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Annibale Formica Il paesaggio identitario del Pollino 1 . Per parlare del paesaggio identitario del Pollino dentro il tema più generale della Funzione culturale ed estetica del paesaggio, ho scelto, come premessa, di richiamare alcune notizie recenti dell’ampia e varia aneddotica e del dibattito culturale in corso. A Treviso, nella ultima edizione, la 25^, del Premio Internazionale “Carlo Scarpa” per il Giardino, della Fondazione Benetton Studi Ricerche, il prestigioso riconoscimento è andato a due villaggi della Bosnia per il progetto ”Seminando il ritorno”, finalizzato alla coltivazione del grano saraceno come fonte di sostentamento economico per le famiglie. La realizzazione del progetto testimonia le ragioni profonde che legano singoli individui o gruppi familiari o piccoli insiemi comunitari al luogo abitato dalle loro memorie e dai loro propositi. In un articolo di Repubblica, del 21 giugno scorso, intitolato: “Mostre. Libri. Il giardino è al centro delle riflessioni culturali. È luogo di armonia. Ma anche quello in cui la natura prende il sopravvento su un ordine artificiale”, è detto: “L’arte di coltivare è un modo per concentrarsi sulla condizione umana”. L’idea del giardino, oggi, assume le sembianze di un pensiero che si presenta come cura. Le parole “cultura” e “coltura” sfumano l’una nell’altra, e la coltivazione di sé e dello spirito sgorgano dal medesimo verbo, che può valere per l’atto di coltivare la terra o di educare lo spirito. Viviamo di corrispondenze e pensiamo per analogie, sì che la natura è in noi e noi nella natura in un rapporto insieme naturale e culturale, che tuttavia ogni volta ciascuno di noi dovrà riformulare nel suo proprio modo e nella sua propria lingua. Custodire dentro e fuori di noi un rapporto con la natura, che non sia di sopraffazione, ma di cura. È la natura a fornirci la lingua per raccontare la vita. Tra le tante tendenze attuali, una in particolare ricorre nelle citazioni più frequenti di questi giorni: la “biofilia”, ovvero l’arte di “giardinare” il mondo. La biofilia, l’amore per la vita, è l’innata tendenza a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che la ricorda; la capacità, cioè, di lasciarsi affascinare dagli stimoli naturali, di acquisire consapevolezza ecologica e una autentica “intelligenza” naturalistica. 1 Intervento al Laboratorio su: Funzione culturale ed estetica del paesaggio , a Latronico, il 26 giugno 2015, inserito nel Report finale del Progetto di “Paesaggio e comunità locale: il valore della biodiversità. Pollino: Letture e racconti del Paesaggio”. P.S.R. BASILICATA 2007/2013 – ASSE 4 LEADER – PSL “FARE SOCIETÀ LOCALE” – OPERAZIONE 4.1.2.2 “VALORIZZARE LA BIODIVERSITÀ ED ACCRESCERE LA MULTIFUNZIONALITÀ DEL PAESAGGIO RURALE”.

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Annibale Formica

Il paesaggio identitario del Pollino1. Per parlare del paesaggio identitario del Pollino dentro il tema più generale della Funzione culturale ed estetica del paesaggio, ho scelto, come premessa, di richiamare alcune notizie recenti dell’ampia e varia aneddotica e del dibattito culturale in corso. A Treviso, nella ultima edizione, la 25^, del Premio Internazionale “Carlo Scarpa” per il Giardino, della Fondazione Benetton Studi Ricerche, il prestigioso riconoscimento è andato a due villaggi della Bosnia per il progetto ”Seminando il ritorno”, finalizzato alla coltivazione del grano saraceno come fonte di sostentamento economico per le famiglie. La realizzazione del progetto testimonia le ragioni profonde che legano singoli individui o gruppi familiari o piccoli insiemi comunitari al luogo abitato dalle loro memorie e dai loro propositi. In un articolo di Repubblica, del 21 giugno scorso, intitolato: “Mostre. Libri. Il giardino è al centro delle riflessioni culturali. È luogo di armonia. Ma anche quello in cui la natura prende il sopravvento su un ordine artificiale”, è detto: “L’arte di coltivare è un modo per concentrarsi sulla condizione umana”. L’idea del giardino, oggi, assume le sembianze di un pensiero che si presenta come cura. Le parole “cultura” e “coltura” sfumano l’una nell’altra, e la coltivazione di sé e dello spirito sgorgano dal medesimo verbo, che può valere per l’atto di coltivare la terra o di educare lo spirito. Viviamo di corrispondenze e pensiamo per analogie, sì che la natura è in noi e noi nella natura in un rapporto insieme naturale e culturale, che tuttavia ogni volta ciascuno di noi dovrà riformulare nel suo proprio modo e nella sua propria lingua. Custodire dentro e fuori di noi un rapporto con la natura, che non sia di sopraffazione, ma di cura. È la natura a fornirci la lingua per raccontare la vita. Tra le tante tendenze attuali, una in particolare ricorre nelle citazioni più frequenti di questi giorni: la “biofilia”, ovvero l’arte di “giardinare” il mondo. La biofilia, l’amore per la vita, è l’innata tendenza a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che la ricorda; la capacità, cioè, di lasciarsi affascinare dagli stimoli naturali, di acquisire consapevolezza ecologica e una autentica “intelligenza” naturalistica.

1 Intervento al Laboratorio su: Funzione cu l tura l e ed e s t e t i ca de l paesagg io , a Latronico, il 26 giugno 2015, inserito nel Report finale del Progetto di “Paesaggio e comunità locale: il valore della biodiversità. Pollino: Letture e racconti del Paesaggio”. P.S.R. BASILICATA 2007/2013 – ASSE 4 LEADER – PSL “FARE SOCIETÀ LOCALE” – OPERAZIONE 4.1.2.2 “VALORIZZARE LA BIODIVERSITÀ ED ACCRESCERE LA MULTIFUNZIONALITÀ DEL PAESAGGIO RURALE”.

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La V Giornata nazionale degli archivi di architettura, promossa da AAA/Italia, è dedicata quest’anno al tema dell’Expo di Milano “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e, quindi, ai temi della sostenibilità. La relazione tra il settore dell’architettura e quello della produzione degli alimenti ha svolto un ruolo chiave nei processi di progettazione, recupero e trasformazione del paesaggio urbano e naturale. Il tema del cibo, dalla produzione al consumo e allo smaltimento, investe interamente la dimensione architettonica, urbana e naturale del paesaggio italiano e si può rileggere nelle diverse tipologie di edifici e di interventi in relazione alla produzione, all’approvvigionamento, alla distribuzione, alla vendita e al consumo, o al turismo e al tempo libero (dalle bonifiche agrarie alle industrie alimentari, dagli orti urbani alle serre, dai mercati ai ristoranti, alle mense, alla scala ridottissima degli oggetti di design). Si discute molto anche dell’alleanza tra agricoltura e paesaggio e di come tale alleanza può salvare l’Italia, perché tutto è collegato: “Una sana agricoltura fa bene alla salute. Una buona agricoltura tutela il paesaggio. Un paesaggio tutelato attira il turismo. Il turismo di qualità incentiva l’artigianato e crea nuova occupazione”. Un fascino speciale ha esercitato la presentazione di “un campo di grano” di cinque ettari a fare da giardino al progetto Porta Nuova, in centro Milano: l’installazione artistica temporanea (land art) di Agnes Denes in vista di Expo 2015. Uno dei più importanti esponenti della Teologia della Liberazione, l’ ex frate francescano Leonardo Boff in un suo recente articolo, “Dalla madre Terra all’ecologia integrale, i tributi di Francesco alla teologia della liberazione”, scrive dell’enciclica di Papa Francesco «Laudato sì»: “È la prima volta che un papa affronta il tema dell’ecologia nel senso di un’ecologia integrale: un nuovo paradigma ecologico. Ed esorta a prendersi cura della «casa comune» e di tutti gli esseri, non solo umani, che in essa abitano”.

Due esperienze a confronto. Le citazioni in premessa rendono utile ed efficace la messa a confronto di due esperienze condotte, di recente, nel Parco Nazionale del Pollino: la realizzazione dell’Ecomuseo e l’attuazione del programma di manifestazioni di NaturArte, nella sua seconda edizione. L’ Ecomuseo è un’importante strumento di tutela e di valorizzazione della identità e del paesaggio: un valore per i residenti e un’attrattiva per i visitatori. Si tratta di una concezione moderna del patrimonio culturale, che può essere definito, in estrema sintesi, come un affrancamento dai concetti estetici e come un altrettanto progressivo allargamento a quelli sociali, con l’inclusione di paradigmi ambientali, culturali ed economici. L’Ecomuseo, come lo descrive lo stesso Hugues de Varine, che coniò, nel 1971 il termine “Ecomuseo”, è un “museo diffuso”, un “museo di comunità”, un museo di un territorio ricco di ambienti di vita tradizionali, di patrimoni naturali, storici, culturali, ai quali va garantita un’opera di manutenzione, di cura, di accudimento, di

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restauro, di tutela e di valorizzazione. È, insieme, l’istituzione, lo strumento, il laboratorio, l’officina, dove si progetta il futuro della comunità, fondato sulla tradizione, e dove si stipula “un patto con il quale la comunità si prende cura di un territorio”. Con NaturArte 2014/2015 è stato progettato il “Viaggio nel Parco Nazionale del Pollino, attraverso i sentieri del Paesaggio Culturale, del Paesaggio Naturale, del Paesaggio Identitario”. Naturarte è una modalità, già sperimentata, di coniugare natura e cultura attraverso la interpretazione dell’arte, come capacità di allargare gli orizzonti, di fornire spessore e senso, di comunicare e promuovere, di conoscere e farsi conoscere, di tutelare e valorizzare. Il filo conduttore del progetto 2014/2015 è stato il paesaggio, inteso come territorio caratterizzato dalla natura fisica dei luoghi e dalla storia umana che li ha vissuti e li vive. A conclusione degli eventi programmati si è fatta, in un incontro a San Paolo Albanese presso il Museo della Cultura Arbëreshe, una riflessione sul “Paesaggio Identitario”, antropizzato e, perciò, caratterizzato da una intensa interazione tra la natura e uomo; carico, cioè, di memorie, di significati e di manifestazioni identitarie percepibili (Cfr.:Parte III - Articolo 131 del Codice dei beni culturali e dell’ambiente - Decreto legislativo n° 42/2004). Con le manifestazioni di aprile/maggio scorsi a Valsinni, a Senise e in Val Sarmento si è potuto, infatti, sperimentare nel paesaggio identitario la percezione della stretta relazione tra “bellezze naturali” e “beni culturali”. In poco più di una trentina di chilometri, quanto è il tratto del torrente Sarmento, che inizia sotto Serra di Crispo, a 2053 m.s.l.sm., e confluisce nel fiume Sinni a Valsinni, si passa da un paesaggio altomontano di rocce dolomitiche ad un paesaggio collinare mediterraneo di macchie e di argille2. Lungo l’intero percorso si vive una infinità di identità e di diversità naturali e culturali, che rendono i luoghi e i paesaggi unici e irripetibili. Si citano, ad esempio, il sito archeologico di Monte Coppolo (i ruderi dell’antica fortezza di Lagaria), il Castello di Valsinni, la poesia di Isabella Morra, le grotte di San Giorgio Lucano, lo Stato di Noia, il sito archeologico della cinta fortificata della città lucana, del IV sec. a. C., sul Monte Castello di Cersosimo, la minoranza etnico-linguistica arbëreshe delle comunità di San Costantino e di San Paolo Albanese, la ginestra, la peonia (banxhurna) del Monte Carnara, i ruderi dei mulini ad acqua e delle fornaci per la produzione della calce, la pietraia del torrente Sarmento, la Timpa del Calorio, la Timpa Pietrasasso, la Gola della Garavina; il pino loricato, simbolo del Parco3.

2 Annibale Formica, “I paesaggi dell’acqua in Val Sarmento”, articolo pubblicato su IL QUOTIDIANO della Basilicata. del 14 gennaio 2007. 3 Annibale Formica, “Le terre che raccontano. Paesaggi. Dai Sassi di Matera alla Val Sarmento”, articolo pubblicato su il Quotidiano della Basilicata del 15 febbraio 2009.

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Significati di paesaggio identitario. Alla base del significato, che al paesaggio identitario viene attribuito, è posta “la particolare fisionomia di un territorio determinata dalle sue caratteristiche fisiche, antropiche, biologiche ed etniche”, tenendo conto, però, dell’osservatore e del modo in cui il paesaggio stesso viene visto, percepito e vissuto. È un “prodotto sociale”, che la Convenzione europea del paesaggio ha inteso valorizzare non solo come “bellezza naturale”, definita dal vecchio ordinamento (L.1497/1939), ma anche come “bene culturale” a carattere identitario, ovvero frutto di una cultura materiale che si manifesta attraverso gli aspetti naturali e le attività, i manufatti e gli oggetti della vita quotidiana delle popolazioni. Sono, perciò, componenti essenziali del paesaggio identitario tutti quegli elementi della cultura materiale che legano la natura all’uomo, alla sua immaginazione, alla sua creatività, alla socialità degli oggetti, nei quali il tempo e lo spazio non si distinguono. Tutto questo fa bellezza: dai campi coltivati, alle colture agrarie, agli orti, ai giardini, agli alberi monumentali, ai borghi antichi; dalla storia, dalle tradizioni e dalla civiltà contadine, ai luoghi, agli insediamenti umani e alle culture locali. La bellezza non è “un di più”, ma qualità della vita; la bellezza è vissuta, aiuta a vivere e infonde serenità d’anima. E il paesaggio identitario del Pollino diviene così un vero campionario di emozioni, nel quale tutti si relazionano, si identificano e ritrovano il senso della propria esistenza.