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IL SEGRETO DEI GIUSTI

Il segreto dei Giusti

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Ebook ISBN 978-88-6057-316-2. Dal 23 gennaio al 21 febbraio 2016 la Galleria Espositiva del Museo “Il Correggio” ospita la mostra Il segreto dei Giusti, una collettiva a cura di Margherita Fontanesi, promossa dal Comune di Correggio in occasione della Giornata della Memoria (27 gennaio). Le opere degli artisti coinvolti – Mirko Baricchi, Paul Beel, Ariela Böhm, Alfio Giurato, Fosco Grisendi, Ester Grossi, Lea Golda Holterman, Federico Infante, Massimo Lagrotteria, Marco Martelli, Matteo Massagrande, Sonia Maria Luce Possentini, Matteo Pugliese, Tobia Ravà, Max Rohr, Matteo Tenardi, Wainer Vaccari – hanno il compito di illustrare l’importantissimo ruolo dei Giusti fra le Nazioni, non ebrei che, durante la Seconda Guerra Mondiale, salvarono tantissimi ebrei dall’Olocausto. www.vanillaedizioni.com

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IL SEGRETODEI GIUSTI

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Editore

Traversa dei Ceramisti, 817012 Albissola Marina (SV)Tel. + 39 019 4500659Fax + 39 019 [email protected]

ISBN 978-88-6057-316-2

TestoMargherita Fontanesi

Graphic layoutElena Borneto

CopertinaEster Grossi, Flash, 2015, acrilico e gesso su tela, cm 120x100

Copyright© Vanillaedizioni© per le opere, gli artisti© per i testi, gli autori

Ebook pubblicato nel mese di gennaio 2016 a cura di Vanillaedizioni.Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

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IL SEGRETO DEI GIUSTIMirko Baricchi, Paul Beel, Ariela Böhm, Alfio Giurato, Fosco Grisendi, Ester Grossi, Lea Golda Holterman, Federico Infante, Massimo Lagrotteria, Marco Martelli, Matteo Massagrande, Sonia Maria Luce Possentini, Matteo Pugliese, Tobia Ravà, Max Rohr,

Matteo Tenardi, Wainer Vaccari

a cura di Margherita Fontanesi

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Si ringraziano le gallerie:

Galleria de’ Bonis - Reggio EmiliaBonelli Lab - Canneto sull’Oglio (MN)

Bonioni Arte - Reggio Emilia Punto sull’Arte - Varese

Cardelli & Fontana Arte Contemporanea - Sarzana (SP)Galleria Restarte - Bologna

Spazio Testoni - BolognaFederico Rui Arte Contemporanea - Milano

M77 Gallery - Milano

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Collettiva per la Giornata della Memoria23 gennaio – 21 febbraio 2016

Correggio, Museo “Il Correggio”

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IL SEGRETO DEI GIUSTI

Chi salva una vita salva il mondo intero.Talmud

Una leggenda ebraica che compare nel Talmud di Babilonia narra che, dall’i-nizio del mondo fino alla fine dei giorni, ci siano sempre 36 uomini giusti, inconsapevoli di esserlo e ignoti a tutti; uomini che svolgono lavori umili, dai quali dipende il destino dell’umanità. È grazie a loro se Dio risparmia il mon-do dalla distruzione nonostante i peccati degli uomini. Secondo la leggenda ogni volta che uno dei Giusti porta a termine il suo compito e scompare viene sostituito da un altro1.

Uno dei compiti dell’Arte Contemporanea dovrebbe essere quello di inter-pretare la realtà odierna e renderla più comprensibile. Gli artisti hanno una sensibilità particolarmente acuita che permette loro di captare i cambiamen-ti nella società e nella Storia nonostante la ridottissima distanza temporale che, come sempre quando si è troppo a ridosso dall’oggetto dell’osservazio-ne, li rende incomprensibili ai più. Gli artisti dovrebbero essere insomma le avanguardie del nostro tempo e interpretarne lo spirito, quello che Hegel, nelle sue lezioni sulla filosofia della storia, chiamava Zeitgeist.Il linguaggio per immagini dell’Arte figurativa, elude la ragione e viene in-terpretato direttamente dalla sensibilità individuale. Fa appello a una sfe-ra emotiva di vissuto personale che può diventare una leva importante per muovere e sostenere la ragione nella comprensione di fatti più grandi dell’Uomo.Troppo raramente l’Arte Contemporanea si accosta ad altre discipline come strumento di conoscenza complementare e questa sua assenza la impoveri-sce molto relegandola spesso a status symbol intellettuale, a nicchia di specu-lazione filosofica per pochi o, peggio ancora, finisce per chiudersi in un circo-lo autoreferenziale in cui chi la produce, chi la interpreta, chi la espone e chi la vende fa riferimento solo ad essa stessa isolandola dal resto del mondo.

La Giornata della Memoria, ogni 27 gennaio, ci ricorda uno di quei momenti storici ancora di difficile comprensione nel loro orrore: la Shoah, una delle

1 Il Talmud di Babilonia è stato inizialmente trasmesso oralmente e poi trascritto nelleaccademie rabbiniche della Mesopotamia, tra il III e il V secolo, in seguito alle guerre contro i romani e alladiaspora, per evitare che andasse perduto.

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pagine più oscure della nostra Storia che ancora si studia, si analizza, si im-pone alla memoria senza riuscirne a capire fino in fondo le cause. Tutti noi crediamo di sapere qualcosa sulla Shoah, chi più chi meno, ma spesso abbiamo solo una infarinatura di ricordi scolastici o cinematografi-ci. Quella della Shoah è una storia complessa e articolata come un insieme composto da molti più elementi di quanti riusciamo a cogliere a un primo sguardo.Accanto al numero smisurato dei sei milioni di vittime esiste anche un nu-mero, purtroppo molto inferiore, di vite salvate, spesso da non-ebrei, spesso da sconosciuti. Questi sono i Giusti fra le Nazioni: non-ebrei che, rischiando la propria vita, hanno salvato anche un solo ebreo.Gli esempi di queste persone ricordano che l’uomo non è sempre in balìa della Storia e degli eventi ma è dotato di un libero arbitrio – che non sempre esercita – che, di fronte al male, gli può fare dire “si” ma anche “no”.Se quella dei 36 giusti è una leggenda biblica, l’esistenza di tanti Giusti fra le Nazioni è realtà.Durante la Seconda Guerra Mondiale, in tutto il mondo, persone eccezionali nella loro normalità, hanno salvato tantissime vite umane dalla Shoah.

Nel 1963 il museo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, ha istituito una commissione, guidata da un membro della Corte Suprema Israeliana che, con rigorosi criteri di selezione, ha iniziato a valutare le storie degli ebrei salvati dall’Olocausto. “Giusto fra le Nazioni” è il riconoscimento più alto per lo Stato israeliano e la commissione dello Yad Vashem garanti-sce ai Giusti comprovati la Nazionalità onoraria, un sostegno economico e, in caso di necessità, un sostegno per le cure mediche. Fino agli anni Novanta per ciascuno di Giusti riconosciuti veniva piantato un albero nel Giardino dei Giusti del Museo poi, essendo terminato lo spazio per le piantumazioni, i loro nomi hanno trovato posto in un muro all’interno del giardino stesso.

Alcune caratteristiche accomunano le storie di tutti i Giusti:il silenzio nel quale sono intervenuti, indispensabile durante la guerra e mol-to nobile al suo termine. Gino Bartali, uno dei Giusti fra le Nazioni riconosciu-ti, era solito dire: “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Bartali salvò molti ebrei trasportando documenti falsi all’interno della canna della propria bicicletta, rischiando una carriera all’apice ma soprattutto la vita.

Per questa mostra Marco Martelli ha realizzato un intenso ritratto del cam-pione fiorentino (fig. 01), un primo piano non connotato da nessun attributo qualificativo, nemmeno dalla bicicletta. Il volto di Bartali racconta molto del-la sua personalità e della sua storia, il suo essere allo stesso tempo coraggio-

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so e schivo, forte e umile. Marco Martelli, in questo dipinto ha ammorbidito il suo iperrealismo in chiave più interpretativa cogliendo l’essenza della storia di Bartali attraverso un profondo ritratto psicologico. Martelli si dice colpito dall’espressione intensa del volto di Bartali i cui lineamenti segnati rivelano un uomo abituato a combattere e a confrontarsi con un obbiettivo, inizial-mente sportivo, poi anche umano. Lo spirito agonistico di Bartali accompa-gnato da una grande correttezza sportiva, è stato lo stesso che gli ha dato la forza e la determinazione per portare a fine il suo compito nel salvataggio di tante vite. Martelli coglie la purezza dello sguardo limpido del campione rivolto all’orizzonte, accarezza la sua figura con una luce simbolica che parla del grande bene di cui è stato capace che contrasta piacevolmente con la ruvidità dei lineamenti in un ritratto intenso e simbolico ma non idealizzato.

I Giusti hanno operato nell’anonimato. La maggior parte di loro, anche dopo la guerra, terminato il pericolo, non ha raccontato a nessuno la propria sto-ria che è stata spesso resa pubblica dai salvati che li hanno cercati e segna-lati alla commissione dello Yad Vashem. In tanti casi per loro erano anonime anche le persone a cui hanno salvato la vita, a volte perfetti sconosciuti che hanno bussato alla loro porta e ai quali è stato aperto. Ester Grossi (fig. 02) ha lavorato con il suo stile geometrizzante proprio sul concetto di anonimato di chi fa il bene ma anche di chi lo riceve. La figura che ritrae ha un portamento elegante e nobile ma il suo volto è stato nascosto. Molti Giusti, intervistati diversi anni dopo la guerra, si sono stupiti delle at-tenzioni rivolte ai loro gesti eroici. Molti di loro avrebbero preferito rimanere anonimi e non trovano niente di eccezionale nel loro modo di comportarsi, pensano semplicemente che non avrebbero potuto comportarsi diversa-mente. L’essenzialità dello stile di Ester Grossi risponde a questi caratteri schivi e a questo rigore morale.

Solitudine, un’altra caratteristica dei Giusti. La solitudine delle grandi deci-sioni, che si maturano nel proprio cuore scevre da condizionamenti. La soli-tudine dei non allineanti, che è anche la loro forza. Questa condizione è ben rappresentata da “Zeitgeist”, di Matteo Pugliese (fig. 03); un uomo che non dialoga con lo spettatore ma gli dà le spalle, immerso nel muro come nel-la propria interiorità, un uomo che sembra fluttuare sospeso nel processo decisionale ma il cui fisico possente è metafora di una grande forza. Quelle spalle muscolose rievocano la leggenda dei 36 Giusti e sembrano proprio essere in grado di reggere il destino del mondo. Forza, solitudine e intro-spezione traspaiono da questa scultura che entra o esce dal muro come da se stessa. Opporsi a ciò che sta succedendo intorno a sé, all’andamento della propria società, facendo scelte che vanno contro la legge dello Stato ma rispondono alla propria legge interiore, richiede una grande libertà ed

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autonomia di pensiero per mantenere le quali, in tempo di guerra, quando è a rischio la propria vita, è necessario un momento di raccoglimento in sé stessi, per confrontarsi con la propria coscienza e misurare le proprie forze. “Chi rinuncia a giudicare da solo diventa facile preda dei tiranni e dei dema-goghi” scrive Gabriele Nissim2.Anche “coraggio” in questa mostra è un concetto chiave al quale corrispon-de un’altra scultura di Pugliese, “Raw” (fig. 05): un uomo proteso che, con le braccia spalancate, afferma se stesso, si slancia verso il mondo senza paura. Le sculture di Matteo Pugliese sono state le prime opere a cui ho pensato per questa collettiva: le sue figure potenti e leggere insieme, che affiorano dai muri o in essi scompaiono, trovano un collegamento immediato con le storie di uomini nascosti e salvati dalle protettive mura delle case, dei fienili, delle soffitte dei Giusti.

Un’immagine mi compare sempre davanti agli occhi quando ascolto dai testimoni le storie di salvataggi: luoghi a prima vista normali, ambienti nei quali la vita continuava apparentemente a scorrere come ogni giorno ma che celavano vite nascoste, sottratte da uomini Giusti a rastrellamenti e a continui controlli, celate agli occhi sospettosi di vicini di casa spesso pronti a denunciarli. Il tempo per questi ebrei braccati e nascosti si dilatava in gior-nate infinite e si contraeva improvvisamente, ghiacciato dalla paura, a ogni rumore sospetto. Ho ritrovato questa condizione nella tela di Paul Beel (fig. 07) nella posizione dei due bambini che sembrano nascosti in un magazzino o in una soffitta, nel naturalismo pittorico con il quale Beel dipinge i loro sguardi nei quali si legge noia e preoccupazione.

Per lo stesso ordine di motivi ho scelto le opere di Matteo Massagrande: un esterno (fig. 08) un interno (fig. 09) il cui realismo assume in questo contesto un valore quasi metafisico e profondamente simbolico. Siamo di fronte a case semplici che viste da fuori ci parlano di quotidianità. L’interno è de-serto, sono luoghi apparentemente disabitati: stanze che si aprono su altre stanze che non riusciamo a vedere completamente e nelle quali verrebbe d’istinto affacciarsi e sbirciare alla ricerca di una presenza. Ma l’autore ce lo impedisce. Ci ritroviamo improvvisamente, nostro malgrado, nei panni degli aguzzini. Siamo noi ora a cercare qualcuno ed è l’autore a occultarci una parte della casa. Quando si studia la Storia è importante riuscire a cambiare punto di vista per comprendere a tutto tondo un fenomeno. L’arte ha anche questa funzione: proiettare scenari, dar forma a storie, raccontare per metafore e avvicinarci ai fatti storici da un nuovo punto di vista.La terza opera di Matteo Massagrande è un mandorlo in fiore (fig. 10), im-

2 Gabriele Nissim, La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti, Milano Mondadori, 2011.

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mediato rimando agli alberi del Giardino dei Giusti del Museo Yad Vashem e all’idea della vita che continua.

Allo stesso motivo è ascrivibile la scelta di “Albero di luna” di Tobia Ravà (fig. 11). L’albero rappresenta la vita e, nello specifico, simboleggia l’uomo Giusto che si erge a fronteggiare le avversità, saldo su radici dipinte in forte evi-denza. L’illuminazione dell’albero in controluce lo fa stagliare con forza sullo sfondo di una grande luna piena, elemento non casuale: la cultura ebraica si riferisce a un calendario lunare piuttosto che solare, la luna assume dunque un ruolo di primo piano nella determinazione delle vicissitudini riguardanti il mondo naturale.La funzione salvifica dei Giusti si trova anche nella seconda opera in mostra di Tobia Ravà “Oltre - porta rossa” (fig. 12). In questa tela una stanza angusta, attraverso una porta rossa, si apre su un ampio e arioso chiostro, suggeren-do il passaggio dal nascondiglio alla libertà e da una condizione di segrega-zione alla salvezza. I Giusti, come quella porta, hanno nascosto e custodito i loro salvati per restituirli alla libertà. Entrambe le opere di Tobia Ravà, come del resto la sua intera produzione, sono composte da numeri, parole e lettere dell’alfabeto ebraico che, a livello di significato hanno una stretta connessione. Se “Albero di luna” è composto da parole come maim (acqua), gal (onda), etz (albero), “Oltre - porta rossa” è composto dalle parole shaar (porta), dal numero 51 che corrisponde al colore rosso (adom) e da un complesso insieme di numeri, parole e concetti che porta a un messaggio: il passaggio di stato dal buio alla luce verso una condizione “illuminata” da raggiungersi superando la barriera di se stessi diventando degli Tzadiquim, degli Uomini Giusti. In sostanza il processo che hanno fatto più o meno consapevolmente i Giusti che sono passati dal buio della paura per la propria incolumità alla luce dell’atto eroico e salvifico pas-sando attraverso un confronto duro e serrato con la propria coscienza.

Un albero è presente anche nelle fotografie di Lea Golda Holterman, artista israeliana che vive e lavora fra Tel Aviv e Berlino, della quale ho scelto due scatti (figg. 13 e 14) di una serie sull’ortodossia ebraica. Nella prima fotogra-fia è catturato un momento di un bagno rituale, un processo che porta alla purificazione e avvicina l’uomo alla condizione di Chassid (ortodosso, pio). Gli uomini pii sono coloro il cui cuore puro è più vicino a Dio, un concetto che si avvicina molto a quello di Giusto non ebreo (Tzadiq). Nella seconda immagine è protagonista un albero sul quale sono appesi abiti ortodossi (si indovinano fra essi due Tallit, i caratteristici teli a quattro angoli con frange alle estremità che sono indossati dagli uomini sotto la camicia. In questa sorta di dittico sono dunque accostati metaforicamente i concetti di “pio” (Chassid) e “Giusto” (Tzadiq) che attraversano trasversalmente molte culture.

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La presenza di artisti ebrei e non permette un interessante confronto di vi-sioni. Accanto alle opere di Lea Golda Holterman e Tobia Ravà è presente in mostra anche un video di Ariela Böhm, biologa oltre che artista, e perfetto esempio di interdisciplinarietà. La sua opera (fig. 15) introduce in mostra un nuovo concetto, quello di compassione: “Rachamim”, compassione in ebrai-co, è proprio il titolo del video nel quale lacrime scorrono e cadono adden-sandosi nel gelo di un contenitore dal cui fondo emerge gradualmente la scritta “Rachamim”. Il termine ebraico deriva da rechem, che significa grem-bo, utero e il suo significato resta così strettamente connesso alla funzione materna. “Eyl maleh rachamim”, interpretato in quest’opera dal soprano Ja-net Pape, è un canto funebre ebraico a cui spesso si fa ricorso per ricordare i morti nei campi di sterminio. Qui è ben più di un sottofondo ma piuttosto parte integrante dell’opera nella quale le lacrime sono decontestualizzate e sembrano sgorgare dal cielo rappresentando il pianto di tutte le madri che, in qualsiasi angolo dello spazio e del tempo, hanno perso i loro figli. È proprio la compassione che permette di mettersi nei panni degli altri e creare quell’empatia che rende possibile i grandi gesti di eroismo. La videoarte accanto alla pittura, alla scultura e alla fotografia, offre un ven-taglio di possibilità più ampio per accedere all’interpretazione della Storia. Accanto alla ragione, che analizza e interpreta gli eventi, il concorso degli al-tri sensi (in questo caso l’udito oltre la vista) contribuisce a rendere possibile una più ampia e profonda comprensione.

Di grande complessità simbolica è anche l’opera di Max Rohr (fig.16) nella quale la figura più grande sembra custodire segreti, simboleggiati dagli og-getti dipinti sul suo corpo e dalle doppie gambe, quasi nascondesse dentro di sé anche un’altra persona. I Giusti si sono fatti carico di un grande segreto, del quale sono diventati custodi: altre vite, che dovevano essere nascoste e protette, celate agli occhi di tutti per salvarli dalla morte. I salvati dipendeva-no totalmente da loro.Un grande legame si crea fra questi uomini: le vite di soccorritori e soccorsi sono strette a doppio filo le une alle altre e al reciproco silenzio che riescono a mantenere. I soccorritori devono imparare a vivere una doppia vita per sal-varsi dai delatori che, nel clima antisemita della Seconda Guerra Mondiale, sono ovunque: in pubblico sono gli uomini che erano prima, in segreto sono i tutori di una vita nascosta. Mantenere questo segreto ha un prezzo alto, l’incolumità propria e della propria famiglia e anche un costo vivo perché in tempo di guerra, quando c’è poco di che vivere per tutti, questi uomini han-no diviso il proprio cibo con chi stavano nascondendo. Gli ebrei soccorsi de-vono farsi invisibili, non fare rumore, non uscire dai rifugi. Il crearsi di queste doppie vite, alle quali sembra alludere la figura sdoppiata dell’opera di Max Rohr, è una forma di resistenza, di andare contro corrente rendendo conto delle proprie scelte solo alla propria etica. Come scrive Gabriele Nissim “An-

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che nelle circostanze più difficili ci sono per tutti delle possibilità di creare un piccolo margine di resistenza”3.

Sonia Maria Luce Possentini (fig. 17) è presente con un’opera dal tempo immobile che tiene con il fiato sospeso. Protagonista è una figura mimetiz-zata in una parete, da essa avvolta e nascosta. La giovane si fa bianca come il muro nel quale sembra voler scomparire. È una cifra stilistica propria della Possentini questo lavorare col bianco sul bianco fondendo le figure con lo sfondo creando effetti non claustrofobici ma impalpabili e lievi. Il nascondi-glio della giovane donna del dipinto non la confina in una situazione angusta e opprimente ma la protegge in una bianca coltre di speranza. Su questa parete/rifugio è conficcato un chiodo, elemento ricorrente nelle opere della Possentini che ferma i ricordi e che trafigge il cuore come la paura.

Di grande delicatezza è anche l’opera di Federico Infante, “Guided” (fig. 18), artista cileno che vive e lavora a New York. Nella sua tela una figura femmi-nile di spalle viene sollevata in volo da due colombe, il Giusto non si vede, trasfigurato nei due uccelli, simbolo di purezza, in linea con il principio dell’a-nonimato.L’opera, di grande lievità cromatica e leggerezza compositiva, si apre verso l’alto lasciando intravedere una via d’uscita dal baratro.

Un’atmosfera rarefatta e surreale, da “terra di mezzo” si respira anche in “Humus”, l’opera di Mirko Baricchi (fig. 19). Si tratta di una grande carta di-pinta su due lati con il soggetto del retro che affiora sul fronte mischiandosi con esso e completandolo: un mondo celato da un altro, reso questa volta in modo molto criptico e allusivo, come il linguaggio dei segreti ben custoditi. Nell’opera di Baricchi anche la tecnica concorre a sviluppare il soggetto in un’operazione di grande completezza interpretativa. L’opera parla di ciò che è visibile e di ciò che non lo è ma anche del ciclo della vita e della morte a cui alludono la presenza del carbone e dei vegetali. Elemento ricorrente nella pittura di Baricchi è la figura dell’anfora, contenitore di acqua/vita che spes-so nelle sue opere si trasforma in cuore e che qui è moltiplicata e composta in un’ellissi danzante.

Di luoghi parlano anche le due suggestive opere di Matteo Tenardi (figg. 20 e 21). In esse il nascondiglio e il distacco forzato dalla propria vita hanno una chiave di lettura più dolorosa e fisica. Nella prima composizione, “Luoghi instabili*(Ipotesi d’installazione #1 e #2 per una radice)” (fig. 20), Tenardi accosta i concetti di instabilità e di radici ponendo in primo piano l’idea di sradicamento e l’insicurezza che ne deriva. La composizione di più opere

3 Gabriele Nissim, cit.

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che concorrono a formarne una sola parla di una vita smembrata, scompo-sta e non ancora ricomposta altrove. Nella seconda opera, “Diventare linea d’orizzonte*nell’angolo al confine fra il muro e il pavimento” (fig. 21) invece emerge tutto il senso di claustrofobia e di costrizione del rifugio obbligato. La figura distesa rigidamente nella nicchia, appoggiata direttamente sul pa-vimento, ben rappresenta lo stato in cui si sono trovate a vivere tante perso-ne. Il nascondere e il nascondersi sono concetti chiave nelle opere di Tenardi come profonda metafora. L’abbigliamento contemporaneo delle figure crea un immediato collegamento con l’oggi sottolineando come la Storia ciclica-mente si ripete e come da essa si debba imparare perché l’intervento di uomini Giusti potrebbe essere ancora necessario e questa volta potremmo essere chiamati a intervenire proprio noi.

Un forte legame con la contemporaneità ha anche “Everyday”, opera di Fo-sco Grisendi realizzata appositamente per questa mostra (fig. 22). Con il suo stile solo apparentemente pop e i suoi colori caratteristici (nero, verde, blu e bianco) Fosco Grisendi racconta la sua idea di Giusti in un compendio per immagini individuando quelli che per lui sono i temi chiave e traducendone ognuno in piccola icona. Allora troviamo l’immagine di un ciclista, Gino Bar-tali; una figura che sembra nascondersi; una scarpa abbandonata derivata dal cumulo di scarpe esposte ad Auschwitz che è rimasto impresso nei suoi occhi e infine una mano che regge una piccola ancora, un’immagine molto forte che allude all’aggrapparsi a qualcosa che impedisca di andare alla de-riva.

Due autori in particolare mi hanno ricordato fatti storici territorialmente vici-ni e di straordinaria importanza. Massimo Lagrotteria e Alfio Giurato.

Le due carte di Massimo Lagrotteria (figg. 23 e 24) rimandano alla storia di Villa Emma di Nonantola (MO). Nella cittadina del modenese il sacerdote don Arrigo Beccari e il medico Giuseppe Moreali, insieme all’intero paese, contribuirono al salvataggio di circa settanta ragazzi e ragazze ebree ospitati dapprima in una grande villa presa in affitto – Villa Emma appunto –. Qui i ragazzi ebbero un periodo di tregua dalla fuga a cui erano costretti da tem-po attraverso l’Europa e fu possibile provvedere non solo ai loro bisogni più immediati ma anche alla loro educazione. Una volta che anche la casa non fu più sicura l’intero paese accolse i ragazzi che furono ripartiti fra le famiglie e persino in seminario. Nonantola si trasformò così in un importante caso di “comunità ospitante”.Don Arrigo Beccari non fu l’unico sacerdote Giusto, diversi altri religiosi si adoperarono a rischio della loro stessa vita per salvare ebrei aiutandoli a scappare, creando intere reti di soccorso, procurando documenti falsi e na-

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scondendoli travestiti da seminaristi4.

Fra le opere di Alfio Giurato “sorelle” mi ha immediatamente ricordato il gruppo delle ragazze di Villa Emma (fig. 25), unite e legate come una famiglia dalla stessa sorte ma anche sospese in uno stato di temporanea precarietà che suggerisce il dipinto. In diversi casi i Giusti hanno dato vita a delle organizzazioni complesse, delle vere e proprie reti di soccorso volte a nascondere e fare sopravvivere ebrei, procurare loro documenti falsi e aiutarli ad espatriare. Tutto questo richie-deva uomini, tempo, denaro, conoscenze e soprattutto coraggio. Il secondo dipinto di Alfio Giurato (fig. 26) riporta questa atmosfera. Nella postura e nell’atteggiamento delle figure in attesa c’è quel senso di speranza e fiducia e riconoscenza di chi si mette nelle mani degli altri.Nella maggioranza dei casi sono proprio coloro che sono stati salvati che, a guerra finita, hanno cercato di rintracciare i loro salvatori e li hanno segnalati alla commissione dello Yad Vashem perché avessero il giusto riconoscimen-to.

In mostra sono presenti anche due recentissime opere di Wainer Vaccari, “Le due fessure” e “Angolo via Taglio” (figg. 27 e 28) che contengono l’idea del nascondiglio. La loro stesura a pennellate e spatolate veloci fa vibrare nelle tele un senso di affannosa concitazione. Posizioni guardinghe, concentrate e pronte allo scatto, occhi che, soprattutto in “Angolo Via Taglio”, si indovinano sbarrati e guizzanti, figure immobili animate dalla velocità di un tratto pittori-co dietro il quale sembra di sentire un respiro affannoso e velocissimi battiti del cuore. Tutti questi elementi fanno delle tele di Vaccari dei capolavori.

Il conteggio della commissione di Yad Vashem è arrivato a riconoscere ad oggi 25.700 Giusti, dei quali 634 italiani5.Un numero così superiore al 36 della leggenda del Talmud restituisce una certa speranza nell’umanità e nelle persone sulle quali il suo destino poggia.

Margherita Fontanesi

4 Fra questi, per esempio, don Benedetto Richeldi, a Finale Emilia (MO) o don Enzo Boni Baldoni a Cavriago (R.E.), il vescovo Giuseppe Placido Nicolini, don Aldo Brunacci e padre Rifino Niccacci che, ad Assisi, diedero vita a una forte rete di soccorso nella quale era coinvolto anche Gino Bartali.5 Dati del maggio 2015.

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OPERE

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01. Marco Martelli, Bartali2015, olio su tela, cm 50x100

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02. Ester Grossi, Flash2015, acrilico e gesso su tela, cm 120x100

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03. Matteo Pugliese, Zeitgeist2012, bronzo, cm 140x45x25, ed. 7+3

04. Matteo Pugliese, Zeitgeistparticolare

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05. Matteo Pugliese, Raw2015, bronzo, cm 50x75x30, ed. 7+3

06. Matteo Pugliese, Rawparticolare

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07. Paul Beel, Senza titolo2014, olio su tela, cm 120x80

08. Matteo Massagrande, Budapest2010, tecnica mista su tavola, cm 100x120

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09. Matteo Massagrande, Interno2010, tecnica mista su tavola, cm 50x50

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10. Matteo Massagrande, Mandorlo2013, tecnica mista su tavola, cm 30x30

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11. Tobia Ravà, Albero di luna2015, resina e tempere acriliche su tela, cm 130x130

12. Tobia Ravà, Oltre-porta rossa2015, resine e tempere acriliche su tela, cm 160x110

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13. Lea Golda Holterman, Senza titolostampa fotografica su carta fine art, cm 50x50

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14. Lea Golda Holterman, Senza titolostampa fotografica su carta fine art, cm 50x50

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15. Ariela Böhm, RACHAMIM - Le lacrime delle madri creano la compassione nel mondo2013, video, durata min. 4:00

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16. Max Rohr, Senza titolo2013, olio su tela, cm 130x110

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17. Sonia Maria Luce Possentini, L’innocenza delle cose2014, olio su tela, cm 170x100

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18. Federico Infante, Guided2015, acrilico su tela, cm 121x76

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19. Mirko Baricchi, Humus n.19tecnica mista su cartoncino, cm 150x300

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20. Matteo Tenardi, Luoghi Instabili* (ipotesi d’installazione #1 e #2 per una radice)2015, olio e tempera su tavola - penna e grafite su carta e tavola, cm 180x150

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21. Matteo Tenardi, Diventare linea d’orizzonte* nell’angolo al confine tra il muro e il pavimento2014, olio e tempera su tavola, cm 250x45

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22. Fosco Grisendi, Everyday2015, acrilico su juta, cm 80x60

23. Massimo Lagrotteria, Senza titolo2012, olio su carta, cm 50x50

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24. Massimo Lagrotteria, Senza titolo2012, olio su carta, cm 50x50

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25. Alfio Giurato, Sorelle2014, olio su tela, cm 100x120

Pagine successive:26. Alfio Giurato, Senza Titolo

2014-2015, olio su tela, cm 180x280

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27. Wainer Vaccari, Le due fessure2015, olio su tela, cm 150x100

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27. Wainer Vaccari, Angolo via Taglio2015, olio su tela, cm 120x80

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ISBN 978-88-6057-316-2

9 788860 573162