,Vice Comandante dell’UNOSOM II, era anche Comandante delle Forze USA in Somalia (USFORSOM). Vds, al riguardo, M. Cre-masco, “Il caso Somalia” in Comando e controllo nelle forze di pace e nelle coalizioni militari, 189.

    (2) Questa nozione è conforme a quella accolta in Fight it Right: Model Manual on the Law of Armed Conflict for Armed Forces, Internatio-nal Committee of the Red Cross, 1999, 142.

    (3) Boutros Ghali, “Ways to improve the United Nations”, International Herald Tribune, August 17, 1995.(4) Cfr. Manuale della NATO, 1998, 133.(5) Vds. R.N. Garden, “A midlife crisis, but the worldbody has a lot yet to do” International Herald Tribune, June 28, 1995.(6) Così H. Schmidt, “L’alleanza transatlantica nel XXI Secolo” in 50° Anniversario della NATO, Supplemento n. 1 a Rivista della NATO,

    1999, 21.

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    Nessuna sorpresa dunque che in questocontesto sia maturata l’idea, portata avantiprincipalmente dagli Stati Uniti, di fare dellanuova NATO, riformata nella sua strutturamilitare, uno strumento efficace e credibile perassicurare la pace e l’ordine internazionale, inaggiunta ai compiti di difesa collettivanell’ambito della regione euro-atlantica previstidall’art. 5 del Trattato del 1949.

    Dalle teorie si è passati presto ai fatti sottol’incalzare della crisi. Di fronte al rifiuto dellaRepubblica Federativa di Yugoslavia (FRY) diritirare dal Kosovo le proprie Forze militari ineccesso, ponendo quindi termine alla sistematicapersecuzione dell’etnia albanese, il 24 marzo1999 la NATO ha deciso di iniziare gli attacchiaerei contro la FRY. La motivazione esplicita èstata quella di evitare l’aggravarsi della crisiumanitaria nel quadro delle Risoluzioni ONU1160, 1199 e 1203 del 1998. (7)

    Dai fatti si è poi passati agli atti mentre eraancora in corso l’operazione Allied Forces. Nelcorso del vertice di Washington del 23 e 24aprile 1999, tenutosi in occasione del 50°anniversario della NATO, è stato infattiapprovato il documento denominato “Ilconcetto strategico dell’Alleanza” (8) chedelinea per la prima volta i contorni del ruolodella NATO nella gestione delle crisiinternazionali.

    Testo di alto valore politico ed ideale, “Ilconcetto strategico dell’Alleanza” va al di là delquadro consolidato di applicazione del TrattatoNATO e ne rivisita i contenuti in chiave diattualità ed in funzione delle linee evolutivedell’Alleanza nel XXI secolo. La NATO resta insostanza se stessa sul piano politico edorganizzativo (pur aprendosi ai paesi dell’exPatto di Varsavia) ma, dimostrando vitalità eflessibilità, riscrive i suoi compiti (9) tenendo

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    (7) Per una puntuale ricostruzione degli aspetti giuridici dell’intervento NATO cfr. N. Ronzitti, “Lessons of International Law fromNATO’s Armed Intervention against the Federal Republic of Yugoslavia” in The International Spectator, 3. 1999, 45. Le questioni inter-nazionali marittime della stessa operazione sono trattate da F. Caffio, “La dimensione marittima delle operazioni NATO contro il Koso-vo: aspetti legali”, Rivista Marittima, 2, 2000, 35.

    (8) Il testo è in Rivista della NATO, 2, 1999, D7.(9) Si vedano le acute notazioni di C. Jean, “Il nuovo concetto strategico dell’Alleanza” in Affari Esteri, luglio 1999, 528.

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    conto del mutato quadro geopolitico mondialee della chiara impossibilità per l’ONU - anche acausa di pretestuosi veti espressi in seno alConsiglio di Sicurezza - di svolgere il ruolo di“gendarme internazionale”.

    Il documento della NATO è, da tale punto divista, estremamente chiaro, come può leggersi alpunto 6, dove si afferma che “il fondamentale edimmutato obiettivo della NATO, è quello disalvaguardare la libertà e la sicurezza di tutti ipropri membri”. Questo compito tradizionaleviene però allargato nel momento in cui si diceche, in considerazione della possibilità che crisi econflitti tocchino la sicurezza dell’area euro-atlantica, l’Alleanza garantiscenon solo la difesa dei proprimembri, ma contribuisce allapace ed alla sicurezza di questaregione. A tale scopo vieneprevisto che la NATO siapronta, caso per caso e sullabase del consenso dei singoliPaesi, ai sensi dell’art. 7 delTrattato del 1949, adimpegnarsi in operazioni dirisposta alle crisi non previstedall’art. 5.

    Il nuovo principio diintervento della NATO èdefinito più avanti, al punto31 del documento (vds.riquadro), precisando chetali operazioni vannocondotte in conformità aldiritto internazionale econsistono in “operazioni dimantenimento della pace odi altro genere poste sottol’autorità del Consiglio diSicurezza dell’ONU o laresponsabilitàdell’Organizzazione per laSicurezza e la Cooperazionein Europa” (OSCE) (10).

    Il problema del carattere non vincolante, per iPaesi NATO, del documento - che, come s’èdetto, non è un Protocollo aggiuntivo al Trattatodel 1949 ma un semplice atto politico (11) -viene superata dalla soluzione, prevista allo stessopunto 31, che la partecipazione ad ogni missionedi tale tipo rimarrà soggetta alle decisioni degliStati membri “conformemente alle loro costituzioninazionali”. Ogni Paese NATO non ha dunqueun obbligo di intervenire in “operazioni non art.5” ma può decidere di farlo in base aconsiderazioni di politica nazionale ed inrelazione alle decisioni dei propri organiparlamentari (12).

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    (10) Sull’OSCE, nota in precedenza come Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) sino a quando nel 1995 si è tra-sformata in Organizzazione, vds. Manuale della NATO cit., 344 ove, oltre ad indicare l’attuale assetto istituzionale dell’OSCE, si evi-denziano i rapporti con l’Alleanza.

    (11) Cfr. H. Schmidt, “L’alleanza transatlantica nel XXI Secolo” art. cit. 23.(12) Per una valutazione degli aspetti costituzionali, secondo l’ordinamento italiano, connessi all’adempimento dei principi del Concetto

    strategico dell’Alleanza, si rinvia a E. Cannizzaro, “Problemi giuridici sollevati dalla nuova dottrina strategica della NATO”, versioneprovvisoria della relazione presentata nel corso del seminario su Nato, conflitto in Kosovo e costituzione italiana organizzato dalla LUISSe dalla Società Italiana di Diritto Internazionale (Roma, dicembre 1999)

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    Quale diritto per le operazioni “non art. 5”?

    La tipologia delle missioni operative che laNato si propone di svolgere in risposta a crisiche minacciano la sicurezza dell’areatransatlantica comincia solo ora a definirsi. Lacatastrofe umanitaria del Kosovo ne hafornito l’esempio più rilevante. In aggiunta(13) sono indicati i rischi connessi allaproliferazione della armi di distruzione dimassa e al terrorismo internazionale.

    Ciascuna di queste missioni può avereindubbiamente una sua legittimazionepolitico-diplomatica e politico-militarecome dimostra la crisi del Kosovo che si èsviluppata lentamente ma inesorabilmentetra ultimatum della NATO e rifiuti dellaFRY di ottemperare ritirando le sue Forzemilitari dalla regione e ponendo terminealla brutale persecuzione dell’etniaalbanese. Il punto è che l’antico brocardojus est in armis è da tempo superato comeprincipio per la soluzione violenta dellecrisi internazionali, soprattutto ora chel’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite, nelvietare il ricorso all’uso della forza nellerelazioni tra gli Stati membri, al di fuoridei casi di “legittima difesa” (art. 51)configura una norma obbligatoria (juscogens) (14).

    Ecco dunque che è necessario definire lebasi legali della missione della nuovaNATO. Questo non può essere fatto crisidurante, o ex post, come è accaduto perl’operazione Allied Force di fronteall’incalzare dell’emergenza. Né si puòlasciare ai singoli Stati l’onere di definireproprie teorie giuridiche per legittimarel’azione dei propri contingenti in seno allaNATO. Questa inderogabile esigenza èstata presto avvertita dagli studiosi piùattenti. Rimarchevole è, ad esempio,l’analisi formulata sulle colonne dellaRivista della NATO dal professor O. Bring che, valutati tutti gli aspettievolutivi del nascente “diritto di ingerenza

    umanitaria” alla luce del conflitto delKosovo, ha concluso con chiarezza che:

    “La formulazione di una dottrinasull’intervento umanitario varrebbe ad esserel’auspicabile risultato giuridico delle crisi delKosovo. I Paesi della NATO dovrebbero essere iprimi in questo meritevole sforzo” (15).

    È chiaro peraltro che questo esercizio ènecessario nell’ambito della NATO perconsentire ai Paesi membri di definire unadottrina comune delle operazioni “non art.5”, ma non può esaurirsi all’internodell’Alleanza. La NATO, in sostanza, nonpuò elaborare in autonomia proprie teorie pergiustificare l’uso della forza per missioni dicontrasto delle crisi internazionali. Qualsiasiquestione interpretativa del dirittointernazionale va invece sottoposta al pareredella Corte Internazionale di Giustizia che,

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    (13) cfr. H Schmidt, “l’Alleanza transatlantica nel XXI secolo” art. cit., 22(14) N. Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, 1998, 26, nonché E. Cannizzaro, relazione cit.(15) O. Bring, “La Nato dovrebbe assumere l’iniziativa nel formulare una dottrina sull’intervento umanitario”, Rivista della NATO, 3, 99, 27.

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    secondo l’art. 96 della Carta delle N.U., puòessere consultata, per un parere su questionigiuridiche, dall’Assemblea Generale, dalConsiglio di Sicurezza o da altri organi edistituti specializzati delle N.U..

    Analogo problema sussiste per ladefinizione delle basi legali delle azioni volte a

    contrastare le ulteriori minacce alla pace delmondo che, tenendo conto dell’esperienza delXX Secolo, possono identificarsi nei conflittietnici e religiosi, nell’estremismonazionalistico, nella proliferazione delle armidi distruzione di massa (16) e nel terrorismointernazionale (17).

    Non ci vuole molta fantasia perimmaginare, pensando a quel che è giàsuccesso in Algeria negli anni Novanta (18),in Libia nel 1986 (19), in Sudan e Afganistannel 1998, quale tipo di problemicomporterebbero tali minacce. Né è difficilemettere a fuoco gli aspetti giuridici dellepossibili risposte alle crisi internazionali se sifocalizza la discussione sui molteplici aspettidel diritto di difesa legittima individuale ocollettiva come codificato nell’art. 51 dellaCarta delle N.U. e come applicato nella prassiinternazionale. Proprio gli Stati Uniti hannofatto ricorso a questo principio, sin dalla crisidi Cuba del 1962 (20), come base legale perinterventi coercitivi condotti non su delega oautorizzazione delle Nazioni Unite ma inapplicazione autonoma della Carta. LaNATO non ha che da tenerne conto perelaborare pacchetti di teorie giuridiche daporre a fondamento dei vari tipi di missioni“non art. 5” definiti preventivamente percategorie.

    L’interoperabilità legale come requisitooperativo

    I Paesi NATO potranno impegnarsi nellosvolgimento di operazioni “non art. 5” con

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    (16) Vds., sul tema, R. Prodi, “Il controllo degli armamenti “, Affari Esteri, aut. 1998, 680(17) Sul tema cfr. Sofaer “Terrorism, the Law and the National Defence, Military Law Revew 89 (1989), 126; S.V. Mallison and W.T. Malli-

    son “Naval Targeting: Lawful objects of Attack”, The Law of Naval Operations (edited by H. Robertson), 64, 1991, 277. In materia vaprecisato che il problema della repressione del terrorismo presenta diversi aspetti a seconda che si tratti di atti di terrorismo:• contro personale che non partecipi alle ostilità nel corso di un conflitto (costituiscono “gravi violazioni” secondo l’art. 4 del II

    Protocollo e quindi autorizzano l’applicazione delle forme di assistenza giudiziaria prevista dall’art. 88 del I Protocollo 1977);• contro beni espressione delle sovranità statuale, come corpi di spedizione all’estero o sedi diplomatiche. L’ipotesi configura una

    situazione di “attacco armato” secondo l’art. 51 della Carta delle N.U. che legittima l’esercizio del diritto di autodifesa. Rilevan-te a questo fine, è anche la Risoluzione N.U. 3314/11974 sulla “Definizione dell’aggressione”. Da aggiungere che secondo unainterpretazione corrente, il predetto art. 51 della Carta ha lasciato impregiudicata la norma consuetudinaria esistente in passato(“Convenant” della Società delle Nazioni) che ammetteva la legittima difesa preventiva in presenza di minaccia di attacco;

    • per commettere i reati indicati nel seguente art. 1 della Convenzione Europea di Strasburgo del 1977 per la repressione del ter-rorismo (la Convenzione, ratificata unicamente dai Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, prevede che i reati di terrorismo nonsiano considerati reati politici ai fini dell’estradizione. L’Italia, nel ratificare la Convenzione, si è riservata la possibilità di rifiuta-re le estradizioni nel caso in cui sia prevalente l’aspetto politico del reato contestato).

    (18) Cfr. O. Ferrajolo, “L’Algeria e l’ingerenza umanitaria”, Affari Esteri,1997. (19) Vds. S. Warriner, “The Unilateral use of coercion under International Law: a legal analysis of the U.S. raids on Libya on April 14,

    1986”, Naval Law Revew, 49 (1988), 37.(20) Vds. Chayes, The Cuban Missiles Crisis: International Law Crises and the Role of Law, 1974.

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    tanta maggior efficacia e convinzione quantopiù ne condivideranno le basi legali definitepreventivamente in modo appropriato. Lasoluzione di questo problema non risolve peròle altre questioni di tipo giuridico-operativotuttora aperte tra i membri dell’Alleanza.

    Un fattore giuridico che può inciderenegativamente sulla capacità delle ForzeNATO di svolgere le missioni previste dalnuovo concetto strategico è difatti la diversità diposizioni governative tra i Paesi membri circal’applicabilità delle norme del DirittoUmanitario (identificabili, com’è noto, nelcorpus delle quattro Convenzioni di Ginevradel 1949 e costituenti una branca, assieme alDiritto Bellico codificato prevalentementenelle Convenzioni dell’Aja del 1907, del piùgenerale Diritto dei Conflitti Armati).

    Il fatto è che tutti i Paesi NATO hannoratificato le quattro Convenzioni di Ginevradel 12 agosto 1949 di cui si è appenaconclusa la celebrazione del 50° anniversario(21), ma non anche i relativi due Protocolli

    aggiuntivi del 12 agosto 1977 concernenti,rispettivamente, i conflitti armatiinternazionali e non internazionali. Mentre laGran Bretagna ha da poco aderito a entrambii Protocolli, gli Stati Uniti e la Francia nehanno solo ratificato il secondo.

    Le ragioni del dissenso di questi Paesi nonsono state sufficientemente chiarite. Al riguardogli Stati Uniti hanno genericamente espresso laconvinzione che “il I Protocollo contieneprevisioni che dovrebbero indebolire il DirittoUmanitario e mettere in pericolo i civili,considerando, per esempio, come un conflittointernazionale le così dette guerre di liberazione”(22). In questo modo, a parere degli USA, sidarebbe un’inaccettabile protezione a gruppiterroristici. Gli stessi Stati Uniti hannoformalmente eccepito, come ultimo argomentocontro il I Protocollo, il fatto che esso “restringeirragionevolmente gli attacchi contro certi obiettiviche tradizionalmente sono stati considerati legittimiobiettivi militari” (23).

    Ebbene, quello dell’obiettivo militare è untema cruciale che impediscela piena interoperabilitàgiuridica tra i Paesi NATO.La questione riguarda ladefinizione di “obiettivomilitare” contenuta nell’art.52, n. 3 del I Protocollo del1977 (24). Questo articolo,come dichiarato dagli StatiUniti (25), accoglie difattiuna nozione ristretta di“obiettivo militare”limitandola ai beni checontribuiscono efficacementeall’azione militare (26). Alversante opposto si colloca la

    STRATEGIA

    (21) Vds. P. Benvenuti “Il 50° delle Convenzioni di Ginevra: un significativo anniversario per il diritto internazionale umanitario” L’Osser-vatore Romano, n. 184 del 12 agosto 1999.

    (22) Cfr. Message from the President transmitting Protocol II Additional to the 149 Geneva Convention, S. Congress, Senate, Treaty doc. 100-2 (Washington GPO, 1987)

    (23) Ibidem(24) Il testo dell’art. 52 del I Protocollo Addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra è il seguente :

    “I beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie. Sono beni di carattere civile tutti i beni chenon sono obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2.Gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari. Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limi-tati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono efficacemente all’azione militare, e la cui distru-zione totale o parziale, conquista o neutralizazione, offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso.In caso di dubbio, un bene che è normalmente destinato ad uso civile, quale un luogo di culto, una casa, un altro tipo di abita-zione o una scuola, si presumerà che non sia utilizzato per contribuire effettivamente all’azione militare.”

    (25) Cfr. Message from the President transmitting Protocol II cit.(26) Vds. su questo punto L. Doswald Beck “Vessels, Aircraft and Persons entitled to protection during Armed Conflicts”, in BYIL, 1994,

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    tesi statunitense la quale ritiene applicabile unanozione più ampia che considera militari gliobiettivi che contribuiscono efficacemente allacondotta della guerra e alla capacità di sostegnobellico del nemico (“enemy’s war-fighting orwar sustaining capability”) (27). Secondo gliUSA tale nozione sarebbe dichiarativa deldiritto consuetudinario.

    Un altro motivo di disallineamento tra gliStati Uniti e gli altri Paesi NATO aderenti al IProtocollo del 1977 (28) stanell’interpretazione dell’art. 57 relativo allemisure di precauzione negli attacchi al fine dirisparmiare la popolazione civile. Per gli USA ilprincipio posto dall’art. 57, n. 4, secondo cuiciascuna parte in conflitto dovrà prendere“tutte le misure realizzabili” (feasible) perevitare perdite di vite umane tra lapopolazione civile, va applicato sostituendol’aggettivo reasonable (ragionevoli) a feasible(29). È evidente che anche in questo caso daparte degli USA si tende a non accettare,come eccessivamente restrittivo, il vincolo diprendere tutte le misure praticamentepossibili (feasible); si preferisce invece iltermine reasonable che fa salva la priorità delleesigenze militari, ivi compresa la necessità diportare a termine la missione.

    È noto infine che non v’è consensosull’applicazione dell’art. 35, n. 3 del IProtocollo del 1977 ove si stabilisce che “èvietato l’impiego di metodi o mezzi di guerraconcepiti con lo scopo di provocare o daiquali ci si può attendere che provochinodanni estesi, durevoli e gravi all’ambientenaturale”. Questa regola verrebbe intesa dagliUSA in modo estensivo, nel senso che v’è un

    obbligo di evitare danni non necessariall’ambiente naturale soltanto nella misura incui ciò è compatibile con lo svolgimento dellamissione assegnata (30).

    Le diversità di posizioni giuridiche derivantidall’adesione o meno al I Protocollo di Ginevradel 1977 sono in definitiva un fattore che puòcondizionare la coesione operativa all’internodella NATO non meno delle teorie giuridicheposte a fondamento delle operazioni “non art.5”di contrasto delle crisi internazionali. Lelessons learned dell’operazione Allied Forceshanno infatti messo in luce in che misuraquesto fattore può limitare l’azione militare delleforze multinazionali. Valga per tutte la questionedella scelta degli obiettivi militari (condizionatacome si è detto dalla relativa nozione giuridica)che si è rivelata cruciale dopo l’esperienza dialcune controverse azioni militari condottedurante l’operazione Allied Forces (31).

    In futuro questo potrà ancora accaderedurante le operazioni “non art. 5” a meno chenon si sviluppi tra i Paesi NATO un preventivoed approfondito dibattito giuridico. Lepregiudiziali legali non sono infattiinsormontabili in una prospettiva di apertoconfronto, scevra da dogmatismi, orientata versol’effettiva realtà operativa. D’altronde sono statigli stessi Stati Uniti ad indicarci questa viaquando, sin dal 1989, hanno dichiarato:

    “We therefore intend to consult with ourallies to develop appropriate methods forincorporating these provisions into rules thatgovern our military operations, with theintentions that shall in time win recognition ascustomary international law separate from theirpresence in Protocol I” (32)

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    212; D: Fleck (edited by), The Handbook of Humanitaria Law in Armed Conflicts 1999, 155; N. Ronziti, Diritto internazionale cit.,158, il quale chiarisce che sino al I Protocollo del 1977 non esisteva una norma convenzionale che definisse l’obiettivo militare.; indi-cazioni in materia si potevano trarre dal Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907 che proibisce il bombardamen-to di certi edifici; peraltro l’unico testo contenente una definizione di “obiettivo militare” sono le Regole dell’Aja del 1923 (rimasto allostadio di semplice compilazione privata) che all’art. 24 prevedeva un elenco dei beni attaccabili dall’aria

    (27) Il Sanremo Manual cit, 117 considera inaccettabile, in quanto “too broad” l’espressione war effort al posto di military action.(28) Come già detto, soltanto la Francia e la Turchia non hanno ancora aderito al I Protocollo del 1977.(29) Cfr. Sanremo Manual cit, 123. (30) Idem, 119 nonché N. Ronzitti, op. cit., 128. La posizione USA è a favore dell’applicazione, in alternativa al I Protocollo del 1977, della

    Convenzione delle N.U. del 10.12.1976 sul divieto di utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente naturale per scopi militari (denomi-nata ENMOD CONVENTION), ratificata sia dall’Italia, con legge 962/80, sia dagli U.S.A. Questa Convenzione contiene infatti ilprincipio (di natura programmatica, a differenza di quello cogente dell’art 37 del I Protocollo) che gli Stati aderenti devono impegnarsi anon utilizzare per scopi militari tecniche di modifica dell’ambiente naturale aventi effetti estesi, durevoli e gravi. Da aggiungere inoltre cheun’ulteriore affermazione dell’impegno a proteggere l’ambiente è contenuto nell’art. 24 della Dichiarazione di Rio del 1992.

    (31) Sono note le polemiche insorte attorno ai casi del bombardamento del ponte di Grdelica Klisura (55 vittime civili) e dell’ambasciatacinese, i cui effetti sono stati legalmente classificati dalla NATO come collateral damages (danni collaterali). Vds. “L’Aja, Mosca con-tro la NATO”, Corriere della Sera, 30 dicembre 1999.

    (32) Message from the President transmitting Protocol II cit.