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Capitolo 7 Il rischio sismico 7.1. Introduzione I fenomeni sismici sono quelli che più colpiscono la mente dell’uomo, in quanto fanno dubitare dei concetti innati di stabilità del suolo e di sicurezza degli edifici in cui si vive. Nessun altro fenomeno naturale ha la potenza di offuscare la esatta percezione degli avvenimenti: il rumore sordo, il movimento degli oggetti, lo scricchiolio degli edifici, il silenzio degli animali si imprimono profondamente nell’animo umano generando una sensazione di paura ed impotenza, anche per terremoti modesti, come quello di Salò del 24 novembre 2004. Un temporale, una frana, un’alluvione sono percepiti e visti da chiunque: il terremoto no, proviene dalle profondità della Terra, dal buio, dagli Inferi. Era e resta, nell’immaginario collettivo, qualcosa di misterioso, di terribile e di imperscrutabile. Figura 7.1 – Sismogramma del terremoto di Salò del 24.11.04 pre 23,59 Rispetto a tutti gli altri rischi naturali il terremoto ha una caratteristica particolare: non uccide, quasi mai, direttamente ma colpisce proprio dentro le nostre case, dove l’uomo si sente, apparentemente, più sicuro. E’ proprio il crollo degli edifici che causa le vittime, non il terremoto in sé ed è su questo aspetto che si opera con

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Capitolo 7

Il rischio sismico

7.1. Introduzione

I fenomeni sismici sono quelli che più colpiscono la mente dell’uomo, in quanto fanno dubitare dei concetti innati di stabilità del suolo e di sicurezza degli edifici in cui si vive. Nessun altro fenomeno naturale ha la potenza di offuscare la esatta percezione degli avvenimenti: il rumore sordo, il movimento degli oggetti, lo scricchiolio degli edifici, il silenzio degli animali si imprimono profondamente nell’animo umano generando una sensazione di paura ed impotenza, anche per terremoti modesti, come quello di Salò del 24 novembre 2004.

Un temporale, una frana, un’alluvione sono percepiti e visti da chiunque: il terremoto no, proviene dalle profondità della Terra, dal buio, dagli Inferi. Era e resta, nell’immaginario collettivo, qualcosa di misterioso, di terribile e di imperscrutabile.

Figura 7.1 – Sismogramma del terremoto di Salò del 24.11.04 pre 23,59

Rispetto a tutti gli altri rischi naturali il terremoto ha una caratteristica particolare: non uccide, quasi mai, direttamente ma colpisce proprio dentro le nostre case, dove l’uomo si sente, apparentemente, più sicuro. E’ proprio il crollo degli edifici che causa le vittime, non il terremoto in sé ed è su questo aspetto che si opera con

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sempre maggiore consapevolezza. Contribuiscono ad una crescente adeguatezza operativa anche i singoli eventi, il crollo della scuola di San Giuliano nel terremoto del Molise del 2002 ha dato una forte impronta alla coscienza collettiva del paese innescando un processo di adeguamento normativo e tecnico tutt’ora in corso. I suoi fondamentali riguardano la riclassificazione sismica di tutto il territorio nazionale e la verifica degli edifici rilevanti e strategici ai fini sismici.

7.2. I terremoti Le rocce che formano l’interno della Terra non sono omogenee, ma presentano zone con pressioni, temperature, densità e caratteristiche dei materiali assai diverse. Questa forte disomogeneità induce lo sviluppo di forze che tendono a riequilibrare il sistema fisico-chimico. Tali forze determinano dei movimenti negli strati più superficiali della Terra, spingendo le masse rocciose le une contro le altre e deformandole. La Terra è dunque un sistema dinamico e in evoluzione continua. I terremoti sono una conseguenza dei processi dinamici e tettonici che determinano la genesi e l’evoluzione dei bacini oceanici, delle catene montuose e dei continenti. Infatti, quando tali deformazioni raggiungono il limite di resistenza dei materiali, questi si fratturano liberando quasi istantaneamente l’energia elastica sino ad allora accumulata. L’energia si propaga in tutte le direzioni sotto forma di onde sismiche, provocando così quei movimenti del suolo che costituiscono il terremoto.

Figura 7.2 - Differenti strati che compongono l’interno della Terra

Parte dell’energia rilasciata durante un terremoto prende la forma di onde sismiche. Le onde sismiche viaggiano attraverso la Terra e producono lo scuotimento del terreno in superficie anche a grandi distanze dalla sorgente del

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terremoto. Questo scuotimento viene avvertito e misurato dagli strumenti (sismografi). Lo studio della propagazione delle onde sismiche è uno strumento per indagare l’interno della Terra, determinando le variazioni delle proprietà elastiche delle rocce attraversate con la profondità e la loro probabile composizione.

La distribuzione spazio-temporale e i caratteri dei terremoti sulla Terra non sono casuali, ma dipendono dal contesto geodinamico, cioè dalle forze che agiscono nelle prime centinaia di chilometri di profondità (raggio terrestre massimo = 6.378 km). All’interno della Terra, solo gli strati relativamente più superficiali, crosta e mantello superiore, sono sede di attività sismica.

Le forze che agiscono sulla superficie terrestre producono nella crosta forme quali bacini oceanici, continenti e catene montuose. Tali forze vengono interpretate alla luce di un modello cinematico globale, la teoria della “Tettonica delle Placche”, che fornisce una spiegazione fisica razionale della maggior parte dei terremoti e dei processi geologici che avvengono sulla superficie terrestre. Questo modello identifica una serie di placche litosferiche a comportamento rigido che si muovono una relativamente alle altre determinando diversi tipi di margini nelle aree di contatto. Il movimento relativo tra le placche rigide è misurato attraverso l’uso del GPS e varia da pochi cm a qualche decina di cm all’anno.

La distribuzione spaziale dei terremoti segue i bordi delle placche disegnando, così, delle fasce caratteristiche in cui si concentrano anche altri aspetti dell’attività della Terra (formazione di catene montuose, vulcanismo). Queste fasce sono le zone di interazione tra le varie placche in movimento, sede di accumulo di grande energia che viene costantemente liberata nel corso dei terremoti che interessano con grandissima frequenza la Terra.

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Figura 7.3 - Mosaico delle principali placche tettoniche in accordo con la teoria della Tettonica delle Placche, evidenziate dalla distribuzione dei terremoti (da sito web INGV)

Sul nostro pianeta i terremoti sono molto frequenti: fin dalla nascita della Terra, se ne possono contare circa 3.000 al giorno. Fortunatamente l'ipocentro è spesso molto profondo - fino a 700 km - e solo i sismografi avvertono i quasi impercettibili smottamenti del suolo. I più disastrosi terremoti si verificano invece quando l'ipocentro è molto vicino alla superficie. Le regioni più a rischio sono dette fasce sismiche e si trovano ai margini delle zolle tettoniche, generalmente in corrispondenza di grandi catene montuose e della cintura circumpacifica

Figura 7.4 - Diversi tipi di margini tra placche (da sito web USGS)

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Nelle zone in cui si ha allontanamento o scorrimento parallelo tra due placche, i terremoti sono piuttosto superficiali, mentre nelle zone in compressione, dove una placca scorre al di sotto dell’altra, si manifestano terremoti anche a profondità considerevoli (fino a circa 700 km). In Italia si hanno terremoti profondi sotto l’Appennino settentrionale (fino a 100 km) e sotto l’arco calabro (fino a 500 km).

Figura 7.5 - Esempio di faglia normale che disloca il terreno in superficie dando luogo ad

una scarpata di faglia in roccia (disegnato da R. Giuliani)

La rottura della roccia durante un terremoto è accompagnata dall’improvviso rilascio dell’energia accumulata che si propaga sotto forma di onde sismiche in tutte le direzioni. Il punto all’interno della terra dove si genera la rottura si chiama fuoco o ipocentro del terremoto; il punto corrispondente sulla superficie terrestre è l’epicentro. Il terremoto viene generato da un movimento improvviso lungo una faglia. Per terremoti di elevata energia, la rottura si propaga fino in superficie, dislocando gli elementi del paesaggio naturali e/o antropici. Una faglia è una frattura o un sistema di fratture lungo le quali la roccia risulta dislocata. Sulla base del tipo di movimento vengono distinti tre tipi di faglie principali: normali, inverse e trascorrenti. Durante un terremoto si ha l’improvvisa rottura lungo una faglia con rilascio di energia elastica.

Gli effetti di un terremoto possono essere distinti in diretti, che comportano la deformazione del suolo nell’intorno della faglia sismogenetica e secondari, non direttamente causati dal movimento della faglia ma indotti dalla propagazione delle onde sismiche a distanza dall’area sorgente. Sono, quindi diretti gli effetti di fagliazione superficiale, mentre sono effetti secondari le frane, gli tsunami o la liquefazione.

La ridotta intensità (magnitudo) dei terremoti della Lombardia non comporta evidenze in superficie del movimento della faglia (evidenze che sono viceversa ben visibili nella faglia di San Andreas in California con strade ed alberi spostati di netto) mentre anche con il terremoto di Salò del 2004 si sono verificati numerosi crolli rocciosi dalle pareti più ripide (Clibbio nel Comune di Sabbio Chiese)

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I terremoti producono delle onde elastiche che si propagano facendo “vibrare” i terreni che attraversano, e possono indurre delle variazioni permanenti nel paesaggio attraverso l’innesco di fenomeni franosi che si attivano in funzione dello scuotimento sismico del terreno. Lo scuotimento durante i terremoti può, inoltre, determinare un improvviso aumento della pressione dell’acqua con conseguente perdita di resistenza al taglio dei depositi sabbioso-limosi dando luogo a fenomeni di liquefazione.

7.3. Come si misura un terremoto

I terremoti vengono misurati tramite i sismometri, strumenti che misurano le oscillazioni del terreno causate dalla propagazione delle onde sismiche, e vengono registrati su supporti cartacei o digitali. Un insieme di stazioni sismiche dislocate in una certa area geografica, collegate fra loro e/o con una centrale di ricezione dei dati, costituisce una rete sismica.

I moderni sismografi sono degli strumenti molto sensibili che misurano la velocità o lo spostamento del terreno e sono la combinazione di un sensore (geofono) e di un acquisitore. Un geofono è un trasduttore di velocità che converte una quantità meccanica (moto del suolo) in una quantità elettrica (voltaggio). Esso misura la velocità del moto del suolo (non il moto del suolo stesso). Se il suolo non si muove, l’uscita del sensore è zero. Uno dei più importanti parametri di un sensore è la sua frequenza naturale, al di sotto di questa frequenza, la sensibilità del geofono diventa più bassa. In generale, se si ha un sensore ad una frequenza naturale più bassa si possono registrare movimenti del suolo più lenti. Più bassa è la frequenza naturale del geofono più grande e pesante è lo strumento. Un buon compromesso tra gli scopi scientifici che mirano a risolvere le basse frequenze e l’uso pratico della strumentazione è una frequenza naturale nell’intervallo di 1 Hz. Tale strumento è chiamato geofono a corto periodo. I geofoni a lungo periodo tipicamente hanno frequenze naturali nell’intervallo di decine di secondi. I geofoni a larga banda possono coprire l’intervallo al di sotto di 300 secondi.

Gli accelerometri sono degli strumenti che misurano l’accelerazione del suolo e registrano i forti terremoti. Se il suolo non si muove o si muove ad una velocità costante, l’uscita di un accelerometro è zero. Gli accelerometri sono utilizzati nelle applicazioni ingegneristiche perché l’accelerazione può essere facilmente convertita in una forza e ciò è quanto richiesto dall’ ingegneria strutturale e civile. Paragonato ad un geofono, un accelerometro è più sensibile alle alte frequenze e meno sensibile alle basse frequenze. Gli accelerometri cosiddetti force-balance (FBA) utilizzano un meccanismo di retro-azione (feedback) che estende l’intervallo di sensibilità dello strumento fino a 0 Hz. La massima accelerazione che possono registrare gli attuali strumenti è compresa tra 1 e 2 g (1 g corrisponde alla gravità terrestre). La classica differenza tra sismometri e accelerometri tende a essere superata dall’avvento degli strumenti digitali a larga banda (0-100 Hz) e alto range dinamico (~ 140 dB).

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Una rete di monitoraggio può essere definita come ogni gruppo di strumenti aventi caratteristiche comuni, quali la gestione, la manutenzione ed il processamento dei dati. La rete accelerometrica italiana (RAN) è costituita da centinaia di strumenti distribuiti sull’intero territorio nazionale nelle aree a più elevato rischio sismico. Per indicare l’entità di un terremoto vengono utilizzate due differenti definizioni, la magnitudo e l’intensità.

La magnitudo, espressa attraverso un numero puro, misura oggettivamente la quantità di energia emessa durante un sisma ed è calcolata a partire dall’ampiezza delle onde registrate dai sismografi: in omaggio a Richter, famoso sismologo che la definì nel 1935, si parla di “magnitudo Richter” o impropriamente di “scala Richter”.

L’intensità quantifica esclusivamente gli effetti provocati dal sisma sul paesaggio, sulle infrastrutture antropiche e sull’uomo; a differenza pertanto della magnitudo assume valori diversi in luoghi diversi, a seconda della distanza dall’epicentro e dalle condizioni geomorfologiche e geotecniche delle diverse aree (effetti di sito). Essa viene espressa con la scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg), più nota come scala Mercalli, dal nome del sismologo italiano dell’ inizio dello scorso secolo, che ha proposto una prima scala basata sugli effetti dei terremoti.

Figura 7.6 – Scala Mercalli (intensità) e Scala Richter (magnitudo) a confronto

7.4. Il rischio sismico in Lombardia Italia e Lombardia a confronto Il terremoto, per la severità e la globalità del suo impatto, è senza dubbio l’evento di origine naturale più disastroso che caratterizzi il territorio nazionale. L’Italia è,

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infatti, un paese ad elevata sismicità, per la frequenza degli eventi che hanno interessato il suo territorio e per l’intensità che alcuni di essi hanno storicamente raggiunto, determinando un rilevante impatto sociale ed economico. Se l’Italia è complessivamente una nazione ad elevato rischio sismico la Lombardia presenta un rischio sismico da basso a molto basso.

Figura 7.7 – Il rischio sismico nel territorio europeo

Alcuni numeri consentono di delineare le dimensioni di ciò che possiamo definire il problema sismico in Italia: 2.500 terremoti, con intensità Mercalli maggiore del V grado, hanno colpito il nostro territorio nell’ultimo millennio, 200 dei quali distruttivi; 120.000 vittime nell’ultimo secolo (85.000 delle quali dovute al terremoto di Reggio Calabria e di Messina del 1908); 20 terremoti con intensità superiore od uguale al IX grado MCS dal 1900 ad oggi ed un danno economico, valutato per gli ultimi venticinque anni in circa 75 miliardi di euro (145.000 miliardi delle vecchie lire), impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze sul patrimonio storico, artistico, monumentale - importantissimo per un paese come l’Italia - fortemente esposto agli effetti del terremoto.

Considerando alcuni dei più recenti e maggiori terremoti avvenuti nel mondo, eventi di energia (magnitudo) equivalente fra di loro hanno determinato vittime e danni molto diversi in funzione delle caratteristiche del patrimonio abitativo (età, tipologia edilizia, uso), distribuzione dei centri abitati e densità di popolazione, vie di comunicazione, presenza e dislocazione dei centri operativi di pronto intervento, attività produttive, industrie a rischio, etc..

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In Italia il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l’energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri paesi ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto verificatosi in Umbria e nelle Marche nel 1997, ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000, danno economico: 5 miliardi di Euro attualizzabili al 2002) confrontabile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di $ USA), malgrado fosse caratterizzato da un’energia circa 30 volte inferiore. Ciò e dovuto principalmente al fatto che il nostro patrimonio edilizio è caratterizzato da una notevole fragilità, a causa soprattutto della sua vetustà e cioè delle sue caratteristiche tipologiche e costruttive e dello scadente stato di manutenzione. In regione Lombardia le condizioni geologiche non sono così drammatiche come in molte altre regioni italiane tantè che in generale il livello di pericolosità sismica è basso o molto basso con la sola eccezione dell’area del Lago di Garda. Anche il patrimonio edilizio nel suo insieme può essere considerato da buono a ottimo (con esclusione di edifici storici) e il terremoto di Salò del 24/11/2004 (grado Mercalli di 7/8) ha causato un danno complessivo di circa 200 milioni di Euro, cifra importante ma non paragonabile ai miliardi di euro dei terremoti in Umbria Marche e del Molise. Nella figura 3.8. si osservano tutti i terremoti di cui si ha una testimonianza storica in Lombardia a partire dall’anno 476 BC.

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Figura 7.8 - Epicentri dei Terremoti storici in regione Lombardia

La sismicità maggiore sembra concentrarsi nella fascia prealpina orientale, dove i cataloghi dei terremoti collocano tra l'altro i sismi del 1117 e del 1222. Un discreto livello di sismicità è presente nelle zone dell'Oltrepò, mentre una modesta attività è presente in Alta Valtellina e nel Mantovano. Ulteriori zone sismiche sono individuabili in Emilia, nel Veronese e in Engadina. Gli epicentri dei terremoti storici per il settore Lombardo sono prevalentemente concentrati in una fascia allungata in direzione E-W lungo il margine pedemontano, in corrispondenza dell'asse Bergamo-Brescia-Lago di Garda Gli eventi storici più importanti sono il terremoto del 1222 con area epicentrale nel bresciano e magnitudo (MS) stimata pari a 5.9, il terremoto di Salò del 1901 (MS=5.5) il terremoti localizzati nel bergamasco (1661, MS=5.2) e a Soncino (1802, MS=5.5). La parte più meridionale della regione risente della sismicità di origine appenninica, comprensiva dell'area dell'Oltrepo pavese, definita come una zona di transfer [Scandone et al., 1992], contiene eventi storici con magnitudo massima stimata pari a MS=5.5 (Terremoto della Valle Scrivia, 1541).

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Il quadro normativo Ogni otto anni mediamente, in Italia, si verifica un terremoto con conseguenze da gravi a catastrofiche. Questo comporta la necessità di fronteggiare l'emergenza e la ricostruzione, ma anche di elaborare una strategia di difesa dai terremoti. Lo strumento di difesa adottato fino ad oggi in Italia è incentrato sulla normativa sismica, che predispone i requisiti antisismici adeguati per le nuove costruzioni in determinate zone del Paese; l'altra possibile difesa può avvenire attraverso l'intervento sul patrimonio edilizio già esistente, operazione che deve essere articolata a valle di complesse valutazioni socio-economiche, denominate analisi di rischio, in diffusione solo negli ultimi anni. Entrambi gli strumenti di protezione dagli effetti dei terremoti hanno un denominatore comune nella pericolosità sismica, ovvero nella stima dello scuotimento del suolo previsto in un certo sito durante un dato periodo di tempo a causa dei terremoti. Per quanto riguarda la normativa sismica italiana, le prime misure legislative vennero prese dal governo borbonico a seguito dei terremoti che colpirono la Calabria nel 1783 causando più di 30.000 morti; dopo il terremoto che distrusse Reggio Calabria e Messina il 28 dicembre 1908, causando, si stima, 80.000 vittime, fu promulgata la prima classificazione sismica italiana, intesa come l'elenco dei comuni sismici. La lista comprendeva i comuni della Sicilia e della Calabria gravemente colpiti dal terremoto ed alcuni altri comuni per i quali si tramandava il ricordo di danneggiamenti subiti nel passato; fu modificata in seguito dopo altri eventi sismici semplicemente aggiungendo i nuovi comuni danneggiati. Nel 1974 fu promulgata la nuova normativa sismica nazionale contenente i criteri di costruzione antisismica, e la classificazione sismica, la lista, cioè, dei comuni in cui devono essere applicate le norme costruttive; quest'ultima viene stabilita con decreto legislativo ed è pertanto aggiornabile qualora le nuove conoscenze in materia lo suggeriscano; fino al 1980 però vi sono stati inseriti semplicemente i comuni nuovamente colpiti da terremoti.

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Figura 7.9 - Classificazione 1984 – In Lombardia erano stati individuati 41 comuni di seconda categoria

Gli studi sismologici e geologici che seguirono i terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia, svolti nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), portarono ad un sostanziale sviluppo delle conoscenze sulla sismicità del territorio nazionale e permisero la formulazione di una proposta di classificazione sismica basata, per la prima volta in Italia, su indagini di tipo probabilistico della sismicità italiana e che conteneva un embrione di stima del rischio sismico sul territorio nazionale. La proposta del CNR fu presentata al governo e tradotta in una serie di decreti da parte del Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1980 ed il 1984. Da allora la comunità scientifica ha compiuto altri significativi passi nella comprensione del fenomeno sismicità, nella valutazione e sviluppo di tecniche per la riduzione delle sue conseguenze. Come in tutti i settori della ricerca, i risultati non sono esaustivi; consentono però un aggiornamento della classificazione sismica del territorio. Nell'ambito delle attività di ricerca del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) del CNR, il progetto "Pericolosità Sismica del Territorio Nazionale" si è posto quale obiettivo ottenere una nuova stima della pericolosità sismica d'Italia, utilizzando metodologie statistiche internazionalmente convalidate, per fissare le conoscenze disponibili alla prima metà degli anni '90.

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Dall’insieme delle attività sopracitate nel 1998 fu presentata una proposta di riclassificazione sismica che non fu adottata.

Figura 7.10 - Proposta di riclassificazione del 1998

Con il terremoto del Molise del 31 ottobre 2002 ed in particolare con il crollo della scuola di San Giuliano è stato compiuto un passo decisivo nel valutare la pericolosità sismica a livello nazionale: l’OPCM 3274 del 2003 ha definitamene sancito che tutto il territorio italiano è sismico ovviamente con diversi livelli di pericolosità: elevatissimo per diversi tratti dell’Appennino meridionale praticamente nullo per la Sardegna.

In particolare per la Lombardia sono stati mantenuti in zona 2 i 41 comuni sismici già classificati di seconda categoria nel D.M. 5 marzo 1984, aggiungendo 238 comuni in zona 3 e 1267 in zona 4.

La nuova classificazione oltre a confermare la sismicità dell’area bresciano-bergamasca, evidenzia una discreta sismicità per l’alta Valtellina (Livigno in particolare) e la Val Malenco (So).

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Figura 7.11 - Mappe di pericolosità sismica del territorio nazionale e della Lombardia, espresse in termini di accelerazione massima del suolo con probalità di eccedenza del 10% in

50 anni (tempo di ritorno 475 anni)- OPCM 3274/2003 e OPCM 3519/2006

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Figura 7.12 - Mappe della Lombardia con le aree di accelerazione di picco (Ag max) e con i comuni suddivisi per zone: 41 in zona 2, 238 in zona 3 e 1267 in zona 4

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All’interno di questo percorso normativo nazionale la Regione Lombardia ha nel corso del tempo portato avanti numerose ricerche e studi per approfondire numerosi aspetti inerenti la sismicità. In particolare, nel 2005, nell’ambito di una convenzione con il Politecnico di Milano – Dipartimento di Ingegneria Strutturale (Petrini, Boni, Pergalami) è stata effettuata un’analisi dei dati esistenti ed una proposta di riclassificazione del territorio lombardo di seguito riportata. Proposta di classificazione Per proporre una classificazione sismica che risponda a quanto dettato dall’Ordinanza, ci si deve necessariamente attenere ai criteri ivi proposti che, come ben noto, prevedono una classificazione che suddivide il territorio nazionale in 4 zone, basate sui valori dell’accelerazione amax10% (Cfr. Tab. 7.1).

Tabella 7.1 - criteri di definizione delle zone sismiche definiti nell’Ordinanza

zona

accelerazione orizzontale con probabilità di superamento

pari al 10 % in 50 anni [ag/g]

accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di

risposta elastico (Norme Tecniche) [ag/g]

1 > 0.25 0.35

2 0.15 – 0.25 0.25

3 0.05 – 0.15 0.15

4 < 0.05 0.05

Dall’applicazione di tali criteri si ottiene, per la Lombardia, il risultato presentato in Fig. 7.13. Si può notare la grande differenza con la classificazione attuale (Fig. 7.14), in particolare per la zona 3 che comprende la maggior parte dei comuni lombardi, e la zona 2 che comprende molti più comuni della provincia di Brescia rispetto a quella vigente.

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Figura 7.13 – Classificazione sismica ottenuta dall’applicazione dei criteri dettati

dall’Ordinanza 3274

Preso atto di tale risultato, bisogna osservare anche la seconda parte della tabella 1 che riporta le accelerazioni di ancoraggio degli spettri di risposta elastici (descritti interamente nelle norme tecniche sempre allegate all’Ordinanza) per le diverse zone sismiche. Prendendo ad esempio la zona 3, in tutti i comuni ad essa assegnati si dovrebbe utilizzare, in base a tale schema, un’accelerazione di ancoraggio pari a 0.15g: da Milano che, dall’analisi di pericolosità, si colloca al limite inferiore della fascia 0.05g-0.075g fino, ad esempio, a Brescia caratterizzata da una amax10% tra 0.125g e 0.15g. Appare quindi evidente come la definizione delle zone sismiche in base agli intervalli di amax suddetti, possa portare all’utilizzo di spettri sovrastimati (con quanto ne segue a livello di progetto). Per ovviare a ciò si propone di suddividere le zone sismiche in sotto-zone, attribuendo quindi ad ognuna un’accelerazione di ancoraggio pari al valore massimo dell’intervallo di valori che determinano la sottoclasse. Si propone inoltre che le sottozone siano caratterizzate da un intervallo di amax pari a 0.025g. Il risultato dell’applicazione di tale criterio (Fig. 7.15) ricalca, ovviamente per definizione, l’andamento delle fasce di amax10% della carta di pericolosità sismica.

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Figura 7.14 - Classificazione sismica attualmente vigente

Figura 7.15 - Classificazione sismica proposta con le nove sotto-zone

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7.5. Interazioni con rischi di varia natura

Incendi boschivi

Il rischio sismico non ha nessuna interazione col rischio incendi boschivi.

Tecnologico-industriale

Il rischio sismico ha forti interazioni con il rischio tecnologico – industriale in quanto i terremoti determinano danni più o meno gravi su tutte le costruzioni.

Meteo

Il rischio sismico non ha nessuna interazione con rischio meteo.

Sicurezza

I terremoti creano gravi situazioni di panico o di emergenza che portano gli abitanti delle zone colpite ad evacuare le loro case e ad abbandonare le loro attività. Durante queste situazioni drammatiche, si possono verificare atti di vandalismo e di sciacallaggio nei confronti dei beni personali e pubblici che si trovano all’interno delle zone residenziali e non solo.

Idrogeologico

Il rischio sismico può interagire con quello idrogeologico in quanto può causare l’innesco di dissesti. Le vibrazioni del terreno possono causare il distacco di frane, soprattutto quelle di crollo, dove la componente gravitativa è preponderante, e lo stesso può accadere per il distacco di valanghe. In seguito a terremoti si potrebbero avere rotture di condutture e tubazioni con la conseguente fuoriuscita di fluidi che potrebbe creare allagamenti o saturazione anche di settori di versante di notevole estensione.

Stradale/trasporti

I terremoti possono interessare e danneggiare la rete stradale e pertanto ostacolare e/o ritardare le attività di trasporto e/o di soccorso. La rete stradale, ma anche quella ferroviaria, può infatti essere interessata da diversi tipi di frane; i crolli avvengono spesso in zone di montagna dove le strade sono spesso costruite su versanti scoscesi.

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7.6. Aspetti di prevenzione e mitigazione del rischio 7.6.1. Azioni possibili Mitigazione del rischio La riduzione del rischio attraverso attività di previsione e prevenzione è l’aspetto fondamentale per la gestione del rischio: i rischi non possono essere eliminati ma si può ridurli al di sotto del livello di rischio accettabile. Gli approcci per la mitigazione del rischio possono essere di tipo soft, che cercano di ridurre i danni evitando che gli elementi si trovino esposti al rischio (pianificazione), o di tipo hard, che cercano di controllare in modo diretto l’innesco e la propagazione dei fenomeni. In generale le strategie possibili per realizzare la mitigazione sono:

- la riduzione della pericolosità (approccio hard) viene perseguita riducendo la probabilità che un certo fenomeno si verifichi in un certo luogo con una certa intensità in un certo tempo. Si può intervenire sui fattori di innesco del fenomeno, dopo averli riconosciuti e compreso come generano il fenomeno pericoloso, oppure sul fenomeno stesso, per prevenirne la riattivazione o la propagazione. Questa strategia non è però possibile per i terremoti (non è possibile nessun intervento significativo per ridurre la pericolosità e non possono essere previsti);

- la riduzione della vulnerabilità (approccio soft) può essere effettuata attraverso interventi tecnici finalizzati a diminuire il grado di danno degli elementi esposti al rischio intervenendo direttamente sui singoli edifici e sulle infrastrutture con criteri antisismici, oppure attraverso interventi sociali sulla popolazione (organizzazione di piani di emergenza e di soccorso, educazione al rischio della cittadinanza, etc.).

Il rischio residuo è il margine di rischio che rimane a seguito delle opere di mitigazione. L’obiettivo del gestore è quello di arrivare ad ottenere un rischio residuo inferiore al livello di rischio accettabile ottimizzando i costi di mitigazione (prevenzione, pianificazione, realizzazione e mantenimento delle opere). Per la prevenzione del rischio sismico, come enunciato in premessa, lo strumento principe è realizzare o ristrutturare gli edifici con criteri antisismici. In quest’ottica la Regione Lombardia, in ottemperanza all’OPCM 3362/04, ha definito un articolato piano per la verifica della vulnerabilità degli edifici strategici e rilevanti ai fini sismici e dettato i criteri (L.R. 12/05) per lo studio geologico del territorio. Nei 238 comuni in zona 3 la situazione delle verifiche, aggiornata a novembre 2006, è riportata nelle tabelle che seguono. In sintesi su 238 comuni classificati in zona 3, 142 sono stati analizzati, censendo 2109 edifici rilevanti e strategici ( 988 in muratura o misti e 1121 in cemento armato). In particolare per 81 edifici in

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muratura o misti è stato valutato un indice di vulnerabilità superiore a 50 e pertanto saranno necessari ulteriori approfondimenti.

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Normativa Ordinanza 3274 20/03/03 "Primi elementi in materia di criteri generali per la riclassificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica" Pubblicata sul S.O. Ordinario n. 72 alla G.U. dell'8 maggio 2003 l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2003 - prima parte Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 ottobre 2003 n. 3316 Modifiche ed integrazioni all'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recante "Primi elementi in materia di criteri generali per la riclassificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica" Regione Lombardia D.G.R. 7/11/03 n. 7/14964: Disposizioni preliminari per l'attuazione dell'O.D.P.C. n. 3274 del 20/03/03 "Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica" Regione Lombardia - D.G. Sicurezza, polizia locale e protezione civile D.d.u.o. 21 novembre 2003 n. 19904 Approvazione elenco tipologie degli edifici e opere infrastrutturali e programma temporale delle verifiche di cui all'art. 2, commi 3 e 4 dell'ordinanza p.c.m. n. 3724 del 20 marzo 2003, in attuazione della d.g.r. n. 14964 del 7 novembre 2003 BURL n. 49 1/12/2003 Serie Ordinaria OPCM n.3362 del 8 luglio 2004 «Modalità di attivazione del Fondo per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio dei Ministri, istituito ai sensi dell'art. 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.» Decreto 14/09/2005 "NORME TECNICHE PER LE COSTRUZIONI" Pubblicato sul Suppl. Ord. n. 159 della G.U. n. 222 del 23/09/05 Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2006 - Criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone (Ordinanza n. 3519) -

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Bibliografia

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