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Il re-intervento in odontoiatria: il clinico di fronte a precedenti scelte terapeutiche. A cura di: Accademia Italiana di Odontoiatria Microscopica (AIOM). Autori: Elvira Sbardella, Gabriele Conte, Umberto Uccioli, Luigi Scagnoli, Fabio Smorto

Il re-intervento in odontoiatria: il clinico di fronte a ... · l’utilizzo di una videocamera o di una macchina fotografica collegata al microscopio ed inoltre una migliore ergonomia

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Il re-intervento in odontoiatria: il clinico di fronte a

precedenti scelte terapeutiche.

A cura di: Accademia Italiana di Odontoiatria Microscopica

(AIOM).

Autori: Elvira Sbardella, Gabriele Conte, Umberto Uccioli, Luigi Scagnoli,

Fabio Smorto

Indice

Introduzione

Differenze tra chirurgia endodontica tradizionale e tecniche microchirurgiche

Lesioni Periapicali: ci può essere una guarigione completa con solo un trattamento

endodontico non chirurgico?

Il microscopio operatorio: perchè è essenziale in micro-chirurgia?

Concetti errati a proposito del microscopio operatorio

Emostasi - Anestesia locale: l’idea sbagliata sull’adrenalina

Emostatici chirurgici

Step Clinici per ottenere l’emostasi

Gestione dei tessuti molli: nuovi concetti

Retrazione atraumatica dei tessuti e la tecnica del solco

Osteotomia: più piccola è, meglio è

Distinzione tra osso e apice radicolare al microscopio

Il bisello: è necessario?

Resezione apicale

Quanto deve essere tagliato l’apice?

Anatomia del contorno radicolare dopo resezione

Ispezione e gestione della superficie radicolare sezionata: la fase più importante della

micro-chirurgia

Conseguenze del courettage apicale senza resezione apicale o della resezione apicale

senza otturazione retrograda

Gli Istmi

Preparazione retrograda ultrasonica

Materiali da otturazione retrograda: l’MTA è il miglior materiale?

Sequele chirurgiche e complicanze: il forame mentoniero ed il seno mascellare

Reazioni post operatorie: dolore e gonfiore

Successo terapeutico in microendodonzia chirurgica

Inserti ultrasonici e microscopio: l’approccio microchirurgico completo

Conclusioni

Caso Clinico

Bibliografia

Introduzione

Al fine di ottenere una maggiore qualità dei trattamenti odontoiatrici, nuove tecnolo-

gie ,materiali e strumentari hanno supportato questa necessità.

Tra queste il Microscopio operatorio è sicuramente lo strumento di fondamentale

supporto in alcune fasi di ogni branca odontoiatrica, per ottenere terapie con una

maggiore predicibilità di successo.

Il Microscopio Operatorio è stato introdotto in odontoiatria per aumentare la lumino-

sità e l’ingrandimento del campo operatorio da Gary Carr (Carr ,G,B 1992) nel 1990

e da subito si è apprezzato il suo uso in campo endodontico e per questa ragione nel

1998 l’American Dental Association ha reso obbligatorio l’insegnamento dell’uso del

M.O. nei programmi di specializzazione in Endodonzia e chirurgia endodontica

(Kim, S. and Back, S. 2004).

Il Microscopio Operatorio offre molti vantaggi: migliore illuminazione coassiale, in-

grandimento del campo operatorio, possibilità di documentare i casi clinici mediante

l’utilizzo di una videocamera o di una macchina fotografica collegata al microscopio

ed inoltre una migliore ergonomia riguardo la postura alla poltrona dell’operatore .

L’illuminazione coassiale comporta due vantaggi: l’operatore può guardare

all’interno del campo operatorio senza alcuna ombra e grazie all’utilizzo di una ottica

Galileiana con messa a fuoco all’infinito , anche gli occhi dell’operatore mettono a

fuoco all’infinito e ogni intervento può essere eseguito senza alcun affaticamento vi-

sivo.

Anche gli occhiali telescopici consentono di avere ingrandimenti che variano da 2x

fino a 6x ma spesso ci si rende conto dei limiti di tali sistemi perché anche

l’ingrandimento massimo di questi pratici dispositivi (6x) in molte situazioni non è

più sufficiente. Inoltre il campo visivo a tale ingrandimento, diventa piuttosto piccolo

e la profondità di campo molto ridotta con conseguente affaticamento visivo e del

collo.

Il Microscopio Operatorio invece consente di lavorare a ingrandimenti che variano da

2,5 fino ad un massimo di 20/25x e l’illuminazione è sempre coassiale con lo sguardo

dell’operatore.

Si lavora prevalentemente al minimo/medio ingrandimento e si usano i valori piu’ alti

solamente in alcune fasi delicate dei trattamenti perché lavorare a forti ingrandimenti

significa avere una profondità di campo limitata ed una illuminazione limitata (Ru-

binstein RA 1997).

L’uso del microscopio è indicato in tutte le branche odontoiatriche ma in particolare

durante la fase diagnostica al fine di formulare un corretto piano di trattamento , è di

grande supporto in endodonzia ed è considerato da molti autori indispensabile in mi-

cro- endodonzia chirurgica.

In Endodonzia la conoscenza dell’anatomia dentale, la localizzazione, la detersione,

la sagomatura e l’otturazione del sistema canalare sono prerequisiti per il successo

del trattamento.

L’ingrandimento aiuta in tutte le fasi del trattamento endodontico sia ortogrado che

chirurgico perché permette di vedere e quindi interpretare al meglio la complessità

del sistema canalare.

In fase diagnostica vi sono molti parametri da prendere in considerazione per valutare

l’opportunità di eseguire un trattamento endodontico complesso : valutare la effettiva

difficoltà del trattamento , il rapporto corona -radice e la sufficiente lunghezza della

radice per l’ottimale posizionamento di elementi ritentivi ricostruttivi ed il manteni-

mento di un adeguato sigillo apicale , la possibilità ricostruttiva post-endodontica

considerando gli spessori della dentina residua, la posizione in arcata dell’elemento,

l’arcata antagonista ,la presenza di parafunzioni , la presenza di eventuali microfrattu-

re dello smalto e della dentina e il loro decorso.

Varianti anatomiche in termini di numero , morfologia delle radici e dei canali, la

presenza di istmi o di microfratture e fratture corono-radicolari come pure tutte le dif-

ficoltà che spesso si possono intercettare durante l’esecuzione di un ritrattamento ca-

nalare ,sono tutte situazioni che mettono il clinico continuamente alla prova al fine di

ottenere risultati terapeutici che abbiano una buona predicibilità di successo nel tem-

po.

I ritrattamenti costituiscono gran parte del lavoro degli endodontisti e il supporto de-

gli ingrandimenti e del Microscopio operatorio sono fondamentali sia nella fase dia-

gnostica che durante il percorso terapeutico; nella valutazione dell’insuccesso del

precedente trattamento è necessario individuare quali siano le cause che hanno porta-

to al fallimento per valutare l’opportunità di affrontare un nuovo trattamento endo-

dontico sia esso ortogrado che di microchirurgia endodontica o eventualmente

l’estrazione dell’elemento dentale , essendo consapevoli delle difficoltà e della predi-

cibilità di successo nelle diverse situazioni.

Le principali cause di insuccesso endodontico sono: otturazioni canalari incomplete,

perforazioni radicolari, false strade, riassorbimenti esterni, canali dimenticati non sa-

gomati detersi e otturati, stripping, strumenti fratturati all’interno dei canali, calcifi-

cazioni a valle della precedente otturazione canalare.

Ognuna di queste situazioni presenta le sue difficoltà cliniche e le sue percentuali di

successo a distanza, quindi la corretta valutazione di questi fattori ci rende più consa-

pevoli del trattamento che ci si appresta ad affrontare informando esaustivamente an-

che il paziente .

Sappiamo dalla letteratura, e la clinica ce lo conferma costantemente che , evidenti

alterazioni dell’originaria anatomia dei canali radicolari dovuti al precedente tratta-

mento canalare, possono influenzare in maniera significativa il successo a distanza di

un ritrattamento endodontico (Gorni & Gagliani, 2004). Ovvero nei casi in cui si evi-

denzia la presenza di perforazioni, stripping. trasporti apicali, le percentuale di suc-

cesso a distanza si abbassa drasticamente (55%) rispetto a quelle situazioni in cui, pur

permanendo una difficoltà al ritrattamento, l’anatomia originaria del sistema canalare

non è stata alterata. Possiamo includere in questo ambito i ritrattamenti in cui

l’operatore dovrà affrontare calcificazioni, stop apicali, chiusure canalari incomplete,

canali dimenticati, la presenza di perni canalari, strumenti rotti e di materiali di diffi-

cile rimozione.

Vi sono poi situazioni cliniche come le fratture verticali corono- radicolari, i riassor-

bimenti massivi interni ed esterni, gravi problemi parodontali, in cui si prospetta co-

me soluzione anche l’estrazione dell’elemento dentale considerando la ridotta predi-

cibilità di successo a distanza.

Sempre in fase diagnostica, con l’ausilio degli ingrandimenti ma anche avvalendosi

di un esame Rx tridimensionale come la Cone Beam, si valuterà l’opportunità di ese-

guire un ritrattamento ortogrado o eventualmente decidere per un ritrattamento di mi-

crochirurgia endodontica.

Per micro-endodonzia chirurgica si intende l’intervento chirurgico da eseguire per il

trattamento delle lesioni di origine endodontica che non rispondono alla terapia en-

dodontica ortograda o che non possono essere trattate con approccio convenzionale

ortogrado. Lo scopo di questo intervento è quello di ottenere la detersione, la sago-

matura e l’otturazione tridimensionale della porzione più apicale del sistema canalare

che può essere raggiunta e trattata attraverso un lembo chirurgico. Questo tipo di chi-

rurgia deve essere eseguita esclusivamente sotto ingrandimento e forte illuminazione

ovvero con l’aiuto del microscopio operatorio (Castellucci, 2003).

Nel caso in cui si esclude la possibilità di ottenere il successo con una terapia orto-

grada ed eventualmente solo dopo che i tentativi non chirurgi siano falliti solo allora

sussiste l’indicazione all’approccio chirurgico. L’endodonzia chirurgica deve essere

riservata a quei casi in cui la preparazione e l’otturazione ortograde dei canali radico-

lari risultano impossibili fin dall’inizio quando i tentativi di ritrattamento non chirur-

gico siano falliti. Alcuni autori anche in questo caso raccomandano di riempire con le

metodiche tradizionali la maggior parte possibile di sistema canalare prima di proce-

dere all’intervento chirurgico (Nygaard- Ostby e Schilder, 1972).

Le molteplici innovazioni in campo endodontico degli ultimi anni permettono al cli-

nico di superare molte delle difficoltà che i trattamenti ortogradi possono presentare:

con le punte ad ultrasuoni si possono rimuovere la maggior parte dei materiali e dei

perni presenti nei canali, l’uso del MTA e delle Biodentine permette di sigillare con

successo la maggior parte delle perforazioni, stripping ed apici beanti.

Secondo alcuni autori , anche dopo che è stata accertata l’indicazione alla chirurgia, è

consigliabile rimuovere il più possibile la precedente otturazione canalare inadeguata

e sostituirla con guttaperca ben compattata in modo da riempire canali laterali prece-

dentemente dimenticati e talvolta l’intervento chirurgico potrebbe rendersi no più ne-

cessario (Weine e Gerstein, 1982).

Nei casi in cui l’indicazione alla chirurgia rimane dopo il trattamento ortogrado, oggi

le percentuali di successo sono notevolmente aumentate grazie agli ingrandimenti, al

microscopio e all’uso di nuovi materiali (MTA e Biodentine) e strumentari disponibi-

li (ultrasuoni con punte chirurgiche dedicate) per l’endodonzia chirurgica.

Alla luce di quanto si evince dalla letteratura, l’uso del Microscopio Operatorio in-

crementa l’accuratezza e la precisione delle cure odontoiatriche e benchè non si possa

prescindere dall’abilità clinica dell’operatore, questo si traduce in maggiore predicibi-

lità di successo a distanza delle terapie odontoiatriche.

Nel presente modulo sarà presentato un articolo che esamina approfonditamente i va-

ri step della microendodonzia chirurgica, sottolineandone gli innumerevoli vantaggi

rispetto alle techniche di chirurgia endodontica senza l’ausilio del micoscopio opera-

torio: Modern endodontic surgery concepts and practice: A review.

Kim S, Kratchman S. J Endod 2006;32:601-23.

La visione classica dell'endodonzia chirurgica come ultima chance è basata su espe-

rienze del passato che si accompagnavano a strumenti chirurgici inadatti, una visione

inadeguata, frequenti complicazioni post-operatorie. Di conseguenza l'approccio chi-

rurgico alla terapia endodontica, endodonzia chirurgica, è stato insegnato nelle scuole

di odontoiatria con minimo entusiasmo ed è stato praticato in pochi studi privati. Det-

to semplicemente l'endodonzia chirurgica non è stata considerata una branca impor-

tante del bagaglio culturale di un endodontista.

Fortunatamente, nel corso degli ultimi 20 anni , questo è cambiato grazie all'introdu-

zione del microscopio operatorio, della micro-strumentazione, degli inserti ultrasonici

e di materiali da otturazione retrograda più accettabili da un punto di vista biologico.

Il contemporaneo sviluppo di tecniche migliori ha portato ad una maggiore cono-

scenza dell'anatomia apicale, maggiori successi dei trattamenti e pertanto una attitu-

dine più favorevole da parte dei pazienti. Questi miglioramenti, pertanto, negli anni

’90 hanno segnato l'inizio dell'era della micro-chirurgia endodontica. Lo scopo di

questa revisione è quello di illustrare i miglioramenti delle tecniche e delle conoscen-

ze teoriche e di fornire una prospettiva contemporanea alla micro-chirurgia endodon-

tica affinché questa possa rappresentare uno strumento per migliorare la salute dei

nostri pazienti.

Differenze tra chirurgia endodontica tradizionale e tecniche

microchirurgiche.

L’endodonzia chirurgica è spesso percepita come difficile poiché il chirurgo deve

spesso ipotizzare la posizione di importanti strutture anatomiche come grossi vasi

sanguigni, il forame mentoniero il seno mascellare. Nonostante la possibilità di dan-

neggiare queste strutture sia minima, l'endodonzia chirurgica tradizionale non gode di

un'immagine positiva nell’opinione della maggior parte dei professionisti soprattutto

a causa della sua natura invasiva e dei risultati dubbi (Kim et al. 2005; Kim, 1997).

Se accettiamo la premessa che il successo dell'endodonzia chirurgica dipenda dalla

rimozione di tutto il tessuto necrotico e il completo sigillo dell'intero sistema di canali

radicolari, allora le ragioni per il fallimento della chirurgia tradizionale diventano

chiare. L'osservazione al microscopio operatorio di denti estratti in seguito a terapie

endodontiche chirurgiche fallimentari, rivela che il chirurgo non può localizzare in

maniera predicibile, pulire e sigillare tutte le complesse ramificazioni apicali con le

tecniche chirurgiche tradizionali. Questi limitazioni possono essere superate solo at-

traverso l'uso del microscopio operatorio (grazie al suo potere ingrandente ed

all’intensa luce coassiale), e di specifici strumenti micro-chiriurgici, in particolare gli

inserti ultrasonici. La Tabella 1 mostra le principali differenze tra l’approccio chirur-

gico tradizionale e quello microscopico all’endodonzia chirurgica.

Tabella 1

1. Dimensioni dell’osteotomia Circa 8-10 mm Circa 3-4 mm

2. Angolazione resezione apicale 45-65° 0-10°

3. Identificazione e trattamento

degli istmi

impossibile sempre

4. Retropreparazione apicale raramente all’interno del canale sempre all’interno del canale

5. Strumento di retropreparazio-

ne

fresea Inserto ultrasonico

6. Materiale da otturazione re-

trograda

amalgama MTA , bioceramic materials, su-

per EBA

7. Suture seta 4x0 5x0 6x0 monofilamento

8. Rimozione suture 7 giorni 2-3 giorni

9.Guarigione ad 1 anno 40-90% 85-96.8%

La micro-chirurgia endodontica, come è chiamata adesso, combina ingrandimento e

l'illuminazione fornita dal microscopio operatorio con l'utilizzo appropriato dei nuovi

microstrumenti (Rubistein & Kim, 1999; Carr, 1992; Carr, 1994). La micro-chirurgia

endodontica può essere eseguita con precisione e predicibilità ed elimina gli aspetti

meno favorevoli della chirurgia tradizionale.

I vantaggi della micro-chirurgia includono una più semplice identificazione degli api-

ci radicolari, delle osteotomie più piccole e delle resezioni apicali con angoli di bisel-

lo molto più perpendicolare all'asse lungo della radice conservando al tempo stesso

più osso corticale e più strutturale radicolare. In aggiunta, una superficie radicolare

sezionata osservata sotto l'ingrandimento e l'illuminazione del microscopio operatorio

rivela immediatamente dettagli anatomici quali istmi, orifizi canalari, micro-fratture e

canali laterali. La combinazione di microscopio e strumentazione ultrasonica permet-

te retro preparazioni retrograde conservative e coassilali e otturazioni retrograde pre-

cise che soddisfino i requisiti meccanici e biologici dell'endodonzia chirurgica.

Lesioni Periapicali: ci può essere una guarigione completa con

solo un trattamento endodontico non chirurgico?

Il successo delle terapie endodontiche varia tra il 53 ed il 98% quando eseguite per la

prima volta (Saunders & Saunders, 1994), mentre è inferiore per i ritrattamenti in ca-

so di presenza di lesioni periapicali (Gorni & Gagliani, 2004). Lo stato istologico di

una lesione periapicale, evidenziato dalla presenza di una zona radiotrasparente su

una radiografia, è sconosciuto al clinico al momento del trattamento. La lesione po-

trebbe essere un granuloma quanto una cisti. E’ ampiamente accettato il fatto che un

granuloma può guarire in seguito ad una efficace terapia endodontica. Tuttavia c’è

stato un dibattito particolarmente intricato tra i dentisti per stabilire se una cisti peria-

picale di origine infiammatoria possa guarire in seguito a terapia endodontica. (Nair,

1998). Gli endodontisti sono del parere che anche le lesioni cistiche possano guarire,

i chirurghi orali che debbano essere rimosse chirurgicamente. La verità probabilmen-

te è nel mezzo. Il meticoloso studio istologico su lesioni periapicali umane condotto

da Nair (Nair et al. 1996) ha dimostrato che il 52% delle lesioni (n=256) avevano una

componente epiteliale, ma che solo il 15% potevano essere considerate delle cisti pe-

riapicali. Le cisti periapicali possono essere suddivise in cisti vere, che possiedono

una lamina epiteliale completa e chiusa, e pseudocisti il cui il lume è in comunicazio-

ne con il canale radicolare (Nair, 2004). L’opinione più diffusa è che le pseudocisti

possano guarire in seguito ad un trattamento endodontico efficace (Nair et al 1996;

Simon 1980), mentre le cisti periapicali vere necessitino di un approccio chirurgico

endodontico, e quindi della loro escissione, per poter guarire completamente (Nair,

1998; Nair, 2004). Pertanto, da un punto di vista puramente istopatologico, circa il

10% delle lesioni periapicali richiedono un approccio chirurgico in aggiunta ad un

trattamento endodontico ortogrado. Inoltre, ritrattamenti endodontici falliti a causa di

trasporti apicali o errori procedurali, in seguito ad esempio ad un non corretto utilizzo

di strumenti meccanici, posso essere gestiti più efficacemente con un approccio chi-

rurgico, specialmente se gli elementi presentano restauri post endodontici importanti

(Fig. 1).

Non si può non considerare inoltre che la complessità del sistema endodontico non

consente di ottenere il 100% dei successi nei trattamenti endodontici anche nei casi in

cui le lesioni siano delle pseudocisti. Considerando tutte queste premesse ci si po-

trebbe chiedere perchè vengano effettuate così poche terapie chirurgiche e perchè la

chirurgia non sia insegnata con maggior convinzione durante i programmi specialisti

Fig. 1

in campo endodontico. Fortunatamente, con l’avvento della microchirurgia,

l’approccio alla terapia delle lesioni periapicali sta cambiando. L’insegnamento

dell’uso dei sistemi di ingrandimento è diventato ad esempio (negli USA n.d.r) un re-

quisito di accreditamento indispensabile per i programmi di specialità in endodonzia.

Di conseguenza, sempre più strutture private specialistiche hanno introdotto la micro-

chirurgia endodontica tra le loro opzioni terapeutiche. Quando si prendono in esame

le nostre opzioni terapeutiche, talvolta l’approccio microchirurgico può paradossal-

mente risultare come la via maggiormente conservativa per alcuni casi. L’esempio

più lampante è quello di un elemento dentaria con una terapia endodontica accettabi-

le, un nuovo perno ed una nuova corona con la persistenza o la comparsa di una le-

sione periapicale (Fig 3B). Distruggere la corona, rimuovere il perno e ritrattare

l’elemento potrebbe essere molto più impegnativo, più costoso in termini economici e

di tempo operativo e sopratutto meno predicibile di un ritrattamento endodontico per

via micro-chirurgica. A patto che la condizione parodontale non sia compromessa, il

ritrattamento micro-chirurgico può avere infatti percentuali di successo più favorevoli

di un ritrattamento non chirurgico (Rubistein & Kim, 1999).

Il microscopio operatorio: perchè è essenziale in micro-

chirurgia?

La micro-chirurgia è definita come un procedura chirurgica su strutture partcolarmen-

te piccole e complesse per mezzo di un microscopio operatorio. Il microscopio con-

sente al chirurgo di constatare i cambiamenti patologici più precisamente e di rimuo-

vere le lesioni patologiche con molta più precisione, minimizzando di conseguenza i

danni ai tessuti durante la chirurgia.

Uno degli sviluppi maggiormente significativi in endodonzia nel corso dello scorso

ventennio è stato proprio l’impiego del microscopio operatorio (Pecora & Andreana,

1993; Kim et al. 2001). Discipline mediche ( e.g. la neurochirurgia o l’oculistica)

hanno introdotto il microscopio nella pratica clinica circa 20 o 30 anni prima

dell’odontoiatria. Oggi è del tutto inconcepibile che alcune procedure mediche pos-

sano essere portate a termine senza l’ausilio del microscopio.

Il microscopio operatorio fornisce benefici alla micro-endodonzia chirurgica in diffe-

renti modi:

1) il campo chirurgico può essere ispezionato ad alto ingrandimento in modo da

identificare e gestire correttamente piccoli ma fondamentali dettagli anatomici

come apici secondari o canali laterali. Inoltre è possibile esaminare con maggior

precisione l’integrità strutturale della radice alla ricerca di fratture, perforazioni o

altri segni di danneggiamento.

2) La rimozione del tessuto patologico è precisa e completa.

3) Il confine tra l’apice radicolare e l’osso circostante può essere evidenziato con più

facilità ad alto ingrandimento, specialmente con l’impiego del blu di metilene.

4) Ad alto ingrandimento è possibile eseguire osteotomie molto più piccole (3mm)

ottenendo così una guarigione più veloce e con meno fastidi post operatori.

5) E’ possibile valutare le tecniche chirurgiche per capire ad esempio se tutto il tes-

suto di granulazione è stato rimosso dalla cripta ossea o meno.

6) Le patologie e gli stress posturali sono ridotti dalla necessità di conservare una

postura eretta durante l’uso del microscopio. In generale comunque l’ambiente

clinico è meno stressante per il clinico che è in grado di vedere chiaramente il

campo operatorio.

7) Il numero di radiografie necessarie può essere ridotto potendo il clinico osservare

direttamente e chiaramente gli apici.

8) La possibilità di registrare le procedure per mezzo di fotocamere e/o videocamere

ha un efficace potenziale educativo nei confronti dei pazienti e degli studenti.

9) La comunicazione con il collega che ha riferito il caso è fortemente migliorata.

Considerando tutti i vantaggi clinici ed ergonomici, eseguire un’endodonzia chirurgi-

ca senza l’impiego di un microscopio operatorio, non può essere considerato ancora

adeguato ne tantomeno ammissibile. Non sarebbe vantaggioso ne per il clinico ne per

il paziente. Si potrebbe dire che anche un ingrandimento 3x o 4x fornito da un siste-

ma di ingrandimento prismatico o galileiano potrebbe essere sufficiente. Tuttavia i

clinici abituati all’uso del microscopio affermano che gli stessi non forniscono un po-

tere ingrandente sufficiente al riconoscimento ed alla gestione dei dettagli più critici.

E’ sicuramente interessante notare come sia evidente una differenza sostanziale nelle

percentuali di successo dell’endodonzia chirurgica tra gli studi che usano (Chong et

al. 2003) o non usano (Testori et al. 1999) il microscopio. Nonostante questi non sia-

no degli studi clinici randomizzati e controllati disegnati per mettere a confronto le

due tecniche, gli autori ritengono che le percentuali di successo siano decisamente

maggiori quando il clinico può esaminare attentamente la superficie radicolare sezio-

nata, step che ha un effetto diretto sul risultato finale della chirurgia. Si potrebbe so-

stenere che gli ingrandimenti possono essere sufficienti, ma la realtà è che neppure

osservare l’apice con il più alto ingrandimento presente sul microscopio può essere

considerato sufficiente. Per essere in grado di vedere tutti i dettagli anatomici critici

della superficie radicolare, la stessa deve anche essere colorata con blu di metilene.

L’impiego di sistemi ingrandenti è sicuramente benvenuto e rappresenta un grosso

passo in avanti rispetto alla visione ad occhio nudo, ma un ingrandimento ed

un’illuminazione efficaci richiedono l’uso del microscopio operatorio.

Concetti errati a proposito del microscopio operatorio.

L’introduzione di ogni nuovo strumento o attrezzatura, specialmente se disegnato per

produrre cambiamenti significativi, è sempre accompagnato da concetti errati, frain-

tendimenti e resistenze da parte degli operatori del settore. Negli anni ’50 la neuro-

chirurgia, la chirurgia oftalmica e auricolare erano eseguiti con degli occhiali ingran-

denti o addirittura ad occhio nudo. Oggi questo è assolutamente impensabile. Natu-

ralmente la chirurgia endodontica non è complessa o critica come queste specializza-

zioni, tuttavia la grandezza delle strutture anatomiche e del campo operatorio non è

particolarmente differente.

In ogni campo di applicazione, comprese la chirurgia oftalmica e auricolare o la neu-

rochirurgia, il processo di accettazione è stato accompagnato da resistenze. Per fortu-

na in odontoiatria il microscopio è stato accettato piuttosto velocemente e con entu-

siasmo.

La domanda più frequente che si riceve è “Quanto è potente il tuo microscopio?", il

che ci porta rapidamente al tema del massimo ingrandimento utilizzabile.

L’ingrandimento massimo utilizzabile per ogni singola situazione clinica deve essere

rapportato alla grandezza del campo operatorio e la profondità di campo necessaria.

Ad esempio con l’aumentare degli ingrandimenti la profondità di campo diminuisce.

L’esperienza suggerisce che qualsiasi ingrandimento superiore ai 30x è di scarsa uti-

lità durante la micro-endoodnzia chirurgica poiché ogni minimo movimento del pa-

ziente, anche i semplici atti respiratori, sposta il campo al di fuori del campo visivo o

comunque dell’area di fuoco. Il chirurgo che è costretto a ricentrare e rimettere a fuo-

co ripetutamente spreca una enorme quantità di tempo. Detto questo, si capisce come

il principio “Maggiore è l’ingrandimento meglio è” è uno dei concetti fuorvianti. La

tabella 2 suggerisce i rapporti di ingrandimento più adatti per le varie fasi chirurgi-

che.

Tabella 2

Ingrandimento Procedura

Basso (da x4 ad x8) Orientamento, inspezione del sito chirurgico, alli-

neamento degli inserti chirurgici, preparazione

apicale, sutura

Intemedio (da 8x a 14x) La maggior parte delle procedure chirurgiche in-

clusa l’emostsi, rimozione del tessuto di granula-

zione, reperimento degli apici radicolari, resezione

apicale, preparazione cavità retrograda, otturazio-

ne retrograda

Elevato (da 14x a 26x) Ispezione della superficie di resezione radicolare e

dell’otturazione, osservazione dei dettagli anato-

mici più sottili, documentazione.

Fig.2

Come mostrato nella Tabella 2, non crediamo che ogni fase chirurgica debba essere

condotta ad alti valori di ingrandimento. Per alcune procedure, un basso ingrandi-

mento risulta più adatto di uno maggiore poiché il campo visivo deve essere suffi-

cientemente ampio, ad esempio, per allineare correttamente gli inserti ultrasonici.

Il microscopio, sfortunatamente non aumenta l’accessibilità al sito chirurgico. Se

l’accesso è limitato per la chirurgia tradizionale, sfortunatamente lo sarà anche quan-

do il microscopio si interpone tra paziente e chirurgo. Tuttavia il microscopio permet-

te una visione molto migliore del campo operatorio grazie al forte potere di ingran-

dimento e all’illuminazione molto potente e sopratutto coassiale (n.d.r. il percorso ot-

tico della luce coincide con quello visivo e pertanto non si producono ombre indesi-

derate). Essendo la visione fortemente migliorata, i casi possono essere trattati con un

livello di accuratezza e sicurezza molto maggiore. Tutti coloro che utilizzano il mi-

croscopio quotidianamente si chiedono come potessero gestire l’attività clinica senza

di esso. Una massima recita: vedere meglio, vuol dire fare meglio, e si potrebbe ag-

giungere, fare più facilmente.

Emostasi - Anestesia locale: l’idea sbagliata sull’adrenalina

Lo scopo principale dei farmaci anestetici in odontoiatria è quello di ottenere

l’anestesia locale. In endodonzia chirurgica, tuttavia, la somministrazione

dell’anestetico locale ha due obiettivi distinti: l’anestesia e l’emostasi. Pertanto l’uso

di un anestetico contenente un’alta concentrazione di vasocostrittore (e.g. adrenalina

1:50.000) è preferibile per ottenere una emostasi efficace e duratura (Kim at al. 2001,

Guttman, 1993). L’uso di una così alta concentrazione di adrenalina crea spesso

preoccupazioni per i suoi effetti sul sistema cardiocircolatorio (Troullosse et al.

1987).

Alcuni autori sostengono che la quantità di adrenalina somministrabile con una ane-

stesia per infiltrazione o blocco di branca durante una procedura odontoiatrica ha ve-

ramente pochi, se non nessun effetto sistemico (Malamed, 1980). Altri autori, al con-

trario sostengono che l’adrenalina somministrata con l’anestesia locale possa avere

effetti sistemici (Dionne et al. 1984). Virtualmente tutti gli effetti avversi

dell’adrenalina sono dose correlati. L’associazione cardiologica di New York sugge-

risce una dose massima di 0,2 mg di adrenalina in pazienti cardiopatici in associazio-

ne alla procaina. Questa dose massima è presa come punto di riferimento non ufficia-

le da diversi autori per suggerire le dosi massime anche in associazione con altri ane-

stetici locali (Whiterspoon & Guttman, 1996). Le raccomandazioni più attuali di do-

saggio massimo di lidocaina 2% con adrenalina 1:50.000 sono di 5,5 tubofiale per

raggiungere 0,2mg di adrenalina (Jastag & Yagela, 1983).

Nonostante gli effetti sistemici, come ad esempio le pulsazioni e la pressione sangui-

gna, siano minimi rispetto alla quantità di adrenalina somministrata durante le proce-

dure chirurgiche, lo studio dimostra come i livelli plasmatici di adrenalina sono molto

elevati quando viene impiegata una dose elevata. Quando ad un paziente in buona sa-

lute generale, vengono iniettate otto tubofiale di lidocaina al 2% con 144 mg di adre-

nalina, la pressione sanguigna, le pulsazioni ed i livelli plasmatici adrenalina risulta-

no tutti elevati (Troullosse et al. 1987). Sembrerebbe quindi che tutti gli effetti avver-

si del vasocostrittore siano dose dipendenti. Inoltre i risultati di uno studio prelimina-

re degli autori ha mostrato che la quantità e la concentrazione di adrenalina usata per

la microchirurgia endodontica non sembrerebbe causare importanti e persistenti ri-

sposte dal sistema cardiocircolatorio. Questo è dimostrato anche dal recente studio di

Vy et al. (Vy et al. 1997) i quali hanno dimostrato che il posizionamento in umani vo-

lontari di un pellet di collagene Collacote saturato dal 2,25% di adrenalina racemica

provoca piccoli o nessun cambiamento della pressione sanguigna e delle pulsazioni

cardiache, confermando nuovamente che i vasocostrittori hanno un effetto sistemico

trascurabile. Gli effetti cardiocircolatori sono quindi minimi e di breve durata e sono

ben tollerati dalla maggior parte dei pazienti ad eccezione di quelli con seri problemi

cardiovascolari o che abbiano subito interventi cardio-chirurgici. Pertanto la lidocaina

2% con adrenalina 1:50.000 è raccomandata come anestetico locale per la maggio-

ranza dei casi. In pazienti con gravi problemi cardiovascolari, il consulto con il cu-

rante è altamente raccomandabile e dovrebbe rappresentare la routine del protocollo

chirurgico.

Essendo la maggior parte delle molecole anestetiche dei vasodilatatori l’uso di far-

maci privi di adrenalina (e.g. 3% mepivacaina o carbocaina) non è raccomandabile

poiché questo potrebbe portare ad un sanguinamento eccessivo durante la chirurgia.

Emostatici chirurgici

Gli emostatici topici o locali possono essere un valido aiuto per l'emostasi. Una volta

effettuata l'incisione e sollevato il lembo, emostatici topici in molte situazioni gioca-

no un ruolo importante nel rendimento di una corretta emostasi. Questi possono esse-

re sommariamente classificati attraverso il loro meccanismo di azione (Vy et al.

2004). Ci sono numerosi agenti emostatici sul mercato. Di seguito verranno discussi

solamente di più popolari efficaci e utilizzati frequentemente (Tabella3).

Tabella 3

Agenti meccanici Cera da Osso

Agenti chimici Vasocostrittori

Solfato ferrico

Agenti biologici Trombina

Agenti riassorbibili Solfato di calcio

Gelfoam

Collagene

Collagene microfibrillare

Surgicel

Cera da osso

L’uso della cera da osso come agente emostatico fu introdotto per la prima volta da

Horsley (Horsley 1892). Nel 1970, Selden (Selden 1970) provo la cera da osso come

un agente emostatico efficace durante la chirurgia periapicale. La cera da osso con-

tiene una grande percentuale di cera d'api altamente purificata ed un agente ammor-

bidente (palmitato di isopropile). Con la cera da osso il meccanismo emostatico è

fondamentalmente un effetto di tamponamento. La cera posizionata con una pressio-

ne moderata occlude tutte le aperture vascolari. Il meccanismo di azione è puramente

meccanico e non influisce sul meccanismo di coagulazione del sangue.

Diversi studi hanno dimostrato che la cera da osso può causare una reazione da corpo

estraneo se lasciato all'interno del sito chirurgico. Ibarrola et al. (Ibarola et al. 1985)

hanno dimostrato che nel ratto la cera produce reazioni infiammatorie piuttosto im-

portanti. Residui di cera sono stati inoltre associati alla presenza di tragitti fistolosi

post-chirurgici, suggerendo quindi la massima attenzione nella rimozione di questo

materiale dal sito chirurgico. Per questo motivo è utilizzata molto raramente nella

micro-chirurgia endodontica.

Batuffoli di cotone imbevuti di adrenalina

Questi rappresentano un agente emostatico meccanico e chimico. Poiché l'adrenalina

usata topicamente causa una immediata vasocostrizione locale c'è solo un minimo as-

sorbimento all'interno della circolazione sistemica pertanto praticamente non sono

presenti effetti avversi.

Prima di posizionare un batuffolo di adrenalina all'interno della cavità ossea, Ogni re-

siduo di tessuto granulomatoso deve essere rimosso. Il primo batuffolo di adrenalina

viene posizionato a contatto delle pareti ossee e seguito dallo zeppamento degli altri

batuffoli di cotone sterili. A questo punto viene applicata una pressione sui batuffoli

utilizzando il manico dello specchietto o di una pinzetta per 2-3 minuti. A questo

punto i batuffoli di cotone sterile vengono rimossi uno ad uno facendo ben attenzione

a non spostare il batuffolo con l’adrenalina. Nel caso in cui dovesse ancora esserci

del sanguinamento la procedura viene ripetuta fino a quando non si riesce ad ottenere

l’emostasi. La combinazione di adrenalina e pressione ha un effetto profondo e gene-

ralmente ottiene una vasocostrizione immediata e profonda. L’adrenalina provoca

una vasocostrizione agendo sui recettori ⍺-1 presente nelle pareti dei vasi sanguigni e

la pressione aumenta il suo potenziale emostatico. I batuffoli di adrenalina inoltre

prevengono la deposizione di detriti nella cripta ossea durante le fasi di preparazione

della cavità retrograda e di otturazione retrograda. I batuffoli naturalmente devono

essere rimossi prima dell’irrigazione finale e della chiusura del sito chirurgico.

Solfato ferrico

Un altro agente chimico utilizzato per l’emostasi è rappresentato dal solfato ferrico. Il

solfato ferrico o il subsolfato ferrico, sono degli agenti emostatici con una lunga sto-

ria. Furono usati per la prima volta in medicina nel 1857 con il nome di soluzione di

Monsel (una soluzione di solfato ferrico al 20%). Anche se il meccanismo di azione

del solfato ferrico è ancora dibattuto, l’agglutinazione delle proteine sanguigne è il ri-

sultato della reazione del sangue con gli ioni ferrici e salfato e con il ph (0,21) della

soluzione (Evans, 1977). Le proteine agglutinate creano dei tappi che chiudono le

aperture dei capillari. Il solfato ferrico quindi, a differenza degli emostatici tradizio-

nali, esercita la sua azione emostatica tramite una reazione chimica con il sangue.

Il solfato ferrico è semplice da utilizzare e non c’è bisogno di applicare alcuna pres-

sione. In seguito alla sua applicazione si ottiene immediatamente la formazione di un

coagulo marrone scuro o marrone-verdastro, e la fonte di un eventuale gemizio ema-

tico persistente è facilmente individuabile grazie alla differente colorazione. Pertanto

ogni ulteriore punto di sanguinamento può essere individuato facilmente e l’emostasi

è ottenuta immediatamente. Nonostante il solfato ferrico sia citotossico e responsabi-

le di necrosi tissutale, l’assorbimento sistemico è estremamente improbabile poichè

l’immediata formazione del coagulo lo isola dal circolo sanguigno. Bisogna comun-

que fare molta attenzione a non lasciare il solfato ferrico nella cavità ossea poichè

può avere effetti avversi sulla guarigione ossea (Lemon et al. 1993). Il sito chirurgico

deve quindi essere irrigato con abbondante soluzione salina per rimuovere il solfato

ferrico per non avere complicazioni o ritardi nella guarigione ossea.

Step Clinici per ottenere l’emostasi

Ci sono diversi modi per ottenere l’emostasi. Con l'abbondanza di agenti emostatici

disponibili e la continua introduzione di nuovi prodotti la scelta deve essere fatta sul-

la base di valutazioni obiettive. Un buon prodotto ottiene l'emostasi in poco tempo, è

biocompatibile e non inficia o ritarda la guarigione, È affidabile e funziona per quella

particolare procedura chirurgica, in ultimo sarebbe bene che fosse relativamente poco

costoso. Considerando queste valutazioni, per ottenere un'efficace emostasi durante

l'endodonzia micro-chirurgica si consiglia la seguente procedura operativa.

Prima dell’intervento

Iniettare 2 tubofiale (massimo 3 tubofiale in situazioni speciali) di un anestetico loca-

le contenente adrenalina nella concentrazione di 1:50.000, ad esempio Xilocaina 2%.

Le iniezioni verranno eseguite in diversi siti sia vestibolarmente che lingualmente in

tutto il campo chirurgico. Sarà poi molto importante attendere almeno 15-20 minuti

prima di effettuare la prima incisione affinché l'effetto vasocostrittore dell'anestetico

agisca sia a livello dei tessuti molli che in quelli dei tessuti duri.

Durante l’intervento

a. Rimuovere tutto il tessuto di granulazione rapidamente, poiché questo tessuto è

altamente vascolarizzato e pertanto tende a sanguinare copiosamente.

b. Posizionare un batuffolo di cotone imbevuto di adrenalina all'interno della cripta

ossea facendola seguire da batuffoli di cotone asciutti fino al completo riempi-

mento della cavità ossea. Applicare una pressione per circa due minuti e poi ri-

muovere tutti i batuffoli di cotone ad eccezione del primo con adrenalina. Le suc-

cessive procedure chirurgiche possono essere portate a termine senza rimuovere il

batuffolo di adrenalina che sarà rimosso prima dell'irrigazione finale e della chiu-

sura del sito chirurgico.

c. Piccoli punti di sanguinamento possono ancora essere gestiti tamponando con dei

batuffoli imbevuti di solfato ferrico. Tutti i depositi di solfato ferrico devono esse-

re attentamente rimossi prima della chiusura rappresentando dei forti irritanti per i

tessuti qualora venissero lasciati in situ.

d. In caso di grandi lesioni la cripta ossea può essere riempita con solfato di calcio

impastato al momento. Dopo l'indurimento il solfato di calcio può essere scavato

al fine the esporre le radici. Nonostante il solfato di calcio non sia stato introdotto

per l’emostasi in endodonzia chirurgica, è un prodotto estremamente efficace per

le grandi lesioni ossee. Inoltre il solfato di calcio può essere lasciato all'interno

della cripta essendo un materiale riassorbibile.

La figura 3 riassume le presenti raccomandazioni.

Fig. 3

Dopo la chirurgia

Delle garze umide devono essere applicate in compressione sui tessuti prima e dopo

la sutura con lo scopo di rimuovere il coagulo tra l'osso e i tessuti molli, per consenti-

re un corretto allineamento del lembo e per ridurre lo stress a livello delle linee di su-

tura.

Un'emostasi completa ed efficace nell'endodonzia micro-chirurgica è essenziale per

ottenere una buona visualizzazione e un campo asciutto per il posizionamento dei

materiali d'otturazione retrograda oltre che naturalmente per una procedura chirurgica

più efficiente con minor perdita di sangue.

Gestione dei tessuti molli: nuovi concetti.

La gestione dei tessuti molli cambiata enormemente rispetto alle tecniche tradiziona-

li. In primo luogo l'incisione semilunare, che rappresentava il disegno di lembo più

popolare per i denti anteriori, oggi non è più raccomandabile in quanto fonte di un

accesso inadeguato e della frequente formazione di cicatrici (Kramper et al. 1984). In

secondo luogo, la rimozione delle suture è effettuata a 48-72 ore dall'intervento e non

più ad una settimana (Carr, 1994). Inoltre I nuovi materiali da sutura sono rappresen-

tati da monofilamenti con diametro 5 -0 o 6-0 in modo da consentire una guarigione

più rapida (Carr, 1994). Per quanto riguarda il disegno del lembo è stata sviluppata

l'incisione alla base delle papille (Papillae base incision) per prevenire la perdita in

altezza delle papille interdentali con le incisioni intrasulculari (Velvart, 2002). Per

quanto riguarda la retrazione del lembo, La chirurgia viene facilitata, Specialmente

durante gli interventi mandibolari posteriori dalla realizzazione di un solco nell’osso,

apicalmente all cripta, per consentire un posizionamento più stabile del retrattore

(Kim et al. 2001).

Fondamentalmente, il disegno dei lembi è molto simile a quello impiegato nelle tec-

niche tradizionali: il lembo intrasulculare a tutto spessore, il lembo para marginale

con presenza o meno di incisioni verticali di rilascio (Guttmann & Harrison, 1991). Il

disegno semilunare del lembo ed il lembo di Luebke-Ochsenbein, un tempo estre-

mamente popolari, oggi non sono più raccomandati. Sia nella lembo intrasulculare a

tutto spessore che nel lembo para marginale la ricerca di una base del lembo più am-

bia con disegni trapezzoidali ed incisioni di rilascio oblique alla per ottenere una

maggior perfusione sono considerate delle procedure non più necessarie e che anzi

portano alla formazione di cicatrici permanenti dovute all’incisione dei tessuti sezio-

nando le fibre mucose (Kim et al. 2001). Con le tecniche attuali la base del lembo è

ampia tanto quanto la sommità e le incisioni verticali di rilascio seguono il decorso

verticale dei vasi sanguigni. Questo promuove guarigioni praticamente prive di cica-

trici consentendo comunque un ottimo accesso al sito chirurgico.

Nell'esecuzione di un lembo intrasulculare a tutto spessore, il principale svantaggio è

rappresentato dalla recessione e contrazione delle papille interdentale (Velvart,

2002). Per prevenire o comunque minimizzare la perdita della papilla interdentale

Velvart ha proposto l'incisione alla base delle papille. Un articolo di Velvart e Peters

(Velvart & Peters, 2005) fornisce un eccellente revisione su questa materia.

Era usanza rimuovere le suture in seta 4-0 dopo una settimana. Con le tecniche mi-

cro-chirurgiche, le strutture monofilamento sono rimosse entro 48-72 ore per ottenere

i migliori risultati (Kim et al. 2001). Questo tempo è più che sufficiente per ottenere

il riattacco del lembo e la rimozione delle suture è semplice e indolore. Dopo 72 h, I

tessuti tendono a crescere al di sopra delle suture, specialmente nei tessuti mucosi,

pertanto la rimozione delle strutture diventa meno confortevole.

I materiali da sutura impiegati attualmente sono rappresentati da monofilamenti po-

liammide con aghi particolarmente piccoli. Le suture 5-0 e 6-0 sono ideali per la mi-

cro-chirurgia e le suture in polipropilene 6-0 o 7-0 sono diventate di uso comune

(Velvart et al. 2004). L'uso di suture in seta quattro zeri non è più accettabile poiché

la seta è un materiale intrecciato che causa l'accumulo di placca e pertanto provoca ri-

tardi nelle guarigioni e infiammazione secondaria (Kim et al. 2001). Le suture mono-

filamento più piccole e sottili promuovono una sito chirurgico più pulito e quindi una

guarigione più rapida. Grazie all'introduzione di nuovi materiali, nuovi concetti e

modifiche della tecnica, la guarigione dopo la micro-chirurgia praticamente non la-

scia alcuna cicatrice. In un epoca in cui l'estetica in odontoiatria è diventata partico-

larmente importante, la micro-chirurgia contribuisce anche ad raggiungere i più alti

standard di estetica in questo campo.

Retrazione atraumatica dei tessuti e la tecnica del solco.

In passato, l' importanza di una buona e stabile retrazione non era stata ancora com-

presa. I chirurghi pensavano che la retrazione fosse affare dell'assistente e ponevano

poca attenzione alle conseguenze e alle complicanze associate ad una retrazione di

scarsa qualità.

Uno degli elementi chiave del rigonfiamento dei tessuti nel post-operatorio è proprio

il frequente sfuggire del retrattore durante la chirurgia (Kim et al. 2001). Questa è an-

che la causa principale della parestesia transitoria in seguito ad interventi nella regio-

ne molare e premolare mandibolare (Kim et al. 2001). Per risolvere questo problema,

sono stati sviluppati retrattori di diverse forme e grandezze in modo da permettere

una retrazione non traumatica e stabile. Questi retrattori hanno una estremità lavoran-

te più ampia (15 mm) e più sottile (0,5 mm) rispetto ai detrattori standard (Kim et al.

2001). Alcuni di essi sono concavi mentre altri sono convessi per assecondare il con-

torno irregolare dell’osso. Le estremità dentellate permettono un migliore ancoraggio

all'osso e prevengono lo scivolamento durante la retrazione.

Inoltre in aggiunta ai retrattori specifici, è stata proposta una nuova tecnica per pro-

teggere il nervo mandibolare e prevenire problemi postoperatori come la parestesia

quando si opera nella regione molare premolare inferiore in prossimità del forame

mentoniero. Con una fresa di Lindeman o con una fresa a palla numero 4, si procede

sotto abbondante irrigazione alla realizzazione di un solco orizzontale nell'osso con

un'ampiezza di 15 mm. Questo solco deve essere scavato apicalmente all'apice per

consentire uno spazio adeguato alle osteotomia e alla seguente apicectomia. Il solco

consente un ancoraggio sicuro del retrattore e una retrazione stabile del lembo. Come

mostrato in figura 8 un metodo sicuro ed efficiente per eseguire il solco in prossimità

del forame mentoniero è quello di identificare prima il forame, proteggere il nervo

con il retrattore e poi eseguire il solco proprio al di sopra di esso. Una volta che il re-

trattore è in posizione all'interno del solco non ci saranno più movimenti o scivola-

menti.

Osteotomia: più piccola è, meglio è.

La dimensione della lesione apicale fa veramente la differenza? Questo È un argo-

mento che stato ampiamente studiato e probabilmente è ancora fonte di dibattito.

Boyne et al. (Boyne et al. 1961) nel loro studio hanno esaminato nove pazienti con 21

difetti periapicali nella regione anteriore con almeno una corticale conservata. Le

grandezze di queste lesioni sono state divise in due gruppi: lesioni tra i 5 e gli 8 mm e

lesioni tra i 9 e i 12 mm. Sono state eseguite delle biopsie a 4, 5 e 8 mesi. I risultati

hanno dimostrato che le lesioni tra i 9 e i 12 mm presentavano un'erniazione dei tes-

suti fibrosi all’interno dell’osteotomia, mentre le lesioni tra I 5 e gli 8 mm presenta-

vano una completa rigenerazione dell’osso. Già nel 1970, Hjorting-Hansen (Hjorting-

Hansen, 1970) avevano dimostrato che lesioni fino a 5 mm mostrano una completa

rigenerazione dell'osso indipendentemente dal sito anatomico. Hjorting-Hansen e

Andreason (Hjorting-Hansen & Andreason, 1971) eseguirono studio simile su cani. I

risultati mostravano una guarigione completa a 5 mm con una corticale intatta. Tutta-

via la guarigione risultava incompleta nel caso in cui fossero assenti entrambe le cor-

ticali. Anche le lesioni più grandi mostravano una guarigione ma con interposizione

di tessuto fibroso. Gli autori conclusero che la dimensione della lesione ha una sua

importanza esattamente come la presenza o assenza di almeno una corticale. Questi

studi suggeriscono pertanto che maggiore è la dimensione del difetto minori sono le

chances di ottenere una guarigione completa.

Un altro studio sulla guarigione, basato sui cambiamenti radiografici ha mostrato che

c'è una relazione diretta tra le dimensioni dell'osteotomia e la velocità di guarigione:

più piccola l'osteotomia, più sarà rapida la guarigione. Ad esempio una lesione più

piccola di 5 mm impiegherà in media 6,4 mesi, una tra i 6 e i 10 mm impiegherà 7,25

mesi e una più grande di 10 mm richiederà 11 mesi per guarire (Rubinstein & Kim,

1997). Pertanto, l’osteotomia dovrebbe essere la più piccola possibile, anche se suffi-

cientemente grande da consentire il raggiungimento dei nostri obiettivi clinici. C'è la

tendenza durante la chirurgia tradizionale ad allargare le osteotomia in sesso coronale

allontanandosi dall'apice. Questa tendenza risulta in una eccessiva rimozione di osso

sano attorno al colletto del dente portando facilmente a comunicazioni endo-

parodontali. Qualora questo avvenisse, la prognosi a lungo termine per l'elemento

dentario diventa scarsa. Con le tecniche microchirurgiche, la grandezza dell'osteoto-

mia è significativamente minore, dai 3 ai 4 mm di diametro. La breccia deve essere

appena più grande della lunghezza dell’ultrasonica (3mm) in modo da consentire alla

stessa di vibrare liberamente all'interno della cavità ossea.

Distinzione tra osso e apice radicolare al microscopio

Uno degli obiettivi principali dell'utilizzo del microscopio durante l'osteotomia è

quello di distinguere chiaramente tra l’apice radicolare e l'osso circostante. L’ideale

sarebbe poter localizzare l’apice radicolare precisamente ogni volta. Tuttavia, se la

lesione periapicale non ha finestrato o si estende maggiormente lingualmente, talvolta

localizzare l'apice può rappresentare una vera sfida anche per il chirurgo esperto.

Quando la cavità d'accesso è stata preparata, l’osteotomia deve essere esaminata at-

tentamente per individuare l'apice radicolare. La radice ha un colore più scuro e gial-

lastro ed è dura mentre l’osso è bianco, morbido e sanguina se stimolato con una son-

da (Kim et al. 2001). Questo passaggio è fondamentale per cercare di mantenere la

dimensione dell'osteotomia piccola. Se l'osteotomia iniziale è preparata senza ingran-

dimenti c'è la possibilità che questa sia eccessivamente grande rinunciando quindi ad

uno dei principali vantaggi della micro-chirurgia. Se l'apice radicolare non è visibile

bisognerà procedere con una fresatura particolarmente accorta utilizzando eventual-

mente il blu di metilene, un colorante selettivo per il legamento parodontale, al fine di

identificare l'apice radicolare conservando le dimensioni contenute dell’osteotomia.

Il bisello: è necessario?

Le eliminazione o la minimizzazione dell'angolo di bisello durante la resezione apica-

le è uno dei benefici più importanti della micro-chirurgia. Con l'utilizzo delle tradi-

zionali frese rotanti, era raccomandato una di bisello di 45°-60° (Gutmann & Harri-

son, 1985). Lo scopo di questo bisello era semplicemente quello di ottenere un mi-

glior accesso e visibilità (Gutmann & Pitt Ford, 1993). Di fatto, con le tecniche tradi-

zionali questa angolazione di bisello era inevitabile poiché gli strumenti chirurgici

erano di dimensioni rilevanti. Nella tabella 4 è presente un confronto tra una prepara-

zione tradizionale con taglio angolato preparazione retrograde con frese rotanti e la

preparazione perpendicolare ottenuta con una tecnica micro-chirurgica.

Tabella 4

Tecnica microchirurgica Tecnica tradizionale

Bisello assente o inferiore a 10° Bisello di 45°-60°

Espoosizione di pochi tubuli dentinali Esposizione di molti tubuli dentinali

Osteotomia piccola Osteotomia ampia

Minima perdita di corticale vestibolare Maggior perdita di corticale vestibolare

Nessun rischio di comunicazioni endoparodontali Maggior rischio di comunicazioni endoparodontali

Semplice identificazione degli apici Difficile individuazione degli apici linguali

Minor rischio di perforazione linguale Frequenti perforazioni linguali.

Non c'è alcuna giustificazione biologica per un taglio bisellato. Lo stesso veniva ese-

guito esclusivamente per la convenienza del chirurgo per l'identificazione dell'apice e

per la sua successiva preparazione retrograda. Di fatto, il bisello causa danni signifi-

cativi alle varie strutture che la chirurgia dovrebbe preservare, in particolare, alla cor-

ticale vestibolare e alla radice. Attraverso una resezione diagonale, risultato di un ta-

glio bisellato la corticale vestibolare viene rimossa insieme ad una grande parte di ra-

dice, Producendo di fatto una grande osteotomia. Inoltre il taglio bisellato porta spes-

so a non individuare gli apici posizionati lingualmente, causa una ovalizzazione del

canale e riduce il diametro della radice, di fatto indebolendola (Kim, 2002).

Resezione apicale

Quanto deve essere tagliato l’apice?

Non c'è un completo consenso su quanto debba essere tagliato l'apice per soddisfare i

principi biologici. Gilheany et al. (Gilheany et al. 1994) suggeriscono che si debbano

rimuovere almeno 2 mm di radice per minimizzare l'infiltrazione batterica dai canali.

I nostri studi anatomici suggeriscono che per eliminare il 98% delle ramificazioni

apicali ed il 93% dei canali laterali sia necessario rimuovere almeno 3 mm di apice

(Kim et al. 2001). Queste percentuali sono molto simili a 4 mm dall'apice pertanto gli

autori suggeriscono una resezione di 3 mm poiché questa, lasciando in media tra i 7e

i 9 millimetri di radice, fornisce sufficiente forza e stabilità all’elemento. Una rese-

zione apicale di meno di 3 mm più facilmente non sarà in grado di rimuovere i canali

laterali e le ramificazioni apicali ponendo il rischio di una reinfezione e di un even-

tuale fallimento.

Anatomia del contorno radicolare dopo resezione

L'anatomia del contorno radicolare varia enormemente. La sua forma può essere ova-

le, ovoide, reniforme e molte altre forme irregolari (Gutmann & Pitt Ford, 1993). Le

forme ovali o ovoidi vengono spesso rinvenuti nelle radici singole, mentre le forme

più complesse, ad esempio quella reniforme sono rinvenute nelle radici fuse dei pre-

molari o dei molari. In chirurgia è essenziale che tutto l'apice radicolare venga rimos-

so. È frequente il caso di casi chirurgici falliti in cui sia stato rimosso solo l'aspetto

vestibolare dell'apice lasciando in situ le porzioni più linguali dell’apice. Questa si-

tuazione è maggiormente frequente in premolari e molari con radici fuse e può essere

evitata attraverso la colorazione della radice selezionata con blu di metilene.

Ispezione e gestione della superficie radicolare sezionata: la

fase più importante della micro-chirurgia

Quando l’apice radicolare è stato sezionato perpendicolarmente all’asse lungo della

radice, la corretta identificazione dei dettagli anatomici e la loro gestione rappresen-

tano gli step più importanti e peculiari della micro-chirurgia e risultano critici per il

successo del trattamento. Sfortunatamente questa fase clinica non può essere portata a

termine adeguatamente con una visione ad occhio nudo, e neanche con dei semplici

occhiali ingrandenti. Solo il forte ingrandimento e la potente illuminazione del micro-

scopio consentono di vedere completamente tutti i dettagli della superficie radicolare

(Kim et al. 2001; Kim, 2002). Uno degli svantaggi principali della resezione apicale

tradizionale senza ingrandimento e senza micro-strumentazione, è infatti proprio

l’incapacità di gestire ed ispezionare adeguatamente i dettagli anatomici della super-

ficie radicolare. Al contrario, con la chiara illuminazione e la gamma di ingrandimen-

ti di un microscopio operatorio (da 4x a 25 x), è possibile esaminare nel dettaglio la

superficie radicolare. In ogni caso, un esame completo e critico della superficie radi-

colare richiede l’uso di un mezzo di contrasto come il blu di metilene, in grado di co-

lorare selettivamente il legamento parodontale ed i residui pulpari (Carr, 1994). Con

l’aiuto di micro-specchietti, posizionati a 45° rispetto alla superficie, la visione rifles-

sa della superficie radicolare mostra tutti i dettagli anatomici del sistema canalare, il

che è fondamentale per il successo della procedura chirurgica. E’ proprio l’ispezione

della superficie radicolare che dimostra come le tecniche di chirurgia apicale tradi-

zionali fossero altamente inadeguate.

Come sottolineato precedentemente, i dettagli anatomici della superficie radicolare

sezionata sono complessi. E’ possibile rinvenire ogni tipo di forma e profili del si-

stema canalare. Tagliando la radice perpendicolarmente al suo asse lungo è possibile

osservare canali rotondi, ovali, a ferro di cavallo, ad “s”, da 2 a 5 piccoli canali ro-

tondi o ovali, istmi e così via. Questa fase della micro-chirurgia veniva completamen-

te trascurata dalla chirurgia tradizionale.

Conseguenze del courettage apicale senza resezione apicale o

della resezione apicale senza otturazione retrograda.

Un esame della letteratura non fornisce alcuna conclusione su quale sia l’opzione mi-

gliore poichè molti di questi studi comprendono vecchie tecniche tradizionali e alcuni

studi sono inadeguati in termini di numero di casi o di follow-up (Altonen & Matila,

1976; Rahabaran et al. 2001; August, 1996). NDR (l’articolo che si sta presentando è

del 2006, ad oggi esistono ampie evidenze scientifiche in merito a quanto verrà espo-

sto).

Tuttavia è possibile fare diverse considerazioni: poiché la maggioranza delle lesioni

periapicale origina da otturazioni endodontiche deficitarie in termini di sigillo che

consentono la fuoriuscita dal sistema endodontico di batteri e delle loro tossine, il

semplice courettage della lesione consente l’eliminazione dell’effetto di questa man-

canza di sigillo, ma non la sua causa. Pertanto, l’eliminazione della sola lesione pe-

riapicale esita nella maggior parte dei casi in una recidiva della lesione. Inizialmente,

è possibile avere una regressione dei sintomi ed un miglioramento anche radiografico

della lesione, ma questo non può che essere un risultato temporaneo. Quando la gua-

rigione iniziale raggiunge un plateau, la lenta ma peristente patologia prevale ed il ca-

so evolverà certamente vero un fallimento. Su questo punto c’è un consenso assoluto

da parte di tutti gli endodontisti, poichè una otturazione endodontica che non sigilla o

un canale laterale o un istmo non trattati causano problemi. Nel caso di un fallimento

di un caso non chirurgico, bisognerebbe sempre tentare prima un ritrattamento orto-

grado, in quanto è dimostrato che il rapporto costi/benefici di tale ritrattamento supe-

rano quelli dell’approccio chirurgico. La chirurgia apicale, si pone l’obiettivo, non

solo di rimuovere il tessuto patologico e la porzione apicale dell’elemento dentario,

ma anche e sopratutto quello di sigillare nuovamente il sistema endodontico. Quando

si decide di affrontare una caso per via chirurgica si dovrebbero sempre considerare

due importanti domande: può la sola resezione apicale essere sufficiente in un caso in

cui l’otturazione del sistema endodontico sembri adeguata? Oppure è necessario pro-

cedere all’otturazione retrograda in ogni caso?

Anche studi eseguiti con tecnica e materiali tradizionali (Altonen & Matila, 1976;

Rahabaran et al. 2001) hanno dimostrato percentuali di guarigione superiori nei casi

con otturazione retrograda rispetto a quelli con sola resezione apicale. Su quelli che

non hanno evidenziato differenze (Rapp et al. 1991) o addirittura risultati opposti

(August, 1996), invece sono evidenziabili notevoli bias nella tecnica chirurgica (pre-

cisione nel posizionamento del materiale) e nel numero ridotti di casi riportati. I risul-

tati di questi studi sono quindi poco rilevanti per la clinica attuale.

Non essendo presenti dati significativi in letteratura sarà necessario scegliere

l’approccio in base all’anatomia. Lo studio di Toronto (Wang et al. 2004), ha stabilito

che in denti correttamente ritrattati per via non chirurgica e poi successivamente sot-

toposti ad endodonzia chirurgica, anche la sola resezione apicale può funzionare a

patto di effettuare una resezione apicale più generosa. Tuttavia questo porta ad un

maggior indebolimento della struttura e potrebbe non essere sufficiente specialmente

nei molari, dove la complessità anatomica è nettamente maggiore. Nell’esperienza

degli autori e di molti altri che praticano da anni con successo la micro-chirurgia en-

dodontica che i casi trattati con la sola resezione apicale sono più frequentemente as-

sociati a fallimento.

Gli Istmi

Un istmo è definito come una stretta porzione anatomica o passaggio che collega due

cavità. Weller et al. lo descrivono come una stretta comunicazione nastriforme tra

due canali radicolari che contiene tessuto pulpare. Nella maggior parte dei casi, un

dente con una radice fusa presenta una rete di connessioni tra i due canali rappresen-

tata dall’istmo. L’istmo è una struttura che fa parte del sistema endodontico e come

tale deve essere preparata detersa ed otturata. Sorprendentemente gli istmi non erano

mai neanche stati nominati prima del 1983 (Cambruzzi & Marshall, 1983) e non esi-

stono evidenze sul loro trattamento prima del 1990.

Un istmo è più frequentemente osservato tra due canali all’interno della stessa radice.

A 3 mm dall’apice il 90% delle radici mesio-vestibolari dei primi molari superiori

presentano un istmo, il 30% dei premolari superiori o inferiori e l’80% delle radici

mesiali dei molari mandibolari (Kim et al. 2001). Questa frequenza così elevata spie-

ga da sola perchè la sola resezione apicale non possa funzionare. Il blu di metilene è

il mezzo migliore per procedere alla loro identificazione. La loro preparazione deve

essere eseguita con adeguati strumenti ultrasonici e risulta piuttosto semplice in caso

di istmi completi (aperti) ma decisamente più indaginosa nel caso di istmi incompleti

(chiusi o parzialmente chiusi). E’ comunque fondamentale che tutto il sistema endo-

dontico (canali e istmi) vengano completamente preparati per una profondità di al-

meno 3 mm.

Significatività clinica

L’esame dei casi falliti con tecniche endo-chirurgiche tradizionali rivela chiaramente

che la causa principale di fallimento sulle radici mesiali di molari mandibolari è stata

la mancata o cattiva gestione dell’istmo (Hsu & Kim, 1997). Spesso l’otturazione

viene posizionata in un canale, dimenticando l’altro canale e l’istmo. L’idea che la

sola apicectomia senza preparazione e otturazione retrograda possa essere sufficiente

pertanto può essere vera nei denti privi di istmo. Tuttavia data la loro elevata inciden-

za, è raro che ciò si verifichi nei molari e nei premolari. Sintetizzando, la pronta iden-

tificazione dell’istmo attraverso il microscopio, la sua preparazione con opportuni in-

serti ultrasonici e il riempimento con il materiale biocompatibie più idoneo, rappre-

senta l’approccio micro-chirurgico migliore e più di successo (Rubistein & Kim,

1992).(…)

Preparazione retrograda ultrasonica

La tecnica tradizionale di preparazione della cavità retrograda con frese e micro-

manipoli pone il chirurgo difronte a numerose problematiche (Carr, 1997; Von Arx &

Kurt, 1999):

1. L’accesso all’apice è difficoltoso, specialmente nei casi di spazio di lavoro limita-

to.

2. Alto rischio di perforazione linguale della preparazione retrograda quando la stes-

sa non segue l’asse del canale originale.

3. Spessore e ritenzione insufficiente per il materiale da otturazione retrograda.

4. Esposizione di molti tubuli dentinali.

5. Il tessuto necrotico presente all’interno dell’istmo non può essere rimosso.

Questi dilemmi clinici non erano mai stati messi in discussione prima, poichè gli

strumenti chirurgici disponibili erano troppo grandi per le dimensioni del campo ope-

ratorio, e l’anatomia apicale non era sufficientemente conosciuta.

Lo scopo della preparazione retrograda è quello di rimuove il precedente materiale da

otturazione endodontica e gli irritanti, e di creare una cavità adatta ad essere adegua-

tamente riempita. La cavità ideale potrebbe essere definita come una piccola cavità di

prima classe, con almeno 3mm di profondità e le pareti parallele al profilo esterno

della radice (Carr, 1997).

Richman introdusse per primo nel 1957 gli ultrasuoni in endodonzia utilizzando una

punta parodontale modificata per l’accesso ai canali radicolari e per le apicectomie

(Richmann ,1957). Successivamente Carr (Carr, 1992) introdusse delle punte ultraso-

niche retrograde specificamente disegnate per la preparazione della cavità durante la

micro-endodonzia chirurgica. Diversi autori hanno confermato un controllo molto

maggiore, un ridotto rischio di perforazione e un’aumentata tendenza a rimanere cen-

trati all’interno del canale con l’uso degli inseriti ultrasonici rispetto ai micromanipoli

(Engel & Steiman, 1995).

Nonostante i vantaggi degli inserti ultrasonici, alcuni studi condotti su denti estratti

hanno evidenziato la maggior formazione di microcrack durante la preparazione re-

trograda (Saunders et al. 1994). Altri autori (Min et al. 1997 ) hanno però sottolineato

i denti estratti, siano più facilmente soggetti alla formazione di micro-crack special-

mente con l’utilizzo di potenze ultrasoniche troppo aggressive. Studi successivi su

cadavere o su umano, hanno invece dimostrato una presenza di micro-crack insignifi-

cante.

La maggior parte degli strumenti usati negli studi precedenti erano inserti in acciaio

liscio. Le punte ultrasoniche con rivestimento diamantato sono state introdotte più re-

centemente per minimizzare la fratture dentinali, permettendo un’azione di abrasione

della dentina più rapida e quindi diminuendo il tempo di contatto dell’inserto con la

superficie radicolare (Navarre e Steiman, 2002). Nonostante numerosi studi (Peters et

al. 2001; Brent et al. 1999) abbiano poi dimostrato che nè le punte lisce nè quelle

diamantate producano un significante numero di crack, la maggior velocità e la mag-

gior ruvidità di superficie lasciata dalle seconde rappresentano sicuramente un van-

taggio. Più recentemente sono state introdotte le punte rivestire in nitruro di zirconio.

A differenza del diamante, che aderisce alla superficie esterna del metallo rendendo

la punta più spessa, il nitruro di zirconio è inserito all’interno del metallo, permetten-

do di ottenere punte più sottili. Lo svantaggio di queste punte è la loro relativa ineffi-

cienza nella rimozione della gutta-percha dalle pareti canalari. In ogni caso le punte

ultrasoniche hanno rappresentato un grosso passo in avanti nella micro-chirurgia en-

dodontica. Inoltre nuovi trattamenti di superficie le renderanno sempre più efficienti e

con un minor rischio di frattura, il che insieme al microscopio operatorio renderà

l’endodonzia chirurgica sempre più efficiente.

Materiali da otturazione retrograda: l’MTA è il miglior mate-

riale?

Una cavità di prima classe della profondità di 3 mm dovrà essere riempita da un ma-

teriale in grado di garantire un sigillo ermetico. Esistono diversi materiali da ottura-

zione retrograda. L’amalgama d’argento, è stata già da tempo sostituita da materiali a

base di ossido di zinco ed eugenolo come l’IRM o il Super EBA poichè numerosi

studi hanno dimostrato la loro superiorità in termini di capacità di sigillo e di bio-

compatibilità (Pitt Ford et al. 1995). Più recentemente i materiali su base MTA (Mi-

neral Trioxide Aggregate) sono stati individuati come materiali in possesso delle pro-

prietà ideali per l’impiego nel campo della micro-chirurgia endodontica. La loro

composizione è fondamentalmente costituita da Tricalcisilicato (Ca3Si), Tricalcio Al-

luminato (Ca3Al) e Ossido Tricalcico (Ca3O).(..) Grazie alle loro capacità di sigillo e

biocompatibilità superiori ai materiali convenzionali, l’MTA ha acquisito una grossa

popolarità tra gli endodontisti (Torabinejad et al. 1995). Studi in vivo hanno dimo-

strato che l’MTA è in grado di indurre la formazione di osso, dentina e cemento

(Baek et al. 2005). Rispetto all’amalgama o ai Super EBA l’MTA pertanto risulta es-

sere un materiale in grado di indurre la rigenerazione dei tessuti periapicali inclusi il

legamento parodontale ed il cemento. Sulla base degli studi disponibili, si può affer-

mare che l’MTA ha un grande potere di induzione della guarigione e che è molto più

biocompatibile di tutti i materiali disponibili al momento (Shin, 2004) (ndr 2006).

Tuttavia il solo uso dell’MTA non può porre rimedio all’inadeguatezza di una proce-

dura chirurgica eseguita con tecnica tradizionale. Studi clinici dimostrano che le gua-

rigioni con MTA sono migliori ma non così diverse da quelle con IRM a patto che la

procedura sia eseguita con approccio microchirurgico o che almeno sia stata utilizza-

ta una tecnica ultrasonica di retro-preprazione apicale (Chong et al. 2003). Una buona

tecnica chirurgica risulta importante tanto quanto il materiale per l’ottenimento di

buoni risultati. (…)

Sequele chirurgiche e complicanze: il forame mentoniero ed il

seno mascellare

Molti clinici preferiscono evitare la chirurgia sui denti posteriori a causa del rischio

di parestesia nell’arcata mandibolare e di violazione del seno mascellare nell’arcata

superiore. Queste strutture anatomiche non dovrebbero rappresentare un ostacolo

poichè esistono tecniche ben documentate per la loro gestione.

Gestione del forame mentoniero

Normalmente il forame mentoniero è posizionato al di sotto degli apici tra il secondo

premolare e la radice mesiale del sesto inferiore. Più precisamente, la sua localizza-

zione più frequente è al di sotto della corona del secondo premolare (62,7%) (Phil-

lips, 1990), ed è sempre più ampio di quanto appaia in radiografia (Phillips et al.

1992). Una conoscenza approfondita dell’anatomia della regione, così come

l’esecuzione di radiografie con differenti angolazioni (ndr o di CBCT) sono essenzia-

li. E’ inoltre importante che l’incisione verticale di rilascio sia sufficientemente lunga

da esporre correttamente il forame mentoniero dopo un attenta dissezione. Una volta

che il forame mentoniero è stato individuato, un retrattore viene posizionato subito al

di sopra dello stesso e con il microscopio si esegue un solco di 15 mm per il futuro

posizionamento del retrattore (Fig. 4). Nonostante danneggiare il nervo sia piuttosto

raro, una parestesia transitoria può essere piuttosto frequente anche in interventi piut-

tosto lontani dallo stesso. L’infiammazione dei tessuti manipolati durante la chirurgia

può portare infatti ad una parestesia transitoria che sparisce nel giro di qualche setti-

mana.

Gestione del seno mascellare

Il seno può essere facilmente perforato durante il trattamento chirurgico di denti po-

steriori mascellari. Questo talora può essere evitato con una attenta esecuzione della

chirurgia. Altre volte non è possibile evitarlo, ad esempio quando gli apici radicolari

si estendono all’interno del seno mascellare. Nel caso in cui il seno sia perforato, la

cosa più importante è evitare che qualunque oggetto solido come batuffoli di cotone,

frammenti apicali o di otturazione retrograda o altro possano entrare all’interno della

cavità sinusale. Il seno è in grado di espellere anche grandi quantità di liquidi ma non

corpi solidi. Pertanto il lavaggio della cavità sinusale con soluzione salina sterile non

causa nessun problema. Se la perforazione è molto piccola, un batuffolo di cotone le-

gato ad una sutura di sicurezza può essere usato come barriera (Kim et al. 2001). Se

la perforazione o molto più ampia, è possibile inserire nel seno mascellare una garza

iodata, lasciando un capo della stessa all’esterno per consentire la sua rimozione alla

fine dell’intervento. Sarà bene dare al paziente una copertura antibiotica post operato-

ria con ciprofloxacina o amoxicillina per 7 gg e suggerire di dormire con la testa un

Fig. 4

po’ più sollevata per poter espellere dal naso un eventuale sanguinamento. Seguendo

queste semplici raccomandazioni non ci sono normalmente complicazioni con una

perforazione della membrana del seno mascellare e gli studi non riportano differenze

di guarigione tra i casi con e senza perforazione.Classificazione dei casi di microchi-

rurgia endodontica

Essendo la riuscita dell’intervento di microchirurgia endodontica fortemente correlato

alle condizioni di partenza dell’elemento è molto importante conoscere le percentuali

di successo in base alle stesse. Gli autori hanno quindi proposto la seguente classifi-

cazione riportata nella Figura 5.

Fig. 5

Le classi A B e C non presentano alcun problema di trattamento chirurgico e le con-

dizioni non inficiano le percentuali di successo del trattamento. Ad esempio nello

studio di Rubinstein and Kim (Rubistein & Kim, 1999) i casi di queste categorie han-

no avuto una percentuale di successo del 96,8% ad 1 anno. I casi di classe D, E ed F

presentano invece delle serie difficoltà. Nonostante questi casi ricadano nel campo di

competenza dell’endodontista un trattamento adeguato e di successo richiede, non so-

lo capacità in micro-chirurgia endodontica ma anche nel contemporaneo impiego di

materiali da innesto osseo e membrane. Questi casi rappresentano la vera sfida anche

il chirurgo endodontico più abile perchè le cause del propblema sono contempora-

neamente parodontali ed endodontiche.

Reazioni post operatorie: dolore e gonfiore

Dolore e gonfiore sono reazioni postoperatorie comuni in seguito ad un intervento di

chirurgia endodontica. Gli interventi eseguiti con tecnica chirurgica tradizionale sono

considerati piuttosto invasivi e conducono all’assunzione di analgesici per almeno un

giorno dopo l’intervento nella maggioranza dei pazienti. Il 23% di essi deve assentar-

si dal lavoro per dolore o gonfiore (Kvist & Reit, 2000).

Studi su pazienti sottoposti a micro-chirurgia endodontica premedicati con 800 mg di

ibuprofene (e prosecuzione della terapia per 2 giorni) o 8mg di Dexamethasone preo-

peratorio (e 4mg/die per 2 gg) hanno dimostrato la presenza di sporadico gonfiore e

dolore moderato. Questi risultati potrebbero essere attribuiti ai farmaci impiegati ma

certamente la tecnica micro-chirurgica ha un influenza positiva sulle reazioni posto-

peratorie. In ogni caso è bene inserire una piccola dose di ibuprofene o dexametasone

nel protocollo chirurgico.

Successo terapeutico in microendodonzia chirurgica

Esistono numerosi studi sul successo o sul fallimento dell’endodonzia chirurgica

(Chong et al. 2003; Testori et al. 1999; Maddalone & Gagliani, 2003, Von Arx et al.

2001). La maggior parte di questi (ndr nel 2006), si basano su tecniche chirurgiche

tradizionali.

Il successo delle tecniche tradizionali si aggira tra il 44 ed il 90%. Una variabilità così

ampia dipende fondamentalmente dalla scarsa qualità di molti di questi studi in ter-

mini di numero di campioni, durata dell follow-up, assenza di chiari criteri di inclu-

sione ed esclusione. Uno studio di Frank et al (Frank et al. 1992) ha inoltre dimostra-

to come casi apparentemente di successo si sono rivelati dei fallimenti a 11 o 15 anni.

Sicuramente i denti con radiotrasparenze preoperatorie hanno avuto percentuali di

fallimento maggiori (Harty et al. 1970). Molven et al. (Molven et al. 1991) hanno di-

mostrato come l’efficacia del sigillo apicale sia il fattore chiave del successo

dell’endodonzia retrograda, il che spiega gli evidenti limiti della chirurgia tradiziona-

le.

Uso degli inseriti ultrasonici in assenza del microscopio

Diversi studi hanno evidenziato buone percentuali di successo in chirurgia endodon-

tica con l’utilizzo di inseriti ultrasonici anche in mancanza del microscopio operato-

rio. Von Arx et al. (Von Arx et al. 2001) hanno riportato una percentuale di successo

dell’88% ad un anno su 39 radici di molari. Zuolo et al (Zuolo et al. 2000) una per-

centuale del 91,2% su 102 casi. Dei 9 casi falliti 6 erano molari. Risultati simili sono

stati ottenuti da Testori (Testori et al. 1999) e Maddalone e Gagliani (Maddalone &

Gagliani, 2003). In nessuno di questi studi si parla specificamente di istmi, segno che

la loro presenza non è stata indagata attentamente durante la chirurgia, il che spieghe-

rebbe le percentuali di fallimento superiori sui denti pluriradicolati.

Inserti ultrasonici e microscopio: l’approccio microchirurgico

completo

Due studi prospettici risultano particolarmente interessanti per comprendere i vantag-

gi della micro-chirurgia endodontica. Entrambe gli studi hanno usato criteri di inclu-

sione ed esclusione particolarmente rigidi, inserendo nello studio solo lesioni di ori-

gine puramente endodontica. Nello studio di Rubistein e Kim (Rubistein & Kim,

1999) 94 elementi (32 anteriori, 31 premolari e 32 molari) sono stati trattati seguendo

il protocollo descritto nella presente review e l’unico materiale impiegato per

l’otturazione retrograda è stato il SuperEBA. Riassumendo tutti gli apici sono stati

sezionati di circa 3 mm perpendicolarmente all’asse lungo della radice. Non è stato

effettuato nessun bisello e le dimensioni dell’osteotomia sono stati contenuti in 4

mm. Le radici, dopo la resezione sono state colorate con blu di metilene e osservare

in visione indiretta con un microspecchietto ad alto ingrandimento (16-24X). I canali

apicali sono stati preparati per una profondità di 3 mm con inserti ultrasonici e suc-

cessivamente riemepiti con SuperEBA. Le rx di controllo sono state fatte con caden-

za trimestrale per 1 anno. La risoluzione della radiotrasparenza apicale con riforma-

zione della lamina dura e l’assenza di sintomi sono stati considerati segni di una gua-

rigione completa. Ad 1 anno, il 96,8% dei casi era guarito ed i richiami a 5 e 7 anni

dei medesimi casi ha dimostrato una guarigione nel 91% dei casi (Rubinstein & Kim,

2002). Uno studio di Chong e Pitt Ford (Chong & Pitt Ford, 2003) ha invece compa-

rato, con l’uso della stessa tecnica micro-chirurgica sopra descritta, i risultati delle

chiusure con IRM ed MTA ottenendo percentuali di successo a 2 anni relativamente

del 87% e del 92%.

Conclusioni

La chirurgia endodontica si è oggi evoluta in micro-endodonzia chirurgica. Utiliz-

zando i migliori equipaggiamenti, strumenti e materiali oggi disponibili, riuscendo

quindi a far coincidere biologia e clinica gli autori sono convinti che l’approccio mi-

crochirurgico sia in grado di garantire risultati predicibili nell’ottenimento della gua-

rigione di lesioni di origine endodontica. Si dovrebbe insegnare la micro-chirurgia a

tutti gli endodontisti, in modo che gli stessi siano in grado di trattare un dente chirur-

gicamente o meno con le stesse abilità. Con le alte percentuali di successo

dell’endodonzia ortograda, insieme a quelle dell’endodonzia chirurgica quasi tutti i

denti con lesioni di origine endodontica possono essere trattati con successo. La sfida

per il futuro sarà la possibilità di gestire con altrettanta predicibilità anche le lesioni

di origine endo-parodontale.

Si ritiene quindi che la microendodonzia chirurgica insieme all’MTA possa essere

una procedura predicibile per salvare i denti. La preservazione dei nostri denti natura-

li dovrebbe sempre essere il nostro obiettivo, dopotutto, nonostante quello che si pos-

sa dire o fare i nostri denti naturali saranno sempre migliori di qualsiasi sostituto pro-

dotto dall’uomo.

Caso Clinico

La scelta del piano di trattamento a volte è condizionata dai settori estetici, per cui re-

cuperare elementi naturali molto compromessi può essere la soluzione ideale per evi-

tare alterazioni della morfologia dei tessuti molli. Tutti sappiamo che spesso la prote-

si su impianti ha bisogno di condizionare, attraverso l’uso corretto dei provvisori, i

tessuti per ridare parabole e papille corrette.

Il caso che segue è stato la risultante di queste valutazioni, ovviamente con la

compliance del paziente.

Donna di 47 anni che giunge alla nostra attenzione con questa situazione protesica in-

soddisfacente dal punto di vista estetico e funzionale (Fig. 6).

Lo status rx (Fig.7) evidenziava la presenza di una lesione periradicolare a carico

dell’elemento 11 già precedentemente trattato con un’endodonzia ortograda seguita a

Fig. 6

poca distanza da una endodonzia chirurgica per la presenza di un tramite fistoloso.

Dalla rx si evidenzia il taglio della radice, ma la mancanza dell’otturazione retrograda

all’interno della cavità canalare, motivo per cui la fistola si è ripresentata per

l’assenza di sigillo apicale.

Insieme al collega abbiamo optato per una nuova en-

dodonzia chirurgica a carico del 11 affinchè la situa-

zione di partenza per la riabilitazione protesica con-

sentisse di sfruttare una condizione dei tessuti molli

già soddisfacente dal punto di vista estetico. Essendo

presente un’ampia banda di gengiva aderente, si ese-

gue un lembo d’accesso con incisione paramarginale

per avere, all’atto della sutura, dei reperi precisi per il

riposizionamento del lembo al fine di rendere poco o

nulla visibile la ferita a distanza di tempo.

La presenza della fistola, dopo scollamento, rende evi-

dente, senza dover ricorrerre alla creazione di un a

breccia ossea , la lesione e di conseguenza l’apice radicolare tagliato dopo il primo

intervento.

Fig. 7

Rimosso il tessuto di granulazione presente all’interno della cavità ossea, si nota, nel-

la parte superiore della nicchia residua, una piccola formazione dura, mobile, di co-

lore giallo inserita in un tessuto reattivo molto al di sopra dell’apice della radice.

In seguito alla sua rimozione la stessa viene identificata come la porzione apicale

dell’incisivo, dimenticata nella compagine ossea dopo il primo intervento (Fig. 8 e 9).

Fig. 8

Fig. 9 Fig. 9

Fig. 10

L’apice viene rimosso e si esegue una toilette chirurgica accurata per rimuovere

eventuali altri piccoli frammenti radicolari presenti.

Come si evince dalle foto l’irregolarità della radice, risultante dopo il primo interven-

to, impone una correzione per rendere il più omogeneo e liscio possibile il bordo ra-

dicolare.

Si procede poi alla preparazione della cavità retrograda per detergere la superficie in-

terna del canale e rimuovere parte del materiale di riempimento del canale stesso at-

traverso l’uso di punte dedicate montate su una sorgente ultrasonica.

Tutto ciò ci permetterà di avere una base regolare su cui poter appoggiare la nostra

otturazione retrograda in MTA e farla aderire al meglio ai bordi della cavità cercando

di non lasciare spazi che potrebbero, se colonizzati da batteri, mantenere attiva la le-

sione endodontica.

Indubbiamente vedendo il controllo postoperatorio (Fig.11) potrebbero sorgere molte

perplessità sulla scelta di questo piano di trattamento, ma la riduzione della lunghezza

della radice del’11 non ha minimamente influito sulla sua stabilità e quindi anche la

valutazione dello sforzo limitato in sede funzionale da parte di questo elemento, ci

hanno dato un ulteriore conforto per un potenziale recupero dell’elemento naturale.

I controlli a distanza (Fig. 12) ci fanno vedere una completa guarigione della lesione

e ciò ci rende molto soddisfatti della scelta fatta. Il sacrificio di tale elemento e la sua

Fig. 11

Fig. 12

sostituzione con impianto certamente avrebbe reso più complicata la vita al protesista

che ha potuto invece sfruttare agevolmente i tessuto originali per ottenere un valido

risultato estetico-funzionale.

Fig. 13

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