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I Il freddo si levò dalla terra con riluttanza e le nebbie, ritirandosi, svelarono un esercito spiegato sui colli, che riposava. Mentre il paesaggio mutava da bruno a verde, l'esercito si destò e cominciò a fremere di impazienza per il diffondersi di voci. I suoi occhi si volgevano alle strade, che da lunghe pozzanghere di liquida fanghiglia andavano trasformandosi in vere e proprie vie maestre. Un fiume, color ambra dove facevano ombra le rive, gorgogliava ai piedi delle truppe; e di notte, divenuto il corso d'acqua d'un nero desolato, si poteva scorgere al di là di esso il rosso occhieggiare dei fuochi di un accampamento nemico disposto sui bassi cigli di lontane colline. Una volta un soldato alto di statura rivelò spirito di iniziativa e andò risolutamente a lavarsi una camicia. Tornò indietro di corsa dal ruscello, agitando l'indumento a guisa di bandiera. Era gonfio di una notizia che aveva appresa da un amico fidato, il quale l'aveva udita da un veritiero soldato di cavalleria, che a sua volta l'aveva ricevuta dal suo attendibile fratello, ordinanza al quartier generale della divisione. Assunse l'aria importante di un araldo abbigliato in rosso e oro. «Domani ci muoviamo sicuro» disse con un sussiego a un gruppo nella strada della compagnia. «Risaliamo lungo il fiume, lo traversiamo, li aggiriamo e gli arriviamo alle spalle.» All'attento uditorio tracciò il piano, vistoso ed elaborato, di una brillantissima campagna. Quando ebbe finito, gli uomini in divisa blu si sparpagliarono a discutere in gruppetti, tra le file di tozze capanne brune. Un conducente negro, che fino allora aveva ballato sopra una cassetta di gallette fra gli ilari incoraggiamenti di una quarantina di soldati, fu abbandonato da tutti e si sedette malinconico. Spire di fumo si alzavano pigre da bizzarri camini. «Son tutte balle, balle grosse così!» disse con voce sonora un altro soldato, rosso di eccitazione nel volto liscio, le mani cacciate di malumore nelle tasche dei calzoni. Prendeva la cosa come un'offesa personale. «Io non credo che questo dannato esercito farà mai un passo. Siamo inchiodati qui. Otto volte negli ultimi quindici giorni mi sono preparato per partire, e non ci siamo ancora mossi.» Il soldato alto si sentì chiamato a difendere la verità di una notizia che aveva sparso lui stesso, e così per poco non venne alle mani con l'altro dalla voce sonora. Un caporale si mise a bestemmiare davanti a tutti. Disse che aveva appena finito di sistemare nel suo alloggio un costoso impiantito di legno. Nei primi mesi della primavera si era trattenuto dal portare rilevanti incrementi alle comodità del suo ambiente perché aveva intuito che l'esercito poteva mettersi in marcia da un momento all'altro. Di recente, però, si era fatto l'impressione che sarebbero rimasti in quell'accampamento per l'eternità. Molti soldati si impegnarono in un'appassionata discussione. Uno tratteggiò in modo particolarmente limpido tutti i piani del generale che li comandava. Gli si opposero dei compagni, sostenendo che c'erano altri piani d'operazione. Si contrastarono vociando, moltitudine che tentava inutilmente di accaparrarsi l'attenzione generale. Nel frattempo il soldato che aveva portato la notizia si agitava di qua e di là, con aria di molta importanza. Era di continuo assalito da domande. «Che succede, Jim?»

Il Segno Rosso Del Coraggio

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I

Il freddo si levò dalla terra con riluttanza e le nebbie, ritirandosi, svelarono un esercito spiegato sui colli, che riposava. Mentre il paesaggio mutava da bruno a verde, l'esercito si destò e cominciò a fremere di impazienza per il diffondersi di voci. I suoi occhi si volgevano alle strade, che da lunghe pozzanghere di liquida fanghiglia andavano trasformandosi in vere e proprie vie maestre. Un fiume, color ambra dove facevano ombra le rive, gorgogliava ai piedi delle truppe; e di notte, divenuto il corso d'acqua d'un nero desolato, si poteva scorgere al di là di esso il rosso occhieggiare dei fuochi di un accampamento nemico disposto sui bassi cigli di lontane colline.

Una volta un soldato alto di statura rivelò spirito di iniziativa e andò risolutamente a lavarsi una camicia. Tornò indietro di corsa dal ruscello, agitando l'indumento a guisa di bandiera. Era gonfio di una notizia che aveva appresa da un amico fidato, il quale l'aveva udita da un veritiero soldato di cavalleria, che a sua volta l'aveva ricevuta dal suo attendibile fratello, ordinanza al quartier generale della divisione. Assunse l'aria importante di un araldo abbigliato in rosso e oro. «Domani ci muoviamo sicuro» disse con un sussiego a un gruppo nella strada della compagnia. «Risaliamo lungo il fiume, lo traversiamo, li aggiriamo e gli arriviamo alle spalle.»

All'attento uditorio tracciò il piano, vistoso ed elaborato, di una brillantissima campagna. Quando ebbe finito, gli uomini in divisa blu si sparpagliarono a discutere in gruppetti, tra le file di tozze capanne brune. Un conducente negro, che fino allora aveva ballato sopra una cassetta di gallette fra gli ilari incoraggiamenti di una quarantina di soldati, fu abbandonato da tutti e si sedette malinconico. Spire di fumo si alzavano pigre da bizzarri camini.

«Son tutte balle, balle grosse così!» disse con voce sonora un altro soldato, rosso di eccitazione nel volto liscio, le mani cacciate di malumore nelle tasche dei calzoni. Prendeva la cosa come un'offesa personale. «Io non credo che questo dannato esercito farà mai un passo. Siamo inchiodati qui. Otto volte negli ultimi quindici giorni mi sono preparato per partire, e non ci siamo ancora mossi.»

Il soldato alto si sentì chiamato a difendere la verità di una notizia che aveva sparso lui stesso, e così per poco non venne alle mani con l'altro dalla voce sonora.

Un caporale si mise a bestemmiare davanti a tutti. Disse che aveva appena finito di sistemare nel suo alloggio un costoso impiantito di legno. Nei primi mesi della primavera si era trattenuto dal portare rilevanti incrementi alle comodità del suo ambiente perché aveva intuito che l'esercito poteva mettersi in marcia da un momento all'altro. Di recente, però, si era fatto l'impressione che sarebbero rimasti in quell'accampamento per l'eternità.

Molti soldati si impegnarono in un'appassionata discussione. Uno tratteggiò in modo particolarmente limpido tutti i piani del generale che li comandava. Gli si opposero dei compagni, sostenendo che c'erano altri piani d'operazione. Si contrastarono vociando, moltitudine che tentava inutilmente di accaparrarsi l'attenzione generale. Nel frattempo il soldato che aveva portato la notizia si agitava di qua e di là, con aria di molta importanza. Era di continuo assalito da domande.

«Che succede, Jim?»«L'esercito sta per spostarsi.»«Ma che dici? Come fai a saperlo?»«Puoi credermi o no. Come ti pare. Non me ne importa un fico.»Il modo in cui rispondeva diede materia a molte riflessioni. Disdegnando di produrre prove, quasi giunse a

persuaderli. Tutti furono presi da una grande eccitazione.C'era una giovane recluta, che aveva ascoltato avidamente le parole del soldato alto e i vari commenti dei

compagni. Dopo essersi riempito di discussioni circa marce e offensive, se ne andò alla sua capanna e vi strisciò dentro, attraverso una complicata apertura che serviva da porta. Voleva starsene solo, con alcuni nuovi pensieri che gli erano venuti di recente.

Si sdraiò su un'ampia cuccetta che occupava un'estremità dell'ambiente. All'altra estremità casse di gallette, disposte in modo da servire di mobilio, erano raggruppate intorno al focolare. Su una delle pareti di tronchi c'era una illustrazione tolta da un settimanale, e tre fucili erano allineati su pioli. A comode sporgenze erano appesi accessori dell'equipaggiamento; su una piccola catasta di legna da ardere stavano alcuni piatti di stagno. Una tenda ripiegata serviva da tetto e, battendovi sopra dall'esterno, la luce del sole la faceva risplendere di una sfumatura giallo-chiara. Una finestrina gettava un obliquo quadrato di luce più bianca sul suolo ingombro. A volte il fumo del focolare disegnava il camino, attorcendo le sue spire per la baracca; quel fragile camino di argilla e stecchi di legno minacciava continuamente di appiccare il fuoco all'intero alloggio. Il giovane era come in un'estasi di stupore. Dunque, finalmente, andavano a combattere. Forse l'indomani ci sarebbe stata una battaglia, e lui vi avrebbe partecipato. Dovette faticare un po' per costringersi a crederlo. Non riusciva ad accettare con fiducia gli indizi secondo cui egli stava per essere coinvolto in uno di quei grandi fatti della terra. Aveva certo sognato di battaglie per tutta la vita di vaghi sanguinosi conflitti che lo avevano fatto fremere col loro travolgente ardore. Come in visione, si era veduto in molti scontri. Aveva immaginato uomini fidenti all'ombra del suo valore dagli occhi d'aquila. Ma da sveglio aveva considerato le battaglie come chiazze rosse sulle pagine del passato. Come cose dei tempi che furono, esse si mescolavano nella sua mente alle immagini di pesanti corone e di alti castelli. C'era una parte della storia del mondo che egli aveva considerato come l'epoca delle guerre; ma essa, pensava, aveva da tempo varcato l'orizzonte ed era scomparsa per sempre.

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Da casa i suoi occhi giovanili avevano guardato con sospetto la guerra in corso nel suo paese. Doveva essere una specie di gioco. Aveva a lungo disperato di assistere a combattimenti come quelli degli antichi Greci. Di quel genere non ce ne saranno più, si era detto. Gli uomini erano migliori, o più pavidi. L'istruzione laica e religiosa aveva cancellato l'istinto di afferrare alla gola, oppure il benessere teneva a freno le passioni.

Più volte aveva avuto la brama di arruolarsi. Racconti di grandi movimenti scuotevano il paese. Forse non erano precisamente omerici, ma in essi pareva esserci molta gloria. L'adolescente aveva letto di marce, assedi, scontri, e aveva anelato a vedere tutto ciò. Con la fervida mente si era disegnato ampi quadri dai colori opulenti, corruschi di gesta da lasciare senza fiato.

Ma la madre lo aveva scoraggiato. Aveva ostentato di considerare con un certo disprezzo la qualità del suo ardore bellico e del suo patriottismo. Si sedeva calma e, senza alcuna apparente difficoltà, sapeva fornirgli centinaia di motivi per i quali egli era di gran lunga più importante alla fattoria che non sul campo di battaglia. Certi modi di esprimersi gli dicevano che le affermazioni della madre derivavano da una convinzione profonda. Inoltre, a favore della madre, giocava anche il suo convincimento che i motivi etici in quelle argomentazioni, erano irrefutabili.

Da ultimo, tuttavia, si era fermamente ribellato a quella luce di gialla viltà proiettata sul colore delle sue ambizioni. I giornali, le chiacchiere del villaggio, le proprie fantasticherie, lo avevano eccitato in modo irresistibile. Stavano davvero combattendo egregiamente laggiù. Quasi ogni giorno i giornali stampavano resoconti di vittorie decisive.

Una notte, mentr'era a letto, il vento gli aveva portato il clangore della campana della chiesa: qualche entusiasta tirava freneticamente la corda per comunicare le aggrovigliate notizie di una grande battaglia. La voce della gente che si rallegrava nella notte lo aveva fatto rabbrividire in una prolungata estasi di eccitazione. Poi era sceso nella stanza della madre e le aveva parlato così: «Mamma, io vado ad arruolarmi.» «Henry, non fare lo stupido,» gli aveva risposto la madre, e si era coperta il viso con la trapunta. Per quella notte la cosa finì lì.

Ma la mattina dopo egli si era recato in una città vicina alla fattoria della madre, e si era arruolato in una compagnia che vi si stava formando. Tornato a casa, aveva trovato la madre che mungeva la mucca pezzata. Altre quattro stavano aspettando. «Mamma, mi sono arruolato,» le aveva detto con voce esitante. Dopo un breve silenzio, la madre aveva finalmente risposto: «Sia fatta la volontà del Signore, Henry,» e aveva continuato a mungere la mucca pezzata.

Quando s'era fermato sulla soglia, con addosso l'uniforme e negli occhi una luce di eccitazione e di speranza che quasi sconfiggeva l'ardore del rimpianto per i vincoli familiari, aveva veduto due lacrime solcare le guance scavate della madre.

Eppure essa lo aveva deluso non dicendogli proprio niente circa un ritorno con lo scudo o sopra lo scudo. Segretamente si era preparato a una bella scena. Teneva pronte certe frasi che pensava di poter usare con effetti commoventi. Invece le parole materne gli avevano distrutto ogni piano. Senza smettere un'istante di pelare patate, la madre gli si era rivolta così:

«Tu sta' attento, Henry, e abbi cura di te in questa faccenda; sta' attento, e abbi cura di te. Non metterti a pensare di suonarle subito a tutto l'esercito ribelle, perché è impossibile. Sei solo un poveraccio in mezzo a un mucchio di altri, e devi startene buono e fare quello che ti dicono. So come sei fatto, Henry.

«Ti ho preparato otto paia di calze, Henry, e ti ho messo nel fagotto tutte le camicie migliori, perché voglio che il mio ragazzo sotto le armi stia caldo e comodo come gli altri. Quando avranno dei buchi, tu me le rimanderai subito, così te le rammendo.

«E sii sempre prudente, e scegli bene i compagni. Nell'esercito, Henry, c'è un sacco di uomini cattivi. Le armi li fanno diventare come bestie e niente gli piace di più che rovinare un giovane come te, che non si è mai allontanato da casa e ha sempre avuto a fianco la madre; e gli imparano a bere e a bestemmiare. Sta' alla larga da quella gente, Henry. Non voglio, Henry, che tu faccia mai qualcosa che ti vergogneresti di farmi sapere. Fa' conto che io sia sempre lì a guardarti. Se non ti scorderai mai di questo, penso che te la caverai.

«E devi anche ricordarti di tuo padre, ragazzo, ricordarti che non ha mai bevuto un goccio di liquore in vita sua, e che poche volte ha bestemmiato.

«Non so che altro dirti, Henry, salvo che tu, non dovrai mai tirarti indietro pensando a me. Se viene il momento in cui dovessi essere ucciso o fare una brutta cosa, be', Henry, pensa soltanto a quello che è giusto, perché di questi tempi sono tante le donne che devono farsi coraggio davanti a cose come queste, e il Signore si prenderà cura di tutte noi.

«Non dimenticare, ragazzo, quello che t'ho detto per le calze e le camicie; nel fagotto ho messo anche un barattolo di marmellata di more, perché so che è la cosa che ti piace di più. Addio, Henry. Sta' attento, e fa' il bravo ragazzo.»

Naturalmente, posto al cimento di questa orazione, egli si era spazientito. Non era stato affatto quel che si aspettava, e lo aveva sopportato con un'aria di irritazione. Se ne andò provando un vago senso di sollievo.

Tuttavia, voltandosi a guardare indietro dal cancello, aveva veduto la madre in ginocchio fra le bucce di patate. Il viso bruno, levato al cielo, era bagnato di lacrime, e l'esile figura tremava. Curvò la testa e proseguì, vergognandosi improvvisamente dei suoi propositi.

Da casa si era recato alla scuola per congedarsi da molti compagni. Gli si erano affollati intorno, stupiti e ammirati, e lui aveva sentito l'abisso che ora lo separava da loro, si era gonfiato di questo orgoglio. Insieme con qualche

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amico che pure aveva indossato la divisa blu era stato sommerso da cortesie per l'intero pomeriggio, ed era stata una cosa veramente deliziosa. Avevano passeggiato tronfi ed impettiti.

Una ragazza bionda lo aveva preso vivacemente in giro per il suo spirito marziale; ma c'era un'altra ragazza, dai capelli più scuri, che egli aveva fissato a lungo, e che gli era parso diventasse contegnosa e mesta alla vista della sua divisa blu coi bottoni d'ottone. Scendendo per il sentiero tra le file di querce, aveva voltato la testa e l'aveva scoperta a una finestra, che osservava la sua partenza.

Appena l'aveva scorta, quella si era subito messa a fissare il cielo fra gli alti rami degli alberi, e lui aveva notato parecchia agitazione e fretta in quel cambiare di posa. Ripensò spesso all'episodio.

Durante il viaggio verso Washington il suo morale aveva spiccato il volo. Di stazione in stazione il reggimento veniva nutrito e vezzeggiato finché il giovane aveva finito per credere che egli doveva essere un eroe. C'era un prodigo profondere di pane, cibi freddi, caffè, sottaceti, formaggio. Mentre si crogiolava nei sorrisi delle ragazze e riceveva pacche sulle spalle e complimenti dai vecchi, aveva sentito crescersi dentro la forza di compiere grandi gesta d'armi.

Dopo trasferimenti complicati, con molte soste, erano venuti mesi di vita monotona in un accampamento. Aveva creduto che la vera guerra fosse una serie di scontri mortali, con brevi intervalli per dormire e mangiare: invece, da quando il suo reggimento era entrato in linea, l'esercito poco aveva fatto se non starsene quieto e cercare di tenersi caldo.

Egli fu allora gradualmente ricondotto alle sue antiche idee. Battaglie come nell'antica Grecia non ce ne sarebbero state più. Gli uomini erano diventati migliori o più pavidi. L'educazione laica e religiosa aveva cancellato l'istinto di afferrare alla gola, oppure il benessere teneva a freno le passioni.

Era arrivato a considerarsi semplicemente una particella di una grande manifestazione in blu. La sua occupazione era di cercare, per quanto poteva, il proprio particolare benessere. Come svago poteva gingillarsi girando i pollici e meditare sui pensieri che dovevano agitare le menti dei generali. Ma faceva anche istruzione ed era passato in rivista: istruzione e riviste, e ancora riviste ed istruzione.

Gli unici nemici che aveva veduti erano alcune sentinelle lungo la riva del fiume. Erano un'accolita di abbronzati, filosofici individui che talvolta sparavano con ponderazione alle sentinelle in divisa blu. Se rimproverati per ciò, esprimevano poi rammarico e giuravano sui loro dei che i colpi erano partiti senza il loro avallo. Una notte che era di guardia, il giovane conversò attraverso il fiume con uno di loro. Era un uomo con la divisa un po' logora, che sapeva sputare con abilità fra le proprie scarpe e possedeva una grande riserva di mite e infantile fiducia. Il giovane provò per lui una personale simpatia.

«Yankee,» gli aveva comunicato l'altro «Sei proprio un bonaccione.» Tale sentimento, arrivando fino a lui per l'aria quieta, lo aveva fatto per un momento rammaricare della guerra.

Parecchi veterani gli avevano raccontato delle storie. Alcuni parlavano di grigie orde dalle lunghe basette, che avanzavano imprecando senza posa e masticando tabacco con indicibile valore; masse tremende di fiere soldatesche, che tutto travolgevano come gli Unni. Altri parlavano di uomini cenciosi ed eternamente affamati che sparavano con polveri difettose. «Sono capaci di caricare attraverso il fuoco e lo zolfo dell'inferno per arraffare uno zaino, e a stomaci così non basta per molto,» gli dicevano. Da quelle storie, il giovane si immaginava ossa rosse, vive, che uscivano dagli strappi delle uniformi scolorite.

Tuttavia non poteva prestare completamente fede ai racconti dei veterani, perché le reclute erano le loro vittime predestinate. Parlavano molto di fumo, fuoco, sangue, ma egli non sapeva dire quanto ci fosse di inventato. Continuavano a gridargli «Pivello!» e non c'era da fidarsi di loro.

Comunque, ora si rendeva conto che non importava poi molto contro che razza di soldati stesse per combattere, dal momento che essi combattevano fatto che nessuno contestava. C'era un problema più serio e, sdraiato nella cuccetta, vi stava meditando. Cercava di provare matematicamente a se stesso che da una battaglia egli non sarebbe scappato.

Prima di allora non si era mai sentito in dovere di affrontare con troppa serietà quel problema. In vita sua aveva dato certe cose per scontate, senza mai mettere in dubbio la sua fede nel successo finale, e poco preoccupandosi dei mezzi e delle vie. Ma ora si trovava di fronte a una cosa importante. Gli era di colpo venuto in mente che forse in battaglia avrebbe potuto scappare. Fu costretto a riconoscere che, per quanto riguardava la guerra, egli non sapeva nulla di se stesso.

Qualche tempo prima avrebbe lasciato che tale problema aspettasse a lungo davanti alla porta della sua mente; ma ora si sentiva costretto a prestargli seria attenzione.

Crebbe in lui un certo timor panico. Anticipando con la fantasia una battaglia, vide possibilità atroci. Contemplò le minacce in agguato nel futuro, e non riuscì a vedersi intrepidamente ritto in mezzo ad esse. Richiamò alla mente le sue visioni di gloria con una spada spezzata in pugno, ma nell'ombra dell'incombente tumulto sospettò di esse come di immagini impossibili.

Balzò dalla cuccetta e si mise a passeggiare nervosamente avanti e indietro. «Dio buono,» esclamò a voce alta, «che mi prende adesso?» Sentì che in quel frangente le sue regole di vita erano inutili. Tutto ciò che aveva appreso su se stesso non gli era di alcun profitto in quella circostanza. Egli era un'incognita. Vide che avrebbe dovuto far di nuovo esperimenti come al tempo della prima giovinezza. Doveva accumulare informazioni su se stesso, e intanto decise di restare bene in guardia perché quelle. sue qualità di cui non sapeva niente non lo disonorassero per l'eternità. «Dio buono!» ripeté sgomento.

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Dopo un po', destreggiandosi attraverso la complicata apertura, entrò il soldato alto. Lo seguiva quello dalla voce sonora. Litigavano. «E va bene,» disse il soldato alto entrando, e agitava la mano con gesto espressivo. «Puoi credermi o no, come ti pare. Non hai da far altro che metterti a sedere e aspettare in santa pace. Scoprirai ben presto che avevo ragione.»

Il suo compagno borbottava ostinato. Per un momento parve essere alla ricerca di una risposta formidabile, e alla fine disse: «Be', mica sarà che tu sai ogni cosa, no?» «Io non ho detto che so ogni cosa,» replicò l'altro seccamente. E si mise a stipare per benino vari oggetti nello zaino.

Il giovane, interrompendo il suo nervoso passeggiare, abbassò lo sguardo sulla figura affaccendata. «Allora, Jim, ci sarà una battaglia, eh?» domandò.

«Sicuro che ci sarà,» rispose il soldato alto. «Sicuro. Aspetta soltanto fino a domani, e vedrai una delle più grandi battaglie che ci siano mai state. Aspetta, e vedrai.»

«Caspita!» disse il giovane.«Stavolta, ragazzo mio, lo vedrai un combattimento! Un combattimento coi fiocchi!» soggiunse il soldato alto,

con l'aria di uno che stia presentando una battaglia a beneficio degli amici.«Bum!» esclamò da un angolo quello dalla voce sonora.«Be',» osservò il giovane, «C'è anche caso che questa storia vada a finire come le altre.»«Nossignore,» rispose con irritazione il soldato alto.«Neanche per sogno. La cavalleria non è partita tutta stamane?» Girò intorno uno sguardo torvo; nessuno

smentì la sua affermazione. «La cavalleria è partita stamane,» continuò. «Dicono che in tutto l'accampamento non sia rimasto un cavalleggero. Vanno a Richmond, o in qualche altro posto, mentre noi combattiamo tutti i ribelli. Deve essere una mossa del genere. Anche il nostro reggimento ha ricevuto ordini. Me l'ha detto poco fa uno che li ha visti andare al quartier generale. E nell'accampamento sta succedendo il finimondo! Questo può vederlo chiunque.»

«Balle!» disse quello dalla voce sonora.Il giovane rimase per un po' in silenzio; alla fine si rivolse al soldato alto: «Jim!»«Che c'è?»«Come credi che si comporterà il reggimento?»«Oh, si batteranno bene, penso, una volta che ci son dentro,» rispose l'altro con giudizio spassionato. Faceva un

uso elegante della terza persona. «Certo, li hanno presi in giro un bel po', perché sono dei novellini e via dicendo; ma si batteranno bene, penso.»

«Credi che qualcuno scapperà?» insistette il giovane.«Può darsi che qualcuno scappi, ma di quella razza ce n'è in ogni reggimento, specialmente quando vanno sotto

il fuoco per la prima volta,» disse l'altro con tono tollerante. «Naturalmente può succedere che tutto il branco si metta a scappare, armi e bagagli, se si comincia subito con una battaglia grossa, ma poi può darsi che si fermino e si battano che è un piacere. Però non si può scommettere su niente. Certo, finora questi non sono mai stati sotto il fuoco, e non è probabile che le suonino a tutto l'esercito ribelle al primo assalto; ma penso che combatteranno meglio di certi, anche se peggio di altri. Io la vedo così. Chiamano il reggimento ‹Pivelli› e via dicendo; ma i ragazzi vengono di legno buono, e la maggior parte di loro combatteranno come dannati, una volta che si mettono a sparare,» concluse, pronunciando con forte enfasi le ultime parole.

«Sì, tu ti credi di sapere... » ricominciò con tono di scherno il soldato dalla voce sonora.L'altro gli si rivoltò furibondo, ed ebbero un rapido alterco nel quale si affibbiarono a vicenda vari epiteti

curiosi. Alla fine il giovane li interruppe per domandare: «Jim, hai mai pensato che potresti scappare anche tu?» e terminando la frase rise, come se avesse inteso dire una battuta. Anche il soldato dalla voce sonora ridacchiò.

Quello alto agitò una mano. «Be',» disse con aria profonda «Ho pensato che in qualche scontro la faccenda potrebbe diventare troppo calda per Jim Conklin, e se un bel po' di compagni si mette a scappare, be', penso che mi metterei a scappare anch'io. E una volta presa la corsa, correrei come il vento, questo è sicuro. Ma se ognuno resta al suo posto e combatte, diamine, anch'io farei lo stesso. Perdiana, se non farei così! Sono pronto a scommetterci.»

«Bum!» fece il soldato dalla voce sonora. Il giovane che è il protagonista di questo racconto provò gratitudine per quelle parole del compagno. Aveva temuto che gli uomini non ancora messi alla prova possedessero tutti una grande, naturale fiducia in se stessi. Ora era in certa misura rassicurato.

II

La mattina dopo il giovane scoprì che il compagno alto era stato l'alato messaggero di una falsa notizia. Questi fu preso molto in giro da quelli che il giorno prima erano stati saldi seguaci delle sue teorie, e subì anche qualche motteggio da parte di compagni che non avevano mai creduto a quella voce. Infine venne alle mani con uno di Chatsfield Corners e lo picchiò ben bene.

Il giovane, tuttavia, sentiva di non essere stato affatto sollevato del suo problema; anzi, la sua soluzione subiva un fastidioso rinvio. La falsa notizia aveva creato in lui un gran turbamento nei confronti di se stesso. Ed ora, col nuovo

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interrogativo nell'animo, era costretto a riaffondare nella vecchia situazione di semplice particella di una manifestazione in blu.

Per giorni fece incessanti calcoli, ma tutti risultarono stranamente insoddisfacenti. Scoprì che non poteva stabilire niente. Alla fine concluse che l'unico modo di saggiare se stesso era di entrare nel rogo, e poi, metaforicamente, osservarsi le gambe per scoprirne pregi e difetti. Riconobbe con riluttanza che non poteva starsene tranquillamente seduto, a ricavare con un'immaginaria matita e lavagna una risposta. Per ottenere la risposta, gli servivano fuoco, sangue e pericolo, proprio come un farmacista ha bisogno di questo e quell'ingrediente. Così, si consumava nell'attesa di un'occasione.

Frattanto cercava continuamente di misurare se stesso alla stregua dei commilitoni. Il soldato alto, per esempio, gli dava una certa sicurezza. La serena noncuranza di quell'uomo gli ispirava un senso di fiducia: lo conosceva sin dall'infanzia, e da quell'intima conoscenza non riusciva a vedere come potesse essere capace di qualcosa di cui non fosse capace anche lui. Tuttavia pensò che il compagno potesse sbagliarsi sul proprio conto; o che, d'altro canto, condannato fino allora alla pace e all'oscurità, potesse essere in realtà un uomo fatto per splendere in guerra.

Al giovane sarebbe piaciuto scoprire un altro che come lui avesse dei dubbi circa se stesso. Un cordiale confronto delle caratteristiche mentali lo avrebbe reso felice.

Di quando in quando cercava di sondare, con frasi allettanti, qualche commilitone. Si guardava intorno cercando uomini che fossero nell'umore adatto. Fallì ogni suo tentativo di farli uscire in un'affermazione che in qualche modo somigliasse a una confessione di quei dubbi che egli segretamente riconosceva in se stesso. Aveva paura di dichiarare apertamente ciò che lo crucciava, perché temeva di elevare qualche confidente privo di scrupoli al rango superiore di chi non ha confessato, e quindi esserne deriso.

Riguardo ai compagni, la sua mente oscillava, secondo lo stato d'animo, fra due opinioni. Talvolta era incline a crederli tutti eroi. Anzi, di solito, negli altri ammetteva segretamente un superiore sviluppo delle più alte qualità. Poteva concepire che uomini che andavano per il mondo senza farsi notare, portassero nascosta una carica di coraggio e, sebbene conoscesse molti dei commilitoni sin dalla fanciullezza, cominciò a temere che il suo giudizio su di loro fosse stato ottuso. Ma in altri momenti respingeva con disprezzo tali teorie e si sentiva sicuro che nel loro intimo tutti i suoi compagni erano perplessi e vacillanti.

I suoi turbamenti facevano sì che egli si trovasse a disagio in presenza di uomini che parlavano eccitati di una futura battaglia come di un dramma al quale avrebbero assistito, rivelando in volto nient'altro che impazienza e curiosità. Spesso sospettò che mentissero.

Non formulava tali pensieri senza condannare severamente se stesso. A volte tuonava rimproveri e si accusava di molti vergognosi crimini contro di dèi delle tradizioni.

Nella sua grande inquietudine il cuore vociferava continuamente contro quella che egli considerava l'intollerabile lentezza dei generali. Parevano contenti di starsene tranquillamente appollaiati sulla riva del fiume e di lasciarlo curvo sotto il peso di un grande problema. Un problema che egli voleva risolto al più presto. Non poteva sopportare più a lungo un simile peso, si diceva. Talvolta la sua ira verso i comandanti raggiungeva una fase acuta, e allora andava mugugnando per l'accampamento come un veterano.

Ma una mattina si trovò inquadrato nelle righe del reggimento in assetto. Gli uomini bisbigliavano congetture e ripetevano le vecchie voci. Nell'oscurità che precede lo spuntar del giorno, le uniformi brillavano di un porpora intenso. Da oltre il fiume scrutavano ancora i rossi occhi dei fuochi. Nel cielo a oriente c'era una macchia gialla, come un tappeto steso per i piedi del sole veniente; e sullo sfondo di essa, si profilava nera e ben rilevata la gigantesca figura del colonnello in groppa a un gigantesco cavallo.

Nell'oscurità, giungeva da lontano un calpestio di passi. Il giovane riusciva di quando in quando a vedere ombre scure che si muovevano come mostri. Il reggimento restò sul riposo per un tempo che parve lunghissimo. Il giovane diventò impaziente. Era insopportabile il modo con cui venivano trattate queste cose. Si domandò per quanto tempo ancora sarebbero stati tenuti in attesa.

Mentre si guardava tutto intorno meditando sulla misteriosa oscurità, cominciò a credere che da un momento all'altro l'inquietante lontananza avrebbe potuto fiammeggiare, e al suo orecchio giungere lo strepito rimbombante di un'azione. A un tratto, fissando i rossi occhi di là del fiume, gli parve che si facessero più grandi, come le orbite di una schiera di draghi avanzanti. Voltandosi verso il colonnello, lo vide alzare un braccio gigantesco e lisciarsi con calma i baffi.

Finalmente dalla strada ai piedi del colle gli giunse lo scalpitio di un cavallo al galoppo. Dovevano esserci ordini in arrivo. Si piegò in avanti, trattenendo il respiro. L'eccitante clic-clac, facendosi sempre più forte, era come se gli battesse sull'anima. Ed ecco, con tintinnio di speroni e sciabola, un ufficiale a cavallo tirare le briglie davanti al colonnello. I due ebbero un breve colloquio, fatto di parole taglienti; i soldati delle prime righe allungarono il collo.

L'ufficiale, girò il cavallo e, galoppando via, si volse per gridare sopra le spalle: «Non dimentichi quella scatola di sigari.» Il colonnello borbottò qualcosa in risposta. Il giovane si domandò che ci avesse a fare con la guerra una scatola di sigari.

Un momento dopo, il reggimento si immergeva ondulando nell'oscurità. Ora pareva uno di quei mostri che camminano con molti piedi. L'aria era greve, e fredda per la rugiada. Una massa di erba umida, calpestata, frusciava come seta.

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A tratti un lampo, uno scintillio d'acciaio appariva sulle schiene di tutti quegli enormi rettili che avanzavano strisciando. Dalla strada giungevano cigolii e brontolii: trainavano via alcuni arcigni cannoni.

Gli uomini avanzavano inciampando di continuo, e ancora bisbigliavano congetture. C'era un dibattito sommesso. A un tratto un uomo cadde e, mentre stendeva il braccio per afferrare il fucile, un compagno che non l'aveva visto gli pestò la mano. Quello dalle dita contuse bestemmiò invelenito a voce alta. Un ridacchiare represso serpeggiò fra i compagni.

Presto imboccarono una strada e procedettero con passo spedito. Davanti a loro si muoveva uno scuro reggimento, e anche da dietro giungeva il tintinnio di armi su corpi di uomini in marcia.

L'irrompente giallo del giorno che avanzava crebbe alle loro spalle. Quando alla fine i raggi del sole colpirono la terra con pastosa pienezza, il giovane vide che il paesaggio era striato da due lunghe e sottili colonne nere che sparivano sul ciglio di un colle di fronte, mentre le retroguardie si perdevano in un bosco. Erano come due serpenti che strisciassero fuori dalla caverna della notte.

Il fiume non si vedeva. Il soldato alto proruppe in elogi di quelle che egli riteneva le sue brillanti capacità di intuito.

Alcuni suoi compagni gridarono con enfasi che anche loro avevano elaborato la stessa idea, e se ne felicitarono con se stessi. Ma altri dicevano che il piano del soldato alto non era affatto quello vero, e si ostinavano con altre teorie. Ci fu un'animata discussione.

Il giovane non vi prese parte. Procedeva incurante del proprio allineamento, impegnato com'era nel suo eterno dibattito. Non poteva trattenersi dall'indugiare sulla questione. Era depresso e di umore tetro; gettava all'intorno occhiate fuggevoli. Guardava avanti, spesso aspettandosi di udire dai reparti di testa un crepitio di fucileria.

Ma i lunghi serpenti strisciavano lentamente da una collina all'altra senza eruzioni di fumo. Una nuvola grigiastra di polvere si sperse fluttuando sulla destra. In alto il cielo era di un azzurro fatato.

Il giovane studiava le facce dei compagni, sempre all'erta per scoprire emozioni affini alle sue. Fu deluso. Un certo ardore che era nell'aria e faceva sì che i reparti dei veterani si muovessero con allegria, quasi cantando, aveva contagiato il nuovo reggimento. Gli uomini cominciavano a parlare di vittoria come di cosa a loro nota. Cosi, anche il soldato alto ebbe la sua rivincita. Stavano di sicuro facendo una manovra aggirante per prendere il nemico alle spalle. Espressero commiserazione per quella parte dell'esercito che era stata lasciata sulla riva del fiume, si congratularono di appartenere alle schiere d'assalto.

Il giovane, considerandosi come separato dagli altri, era rattristato dai discorsi sereni ed allegri che passavano da una riga all'altra. Tutti i burloni della compagnia si esibirono al meglio delle loro capacità. Il reggimento marciava a tempo di risate. Più di una volta il soldato chiassone travolse in accessi di risa intere file, coi suoi mordaci sarcasmi diretti al soldato alto. E prima di non molto sembrò che tutti avessero dimenticato la loro missione. Intere brigate sogghignavano all'unisono, ridevano reggimenti. Un soldato grassoccio tentò di portarsi via un cavallo dall'ingresso di un cortile; faceva conto di caricarci sopra lo zaino. Stava svignandosela con la preda quando dalla casa si precipitò fuori una ragazzetta che afferrò la bestia per la criniera. Seguì una colluttazione. La ragazza, con le guance rosse e gli occhi scintillanti, si erse intrepida e statuaria.

Il reggimento, che assisteva alla scena fermo sulla strada per un riposo, schiamazzò subito parteggiando con tutta l'anima per la fanciulla. Gli uomini si accalorarono a tal segno da dimenticare completamente la loro grande guerra. Sbeffeggiarono il piratesco soldato, richiamando l'attenzione su vari difetti del suo aspetto fisico, e spiegarono un frenetico entusiasmo a sostegno della ragazza. Da qualche distanza le giunse un audace consiglio: «Prendilo a bastonate.»

Quando il soldato si ritirò senza il cavallo, piovvero su di lui fischi e versacci. Il reggimento esultò per la sua sconfitta. Congratulazioni chiassose e rumoreggianti piovvero invece sulla fanciulla che, ritta e ansante, guardava le truppe con aria di sfida.

Al crepuscolo la colonna si frantumò in unità reggimentali, e quei frammenti si sparsero nei campi per accamparsi. Le tende spuntarono come strane piante. I fuochi punteggiarono la notte come bizzarri fiori rossi.

Per quanto glielo permettevano le circostanze il giovane si tenne lontano dal contatto con i compagni. A sera, fece qualche passo nelle tenebre. Da breve distanza, tutti quei fuochi, con le nere figure di uomini che passavano su e giù davanti ai loro rossi bagliori, producevano effetti arcani, satanici.

Si sdraiò nell'erba; i fili gli premevano teneramente contro la guancia. La luna era stata accesa, e pendeva dalla cima d'un albero. Lo avvolse il liquido silenzio della notte e gli fece sentire una profonda pietà per se stesso. C'era una carezza nell'aria dolce e la disposizione dell'oscurità, pensò, era tutta di simpatia per lui e la sua angoscia.

Con tutto il cuore desiderò di essere di nuovo a casa, di fare quegli interminabili giri dalla casa al granaio, dal granaio ai campi, dai campi al granaio, dal granaio alla casa. Ricordò di avere spesso maledetto la mucca pezzata e le sue compagne, di avere a volte scagliato via gli sgabelli per la mungitura. Ma ora, dal suo nuovo punto di vista, un alone di felicità circondava ognuna di quelle teste, e avrebbe sacrificato tutti i bottoni lucenti del continente per poter tornare da esse. Si disse che non era fatto per diventare soldato. E meditò seriamente sulle profonde differenze fra lui e quegli uomini che saltellavano come folletti intorno ai fuochi.

Mentre meditava così, udì frusciare l'erba. Voltò la testa e scorse il soldato dalla voce sonora. Lo chiamò: «Ehi, Wilson!»

L'altro si avvicinò e abbassò lo sguardo: «Salve, Henry, sei tu? Che fai qui?»

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«Sto pensando,» rispose il giovane.L'altro si sedette e accese con cura la pipa: «Sei un po' giù, ragazzo mio. Hai l'aria di chi ha preso una batosta!

Che diavolo hai?»«Niente,» rispose il giovane.Il soldato dalla voce sonora si lanciò allora nel tema della prevista battaglia: «Questa volta li abbiamo

incastrati!» Mentre parlava, il suo volto da ragazzo si inghirlandò di un sorriso giulivo, e la voce aveva un timbro esultante. «Li abbiamo incastrati. Finalmente, per mille fulmini, gliele suoneremo di santa ragione!»

«Se si sapesse la verità,» proseguì con tono più calmo, «finora sono stati loro a suonarle a noi quasi ogni volta; ma stavolta.., stavolta saremo noi a suonargliele ben bene.»

«M'era parso che poco fa tu protestassi contro questa marcia,» osservò freddamente il giovane.«Oh, non è questo,» spiegò l'altro. «A me non rincresce marciare, se alla fine si tratta di combattere. Ciò che

non mi va è questo doversi spostare ora qua ora là, senz'altro risultato, a quel che posso vedere, che piaghe ai piedi e razioni maledettamente ridotte.»

«Be', Jim Conklin dice che stavolta di combattere ne avremo a sfamo.»«Per una volta tanto mi sa che ha ragione, anche se non riesco a vedere come è successo. Stavolta ci siamo;

sarà una grande battaglia e abbiamo preso la cosa dalla parte giusta, questo è sicuro. Dio buono, come li conceremo!»Si alzò e si mise a passeggiare avanti e indietro tutto eccitato. Il fremito dell'entusiasmo lo faceva camminare

con passo elastico. Era allegro, vigoroso, infiammato dalla fiducia nel successo. Guardava nel futuro con occhi limpidi, orgogliosi, imprecava con l'aria di un vecchio soldato.

Il giovane lo guardò per un momento in silenzio. Quando finalmente parlò, la sua voce fu amara come la feccia: «Tu farai certo grandi cose, immagino!»

Il soldato dalla voce sonora sbuffò dalla pipa una meditabonda nube di fumo. «Oh, non lo so,» osservò con dignità; «non lo so. Suppongo che non farò peggio degli altri. Ci darò dentro come un demonio.» Evidentemente si complimentava con se stesso per la modestia di tale affermazione.

«Come fai a sapere che non scapperai, quando viene il momento?» domandò il giovane.«Scappare?» ripeté l'altro, «scappare? oh, no di certo!» e rise.«Be',» continuò il giovane, «un sacco di uomini in gamba pensavano di fare grandi cose prima della battaglia, e

poi quando è venuto il momento se la sono squagliata.»«Questo è vero, credo,» rispose l'altro; «ma io non me la squaglierò. Chi punta sulla mia fuga perderà il suo

denaro, ecco tutto.» E asseverò le sue parole con un cenno del capo.«Balle! Non sarai mica l'uomo più coraggioso del mondo?!» disse il giovane.«No, non lo sono,» proruppe indignato l'altro, «e non l'ho neanche mai detto di essere l'uomo più coraggioso

del mondo. Ho detto che farò la mia parte in battaglia, ecco che cosa ho detto. E la farò. E poi, tu chi sei? Parli come se credessi di essere Napoleone Bonaparte.» Squadrò per un momento il giovane con occhio torvo, poi s'allontanò a grandi passi.

Il giovane chiamò il compagno con voce impetuosa: «Be', non c'è bisogno di prendersela tanto!» Ma l'altro continuò per la sua strada senza rispondere.

Scomparso l'offeso compagno, il giovane si senti solo nello spazio. Il non essere riuscito a scoprire una pur minima somiglianza fra i loro punti di vista lo rendeva ancor più infelice di prima. Gli pareva che nessuno lottasse con un problema personale così tremendo. Si sentiva un reietto.

Tornò lentamente nella sua tenda e si stese su una coperta, a fianco del soldato alto che russava. Nell'oscurità ebbe visioni di una paura dalle mille lingue che gli borbottava alle spalle e lo costringeva a fuggire mentre altri badavano tranquillamente agli interessi del loro paese. Riconobbe che non sarebbe stato capace di tener testa a quel mostro. Sentiva che ogni nervo del suo corpo sarebbe diventato un orecchio per ascoltare quelle voci, mentre altri uomini sarebbero rimasti imperturbabili e sordi.

Mentre sudava per l'angoscia di quei pensieri, udiva frasi sommesse e serene. «Punto cinque.» «Facciamo sei.» «Sette.» «A sette ci sto.»

Fissò il riflesso rosso e palpitante di un fuoco sul bianco telo della tenda, finché, esausto e infelice per la monotonia della sua sofferenza, si addormentò.

III

Quando sopravvenne un'altra notte, le colonne, trasformate in strisce purpuree, sfilarono su due ponti di barche. Un fuoco abbagliante tingeva color vino le acque del fiume. I suoi raggi, splendendo sulle masse di truppa in movimento, producevano improvvisi scintillii d'argento o d'oro. Sull'altra riva si incurvava contro il cielo una scura e misteriosa catena di colline. Le voci degli insetti notturni cantavano solennemente.

Dopo aver traversato il fiume, il giovane si convinse che da un momento all'altro potevano subire un improvviso e tremendo assalto dalle latebre dei boschi digradanti. Tenne lo sguardo ben vigile verso l'oscurità.

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Ma il suo reggimento arrivò senza ricevere molestie a un luogo per accamparsi, e i soldati dormirono il sonno gagliardo degli uomini esausti. Al mattino presto furono strappati al sonno con energia, e sospinti per una strada stretta che si addentrava nella foresta.

Proprio durante quella rapida marcia il reggimento perdette molte delle caratteristiche del reparto di nuova formazione.

Gli uomini avevano cominciato a fare il conto delle miglia sulle dita, e a sentire la stanchezza. «Piaghe ai piedi, razioni maledettamente ridotte, e basta,» diceva il soldato dalla voce sonora. I corpi sudavano, la colonna brontolava. Dopo qualche tempo cominciarono a disfarsi dello zaino. Alcuni lo gettarono senza scrupolo per terra; altri lo nascosero con cura, attestando l'intenzione di venirselo a riprendere con comodo. Gli uomini si liberavano delle pesanti camicie. Presto furono pochi quelli che portavano qualcosa in più degli indumenti necessari, coperte, tascapane, borraccia, armi e munizioni. «Ora puoi mangiare e sparare» disse il soldato alto al giovane. «Non c'è altro da fare.»

Rapido fu il passaggio dalla fanteria pesante della teoria alla fanteria leggera e celere della realtà. Il reggimento, alleviato di un fardello, acquistò un nuovo slancio. Ma ci fu una gran perdita di preziosi zaini e, tutto sommato, di ottime camicie.

Tuttavia il reggimento non aveva ancora un aspetto veterano. I reggimenti di veterani erano per lo più unità molto esigue. Una volta, quando il reparto era appena giunto al fronte, alcuni veterani che bighellonavano lì intorno, notata la lunghezza della colonna, domandarono ai nuovi arrivati: «Ehi, compagni, che brigata è la vostra?» E quando quelli risposero che essi formavano soltanto un reggimento, non già una brigata, i soldati anziani si erano messi a ridere, esclamando: «Dio buono!»

I cappelli, poi, erano troppo simili l'uno all'altro: i cappelli di un reggimento, invece, dovrebbero propriamente rappresentare la storia del copricapo nel corso degli anni. Inoltre, non c'erano testimonianze in lettere di oro sbiadito sulle bandiere. Queste erano belle nuove, e l'alfiere ne ungeva regolarmente l'asta.

L'esercito si accampò di nuovo, ed ebbe tempo di pensare. I soldati avevano nelle narici l'odore dei placidi pini. Per la foresta risuonavano monotoni colpi d'ascia, e gli insetti, sonnecchiando sui loro sostegni, cantilenavano come vecchie. Il giovane tornò alla sua teoria di una manifestazione in blu.

Ma, in un'alba grigia, lo svegliò con un calcio nella gamba il soldato alto, e ancor prima di essere del tutto desto, si trovò a correre giù per una strada di bosco, in mezzo a uomini che ansavano per i primi effetti della corsa. La borraccia gli batteva ritmicamente sulla coscia, il tascapane sobbalzava lieve. A ogni passo il moschetto gli rimbalzava un tantino dalla spalla, facendogli sentire precariamente in testa il berretto.

Udiva gli uomini bisbigliare frasi smozzicate: «Ehi, che diamine succede?» «Accidenti, perché scappiamo a questo modo?» «Billie, attento ai miei piedi. Corri come una vacca.» E si fece udire anche il soldato dalla voce sonora: «Ma perché diavolo hanno tanta fretta?»

Il giovane pensò che la nebbia umida del primo mattino esalasse dall'impetuoso spostarsi di una gran massa di truppe. Improvvisamente arrivò da lontano un crepitio di fucileria.

Ne fu sbalordito. Mentre correva coi compagni fece ogni sforzo per pensare, ma l'unica cosa che sapeva era che, se fosse caduto, quelli che venivano dietro lo avrebbero calpestato. Sembrava che tutte le sue facoltà fossero necessarie per guidarlo al di là degli ostacoli. Si sentiva trascinato da una folla tumultuante.

Il sole diffuse raggi rivelatori e, ad uno ad uno, si offrirono alla vista i reggimenti, come guerrieri appena generati dalla terra. Il giovane si rese conto che il grande momento era arrivato. Stava per essere messo alla prova. Per un attimo, di fronte al grande cimento, si sentì come un bimbo, e gli parve molto sottile la carne che gli copriva il cuore. Colse il momento per guardarsi intorno e calcolare le possibilità.

Vide subito che gli sarebbe stato impossibile fuggire dal reggimento. Questo lo racchiudeva. E dai quattro lati c'erano le ferree norme della tradizione e della legge. Si trovava in una scatola semovente.

Quando si rese conto di quella realtà di fatto, gli venne in mente di non aver mai desiderato di andare in guerra. Non si era arruolato di suo libero volere. Era stato trascinato dallo spietato governo, e ora lo conducevano al macello.

Il reggimento scivolò giù per un argine e attraversò sguazzando un piccolo corso d'acqua. La lugubre corrente si muoveva lenta, e dall'acqua, ombrata di nero, occhi di bolle bianche guardavano gli uomini.

Mentre risalivano la collina, sull'altro fianco cominciò a tuonare l'artiglieria. A questo punto il giovane scordò molte cose, provando un improvviso impulso di curiosità.

S'inerpicò su per l'argine con una sveltezza quale non avrebbe potuto avere un uomo assetato di sangue.Si aspettava una scena di battaglia.C'erano dei campicelli cinti strettamente da una foresta. Sparsi nell'erba e fra i tronchi d'albero, vide gruppi e

linee ondeggianti di esploratori, che correvano qua e là sparando al paesaggio. Su una radura che, colpita dal sole, brillava di colore arancione si stendeva scura una linea di battaglia. Una bandiera sventolava.

Altri reggimenti s'inerpicarono faticosamente su per l'argine. La brigata era disposta in linea di battaglia e, dopo una sosta, avanzò lentamente nei boschi, alle spalle degli esploratori che, ritraendosi, si confondevano continuamente con lo scenario per riapparire subito più in là. Erano instancabili come api e intensamente assorti nelle loro piccole schermaglie.

Il giovane cercò di osservare ogni cosa. Non si curava di schivare alberi e rami, e i suoi piedi, dimenticati, urtavano di continuo contro i sassi o s'impigliavano nei rovi.

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Si rendeva conto che quei battaglioni, con il loro agitarsi, formavano un ordito rosso e sorprendente nel delicato tessuto di morbidi bruni e verdi. Era il posto sbagliato per un campo di battaglia.

L'avanzare degli esploratori lo affascinava. Il loro sparare dentro boschetti e contro alberi lontani e bene in vista gli parlava di tragedie: nascoste, misteriose, solenni.

A un certo punto la linea incontrò il corpo di un soldato morto. Giaceva supino, fissando il cielo. Portava goffamente una divisa di un bruno giallastro. Il giovane notò che le logore suole delle scarpe avevano la sottigliezza della carta da lettere e che da un grande squarcio in una di esse miseramente sporgeva il piede morto. Era come se il destino avesse tradito quel soldato: nella morte palesava ai nemici quella povertà che da vivo aveva forse nascosto agli amici.

Le file si scostarono furtivamente per evitare il cadavere. L'invulnerabile morto si apriva una strada. Il giovane guardò intensamente quel volto cinereo. Il vento sollevò la barba fulva, che si mosse come se una mano la lisciasse. Il giovane desiderò vagamente di continuare a girare intorno a quel corpo fissandolo; provava l'impulso dei vivi a cercar di leggere negli occhi dei morti la risposta alla Grande Domanda.

Durante la marcia lo slancio acquistato dal giovane mentre non era ancora in vista del campo si spense rapidamente. La sua curiosità era stata facilmente soddisfatta. Se, arrivando in cima all'argine, l'avesse afferrato con impeto selvaggio una scena intensa, sarebbe stato capace di slanciarsi con foga. Invece quell'avanzata sulla Natura era calma, troppo. Ebbe modo di riflettere. Ebbe il tempo per meravigliarsi di se stesso e tentare di sondare le sue sensazioni.

Idee assurde si impossessarono di lui. Pensò di non gustare il paesaggio: esso lo minacciava. Un senso di freddo gli percorse la schiena e si sentiva i calzoni come se non fossero della sua misura.

Una casa che sorgeva pacifica in campi lontani acquistò per lui un aspetto sinistro. Le ombre dei boschi erano spaventose. Era sicuro che in quel panorama si appiattavano milizie dagli sguardi feroci. Gli venne rapido il pensiero che i generali non sapevano che cosa si facessero. Era tutto un tranello. Ad un tratto quelle spesse foreste sarebbero diventate irte di canne di fucile. Alle spalle sarebbero apparse ferree brigate che li avrebbero sacrificati tutti. I generali erano stupidi. Il nemico avrebbe presto ingoiato l'intero reparto. Si guardò intorno con occhi torvi, aspettandosi di veder avvicinarsi furtiva la sua morte.

Pensò che doveva uscire dalle file e arringare i compagni. Non dovevano finire tutti ammazzati come porci: ciò che, ne era sicuro, sarebbe accaduto se non fossero stati informati di quei pericoli. I generali erano degli idioti a mandarli a marciare dentro un vero e proprio mattatoio. In tutto il reparto non c'era che un paio d'occhi. Si sarebbe fatto avanti e avrebbe tenuto un discorso. Gli vennero alle labbra parole aspre e appassionate.

La linea, rotta dal terreno in mobili frammenti, proseguì la sua calma avanzata per campi e boschi. Il giovane guardò gli uomini più vicini a lui e vide, nei più, espressioni di intenso interesse, come se indagassero su qualcosa che li aveva affascinati. Uno o due marciavano dandosi arie di prodi, come se fossero già stati tuffati nella guerra. Altri pareva che camminassero su ghiaccio sottile. La maggior parte degli uomini non ancora messi alla prova appariva quieta e assorta. Andavano a dare un'occhiata alla guerra: la bestia rossa, la dea gonfia di sangue. Ed erano profondamente concentrati in quella marcia.

Guardandoli, il giovane ricacciò in gola il suo grido. Vide che sebbene barcollassero per la paura, quegli uomini avrebbero riso del suo avvertimento. Lo avrebbero schernito e, se possibile, colpito con proiettili. E quand'anche si sbagliasse in tale previsione, una frenetica arringa del tipo che aveva in mente lo avrebbe ridotto a un verme. Allora assunse il contegno di uno che sa di essere, lui solo, condannato a responsabilità non scritte. Rimase indietro, lanciando tragiche occhiate al cielo.

E così fu sorpreso, poco dopo, dal giovane tenente della sua compagnia, che si mise a percuoterlo cordialmente con la sciabola, gridandogli con voce forte e insolente: «Avanti, giovanotto, rientra nelle file. Qui non serve tirarsi indietro.» Il giovane affrettò il passo con la dovuta sollecitudine, e odiò il tenente che non sapeva apprezzare una mente sottile. Era semplicemente un bruto.

Dopo un po' la brigata fece tappa nella luce chiesastica di una foresta. Gli alacri esploratori sparacchiavano ancora. Attraverso le navate della foresta si scorgeva il fumo fluttuante dai loro fucili. A volte saliva in piccoli gomitoli compatti e bianchi.

Durante quella sosta molti uomini del reggimento cominciarono a erigere davanti a sé minuscoli ripari. Si servivano di pietre, pezzi di legno, terra, e di ogni cosa che, a loro parere, potesse deviare una pallottola. Alcuni ne costruivano di relativamente grandi, mentre altri parevano contentarsi di piccoli.

Tale attività suscitò una discussione fra i soldati. Alcuni volevano combattere come duellanti, ritenendo corretto lo stare in piedi e offrire bersaglio dai piedi alla fronte. Dicevano di spregiare gli accorgimenti dei guardinghi. Ma gli altri li schernivano a loro volta, additando i veterani che sulle ali scavavano il terreno come cani terrier. In breve sorse una specie di trinceramento lungo il fronte dei reggimenti, ma subito dopo ricevettero l'ordine di ritirarsi da quel luogo.

Ciò sbalordì il giovane. Dimenticò la sua agitazione per il movimento di avanzata. «Ma perché ci hanno fatto marciare sin qui?» domandò al soldato alto, e quello con fede tranquilla cominciò una noiosa spiegazione, benché costretto ad abbandonare una piccola protezione di pietre e fango alla quale aveva dedicato molta cura e perizia.

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Quando il reggimento si allineò su un'altra posizione, la sollecitudine di ogni uomo per la propria incolumità fece sorgere un'altra linea di piccoli trinceramenti. Consumarono il pasto di mezzogiorno dietro una terza linea. Ma furono spostati anche da quella. Dovettero marciare di luogo in luogo senza uno scopo palese.

Al giovane avevano insegnato che in battaglia un uomo diventa un'altra cosa, e in tale mutamento vide la sua salvezza. Quell'attesa era quindi una dura prova per lui: lo teneva in un'impazienza febbrile. Giudicò che essa denotava la mancanza di un piano nei generali e cominciò a lagnarsene col soldato alto. «Io non resisto più,» gridò. «Non vedo l'utile di fiaccarci le gambe per nulla.» Voleva tornare all'accampamento, sapendo che quella faccenda era una semplice manifestazione in blu; oppure andare in battaglia e scoprire che era stato uno sciocco a dubitare, mentre in realtà era dotato del coraggio che esige la tradizione. La tensione nervosa in quelle circostanze gli diventava intollerabile.

Il filosofico soldato alto, con gallette e carne di maiale si dosò un panino e lo ingurgitò con noncuranza. «Abbiamo da compiere delle ricognizioni nella zona, penso, tanto per impedirgli di farsi troppo sotto, o per invitarli a scoprirsi, o che so io.»

«Bum!» fece il soldato dalla voce sonora.«Be',» gridò il giovane, sempre eccitato. «Farei qualsiasi altra cosa piuttosto che scarpinare per la campagna

tutto il giorno, senza far del bene a nessuno e solo straccandoci.»«E io lo stesso,» disse il soldato dalla voce sonora. «Non è giusto. Io vi dico che se questo esercito lo

comandasse qualcuno con un po' di giudizio... »«Sta' zitto, scemo!» ruggì il soldato alto. «Sei un rompiscatole della malora. Non sono sei mesi che porti

codesta divisa, e parli come se... »«Comunque, ci ho voglia di combattere un po',» lo interruppe l'altro. «Non sono venuto qui per andare a

spasso. Potevo farlo a casa, tutto intorno al granaio, se proprio ne avevo voglia.»Il soldato alto, rosso in viso, buttò giù un altro panino come se prendesse del veleno per disperazione.Ma a poco a poco, masticando, la sua faccia ridiventò calma e soddisfatta. In presenza di panini come quelli,

non poteva accanirsi in una disputa violenta. Durante i pasti aveva sempre un'aria di beata contemplazione del cibo che inghiottiva. Il suo spirito pareva allora in comunione con le vivande.

Accettava un nuovo ambiente, una nuova circostanza, senza scomporsi, a ogni occasione traendo cibo dal tascapane. Durante le marce procedeva a grandi passi come un cacciatore, senza protestare né contro l'andatura né contro la distanza. E non aveva alzato la voce ricevendo l'ordine di lasciare quei tre mucchietti difensivi di terra e pietre, ognuno dei quali era un trionfo d'ingegneria degno di essere dedicato alla memoria della nonna.

Nel pomeriggio il reggimento si dispose sullo stesso terreno che aveva occupato la mattina. Allora il paesaggio cessò di minacciare il giovane. Gli era già stato vicino e aveva preso familiarità con esso.

Tuttavia, quando cominciarono a penetrare in una nuova regione, lo riassalirono le vecchie paure di essere stupido e inetto, ma questa volta fu tenace nel non prestare orecchio al loro blaterare. Il suo problema lo assorbiva, e nella disperazione concluse che la stupidità non importava gran che.

A un tratto pensò di essere arrivato alla conclusione che sarebbe stato meglio essere ucciso subito e così finirla coi crucci. Guardando la morte così, con la coda dell'occhio, la concepì come nient'altro che un riposo, e per un momento lo riempì lo stupore di aver provato tanta commozione per il semplice fatto di poter essere ucciso. Sarebbe morto, sarebbe andato in qualche luogo dove l'avrebbero capito. Era inutile aspettarsi un apprezzamento della sua sensibilità profonda e fine da uomini come il tenente. Per ottenere comprensione doveva guardare alla tomba.

La fucileria delle scaramucce aumentò, diventò un lungo fragoroso crepitio. Ad esso si mescolarono lontani evviva. Una batteria disse la sua.

Subito dopo il giovane vide gli esploratori che correvano. Li inseguiva il rumore della fucileria. Ancora un momento e furono visibili i caldi, pericolosi baleni dei fucili. Nuvole di fumo traversarono con lenta insolenza i campi, come fantasmi di scolta. Lo strepito ebbe un crescendo, simile al fragore di un treno che si avvicina.

Una brigata che li precedeva sulla destra entrò in azione con lacerante rimbombo. Fu come se fosse esplosa. Poi si distese, in lontananza, dietro una lunga muraglia grigia, che bisognava guardare due volte per esser sicuri che si trattava di fumo.

Dimenticando il geniale progetto di farsi uccidere, il giovane fissava affascinato. I suoi occhi si dilatavano, si ravvivavano secondo lo svolgersi dell'azione. E la bocca restava dischiusa.

Ad un tratto sentì posarsi sulla spalla una mano pesante e mesta. Svegliato dall'estatica contemplazione, si voltò e vide il soldato dalla voce sonora.

«Amico mio, questa è la mia prima e ultima battaglia,» gli disse con intensa tristezza. Era pallidissimo, e gli tremava il labbro delicato, da ragazza.

«Cosa?» mormorò stupefatto il giovane.«Questa è la mia prima e ultima battaglia, amico mio,» continuò l'altro. «Qualcosa mi dice che... »«Che?»«Che questa prima volta sarò spacciato e... e voglio che tu porti... questa roba... ai miei.» Terminò con un

tremolante singhiozzo di pietà per se stesso. Consegnò al giovane un pacchetto fatto su in un involucro giallo.«Ma perché? che diavolo?... » riprese il giovane.Ma l'altro gli lanciò un'occhiata come dal profondo della tomba, alzò stancamente la mano con gesto da

profeta, e se ne andò.

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IV

La brigata ricevette l'ordine di fermarsi al margine di un boschetto. Gli uomini si accovacciarono fra gli alberi e puntarono verso i campi gli infaticabili fucili. Cercavano di guardare di là del fumo. Dalla foschia videro emergere uomini che correvano. Pur nella fretta, alcuni gridavano informazioni e gesticolavano. I soldati del nuovo reggimento osservavano e ascoltavano avidamente, mentre le loro lingue mulinavano chiacchiere sulla battaglia. Si passavano voci giunte a volo come uccelli da chissà dove.

«Dicono che Perry è stato ricacciato con gravi perdite.»«Si. Carrott è andato all'ospedale. Ha detto che stava male. Quel furbacchione di tenente comanda la

compagnia G. Gli uomini dicono che non staranno più sotto Carrott, dovessero disertare tutti. Sapevano da un pezzo che lui era un... »

«Hanno preso la batteria di Hannises.»«Neanche per sogno. La batteria di Hannises l'ho vista sulla nostra sinistra non più di un quarto d'ora fa.».«Be'... »«Il generale dice che prenderà il comando di tutto il 304° quando entreremo in azione, e allora, dice, noi

combatteremo come nessun altro reggimento ha mai combattuto.»«Dicono che stiamo prendendole sulla sinistra. Dicono che il nemico spinge la nostra linea in una maledetta

palude, e ha preso la batteria di Hannises.»«Macché. La batteria di Hannises era da queste parti circa un minuto fa.»«Quel giovane Hasbrouck è proprio un buon ufficiale. Non ha paura di niente.»«Ho incontrato uno del 148° del Maine, e dice che la sua brigata ha tenuto impegnato l'intero esercito ribelle

per quattro ore laggiù, sulla strada maestra, e ne ha uccisi circa cinquemila. Un'altra battaglia così, dice, e la guerra è finita.»

«Bill mica era spaventato. Nossignore. Non era paura. Bill non è uno che si spaventa facilmente. Era soltanto incavolato, ecco cos'era. Quando quell'altro gli ha camminato sulla mano, è saltato su e ha detto che era pronto a dare la sua mano alla patria ma potesse perdere la parola se lasciava che ci passeggiasse sopra il primo cretino di volontario. Cosi è andato all'ospedale infischiandosene della battaglia. Aveva tre dita stritolate. Quel dannato dottore voleva amputargliele, e Bill, mi dicono, ha fatto un putiferio. É una sagoma!»

Il fragore sul fronte si gonfiò in un coro tremendo. Il giovane e i suoi compagni tacquero raggelati. Vedevano una bandiera che si agitava iraconda nel fumo. Vicino ad essa, indistinte e sconvolte forme di combattenti. Attraverso i campi arrivò una tumultuosa fiumana di uomini. Una batteria che cambiava postazione a galoppo frenetico sparpagliò gli sbandati a destra e a manca.

Urlando come uno spirito annunciatore di morte nella bufera, una granata passò sopra le teste accalcate delle riserve. Finì nel boschetto, sollevando con una rossa esplosione la terra bruna. Ci fu un breve scroscio di aghi di pino.

Le pallottole cominciarono a fischiare fra i rami e a mordere gli alberi. Ramoscelli e foglie venivano giù veleggiando. Era come se venissero brandite migliaia di accette minuscole e invisibili. Molti degli uomini scansavano e abbassavano continuamente la testa.

Il tenente della compagnia del giovane fu colpito a una mano. Si mise a bestemmiare così stupendamente che la linea del reggimento fu percorsa da un riso nervoso. La bestemmia dell'ufficiale suonò scontata, ma rilassò i sensi tesi delle giovani reclute. Era come se si fosse pestato le dita a casa sua, con un martello da tappezziere.

Stava attento a tenere la mano ferita lontano dal fianco perché il sangue non gli gocciolasse sui calzoni.Il capitano della compagnia si mise la sciabola sotto il braccio, tirò fuori un fazzoletto e cominciò a fasciare la

ferita del tenente. E discussero sul modo di fare la fasciatura.In lontananza, la bandiera sussultava follemente nella mischia. Pareva lottare per liberarsi da un'agonia. Le

ondate di fumo erano piene di lampi orizzontali.Dal fumo sbucarono uomini in rapida corsa. Crebbero di numero finché si vide che tutto il reparto era in fuga.

Ad un tratto la bandiera si accasciò come moribonda. Il movimento con cui cadde fu un gesto di disperazione.Urla selvagge giungevano da oltre le cortine di fumo. La composizione grigia e rossa si dissolse in una

masnada di uomini che galoppavano come cavalli selvaggi.I reggimenti di veterani a destra e a sinistra del 304° presero subito a canzonarli. Al canto appassionato delle

pallottole e alle urla sinistre delle granate si mescolarono fischi sonori e frammenti di beffardi consigli circa possibili rifugi.

Ma il nuovo reggimento era senza fiato per l'orrore. «Dio! Saunders le ha prese sode!» bisbigliò l'uomo che stava a gomito col giovane. Arretrarono e si accovacciarono, quasi fossero costretti ad aspettare una piena.

Il giovane gettò una rapida occhiata alle file blu del reggimento. I profili erano immobili, come scolpiti; in seguito ricordò che il sergente portabandiera si teneva ritto, a gambe larghe, come se si aspettasse di essere gettato a terra.

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L'ondata successiva passò turbinando sul fianco. Qua e là vi erano ufficiali travolti dalla fiumana, impotenti come fuscelli. Menavano colpi intorno a sé, con la sciabola, col pugno della mano sinistra, pungolando ogni testa che riuscivano a raggiungere. Bestemmiavano come ladroni.

Un ufficiale a cavallo diede sfogo alla rabbia furiosa di un bimbo viziato. Smaniava con la testa, le braccia, le gambe.

Un altro, il comandante della brigata, galoppava intorno urlando. Aveva perduto il cappello, e l'uniforme era in disordine. Somigliava a uno che avesse lasciato il letto per accorrere sul luogo di un incendio. Spesso gli zoccoli del suo cavallo minacciavano le teste degli uomini in fuga, che però riuscirono a scampare con singolare fortuna. In quella corsa precipitosa sembravano tutti sordi e ciechi. Non stavano certo ad ascoltare le elaborate imprecazioni scagliate contro di loro da ogni parte.

Sopra quel tumulto si udivano ogni tanto gli spietati motteggi dei veterani, ma evidentemente gli uomini in fuga non si rendevano nemmeno conto della presenza di un pubblico.

Il riflesso della battaglia che per un attimo brillava sui volti di quella pazza fiumana fece sentire al giovane che neppure una mano possente dal cielo sarebbe riuscita a tenerlo al suo posto, se egli avesse ancora avuto un razionale controllo delle proprie gambe.

Su quei volti era stampato lo sgomento. La lotta nel fumo aveva dipinto la propria immagine esasperata sulle guance livide e negli occhi stravolti da un unico desiderio.

La vista di quella rotta sprigionava un impeto diluviale che pareva capace di trascinare dal suolo pezzi di legno, pietre ed uomini. Quelli delle riserve dovettero tener duro. Diventarono pallidi e saldi, rossi e tremanti.

In mezzo a quel caos il giovane riuscì a completare un pensiero. Il mostro composito che aveva causato la fuga delle altre truppe non era ancora apparso. Decise di dargli un'occhiata, e poi, pensava, avrebbe potuto sempre scappare meglio dei più veloci.

V

Ci furono momenti di attesa. Al giovane venne in mente la strada del villaggio, a casa, prima che arrivasse il circo in parata, un giorno di primavera. Ricordò come avesse sostato, bimbetto minuto ed emotivo, pronto a seguire la scalcagnata dama sul cavallo bianco, o la banda sul carro fatiscente. Vide la strada gialla, le file di gente in impaziente attesa, le case modeste. In particolare ricordò un vecchio che soleva sedere su una cassa di gallette davanti allo spaccio e fingeva di disprezzare simili spettacoli. Nella sua mente fervevano mille particolari di colore e di forma. Il vecchio seduto sulla cassa di gallette appariva a mezzo rilievo.

Qualcuno gridò: «Eccoli che arrivano!»Fra gli uomini ci fu del trambusto, un mormorio diffuso. Tutti rivelarono un desiderio febbrile di avere a

portata di mano ogni possibile cartuccia. Le cassette furono trascinate di qua e di là in varie posizioni, e sistemate con gran cura. Fu come se venissero provati settecento cappellini nuovi.

Il soldato alto, dopo aver preparato il fucile, tirò fuori una specie di fazzoletto rosso. Mentre se lo annodava intorno alla gola, con delicata attenzione a come gli stava, il grido si ripeté su e giù per la linea come un ruggito in sordina.

«Eccoli che arrivano! Eccoli che arrivano!» Scattarono gli otturatori dei fucili.Per i campi infestati di fumo veniva un bruno sciame di uomini che correvano gettando urla acute. Avanzavano

curvi, agitando i fucili in ogni direzione. Una bandiera, inclinata in avanti, volava tra le prime file.Nel momento in cui li avvistò, il giovane fu per un attimo allarmato dal pensiero che il suo fucile forse non era

carico. Cercò di fare appello al suo intelletto vacillante, di ricordare il momento in cui l'aveva caricato, ma non vi riuscì.Un generale privo di copricapo fermò il cavallo grondante sudore presso il colonnello del 304°. Gli agitò un

pugno davanti alla faccia, e «Dovete trattenerli!» gridò fuori di sé, «dovete trattenerli!» Nell'agitazione del momento il colonnello si mise a balbettare: «Be-bene, Generale, benissimo, per Dio! Fa-faremo.., fa-faremo del nostro meglio, Generale.» Il generale fece un gesto iracondo e ripartì al galoppo. Il colonnello, forse per sfogarsi, prese a rimbrottare come un pappagallo infastidito. Voltandosi un attimo per accertarsi che la retroguardia non subiva molestie, il giovane vide che il comandante guardava i suoi uomini con un'aria molto risentita, come se gli rincrescesse sommamente di aver a che fare con loro.

L'uomo che stava a gomito col giovane borbottò come a se stesso: «Ora sì che ci siamo! Ora sì che ci siamo!»Il capitano della compagnia aveva continuato a camminare eccitato, in su e in giù, dietro la prima linea. Parlava

suadente come una maestrina a un'accolta di bambini alle prese col sillabario. Il suo discorso non faceva che ripetere le stesse frasi: «Risparmiate il fuoco, ragazzi... non sparate finché non ve lo dico io.., risparmiate il fuoco... aspettate che siano più vicini... non fate gli stupidi... »

Il sudore colava giù per la faccia del giovane, imbrattata come quella di un monello in lacrime. Spesso, con un gesto nervoso, si asciugava gli occhi con la manica della giubba. La sua bocca era ancora dischiusa.

Con uno sguardo abbracciò il campo davanti a sé, brulicante di nemici, e immediatamente cessò di dibattere la questione se l'arma fosse carica o no. Prima di essere pronto a cominciare prima di aver annunciato a se stesso che si

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accingeva a combattere mise in posizione l'obbediente, ben calibrato fucile e sparò un primo colpo a casaccio. Ben presto adoperava l'arma come un automa.

Ad un tratto smise di preoccuparsi di se stesso, dimenticò di contemplare un fato minaccioso. Diventò non un uomo ma un numero. Sentiva che qualcosa di cui egli era parte un reggimento, un esercito, una causa, un paese si trovava in un pericoloso frangente. Egli era saldato entro una comune personalità, dominata da un unico desiderio. Per alcuni momenti non fu in grado di fuggire più di quanto il mignolo possa staccarsi dalla mano.

Se avesse pensato che il reggimento stava per essere annientato, forse sarebbe riuscito ad amputarsi da esso. Ma il rumore che faceva gli dava sicurezza: il reggimento era come un fuoco d'artificio che, una volta acceso, procede superiore a tutto, finché la sua fiammeggiante vitalità non svanisce. Il reggimento ansava e palpitava con forza.possente. Il giovane si immaginò il terreno antistante disseminato di sconfitti.

Aveva sempre coscienza della presenza dei compagni intorno a lui. Sentiva l'impalpabile fratellanza della battaglia ancor più fortemente che non la causa per la quale combattevano. Era un misterioso sodalizio nato dal fumo e dal pericolo di morte.

Lui aveva un compito. Era come un falegname che, dopo aver fatto molte casse, ne sta facendo un'altra; soltanto, c'era una fretta furiosa nei suoi movimenti. Col pensiero galoppava lontano, in altri luoghi, proprio come il falegname che lavorando fischietta e pensa all'amico o al nemico, alla casa o all'osteria. E quei sogni a singhiozzo non gli si precisarono mai, dopo, ma rimasero una massa di forme confuse. Ora cominciò a sentire gli effetti dell'atmosfera di guerra: un sudore enfiante, la sensazione che i bulbi degli occhi stessero per spaccarsi come pietre infocate. Un frastuono rovente gli empiva le orecchie.

Ad esso segui un rosso furore. Nel giovane crebbe l'esasperazione acuta dell'animale molestato, di una mite mucca vessata dai cani. Provò una folle avversione per il suo fucile, che si poteva usare contro una sola vita per volta. Voleva precipitarsi avanti e strozzare con le sue dita. Bramò un potere che gli permettesse di fare un gesto ampio come il mondo e di spazzare via tutto. Gli apparve la sua impotenza, e trasformò il suo furore in quello di una bestia incalzata.

Sepolta nel fumo di molti fucili, la sua collera era diretta non tanto contro gli uomini che, egli sapeva, stavano avventandosi verso di lui, quanto contro i turbinanti fantasmi della battaglia che lo soffocavano, ficcandogli le loro vesti di fumo giù per la gola riarsa. Lottò freneticamente per dar sollievo ai sensi, per avere aria, come fa un bimbo che vogliono soffocare e che lotta contro le mortali coperte. Su tutti i visi c'era una vampa di rabbia collerica, mista a una certa espressione intenta. Molti producevano con la bocca suoni di tono basso, e quei sommessi evviva o ringhi, quelle imprecazioni o preghiere, componevano un selvaggio canto barbarico che fluiva come uno strano e salmodiante sottofondo sonoro, in armonia coi risonanti accordi della marcia di guerra. L'uomo a gomito col giovane farfugliava, e in ciò vi era qualcosa di delicato e tenero come il monologo di un bimbo. Il soldato alto imprecava a voce alta, dalle sue labbra usciva una nera processione di curiose bestemmie. Ad un tratto un altro proruppe in modo querulo, come uno che abbia smarrito il cappello: «Be', ma perché non ci danno una mano? Perché non mandano rinforzi? Credono forse che... »

Nel torpore che gli infondeva la battaglia, il giovane udì quelle parole come uno che sonnecchia.Era singolare l'assenza di pose eroiche. Curvandosi o ergendosi con fretta rabbiosa, gli uomini assumevano

ogni più strano atteggiamento. Le bacchette d'acciaio tintinnavano con strepito incessante mentre venivano ficcate con furia dentro le canne roventi dei fucili. I risvolti delle scatole di cartucce, tutti sollevati, erano liberi di sventolare insensatamente a ogni movimento. Una volta caricati, i fucili venivano portati di scatto alla spalla, e sparavano non a un bersaglio visibile ma dentro il fumo, o a una di quelle confuse e mutevoli forme che, sul campo davanti al reggimento, erano diventate sempre più grandi come fantocci sotto la mano di un mago.

Gli ufficiali, ognuno nel suo settore, dietro la truppa, avevano messo da parte le pose pittoresche. Andavano su e giù berciando istruzioni e incoraggiamenti. I loro urli erano di straordinaria potenza: consumavano con prodigalità i loro polmoni. E spesso protendevano la testa, nell'ansia di osservare il nemico al di là delle volute di fumo.

Il tenente della compagnia del giovane aveva incontrato un soldato che alla prima scarica dei compagni era fuggito gridando. I due stavano ora recitando una breve scena a sé dietro le linee. L'uomo singhiozzava e fissava con occhi da pecora il tenente, che l'aveva afferrato per il colletto e lo tempestava di pugni. Sempre percotendolo lo risospinse nei ranghi. Il soldato camminava meccanicamente, come istupidito, gli occhi animaleschi fissi sul tenente. Forse gli si manifestava una divinità nella voce dell'altro: severa, dura, senza alcuna traccia di sgomento. Tentò di ricaricare il fucile, ma il tremito delle mani glielo impedì. Dovette aiutarlo il tenente.

Qua e là gli uomini cadevano come fagotti. Il capitano della compagnia del giovane era stato ucciso in una delle prime fasi dell'azione. Il suo corpo giaceva disteso, nella posizione di un uomo affaticato che riposi, ma sul viso c'era un'espressione attonita e dolente, come se pensasse che qualche amico gli aveva giocato un brutto tiro. L'uomo che farfugliava come un bimbo fu sfiorato da un proiettile che gli fece colare sangue copioso per la faccia. Si afferrò la testa con entrambe le mani, esclamò «Oh!» e fuggì. Un altro all'improvviso grugnì come se l'avessero colpito allo stomaco con una mazza. Si sedette e guardò fisso, con una espressione dolente: nei suoi occhi c'era un muto, vago rimprovero. Più in là lungo la linea, un uomo che stava ritto dietro un albero, aveva avuto l'articolazione di un ginocchio frantumata da una pallottola. Aveva lasciato cadere subito il fucile per aggrapparsi all'albero con entrambe le braccia. E là rimaneva, avvinghiato disperatamente, implorando aiuto per lasciare la presa dell'albero.

Finalmente un urlo di esultanza percorse la linea palpitante. La fucileria diminuì, dal fragore a un ultimo botto vendicativo. Quando il fumo lentamente mulinò via, il giovane vide che l'assalto era stato respinto. I nemici erano sparsi

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in gruppi restii. Vide un uomo arrampicarsi in cima alla staccionata e, a cavalcioni della sbarra, sparare un colpo di commiato. Le ondate avevano arretrato, lasciando sul terreno frammenti di scuri detriti.

Alcuni del reggimento si misero a lanciare grida frenetiche. Molti tacevano. Pareva che stessero cercando di guardare in se stessi. Dopo che non si senti più la febbre nelle vene, il giovane pensò che avrebbe finito per soffocare. Si rese conto dell'aria mefitica nella quale aveva combattuto. Era lercio e stillante come un manovale di fonderia. Afferrò la borraccia e bevve un lungo sorso di acqua ormai calda.

Una frase con variazioni echeggiava per tutta la linea. «Be', li abbiamo ricacciati. Li abbiamo ricacciati; diavolo, se ci siamo riusciti!» Gli uomini la dicevano con aria beata, ammiccandosi l'un l'altro, con sudici sorrisi.

Il giovane si voltò per guardare dietro a sé, e poi alla sua destra e poi alla sua sinistra. Provò la gioia di un uomo che finalmente trova il tempo per guardarsi intorno.

Sul terreno c'erano alcune figure spettrali immobili. Giacevano irrigidite in contorsioni fantastiche. Le braccia erano piegate, le teste rivolte in guise incredibili. Per giacere in posizioni simili, sembrava che quei morti dovessero essere caduti da una grande altezza. Si sarebbe detto che erano stati rovesciati sul terreno dal cielo.

Da una posizione alle spalle del boschetto una batteria tirava granate al di sopra di esso. La vampa dei cannoni dapprima allarmò il giovane. Pensò che fossero puntati direttamente contro di lui. Fra gli alberi osservò le nere figure degli artiglieri, mentre lavoravano rapidi e intenti. La loro fatica sembrava una cosa complicata. Si domandò stupito come riuscissero a ricordare la formula in mezzo a quella confusione.

I cannoni stavano accoccolati in fila come capi selvaggi. Argomentavano con brusca violenza. Era un truce consesso. I serventi correvano affaccendati avanti e indietro.

Una breve processione di feriti si dirigeva tristemente verso le retrovie. Era un fiotto di sangue dal corpo straziato della brigata.

A destra e a sinistra si stendevano le linee scure di altre truppe. Di fronte, lontano, gli parve di scorgere masse più chiare che in vari punti traboccavano dalla foresta.

Facevano pensare a innumerevoli migliaia.A un tratto scorse una minuscola batteria a galoppo lungo la linea dell'orizzonte. I minuscoli cavalieri

battevano i minuscoli cavalli.Dal pendio di un colle giungevano evviva e il rumore di scontri. Il fumo sgorgava lentamente attraverso il

fogliame. Le batterie parlavano con tonante piglio oratorio. Qua e là vi erano bandiere, e dominava il rosso delle strisce. Esse spruzzavano tocchi di colore caldo sulle linee scure delle truppe.

Alla vista dell'emblema il giovane provò l'antico fremito. Quelle bandiere erano come bellissimi uccelli stranamente impavidi nella bufera.

Mentre ascoltava il fragore dalle pendici del colle, un tuono profondo che giungeva pulsando da lontano a sinistra e i clamori minori provenienti da molte direzioni, gli venne in mente che anche laggiù si combatteva, e pure da quella parte, e pure da quell'altra. Fino allora s'era immaginato che la battaglia si svolgesse tutta sotto il suo naso.

Guardandosi intorno, il giovane trasalì stupito per il cielo azzurro, limpido, e per i barbagli di sole su alberi e campi. Era sorprendente che la Natura avesse continuato tranquillamente nel suo dorato cammino in mezzo a tante diavolerie.

VI

Il giovane si svegliò lentamente, e a poco a poco tornò a una posizione da cui poteva osservarsi. Per un po' aveva esaminato sbalordito la propria persona, come se per l'innanzi non si fosse mai veduto. Poi raccattò il berretto dal suolo. Si rigirò dentro la giubba per sentirsi più comodo, si inginocchiò e si allacciò una scarpa. Pensosamente si pulì la faccia annerita dal fumo.

Così, era tutto finito finalmente! La prova suprema era stata superata. Erano state vinte le rosse, tremende difficoltà della guerra.

Entrò in uno stato di estatico compiacimento. Ebbe le sensazioni più deliziose di tutta la sua vita. Ponendosi come a distanza da se stesso, rivide l'ultima scena. Si rese conto che l'uomo che aveva combattuto così era magnifico.

Sentì di essere un tipo in gamba. Si vide all'altezza di quegli ideali che aveva considerati molto al di sopra di sé. Sorrise con profondo piacere.

Sui compagni irradiava affetto e benevolenza.«Dio buono, fa un bel caldo, eh?» disse affabilmente a uno che si puliva la faccia grondante con le maniche

della giubba.«Accidenti!» rispose l'altro, ghignando socievole. «Mai visto un caldo così bestiale.» Si stese voluttuosamente

per terra. «Sì, Dio buono! E spero che per una settimana a partire da lunedì non avremo più da combattere.»Scambiò strette di mano e discorsi profondi con soldati le cui fisionomie gli erano familiari, ma coi quali ora

sentiva vincoli che univano i cuori. Aiutò un compagno che imprecava a fasciarsi una ferita allo stinco.Ma ad un tratto grida di stupore esplosero lungo le file del reggimento. «Eccoli che tornano! Eccoli che

tornano!» L'uomo che s'era sdraiato al suolo balzò in piedi e disse:«Accidenti!»

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Volgendo un rapido sguardo al campo di battaglia, il giovane distinse forme che uscivano da un bosco lontano e cominciavano a dilatarsi in masse. Rivide la bandiera che volava inclinata in avanti.

Le granate, che per qualche tempo avevano cessato di molestare il reggimento, ripresero ad arrivare turbinando, ed esplodevano nell'erba o tra le foglie degli alberi. Parevano strani fiori di guerra che scoppiassero in crudele fioritura.

Gli uomini gemettero. Dai loro occhi svanì la luce. Sotto lo sporco i visi ora esprimevano un profondo abbattimento. Mossero lentamente i corpi intorpiditi, osservarono con umore tetro il frenetico appressarsi del nemico. Gli schiavi che faticavano nel tempio di quella dea cominciavano a provare un senso di ribellione contro i suoi duri ordini.

Angustiati, si lagnavano uno con l'altro. «Ma di', questo è troppo godere! Proprio nessuno può mandare rinforzi?»

«Non ce la faremo a parare questa seconda botta. Non sono venuto qui per combattere contro tutto l'esercito di quei maledetti ribelli!»

Uno levò un grido sconsolato: «Oh, se Bill Smithers avesse camminato sulla mia mano, invece che io sulla sua!» Le giunture doloranti del reggimento scricchiolarono mentre con lenta e penosa fatica prendeva posizione per respingere l'assalto.

Il giovane sbarrò gli occhi. No, pensò, quella cosa impossibile non sarebbe successa. Attese come se si aspettasse che il nemico ad un tratto si fermasse, chiedesse scusa e si ritirasse con un inchino. Era tutto un malinteso.

Invece, in qualche punto della linea tenuta dal reggimento cominciarono gli spari e si propagarono in entrambe le direzioni. Le uniformi cortine di vampe produssero grandi nubi di fumo che si avvilupparono per un attimo nel lieve vento rasente il suolo, e poi rotolarono attraverso le righe come attraverso una porta. Sotto i raggi del sole, le nubi assumevano una sfumatura di giallo terroso e, nell'ombra, erano di un mesto azzurro. In quell'ammasso di vapori la bandiera veniva ogni tanto inghiottita, persa; ma più spesso svettava, toccata dal sole, splendente.

Negli occhi del giovane apparve quell'espressione che si può scorgere nelle pupille di un cavallo sfinito. Il collo gli tremava di debolezza nervosa; sentiva i muscoli delle braccia intorpiditi e privi di sangue. Anche le mani gli parevano grandi e goffe, come se portasse invisibili guantoni. E quanto alle giunture delle ginocchia, erano molto malsicure.

Presero a tornargli alla mente le parole dette dai compagni prima dell'inizio degli spari. «Ma, di', questo è troppo godere! Per chi ci prendono? Perché non mandano rinforzi? Non sono mica venuto qui per combattere contro tutto l'esercito di quei maledetti ribelli!»

Cominciò a esagerare la resistenza, l'abilità, il valore di quelli che stavano venendo avanti. Siccome lui barcollava esausto, si stupì oltremodo della tenacia di quelli. Dovevano essere macchine di acciaio. Era una prospettiva molto cupa lottare contro ordigni simili, caricati, forse, per combattere fino al tramonto.

Alzò lentamente il fucile e, gettata un'occhiata al campo brulicante, sparò contro un gruppo che avanzava a passo di corsa. Quindi si fermò e si mise a scrutare come meglio poteva attraverso il fumo. Ebbe mutevoli immagini del terreno coperto di uomini che correvano tutti come folletti inseguiti e lanciavano grida acute.

Al giovane parve un assalto furioso di formidabili draghi. Diventò come quell'uomo che perdette le gambe all'avvicinarsi del mostro rosso e verde. Aspettò in una specie di atterrito ascolto. Parve chiudere gli occhi, nell'attesa di essere ingoiato.

Un uomo vicino a lui, che fino allora si era applicato febbrilmente al suo fucile, improvvisamente si fermò e scappò urlando. Un ragazzo il cui volto aveva mantenuto un'espressione di sublime coraggio, l'espressione maestosa di colui che non teme di dare la vita, in un attimo fu preda della disperazione. Sbiancò come uno che nel fondo della notte arriva sul ciglio di una scogliera, e se ne rende conto d'un tratto. Fu come una rivelazione. Egli pure gettò per terra il fucile e fuggi. Sul suo viso non c'era alcuna vergogna. E correva come una lepre.

Anche altri cominciarono a battersela attraverso il fumo. Il giovane girò la testa: quel movimento lo scosse dal suo stato ipnotico: il reggimento lo stava lasciando indietro! Vide alcune forme in fuga. Allora gridò di paura e si volse di scatto. Per un momento, nel gran clamore, fu come il pulcino del proverbio. Perdette la direzione in cui cercare salvezza. La distruzione lo minacciava da ogni parte.

Ora si precipitò a grandi balzi verso le linee retrostanti. Berretto e fucile erano andati. La giubba sbottonata si gonfiava al vento. La chiusura della giberna danzava follemente, e la borraccia, appesa alla sua sottile corda, gli dondolava dietro. Sul suo volto era dipinto tutto l'orrore delle cose che stava immaginando.

Il tenente balzò avanti sbraitando. Il giovane ne vide la faccia rossa per l'ira, vide che mulinava la sciabola. L'unico pensiero ispiratogli da quell'incidente fu che il tenente era una creatura ben strana per interessarsi a simili cose in quella circostanza.

Corse come un cieco. Cadde due o tre volte. Una volta urtò una spalla contro un albero così pesantemente da finire lungo disteso.

Dacché aveva voltato le spalle alla battaglia, le sue paure si erano enormemente ingrandite. La morte che sta per colpire fra le scapole era assai più terribile della morte che sta per colpire fra gli occhi. Quando in seguito ci ripensò, concepì l'impressione che il terrore è meglio averlo sotto gli occhi che non udirlo soltanto. I rumori della battaglia erano come pietre e lui credette di poterne essere schiacciato.

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Correndo si mescolò ad altri. Vide confusamente uomini sulla sua destra e sulla sua sinistra, udì passi dietro di sé. Pensò che tutto il reggimento fosse in fuga, inseguito da quegli scoppi sinistri.

Mentre fuggiva, il rumore dei passi che lo seguivano gli diede l'unico, magro conforto. Aveva la vaga sensazione che la morte doveva fare una prima scelta fra gli uomini che aveva più vicini, e allora i primi bocconi per i draghi sarebbero stati quelli che venivano dietro a lui. Cosi, spiegò l'ardore di un folle velocista allo scopo di lasciarseli dietro. Fu una gara.

Mentre guidava la corsa attraverso un campicello, si trovò in una zona di granate. Roteavano sopra la sua testa con lunghe urla selvagge. Ascoltando, immaginò che avessero fila di denti crudeli che gli sogghignavano. Una gli cadde davanti e il lampo bluastro dell'esplosione gli sbarrò praticamente la via nella direzione che aveva scelto. Strisciò al suolo; poi, balzato in piedi, traversò di gran corsa alcuni cespugli.

Provò un brivido di stupore giungendo in vista di una batteria in azione. Là gli uomini parevano essere d'umore normale, del tutto ignari dell'incombente sterminio. La batteria disputava con un'antagonista lontana, e gli artiglieri erano tutti presi da ammirazione per i loro tiri. Si curvavano continuamente sui cannoni in pose affettuose. Pareva che li accarezzassero sul sedere e li incoraggiassero con parole. I cannoni, imperturbabili e impavidi, parlavano con tenace valore.

I precisi artiglieri mostravano un composto entusiasmo. Ad ogni occasione alzavano gli occhi verso la collinetta inghirlandata di fumo donde li apostrofava la batteria nemica. Correndo il giovane li compatì. Metodici idioti! Pazzi automi! La gioia squisita di piantar granate in mezzo alla formazione dell'altra batteria non sarebbe apparsa gran cosa, quando la fanteria fosse piombata fuori dai boschi.

Il viso giovanile di un cavaliere, che strattonava il suo frenetico cavallo con l'impeto collerico cui avrebbe potuto abbandonarsi in un pacifico cortile, si impresse a fondo nell'animo del giovane. Capì di guardare un uomo che fra poco sarebbe morto. Provò anche pietà per i cannoni, per quei buoni compagni ritti fianco a fianco in balda fila.

Vide una brigata che muoveva in aiuto dei reparti messi a dura prova. Si arrampicò su un monticello e la osservò mentre avanzava bellamente, mantenendo la formazione in punti difficili. Il blu della linea era incrostato di color acciaio, le bandiere svettavano vistose. Gli ufficiali gridavano ordini.

Anche quello spettacolo lo empì di meraviglia. La brigata accorreva alacre per essere ingoiata dalle bocche infernali del dio della guerra. Ma che specie di uomini erano mai? Dovevano essere di una razza prodigiosa! Oppure non capivano, gli stolti.

Un comando concitato provocò scompiglio nell'artiglieria. Un ufficiale su un cavallo saltellante fece gesti frenetici con le braccia. Dalle retrovie arrivarono oscillando i traini, i cannoni furono virati e la batteria se la squagliò. I cannoni, con le volate puntate di sghembo al suolo, borbottavano e brontolavano come uomini risoluti, coraggiosi, ma contrari alla fretta.

Il giovane proseguì, rallentando il passo dopo che ebbe lasciato la zona dei rumori.Più tardi arrivò in vista di un generale di divisione, in sella a un cavallo che drizzava le orecchie come se si

interessasse alla battaglia. Sella e finimenti davano un gran luccichio di cuoio giallo verniciato. Su un destriero così fulgente il tranquillo uomo in sella appariva color topo.

Uno stato maggiore tintinnante di speroni galoppava avanti e indietro. Talvolta il generale era circondato da uomini a cavallo, talaltra era completamente solo. Appariva molto angustiato. Aveva l'aria di un uomo d'affari le cui azioni oscillano su e giù.

Il giovane girò di soppiatto intorno a quel punto. Gli andò più vicino che osò, cercando di afferrare qualche parola. Forse il generale, incapace di capire il caos, si sarebbe rivolto a lui per informazioni. E lui avrebbe potuto dargliele. Sapeva tutto al riguardo. Senza dubbio le forze si trovavano nei guai, e anche uno sciocco poteva vedere che, se non si ritiravano mentre ne avevano la possibilità... allora...

Sentì che gli sarebbe piaciuto suonarle a quel generale, o almeno avvicinarsi e dirgli in parole schiette che cosa pensava di lui. Era da criminale starsene tranquillo in un punto e non fare alcuno sforzo per fermare la distruzione. Indugiò, nella febbrile impazienza che il comandante di divisione si rivolgesse a lui.

Mentre si aggirava cautamente, udì il generale chiamare con voce irritata: «Tompkins, vada a vedere Taylor e gli dica, porca miseria, di non avere tanta fretta; gli dica di far fermare la sua brigata al margine dei boschi; gli dica di distaccare un reggimento... dica che io penso che il centro cederà se non lo aiutiamo un po'; gli dica di sbrigarsi.»

Ricevette quei rapidi ordini dalla bocca del superiore un esile giovane su un bel cavallo sauro. Nella furia di assolvere la missione fece partire il cavallo al galoppo. Si levò una nube di polvere.

Un momento dopo il giovane vide il generale dimenarsi eccitato sulla sella.«Si, Dio onnipotente, ce l'hanno fatta!» L'ufficiale si curvò in avanti col volto acceso per l'eccitazione. «Si, ci

sono riusciti! L'hanno fermato!»Si mise a gridare allegramente al suo stato maggiore: «Ora gliele daremo. Ora gliele daremo. Sicuro, li

abbiamo bloccati.» A un tratto si rivolse a un aiutante: «Lei... Jones... presto... raggiunga Tompkins vada da Taylor gli dica di entrare in azione... immediatamente... come un fulmine... in qualunque modo.»

Dopo che un altro ufficiale spronò il cavallo dietro al primo messaggero, il generale raggiò sulla terra come un sole. Nei suoi occhi v'era il desiderio di intonare un peana.

Continuava a ripetere: «Li hanno fermati, Dio buono! Li hanno fermati!»

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La sua eccitazione fece fare uno scarto al cavallo, ed egli gaiamente gli assestò dei calci imprecandogli contro: in sella, si concedeva un piccolo festino di gioia.

VII

Il giovane si fece piccolo, come se scoperto a commettere un delitto. Perdiana, avevano vinto dopo tutto! Quella linea di stolti aveva tenuto duro e ora erano i vincitori. Gli giungevano i loro evviva.

Si alzò sulla punta dei piedi e guardò in direzione della battaglia. Una nebbia gialla si voltolava ancora sulla cima degli alberi. Da sotto arrivava il frastuono della fucileria. Rauche grida facevano supporre un'avanzata.

Si volse confuso e adirato. Senti di avere ricevuto un torto.Era fuggito, si disse, perché si avvicinava l'annientamento. Aveva fatto bene a salvare se stesso, che era una

particella dell'esercito. Aveva ritenuto, si disse, che quello fosse un momento in cui ogni particella aveva il dovere di salvarsi, se possibile. Più tardi gli ufficiali avrebbero potuto rimettere insieme quelle particelle, e apprestare un fronte di battaglia. Se nessuna di esse fosse stata così saggia da salvarsi dalla raffica della morte, dove sarebbe stato ora l'esercito? Era più che evidente che egli si era comportato secondo regole molto corrette e lodevoli. I suoi atti erano stati sagaci, pieni di strategia. Erano l'opera di gambe di un maestro. Gli vennero alla mente i compagni. La fragile linea blu aveva retto ai colpi e vinto. Se ne amareggiò. Gli parve che la cieca ignoranza e la stupidità di quelle particelle lo avessero tradito. Era stato sconfitto e schiacciato dalla loro mancanza di buon senso nel tenere la posizione, mentre un'intelligente riflessione li avrebbe convinti che ciò era impossibile. Lui, l'uomo illuminato che guarda lontano nelle tenebre, era fuggito grazie alle sue percezioni e cognizioni superiori. Provò una grande ira contro i compagni. Era certo che si poteva dimostrare che erano stati degli sciocchi. Si domandò quali commenti avrebbero fatto quando più tardi fosse comparso nell'accampamento. Con la mente udì urla di scherno. La loro ottusità non avrebbe permesso loro di capire il suo superiore punto di vista.

Cominciò a provare una gran pietà per se stesso. Era maltrattato. Lo calpestava sotto i piedi una ferrea ingiustizia. Aveva agito con saggezza e secondo i più onesti motivi sotto l'azzurro del cielo, soltanto per essere deluso da odiose circostanze. Crebbe in lui una ribellione sorda, quasi animalesca, contro i compagni, la guerra in astratto, il fato. Continuò a trascinarsi con passi lenti, a testa bassa, il cervello in un tumulto di angoscia e disperazione. Quando alzava al cielo uno sguardo torvo, tremando a ogni suono, i suoi occhi avevano la stessa espressione di quelli di un criminale che giudica grandi colpa e castigo, e sa di non poter trovare parole.

Dai campi passò in un folto bosco, quasi avesse deciso di seppellirsi. Voleva non sentir più gli spari crepitanti che gli parevano voci.

Il terreno era ingombro di viticci e cespugli, gli alberi crescevano fitti e si allargavano come mazzi di fiori. Fu costretto ad aprirsi una strada facendo molto rumore. I rampicanti, impigliandosi nelle sue gambe, levavano aspre grida quando le loro frasche erano strappate dalla corteccia degli alberi. Gli arbusti fruscianti cercavano di render nota al mondo la sua presenza. Non riusciva a cattivarsi la foresta. Facendosi strada, suscitava continue proteste. Quando separava abbracci di viticci e alberi, il fogliame molestato agitava le braccia e gli presentava il verso delle foglie. Temette che quei movimenti rumorosi, quelle grida, portassero uomini a guardarlo. Cosi si allontanava, cercando luoghi bui e intricati.

Dopo qualche tempo il rumore della fucileria si attenuò, e il cannone tuonò in lontananza. Il sole, comparso ad un tratto, fiammeggiò fra gli alberi. Gli insetti producevano rumori ritmici. Sembravano arrotare i denti all'unisono. Un picchio sporse la testina petulante dal fianco di un albero. Un uccello si levò a volo su ali spensierate.

Via dal rombo di morte. Ora pareva che la Natura non avesse orecchie.Quel paesaggio gli dava sicurezza. Era un bel campo pieno di vita. Era la religione della pace, e sarebbe morta

se i suoi timidi occhi fossero stati costretti a vedere il sangue. Egli concepiva la Natura come una donna con una profonda avversione per la tragedia.

Tirò una pigna a un gioviale scoiattolo, e quello corse via con garrula paura. Si fermò in alto, sulla cima d'un albero e, sporgendo cautamente la testa da dietro un ramo, guardò giù con aria trepidante.

Il giovane provò un senso di trionfo a quella dimostrazione. La legge c'era, si disse. La Natura gli aveva dato un segno.

Lo scoiattolo, riconoscendo immediatamente il pericolo, se l'era data a gambe senza tanto chiasso. Non era rimasto a offrire stolidamente il pancino peloso al proiettile, per morire con uno sguardo levato a cieli comprensivi. Per contro era scappato con tutta la velocità che gli permettevano le zampe; e per di più era uno scoiattolo qualsiasi, di certo non un filosofo della sua razza. Il giovane prosegui nel cammino, sentendo che la Natura la pensava come lui. Essa consolidava la sua argomentazione con prove che vivevano dovunque splendeva il sole.

A un certo momento si trovò quasi dentro un acquitrino. Dovette camminare sopra ciuffi di erba palustre, stando attento a non immergere i piedi nella viscida melma. Una volta, sostando per guardarsi attorno sul margine di una pozza nera, vide una bestiola piombarci dentro e risalire subito con un pesce luccicante.

Il giovane rientrò in macchie profonde. I rami scostati facevano un rumore che soffocava il rombo dei cannoni. Continuò a camminare, passando dall'oscurità a promesse di un'oscurità più grande.

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Alla fine raggiunse un luogo dove i rami alti e arcuati formavano una cappella. Scostò leggermente i verdi battenti ed entrò. Gli aghi di pino formavano un morbido tappeto bruno.

C'era una penombra religiosa.Vicino alla soglia si fermò, inorridito alla vista di una cosa.Seduto, con la schiena contro un albero simile a una colonna, un morto lo stava guardando. Il cadavere portava

un'uniforme che già era stata blu, ma ora si era scolorita in una melanconica sfumatura di verde. Gli occhi che fissavano il giovane avevano assunto quella tinta opaca che si vede sul fianco di un pesce morto. La bocca era aperta, e il suo rosso s'era cambiato in un giallo orribile. Sulla grigia pelle del viso correvano minute formiche. Una sospingeva una specie di involto lungo il labbro superiore.

Nel trovarsi di fronte a quella cosa, il giovane diede un grido. Per qualche momento impietrì e rimase a fissare quegli occhi che parevano liquidi. Il morto e il vivo si scambiarono un lungo sguardo. Poi, cautamente, il giovane si mise una mano dietro e la posò contro un albero. Appoggiandosi a questo arretrò passo passo, con il viso sempre rivolto alla cosa. Temeva che, se girava le spalle, quel corpo potesse balzare in piedi e inseguirlo furtivo.

Premendo contro di lui, i rami parevano volerlo gettare sul cadavere; anche i piedi, privi di guida, s'impigliavano in modo esasperante nei rovi: e nonostante tutto egli provava un vago impulso a toccare il morto. Ma, pensando alla propria mano posata su di esso, rabbrividì profondamente.

Alla fine spezzò i ceppi che l'inchiodavano in quel posto e fuggi, senza badare ai rovi. Lo insegui la visione delle formiche nere che sciamavano avide sul grigio volto e orribilmente si avventuravano verso gli occhi.

Dopo qualche tempo si fermò, senza fiato e ansante, in ascolto. Immaginò che dalla gola del morto uscisse una voce strana e gli gridasse dietro, rauca, terribili minacce.

Gli alberi intorno ai portali della cappella si muovevano sussurrando a un lieve vento. Un mesto silenzio posava sul piccolo edificio protettore.

VIII

Sommessamente gli alberi presero a cantare un inno del crepuscolo. Il sole declinò finché obliqui raggi bronzei colpirono la foresta. Ci fu una tregua nei rumori degli insetti come se questi avessero chinato la testa e facessero una pausa devota. Era silenzio, a parte il coro salmodiante degli alberi.

Poi, nella quiete, irruppe improvvisamente un tremendo fragore di suoni diversi. Da lontano giunse un ruggito rosso.

Il giovane si fermò, paralizzato da quella terrificante mescolanza di tutti i rumori. Era come se si stessero squarciando mondi. C'era il crepitio della fucileria e lo schianto dirompente dell'artiglieria.

La sua mente volò in ogni direzione. Immaginò i due eserciti alle prese come pantere. Ascoltò per un momento. Poi si mise a correre in direzione della battaglia. Vide l'ironia del correre a quel modo verso ciò che si era dato tanta pena di evitare. Ma in fondo, si disse, se la terra e la luna stessero per scontrarsi, molte persone diviserebbero senza dubbio di salire sui tetti per assistere alla collisione.

Correndo, si accorse che la foresta aveva sospeso la sua musica, come se finalmente fosse divenuta capace di udire i rumori estranei. Gli alberi tacevano e ristavano immobili. Ogni cosa pareva ascoltare lo scoppiettio, il fragore, il tuono che rintronava le orecchie. Il coro rimbombava sopra la quieta terra.

Al giovane venne ad un tratto in mente che la battaglia alla quale aveva partecipato, altro non era stata, dopo tutto, che una svogliata sparatoria. Udendo ora quel frastuono dubitò di aver mai visto vere scene di battaglia. Quel tumulto indicava una battaglia celeste; erano orde sfrenate che lottavano nell'aria.

Riflettendo, si rese conto di un certo umorismo nel punto di vista suo e dei suoi compagni durante il recente scontro. Essi avevano preso molto sul serio se stessi e il nemico, s'erano immaginati che stavano decidendo la guerra. I singoli uomini avevano sicuramente ritenuto di star incidendo le lettere dei loro nomi in sempiterne tavole d'ottone, di star chiudendo per sempre la loro fama nei cuori dei compatrioti come in un santuario, mentre, stando ai fatti, l'episodio sarebbe apparso nei resoconti a stampa sotto un titolo modesto e di poco risalto. Ma capi che era bene così: altrimenti, si disse, in battaglia tutti sarebbero certamente scappati, salvo quelli impegnati in missioni speciali e i loro simili.

Continuò a camminare svelto. Voleva pervenire al margine della foresta e spaziare così con lo sguardo.Mentre si affrettava, gli passarono per la mente immagini di stupendi conflitti. I pensieri accumulati su tali

argomenti gli servirono.per comporre scene. Il rumore era come la voce di un eloquente commentatore.A volte i rovi formavano catene e cercavano di trattenerlo. Gli alberi, fronteggiandolo, allungavano le braccia e

gli impedivano di passare. Dopo la precedente ostilità, quella nuova resistenza della foresta lo riempi di un bel risentimento. Pareva che la Natura non fosse ancora pronta a ucciderlo.

Ma prendendo ostinatamente per vie traverse, si ritrovò a vedere lunghe muraglie grigie di vapori là dove si stendevano le linee di battaglia. Lo scossero le voci dei cannoni. La fucileria echeggiava a lunghe ondate irregolari che gli straziavano le orecchie. Si fermò per un attimo a guardare. I suoi occhi assunsero un'espressione atterrita mentre fissava attonito in direzione del combattimento.

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Poi riprese a camminare procedendo in linea retta. La battaglia era per lui come il macinare di un'immensa e terribile macchina. La sua complessità, la sua potenza, i suoi feroci procedimenti lo incantavano.

Doveva avvicinarsi per vederla produrre cadaveri.Arrivò a una staccionata e la scavalcò. Dall'altra parte, il terreno era disseminato di divise e di fucili. Un

giornale giaceva ripiegato nel fango. Un soldato morto era disteso con la faccia nascosta nella curva del braccio. Più in là vi era un gruppo di quattro o cinque cadaveri che si tenevano funerea compagnia. Il sole ardente aveva dardeggiato su quel luogo.

Là il giovane si senti un intruso. Quella parte dimenticata del campo di battaglia apparteneva ai morti, ed egli si allontanò in fretta con il vago timore che una di quelle figure tumefatte si alzasse per dirgli di andarsene.

Finalmente giunse su una strada dalla quale poté scorgere in lontananza scure masse di truppa in movimento, in un alone di fumo. Sulla strada una moltitudine sporca di sangue defluiva verso le retrovie. I feriti imprecavano, gemevano, si lamentavano. Nell'aria, sempre un poderoso crescendo di rumori che parevano in grado di squassare la terra. Alle coraggiose parole dell'artiglieria e alle frasi astiose della fucileria si mescolavano rossi evviva. E da quella regione di rumori proveniva la continua fiumana degli storpiati.

Uno dei feriti aveva una scarpa piena di sangue. Saltellava come uno scolaretto che gioca e rideva in modo isterico.

Un altro giurava di essere stato colpito al braccio per colpa del cattivo impiego delle truppe da parte del generale comandante. Un altro ancora marciava imitando l'aria ineffabile di un tambur-maggiore. Nei suoi lineamenti v'era un'empia mescolanza di allegria e di angoscia. Marciando, cantava un pezzo di filastrocca con voce alta e tremula:

«Canta un canto di vittoria,una tascata di pallottole,venticinque sono i morticotti al forno in una... torta.»

Una parte della processione zoppicava e barcollava a tempo.Un altro aveva già sul volto il grigio sigillo della morte.Le labbra erano piegate in linee dure, i denti serrati. Le mani erano insanguinate là dove le aveva premute sulla

ferita. Pareva attendere il momento di ruzzolare a capofitto. Camminava rigido, simile allo spettro di un soldato, con gli occhi ardenti di uno che ha il potere di fissare l'ignoto.

Alcuni procedevano accigliati, pieni di rancore per le ferite, pronti a sfogarsi su qualsiasi cosa che giudicassero oscura causa di esse.

Un ufficiale veniva trasportato da due soldati. Era stizzoso. «Non scuotermi così, Johnson; sei un cretino,» gridava. «Credi che la mia gamba sia di ferro? Se non sai portarmi come si deve, mettimi giù e lascialo fare a un altro.»

Muggì contro la moltitudine barcollante che bloccava il rapido cammino dei suoi portatori. «Ohè, fate largo, no! Fate largo, che tutti i diavoli vi portino!»

Di malumore i feriti si divisero, disponendosi sui due lati della strada. Mentre passava, gli rivolsero commenti insolenti. Quando l'ufficiale replicò adirato minacciandoli, gli dissero di andare all'inferno.

Uno dei portatori, avanzando a fatica, urtò pesantemente con la spalla il soldato spettrale che fissava l'ignoto.Il giovane si unì alla turba e camminò con essa. I corpi straziati davano un'idea del terribile meccanismo nel

quale gli uomini erano rimasti impigliati.Attendenti e portaordini irrompevano di quando in quando nella calca che occupava la sede stradale,

disperdevano i feriti a destra e a sinistra e galoppavano via, inseguiti da urla. La malinconica marcia era continuamente disturbata da messaggeri e talvolta da frenetiche batterie che arrivavano addosso rollando fragorose, con gli ufficiali che gridavano ordini per sgombrare la strada.

C'era un soldato con la divisa a brandelli, sporco dalla testa ai piedi di terra, sangue e polvere da sparo, che arrancava quieto a fianco del giovane. Ascoltava avidamente e con molta umiltà le impressionanti descrizioni di un barbuto sergente. I suoi lineamenti smunti esprimevano riverenza e ammirazione. Era come uno che in uno spaccio di campagna ascolta storie mirabolanti narrate fra i barili di zucchero. Guardava il narratore con indicibile meraviglia.

Ascoltava a bocca aperta, come un bifolco.Il sergente se ne accorse e, facendo una pausa nell'elaborato racconto, elargì un commento sardonico: «Sta'

attento, cocco mio, che non ti ci entrino le mosche.»Il soldato con la divisa a brandelli si ritrasse confuso. Dopo un po' prese ad avvicinarsi timidamente al giovane,

e in modo diverso tentò di farselo amico. La sua voce era gentile come quella di una fanciulla, e i suoi occhi imploranti. Il giovane vide con sorpresa che il soldato aveva due ferite, una alla testa, fasciata con un cencio zuppo di sangue, l'altra a un braccio, e questa faceva dondolare l'arto come un ramo spezzato.

Dopo che ebbero camminato insieme per un po', il soldato con la divisa a brandelli radunò coraggio sufficiente per parlare. «É stata una discreta battaglia, no?», disse timidamente. Il giovane, immerso nei suoi pensieri, alzò lo sguardo a quel volto insanguinato e tetro con gli occhi da agnello.

«Che?»«É stata una discreta battaglia, no?»

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«Si,» rispose asciutto il giovane e affrettò il passo.Ma l'altro s'ingegnò a tenergli dietro zoppicando. Nei suoi modi vi era come un'aria di scusa, ma evidentemente

pensava che gli sarebbe bastato parlare un po', e il giovane si sarebbe accorto che era un tipo a posto.«É stata una discreta battaglia, no?», cominciò a voce bassa, e poi trovò la forza d'animo per proseguire: «Mi

prendesse un colpo se ho mai veduto della gente combattere così. Dio, come combattevano! Lo sapevo che ai ragazzi gli sarebbe piaciuto, una volta che ci si fossero messi di buzzo buono. Non avevano avuto delle occasioni buone finora, ma stavolta hanno fatto vedere quel che valgono. Lo sapevo che le cose sarebbero andate così. A questi ragazzi non gliele suona nessuno. Nossignore! Sono dei combattenti, eccome!»

Trasse un profondo respiro di umile ammirazione. Aveva guardato varie volte il giovane cercando incoraggiamento. Non ne ricevette, ma a poco a poco parve essere assorbito dal suo argomento:

«Ho parlato con una sentinella nemica una volta, e quel ragazzo della Georgia mi dice: ‹I tuoi compagni scapperanno tutti come il vento al primo colpo di cannone›, dice. E io gli dico: ‹ Può darsi, ma non ci credo›; e ‹perdiana! ›, gli ribatto, ‹i tuoi compagni sì, può darsi che scappino tutti come il vento al primo colpo di cannone›, gli dico, e lui rideva. Be', oggi non sono scappati, no?... Nossignore! Si sono battuti, e battuti e battuti.»

Il suo viso insignificante era soffuso da una luce d'amore per l'esercito, che rappresentava per lui tutte le cose belle e possenti.

Dopo un po' si rivolse al giovane. «Te, dove t'hanno colpito, amico?» chiese con tono fraterno.A quella domanda il giovane provò un panico istantaneo, anche se sulle prime non si rese conto di tutto ciò che

essa implicava.«Che?» chiese a sua volta.«Dove ti hanno colpito?» ripeté il soldato con la divisa a brandelli.«Ma,» cominciò il giovane, «io... io... cioè... ma... io... »Si volse di scatto e sgattaiolò in mezzo alla calca. Il sangue gli era salito alla fronte, le dita giocavano

nervosamente con un bottone. Piegò la testa e fissò attentamente gli occhi sul bottone come se fosse un piccolo problema.

Il soldato con la divisa a brandelli lo segui con sguardo attonito.

IX

Il giovane si attardò nel corteo finché non perdette di vista il soldato con la divisa a brandelli. Allora si mise a camminare insieme agli altri.

Ma era in mezzo alle ferite. La gran massa degli uomini sanguinava. In seguito alla domanda del soldato con la divisa a brandelli, ora sentiva che non era impossibile scorgere la sua vergogna. Gettava continue occhiate oblique, se mai i compagni di marcia contemplassero le lettere di colpa che sentiva bruciargli la fronte.

A volte guardava con invidia i soldati feriti. Immaginava particolarmente felici le persone coi corpi martoriati. Avrebbe voluto avere egli pure una ferita, un rosso distintivo del coraggio.

Il soldato spettrale era al suo fianco come un furtivo rimprovero. Gli occhi dell'uomo fissavano ancora l'ignoto. Il suo volto grigio, da far spavento, aveva suscitato attenzione nella folla dei soldati, e alcuni, rallentando sul suo lugubre passo il loro, gli si accompagnarono. Discutevano il suo stato pietoso, lo interrogavano, gli davano consigli. Egli li respingeva caparbiamente, facendo segno che proseguissero e lo lasciassero in pace. Nel viso le ombre si approfondivano, le labbra serrate parevano trattenere il gemito di una grande disperazione. Si poteva notare una certa rigidità nei movimenti del corpo, come se egli si prendesse infinita cura di non svegliare il patimento delle ferite. Mentre procedeva, pareva che stesse cercando un luogo, come uno che va a scegliersi una tomba.

Qualcosa nel gesto con cui l'uomo allontanava i soldati insanguinati e compassionevoli fece trasalire il giovane come se fosse stato morso. Gettò un grido di orrore. Facendosi avanti con passo incerto, pose una mano tremante sul braccio dell'uomo. Questi volse lentamente verso di lui il viso cereo, e allora il giovane gridò: «Dio mio! Jim Conklin!»

Il soldato alto fece un sorrisetto di convenienza e disse: «Salve, Henry.»Il giovane vacillò sulle gambe e, smarrito, lo guardò in modo strano. Balbettò, tartagliò: «Oh, Jim.. oh, Jim..

oh, Jim... »Il soldato alto porse una mano sulla quale c'era una curiosa combinazione rosso-nera di sangue fresco e sangue

secco. «Dove sei stato, Henry?», domandò; e continuò con voce monotona: «Ho pensato che forse ti avevano ammazzato, cannonate oggi ce ne sono state in abbondanza. Ho pensato parecchio a cosa t'era successo.»

Il giovane rinnovò il lamento: «Oh, Jim.. oh, Jim... oh, Jim...»«Sai,» disse il soldato alto, «io ero laggiù!» e fece un cauto gesto «Dio, che sarabanda! E, perbacco, mi hanno

colpito... mi hanno colpito. Si, perbacco, mi hanno colpito.» Ripeteva con aria sbalordita la constatazione di quel fatto, come se non sapesse come s'era verificato.

Il giovane tese ansiosamente le braccia per aiutarlo, ma il soldato alto continuò a procedere risoluto, come se qualcosa lo spingesse. Dopo che il giovane era venuto a prendere in custodia il suo amico, gli altri feriti avevano smesso di mostrare molto interesse e tornarono a preoccuparsi di trascinare le loro personali tragedie verso le retrovie.

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Ad un tratto, mentre i due amici camminavano a fianco, il soldato alto parve sopraffatto dal terrore. La sua faccia prese un aspetto come di pasta grigia. Agguantò il braccio del giovane e si guardò intorno, come se temesse di essere udito. Poi cominciò a parlare in un bisbiglio tremulo:

«Ti dico di cosa ho paura, Henry... te lo dico. Ho paura che se cado... capisci... quei maledetti carri dell'artiglieria... mi passino sopra. Ecco di che ho paura...»

Il giovane gli gridò istericamente: «Io avrò cura di te, Jim! Io avrò cura di te! Lo giuro su Dio!»«Davvero lo farai, Henry?» implorò il soldato alto.«Si... si... ti assicuro... avrò cura di te, Jim,» protestò il giovane. Non riusciva a parlare chiaramente per il nodo

che aveva in gola.Ma il soldato alto continuò a pregare in tono umile, appeso come un bambino al braccio del giovane. Gli occhi

roteavano in un selvaggio terrore. «Sono sempre stato un buon amico per te, no, Henry? Non sono mai stato una carogna, no? E non mi pare di chiedere molto, che dici? Solo che tu mi tiri giù dalla strada... Io per te lo farei, no, Henry?»

Fece una pausa, in un'ansia penosa, aspettando la risposta dell'amico.Il giovane aveva raggiunto uno stato d'angoscia in cui i singhiozzi gli inaridivano la gola. Si sforzò di

esprimere la sua fedeltà, e riusci soltanto a fare gesti incomprensibili.Tuttavia il soldato alto parve improvvisamente dimenticare tutte le sue paure. Tornò ad essere il cupo, furtivo

spettro di un soldato. Andava avanti rigido come un sasso. Il giovane voleva che l'amico si appoggiasse a lui, ma l'altro scuoteva sempre la testa, protestando stranamente: «No... no... no... lasciami perdere... lasciami perdere... »

Con lo sguardo fissava di nuovo l'ignoto. Si muoveva con un proposito misterioso, e respingeva ogni offerta del giovane: «No... no... lasciami perdere... lasciami perdere... »

Al giovane non rimase che seguirlo.Dopo un po' udì alle spalle una voce che parlava sommessamente. Si voltò e vide che apparteneva al soldato

con la divisa a brandelli. «Faresti meglio a portarlo fuori dalla strada, amico. C'è una batteria che sta arrivando a rottadicollo, e lo tirerebbe sotto. Tanto, fra cinque minuti sarà bell'e andato... lo vedi anche tu. Faresti meglio a toglierlo dalla strada. Da dove diavolo prenderà tutta quella forza?»

«Dio solo lo sa!» gridò il giovane, torcendosi le mani nell'impotenza. Corse subito avanti e afferrò il soldato alto per un braccio. «Jim! Jim!» lo blandì, «vieni con me.»

Il soldato alto cercò debolmente di divincolarsi. «Uh!?» disse con aria assente. Fissò il giovane per un momento. Alla fine parlò come se comprendesse vagamente. «Oh! Nei campi?»

E parti alla cieca attraverso l'erba.Il giovane si girò a guardare gli artiglieri che frustavano i cavalli e i cannoni sobbalzanti della batteria. Lo

riscosse da quello spettacolo uno strillo del soldato con la divisa a brandelli:«Dio mio! S'è messo a correre!»Il giovane voltò subito la testa e vide il suo amico correre, barcollando e incespicando, verso un gruppo di

cespugli. A quella vista gli sembrò che il cuore volesse quasi strapparglisi dal corpo. Dette un gemito di pena e insieme al soldato con la divisa a brandelli si buttò all'inseguimento. Fu una gara singolare.

Quando raggiunse il soldato alto, cominciò a perorare con tutte le parole che seppe trovare: «Jim... Jim... che fai... perché fai così?... ti farai male.»

Il viso del soldato alto esprimeva sempre lo stesso proposito. Protestò in tono smorzato, tenendo gli occhi fissi sul misterioso luogo delle sue intenzioni:

«No... no... non toccarmi... lasciami perdere... lasciami perdere... »Il giovane, sgomento e pieno di stupore, cominciò a interrogarlo con voce tremante. «Dove stai andando, Jim?

A che cosa pensi? Dove vai? Perché non vuoi dirmelo, Jim?»Il soldato alto si voltò come di fronte a implacabili inseguitori. Nei suoi occhi vi era una grande supplica «Non

potete lasciarmi perdere? Lasciatemi stare un minuto!»Il giovane arretrò. «Ma, Jim,» domandò sbalordito, «che ti prende?»Il soldato alto si voltò e riprese a camminare, barcollando pericolosamente. Il giovane e il soldato con la divisa

a brandelli lo seguirono, mogi e furtivi come cani bastonati, sentendosi incapaci di guardare in viso il ferito, se questi li avesse affrontati di nuovo. Cominciarono a pensare che si trattasse di una cerimonia solenne. C'era qualcosa di rituale nei movimenti di quel soldato condannato a morire. Qualcosa in lui lo faceva somigliare al seguace di una folle religione che succhia il sangue, strappa i muscoli, stritola le ossa. Erano intimiditi e spaventati. Rimasero indietro, caso mai disponesse di un'arma terribile.

Alla fine lo videro fermarsi e restare immobile. Si precipitarono versò di lui: l'espressione che notarono sul suo volto diceva che egli aveva finalmente trovato il luogo per il quale aveva lottato. La sua figura sparuta era ritta; le mani insanguinate riposavano lungo i fianchi. Aspettava paziente qualcosa che era venuto a incontrare. Era all'appuntamento. I due si fermarono, in attesa.

Ci fu un silenzio.Poi il petto del soldato cominciò a sollevarsi con un movimento spasmodico che aumentò di violenza, finché fu

come se dentro ci fosse una bestia che tirava furiosamente calci e si agitava per liberarsi.

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Quello spettacolo di soffocamento progressivo fece fremere il giovane e allorché il suo amico roteò gli occhi, in essi vide qualcosa che lo fece accasciare al suolo gemendo. Alzò la voce in un ultimo supremo appello:

«Jim... Jim... Jim... »Il soldato alto schiuse le labbra e parlò. Fece un gesto:«Lasciami stare... non toccarmi... lasciami stare... »Nell'attesa ci fu un altro silenzio.Ad un tratto la sua figura si irrigidì e si raddrizzò. Poi fu scossa da un tremito prolungato. Il soldato fissò il

vuoto. Per i due spettatori c'era una strana e profonda dignità nelle linee nette di quel volto terribile.Fu invaso da un formicolante senso di stranezza che lo avviluppò lentamente.Per un momento il tremito delle gambe gli fece ballare una specie di orribile giga. Le braccia si agitarono

convulsamente intorno alla testa esprimendo una frenesia da folletto.L'alta figura si erse in tutta la sua altezza, ci fu un lieve suono lacerante, poi cominciò a dondolare in avanti,

lenta e diritta, a guisa di albero che cade. La rapida contorsione di un muscolo fece si che la spalla sinistra battesse per prima il suolo.

Il corpo parve rimbalzare appena dalla terra. «Dio!» disse il soldato con la divisa a brandelli.Il giovane aveva assistito, incantato, a quella cerimonia sul luogo dell'appuntamento. Il suo viso aveva

spasmodicamente espresso ogni immaginata sofferenza dell'amico.Ora balzò in piedi e, avvicinandosi, fissò quel volto che sembrava fatto di pasta. La bocca era aperta e i denti si

mostravano in una risata.Quando un lembo della giubba blu si scostò dal corpo, il giovane scopri che il fianco pareva sbranato dai lupi.Con un improvviso impeto d'ira si voltò verso il campo di battaglia e agitò il pugno. Parve sul punto di

pronunciare una filippica:«All'inferno... »Il sole rosso era incollato al cielo come un'ostia.

X

Il soldato con la divisa a brandelli rimase meditabondo.«Be', quanto a coraggio, era un tipo in gamba,» disse alla fine con voce un po' turbata. «Proprio un tipo in

gamba.» Pensosamente smosse col piede una delle docili mani. «Mi chiedo da dove prendeva tutta quella forza. Non ho mai visto nessuno far così. É stata una cosa strana. Ma era un tipo in gamba davvero.»

Il giovane aveva voglia di gridare il suo dolore. Si sentiva pugnalato, ma la lingua giaceva morta nella tomba della bocca. Si buttò di nuovo per terra e si mise a rimuginare.

Il soldato con la divisa a brandelli rimase meditabondo.«Sta' a sentire, amico,» disse dopo un po' e, parlando, contemplava il cadavere. «Lui se ne è bell'e andato, e noi

potremmo anche cominciare a pensare alla nostra pelle. Quest'affare é chiuso. Lui se ne è andato, e qui tutto sommato ci sta bene. Nessuno gli darà noia. E devo dire che anch'io non sto gran che bene di questi tempi.»

Riscotendosi al tono della voce, il giovane levò lo sguardo. Vide che l'altro dondolava incerto sulle gambe, e che il suo viso aveva preso una tinta bluastra.

«Dio buono!» gridò, «non sarà che anche tu stai per... »L'uomo con la divisa a brandelli fece un gesto di diniego con la mano. «Macché morire,» disse. «Tutto ciò di

cui ho bisogno è un po' di minestra di piselli e un buon letto. Un po' di minestra di piselli,» ripeté con aria sognante.Il giovane si alzò. «Mi domando da dove veniva. Io lo avevo lasciato laggiù.» E indicò la direzione. «E ora lo

trovo qui. E veniva da là.» Indicò un'altra direzione. Entrambi si voltarono verso il cadavere come per fargli una domanda.

«Via,» disse alla fine il soldato con la divisa a brandelli, «non serve a niente star qui a cercare di saper qualcosa da lui.» Il giovane annui stancamente. Entrambi si girarono a contemplarlo un momento.

Il giovane mormorò qualcosa.«Be', era un tipo in gamba, no?» disse come in risposta il soldato con la divisa a brandelli.Gli voltarono le spalle e si allontanarono. Per un po' camminarono senza far rumore, in punta di piedi. Il

cadavere rimase a ridere, là nell'erba.«Comincio a sentirmi piuttosto male,» disse ad un tratto il soldato con la divisa a brandelli, rompendo uno dei

suoi brevi silenzi. «Accidenti, comincio a sentirmi maluccio.»Il giovane gemette. «Signoriddio!» Si chiese se avrebbe dovuto essere il tormentato testimonio di un altro

macabro appuntamento.Ma il compagno agitò la mano per rassicurarlo. «Non sto ancora per morire! Troppe cose dipendono da me

perché possa morire. Nossignore! Niente morire; non posso! Dovresti vedere la barca di figli che ho, e tutto il resto.»Gettando un'occhiata al compagno, il giovane poté vedere, dall'ombra di un sorriso, che l'altro stava

probabilmente scherzando.

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Mentre procedevano arrancando, il soldato con la divisa a brandelli continuò a chiacchierare. «E poi, se morissi, non morirei come quello là. É stato buffo davvero. Io cadrei giù di peso. Non ho mai visto nessuno morire a quel modo.

«Sai Tom Jamison, quello che a casa abita accanto a me. É un tipo simpatico lui, e siamo stati sempre buoni amici. Ed è anche svelto. Scattante come una trappola d'acciaio. Be', questo pomeriggio mentre si stava combattendo, tutto ad un tratto lui comincia a dar fuori, a insultarmi, a urlare: ‹ Sei ferito, pezzo d'imbecille› (bestemmia in modo orribile) mi dice. Mi allungo una mano alla testa e quando guardo le dita, vedo non c'era da sbagliarsi che sono ferito. Dò uno strillo e mi metto a correre; ma prima che mi allontani me ne arriva un'altra nel braccio e mi fa fare un bel rotolone. Mi sono spaventato quando tutti si sono messi a spararmi dietro, e ho corso a più non posso, ma mi é andata piuttosto male. Ho idea che se non era per Tom Jamison starei ancora combattendo.»

Poi fece un annuncio pacato. «Sono due, sono piccole, ma ora cominciano a darmi noia. Non credo di poter arrivare molto più in là.»

Proseguirono lentamente in silenzio. «Anche tu mi pari piuttosto malconcio,» disse alla fine il soldato con la divisa a brandelli.

«Scommetto che ne hai una peggiore di quanto credi. Faresti bene a curartela. Queste cose non giova trascurarsele. Potrebbe essere dentro, e con quelle non si scherza. Da che parte è?»

Ma senza aspettare la risposta continuò nella sua allocuzione. «Ho visto uno prendersi una pallottola nella testa, una volta che il mio reggimento era schierato sul riposo. Tutti gli gridarono: ‹Ferito, John? Sei ferito grave? › ‹No › fa lui. Pareva quasi sorpreso, e continuò dicendo come si sentiva. Disse che non sentiva niente. Ma, caspita, era morto senza accorgersene. Sicuro, morto stecchito. Devi stare attento, allora. Anche tu potresti avere una ferita di quelle strane. Non si può mai dire. Da che parte è la tua?»

Il giovane, che aveva cominciato a contorcersi sin dall'inizio di quell'argomento, esplose in un grido d'esasperazione e fece con la mano un gesto iracondo. «Non seccarmi!» Era furente contro il soldato della divisa a brandelli, e sarebbe stato capace di strangolarlo. I suoi compagni parevano sempre recitare parti insopportabili. Sull'asta della loro curiosità innalzavano sempre lo spettro della vergogna. Si voltò verso il compagno di strada come chi è allo stremo. «Davvero, non seccarmi,» ripeté in tono di disperata minaccia.

«Dio sa se io voglio seccare qualcuno,» disse l'altro, e nella sua voce c'era un lieve accento di disperazione quando aggiunse: «Dio sa se non mi bastano i fatti miei da badare.».

Il giovane, che aveva tenuto un aspro dibattito con se stesso gettando occhiate di odio e disprezzo al soldato con la divisa a brandelli, a questo punto parlò con voce dura: «Addio,» disse.

L'altro lo guardò sbalordito, a bocca aperta. «Ma perché, amico, dove vai?» chiese con voce incerta. Guardandolo, il giovane si rese conto che anche quello, come già l'altro, cominciava a comportarsi in modo insensato e animalesco. Confusi pensieri parevano agitarglisi in testa.

«Adesso, via, sta' attento, Tom Jamison... adesso... questo non l'accetto... questo no. Dove... dove vai?»Il giovane indicò vagamente una direzione. «Laggiù.»«Via, attento... adesso,» disse il soldato con la divisa a brandelli, continuando a vaneggiare come un idiota. La

testa gli ciondolava in avanti, pronunciava male le parole. «Così non va, Tom Jamison. No, no, non va. Ti conosco, diavolo porco. Vuoi andartene a spasso con una brutta ferita. Ma fai male, Tom Jamison... fai male. Devi lasciare che io mi prenda cura di te, Tom Jamison. Non ti fa bene andartene a spasso... con una brutta ferita... no... no... non ti fa bene.»

Come tutta risposta, il giovane scavalcò uno steccato e si allontanò. Udì il soldato con la divisa a brandelli piagnucolare in modo lamentoso.

A un certo punto si girò adirato: «Che vuoi?»«Sta' attento, Tom Jamison,... via... non ti fa bene... »Il giovane continuò a camminare. Voltandosi a una certa distanza vide l'altro aggirarsi smarrito per il campo.Pensò che avrebbe voluto essere morto. Credette di invidiare coloro i cui corpi giacevano sparsi sull'erba dei

campi e sulle foglie cadute della foresta.Le ingenue domande di quel soldato erano state per lui altrettante coltellate. Attestavano l'esistenza di una

società che indaga spietatamente i segreti finché tutto non viene alla luce. La casuale insistenza del suo ultimo compagno di strada gli faceva sentire che non poteva tener nascosta in petto la sua colpa. Sarebbe stata certamente rivelata da una di quelle frecce che oscurano l'aria e costantemente punzecchiano, scoprono, rivelano le cose che si vorrebbe tenere celate per sempre. Riconobbe che non era in grado di difendersi contro quel potere. Esso eludeva qualsiasi circospezione.

XI

Si rese conto che il ruggito della battaglia, simile a quello di una fornace, stava crescendo d'intensità. Grandi nuvole brune erano giunte fluttuando fino alle calme alture d'aria davanti a lui. Anche il rumore si avvicinava. I boschi filtravano uomini, e i campi se ne punteggiarono.

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Girando intorno a una collinetta, scoprì che ora la strada era un urlante ammasso di carri, tiri di cavalli e soldati. Dal tumultuoso groviglio uscivano esortazioni, ordini, imprecazioni. La paura tutto travolgeva. Le fruste crepitanti mordevano l'aria, i cavalli s'impennavano, davano strappi. I carri dai bianchi teloni arrancavano e si incagliavano nei loro sforzi come pecore grasse.

Da quella vista il giovane si senti in certo modo confortato. Battevano tutti in ritirata. Allora, forse, in fin dei conti, egli non era così spregevole. Si sedette e osservò i carri colpiti dal terrore. Fuggivano come leggeri, goffi animali. Tutti coloro che sbraitavano e frustavano servirono ad aiutarlo a ingrandire i pericoli e gli orrori dello scontro, in modo che egli potesse tentare di dimostrare a se stesso che la cosa di cui gli uomini potevano incolparlo era in realtà una reazione proporzionata agli avvenimenti. Provava un certo piacere osservando la marcia travolgente di quella riabilitazione.

Ma sulla strada apparve la testa di una colonna di fanteria che si dirigeva in buon ordine verso il fronte. Avanzava rapida. Nell'evitare gli ostacoli acquistava il movimento sinuoso di una serpe. I soldati delle prime righe colpivano i muli col calcio del moschetto. Pungolavano i conducenti, indifferenti ad ogni urlo. Si aprivano di forza una strada attraverso quella densa massa. L'ottusa testa della colonna premeva. I conducenti furibondi profferivano molte pittoresche bestemmie.

Gli ordini di fare largo avevano un timbro di grande importanza. Quegli uomini stavano procedendo verso il centro del frastuono. Andavano ad affrontare l'impeto appassionato del nemico. Sentivano l'orgoglio del loro avanzare, mentre il resto dell'esercito pareva cercare di dileguarsi per quella strada. Mettevano lo scompiglio tra i cavalli dei traini con la soddisfatta sensazione che nulla importava, purché la loro colonna arrivasse in tempo al fronte. Il senso della loro importanza rendeva i volti gravi e severi. E le schiene degli ufficiali erano più dritte che mai.

Mentre il giovane li guardava, tornò ad opprimerlo il nero peso della sua sventura. Senti che stava contemplando una processione di eletti. Si senti distante da loro come se quelli marciassero con armi fiammeggianti e stendardi di luce solare. Lui non sarebbe stato mai come loro, e quasi avrebbe pianto dal desiderio.

Frugò nella mente in cerca di un anatema adeguato contro la causa indefinita, la cosa contro cui gli uomini appuntano le loro supreme parole di accusa. Quella qualunque essa fosse e non lui, era responsabile. Là stava la colpa.

La fretta della colonna di trovarsi in battaglia pareva allo smarrito giovane qualcosa di molto più bello che un valoroso combattere. Anche degli eroi, pensava, avrebbero potuto trovare scuse su quel lungo tumultuante percorso. Avrebbero potuto ritirarsi con perfetta onorabilità e offrire giustificazioni alle stelle.

Si domandò che cosa avessero mangiato quegli uomini per avere tanta fretta di aprirsi una strada verso tetre possibilità di morte. Osservandoli, la sua invidia crebbe, finché pensò che avrebbe voluto scambiare la vita con uno di essi. Gli sarebbe piaciuto, si disse, disporre di una forza tremenda, gettar via se stesso e diventare migliore. Gli si presentarono rapide immagini di sé, staccate da lui e tuttavia dentro di lui: si vide come una disperata figura in divisa blu alla testa di atroci cariche, con un ginocchio avanti, brandendo una spada spezzata; come una risoluta figura in blu, ritta di fronte a un assalto rosso e acciaio, che si fa uccidere imperturbabile su un luogo eminente, sotto gli occhi di tutti. Pensò allo stupendo pathos del suo corpo.

Tali pensieri lo elevarono. Senti il fremito del desiderio di guerra. Ebbe nelle orecchie lo squillo della vittoria. Provò la frenesia di una carica rapida e vittoriosa. La musica dei piedi scalpiccianti, le voci taglienti, le armi tintinnanti della colonna lo fecero librarsi sulle rosse ali della guerra. Per alcuni momenti si sentì sublime.

Pensò di essere sul punto di avviarsi al fronte. Ebbe addirittura una visione di sé, sporco di polvere, stravolto, ansante, che volava al fronte nel momento giusto per afferrare e strozzare la cupa, bieca strega della guerra.

Ma allora cominciarono a presentarsi alla sua mente le difficoltà della cosa. Esitò, bilanciandosi goffamente su un piede.

Non aveva fucile; non poteva combattere con le mani, disse risentito al suo progetto. Be', quanto a fucili, per averne bastava raccattarli. Erano oltremodo copiosi.

Inoltre, continuò, sarebbe stato un miracolo se trovava il suo reggimento. Be', poteva combattere con qualsiasi reggimento.

Si avviò lentamente. Camminava come se si aspettasse di mettere il piede su una mina. Lottava coi dubbi.Si sarebbe sentito davvero un verme se un compagno l'avesse veduto tornare a quel modo, con addosso le

tracce della fuga. Poteva sempre rispondere che quelli intenti a combattere non si curano di ciò che accade dietro di loro, salvo che di là appaiono baionette nemiche.

Nella confusione della battaglia la sua faccia sarebbe rimasta in certo modo nascosta, come quella di un incappucciato.

Ma allora, si disse, quando la lotta si fosse calmata per un momento, il suo fato, instancabile, avrebbe fatto comparire qualcuno a chiedergli una spiegazione. Si immaginò di sentire lo sguardo scrutatore dei compagni, mentre lui penosamente si travagliava con qualche bugia.

Alla fine il suo coraggio si consumò su quelle obiezioni. Il dibattito interno estinse i suoi ardori.Non si abbatté per quella sconfitta del suo progetto perché, studiando con cura la questione, altro non poteva

fare se non riconoscere che le obiezioni erano formidabili.Inoltre, avevano cominciato a farsi sentire vari malesseri. La loro presenza non gli permetteva di continuare a

volare in alto sulle ali della guerra: essi gli rendevano quasi impossibile vedersi in una luce eroica. Precipitò a capofitto.

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Scopri di bruciare dalla sete. La faccia era così secca ed imbrattata che gli pareva di sentirsi screpolare la pelle. Ogni osso del suo corpo aveva dentro un dolore e minacciava di rompersi ad ogni movimento, o così gli sembrava. I piedi erano come due piaghe. E poi il corpo reclamava cibo. Era qualcosa di più forte che pura e semplice fame. Aveva nello stomaco un'inerte sensazione di peso e, quando si provava a camminare, la testa ciondolava e lui barcollava. Non riusciva a vedere distintamente. Davanti ai suoi occhi fluttuavano macchioline di nebbia verde.

Finché l'agitavano molteplici emozioni, non si era accorto delle sofferenze fisiche. Ora queste lo tormentavano e si facevano imperiosamente sentire. Quando alla fine fu costretto a prestar loro attenzione, la sua capacità di odiarsi aumentò. Disperato, si dichiarò non uguale a quegli altri. Ora ammise l'impossibilità di diventare mai un eroe. Era un codardo buono a nulla. Quelle visioni di gloria erano cose da far pietà. Gemette dal profondo del cuore e s'allontanò vacillando. Qualcosa dentro di lui lo faceva indugiare, come una falena, nelle vicinanze della battaglia. Aveva un gran desiderio di vedere, di ricevere notizie. Voleva sapere chi stava vincendo.

Nonostante quelle sofferenze senza precedenti, si disse, egli non aveva mai smesso di desiderare ardentemente una vittoria; tuttavia, disse quasi scusandosi alla propria coscienza, non poteva fare a meno di sapere che questa volta una disfatta dell'esercito avrebbe potuto significare molte cose favorevoli per lui. I colpi del nemico avrebbero frantumato i reggimenti. Allora, ragionava, molti uomini di coraggio sarebbero stati costretti a disertare le bandiere e a sparpagliarsi come pulcini. Egli sarebbe apparso come uno di loro. Sarebbero stati cupi fratelli nell'avversità, e sarebbe stato agevole per lui credere di non essere scappato più lontano o più in fretta di loro. E se lui stesso poteva credere nella propria virtuosa perfezione, sarebbe costata poca fatica, pensò, convincere tutti gli altri.

Come per scusare tale speranza, si disse che già in precedenza l'esercito aveva subito gravi disfatte e poi, in pochi mesi, si era scrollato di dosso tutto il sangue e il ricordo di esse, emergendo splendente e valoroso come un nuovo esercito, cancellando la memoria del disastro e mostrando il coraggio e la sicurezza di invitte legioni. Le stridule voci di quelli che erano rimasti a casa si sarebbero levate lugubremente per qualche tempo, ma parecchi generali erano abituati a dover ascoltare tali geremiadi. Naturalmente egli non sentiva alcun rimorso a proporre un generale come capro espiatorio. Non sapeva dire chi fosse l'eletto per gli strali, e quindi non poteva farlo oggetto di una diretta simpatia. Gli accusatori stavano lontano, ed egli non concepiva che l'opinione pubblica potesse veder giusto da tale distanza. Era molto probabile che essa colpisse l'uomo che non aveva alcuna colpa, e questi, dopo essersi ripreso dallo stupore, avrebbe forse passato il resto dei suoi giorni a scrivere repliche alle requisitorie sulla sua presunta sconfitta. Sarebbe stata indubbiamente una cosa molto spiacevole, ma, date le circostanze, un generale non aveva alcuna importanza per il giovane.

In una sconfitta ci sarebbe stata un'indiretta riabilitazione per lui. In certo modo, pensò, essa avrebbe dimostrato che lui era fuggito presto grazie alle sue superiori capacità di percezione. Un profeta serio che predica un diluvio dovrebbe essere il primo ad arrampicarsi su un albero.

Il fatto avrebbe dimostrato che lui era davvero un veggente.Il giovane considerava. molto importante una riabilitazione morale. Senza un balsamo, pensava, non avrebbe

potuto portare per tutta la vita il segno dolorante del suo disonore. Col cuore che non cessava un attimo di assicurargli che egli era un essere spregevole, non avrebbe potuto esistere senza render ciò evidente coi suoi atti a tutti gli uomini.

Se l'esercito avanzava gloriosamente, lui era perduto. Se il frastuono voleva dire che ora le bandiere del suo esercito erano puntate in avanti, lui era uno sciagurato colpevole. Sarebbe stato costretto a condannare se stesso all'isolamento. Se i soldati stavano avanzando, i loro piedi calpestavano indifferenti le sue possibilità di una vita di successo.

Mentre tali pensieri gli passavano rapidi per la mente, egli si ribellò contro di essi e cercò di scacciarli. Si accusò di essere un furfante. Disse che era l'uomo più indicibilmente egoista che esistesse. Con la mente si figurò i soldati che opponevano i loro corpi, come una sfida, alla lancia dell'urlante demonio della battaglia, e quando vide i loro cadaveri grondanti su un campo immaginario, disse che era lui il loro assassino.

Di nuovo pensò che avrebbe voluto esser morto. Ritenne di invidiare un cadavere. Pensando agli uccisi, concepì un gran disprezzo per alcuni di essi, come se fosse colpa loro l'aver perso la vita. Potevano essere stati uccisi per un caso fortunato, si disse, prima di avere avuto la possibilità di fuggire o prima di essere stati realmente messi alla prova. Eppure avrebbero ricevuto allori dalla posterità. Protestò amaramente che quelle corone erano rubate, e imposture i loro paludamenti di gloriose memorie. Tuttavia, si disse ancora, era un gran peccato non essere come loro.

Una sconfitta dell'esercito gli si era presentata come un mezzo per sottrarsi alle conseguenze della sua colpa. Ora però rifletté che era inutile pensare a una simile possibilità. Gli avevano insegnato che per quella possente macchina blu il successo era cosa certa, che essa avrebbe prodotto vittorie come un congegno fabbrica bottoni. Scartò subito tutte le sue considerazioni nell'altro senso e tornò al credo del soldato.

Quando si rese di nuovo conto che una sconfitta dell'esercito non era possibile, cercò di escogitare qualche bella storia con la quale tornare al reggimento e insieme deviare gli attesi strali della derisione.

Ma, siccome di quegli strali aveva una paura tremenda, non riuscì a inventare una storia su cui sentisse di poter fare affidamento. Si provò con molti schemi, ma li scartò uno dopo l'altro come fragili. Fece presto a scorgere punti vulnerabili in ognuno.

lnoltre, aveva una gran paura che qualche freccia di scherno potesse metterlo psicologicamente a terra, prima ancora di poter costruire il suo racconto di difesa.

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Si immaginava tutto il reggimento che diceva: «Dov'è Henry Fleming? É scappato, no? Uh, che figura!». Ricordò varie persone che avrebbero fatto di tutto per non dargli pace al riguardo. Gli avrebbero certamente fatto domande sogghignando, e avrebbero riso per le sue balbettanti esitazioni. Nel prossimo scontro avrebbero cercato di tenerlo d'occhio, per scoprire quando sarebbe scappato.

Dovunque fosse andato nell'accampamento, avrebbe incontrato sguardi che indugiavano crudelmente a fissarlo con insolenza. Immaginò di passare vicino a un gruppo di compagni e di udire qualcuno che diceva: «Eccolo lì!»

Allora, come se le teste fossero mosse da un unico muscolo, tutte le facce si voltavano verso di lui con larghi sogghigni di scherno. Gli pareva di udire qualcuno fare un commento umoristico a bassa voce e tutti gli altri rispondere con versacci e sberleffi. Era diventato proverbiale.

XII

La colonna che aveva cozzato decisa contro gli ostacoli lungo la strada era appena scomparsa alla sua vista quando il giovane scorse scure ondate di soldati straripare dai boschi e irrompere giù per i campi. Capì subito che le fibre d'acciaio erano state dilavate dai loro cuori. Sembravano voler scoppiare dalle divise e dagli equipaggiamenti come da camicie di forza. E caricavano verso di lui come bufali atterriti.

Dietro a loro si attorceva un fumo azzurro che si addensava sopra la cima degli alberi, e a volte, attraverso la boscaglia, il giovane poteva scorgere in distanza un bagliore roseo. Le voci dei cannoni tuonavano in un coro interminabile.

Il giovane era inorridito. Fissava davanti a sé angosciato e attonito. Dimenticò di essere impegnato in una lotta contro l'universo. Gettò da parte i suoi esercizi mentali sulla filosofia di chi batte in ritirata e sulle regole di comportamento dei dannati.

La battaglia era perduta. I draghi arrivavano a lunghi passi inesorabili. L'esercito, imponente nell'intricata vegetazione e accecato dalla notte incombente, stava per essere inghiottito. La guerra, quella rossa belva la guerra, quella dea gonfia di sangue si sarebbe saziata.

Qualcosa dentro di lui gli comandò di alzare la voce. Ebbe l'impulso di fare un discorso rianimatore, di cantare un inno di guerra, ma la sua lingua riuscì solo a gridare nell'aria: «Ma... ma... che... che cosa sta succedendo?»

Presto si trovò in mezzo ai fuggiaschi. Scappavano, correndo e saltando tutt'intorno a lui. I loro volti sbiancati rilucevano nel crepuscolo. Parevano, la più parte, uomini corpulenti. Il giovane si rivolse all'uno, all'altro, mentre gli passavano vicino a galoppo. Le sue domande incoerenti andarono perdute. Nessuno badava ai suoi appelli. Pareva che neppure lo vedessero.

A volte borbottavano frasi insensate. Un soldato grande e grosso domandava al cielo: «La strada di tavole! Dov'è la strada di tavole?» Era come se avesse perduto un figlio, e per la pena e lo sgomento piangeva.

Ora soldati correvano qua e là, in tutte le direzioni. L'artiglieria, tuonando davanti, di dietro, sui fianchi, confondeva le idee sull'orientamento. I punti di riferimento erano svaniti nell'oscurità ormai densa. Il giovane cominciò a immaginarsi di essere arrivato proprio al centro della tremenda contesa, e non riusciva a scorgere alcuna via d'uscita. Dalle bocche dei soldati in fuga uscivano mille domande insensate, ma nessuno dava risposte.

Dopo aver corso qua e là, apostrofando senza trovare ascolto i gruppi di fanti in ritirata, alla fine afferrò un soldato per il braccio. Girarono su se stessi, fino a trovarsi faccia a faccia.

«Perché... perché?... » balbettò il giovane lottando con la lingua che gli si inceppava.«Lasciami! Lasciami andare!» strillò l'uomo. Era livido in volto, i suoi occhi roteavano sfrenati. Palpitava,

ansava. Stringeva ancora il fucile, essendosi forse dimenticato di allentare la presa. Diede uno strattone frenetico, e il giovane, costretto a piegarsi in avanti, fu trascinato per alcuni passi.

«Lasciami andare! Lasciami andare!»«Perché... perché?... » balbettava il giovane.«E allora tieni!» muggì l'altro in un accesso di ira terribile. Con destrezza e violenza roteò il fucile, che si

abbatté sulla testa del giovane. Il soldato fuggì.Sul braccio di questi le dita del giovane erano diventate molli come cera..I suoi muscoli avevano perduto ogni

energia. Vide guizzare davanti agli occhi le fiammeggianti ali di un lampo. Senti dentro la testa un assordante rombo di tuono.

Improvvisamente gli parve che le gambe gli morissero. Cadde al suolo contorcendosi. Tentò di alzarsi. Nei suoi sforzi contro il dolore che lo intontiva, era simile a un uomo che lottava con una creatura dell'aria.

Fu una lotta sinistra.A volte arrivava a tirarsi su a metà, battagliava con l'aria per un momento, poi ricadeva, afferrandosi all'erba. Il

volto era di un pallore sudaticcio. La sofferenza gli strappava profondi gemiti.Alla fine, con una contorsione, riuscì a mettersi carponi, e quindi a drizzarsi in piedi, come un bimbo che cerca

di camminare. Premendosi le mani contro le tempie, andò barcollando sull'erba.Combatté una strenua battaglia con il corpo. I sensi intorpiditi volevano che svenisse, ma egli si oppose con

tenacia, figurandosi nella mente ignoti pericoli e mutilazioni se fosse caduto in quel campo. Camminò alla guisa del

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soldato alto. Immaginò luoghi appartati dove lasciarsi cadere e non ricevere molestie. Per cercarne uno lottò contro la montante marea della sofferenza.

A un certo punto portò una mano alla testa e si toccò timidamente la ferita. Al contatto, il dolore lancinante gli fece tirare un lungo respiro attraverso i denti serrati. Aveva le dita umide di sangue. Le guardò fissamente.

Intorno a sé udiva il brontolio dei cannoni sobbalzanti mentre i veloci cavalli venivano sferzati verso il fronte. Un giovane ufficiale su un destriero tutto impillaccherato per poco non lo travolse. Si voltò e osservò l'ammasso di cannoni, uomini, cavalli che, descrivendo un'ampia curva, convergeva verso un'apertura in uno steccato. L'ufficiale faceva gesti eccitati con la mano inguantata. I cannoni seguivano i traini con aria riluttante, come se trascinati per i talloni.

Alcuni ufficiali della dispersa fanteria scagliavano imprecazioni é invettive, simili a pescivendole. Le loro voci di rimprovero si udivano al di sopra del frastuono. Nell'indescrivibile confusione della strada sopraggiunse uno squadrone di cavalleria. Il giallo sbiadito delle mostrine riluceva intrepido. Si accese una violenta disputa.

L'artiglieria stava radunandosi come per una conferenza.Sulla campagna si era stesa la foschia azzurra della sera. Le linee della foresta erano lunghe ombre purpuree.

Nel cielo a ponente una nube smorzava parzialmente il rosso.Mentre si lasciava dietro quella scena, il giovane udì ruggire improvvisamente i cannoni. Li immaginò scossi

da una nera rabbia. Eruttavano e urlavano come diavoli in ferro battuto, posti a guardia di un cancello. L'aria dolce era piena di quella tremenda protesta. Con essa giungevano le salve crepitanti delle opposte fanterie. Si voltò a guardarsi dietro, e scorse cortine di luce arancione che illuminavano la lontananza già nell'ombra. Distanti si accendevano nell'aria improvvisi, sottili lampi. A tratti credette di scorgere masse palpitanti di uomini. Si affrettò nel buio. La luce del giorno era svanita così che a stento egli distingueva dove posare i piedi. L'oscurità purpurea era piena di uomini che concionavano e farfugliavano. A volte riusciva a scorgerli che gesticolavano contro il cielo azzurro cupo. Pareva che nella foresta e nei campi fosse sparsa una gran quantità di uomini e di armamenti.

Ora l'angusta stradetta era priva di vita. Alcuni carri rovesciati sembravano macigni asciugati dal sole. Quello che era parso il letto di un torrente era ostruito da corpi di cavalli e da rottami di macchine di guerra.

La ferita, nel frattempo, non gli doleva più tanto. Aveva tuttavia paura di fare movimenti bruschi, temendo di irritarla. Teneva la testa ben rigida e prendeva molte precauzioni per non inciampare. Era pieno di ansia, e aveva il volto contratto e teso in previsione del dolore che avrebbe provocato il minimo errore dei suoi passi nel buio.

Mentre camminava, i suoi pensieri non si staccavano dalla ferita. Intorno ad essa aveva una sensazione di fresco e di liquido, perciò immaginò che il sangue stesse colando lentamente sotto i capelli. Gli pareva che la testa si fosse gonfiata a tal punto che il collo non ce la faceva più a sostenerla.

Quel nuovo silenzio della ferita lo preoccupò molto. Le piccole tumide voci di dolore che avevano reclamato dal suo cuoio capelluto, pensava, erano precise segnalazioni di pericolo. Da esse credeva di poter misurare la gravità del suo stato. Ma quando rimasero sinistramente silenziose, si impaurì e immaginò dita terribili che gli artigliavano dentro il cervello.

Fu allora che si mise a riflettere su vari episodi e circostanze del suo passato. Si ricordò di certi pasti preparati dalla madre a casa, pasti nei quali i suoi piatti preferiti avevano occupato il posto d'onore. Vide la tavola apparecchiata. Le pareti in legno di pino della cucina brillavano nella calda luce della stufa. Ricordò pure come lui e i suoi compagni solevano dalla scuola recarsi in riva a uno stagno ombreggiato. Vide i suoi indumenti sparsi in disordine sull'erba della riva. Senti il ruscellare dell'acqua odorosa sul corpo. Le foglie dell'acero sovrastante frusciavano melodiose nel vento della giovane estate.

Ma ora fu sopraffatto da una pesante stanchezza. La testa gli ciondolava, le spalle erano curve come se portasse un grande fardello. Strascicava i piedi sul terreno.

Intanto dibatteva con se stesso, se sdraiarsi e dormire lì vicino, o sforzarsi fino a raggiungere un asilo sicuro. Cercò più volte di accantonare quel problema, ma il corpo persisteva nella ribellione e i sensi lo molestavano come bambini viziati.

Alla fine udì una voce allegra all'altezza della spalla: «Mi pare che sei conciato male, ragazzo.»Il giovane non alzò lo sguardo, ma assenti con la lingua impastata: «Eh!»Quello dalla voce allegra lo prese saldamente per un braccio. «Be',» disse con una risata schietta, «io faccio la

tua strada. E così tutta la compagnia. E posso darti un passaggio, penso.» Presero a camminare come un ubriaco e il suo amico.

Mentre andavano, l'uomo interrogava il giovane e lo assisteva nelle risposte, come chi manovra la mente d'un bimbo. A volte intercalava degli aneddoti. «Di che reggimento sei? Eh? Possibile? Del 304° New York? A che corpo d'armata appartieni? Ah sì? To', pensavo che oggi non fossero stati impegnati... Stanno laggiù, al centro. E invece hanno combattuto, eh? Be', quasi tutti hanno avuto la loro parte di combattimento, oggi. Caspita, anch'io mi sono dato per morto parecchie volte. Sparavano qui, sparavano là, gridavano da una parte, gridavano dall'altra, in quel buio della malora, che alla fine non avrei saputo dire, neanche per salvare la mia anima, da che parte stavo. A volte pensavo che, sicuro, ero dell'Ohio, altre volte avrei giurato che venivo dal fondo della Florida. É stato il più maledetto imbroglio che abbia mai veduto. E tutti questi boschi qui sono un gran guazzabuglio. Sarà un miracolo se stasera troviamo i nostri reggimenti. Presto, però, dovremmo incontrare un sacco di sentinelle e di polizia militare, non c'è verso. Oh! laggiù stanno trasportando un ufficiale, mi pare. Guarda, ha la mano penzoloni. Quello, scommetto, di guerra ne ha avuta

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quanta ne voleva. Non le sparerà più tanto grosse sulla sua reputazione e via dicendo, quando gli segheranno la gamba. Poveraccio! Mio fratello ha le basette proprio come lui. Ma tu come hai fatto a arrivare fin qui? Il tuo reggimento è parecchio distante, no? Be', penso che lo troveremo. Sai, c'era un ragazzo nella mia compagnia, l'hanno ammazzato oggi, al quale volevo un gran bene: Jack era un bravo figliolo. Per la miseria, mi ha fatto un male tremendo vederlo steso al suolo, povero Jack. Era un po' che stavamo abbastanza tranquilli, anche se c'erano uomini che correvano da ogni parte. Mentre siamo lì così, t'arriva un tizio grande e grosso, che comincia a dar di gomito a Jack e a dirgli: ‹Di', dov'è la strada per il fiume? › Jack non gli bada, e l'altro continua a dargli di gomito, e a dire: ‹Ehi! di', dov'è la strada per il fiume? › Jack continua a guardare davanti a sé cercando di vedere i ribelli che venivano dai boschi, e per un bel pezzo non gli dà retta a quel tizio grande e grosso, ma alla fine si volta e gli dice: ‹Va' all'inferno e trovati la strada per il fiume! › E proprio in quell'attimo una pallottola lo coglie in pieno nella testa. Era anche sergente. Quelle furono le sue ultime parole. Porco mondo, vorrei esser sicuro che troveremo i nostri reggimenti stasera. Sarà una caccia lunga. Ma credo che ce la faremo.»

Nella ricerca che seguì, al giovane parve che l'uomo dalla voce allegra possedesse una bacchetta magica. Imbroccò i labirinti dell'intricata foresta con una strana fortuna. Quando incontrarono posti di guardia e pattuglie di ronda, rivelò la perspicacia di un investigatore e il coraggio di un monello. Davanti a lui gli ostacoli cadevano e diventavano d'aiuto. Col mento ancora abbassato sul petto, il giovane assisteva intontito mentre il suo compagno da cose ostili traeva espedienti e risorse.

La foresta sembrava un vasto alveare di uomini che ronzavano qua e là in cerchi frenetici, ma l'uomo allegro guidò il giovane senza errori, e finalmente cominciò a ridacchiare di gioia, soddisfatto di sé: «Ah, ora sei arrivato! Vedi quel fuoco?»

Il giovane annuì con aria intontita.«Be', là c'è il tuo reggimento. E ora ciao, amico, buona fortuna.»Una mano calda e robusta strinse per un attimo le fiacche dita del giovane; poi questi udì il fischiettare allegro

e ardito dell'uomo che si allontanava. Mentre colui che lo aveva assistito tanto amichevolmente usciva così dalla sua vita, al giovane venne di colpo in mente che non ne aveva veduto una sola volta il viso.

XIII

Il giovane si diresse lentamente verso il fuoco indicatogli dall'amico che lo aveva lasciato. Mentre camminava barcollando, si ricordò del benvenuto che gli avrebbero dato i compagni. Era convinto che avrebbe presto sentito nel cuore dolorante i dardi dentati del ridicolo. Non aveva la forza di inventare una storia; sarebbe stato un facile bersaglio.

Fece vaghi progetti di fuggire nell'oscurità più profonda e nascondersi, ma tutti furono distrutti dalle voci di sfinimento e sofferenza che uscivano dal suo corpo. I suoi malanni, facendo la voce grossa, lo costringevano a cercare il luogo del cibo e del riposo a qualsiasi costo.

Barcollò incerto verso il fuoco. Scorgeva le figure di uomini che stagliavano ombre nere nel rosso riverbero e, avvicinandosi, si rese vagamente conto che il terreno era disseminato di soldati che dormivano.

A un tratto si trovò di fronte a una mostruosa figura nera. Una canna di fucile mandò bagliori: «Alt ! alt !». Per un attimo rimase sgomento, ma subito pensò che quella voce nervosa lo conosceva. Fermandosi incerto davanti alla canna del fucile, gridò: «Salve, Wilson... sei tu?»

Il fucile si abbassò in posizione di sicurezza, e lentamente si avanzò il soldato dalla voce sonora, Scrutò il giovane in viso: «Sei tu, Henry?»

«Si, sono... sono io.»«Benone, vecchio mio,» disse l'altro, «per la miseria, son contento di vederti! Ti avevo dato per perso. Pensavo

proprio che fossi morto.» Nella sua voce c'era una velata commozione.Il giovane s'accorse che ora quasi non ce la faceva a tenersi in piedi. Le sue forze improvvisamente cedevano.

Pensò che doveva affrettarsi a sciorinare il suo racconto, per proteggersi dalle frecciate che erano già sulle labbra dei suoi temibili compagni. Cosi, vacillando davanti all'altro, cominciò: «Si, si, l'ho... l'ho passata brutta. Sono stato dappertutto. Laggiù sulla destra. Battaglia tremenda da quella parte. L'ho passata brutta. Sono rimasto tagliato fuori dal reggimento. Là, sulla destra. Mi hanno ferito. Alla testa. Mai vista una battaglia simile. Che momentaccio. Non riesco a capire come ho potuto restar tagliato fuori dal reggimento. Mi hanno anche colpito.»

L'amico fece un rapido passo avanti. «Come? Sei ferito? Perché non l'hai detto subito? Povero ragazzo, dobbiamo... aspetta un minuto; dunque...fammi chiamare Simpson.»

Un'altra figura si delineò in quel momento nell'oscurità. Videro che era il caporale. «Con chi stai parlando, Wilson?» domandò, e la sua voce aveva un tono collerico. «Con chi parli? Sei la sentinella più dannata... To'... salve, Henry, sei qui? Pensavo che fossi morto quattro ore fa!

Santo cielo, continua a saltarne fuori uno ogni dieci minuti! Credevamo di aver perduto quarantadue uomini facendo il conto giusto; ma se continuano ad arrivare a questo modo, ora di domattina riavremo la compagnia al completo. Tu dov'eri?»

«Là, sulla destra. Son rimasto tagliato fuori,» cominciò il giovane con notevole disinvoltura.

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Ma l'amico lo interruppe in fretta: «Si, ed è ferito alla testa, è conciato male, dobbiamo portarlo via.» Sistemò il fucile nel cavo del braccio sinistro, e passò il destro intorno alla spalla del giovane.

«Caspita, deve farti un male d'inferno,» disse.Il giovane si appoggiò pesantemente all'amico: «Si, mi fa male... e anche un bel po',» rispose. E gli si ruppe la

voce.«Oh!» disse il caporale. Prese il giovane sottobraccio e lo trasse avanti: «Vieni, Henry. Ci penso io.»Mentre s'allontanavano insieme, il soldato dalla voce sonora gli gridò dietro: «Mettilo a dormire nella mia

coperta, Simpson. E... aspetta un momento... ecco la mia borraccia. É piena di caffè. Guardagli la testa alla luce del fuoco e vedi un po' come si presenta la ferita; forse è di quelle brutte. Fra un paio di minuti, quando mi danno il cambio, vengo io a badargli.»

I sensi del giovane erano così intorpiditi che la voce dell'amico gli giungeva da lontano ed egli sentiva appena la stretta del braccio del caporale. Si sottomise passivamente alla forza che lo dirigeva. La testa gli ciondolava, come prima, sul petto. Le ginocchia vacillavano. Il caporale lo condusse alla viva luce del fuoco. «Ora, Henry,» gli disse, «diamo un'occhiata alla zucca.»

Il giovane si sedette obbediente, e il caporale, deposto il fucile da una parte, cominciò a tastare tra la folta capigliatura del compagno. Dovette voltargli la testa perché la colpisse in pieno il vivido bagliore del fuoco. Raggrinzò la bocca con aria critica. Distese le labbra e zufolò tra i denti quando le sue dita vennero a contatto col sangue rappreso e con la cruda ferita.

«Ah, ecco qui!» disse. Fece ulteriori, maldestre ricerche e «Proprio come pensavo,» soggiunse poi. «Ti ha graffiato una pallottola. E ha fatto crescere una specie di bernoccolo, proprio come se qualcuno ti avesse mollato una legnata sulla testa. Ha smesso di sanguinare da un pezzo. Il più è che domattina ti sembrerà che neppure un cappello del dieci ti vada bene. La testa ti scotterà e te la sentirai secca come carne di maiale arrostita. E potrai anche averci una quantità di altri mali, per domattina. Non si può mai dire. Ma, no, non credo. É solo una bella botta in testa, e nient'altro. Ora stai seduto qui e non muoverti, mentre io vado a stanare il cambio per le sentinelle. Poi manderò Wilson a badarti.»

Il caporale se ne andò e il giovane rimase per terra come un sacco, a fissare il fuoco con sguardo assente.Dopo un po' si riscosse in parte e le cose intorno a lui cominciarono a prendere forma. Vide che il terreno, là

dove c'erano ombre profonde, era ingombro di uomini abbandonati in ogni concepibile posizione. Aguzzando la vista nell'oscurità più distante, colse fuggevoli immagini di visi pallidi e spettrali, vagamente illuminati da un chiarore fosforescente. Quei volti esprimevano nelle loro linee il torpore profondo dei soldati stanchi. Li facevano sembrare uomini ubriachi di vino. A un vagabondo celeste quell'angolo di foresta sarebbe potuto apparire la scena finale di un orribile bagordo.

Dall'altra parte del fuoco il giovane osservò un ufficiale addormentato, seduto dritto come un fuso, la schiena contro un albero. C'era qualcosa di arrischiato in quella posizione. Tormentato forse da sogni, oscillava con piccoli sobbalzi e soprassalti, come un vecchio nonno intorpidito dal ponce, in un angolo del focolare. Aveva il viso polveroso e imbrattato. La mascella inferiore pendeva come se le mancasse la forza per tornare in posizione normale. Era l'immagine di un soldato esausto dopo un banchetto di guerra.

Evidentemente si era messo a dormire con la sciabola fra le braccia. Si era assopito abbracciandola, ma l'arma aveva fatto in tempo a cadere inosservata al suolo. L'elsa montata in ottone era lambita dal fuoco.

Nel baluginio di luce rosa e arancione emanante dalla legna che ardeva c'erano altri soldati che russavano sollevando ritmicamente il corpo o giacevano come morti nel sopore. Alcune paia di gambe sporgevano dritte e rigide. Le scarpe rivelavano il fango o la polvere delle marce; lembi di lucidi calzoni, che uscivano fuori dalla coperta, mostravano strappi e squarci, frutto di fughe precipitose per il folto dei rovi.

Il fuoco scoppiettava melodiosamente, e da esso saliva un fumo leggero. In alto si muoveva lieve il fogliame. Dalla parte rivolta verso la vampa, le foglie si coloravano di mutevoli sfumature d'argento, spesso orlate di rosso. Lontano, sulla destra, attraverso un'apertura nella foresta, si poteva scorgere una manciata di stelle, sparse come luccicanti sassolini sul piano nero della notte.

A tratti, in quella sala dalle basse arcate, un soldato si svegliava e assestava il corpo in una nuova posizione, avendogli l'esperienza del sonno insegnato le irregolarità e le scomodità del terreno sotto di lui. O, magari, si tirava sù a sedere, per un attimo batteva occhi inespressivi in direzione del fuoco, volgeva un rapido sguardo al compagno disteso, e poi si rannicchiava di nuovo al suolo, con un grugnito di assonnata contentezza.

Il giovane sedette come un fardello abbandonato, finché non arrivò il suo amico, il soldato dalla voce sonora, facendo dondolare due borracce dalle loro cordicelle. «Bene, Henry. Adesso, amico mio,» gli disse «ti mettiamo a posto in meno di un minuto.»

Aveva i modi indaffarati di un'infermiera dilettante. Si diede da fare intorno al fuoco, attizzando i pezzi di legna finché non brillò la fiamma. Fece bere copiosamente il suo paziente dalla borraccia che conteneva caffè. Per il giovane fu una sorsata deliziosa: piegò la testa bene all'indietro, e tenne lungamente la borraccia alle labbra. La fresca miscela gli scese giù per la gola infiammata come una carezza. Quando finì, sospirò di piacere e benessere.

Il giovane soldato dalla voce sonora osservò il compagno con aria soddisfatta. Poi trasse di tasca un fazzoletto di ampie dimensioni. Lo ripiegò a guisa di benda e nel centro vi versò un bel po' d'acqua dall'altra borraccia. Applicò quella rudimentale fasciatura sulla testa del giovane, legandone le estremità in un bizzarro nodo sulla nuca.

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«Ecco,» disse, facendo un passo indietro per valutare il proprio operato, «somigli al diavolo, ma scommetto che ti senti meglio.»

Il giovane contemplava l'amico con occhi riconoscenti. Sulla testa gonfia e dolorante la tela fredda era come una tenera mano di donna. «Non hai gridato, non hai detto bah!» osservò l'altro con aria di approvazione. «Lo so che sono un maniscalco quando curo i malati; eppure tu non hai dato neanche uno strillo. Sei in gamba, Henry. La più parte dei soldati sarebbero andati all'ospedale da un pezzo. Una pallottola alla testa non è una bazzecola.»

Il giovane non rispose, si mise a giocherellare coi bottoni della giubba. «Via, ora vieni,» continuò l'amico, «Via, devo metterti a letto e badare che tu abbia una nottata di buon riposo.»

Il giovane si alzò con molta cautela, e l'altro lo condusse fra le forme che dormivano, disposte in gruppi e per file. A un certo punto si chinò a raccogliere le sue coperte. Stese al suolo quella di gomma e ravvolse intorno alle spalle del giovane quella di lana.

«Ecco,» disse, «ora ti sdrai e dormi un po'.»Il giovane, ubbidiente come un cagnolino, si mise giù con ogni precauzione, simile a una vecchia che si china.

Si stese con un mormorio di sollievo e di benessere. La terra gli parve il più morbido dei giacigli.Ma improvvisamente esclamò: «Aspetta un po'! E tu dove dormi?» L'amico agitò la mano con impazienza:

«Li, vicino a te.»«Sì, ma aspetta un po',» continuò il giovane. «Dentro che cosa dormi? Io ho preso le tue... »L'amico ringhiò: «Zitto e dormi, ora. Non fare lo stupido,» gli disse con severità.Dopo il rimprovero il giovane non parlò più, lo aveva invaso una squisita sonnolenza. Lo ravvolgeva il caldo

benessere della coperta, infondendogli un delicato languore. La testa gli cadde in avanti sul braccio piegato, e le palpebre appesantite calarono lentamente sugli occhi. Udendo una lontana scarica di fucileria si domandò spassionatamente se quei soldati dormivano mai. Trasse un lungo sospiro, si rannicchiò dentro la coperta e in un momento fu come i suoi compagni.

XIV

Quando si svegliò, al giovane pareva di aver dormito mille anni, e si sentiva sicuro di riaprire gli occhi su un mondo inatteso. Grigie brume si spostavano lentamente davanti ai primi sforzi dei raggi del sole. Nel cielo a levante si scorgeva un imminente splendore. Una rugiada gelida gli aveva agghiacciato la faccia, e appena desto si raggomitolò meglio nella coperta. Fissò per un momento le foglie sopra di lui: fremevano nella brezza annunciatrice del giorno.

La lontananza era lacerata dal fragoroso rumore della battaglia. In quel suono si esprimeva una persistenza implacabile come se quella non avesse avuto principio né mai dovesse aver fine.

Intorno a lui erano le file e i gruppi di uomini che aveva intravisto la notte prima. Si godevano un ultimo sorso di sonno prima della sveglia. Gli sparuti, disfatti lineamenti e le polverose figure erano illuminati dalla strana luce dell'alba, ma questa vestiva la pelle di tinte cadaveriche e faceva sì che le aggrovigliate membra apparissero esanimi e come morte. Il giovane non trattenne un piccolo grido la prima volta che il suo sguardo percorse quella massa immobile di uomini, densamente sparsi sul terreno, pallidi e in strane posizioni. Nella confusione della sua mente interpretò quella sala della foresta come un carnaio. Per un istante credette di trovarsi nella casa dei morti, e non osò muoversi per timore che quei cadaveri balzassero in piedi gettando grida, stridule o rauche. Tuttavia, nello spazio di un secondo, ricuperò la lucidità. Pronunciò un'elaborata imprecazione all'indirizzo di se stesso: vide che quel fosco quadro non era una realtà del presente, ma soltanto una visione del futuro.

Poi udì, il rumore di un fuoco che scoppiettava allegro nell'aria fredda, voltò la testa e vide il suo amico che si dava un gran da fare intorno a una piccola vampa. Alcune altre figure si muovevano nella nebbia, e udì il secco schianto di colpi di accetta.

Ad un tratto ci fu un sordo brontolio di tamburi. Una tromba lontana cantò fievolmente. Suoni analoghi, di varia intensità, giunsero da vicino e da lontano, per la foresta. Le trombe si chiamavano a vicenda come galli da combattimento in ottone. Vicino rullò il tuono dei tamburi del reggimento.

La massa d'uomini sparsa nei boschi frusciava. Ci fu un generale sollevarsi di teste. Nell'aria irruppe un mormorio di voci e in esso dominavano le note basse di borbottate imprecazioni. Strani dèi si invocavano per deprecare le prime ore del mattino, pur necessarie a una corretta condotta della guerra. Squillò la voce perentoria e tonante di un ufficiale, accelerando i torpidi movimenti dei soldati. Le membra aggrovigliate si districarono. Le facce di colore cadaverico furono nascoste da mani serrate a pugno, lentamente rigirate nelle orbite.

Il giovane si tirò su a sedere e diede libero sfogo a un enorme sbadiglio. «Accidenti!» osservò di malumore. Si fregò gli occhi, e poi alzò una mano per tastare cautamente la fasciatura sopra la ferita. Vedendo che era sveglio, l'amico si staccò dal fuoco. «Henry, amico mio, come ti senti stamane?» gli domandò.

Il giovane sbadigliò di nuovo. Poi strinse la bocca in una piccola smorfia. In verità si sentiva la testa come un melone, e aveva una sgradevole sensazione allo stomaco.

«Oh Dio, piuttosto male,» disse.

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«Accidenti!» esclamò l'altro. «Speravo che stamane ti saresti sentito bene. Vediamo la fasciatura... che non sia scivolata via.» Cominciò a cincischiare maldestramente intorno alla ferita, finché il giovane esplose. «Dannazionel» gridò fortemente irritato, «sei l'uomo più da impiccare che abbia mai veduto! Ma cosa hai sulle mani? Dei guantoni da pugile? Per la miseria, non ti riesce di essere più leggero? Preferirei che ti scostassi e me la pigliassi a fucilate. Ora fa' piano, e non come se stessi inchiodando un tappeto.»

Squadrò con aria di insolente comando l'amico, ma questi rispose in tono cattivante: «Via, su, ora vieni a mangiare un boccone. Dopo, forse, ti sentirai meglio.»

Accanto al fuoco, il soldato dalla voce sonora attese con tenera cura ai bisogni del compagno. Si diede molto da fare disponendo in ordine le nere, vagabonde, tazzine di latta e versandoci dentro, da un secchiello fuligginoso, la fluida miscela color ferro. Aveva un po' di carne cruda, che arrosti alla svelta su uno stecco. Poi si sedette e contemplò con piacere l'appetito del giovane.

Questi rilevò nel compagno un notevole cambiamento rispetto ai giorni dell'accampamento in riva al fiume. Pareva non star più di continuo a considerare le dimensioni del proprio valore. Non si arrabbiava più per paroline che pungessero la sua vanità. Non era più un giovane soldato rumoroso. Ora dalla sua persona spirava un senso di fiducia. Mostrava una fede tranquilla nei suoi propositi e nelle sue capacità. E quella sicurezza interiore evidentemente gli permetteva di essere indifferente ai frizzi diretti a lui da altri soldati.

Il giovane rifletté. Si era abituato a considerare il compagno come un bambino chiassoso la cui audacia nasceva dall'inesperienza, sventato, testardo, geloso, pieno di coraggio da parata. Un bimbo spaccone abituato a pavoneggiarsi davanti all'uscio di casa sua. Il giovane si domandò dove fossero nati quei nuovi occhi; quando il suo compagno avesse fatto la grande scoperta che c'erano molti uomini i quali si sarebbero rifiutati di essere soggiogati da lui. Manifestamente, l'altro aveva ormai scalato una vetta di saggezza dalla quale poteva considerare se stesso come una cosa molto minuscola. E il giovane capì che da allora in poi vivere vicino all'amico sarebbe stato più facile.

Questi posò in bilico sul ginocchio la sua tazza di caffè color ebano. «Be', Henry,» disse, «che probabilità abbiamo, secondo te? Credi che gliele daremo?» Il giovane stette un momento a pensare; poi ebbe l'audacia di rispondere: «L'altro ieri, tu eri pronto a scommettere che le avresti suonate da solo a tutti quanti i ribelli.»

L'amico apparve un tantino sorpreso: «Io?», chiese; poi rifletté: «Beh, forse sì,» decise alla fine, e fissò umilmente il fuoco.

Il giovane rimase assai sconcertato per il modo inatteso in cui era stata accolta la sua osservazione: «Ma no, non è vero,» disse, cercando di fare rapidamente marcia indietro. Ma l'altro fece un gesto di supplica. «Oh, no, non preoccuparti, Henry,» disse. «A quel tempo dovevo essere un bello stupido, credo.» Parlava come se fossero passati degli anni.

Ci fu una breve pausa.«Tutti gli ufficiali dicono che abbiamo chiuso i ribelli in una gabbia bella stretta,» disse l'amico, schiarendosi la

gola senza enfasi. «A quanto pare, pensano tutti che li abbiamo attirati proprio dove volevamo.»«Questo non lo so,» replicò il giovane. «Quel che ho veduto laggiù sulla destra mi fa pensare che fosse proprio

il contrario. Da dove mi trovavo io, pareva che stessimo prendendo una bella batosta, ieri.»«Credi?» domandò l'amico. «Io invece pensavo che ieri gli avessimo dato una bella strapazzatina.»«Macché!» disse il giovane. «Ma allora, diamine, tu non hai visto nulla della battaglia!» D'improvviso gli

venne un pensiero. «Oh! Jim Conklin è morto.»L'amico trasalì: «Come? É morto? Jim Conklin?»Il giovane parlò lentamente: «Sì. É morto. L'hanno preso in un fianco.»«Non me lo dire. Jim Conklin... poveraccio!»Tutto intorno a loro c'erano altri focherelli circondati da soldati con i loro piccoli utensili anneriti. Da un

bivacco vicino giunsero a un tratto le voci aspre di un alterco. Pareva che due agili soldati avessero molestato un compagno grande e grosso e barbuto, facendogli versare del caffè sulle ginocchia. L'uomo era andato su tutte le furie e aveva lanciato una maledizione generale. Punti dal suo linguaggio, i tormentatori si erano subito adirati con lui, facendo largo sfoggio di imprecazioni risentite e ingiuste. Poteva nascerne una zuffa.

L'amico si alzò e si diresse verso di loro, facendo gesti di pace con le braccia: «Ohè, ragazzi, via, a che serve?», disse, «in meno di un'ora saremo alle prese coi ribelli. Che senso ha battersi fra di noi?» Uno dei due soldati agili gli si rivoltò contro, rosso in viso e con violenza. «É inutile che tu venga intorno con le tue prediche. Mi sa che tu ci hai da ridire su quelli che si battono da quando Charly Morgan te le ha suonate; ma in questa faccenda non vedo che cosa c'entri tu o chiunque altro.»

«Niente,» disse con mitezza l'amico. «Però non mi piace vedere... » seguì una disputa intricata.«Ma lui... » dicevano i due, puntando indici accusatori verso il loro avversario.Il soldato grande e grosso era diventato paonazzo per la rabbia. Indicava i due soldati protendendo la sua

manona come un artiglio. «Ma, loro... »Durante il tempo della controversia, sebbene si scambiassero molte parole, la voglia di menar botte parve però

passare. Alla fine l'amico tornò al suo posto. Poco dopo si videro i, tre antagonisti riuniti in amichevole crocchio.«Jimmie Rogers dice che oggi, dopo la battaglia, dovrò battermi con lui,» annunciò l'amico tornando a sedersi.

«Dice che non permette a nessuno di immischiarsi nelle sue faccende. Ma a me non piace vedere i ragazzi battersi fra loro.»

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Il giovane rise. «Sei cambiato parecchio. Non sei più quello che eri. Mi ricordo quella volta che tu e quell'irlandese... » si fermò e rise di nuovo.

«No, allora non ero così,» disse l'amico, pensoso. «Questo è abbastanza vero.»«Be', io non volevo dire... » cominciò il giovane.L'amico fece un altro gesto di supplica: «Oh, non preoccuparti, Henry.»Ci fu un'altra breve pausa.«Il reggimento aveva perduto più della metà degli uomini, ieri,» osservò alla fine l'amico. «Naturalmente

credevo che fossero tutti morti; invece, caspita, sono continuati a tornare per tutta la notte, e così, a quanto sembra, abbiamo avuto poche perdite, in fin dei conti. Gli uomini si erano sparpagliati dappertutto, vagando per i boschi, combattendo con altri reggimenti, e così via. Proprio come hai fatto tu.»

«Davvero?» disse il giovane.

XV

Il reggimento era schierato, armi al piede, sul margine di un viottolo, in attesa dell'ordine di marciare, quando ad un tratto il giovane si ricordò del pacchetto avvolto in una sbiadita busta gialla che il soldato dalla voce sonora gli aveva affidato proferendo lugubri parole. Trasalì. Gli sfuggi un'esclamazione, e si voltò verso il compagno.

«Wilson!»«Che c'è?»L'amico, in riga al suo fianco, fissava pensoso la strada. Quale che fosse il motivo, la sua espressione era in

quel momento mitissima, e il giovane, guardandolo con la coda dell'occhio, si senti indotto a cambiar proposito. «Oh, niente,» disse.

L'amico voltò la testa con una certa sorpresa. «Allora, che volevi dirmi?»«Niente,» ripeté il giovane.Decise di non vibrare il suo piccolo colpo. Il fatto in sé era sufficiente a renderlo felice. Non occorreva colpire

l'amico sulla testa con il pacchetto imprudentemente affidatogli.L'aveva ossessionato una gran paura dell'amico, perché vedeva con quanta facilità le domande potevano far

breccia nei suoi sentimenti. Da poco si era convinto che il compagno, così cambiato, non lo avrebbe tormentato con un'insistente curiosità; era però sicuro che durante il primo periodo di riposo gli avrebbe chiesto di raccontare le avventure del giorno avanti.

Ora si rallegrava di possedere una piccola arma con la quale poteva mettere a terra il compagno ai primi segni di un interrogatorio. Era padrone della situazione. Ora sarebbe stato lui a ridere e a scoccare gli strali dello scherno.

In un momento di debolezza, l'amico aveva parlato della propria morte singhiozzando. Aveva pronunciato una malinconica orazione, come preliminare al proprio funerale, e nel pacchetto di lettere doveva avere donato vari ricordi ai familiari. Ma non era morto, e così si era consegnato nelle mani del giovane.

Questi si sentiva immensamente superiore all'amico, ma era disposto ala condiscendenza. Adottò verso di lui un tono di indulgente buonumore.

Ora il suo orgoglio era completamente reintegrato. All'ombra del suo rigoglioso sviluppo, egli stava piantato saldamente sulle gambe, pieno di fiducia in sé, e poiché nulla ormai si poteva scoprire, non rifuggiva dall'incontro con gli occhi dei giudici e non permetteva che alcuno dei suoi pensieri lo distogliesse da un atteggiamento di virile coraggio. Aveva compiuto i suoi sbagli nel buio, perciò era ancora un uomo.

Anzi, ricordando le sue vicende del giorno prima e guardando ad esse da una certa distanza, cominciò a scorgervi qualcosa di bello. Era autorizzato a darsi importanza, come un veterano.

Rimosse dalla sua visione gli angosciosi affanni del passato. Quanto al presente, dichiarò a se stesso che soltanto i predestinati e i dannati inveivano in buona fede contro le circostanze. Oltre a costoro, chi altri l'aveva mai fatto? Un uomo con lo stomaco pieno e il rispetto dei suoi simili non aveva alcun diritto di protestare contro qualcosa che gli sembrasse ingiusto nelle vie dell'universo, o addirittura in quelle della società. Si lamentino pure gli sfortunati; gli altri possono spassarsela.

Alle battaglie imminenti non dedicò molta riflessione. Nei confronti di esse non era essenziale che egli definisse una propria linea di condotta. Aveva imparato che molte esazioni della vita erano facilmente evitabili. Le lezioni del giorno prima gli avevano insegnato che il castigo era tardivo e cieco. Con quei fatti davanti agli occhi non stimava necessario agitarsi circa le eventualità delle successive ventiquattr'ore. Poteva lasciare molto al caso. Inoltre, era segretamente sbocciata in lui la fede in se stesso. Dentro di lui cresceva un fiorellino di fiducia. Era ormai un uomo esperto. Si era trovato in campo aperto fra i draghi, si disse, e si convinse che non erano così orrendi come li aveva immaginati. E poi non erano infallibili, non mordevano con precisione. Spesso un cuore intrepido li sfidava e, sfidandoli, scampava.

Inoltre, come potevano uccidere colui che era l'eletto degli dei e destinato alla grandezza?Ricordò in che modo alcuni soldati fossero fuggiti dalla battaglia. Richiamando alla mente le loro facce

sconvolte dal terrore, provò per loro del disprezzo. Erano stati certamente più veloci ed eccitati di quanto fosse

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strettamente necessario. Erano dei deboli mortali. Lui invece era fuggito con discrezione e dignità. Lo destò da quella fantasticheria l'amico che, dopo avergli nervosamente girellato intorno per un po', guardando di sottecchi gli alberi, ad un tratto tossi a mo' di introduzione e disse:

«Fleming!»«Che vuoi?»L'amico si portò una mano alla bocca e tossì di nuovo, dimenandosi nella giubba. «Be',» disse alla fine,

deglutendo, «credo che puoi anche restituirmi quelle lettere.» Sangue scuro e formicolante era affluito alle guance e alla fronte, facendolo arrossire.

«D'accordo, Wilson,» disse il giovane. Slacciò due bottoni della giubba, ficcò dentro la mano, e trasse alla luce il pacchetto. Quando lo porse all'amico, la faccia di questi era voltata da un'altra parte.

Ci aveva messo un po' a tirar fuori il pacchetto perché intanto aveva cercato di formulare un commento memorabile sull'incidente; ma non riuscì a trovar nulla di abbastanza efficace. Dovette lasciare che l'amico scampasse col suo pacchetto senza molestie. E di ciò si attribuì considerevole merito. Era un atto generoso.

L'amico al suo fianco pareva soffrire per una grande vergogna. Osservandolo, il giovane sentì il suo cuore farsi più forte e risoluto. Lui non era mai stato costretto ad arrossire in quel modo per le proprie azioni; lui era un individuo di straordinarie virtù.

Rifletté, con indulgente compassione: «Peccato! Peccato! Come deve sentirsi a disagio, poveraccio!»Dopo quell'incidente, e ripassando nella memoria le scene di battaglia che aveva veduto, si sentì pienamente

competente per tornare a casa e infiammare i cuori della gente con racconti di guerra. Si vedeva in una stanza dalle tinte calde a narrare storie agli ascoltatori. Poteva esibire allori. Erano di poco conto; tuttavia, in un distretto dove gli allori erano rari, potevano fare la loro figura.

Vedeva il suo uditorio, a bocca aperta, dipingerselo come la figura di centro in scene fiammeggianti. Si immaginava la costernazione e le esclamazioni della madre e di quella signorina, giù alla scuola, mentre si bevevano i suoi racconti. Sarebbe stata distrutta la vaga formula femminile secondo cui le persone care possono compiere gesta eroiche sul campo di battaglia, ma senza rischio della vita.

XVI

Si udiva sempre un crepitio di fucileria. Poi erano intervenuti nella disputa i cannoni. Nell'aria piena di nebbia le loro voci producevano un rumore attutito. Il rimbombo era continuo. Quella parte di mondo conduceva una strana, bellicosa, esistenza.

Il reggimento del giovane ricevette l'ordine di andare a dare il cambio a un reparto che era rimasto a lungo in umide trincee. Gli uomini presero posizione dietro una linea curva di buche per fucilieri, scavate, come un ampio solco, lungo il margine dei boschi. Davanti avevano una distesa piatta, popolata da ceppi d'albero corti e deformati. Dai boschi più in là arrivava il rumore sordo, scoppiettante, della fucileria degli esploratori e delle sentinelle che sparavano nella nebbia. Dalla destra giungeva un terrificante frastuono.

I soldati si raggomitolarono dietro il basso argine e si sedettero in posizioni comode aspettando il loro turno. Molti volgevano le spalle agli spari. L'amico del giovane si sdraiò, seppellì il volto fra le braccia e quasi subito parve cadere in un sonno profondo.

Il giovane appoggiò il petto contro il terriccio bruno e scrutò prima verso i boschi, poi su e giù lungo la linea. Cortine di alberi interferivano nel suo campo visivo. Non riusciva a vedere la linea bassa delle trincee che per un breve tratto. Alcune bandiere inerti erano piantate sui cumuli di terriccio. Dietro c'erano file di corpi scuri, con qualche testa che sporgeva curiosamente sopra il ciglio.

Dai boschi di fronte e a sinistra arrivava sempre la fucileria degli esploratori; sulla destra il frastuono era cresciuto a proporzioni paurose. I cannoni ruggivano senza un istante di pausa per rifiatare. Pareva che fossero convenuti da tutte le parti e fossero ora impegnati in una stupenda baruffa. Diventò impossibile farsi udire. Il giovane voleva lanciare una battuta una citazione dai giornali. Voleva dire: «La calma regna sul Rappahannock», ma i cannoni impedivano persino un commento sul loro fragore. Non riuscì mai a terminare la frase. Alla fine i cannoni si fermarono, e fra gli uomini nelle buche volarono di nuovo voci, a guisa di uccelli: ora, però, erano in massima parte nere creature che battevano tetramente le ali rasente il suolo, e rifiutavano di innalzarsi in voli di speranza. Le facce degli uomini si fecero meste interpretando i presagi. Giunsero alle loro orecchie racconti di esitazioni e incertezze da parte di coloro che stavano in alto per grado e responsabilità. Nelle loro menti s'impressero storie di disastri, corredate da abbondanti prove. Quel fragore di fucileria sulla destra, crescendo come un genio del suono liberato dal suo ricettacolo, esprimeva e sottolineava la situazione dell'esercito.

Gli uomini erano scorati e cominciavano a mormorare. Facevano gesti che volevano dire: «Che possiamo fare di più?» E si poteva sempre vedere che erano disorientati da quelle che passavano per notizie, e non sapevano rendersi pienamente conto di una sconfitta.

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Prima che i raggi del sole cancellassero del tutto le grigie nebbie, il reggimento marciava in colonna spiegata, ritirandosi con circospezione attraverso i boschi. Talvolta, attraverso macchie e campicelli, si scorgevano le linee disordinate e incalzanti del nemico. Urlavano, striduli ed esultanti.

A quella vista il giovane dimenticò molti dei suoi problemi e fu preso da una gran rabbia. Esplose, dicendo a voce alta: «Perdiana, abbiamo per generali un branco di rimbambiti.»

«Questo l'ha già detto più d'uno, oggi,» osservò un soldato.L'amico, svegliatosi da poco, era ancora molto assonnato. Guardò dietro di sé finché non afferrò il significato

di quello spostamento. Allora sospirò, e «Oh, le abbiamo prese, mi pare,» commentò con tristezza.Il giovane ebbe l'idea che non sarebbe stato bello da parte sua condannare apertamente altri uomini. Fece un

tentativo per frenarsi, ma le parole che aveva sulla lingua erano troppo amare. E diede inizio a un lungo e confuso atto di accusa contro il comandante in capo.

«Forse, non è stata tutta colpa sua... Lui ha fatto meglio che sapeva. É il nostro destino prenderle spesso,» disse l'amico con tono stanco. Camminava a fatica, curvo nelle spalle, gli occhi sfuggenti come di uno che è stato bastonato e preso a calci.

«Ma non combattiamo forse come demoni? Non facciamo tutto ciò che possono fare degli uomini?» disse il giovane a voce alta.

Quando gli uscì dalle labbra, si stupì nel suo intimo di tale sentimento. Per un attimo il suo viso perdette la baldanza, ed egli si guardò intorno con aria colpevole. Ma nessuno contestò il suo diritto a usare parole come quelle, ed egli ritrovò subito la sua aria coraggiosa. Si mise allora a ripetere un'affermazione che la mattina aveva sentito passare da un gruppo all'altro nell'accampamento. «Il generale di brigata ha detto di non aver mai veduto un reggimento di reclute combattere come abbiamo combattuto noi ieri; ha detto così, no? E noi non è che abbiamo fatto meglio di tanti altri reggimenti, no? Be', allora non puoi dire che è colpa dell'esercito.»

Nella risposta, la voce dell'amico suonò severa: «No di certo,» disse.«Nessuno oserà dire che non combattiamo come demoni. Nessuno. Questi ragazzi lottano come galletti da

combattimento. Eppure... eppure, non abbiamo fortuna.»«Ma, allora, se ci battiamo come demoni e non vinciamo mai, la colpa deve essere del generale,» disse il

giovane con enfasi e decisione. «Io non vedo che senso c'è a combattere, combattere, combattere e perdere sempre per colpa di un maledetto vecchio stupido di generale.»

Un soldato sarcastico che arrancava a fianco del giovane, disse allora con indolenza: «Forse, Fleming, tu ti credi di aver combattuto tutta quanta la battaglia, ieri.»

La frase trafisse il giovane. Quelle casuali parole lo ridussero uno straccio. Le gambe segretamente gli tremarono. Gettò un'occhiata spaurita al soldato sarcastico.

«Diamine, no,» si affrettò a dire con voce conciliante, «non credo di aver combattuto tutta quanta la battaglia, ieri.»

Ma l'altro sembrava innocente di qualsiasi seconda intenzione. Evidentemente non sapeva nulla. Era solo un'abitudine, e nello stesso tono di calma derisione replicò con un semplice «oh!».

Il giovane tuttavia si senti minacciato. Alla sua mente ripugnava avvicinarsi al pericolo, e quindi tacque. Il significato attribuito alle parole del soldato sarcastico gli fece andar via ogni voglia di farsi sentire, poiché ciò voleva dire farsi notare. Diventò improvvisamente una persona modesta.

I soldati parlavano a voce bassa. Gli ufficiali erano impazienti e irascibili, coi visi rannuvolati per tutti quei discorsi sulla cattiva sorte. La truppa, filtrando attraverso la foresta, era di umore tetro. A un certo punto nella compagnia del giovane echeggiò una risata. Una dozzina di soldati voltarono subito il viso verso il responsabile e aggrottarono le ciglia, vagamente corrucciati.

Il rumore degli spari seguiva i loro passi. A tratti pareva allontanarsi un poco, ma poi ritornava sempre con accresciuta arroganza. Gli uomini brontolavano e imprecavano, gettando torvi sguardi nella sua direzione.

In uno spazio sgombro le truppe ricevettero finalmente l'ordine di fare alt. Reggimenti e brigate, spezzettati e separati dall'incontro con la boscaglia, si ricostituirono, e le linee fronteggiarono il latrato inseguitore della fanteria nemica.

Quel rumore, incalzante come l'urlo di avidi cani metallici, crebbe a esplosione gioiosa, e poi, mentre il sole saliva sereno per il cielo gettando raggi di luce entro le selve oscure, si dilatò a scroscio prolungato. I boschi cominciarono a crepitare come se avessero preso fuoco.

«Per la miseria,» disse un soldato, «ci siamo! Tutti a combattere. Sangue e distruzione.»«Ci avrei scommesso che attaccavano non appena il sole fosse abbastanza alto,» affermò esasperato il tenente

che comandava la compagnia del giovane. Si tirò senza pietà i baffetti. Andava con cupa dignità a grandi passi su e giù dietro i suoi uomini, sdraiati dietro qualsiasi riparo fossero riusciti a mettere insieme.

Una batteria era accorsa a prender posizione alle loro spalle, e bombardava con ponderazione la lontananza. Il reggimento, sino allora non molestato, aspettava il momento in cui le grigie ombre dei boschi di fronte sarebbero state sferzate da strisce di fuoco. I fanti facevano un gran brontolare e imprecare.

«Dio buono,» si lagnò il giovane, «siamo sempre rincorsi di qua e di là come topi! Mi vien la nausea. Dove andiamo o perché nessuno sembra saperlo. Ci sbattono da un posto all'altro, e le prendiamo qui e le prendiamo là, e nessuno sa a che scopo. Uno finisce per sentirsi come un gatto chiuso in un sacco. Ora, comunque, mi piacerebbe sapere

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perché diavolo ci hanno fatto marciare dentro questi boschi, se non per permettere ai ribelli di fare il tiro a segno su di noi. Siamo venuti qui in mezzo, a impigliarci le gambe in quei maledetti rovi, e poi quando ci mettiamo a combattere, i ribelli se la cavano senza danni. Non dirmi che è solo questione di fortuna! Io la so più lunga. É quel maledetto vecchio... ».

L'amico sembrava sfinito, ma interruppe il compagno con una voce in cui risuonava una tranquilla fiducia. «Alla fine tutto andrà a posto,» disse.

«Sì, a posto un corno! Tu parli sempre come un parroco rompiscatole. Ma non dirlo a me. Io la so... »A questo punto ci fu un intervento del tenente dall'animo esasperato, che si senti costretto a sfogare un po'del

suo intimo malcontento sui suoi uomini. «Ragazzi, ora fatela finita! Non c'è nessun bisogno che sprechiate il fiato in discussioni senza capo né coda su questo, su quello e su quell'altro. Finora avete cianciato come un branco di vecchie galline. Voi dovete solo combattere, e fra circa dieci minuti ce ne avrete in abbondanza. Meno discorrere e più combattere è quel che ci vuole per voi. Non ho mai visto tanti somari ciancianti.»

Fece una pausa, pronto ad avventarsi su chiunque avesse la temerarietà di replicare. Siccome nessuno proferì parola, riprese il suo dignitoso passeggio.

«In questa guerra, comunque, c'è troppe chiacchiere e troppo poco combattere,» disse ai soldati, voltando la testa per l'osservazione finale.

Il giorno si era fatto più chiaro, finché il sole sparse sulla foresta gremita il suo pieno fulgore. Verso quel tratto di linea dove si trovava il reggimento del giovane arrivò impetuosa una raffica di battaglia. Il fronte si spostò di un'inezia per riceverla frontalmente. Ci fu un'attesa. In quel settore del campo trascorsero lentamente gli intensi momenti che precedono la tempesta.

Una fucilata solitaria lampeggiò in un boschetto davanti al reggimento. In un istante la seguirono molte altre. Fu un canto poderoso di scoppi e scrosci che passò travolgente per i boschi. Dietro, i cannoni, svegliati e irritati da granate lanciate contro di loro come lappole, si impegnarono repentinamente in un tremendo alterco con un'altra banda di cannoni. Il ruggito della battaglia si stabilizzò in un rombo tuonante, che era un'unica lunga esplosione.

V'era nel reggimento una particolare specie di esitazione, rivelata dalle pose degli uomini. Erano disfatti, esausti, avendo dormito poco e faticato molto. In attesa dell'urto, roteavano gli occhi verso la battaglia che avanzava. Alcuni si ritraevano, si facevano piccoli, ma restavano al loro posto come uomini legati a pali.

XVII

Quell'avanzata del nemico era sembrata al giovane una specie di caccia spietata. Egli cominciò a smaniare per la rabbia e l'esasperazione. Batté un piede in terra, e con odio aggrottò le ciglia verso il fumo turbinante che si avvicinava come uno spettrale diluvio. Vi era qualcosa di esasperante in quell'evidente decisione del nemico di non dargli pace, di non dargli il tempo di sedersi e meditare. Ieri aveva combattuto ed era fuggito rapidamente. Aveva avuto molte avventure. Per oggi sentiva di essersi meritato la possibilità di un riposo contemplativo. Gli sarebbe piaciuto molto stare a descrivere ad ascoltatori non iniziati varie scene di cui era stato testimonio, o discutere da competente le operazioni di guerra con altri uomini esperti di essa. Era anche essenziale poter avere un po' di tempo per il ricupero fisico. Era dolorante e intorpidito per ciò che aveva sperimentato. Aveva avuto la sua razione di sforzi, e ora voleva riposare.

Invece quegli altri parevano non stancarsi mai; combattevano sempre con la solita irruenza. Provava un odio selvaggio per quel nemico implacabile. Ieri, quando s'era immaginato di averlo contro di sé, aveva odiato l'universo con tutti i suoi dèi, piccoli e grandi; oggi odiava con lo stesso odio smisurato l'esercito nemico. Non intendeva, si disse, essere molestato come un gattino inseguito dai monelli. Non era bene spingere gli uomini all'esasperazione; in momenti del genere tutti potevano sviluppare denti e artigli.

Si piegò per parlare all'orecchio dell'amico. Minacciò i boschi con un gesto. «Se continuano a darci la caccia, perdio, faranno bene a stare attenti... C'è un limite alla sopportazione.»

L'amico storse il capo e diede una calma risposta: «Se continuano a ricacciarci, ci manderanno tutti nel fiume.»A tale asserzione il giovane lasciò andare un grido selvaggio. Si rannicchiò dietro un arbusto, con gli occhi

ardenti d'odio e i denti digrignanti in un ringhio da cane randagio. Intorno alla testa aveva ancora la rozza fasciatura, e su di essa, in corrispondenza della ferita, c'era una macchia di sangue secco. I capelli erano pittorescamente arruffati, e alcuni sparsi riccioli ribelli ricadevano sopra la tela della fasciatura, verso la fronte. La giubba e la camicia, aperte sulla gola, lasciavano scoperto il giovane collo abbronzato. Si vedeva la gola deglutire spasmodicamente.

Le dita si attorcevano nervose intorno al fucile. Avrebbe voluto che esso fosse un ordigno dalla potenza annientatrice. Senti che lui e i suoi compagni venivano insultati e derisi per la sincera convinzione che erano poveri e piccini. Il sapere di non poter vendicarsi di ciò trasformò la sua rabbia in uno spettro cupo e violento che si impossessò di lui, facendogli sognare crudeltà abominevoli. I tormentatori erano mosche che gli succhiavano con insolenza il sangue; pensò che avrebbe dato la vita per una rivincita, per vedere quei volti in condizioni pietose.

I venti della battaglia avevano imperversato tutto intorno al reggimento, finché una fucilata, subito seguita da altre, lampeggiò sul fronte opposto. Un momento dopo il reggimento fece rimbombare la sua risposta, repentina e

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animosa. Lentamente calò una densa parete di fumo. La fendevano e la sferzavano furibonde le coltellate di fuoco che uscivano dai fucili.

Per il giovane i combattenti somigliavano ad animali gettati in un pozzo buio per una lotta mortale. Ebbe la sensazione che lui e i suoi compagni, allo stremo, stessero respingendo senza posa violenti assalti di esseri viscidi. I loro bagliori cremisi parevano non far presa sui corpi dei nemici; questi ultimi sembravano evitarli agevolmente, e muoversi di qua, di là, in mezzo ad essi, con abilità incontrastata. Quando, come in sogno, gli venne in mente che il suo fucile era un bastone impotente, il giovane perdette il senso di tutto, tranne l'odio, la voglia di ridurre a poltiglia lo scintillante sorriso di vittoria che sentiva sul volto dei nemici.

La linea blu inghiottita dal fumo si increspava e si contorceva come un serpe calpestato. Dibatteva le sue estremità avanti e indietro in un parossismo di paura e di rabbia.

Il giovane non si rendeva conto di essere ritto in piedi.Non conosceva la pendenza del terreno e, infatti, una volta perdette persino l'equilibrio e cadde pesantemente.

Si rialzò subito. Un pensiero attraversò allora il caos del suo cervello. Si domandò se era caduto perché colpito. Ma il sospetto si dileguò subito. Non ci pensò più.

Aveva preso posizione in prima fila dietro l'arbusto, con la risoluta decisione di mantenerla contro il mondo intero. Non aveva giudicato possibile che il suo esercito avesse fortuna quel giorno, e proprio per questo sentiva la capacità di combattere più strenuamente. Ma la turba si era levata da ogni parte, come un'onda, finché egli perse l'orientamento e il senso della posizione. Sapeva solo dove si trovava il nemico.

Le fiamme lo mordevano, il fumo caldo gli arrostiva la pelle. La canna del suo fucile si scaldò a tal segno che, in condizioni normali, non sarebbe stato capace di tenerla in mano; invece continuò a infilarvi cartucce e a ficcarle giù con la bacchetta che flettendosi dava un suono metallico. Se mirava attraverso il fumo a qualche forma mutevole, premeva il grilletto con un grugnito feroce, come se stesse assestando un pugno con tutta la sua forza.

Quando il nemico parve ripiegare davanti a lui e ai suoi compagni, subito si lanciò avanti, come un cane che, vedendo restare indietro i suoi nemici, si volta e insiste perché lo inseguano. E quando fu costretto a ritirarsi di nuovo, lo fece con lentezza, cupo in volto, muovendo i passi con sdegnata disperazione.

A un certo punto, nel suo odio accanito, rimase quasi solo, e sparava ancora quando tutti quelli che gli erario vicini avevano smesso. Era così assorto nella sua occupazione, che non si era accorto di una pausa.

Fu richiamato alla realtà da una risata rauca e da una frase che giunse alle sue orecchie pronunciata in un tono di disprezzo misto a stupore: «Scemo della malora, non sei capace di smetterla quando non c'è più niente contro cui sparare? Dio buono!»

Allora si girò e, restando col fucile in semi-posizione, guardò la linea blu dei compagni. Durante quel momento di tregua parevano tutti impegnati a fissarlo attoniti. Erano diventati spettatori. Voltandosi di nuovo verso il fronte, sotto il fumo che si era alzato, il giovane vide un terreno deserto.

Per il momento apparve disorientato. Poi sulla vitrea vacuità dei suoi occhi brillò una punta adamantina d'intelligenza. «Oh,» disse, comprendendo.

Tornò fra i suoi compagni e si gettò per terra, abbandonandosi come un uomo che sia stato percosso. Gli pareva di avere la carne in fiamme, nelle orecchie continuavano i rumori della battaglia. Cercò a tastoni la borraccia.

Il tenente esultava. Sembrava inebriato dal combattimento. Al giovane gridò: «Per tutti i cieli, se avessi diecimila gatti selvatici come te, strapperei le budella a questa guerra in meno d'una settimana!» E così dicendo gonfiò il petto in fuori con ampollosa dignità.

Alcuni soldati borbottavano e guardavano il giovane quasi con soggezione. Era evidente che mentre lui aveva continuato a caricare, sparare, imprecare senza la debita intermissione, essi avevano avuto tutto il tempo per osservarlo. E ora lo consideravano un demonio della guerra.

L'amico gli si avvicinò esitando. Nella sua voce c'erano terrore e sgomento. «Ti senti bene, Fleming? Ti senti bene davvero? Non è che hai qualcosa, Henry?»

«No,» spiccicò il giovane con difficoltà. Gli pareva di avere la gola piena di escrescenze e nodosità.Quegli incidenti lo fecero meditare. Gli rivelarono che era stato un barbaro, una belva. Aveva combattuto come

un pagano che difende la sua religione. Considerando le cose, vide che era bello, eccitante, e, in certo modo, facile. Senza dubbio, egli era stato una figura straordinaria. Nella lotta aveva superato ostacoli da lui prima considerati montagne. Erano caduti come cime di carta, e adesso egli era ciò che chiamava un eroe. E non si era reso conto del processo. Aveva dormito e al risveglio si era trovato cavaliere.

Giaceva, crogiolandosi nelle occhiate occasionali dei compagni. Il grado di nerezza delle loro facce variava secondo la quantità di polvere sparata: alcune erano completamente affumicate. Gli uomini puzzavano di sudore, il loro respiro usciva a fatica e ansante. E da quelle sudice distese lo scrutavano intenti.

«Un capolavoro! Un capolavoro!» gridò come in delirio il tenente. Passeggiava su e giù, irrequieto, impaziente. Talvolta la sua voce echeggiava in una feroce, incomprensibile risata.

Quando gli veniva un'idea particolarmente profonda sull'arte della guerra, si rivolgeva sempre istintivamerìte al giovane. Fra i soldati si sparse un po' di sinistra esultanza.

«Per tutti i fulmini, scommetto che quest'esercito non vedrà mai un altro reggimento di reclute come il nostro!»«Ci puoi scommettere:‹Un cane, un noce e una donna, più li batti, e meglio fanno! › Lo stesso è per noi.»

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«Hanno perduto un mucchio di uomini, loro. Una vecchia che venisse a spazzare i boschi, ci riempirebbe una pattumiera.»

«Sì, e se torna fra un'oretta, ne raccoglie un altro mucchio.»La foresta portava ancora il suo fardello di rumori. Da lontano, sotto gli alberi, arrivava il crepitio

tambureggiante della fucileria. Ogni macchia lontana sembrava uno strano porcospino con aculei di fiamma. Una nuvola di fumo scuro, come da rovine sotto le quali cova il fuoco, saliva verso il sole ora splendente e gaio nel cielo azzurro, di smalto.

XVIII

La linea sfilacciata ebbe respiro per qualche minuto, ma durante quella pausa si intensificò la battaglia nella foresta finché gli alberi parvero fremere per le scariche, e il suolo tremare sotto l'impeto dei soldati. Le voci dei cannoni si mescolavano in una lunga interminabile contesa. Sembrava difficile vivere in un'atmosfera simile. I petti degli uomini anelavano a un po' di frescura, le loro gole imploravano acqua.

Uno che aveva avuto il corpo trapassato, levò un grido di disperato lamento quando sopravvenne quella calma. Forse aveva invocato aiuto anche durante la battaglia, ma allora nessuno lo aveva udito. Ora invece i soldati si voltarono ai pietosi gemiti del compagno steso al suolo.

«Chi è? Chi è?»«É Jimmie Rogers. Jimmie Rogers.»Non appena i loro sguardi lo scorsero, tutti si fermarono di colpo, come se temessero di avvicinarsi. Il ferito si

dibatteva nell'erba, torcendo in molte strane pose il corpo percorso da brividi. Gettava alte grida. Quell'istante di esitazione parve riempirlo di un tremendo, immenso disprezzo, e lui li maledisse con stridule frasi.

L'amico del giovane si era fatto un'illusione topografica circa un ruscello e ottenne il permesso di andare in cerca d'acqua. Subito piovvero su di lui borracce. «Riempi anche la mia, eh?» «Portane un po' anche a me.» «E anche a me.» Partì carico. Il giovane accompagnò l'amico, sentendo una gran voglia di gettare nel ruscello il corpo accaldato e, stando a mollo, bere a volontà.

Fecero una concitata ricerca del presunto corso d'acqua, ma non lo trovarono. «Qui d'acqua non ce n'è,» disse il giovane. Si voltarono senza indugio e presero a tornare sui loro passi.

Guardando di nuovo verso il luogo del combattimento da dove si trovavano, poterono naturalmente capire molto di più della battaglia che non quando la loro visuale era offuscata dal fumo turbinante del fronte. Videro distese scure che serpeggiavano per la campagna; in una radura vi era una fila di cannoni che producevano nuvole grigie, riempite da ampi baleni di fiamme arancione. Dal fogliame spuntava il tetto d'una casa. Una finestra che ardeva di un intenso rosso sangue brillava nitida tra le foglie. Dall'edificio saliva perdendosi nel cielo un'alta torre pendente di fumo.

Scorrendo con lo sguardo le schiere dei loro, videro masse confuse assumere poco a poco forma regolare. Il sole traeva barbargli dall'acciaio lucente. In secondo piano si intravvedeva una strada lontana che descriveva una curva sopra un declivio. Era piena di fanteria in ritirata. Da tutta l'intricata foresta saliva il fumo e il fragore della battaglia. Nell'aria echeggiavano sempre squilli di tromba.

Vicino a dove si erano fermati, giostravano e fischiettavano le granate. Di tanto in tanto ronzavano nell'aria pallottole che affondavano nei tronchi d'albero. Feriti e sbandati se la battevano attraverso i boschi.

Guardando giù per una navata della macchia, il giovane e il suo compagno videro un generale bisbetico e il suo stato maggiore che per poco non passavano sopra un ferito che si trascinava carponi. Il generale tirò energicamente il morso nella bocca aperta e schiumante del suo destriero, e lo guidò con abilità di esperto cavaliere schivando il ferito. Questi sgattaiolò con frenetica ed angosciata celerità. Quando raggiunse un posto sicuro, dovettero mancargli le forze: gli venne improvvisamente meno un braccio ed egli cadde, scivolando sul dorso. Rimase disteso, e respirava lieve.

Un momento dopo, la piccola, scricchiolante cavalcata era proprio di fronte ai due soldati. Un altro ufficiale, che cavalcava con la sprezzatura del cowboy, arrivò di galoppo e fermò il cavallo di fronte al generale. Inosservati, i due soldati di fanteria fecero finta di proseguire, ma si indugiarono nei pressi per ascoltare di nascosto la conversazione. Forse, pensarono, sarebbero state dette cose segrete, di grande importanza storica.

Il generale, che i due giovani conoscevano come il comandante della loro divisione, guardò l'altro ufficiale e parlò freddamente, come se stesse criticando la sua uniforme. «Laggiù,» disse «il nemico si prepara per un altro assalto.

Sarà diretto contro Whiterside, e temo che sfonderanno se non ce la mettiamo tutta per fermarli.»L'altro imprecò al suo cavallo recalcitrante, poi si schiarì la gola. Fece un gesto verso il berretto. «Costerà

tremendamente caro fermarli,» disse conciso.«Lo ritengo anch'io,» osservò il generale. Poi si mise a parlare rapidamente in tono più basso. Illustrava spesso

le sue parole indicando col dito. I due fanti non riuscirono a udire nulla, finché da ultimo il generale non domandò: «Di quali truppe può fare a meno?»

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L'ufficiale che cavalcava come un cowboy rifletté per un momento. «Be',» disse, «ho dovuto far entrare il 12° in aiuto del 76°, e in realtà non ho altro. Ma c'è il 304°. Combattono come una banda di mulattieri. Di quelli posso fare a meno meglio che di qualsiasi altro.»

Il giovane e il suo amico si scambiarono sguardi attoniti.Il generale parlò chiaro: «Li tenga pronti, allora. Io da qui osserverò gli sviluppi e le farò sapere quando dovrà

impiegarli. Sarà fra cinque minuti.»Mentre l'altro ufficiale portava le dita al berretto e, fatto girare il cavallo, partiva di galoppo, il generale gli

gridò con voce pacata: «Non credo che molti dei suoi mulattieri torneranno indietro.»L'altro gridò qualcosa in risposta, e il generale sorrise.Con facce spaventate il giovane e il suo compagno tornarono di volata alla loro linea.Questi avvenimenti avevano occupato un tempo incredibilmente breve, eppure il giovane sentì che essi lo

avevano fatto invecchiare. Aveva acquisito nuovi occhi. E la cosa più stupefacente era di apprendere a un tratto che egli era assolutamente insignificante. L'ufficiale aveva parlato del reggimento come se avesse in mente una scopa. Qualche parte dei boschi aveva forse bisogno di essere spazzata, e quello si limitava a indicare una scopa in un tono di naturale indifferenza per la sorte di essa. Era la guerra, certo, però la cosa appariva strana.

Mentre i due si avvicinavano alla linea, il tenente li scorse e si gonfiò di collera. «Fleming... Wilson... ma quanto vi ci vuole per prendere dell'acqua... dove siete stati?»

La sua eloquenza cessò quando vide i loro occhi, grandi per importanti notizie. «Andiamo all'assalto... andiamo all'assalto!» gridò l'amico del giovane, affrettandosi a dare l'annuncio. «All'assalto?» ripeté il tenente. «All'assalto? Bene, perdio! Questo si che è combattere!» Sul suo viso sporco apparve un sorriso da spaccone: «Un assalto? Bene, perdio!»

Un gruppetto di soldati circondò i due giovani. «É sicuro che tocca a noi? Mi prendesse un colpo! All'assalto? Per che cosa? Contro chi? Wilson, tu conti frottole!»

«Che possa morire,» disse l'amico del giovane, intonando le sue parole in chiave di irata protesta. «É sicuro, vi dico, come è vero che mi chiamo Wilson.» E il giovane parlò di rincalzo: «Potessi perdere la vista, non racconta storie. Li abbiamo sentiti discorrere.»

A breve distanza da loro, notarono due figure a cavallo. Una era il colonnello del reggimento; l'altra, l'ufficiale che aveva ricevuto ordini dal comandante della divisione. Gesticolavano l'uno contro l'altro. I soldati, additandoli, interpretarono la scena.

Solo un uomo ebbe un'ultima obiezione: «Come avete fatto a sentirli discorrere?» Ma gli altri, in gran parte, assentivano, riconoscendo che i due amici avevano detto la verità.

Si rimisero in posizioni comode, con l'aria di avere accettato la cosa. E meditarono su di essa, con sui volti cento diverse espressioni. Era una questione che assorbiva l'attenzione a pensarci su. Molti si strinsero per bene le cinture e si tirarono su i calzoni.

Un momento dopo gli ufficiali cominciarono ad agitarsi fra i soldati, spingendoli a formare una massa più compatta, ad osservare un migliore allineamento. Scacciarono gli sbandati e se la presero con alcuni che col loro atteggiamento parevano mostrare di avere deciso di rimanere in quel posto. Sembravano pastori assennati alle prese con le pecore.

Ora il reggimento parve tirarsi su e dare un profondo respiro. Nessun viso era specchio di grandi pensieri. I soldati erano tesi e curvi come velocisti prima del segnale. Molte paia di occhi lucenti fissavano da visi anneriti le cortine dei boschi più profondi. Parevano impegnati in sottili calcoli di tempo e di distanza.

Li circondavano i rumori della mostruosa disputa fra i due eserciti. Il mondo era assorto in altre cose. Evidentemente, il reggimento doveva sbrigarsela per conto suo.

Il giovane si volse per lanciare una rapida occhiata interrogativa all'amico. Questi lo ricambiò con uno sguardo analogo. Erano gli unici a possedere una conoscenza segreta. «Mulattieri... costerà tremendamente caro... non credo che torneranno in molti». Era un segreto ironico. Eppure nessuno dei due scorse alcuna esitazione nel volto dell'altro, e con la testa fecero un muto, rassegnato cenno di assenso quando un irsuto soldato vicino a loro disse con voce mansueta: «Saremo ingoiati.»

XIX

Il giovane fissava davanti a sé la campagna, nel cui fogliame ora parevano nascondersi orride potenze. Non ebbe coscienza del meccanismo di ordini che dette il via all'assalto, sebbene con la coda dell'occhio vedesse arrivare a galoppo, agitando il cappello, un ufficiale che in sella pareva un ragazzino. Di colpo sentì fra gli uomini un tendersi, un palpitare. La linea si riversò lentamente in avanti come un muro che crolla e, con una specie di rantolo che voleva essere un evviva, il reggimento cominciò il suo viaggio. Per un momento il giovane fu sospinto e sballottato, ma appena si rese conto del movimento, si gettò subito avanti e prese a correre.

Concentrò lo sguardo su un lontano e cospicuo gruppo d'alberi dove, aveva concluso, bisognava affrontare il nemico, e corse verso di esso come verso un traguardo. Aveva sempre creduto che si trattasse semplicemente di

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liberarsi di una faccenda sgradevole il più presto possibile, e corse alla disperata, come se fosse inseguito per un omicidio. Aveva la faccia dura e tesa nello sforzo, gli occhi fissi in uno sguardo truce. E con la divisa sporca e in disordine, col volto rosso, acceso, coronato dal sudicio cencio macchiato di sangue, con il fucile che oscillava freneticamente, con l'equipaggiamento che gli sbatteva addosso, era l'immagine di un soldato impazzito.

Quando dalla sua posizione il reggimento arrivò su un tratto di terreno scoperto, i boschi e le macchie di fronte si svegliarono. Fiamme gialle guizzarono incontro ad esso da più parti. La foresta sollevava una tremenda obiezione.

Per un attimo la linea ondeggiò, pur mantenendo l'allineamento. Poi l'ala destra si spinse avanti; a sua volta fu sorpassata dall'ala sinistra. Quindi fu il centro a prendere di gran carriera la testa finché il reggimento diventò una massa a forma di cuneo; ma un istante dopo l'opposizione dei cespugli, degli alberi, delle irregolarità del terreno smembrò il reparto sparpagliandolo in grumi separati.

Il giovane, agile e veloce, si trovò senza accorgersene avanti agli altri. I suoi occhi non perdevano di vista il gruppo d'alberi. In prossimità di esso si udiva da ogni parte l'urlo tribale del nemico, di là guizzavano le vampate brevi delle fucilate. Il canto delle pallottole era nell'aria e le granate ringhiavano fra le cime degli alberi. Una cadde proprio in mezzo a un gruppo che correva, ed esplose con rosso furore. Per un attimo ci fu lo spettacolo di un uomo che, quasi sopra di essa, portava le mani al viso per proteggersi gli occhi.

Altri soldati, trapassati dalle pallottole, caddero in grottesche agonie. Il reggimento si lasciava dietro una traccia continua di corpi.

Erano passati in un'atmosfera più limpida. Il nuovo apparire del paesaggio ebbe l'effetto di una rivelazione. Distinsero alcuni uomini che lavoravano febbrilmente a una batteria, e le linee della fanteria nemica erano incorniciate da grigie pareti e frange di fumo.

Pareva al giovane di vedere ogni cosa. Ogni filo di erba verde era nitido e distinto. Pensò di riuscire a percepire ogni mutamento nel sottile, diafano vapore che fluttuava in pigri strati. I tronchi bruni o grigi degli alberi mostravano ogni ruvidezza delle loro superfici. E gli uomini del reggimento, con gli occhi sbarrati, con le facce sudate, che correvano all'impazzata o cadevano, come se fossero stati gettati a capofitto, a formare bizzarri mucchi di cadaveri tutto abbracciava il suo sguardo. La sua mente ricevette un'impressione meccanica ma salda, cosicché più tardi tutto gli restò illustrato e spiegato, salvo perché lui si trovasse là.

Ma quel furioso assalto aveva prodotto una specie di frenesia. Lanciandosi avanti come forsennati, gli uomini erano esplosi in evviva tumultuosi e barbarici, intonati tuttavia in strane chiavi, capaci di scuotere gli ottusi e gli stoici. Ciò suscitò un entusiasmo pazzesco che, sembrava, non avrebbe potuto frenarsi nemmeno davanti al granito e al metallo. Si manifestò quel delirio che affronta la disperazione e la morte senza tener conto di nulla, cieco alle probabilità di successo. É una temporanea ma sublime assenza di egoismo. E poiché era di tale specie, fu forse la causa per cui più tardi il giovane si domandò quali motivi potesse aver avuto per trovarsi colà.

Presto l'andatura fiaccante consumò le energie degli uomini. Come per un accordo, quelli davanti cominciarono a rallentare. Le salve dirette contro di loro avevano avuto un effetto come di raffiche di vento. Il reggimento sbuffava e ansimava. In mezzo ad alcuni alberi indifferenti prese a vacillare ed esitare. Con occhi intenti i soldati cominciarono ad aspettare che qualcuna delle lontane cortine di fumo si muovesse, schiudendo loro la scena. Esaurita gran parte delle loro forze e del loro fiato, tornarono alla cautela. Erano ridiventati uomini.

Il giovane aveva la vaga sensazione di avere corso per miglia e pensava, in un certo senso, di trovarsi ora in una terra nuova e sconosciuta.

Nel momento in cui il reggimento cessò di avanzare, la fucileria che fino allora aveva crepitato come per protesta diventò un ruggito continuo. Si diffusero lunghe e nette frange di fumo. Dalla cima di una collinetta provenivano regolari eruzioni di fiamme gialle che producevano nell'aria sibili inumani.

I soldati, ormai fermi, ebbero modo di vedere alcuni dei loro compagni cadere gemendo o gridando. Alcuni giacquero fra i loro piedi, immobili, o ancora lamentandosi. Per un istante gli uomini rimasero coi fucili inerti fra le mani, a osservare il reggimento che si assottigliava. Parevano stupefatti, intontiti. Quello spettacolo sembrava paralizzarli, sopraffarli con un fascino fatale. Fissavano stolidamente il paesaggio e, abbassando gli occhi, si guardavano l'un l'altro in viso. Fu una strana pausa, e uno strano silenzio.

Poi, sopra i rumori della confusione circostante, si levò l'urlo del tenente che a un tratto fece un passo avanti, i lineamenti infantili neri di collera.

«Avanti, idioti,» muggì. «Avanti! Non potete fermarvi qui. Dovete avanzare.» Disse anche altro, ma molto non si poté capire.

Si lanciò rapido in avanti, con la testa rivolta verso i suoi uomini. «Avanti!» gridava. Gli uomini lo fissavano con occhi inespressivi da bifolco. Fu costretto a fermarsi e a tornare indietro. Ristette allora volgendo le spalle al nemico e scagliò sulle facce dei soldati imprecazioni colossali. Tutto il suo corpo vibrava per il peso e la forza di esse. Infilava bestemmie con la facilità con cui una fanciulla infila perline.

L'amico del giovane si riscosse. Si slanciò improvvisamente in avanti e, lasciandosi cadere in ginocchio, sparò un colpo rabbioso contro i boschi ostinati. Quel gesto svegliò gli uomini. Non si accalcarono più come pecore. Parvero ad un tratto ricordarsi delle loro armi, e cominciarono subito a sparare. Pungolati dagli ufficiali, presero ad avanzare. Come un carro impigliato nella mota o nella calca, il reggimento si mosse sussultando con molte scosse e strappi. I soldati ora si fermavano ogni pochi passi per sparare e ricaricare, e in tal modo avanzavano lentamente da un gruppo d'alberi all'altro.

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La resistenza a fuoco sul loro fronte crebbe col loro avanzare finché parve che ogni progresso fosse impedito dalle sottili lingue guizzanti, e a volte lontano sulla destra, si intravvedeva una minacciosa manovra. Il fumo prodotto di recente formava nubi confuse che rendevano difficile al reggimento procedere con cognizioni di causa. Ogni volta che attraversava un ammasso di spire il giovane si chiedeva che cosa avrebbe incontrato dall'altra parte.

Il reparto avanzò penosamente fino a uno spazio aperto che si stendeva fra loro e le linee rosseggianti. Là gli uomini, accovacciati e acquattati dietro alcuni alberi, si aggrapparono disperatamente come se li minacciasse un'ondata. Apparivano stralunati, e come sorpresi del furibondo tumulto che avevano suscitato. In quella bufera c'era una ironica espressione della loro importanza. Anche le facce mostravano che, in certo senso, essi non si sentivano responsabili del fatto di trovarsi là. Era come se vi fossero stati spinti. Era la congenita, animale, incapacità di ricordare nei momenti supremi le cause che producono i vari caratteri accidentali. Tutta la faccenda pareva incomprensibile a molti di loro.

Mentre così sostavano, il tenente ricominciò a sbraitare con accenti profani. Noncurante delle vendicative minacce delle pallottole, andava intorno distribuendo blandizie, rimproveri, maledizioni. Le sue labbra, di solito modellate in una delicata curva infantile, ora fremevano in empie contorsioni. Bestemmiò ogni possibile divinità.

A un certo punto afferrò il giovane per un braccio. «Avanti, testone!» gli urlò. «Via! Ci ammazzeranno tutti se restiamo qui. Dobbiamo solo traversare quel pezzo di terra. E poi... » Il resto della sua idea svanì in una azzurra nebbia di maledizioni.

Il giovane stese un braccio «Traversare là?» La sua bocca era contratta nel dubbio e nello sgomento.«Sicuro, solo quel pezzo là! Qui non possiamo fermarci,» urlò il tenente. Sporse il viso verso il giovane, agitò

la mano bendata. «Avanti, via!» Quindi lo abbrancò come per un incontro di lotta. Fu come se avesse in animo di trascinarlo all'assalto per un orecchio.

Il soldato senti una improvvisa, indicibile indignazione contro il suo ufficiale. Diede uno strattone e si liberò di lui. «Venga avanti anche lei, allora,» gridò, e nella sua voce c'era una sfida animosa.

Insieme percorsero rapidamente il fronte del reggimento, mentre dietro a loro arrancava l'amico. Davanti alla bandiera i tre uomini si misero a vociare. «Avanti! avanti!» Danzavano e giravano su se stessi come selvaggi torturati.

Obbediente a quegli appelli, la bandiera piegò verso di loro la sua forma scintillante. Per un momento gli uomini tentennarono indecisi; poi, con un lungo grido di dolore, il consunto reggimento rifluì in avanti e iniziò il suo nuovo viaggio.

La massa sgambettante si inoltrò nel campo. Era una manciata di uomini schizzata in faccia al nemico, e incontro ad essa guizzarono all'istante le lingue gialle. Davanti ai soldati si addensò una gran quantità di fumo azzurro. Un frastuono possente rendeva inutili le orecchie. Il giovane corse come un pazzo per raggiungere i boschi prima che potesse scoprirlo una pallottola. Teneva la testa bassa come un giocatore di foot-ball. Nell'impeto quasi gli si chiudevano gli occhi, e lo scenario fu per lui un'apparizione sfocata. Agli angoli della bocca gli vibrava della saliva.

Mentre si scagliava avanti, nacque dentro di lui un amore, una tenerezza disperata per quella bandiera che aveva vicino. Era una creazione di bellezza e di invulnerabilità. Era una dea radiosa, che curvava la sua figura verso di lui con gesto imperativo. Era una donna, rossa e bianca, che odiava e amava, che lo chiamava can la voce delle sue speranze. Poiché nessun male poteva esserle fatto, egli le attribuì potere. Le si tenne vicino, come se essa potesse salvare vite umane, e dalla mente gli usci un grido implorante.

Nella folle corsa affannosa s'avvide a un tratto che il sergente portabandiera rimaneva indietro, come se fosse stato colpito da una randellata: barcollò, poi restò immobile, salvo un tremito alle ginocchia.

Il giovane fece un balzo per afferrare l'asta. Nello stesso istante l'amico l'afferrò dall'altra parte. Cercarono di strapparla con energici sforzi, ma il sergente portabandiera era morto, e il cadavere non voleva abbandonare ciò che aveva in custodia. Per un momento ci fu un macabro scontro. Oscillando con la schiena piegata, il morto pareva ostinatamente contendere, con mosse ridicole e orrende, il possesso della bandiera.

Tutto si svolse in un attimo. Di forza strapparono al morto la bandiera e, mentre si voltavano, il cadavere pencolò in avanti con la testa china. Un braccio roteò in alto, e la mano adunca cadde con pesante protesta sulla spalla incurante dell'amico.

XX

Quando si voltarono con la bandiera, i due giovani videro che gran parte del reggimento si era sbriciolato e che il resto, demoralizzato, stava indietreggiando. Essendosi scagliati a guisa di proiettili, gli uomini avevano ormai consumato le loro forze. Si ritiravano lentamente, volgendo ancora il viso verso i boschi crepitanti e ancora rispondendo al fragore con fucili che scottavano. Parecchi ufficiali impartivano ordini con voci strillanti.

«Dove diavolo andate?», chiedeva il tenente con un urlo sarcastico. E un ufficiale dalla barba rossa, la cui voce di basso profondo si poteva udire distintamente, comandava: «Sparategli addosso. Sparategli addosso! Iddio maledica le loro anime!» Ci fu un bailamme di strilli, in cui i soldati ricevettero l'ordine di fare cose contrastanti e impossibili.

Il giovane e il suo amico ebbero una piccola baruffa riguardo alla bandiera. «Dalla a me!» «No, lascia che la tenga io!» Ognuno dei due era soddisfatto che la custodisse l'altro, ma si sentiva obbligato a protestare, offrendosi di portare il vessillo, la propria. disponibilità ad affrontare ulteriori rischi. Il giovane spinse via l'amico con rudezza.

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Il reggimento ripiegò verso gli alberi indifferenti. Là si fermò un momento per far fuoco su alcune figure scure che avevano cominciato a muoversi furtive sulle sue tracce. Quindi riprese subito la marcia, snodandosi fra i tronchi d'albero. Quando ebbe raggiunto di nuovo il primo spazio aperto, l'unità decimata si trovò sotto un fuoco intenso e spietato. Parve che fosse circondata da torme di nemici.

La maggior parte degli uomini, scoraggiati e con l'animo provato da quello scompiglio, si muovevano come istupiditi. Accettavano la pioggia di pallottole a testa china e stanca. Non serviva a nulla battere contro i muri. Era inutile cozzare contro il granito. E da tale coscienza, di aver tentato di vincere una cosa invincibile, nacque in loro la sensazione di essere stati traditi. Guardavano torvi, a fronte bassa ma con espressione minacciosa, alcuni ufficiali, in particolare quello con la barba rossa e la voce di basso profondo.

Tuttavia, la retroguardia del reggimento aveva una frangia di uomini i quali continuavano a sparare rabbiosamente contro l'avanzante nemico. Parevano risoluti a dargli ogni possibile disturbo. Di quella massa disordinata il giovane tenente era forse l'ultimo uomo. Noncurante, volgeva la schiena al nemico. L'avevano colpito al braccio, che pendeva dritto e rigido. Ogni tanto, dimenticandosi della ferita, tentava di sottolineare un'imprecazione con un ampio gesto. L'intensificarsi del dolore lo faceva bestemmiare con incredibile energia.

Il giovane procedeva a passi incerti e furtivi, volgendo indietro vigili sguardi. Aveva un cipiglio di mortificazione e di rabbia. Aveva pensato di prendersi una bella rivincita sull'ufficiale che si era riferito a lui e ai suoi compagni definendoli mulattieri. Ma vide che la cosa era ormai inattuabile. I suoi sogni erano crollati quando i mulattieri, assottigliandosi rapidamente, avevano vacillato ed esitato nella piccola radura, per poi indietreggiare. E ora la ritirata dei mulattieri era per lui una marcia infamante.

Dal viso annerito lo sguardo, appuntito come un pugnale, non si staccava dal nemico, ma il suo odio più grande si concentrava sull'uomo che, senza conoscerlo, gli aveva dato del mulattiere.

Quando capì che lui e i suoi compagni non erano riusciti a far nulla che, contribuendo al successo, potesse produrre nell'ufficiale le piccole fitte di un qualche rimorso, il giovane si lasciò possedere dalla rabbia dei delusi. Quel gelido ufficiale in cima a un monumento a distribuire epiteti con indifferenza, sarebbe stato meglio morto, pensò: tanto atroce trovava il fatto che non avrebbe mai avuto il segreto diritto di ricambiare l'insulto.

Aveva immaginato una curiosa vendetta in lettere rosse: «Siamo dei mulattieri, vero?». E ora era costretto a gettarla via.

Riavvolse il cuore nel manto dell'orgoglio e tenne ritta la bandiera. Arringò i compagni, battendo sui loro petti con la mano libera. A quelli che conosceva bene rivolse frenetici appelli, supplicandoli per nome. Fra lui e il tenente, che distribuiva rampogne ed era prossimo a uscir di senno per la rabbia, si stabilì un'invisibile legame di amicizia e uguaglianza. Si sostennero a vicenda con ogni genere di rauche, urlanti proteste.

Ma il reggimento era una macchina sconquassata. I due uomini blateravano a una cosa esanime. I soldati che avevano abbastanza cuore per camminare lentamente erano di continuo scossi nella loro risoluzione dal sapere che i compagni se la stavano svignando velocemente verso le linee retrostanti. Era difficile pensare alla reputazione quando altri pensava alla pelle. I feriti venivano abbandonati gementi in quel nero viaggio.

Imperversavano sempre le frange di fumo e le fiamme. A un tratto, scrutando attraverso un improvviso squarcio in una nube, il giovane vide una bruna massa di truppe che si mescolò e si ingrandì finché risultarono essere migliaia. Una bandiera dai colori violenti lampeggiò alla sua vista.

Immediatamente, quasi che il sollevarsi del fumo fosse stato preordinato, le truppe appena svelate esplosero in uno stridulo urlo, e cento fiamme sprizzarono verso la turba in ritirata. Le volute di una grigia nube tornarono a interporsi quando il reggimento rispose ostinato. Il giovane dovette fare di nuovo assegnamento sulle sue maltrattate orecchie, che vibravano e ronzavano per l'impasto di urla e di fucileria.

La strada pareva eterna. Nella nube di fumo gli uomini furono colti dal panico al pensiero che il reggimento avesse perduto la via e stesse procedendo in una direzione pericolosa. A un certo punto gli uomini che erano in testa alla disordinata processione si voltarono e arretrarono contro i loro compagni, gridando che si sparava addosso a loro da punti che essi avevano ritenuto trovarsi verso le loro proprie linee. A quel grido una paura, uno sgomento isterico, assalì le truppe. Un soldato che fino allora aveva avuto l'ambizione di ridurre il reggimento a una piccola banda giudiziosa, che procedesse calma attraverso difficoltà che apparivano enormi, si accasciò di colpo e nascose il viso fra le braccia con l'aria di inchinarsi a una condanna. Da un altro proruppe uno stridulo lamento, pieno di blasfeme allusioni a un generale. Molti correvano di qua e di là, cercando con gli occhi vie di scampo. Con serena regolarità, come se rispettassero un programma, piovevano sugli uomini le pallottole.

Il giovane si portò impassibile in mezzo alla calca e, stringendo con entrambe le mani la bandiera, prese posizione come se si aspettasse un tentativo di gettarlo a terra. Senza accorgersi assunse la posa del portabandiera nella battaglia del giorno prima. Si passò sulla fronte una mano che tremava. Il respiro gli usciva a fatica. Si senti soffocare durante quella piccola attesa della crisi.

Gli si avvicinò l'amico. «Henry, credo che questo é... l'addio.»«Ma sta' zitto, scemo!» rispose il giovane, senza guardarlo.Gli ufficiali si travagliarono come politicanti per costringere la massa a formare un cerchio atto a fronteggiare

le minacce. Il terreno era ineguale e accidentato. Gli uomini si raggomitolarono dentro le depressioni e si sistemarono comodamente dietro qualsiasi cosa potesse sviare le pallottole.

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Il giovane notò con vaga sorpresa che il tenente, ritto sulle gambe divaricate, se ne stava muto, tenendo la sciabola a guisa di bastone da passeggio. Poiché non imprecava più, il giovane si chiese che cosa fosse accaduto alle sue corde vocali.

Vi era qualcosa di curioso in quella piccola, intenta pausa del tenente. Pareva un bambino che, dopo aver pianto a sazietà, alza gli occhi e fissa un giocattolo lontano. Era assorto in contemplazione, e il tenero labbro inferiore tremolava per parole sussurrate tra sé e sé. Un pigro fumo indifferente si attorceva lemme lemme. Gli uomini, nascondendosi alle pallottole, aspettavano ansiosamente che esso si levasse e rivelasse la situazione del reggimento.

Le file silenziose furono ad un tratto scosse dalla voce incalzante del giovane tenente che urlò: «Eccoli che vengono! Proprio su di noi, per Dio!». Le sue successive parole si perdettero nel crudele fragore che uscì dai fucili degli uomini.

Gli occhi del giovane si erano istantaneamente rivolti nella direzione indicata dal ridesto ed eccitato tenente, e avevano visto la nube traditrice rivelare un reparto di soldati nemici. Erano così vicini che riuscì a scorgerne i lineamenti. Ebbe una specie di rivelazione, guardando quelle fisionomie. Notò anche, con vago stupore, che le loro uniformi facevano un'impressione piuttosto gaia, essendo di un grigio chiaro, accentuato da mostrine di colore vivace. Inoltre, sembravano nuove.

Quelle truppe dovevano aver avanzato cautamente, tenendo i fucili pronti, ma erano state scoperte dal giovane tenente, e la scarica del reggimento blu ne aveva interrotto il movimento. Dalla prima occhiata fugace, si dedusse che non si erano accorti della vicinanza dei loro nemici in divisa scura, oppure che avevano sbagliato direzione. Quasi nello stesso istante il fumo prodotto dall'energica reazione dei suoi compagni li sottrasse completamente alla vista del giovane. Questi aguzzò gli occhi per apprendere il risultato della scarica, ma aveva davanti il fumo.

I due reparti si scambiarono colpi alla maniera di una coppia di pugili. Le rapide scariche rabbiose andavano e venivano. Gli uomini in divisa blu erano risoluti, nella loro situazione disperata, e ghermirono la vendetta che sembrava a portata di mano: il loro fuoco crebbe sonoro e animoso. Il loro fronte ricurvo era irto di lampi, e il luogo risuonava dello strepito delle bacchette. Per un po' il giovane continuò ad abbassarsi e a spostarsi, finché riuscì ad avere una qualche insoddisfacente visione del nemico.

Parevano in forze e rispondevano prontamente. Sembravano avanzare verso il reggimento blu, passo dopo passo. Si sedette mesto per terra, con la bandiera fra le ginocchia.

Notando la disposizione aggressiva, lupesca, dei compagni, ebbe il grato pensiero che se il nemico stava per inghiottirlo in un sol boccone, come una scopa, il reggimento aveva almeno la consolazione di andar giù con la saggina in avanti.

Ma i colpi dell'avversario cominciarono a indebolirsi. Meno pallottole solcarono l'aria, e alla fine, quando gli uomini rallentarono per sapere come stava andando, poterono vedere soltanto fumo scuro fluttuante. Il reggimento rimase quieto e guardava intento. Fu allora che per un qualche fortuito capriccio, la molesta foschia cominciò a ritrarsi in dense volute. Gli uomini videro un terreno sgombro di combattenti. Sarebbe stata una scena vuota, senza la presenza di alcuni cadaveri che giacevano sulle zolle erbose, contorti in forme fantastiche.

Alla vista di quel quadro, molti dei soldati in blu balzarono da dietro i loro ripari e fecero una goffa danza di gioia. I loro occhi ardevano, e un rauco applauso di esultanza ruppe dalle labbra riarse.

Avevano cominciato a credere che gli eventi tentassero di provare che essi nulla potevano. Quei piccoli scontri avevano evidentemente cercato di dimostrare che essi non sapevano combattere bene. Ma quando stavano per sottomettersi a tali opinioni, il piccolo duello aveva rivelato loro che il confronto non era impossibile, e con ciò essi si erano presi la rivincita sui loro timori e sul nemico.

Riebbero l'impeto dell'entusiasmo. Girarono all'intorno sguardi di fiero orgoglio, sentendo una nuova fiducia nelle armi spietate e sempre sicure che impugnavano. E furono uomini.

XXI

Ora sapevano di non essere più minacciati dai proiettili. Ancora una volta tutte le vie sembravano aperte davanti a loro. A breve distanza si vedevano le polverose linee blu dei loro amici. In lontananza vi erano molti fragori, ma in tutta quella parte di campo regnava un'improvvisa quiete.

Si resero conto di essere liberi. Il reparto decimato tirò un profondo respiro di sollievo e si radunò in gruppo per completare il suo viaggio.

Nell'ultimo tratto di marcia gli uomini cominciarono a rivelare strane emozioni: si affrettavano con paura e nervosismo. Alcuni che nei momenti peggiori erano stati arcigni e risoluti, ora non riuscivano a nascondere un'ansia che li rendeva frenetici. Forse dipendeva dal fatto che temevano di essere uccisi in modo banale dopo che era passata l'ora per una decorosa morte militare. O forse pensavano che sarebbe stato troppo ironico essere uccisi alle soglie della salvezza. Si affrettavano, volgendo indietro sguardi turbati.

Mentre si avvicinavano alle loro linee, da uno sparuto e abbronzato reggimento che riposava all'ombra degli alberi, partì qualche sarcasmo. Volarono al loro indirizzo domande come:

«Dove diavolo siete stati?»

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«Perché tornate indietro?»«Perché non siete rimasti là?»«Faceva caldo laggiù, figliolo?»«Adesso andate a casa, ragazzi?»In beffarda parodia uno gridò: «Oh, mammina, presto, vieni a vedere i soldati.»Da parte del reggimento pesto e contuso non ci furono repliche, tranne che un uomo fece ampi gesti di sfida a

farla a pugni, e l'ufficiale dalla barba rossa andò piuttosto vicino a un alto capitano dell'altro reggimento, gettandogli in faccia un'occhiata smargiassa e provocatoria. Ma il tenente richiamò all'ordine l'uomo che voleva farla a pugni, e il capitano alto, arrossendo per la piccola spacconata del barbarossa, si mise a fissare intento ceni alberi.

La tenera carne del giovane fu punta dolorosamente da quei commenti. Di sotto la fronte aggrottata guardò con odio gli schernitori. Meditò su qualche vendetta. Tuttavia, molti del reggimento tenevano la testa bassa a guisa di criminali. Accadde così che gli uomini si trascinassero con improvvisa pesantezza come se portassero sulle curve spalle il feretro del loro onore. E il giovane tenente, ripresosi, cominciò a borbottare sommesso nere imprecazioni.

Quando arrivarono alla loro vecchia posizione si voltarono per guardare il terreno sul quale erano andati all'assalto.

In quella contemplazione il giovane fu preso da grande stupore. Scopri che le distanze, confrontate con le brillanti misurazioni della sua mente, erano ridicolmente insignificanti. Gli alberi imperturbabili presso i quali erano accadute tante cose parevano incredibilmente vicini. Anche il tempo, ora che ci rifletteva, vide che era stato breve. Si meravigliò della quantità di emozioni e di fatti che si erano affollati in spazi così piccoli. False idee ispirate dagli elfi dovevano avere esagerato e ingrandito ogni cosa, si disse.

Allora gli parve che ci fosse un'amara giustizia nei discorsi degli sparuti e abbronzati veterani. Celò uno sguardo di disprezzo per i suoi compagni sparsi al suolo, soffocati dalla polvere, rossi per il sudore, con gli occhi annebbiati e i capelli arruffati.

Tracannavano dalle borracce, ansiosi di spremere da esse ogni stilla d'acqua; si pulivano i volti gonfi e gocciolanti con le maniche delle giubbe e con ciuffi d'erba.

Il giovane, peraltro, provò una notevole gioia nel meditare sulle sue gesta durante l'assalto. Prima aveva avuto ben poco tempo per apprezzare se stesso, e così ora trovò molta soddisfazione nel pensare con calma alle proprie azioni. Richiamò alla mente frammenti di colore che nel trambusto si erano impressi a sua insaputa sui suoi sensi assorbiti da altro.

Mentre il reggimento boccheggiava ancora per i suoi sforzi veementi, arrivò galoppando lungo le linee l'ufficiale che li aveva chiamati mulattieri. Aveva perduto il berretto. I capelli scarmigliati ondeggiavano in disordine: aveva il viso scuro d'irritazione e di collera. Il suo umore si manifestò ancor più chiaramente nel modo in cui trattò il cavallo: tirò, torse brutalmente le redini, facendo fermare l'ansante animale con uno strappo violento vicino al colonnello del reggimento. Immediatamente esplose in rimproveri che giunsero inattesi alle orecchie dei soldati. Questi, come sempre curiosi delle parole grosse tra ufficiali, si fecero subito attenti.

«Accidenti, MacChesnay, che fiasco colossale ha fatto in questa faccenda!» cominciò l'ufficiale. Cercò di abbassare la voce, ma la sua indignazione era tale che alcuni degli uomini non poterono non afferrare il senso delle parole. «Che pasticcio tremendo ha combinato! Dio buono, si è fermato a una trentina di metri da un bel successo! Se i suoi uomini fossero arrivati trenta metri più in là, avrebbe compiuto un grande assalto, ma così come stanno le cose... Certo, però, che mucchio di sterratori ha a disposizione!».

I soldati che ascoltavano col fiato sospeso, ora volsero i loro sguardi incuriositi verso il colonnello. In quella faccenda avevano un interesse monellesco. Videro il colonnello raddrizzare la persona e stendere una mano in un gesto da oratore. Aveva un'aria offesa, come un diacono accusato di furto. I soldati fremevano in un trasporto di eccitazione.

Ma all'improvviso i modi del colonnello cambiarono da quelli di un diacono a quelli di un francese. Si strinse nelle spalle. «Be', generale, siamo arrivati fin dove abbiamo potuto,» disse calmo.

«Fin dove avete potuto? Davvero, per Dio?» sbuffò il generale. «Be', non molto lontano, non le pare?» soggiunse, piantandogli negli occhi uno sguardo di freddo disprezzo. «Non molto lontano, direi. Lei doveva fare una manovra diversiva a vantaggio di Whiterside. Quanto ci sia riuscito, ora possono dirglielo le sue stesse orecchie.» Girò il cavallo e si allontanò rigido in sella.

Invitato a udire i discordanti rumori di uno scontro nei boschi sulla sinistra, il colonnello proruppe in vaghe imprecazioni.

Il tenente, che aveva assistito al colloquio con un'aria di rabbia impotente, sbottò con tono fermo e impavido: «A me non importa quello che uno è: se è un generale o che cosa; ma se dice che laggiù i ragazzi non hanno combattuto bene, allora è un maledetto cretino.»

«Tenente,» cominciò il colonnello con severità, «questo è un affare mio. La incomoderà... ».Il tenente fece un gesto d'obbedienza. «Giustissimo, colonnello, giustissimo,» disse. E si sedette con l'aria di

chi è contento di sé.La notizia che il reggimento era stato biasimato percorse tutta la linea. Per qualche tempo gli uomini ne

rimasero sbalorditi. «Per mille fulmini!» esclamarono, fissando la figura del generale che si dileguava. Avevano l'idea che si trattasse di un grosso errore.

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Ben presto, però, cominciarono a credere vero che i loro sforzi erano stati definiti insignificanti. Il giovane poté vedere come tale convinzione pesasse sull'intero reggimento finché gli uomini assomigliarono a animali battuti e maledetti, e tuttavia non domi.

Al giovane si avvicinò l'amico, con un'espressione di protesta negli occhi. «Chissà che diavolo vuole,» disse. «Pensa che siamo andati laggiù a giocare a palline! Non ho mai visto un uomo come quello!»

Il giovane elaborò una pacata filosofia per quei momenti d'irritazione. «Be',» replicò, «probabilmente non ha veduto niente di niente e s'è arrabbiato come un cane, e ha concluso che siamo un branco di pecore solo perché non abbiamo fatto quello che voleva lui. É un peccato che nonno Henderson sia stato ucciso ieri lui avrebbe capito che abbiamo fatto del nostro meglio e che abbiamo combattuto sodo. É solo la nostra scarogna, ecco cos'è.»

«Mi sa anche a me,» rispose l'amico. Pareva profondamente offeso da una ingiustizia. «Mi sa anche a me che abbiamo avuto scarogna! Non c'è gusto a combattere per gente che, qualunque cosa tu faccia, non gli va mai bene. La prossima volta ho intenzione di starmene indietro e lasciare che tutto l'assalto se lo facciano loro, e che se ne vadano al diavolo!»

Il giovane parlò al compagno in modo da calmarlo. «Però tu ed io ci siamo portati bene. Vorrei vedere il cretino che dice che noi due non abbiamo fatto meglio che potevamo!»

«L'abbiamo fatto e come!» dichiarò l'amico con energia. «E gli romperei il muso a quel tale, anche se fosse grosso come una chiesa. Ma in ogni modo noi due siamo a posto, perché ho sentito uno che diceva che noi due siamo stati i migliori del reggimento, e c'è stata una gran discussione su questo. Difatti è saltato su un altro a dire che era una frottola: lui aveva visto tutto quel che succedeva, e noi non ci aveva mai visto dal principio alla fine. Allora sono intervenuti altri a dire che non era una frottola: noi due ci eravamo battuti come demoni, e ci hanno fatto un sacco di complimenti. Ma ecco quel che non posso soffrire: quei veterani, sempre a ridacchiare e a sghignazzare, e poi quel generale è matto.»

Il giovane esclamò con improvvisa esasperazione: «É un rimbambito. Mi fa impazzire. Vorrei che la prossima volta ci venisse anche lui. Gli faremmo vedere che cosa... ».

Si interruppe perché erano arrivati in tutta fretta parecchi soldati, e dalle loro facce si capiva che portavano grandi notizie.

«Flem, dovevi proprio sentire!» gridò uno con passione.«Sentire che cosa?» domandò il giovane.«Dovevi proprio sentire!» ripeté quello, e si dispose a fare il suo racconto. Gli altri, eccitati, formarono cerchio.

«Be', signori, il colonnello incontra il vostro tenente proprio vicino a noi non ho mai sentito una cosa simile e gli dice: ‹Ehm! ehm! Signor Hasbrouck!› gli dice, ‹a proposito, chi era quel ragazzo che portava la bandiera? › Che te ne pare, Fleming? ‹Chi era quel ragazzo che portava la bandiera? › dice, e il tenente risponde subito: ‹É Fleming, è un ragazzo in gamba› aggiunge. Che? Ti dico che è andata così. ‹Un ragazzo in gamba›, sono le sue parole. Ti dico che ha detto proprio così. Se la sai raccontare meglio di me, allora va' avanti tu. Be', allora sta' zitto. Il tenente dice: ‹É un ragazzo in gamba›, e il colonnello dice: ‹Ehm! ehm! davvero un ottimo elemento, ehm! Ha tenuto la bandiera davanti, sul fronte. L'ho visto. É uno buono›, dice il colonnello. ‹Può starne certo›, dice il tenente, ‹lui e un altro di nome Wilson sono stati alla testa dell'assalto, urlando per tutto il tempo come indiani›, dice. ‹ In testa all'assalto per tutto il tempo›, dice. ‹Con uno di nome Wilson›. Allora Wilson, ragazzo mio, mettilo in una lettera e spediscilo a casa alla mamma, eh? ‹Uno di nome Wilson›, dice. E il colonnello fa: ‹Davvero, loro due? Ehm, ehm! Perdiana!› ‹Alla testa del reggimento? ›, domanda, ‹Sicuro›, risponde il tenente. ‹Perdiana!› dice il colonnello. E poi: ‹Bene, bene, quei due ragazzini, eh? ›. ‹Sì, proprio loro›, dice il tenente. ‹Bene, bene› dice il colonnello, ‹meritano di essere generali di armata› dice.‹Meritano di essere generali di armata›.»

Il giovane e il suo amico avevano detto: «Si! Altro che!». «Conti storie, Thompson.» «Va all'inferno!» «Non ha mica detto così?». «Balle!» «Che diavolo dici?» Ma nonostante quel giovanile schernirsi imbarazzati, sapevano che i loro volti arrossivano intensamente con fremiti di piacere. Si scambiarono un'occhiata furtiva di gioia e di congratulazione.

Dimenticarono rapidamente molte cose. Il passato non conteneva più immagini di errori e delusioni. Erano molto felici, e i loro cuori si gonfiarono di riconoscente affetto per il colonnello e il giovane tenente.

XXII

Quando i boschi ricominciarono a rovesciar fuori le scure masse del nemico il giovane sentì una serena fiducia in se stesso. Ebbe un breve sorriso quando vide uomini scansarsi e curvarsi ai prolungati miagolii delle granate lanciate a gigantesche manciate sopra le loro teste. Rimase ritto e calmo, a osservare l'attacco iniziato contro una parte della linea che faceva una curva blu lungo il fianco di una collina adiacente. La sua visuale non era disturbata dal fumo dei fucili dei compagni e quindi ebbe modo di vedere parti del duro combattimento. Era un sollievo scoprire finalmente da dove provenivano alcuni di quei rumori che avevano rimbombato nelle sue orecchie.

Non molto lontano vide due reggimenti blu combattere una piccola battaglia particolare contro altri due reggimenti. Ciò avveniva in una radura dall'aspetto appartato. Si accanivano come per una scommessa, dando e

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ricevendo colpi tremendi. Le scariche erano incredibilmente violente e rapide. Assorti com'erano, apparivano dimentichi di tutti i più ampi scopi della guerra, e si menavano colpi come in un incontro di pugilato.

In un'altra direzione vide una magnifica brigata avanzare con la manifesta intenzione di sloggiare il nemico da un bosco. Scomparve alla sua vista e subito nel bosco ci fu un tumulto terrificante. Il fragore era indicibile. Suscitato quel prodigioso bailamme, e trovandolo evidentemente troppo prodigioso, dopo un po' la brigata uscì dal bosco marciando con sussiego, intatta la sua bella formazione. Nei suoi movimenti non vi era traccia di fretta. Era piena di baldanza e pareva puntasse un pollice orgoglioso verso il bosco strepitante.

Su un declivio a sinistra una lunga fila di cannoni, arcigni e furibondi, denunciava il nemico che, nella spietata monotonia degli scontri, si preparava per un altro attacco giù nella boscaglia. Le rombanti e rosse bordate dei cannoni producevano una vampa cremisi e un fumo alto e denso. A tratti si intravvedevano gruppi di artiglieri affaccendati. Dietro quella fila di cannoni c'era una casa, tranquilla e bianca fra gli scoppi delle granate. Un gruppo di cavalli, legati a un lungo steccato, dava frenetici strappi alle briglie. Uomini correvano qua e là.

La battaglia particolare fra i quattro reggimenti durò per qualche tempo. Volendo il caso che non ci fossero interferenze, essi regolarono la contesa per conto loro. Si scambiarono colpi selvaggi e poderosi per lo spazio di minuti, poi i reggimenti in divisa più chiara vacillarono e arretrarono, lasciando le linee in blu scuro a esultare. Il giovane poté vedere le due bandiere che sussultavano di riso fra scampoli di fumo.

Seguì una quiete piena di significato. Le linee blu si spostarono, modificando un tantino la disposizione, e con trepidazione fissarono i boschi e i campi silenziosi che avevano davanti. Il silenzio era solenne, come in chiesa: solo una batteria lontana, evidentemente incapace di star zitta, mandava sul terreno un debole rombo di tuono. Dava noia, come il rumore che fanno ragazzi senza soggezione. I soldati pensavano che avrebbe impedito alle loro orecchie tese di udire le prime parole della nuova battaglia.

Ad un tratto i cannoni sul declivio ruggirono un messaggio d'avvertimento. Nei boschi era cominciato il crepitio. Con sorprendente rapidità crebbe a fragore profondo che avvolse la terra nei rumori. Gli scrosci e gli schianti si propagarono lungo le linee, finché si sviluppò un interminabile frastuono. Per quelli che ci si trovavano nel mezzo diventò un fracasso in scala con l'universo. Era il ronzare e pulsare di un gigantesco meccanismo, complicazioni fra costellazioni minori. Le orecchie del giovane ne erano piene, ed incapaci di udire altro.

Su un pendio per il quale serpeggiava una strada egli vide feroci e disperati assalti andare continuamente avanti e indietro in un fluttuare tumultuante. Quelle parti degli opposti eserciti erano due lunghe ondate che si lanciavano follemente l'una sull'altra in punti stabiliti. Talora una delle parti annunciava con grida di tripudio colpi decisivi, ma un momento dopo era l'altra parte a prorompere in grida di tripudio. A un certo punto il giovane vide uno spruzzo di figure chiare puntare con balzi da levriero verso le ondeggianti linee blu. Ci fu un gran clamore, e subito si ritirarono con una bella boccata di prigionieri. Ancora, vide un'ondata blu cozzare con tale fragorosa forza contro uno sbarramento grigio che parve spazzarlo dalla faccia della terra e non lasciare altro che zolle calpestate. E sempre, nei loro rapidi e micidiali spostamenti avanti e indietro, gli uomini gridavano e urlavano come pazzi furiosi.

Particolari tratti di staccionata o posizioni sicure dietro file d'alberi furono disputati come troni d'oro o lettiere di perle. Ad ogni istante c'erano affondo disperati verso quei punti scelti, e la più parte le forze contendenti se li palleggiarono come leggeri giocattoli. Il giovane non avrebbe saputo dire, guardando gli stendardi che sventolavano di qua e di là come rossa schiuma, quale colore stesse vincendo.

Quando giunse la sua ora, il suo sparuto reggimento balzò avanti con intatto ardore. Assaliti di nuovo dalle pallottole, gli uomini esplosero in un grido barbarico di dolore e di rabbia. Piegavano le teste dietro il cane rialzato dei loro fucili, mirando con odio concentrato. Le bacchette tintinnavano forte mentre braccia impazienti ficcavano in canna le cartucce. La fronte del reggimento era un muro di fumo penetrato da punte lampeggianti di giallo e di rosso.

Voltolandosi nella battaglia, s'imbrattarono di nuovo in un tempo incredibilmente breve. Per macchie e sudiciume, superarono ogni loro precedente aspetto. Spostandosi avanti e indietro tesi nello sforzo e brontolando nello stesso tempo, coi corpi ondeggianti, le facce nere, gli occhi lucenti, somigliavano a strani, brutti diavoli danzanti tristemente nel fumo.

Il tenente, tornando da un giro in cerca di una benda, produsse da un segreto ricettacolo della sua mente nuove, portentose imprecazioni adatte alla contingenza. Assestò filze di invettive come frustate sulla schiena dei suoi uomini, e risultò chiaro che gli sforzi precedenti non avevano per nulla intaccato le sue risorse.

Al giovane, ancora portabandiera, non pesò la propria inattività. Era profondamente assorto come spettatore. Lo strepito e il tumulto del gran dramma facevano si che egli si sporgesse in avanti, con gli occhi intenti e il viso percorso da piccole contrazioni nervose. A volte balbettava, le parole gli sfuggivano di bocca in esclamazioni grottesche. Non sapeva di respirare, né che la bandiera pendeva silenziosa sopra di lui, tanto era assorto.

Un formidabile schieramento nemico arrivò a distanza pericolosa. Si distinguevano chiaramente: erano uomini alti, magri, eccitati in volto, che correvano a grandi passi verso una sinuosa staccionata.

Alla vista di quel pericolo gli uomini cessarono di colpo dal monotono imprecare. Ci fu un attimo di teso silenzio prima che impugnassero i fucili e sparassero contro i nemici una raffica nutrita. Non erano stati dati ordini; gli uomini, riconosciuta la minaccia, avevano lasciato immediatamente partire il loro stormo di pallottole senza aspettare un comando.

Ma il nemico fu svelto a mettersi al riparo della linea zigzagante della staccionata. I soldati scivolarono dietro di essa con notevole celerità, e da quella posizione cominciarono a mietere gli avversari in divisa blu.

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Questi raccolsero le energie per una grande lotta. Spesso nei volti scuri brillavano bianche fila di denti serrati. Molte teste apparivano e sparivano, fluttuando sopra un pallido mare di fumo. Quelli dietro la staccionata spesso gridavano e uggiolavano in tono di provocazione e di scherno, ma il reggimento mantenne un silenzio ostinato. Forse, a quel nuovo assalto, gli uomini ricordavano di essere stati chiamati sterratori, e ciò rendeva tanto più amara la loro situazione. Col fiato sospeso erano intenti a mantenere il terreno e a respingere l'esultante reparto nemico. Combatterono con impeto, e i visi.esprimevano una selvaggia disperazione.

Il giovane aveva deciso di non muoversi, qualunque cosa accadesse. Alcuni strali di disprezzo, sepolti nel suo cuore, avevano generato un odio strano, ineffabile. Gli era chiaro che la sua finale, suprema, vendetta sarebbe stata ottenuta dal suo corpo morto, steso sul campo, squarciato e sanguinante. Sarebbe stata una pungente ritorsione sull'ufficiale che aveva detto «mulattieri», e poi «sterratori»: in tutti i disperati sforzi della sua mente per cercare una entità responsabile delle sue sofferenze e turbamenti egli finiva sempre sull'uomo che gli aveva affibbiato epiteti tanto sbagliati. E aveva l'idea, vagamente formulata, che il suo cadavere sarebbe stato per quegli occhi un grande e amaro rimprovero.

Il reggimento sanguinava copiosamente. Fagotti cominciarono ad abbattersi al suolo borbottando. Il sergente di giornata della compagnia del giovane ebbe le guance trapassate da una pallottola. Essendo stati lesi i legamenti, la mandibola gli pendeva sgangherata, rivelando nell'ampia caverna della bocca un ammasso palpitante di sangue e denti. Ciò nonostante egli faceva tentativi per urlare. Nei suoi sforzi vi era una tremenda serietà, come se pensasse che un urlo possente lo avrebbe risanato.

Il giovane lo vide ritirarsi dalla prima linea. Le sue forze non parevano in alcun modo menomate. Correva svelto, gettando occhiate stravolte che imploravano aiuto.

Altri caddero ai piedi dei loro compagni. Alcuni feriti si allontanarono strisciando, ma molti giacquero immobili, con i corpi contorti in forme impossibili.

Una volta il giovane cercò con lo sguardo l'amico. Vide un giovane impetuoso, imbrattato di polvere da sparo e scarmigliato, che capi essere lui. Anche il tenente era sano e salvo nella sua posizione in seconda linea. Aveva continuato a imprecare, ma ora aveva l'aria di chi stesse consumando l'ultima scatola di bestemmie.

Il fuoco del reggimento aveva infatti cominciato a scemare e a diradarsi. La voce gagliarda che era sorta inattesa dalle file assottigliate, andava rapidamente indebolendosi.

XXIII

Lungo il retro della linea arrivò correndo il colonnello. Lo seguivano altri ufficiali: «Dobbiamo caricarli!», urlavano. «Dobbiamo caricarli!», gridavano con voci risentite, come se a quel disegno si aspettassero una ribellione da parte degli uomini.

Nell'udire quelle grida, il giovane si mise a studiare la distanza fra sé e il nemico. Fece confusi calcoli. Vide che per essere soldati forti dovevano andare avanti. Sarebbe stata la morte fermarsi in quel punto e, considerata la situazione, indietreggiare avrebbe galvanizzato troppi altri. La loro speranza era di scacciare i fastidiosi nemici dalla staccionata.

Si aspettava che i suoi compagni, stanchi e indolenziti, si sarebbe dovuto trascinarli all'assalto; voltandosi verso di loro notò invece, con una certa sorpresa, che essi manifestavano un pronto e totale assentimento. Ci fu un sinistro, tintinnante preludio all'assalto quando le baionette furono inastate sulle canne dei fucili. Alle grida di comando i soldati scattarono in avanti con ardente slancio. C'era un nuovo, inatteso vigore nei movimenti del reggimento. A chi conosceva il suo stato di profonda spossatezza, quella carica apparve come un parossismo, la mostra di forza che precede la prostrazione finale. Gli uomini sgambettarono con fretta febbrile, pazzesca, correndo come per cogliere un repentino successo prima di essere abbandonati dagli effetti di un fluido stimolante. Fu un assalto cieco e disperato da parte di una accolita di uomini in polverose e lacere divise blu, su un verde terreno erboso e sotto un cielo di zaffiro, verso una staccionata che si delineava vagamente nel fumo e da dietro la quale crepitavano le fitte fucilate dei nemici.

Il giovane tenne in prima fila la bandiera dai colori vivaci. Agitava il braccio libero descrivendo cerchi impetuosi, e lanciava nel frattempo folli richiami e appelli, stimolando quegli altri che non avevano alcun bisogno di essere stimolati, poiché pareva che la turba di uomini in blu che si gettavano contro quel pericoloso nido di fucili stesse di nuovo impazzendo in un delirio di abnegazione. Dai molti spari che partivano verso di loro sembrava che sarebbero riusciti soltanto a cospargere di cadaveri l'erba fra la loro posizione di partenza e la staccionata. Ma erano in uno stato di frenesia, forse perché dimentichi di ogni vanità, e diedero prova di una temerarietà sublime. Non ci furono dubbiosi interrogativi, né calcoli, né diagrammi. Da nessuno evidentemente furono prese in considerazione scappatoie. Sembrava che le rapide ali dei loro desideri si sarebbero spezzate contro le ferree porte dell'impossibile.

Lo stesso giovane si sentiva lo spirito intrepido di un selvaggio, fanatico di zelo religioso. Si sentiva capace di sacrifici grandissimi, di una morte tremenda. Non ebbe tempo per notomizzarsi, ma capì che pensava alle pallottole soltanto come a cose che potevano impedirgli di raggiungere la meta del suo sforzo. Che tale fosse il suo stato d'animo, gli dava segreti palpiti di gioia.

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Tese tutte le forze. La sua vista era confusa, abbacinata per la tensione del pensiero e dei muscoli. Non vedeva altro che la nebbia di fumo incisa da piccole lame di fuoco, ma sapeva che in essa si trovava la vecchia staccionata di un agricoltore fuggito, che proteggeva i corpi rannicchiati degli uomini in divisa grigia.

Mentre correva, gli balenò nella mente il pensiero del cozzo al momento del contatto: si aspettava un tremendo urto quando le due masse si sarebbero scontrate. Ciò diventò parte del suo selvaggio furore guerriero. Sentiva intorno a sé la spinta in avanti del reggimento e immaginò un colpo tonante, dirompente, che avrebbe prostrato la resistenza e sparso costernazione e stupore per miglia. Il reggimento volante avrebbe funzionato come una catapulta. Tale sogno lo fece correre più veloce in mezzo ai compagni, che davano libero sfogo a rauchi e frenetici evviva.

Ma ora vide che molti degli uomini in divisa grigia non intendevano aspettare il colpo. Il fumo, dipanandosi, rivelò uomini che correvano, con la faccia ancora rivolta verso di loro. Essi diventarono una turba che si ritirava, resistendo tuttavia con ostinazione. Ogni tanto qualcuno si girava per indirizzare una pallottola all'ondata blu.

Ma in un tratto della linea c'era un gruppo accanito e caparbio che non si spostava. Si erano saldamente sistemati dietro sostegni e assi. Un vessillo, arruffato e fiero, ondeggiava sopra le loro teste, e i loro fucili strepitavano furibondi.

Il turbine degli uomini in blu arrivò molto vicino, finché parve che ci sarebbe stato davvero un terribile corpo a corpo. Nella resistenza di quel gruppetto vi era un dichiarato disprezzo che cambiò il significato delle acclamazioni degli uomini in blu. Esse diventarono urla di collera, dirette alle persone. Le grida delle due parti ora suonavano come uno scambio di insulti feroci.

Quelli in blu mostravano i denti; i loro occhi brillavano incandescenti. Parvero lanciarsi alla gola dei nemici che resistevano. Lo spazio intermedio si ridusse a una distanza insignificante.

Il giovane aveva concentrato lo sguardo della sua anima sull'altra bandiera. Il suo possesso sarebbe stato ragione di alto orgoglio. Avrebbe portato a mischie sanguinose, colpi ravvicinati. Provò un odio gigantesco per coloro che sollevavano grandi difficoltà e complicazioni. Essi la rendevano quasi un ambito tesoro mitologico, sospeso fra compiti da adempiere e pericolosi congegni.

Si slanciò verso di essa come un cavallo impazzito. Aveva deciso che non sarebbe sfuggita se ad afferrarla fossero valsi colpi selvaggi e audacia di colpi. Il suo emblema, palpitando come fiamma, volava verso l'altro. Pareva che fra poco ci sarebbe stato un duello di strani becchi e artigli, come fra aquile.

La turbinante massa di soldati in blu si fermò di colpo a poca, micidiale, distanza e scaricò una rapida raffica. Il gruppo in grigio fu spaccato e rotto da quel fuoco, ma il suo corpo crivellato combatteva ancora. Gli uomini in blu urlarono di nuovo e gli si avventarono contro.

Tra un balzo e l'altro, il giovane vide, come attraverso una nebbia, quattro o cinque uomini stesi al suolo o che si contorcevano sulle ginocchia, a testa china, come se fossero stati colpiti da folgori del cielo. Barcollava fra loro il portabandiera rivale, che il giovane vide mortalmente morso dalle pallottole dell'ultima formidabile scarica. Si rese conto che quell'uomo combatteva la sua ultima battaglia, la battaglia di uno le cui gambe sono afferrate da demoni. Era una lotta orrenda. Sul volto aveva impresso il pallore della morte, ma anche le linee scure e dure di una risoluzione disperata. Con quel terribile ghigno di determinazione stringeva a sé la preziosa bandiera, incespicando e barcollando nel proposito di percorrere il cammino che l'avrebbe portata al sicuro.

Ma a causa delle ferite pareva che i suoi piedi fossero ritardati, trattenuti, e che egli combattesse una macabra battaglia, come con invisibili ghoul voracemente incollati alle sue membra. Quelli che erano in testa fra gli accorrenti uomini in blu, balzarono verso la staccionata con urla di evviva. Quando gettò indietro un'occhiata, nei suoi occhi era la disperazione di chi si sente perduto.

L'amico del giovane passò l'ostacolo a capofitto, e si avventò sulla bandiera come una pantera sulla preda. La trasse a sé e, svincolandola, innalzò il suo rosso fulgore con un folle grido di esultanza, mentre il portabandiera, rantolando, sussultò in uno spasimo finale e, irrigidendosi convulsamente, volto al suolo il viso spento. C'era molto sangue sui fili d'erba.

Sul luogo della vittoria cominciarono a levarsi più sfrenati clamori di tripudio. Nell'entusiasmo gli uomini gesticolavano e rumoreggiavano. Parlando, era come se considerassero lontano un miglio chi 1i ascoltava. Lanciavano alti in aria i cappelli e i berretti di cui erano ancora in possesso.

In un tratto della linea erano stati catturati di sorpresa quattro uomini, che ora sedevano prigionieri. Intorno a loro formavano un cerchio impaziente e incuriosito alcuni soldati in divisa blu. Erano stati presi in trappola strani uccelli, ed ora venivano sottoposti a esame. Nell'aria turbinavano rapide domande.

Uno dei prigionieri si curava una scalfittura a un piede. Se la coccolava come un bambino, ma spesso alzava gli occhi da essa per imprecare con stupefacente totale abbandono, proprio sotto il naso di coloro che l'avevano catturato.

Li consegnò alle regioni infernali; invocò su di loro l'ira pestifera di strane divinità. E così facendo, ignorava bellamente i lati migliori del comportamento dei prigionieri di guerra. Era come se un maldestro zoticone gli avesse camminato sul dito di un piede, e lui ritenesse suo privilegio, suo dovere, usare imprecazioni cupe e risentite.

Un altro, un soldato avanti con gli anni, prendeva la sua cattiva sorte con grande calma ed apparente buon umore. Conversava con gli uomini in blu, studiandone le facce con occhi vivaci e penetranti. Parlarono di battaglie e di situazioni. Tutti i volti esprimevano un vivo interesse durante quello scambio di punti di vista. Pareva una gran soddisfazione udire voci di là dove tutto era stato oscurità e congettura. Il terzo prigioniero sedeva con aria imbronciata, mantenendo un atteggiamento stoico e freddo. A ogni approccio rispondeva invariabilmente: «Ah, va' all'inferno!»

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L'ultimo dei quattro non aprì bocca, e per lo più tenne il viso rivolto in modo da non essere molestato. Dall'impressione che se ne fece il giovane, pareva in uno stato di completo abbattimento. Era in preda alla vergogna, e al profondo rammarico di non essere forse più contato nelle file dei compagni. Il giovane non riuscì a scoprire alcuna espressione che lo autorizzasse a credere che l'altro stesse pensando al suo futuro di recluso, magari a quelle immagini di prigioni sotterranee, d'inedia e di brutalità, di cui é suscettibile la fantasia. Tutto ciò che si vedeva era vergogna per la cattura e rimpianto per aver perso il diritto a opporsi.

Dopo aver fatto festa a sufficienza, gli uomini si sistemarono dietro la vecchia staccionata, dalla parte opposta a quella da dove avevano scacciato i nemici. Alcuni spararono distrattamente a bersagli lontani.

C'era un po' d'erba alta. Il giovane vi si accoccolò a riposare, lasciando che a reggere la bandiera fosse un conveniente asse dello steccato. Venne da lui l'amico, esultante e acclamato, impugnando con vanità il suo tesoro. Sedettero fianco a fianco, congratulandosi a vicenda.

XXIV

I rombi che si erano diffusi in lunga linea di suono per tutta la distesa della foresta cominciarono a farsi intermittenti e più deboli. Gli stentorei discorsi dell'artiglieria continuarono in qualche scontro lontano, ma il crepitio della fucileria era quasi cessato. Il giovane e il suo amico levarono a un tratto lo sguardo, provando un velato senso di angoscia allo spegnersi di quei rumori che erano diventati parte della loro vita. Videro che fra le truppe stavano avvenendo degli spostamenti. Alcuni reparti marciavano in un senso, altri nell'altro. Una batteria fece senza fretta una conversione. In cima a una collinetta vi era il folto luccichio di molti fucili che lasciavano quel punto.

Il giovane si alzò. «E adesso?», disse. Dal tono pareva pronto a prendersela per qualche nuova mostruosità in fatto di fragori e schianti. Fece ombra agli occhi con la mano sudicia e scrutò il campo.

Anche l'amico si alzò e fissò il paesaggio. «Scommetto che ce ne andiamo da questo posto e torniamo di là del fiume,» disse.

«Non me lo dire!», replicò il giovane.Aspettarono, osservando. Poco dopo il reggimento riceveva l'ordine di tornare sui suoi passi. Gli uomini si

alzarono dall'erba brontolando, rimpiangendo il soffice riposo. Sgranchirono le gambe intorpidite, stirarono le braccia sopra la testa. Un soldato bestemmiò mentre si fregava gli occhi. Tutti gemettero «Oh Signore!». Contro quello spostamento avevano altrettante obiezioni che contro l'eventuale proposta di un'altra battaglia.

Con passo pesante tornarono lentamente indietro per il campo che avevano traversato a corsa folle.Il reggimento marciò fino a raggiungere il reparto gemello. In colonna, la brigata ricostituita puntò attraverso

un bosco verso la strada. Subito si ritrovarono tra una massa di truppe coperte di polvere, e procedettero faticosamente per un cammino parallelo alle linee del nemico, come erano state definite dal precedente scompiglio.

Passando in vista di un'indifferente casa bianca, videro davanti ad essa gruppi di compagni, sdraiati in attesa dietro un ben fatto riparo. Una fila di cannoni sparava a un nemico lontano. I proiettili scagliati in risposta sollevavano nuvole di polvere e scheggie. Uomini a cavallo sfrecciavano lungo la linea dei trinceramenti.

A quel punto della marcia, descrivendo una curva, la divisione abbandonò il campo e serpeggiando puntò in direzione del fiume. Quando il significato di quel movimento gli si schiarì in mente, il giovane girò la testa e di sopra le spalle guardò il terreno calpestato e coperto di rottami. Tirò un respiro di nuova soddisfazione. Poi, con una gomitata, «Be',» disse all'amico, «è passata.»

Questi si voltò a guardare. «Eh sì, perdio!» assentì. Ed entrambi meditarono.Per qualche tempo il giovane si trovò a dover riflettere in modo confuso e incerto. Il suo stato d'animo stava

subendo un impercettibile cambiamento. Gli ci vollero alcuni momenti per liberarsi dai modi del campo di battaglia e riprendere il corso abituale dei suoi pensieri. A poco a poco il cervello riaffiorò dalle nubi che l'offuscavano, e alla fine egli fu in grado di comprendere con maggior precisione se stesso e le circostanze.

Allora capì che l'esistenza di spari e controspari apparteneva al passato. Aveva abitato in una terra di strani, fragorosi rivolgimenti e ne era uscito. Era stato là dove erano il rosso del sangue e il nero della passione, e ne era scampato. Dedicò i suoi primi pensieri a rallegrarsi di tale fatto.

Poi cominciò a studiare le sue azioni, i suoi fallimenti e i suoi successi. Appena uscito da scene in cui molti dei suoi usuali meccanismi di riflessione erano rimasti inerti ed egli si era comportato a guisa di pecora, si sforzava così di inquadrare tutti i suoi atti.

Alla fine essi marciarono davanti a lui limpidamente. Dal punto di vista raggiunto era in grado di contemplarli come uno spettatore, e di criticarli con una certa correttezza, poiché la sua nuova condizione aveva già debellato certe simpatie.

Considerando la sequenza dei suoi ricordi si sentì allegro e senza rimpianti, perché le sue azioni pubbliche vi sfilavano in grande, luminoso risalto: quelle imprese cui avevano assistito i suoi compagni ora incedevano in porpora e oro, subendo varie deformazioni. Procedevano lietamente a suon di musica. Era un piacere contemplare quelle cose, ed egli passò momenti deliziosi passando in rivista le dorate immagini della memoria.

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Capì che era in gamba. Ricordò con un brivido di gioia i rispettosi commenti dei compagni riguardo alla sua condotta.

Nondimeno, gli apparve danzando il fantasma della sua fuga dal primo scontro. Intorno a tali questioni piccoli clamori si levarono nel suo cervello. Per un momento arrossi, e la luce della sua anima vacillò di vergogna.

Lo visitò uno spettro del rimprovero. Si profilò il persistente ricordo del soldato con la divisa a brandelli quello che, trapassato dalle pallottole e sul punto di svenire per il sangue perduto, si era preoccupato per un'immaginaria ferita di un altro; quello che aveva impegnato gli ultimi spiccioli di energia e di intelligenza per il soldato alto; quello che, accecato dalla stanchezza e dalla sofferenza, era stato abbandonato in un campo.

Per un istante, al pensiero che avrebbe potuto essere scoperto in quella faccenda, lo coprì un avvilente gelo di sudore, e mentre fronteggiava con tenacia la sua visione si lasciò sfuggire un grido di acuta irritazione e di angoscia.

L'amico si voltò. «Che hai, Henry?» gli domandò. La risposta del giovane fu un'esplosione di colorite bestemmie.

Mentre marciava per quella strada di campagna ombreggiata da rami, fra i compagni che chiacchieravano, su di lui aleggiò quella visione di crudeltà.

Gli si tenne sempre vicina, oscurando l'immagine di gesta in porpora e oro. Dovunque si volgessero i suoi pensieri, li seguiva il cupo fantasma di quell'abbandono nei campi. Guardò di soppiatto i compagni, sicuro che dovessero scorgere sul suo viso le prove di quell'ossessione. Ma quelli arrancavano nelle loro lacere divise, discutendo a lingua sciolta i risultati della recente battaglia. «Oh, se uno venisse a chiedermi il mio parere, direi che abbiamo preso una bella batosta.»

«Batosta! secondo te! Ma noi, figliolo, non le abbiamo prese. Ora ci ritiriamo di qua, poi ci voltiamo e li prendiamo alle spalle.»

«Sì, macché! Li prendiamo alle spalle! Quello che ho visto mi basta. Non venire a contarmi di prenderli alle spalle... ».

«Bill Smithers, lui dice che preferirebbe trovarsi in mille battaglie piuttosto che in quel maledetto ospedale. Dice che hanno cominciato a sparare di notte, e che le granate cadevano a piombo fra quelli che ci si trovavano. Dice che non ha mai sentito tanto urlare.»

«Hasbrouck? É il migliore ufficiale di questo reggimento. É un mostro!» «Non te lo dicevo che li avremmo aggirati per arrivargli alle spalle? Non te lo dicevo io? Noi... ».

«Ma piantala!»Per qualche tempo l'incalzante ricordo del soldato con la divisa a brandelli tolse ogni euforia dalle vene del

giovane. Vedeva il suo vistoso errore, e temeva di averlo davanti per tutta la vita. Non prese parte al chiacchierio dei compagni; non li guardava né si accorgeva di loro, tranne quando ad un tratto gli venne il sospetto che quelli vedessero i suoi pensieri e stessero valutando ogni particolare della scena col soldato dalla divisa a brandelli.

Tuttavia a poco a poco radunò le forze per mettere la sua colpa a una certa distanza. E finalmente i suoi occhi parvero aprirsi su nuove vie. Si accorse che poteva volgere indietro lo sguardo sulla pretenziosa verbosità dei suoi principi di un tempo e vederli quali erano realmente. Fu lieto di scoprire che ora li disprezzava.

Con tale convinzione sopraggiunse una carica di fiducia. Senti in sé una quieta virilità, priva di arroganza, ma di sangue vigoroso e forte. Capi che non si sarebbe più sgomentato davanti alle sue guide, qualunque direzione indicassero. Era stato vicino a toccare la grande morte, e aveva scoperto che, dopo tutto, era soltanto la grande morte. Egli era un uomo.

Avvenne così che, mentre si allontanava faticosamente dal luogo del sangue e dell'ira, la sua anima cambiò. Da vomeri incandescenti passò a prospettive di sereni prati di trifoglio, e fu come se i vomeri incandescenti non fossero mai stati. Le cicatrici appassirono come fiori.

Pioveva. Il corteo di stanchi soldati diventò uno strascico inzaccherato di uomini depressi e brontolanti che marciavano, con sforzi da zangola, in un trogolo di melma liquida e bruna, sotto un cielo basso e deprimente. Eppure il giovane sorrideva, perché vedeva che il mondo era un mondo per lui, sebbene molti scoprissero che era fatto di bestemmie e di bastoni per appoggiarsi. Si era liberato della rossa nausea della battaglia. L'incubo soffocante apparteneva al passato. Era stato un animale pustoloso e sudaticcio nel calore e nel tormento della guerra. Ora si volse con sete di amante a immagini di cieli tranquilli, prati novelli, freschi rivi: un'esistenza di soave ed eterna pace.

Sopra il fiume un raggio dorato di sole apparve attraverso le schiere di plumbee nubi piovose.