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Il sonetto.
Dalle origini a oggi
Forme del sonetto
Dal prov. sonet, dimin. di so (suono)
La forma propriamente designata nasce nella
Scuola siciliana
14 endecasillabi (2 quartine e 2 terzine)
Schema quartine antico: ABABABAB (cfr. Rvf
134)
Schema ABBA ABBA (maggioritario; cfr. Rvf
12)
Altri schemi: ABAB BABA (2 volte nei Rvf,
260 e 279), ABAB BAAB (1 volta nei Rvf,
295)
Forme del sonetto
Schema terzine antico (cfr. Rvf): CDE CDE;
CDC DCD (questi due i più frequenti); CDE
DCE
Ma anche CDE EDC (frequente in
Cavalcanti); CDC CDC (es. primo sonetto
Vita nova); CDD DCC (Dante, Rime, 36)
Il genere
Da sempre nel canone della poesia lirica.
Lirica delle Origini fino a Petrarca: tematica
amorosa
Ma anche contenuti giocosi (poesia comico-
realistica) o morali (invettive avignonesi dei
Rvf). Adattato alle esigenze espressive
multiformi della letteratura cortigiana.
Funzioni del sonetto: notazione di stati
d’animo, corrispondenza con altri poeti,
spunti occasionali
Origini del sonetto
Nato per affiancare alla canzone un genere
metrico breve, adatto alla corrispondenza tra
poeti (tenzoni).
Prossimità del sonetto alla stanza della
canzone (cobla esparsa provenzale) ma 2
differenze: nella poesia provenzale e in quella
siciliana non sono attestate stanze di canzoni
che ricalchino fedelmente la forma del
sonetto; la cobla esparsa, rispetto al sonetto,
ha schema variabile.
Ipotesi numerologica
Per Pötters la relazione tra il numero di sillabe
del verso (11) e quello complessivo dei versi
(14) ricalca il rapporto tra il cerchio e il quadrato
circoscritto (11:14 = π / 4).
Inoltre le 154 sillabe metriche (11x14)
corrispondono all’area del cerchio con diametro
pari a 14 (come i versi).
Giovannella Desideri insiste, invece, sulla
valenza simbolica del rapporto 4:3 (quartina e
terzina) e 8:6 (fronte e sirma), applicato in vario
modo anche nella costruzione di Castel del
Monte
Ipotesi combinatoria
Antonelli studia la tecnica compositiva di
Giacomo da Lentini. Per il sonetto sarebbe
partito dallo schema di una stanza di canzone
abababab (già usato dai trovatori come
fronte).
Schema terzine: CDE CDE; CCD CCD
duplicano perfettamente lo schema-matrice.
Per Antonelli il metodo compositivo si basa
sulla duplicazione di moduli metrici
Sonetto siciliano
Cfr. Giacomo da Lentini, Donna, vostri
sembianti mi mostraro
Fronte a rime alternate (ABABABAB) e terzine
separate con sequenza replicata (CDE CDE).
Connessione retorica tra fronte e sirma:
canoscenza, v. 8; disconoscenza, v. 9;
conoscenza, v. 10).
Collegamenti lessicali: gioia – gioire (vv. 3 e
14); avete – avrete (vv. 7 e 14); fermezze –
ferme (vv. 10 e 13); mostraro – mostrate (vv. 1
e 5); amore (vv. 2 e 4)
Sonetto siciliano
Donna, vostri sembianti mi mostraro A
isperanza d’amore e benvolenza, B
ed io sovr’ogni gioia lo n’ò caro A
lo vostro amore e far vostra piagenza. B
Or vi mostrate irata, dunqu’ è raro A
senza ch’io pechi darmi penitenza, B
e fatt’avete de la penna caro, A
come nochier c’à falsa canoscenza. B
Disconoscenza ben mi par che sia, C
la conoscenza che nonn-à fermezze, D
che si rimuta per ogni volere; E
dunque non siete voi in vostra balia, C
né inn-altrui c’aia ferme prodezze, D
e non avrete bon fine al gioire. E
Sonetto siciliano
Rapporto sintassi-metrica: nella fronte frasi
che occupano distici di versi (cfr.
punteggiatura moderna); nelle terzine due
periodi più complessi, composti da tre versi
ciascuno armonia tra scansione metrica e
sintattica.
Fronte: scansione per distici sia dal punto di
vista sintattico sia per schema di rime
alternate, ma anche discorso per quartine
(vedi uso del punto fermo).
Sonetto siciliano
Tema amoroso (caratteristica dei Siciliani).
Ricordo della armonia tra la benvolenza della donna e la
gioia dell’amante (vv. 1-4).
Rottura per l’ira di lei, che si comporta come il nochier
(marinaio) che per imperizia (falsa canoscenza) ha
capovolto l’antenna della vela, portando la penna (la
punta) al posto del caro (la base) (vv. 5-8).
Il poeta riconosce questo agire insensato, una
conoscenza che nonn-à fermezze (vv. 9-11)
La mancanza di controllo di sé (non siete voi in vostra
balia) e il rifiuto di rimettersi alla forza d’Amore (inn-altrui
c’aia ferme prodezze) impediranno alla donna il
raggiungimento di un esito positivo (bon fine al gioire) (vv.
12-14)
Sonetto siciliano
Inquadramento del presente fra il passato
dell’esordio e il futuro del finale.
Nella fronte si presenta la situazione
soggettiva (i rapporti tra i due amanti), nella
sirma si propone una visione più generale e
oggettiva.
Dopo i Siciliani
Continuità tra la Scuola Siciliana e il gruppo
di poeti attivi tra Bologna e Toscana (2° metà
del ‘200).
Il sonetto diventa il genere più diffuso,
superando di gran lunga la canzone si
allenta il rigore tematico delle origini; il
sonetto diventa la forma tipica della poesia
d’occasione, con evidente abbassamento di
rango (cfr. De vulgari eloquentia, II, III, 5).
Varietà tematica, m anche sperimentazioni
formali.
Dolce Stil Novo
Sul piano formale si afferma come
maggioritario il nuovo schema della fronte a
rime incrociate (ABBA ABBA) maggiore
evidenza della bipartizione in quartine e
creazione di una situazione parallela a quella
della sirma.
Il nuovo schema astratto è 4+4+3+3
Dolce Stil Novo
Deh peregrini che pensosi andate, A
forse di cosa che non v’è presente, B
venite voi da sì lontana gente, B
com’a la vista voi ne dimostrate, A
che non piangete quando voi passate A
per lo suo mezzo la città dolente, B
come quelle persone che neente B
par che ’ntendesser la sua gravitate? A
Se voi restaste per volerlo audire, C
certo lo cor de’ sospiri mi dice D
che lagrimando n’uscireste pui. E
Ell’ha perduta la sua beatrice; D
e le parole ch’om di lei pò dire C
hanno vertù di far piangere altrui. E
Dolce Stil Novo
Nel sonetto dantesco (cfr. Vita nova) la seconda
quartina è legata alla prima da subordinazione: si
apre con una consecutiva (che non piangete)
che ha la principale nei versi precedenti (venite
voi da sì lontana gente) questa tipologia di
collegamento tra le porzioni è frequente negli
stilnovisti che creano strutture sintattiche più
articolate e ramificate.
Non c’è più ora netta separazione tra istanza
soggettiva (fronte) e oggettiva (sirma), ma
sviluppo del tema da differenti prospettive.
Dolce Stil Novo
La sintassi si sviluppa con periodi
“discendenti” (le principali precedono le
subordinate) sviluppo naturale degli eventi,
dei rapporti causa-effetto
L’esperienza amorosa è un meccanismo
oggettivo, governato da leggi. La lirica è
dettata da Amore (cfr. Purg. XXIV, vv. 53-55).
Francesco Petrarca
Anello di congiunzione tra la fase antica del
sonetto e lo sviluppo moderno.
Nei Rvf 317 sonetti su 366 componimenti:
ruolo centrale nel macrotesto.
Classicismo formale: lo schema delle
quartine maggioritario (303 casi) è ABBA;
quello delle terzine è CDC DCD (114 casi) e
CDE CDE (121 casi)
Francesco Petrarca
L’innovazione si registra sul piano linguistico,
retorico e argomentativo.
Sul piano sintattico nelle quartine c’è spesso
un rapporto di subordinazione, ma con
tecnica inversa rispetto agli stilnovisti
prima le subordinate e poi la principale (cfr.
Rvf 318)
Petrarca crea attesa; il discorso si estende
fino a coprire interamente le due quartine, in
alcuni casi includendo anche la prima terzina.
Al cader d’una pianta che si svelse A
come quella che ferro o vento sterpe, B
spargendo a terra le sue spoglie excelse, A
mostrando al sol la sua squalida sterpe, B
vidi un’altra ch’Amor obiecto scelse, A
subiecto in me Callïope et Euterpe; B
che ’l cor m’avinse, et proprio albergo felse, A
qual per trunco o per muro hedera serpe. B
Quel vivo lauro ove solean far nido C
li alti penseri, e i miei sospiri ardenti, D
che de’ bei rami mai non mossen fronda, E
al ciel traslato, in quel suo albergo fido C
lasciò radici, onde con gravi accenti D
è anchor chi chiami, et non è chi responda. E
Sperimentazioni sul sonetto
Investono un solo elemento costitutivo del
sonetto originario: schema delle rime, misura
complessiva della forma, tipo di verso, lingua.
Schema rime:
1) ABAB BAAB; ABAB BABA variazione
minima ammessa da Petrarca (cfr. Rvf 279)
2) Sonetti incatenati: ogni rima (o quasi) viene
ripresa a metà del verso successivo con
“rima al mezzo” (cfr. Giacomo da Lentini)
Giacomo da Lentini, 37
(ed. Antonelli)
Angelica figura e comprobata, A
dobiata di ricura e di grandezze, B
di senno e d’adornezze sete ornata, A
e nata d’afinata gentilezze. B
Non mi parete femina incarnata, A
ma fatta per gli frori di belezze B
in cui tutta vertudie è divisata, A
e data voi tutt’è avenantezze. B
In voi è pregio, senno e conoscenza, C
e sofrenza, ch’è somma de li bene, D
como la spene che fiorisc’e ingrana: E
come lo nome, aut’è la potenza C
di dar sentenza chi contra voi viene, D
sì com’avene a la cità romana. E
Sperimentazioni sul sonetto
3) Sonetti a rime continue, che infrangono la
norma fondamentale del cambio di rime tra
fronte e sirma (cfr. Giacomo da Lentini, ma
anche Cino da Pistoia)
Cino da Pistoia, 40
(ed. Marti)
«Omo smarruto che pensoso vai, A
or che ha' tu che se' così dolente? B
e che va' ragionando con la mente, B
traendo ne' sospiri spesso guai? A
Ched e' non par che tu vedessi mai A
di ben alcun che core in vita sente; B
anzi pare che mori duramente, B
negli atti e ne' sembianti che tu fai. A
E s' tu non ti conforti, tu cadrai A
in disperanza sì malvagiamente, B
che questo mondo e l'altro perderai. A
Deh, or vuo' tu morir così vilmente? B
Chiama mercede, e tu camperai». A
Questo mi dice la pietosa gente. B
Sperimentazioni sul sonetto
Variazioni nella forma:
1) Sonetto ritornellato (appendice composta da
1 endecasillabo rimato con l’ultimo verso,
oppure più frequentemente da un distico)
Al ritornello è affidata la sentenza
conclusiva)
2) Sonetto caudato (prolungamento di 3 versi:
settenario in rima con l’ultimo delle terzine +
distico di endecasillabi) poesia giocosa
Antonio Beccari, 61
Di vil matera mi conven parlare A
[e] perder rime, silabe e sonetto, B
sì ch’a me ste[sso] giuro ed imprometto B
a tal voler per modo legge dare. A
Perché sacciate balestra legare A
e coglier con isquadra archile in tetto B
e certe fiate aggiate Ovidio letto B
e trar quadrelli e false rime usare, A
non pò venire per la vostra mente C
là dove insegna Amor, sottile e piano, D
di sua manera dire e di su’ stato. E
Già non è cosa che si porti in mano: D
qual che voi siate, egli è d’un’altra gente: C
sol al parlar si vede chi v’è stato. E
Già non vi toccò lo sonetto primo: F
Amore ha fabricato ciò ch’io limo. F
Antonio Pucci, 12
Deh, fammi una canzon, fammi un sonetto A
mi dice alcun c’ha la memoria scema; B
e pargli pur che datami la tema B
io ne debba cavare un gran diletto. A
Ma e’ non sa ben bene il mio difetto A
nè quanto il mio dormir per lui si scema: B
che prima che le rime del cor prema B
do cento e cento volte per lo letto; A
poi lo scrivo tre volte alle mie spese, C
però che prima corregger lo voglio D
che ’l mandi fuora tra gente palese. C
Ma d’una cosa tra l’altre mi doglio, D
ch’io non trovai ancora un sì cortese C
che mi dicesse — Tie’ il denar del foglio. — D
Alcuna volta soglio d
essere a bere un quartuccio menato, E
e pare ancora a lor soprappagato. E
Sperimentazioni sul sonetto
3) Sonetto rinterzato di Guittone (inserzione di
settenario dopo ogni verso dispari dell’ottava e
dopo il primo e il secondo verso delle terzine;
ogni settenario rima col verso precedente):
AaBAaBAaBAaB CcDdC DdCcD)
4) Variante dantesca (sonetto doppio) nella Vita
nova (VII, VIII, ed. Barbi): il settenario è inserito
dopo ogni verso dispari dell’ottava, ma nelle
terzine solo dopo il secondo verso.
Schemi: AaBAaBAaBAaB CDdC DCcD
AaBBbAAaBBbA CDdC CDdC
Guittone, 140
Solament’è vertù che debitore A
fusse ciascun d’amore, a
e solo vizio a cui odio pertene; B
vertù dea nel nemico amar bon core A
e portar desamore a
a se medesmo, quant’e’ ’l vizio tene. B
Come dunque si fa conoscidore A
o dice aver valore a
chi vertù fugge e vizio ’n sé mantene; B
e Dio, in cui tutta vertù tuttore A
e sol d’essa datore, a
non desia, né fior con lui convene? B
Chi non sa Dio, chi dir po sapiente, C
o tener per valente c
chi fugge quel, per cui sol po valere? D
O ricco è da tenere d
om, che del tutto bon no ha neiente? C
Grande come, cui ha vizio ’n podere, D
o gentil po savere, d
figlio stando de l’enfernal serpente? C
E che manca, che? Nente c
A chi figlio ed erede ed è messere. D
Dante, Vita nova, VIII (ed. Barbi)
Morte villana, di pietà nemica, A
di dolor madre antica, a
giudicio incontastabile gravoso, B
poi che hai data matera al cor doglioso B
ond’io vado pensoso, b
di te blasmar la lingua s’affatica. A
E s’io di grazia ti voi far mendica, A
convenesi ch’eo dica a
lo tuo fallar d’onni torto tortoso, B
non però ch’a la gente sia nascoso, B
ma per farne cruccioso b
chi d’amor per innanzi si notrica. A
Dal secolo hai partita cortesia C
e ciò ch’è in donna da pregiar vertute: D
in gaia gioventute d
distrutta hai l’amorosa leggiadria. C
Più non voi discovrir qual donna sia C
che per le propietà sue canosciute. D
Chi non merta salute d
non speri mai d’aver sua compagnia. C
5) Possibili ampliamenti: aggiunta di distici AB
alla fronte; a volte anche di distici CD alla sirma
di tipo CDC DCD (cfr. Guittone e Monte
Andrea)
Guittone, 248
Guai per l’arco sí mostra esser guerere, A
per le saitte mortal feridore, B
le quai desegnan l’esser, unde fiere A
a morte peggio che s’il fa signore B
di vari guai e di mattezze fere A
per vano isguardo pascivo en core. B
L’arco sí spone lo fonte del piacere, A
unde avene smanante furore; B
dal fuoco, unde accese son le guere, A
e’ par che sia un encendivo ardore, B
il qual sí ’ntende lo fiero volere, A
che per nulla copia si stuta fiore; B
ché del fuoco simel natura tene, C
ché quanto più matera lui si gionge, D
più arde consumando ciò che ’nvene C
e a null’altr’a bastanza si congionge. D
Per ch’ansí miri dico che a ciò vene C
che la saitta fitta non disgionge, D
volendola isferrar senza più pene, C
avegna che le ventri lá o’ si gionge. D
Sperimentazioni sul sonetto
Variazioni nel verso:
1) Uso di endecasillabi tronchi o sdruccioli
(situazione contemplata da Antonio da
Tempo) abbassamento tono lirico
2) Uso di versi più brevi (ammesso da Antonio
da Tempo)
Variazioni nella lingua: plurilinguismo e giochi
linguistici. Possibilità di endecasillabi latini,
veri versi latini, uso del francese e di varietà
dialettali.
Petrarchismi
Tra Quattrocento e Cinquecento si diffonde la lezione
petrarchesca. I motivi sono molteplici:
1) Esistenza di una tradizione già nel tardo Trecento,
ad esempio in Veneto, dove visse Petrarca e dove
si diffuse velocemente il Canzoniere in forma
manoscritta
2) Culture cortigiane
3) Diffusione a stampa nel Cinquecento
Ma esistono anche soluzioni antipetrarchesche
Il Petrarchismo, inoltre, non ha come modello solo
Petrarca, ma guarda anche ad altri poeti che
“mediano” la sua lezione. Ad es. Giusto de’ Conti,
Bembo, Della Casa…
Il Petrarchismo del ‘400
Pochissimi autori utilizzano tutto il repertorio
metrico di forme impiegato da Petrarca nei
Rvf.
Di norma l’adesione al canone si limita ai tre
generi principali: sonetto, canzone, sestina.
Gaspare Visconti, poeta milanese della
seconda metà del ‘400, utilizza tantissimo i
sonetti e solo due volte la sestina.
Giusto de’ Conti, che svolge la funzione di
mediatore, utilizza nelle canzone stanze non
poetraarchesche ma attestate in Dante.
Il Petrarchismo del ‘400
Per il sonetto si registra quasi defintivamente
l’abbandono delle forme diverse da quella di
base di 14 versi.
Le quartine abbandonano lo schema alternato
(comunque contemplato da Petrarca)
Variazioni nelle terzine: utilizzo anche degli
schemi CDC DCD per i temi bassi (questo
modello si era diffuso soprattutto nella poesia
giocosa) e CDE CED (non contemplato da
Petrarca, ma diffuso in Giusto de’ Conti e in
Boiardo).
Giusto de’ Conti
Centralità del tema amoroso nel suo libro di
poesia, La bella mano (1440)
Si discosta a volte da Petrarca negli schemi
metrici, nella rima e nel ritmo dei versi
(accenti).
Massima fedeltà, invece, nella sintassi: uso
dell’enjambement e del periodo lungo.
Giusto de’ Conti, 95 (ed. Vitetti)
Or che dall’Oceano sorge l’aurora, A
et con l’umida treccia il mondo bagna, B
et seco Filomela pur si lagna B
sì che de i suoi lamenti altrui ‘namora, A
tornami al cor Madonna, il tempo, et l’ora, A
che mai dal mio pensier non si scompagna, B
quando fu presa all’amorosa ragna B
quest’anima, che Amor l’increspa e indora. A
Così nel gran disio mi levo a volo, C
et tregua ho quando l’alba il ciel ne imbianca, D
e il cor digiuno di speranza pasco: E
vien poi la sera, et io rimango solo C
de miei alimenti, onde mia vita manca; D
così la notte moro, e il dì rinasco. E
Giusto de’ Conti, 95 (ed. Vitetti)
Elementi tematici petrarcheschi: pianto di
Filomena (l’usignolo), cfr. Rvf 310
Soluzioni formali petrarchesche: verso finale
bipartito, con parallelismo e opposizione
semantica (notte dì, moro-rinasco)
Strutture sintattiche: lunga subordinata
temporale (prima quartina) che ritarda la
principale (cfr. Petrarca).
Matteo Maria Boiardo
Negli Amorum libri tres c’è disparità tra il
trattamento della canzone, improntato allo
sperimentalismo, e il trattamento del sonetto,
che appare più legato alla lezione
petrarchesca.
Tuttavia Boiardo non attinge da Petrarca la
sintassi fluida: nei sonetti c’è in generale
coincidenza dei periodi logici con i periodi
strofici (cioè con le quartine e le terzine).
Matteo Maria Boiardo, libro I, 53
La smisurata et incredibil voglia A
che dentro fu renchiusa nel mio core, B
non potendo capervi, esce de fore, B
e mostra altrui cantando la mia zoglia. A
Cingete il capo a me di verde foglia, A
ché grande è il mio trionfo, e vie magiore B
che quel de Augusto o d’altro imperatore B
che ornar di verde lauro il crin si soglia. A
Felice bracia mia, che mo’ tanto alto C
giugnesti che a gran pena io il credo ancora, D
qual fia di vostra gloria degna lode? E
Ché tanto de lo ardir vostro me exalto C
che non più meco, ma nel ciel dimora D
il cor, che ancor del ben passato gode. E
Matteo Maria Boiardo, libro I, 53
La sintassi sembra non contraddire la
scansione metrica. I periodi sono incasellati
nelle quattro strofe e le frasi si sviluppano
generalmente nella misura del verso (se non
per due enjambements, vv. 9-10, 12-13).
Tuttavia la sequenza delle frasi varia
continuamente: nella prima strofa la
principale è al v. 3, nella seconda invece c’è
subito il verbo reggente. Le terzine iniziano
col vocativo e una lunga allocuzione che
termina prima in una domanda retorica, poi in
un’argomentazione.
Iacopo Sannazaro
Rispetto a Boiardo, Sannazaro cerca la
divaricazione tra il discorso logico e la
partitura metrica.
Molte corrispondenze iterative.
Iacopo Sannazaro, 66 (ed. Mauro)
Sì spesso a consolarme il sonno riede, A
c’omai comincio a desiar la morte, B
la qual forse non è tant’aspra e forte B
né tanto acerba, quanto il mondo crede. A
Ché se la mente veghia, intende e vede, A
quando le membra stan languide e morte, B
et allor par che più mi riconforte B
che ’l corpo meno il pensa e meno il chiede, A
non è vano sperar c'ancor da poi C
che dal nodo terrestre fia disciolta, D
veghie, veda et intenda i piacer suoi. C
Godi dunque, alma afflitta, in pene involta; D
ché se qui tanta gioia prender pòi, C
che farai su, ne la tua patria accolta? D
Iacopo Sannazaro, 66 (ed. Mauro)
Esposizione del motivo dominante con le frasi che
occupano un verso ciascuna (vv. 1-4).
Periodo ipotetico che scavalca la pausa tra fronte e
sirma. La protasi si sdoppia (vv. 5-6, 7-8) seguendo la
bipartizione in distici della seconda quartina. Infine la
chiusa (seconda terzina) in forma di allocuzione.
Secondo lo stile petrarchesco, la doppia protasi è
composta da frase reggente + temporale.
Il giro sintattico si apre e chiude con gli stessi verbi:
veghia, intende evede, v. 5; veghie, veda etintenda,
v.11.
Corrispondenze iterative: rima equivoca morte: morte,
vv. 2 e 6; rima derivativa forte: riconforte, vv. 3 e 7; rima
equivoca poi: pòi, vv. 9 e 13.
Il Petrarchismo del ‘500
Tradizionalmente il Cinquecento è il secolo del
petrarchismo “ortodosso” magistero di
Petrarca sul piano tematico, formale,
macrotestuale. Ma non è una costruzione
monolitica
Edizione aldina del Canzoniere (1501) a cura di
Bembo testo nella veste originaria
Prose della volgar lingua (1525) di Bembo
centralità di Petrarca sul piano linguistico, ma
anche metrico
Pubblicazione nel 1530 delle rime di Sannazaro
e Bembo canzonieri modello
Pietro Bembo
Nelle sirme dei sonetti introduce novità rispetto alle
abitudini di Petrarca:
1) Incrementa lo schema alternato CDC DCD,
proseguendo la tendenza del tardo Quattrocento
2) Diminuisce drasticamente il tipo maggioritario nei
Rvf, ossia CDE CDE, parificandolo a quello degli
altri modelli a tre rime, sia petrarcheschi (CDE DCE,
CDE DEC), sia non petrarcheschi (il
quattrocentesco CDE CED).
Motivazione: equiparazione tra sirme a due e a tre
rime, equilibrando piacevolezza (schema a due) e
gravità (schema a tre).
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
Quando, forse per dar loco a le stelle, A
il sol si parte, e ‘l nostro cielo imbruna B
spargendosi di lor, ch’ad una ad una, B
a diece, a cento, escon fuor chiare et belle, A
i’ penso e parlo meco: ‹‹In qual di quelle A
hora splende colei, cui par alcuna B
non fu mai sotto ‘l cerchio de la luna, B
benché di Laura il mondo assai favelle?››. A
In questa piango; et poi ch’al mio riposo C
torno, più largo fiume gli occhi miei, D
et l’imagine sua l’alma riempie, E
trista; la qual mirando fiso in lei D
le dice quel ch’io poi ridir non oso: C
o notti amare, o Parche ingiuste et empie! E
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
Riscontri petrarcheschi:
vv. 1-2: cfr. son. 223, vv. 1-2: Quando ‘l sol
bagna in mar l’aurato carro / e l’aere nostro e la
mia mente imbruna (in rima con luna e una);
sest. 237, v. 30: che ‘l sol si parta e dia luogo a
la luna
v. 7: cfr. sest. 237, v. 2: lassù sopra ‘l cerchio de
la luna
v. 10: cfr. son. 279, vv. 10-11: versi / degli occhi
tristi un doloroso fiume
v. 12: cfr. son. 17, v. 8: a mirarvi intento e fiso
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
Gli echi di Petrarca non impediscono però un un
grande effetto rappresentativo.
Fronte: dalla contemplazione del cielo stellato al
monologo interiore
Sirma: effusione sentimentale (in questa piango)
con cambio di ambientazione (dall’aperto al
chiuso). L’imagine dell’amata prima era proiettata
sugli elementi naturali, ora l’alma riempie.
L’anima del poeta contemplando quel fantasma
(mirando fiso in lei) esprime il suo risentimento
verso il destino (le Parche), che l’io razionale non
osa ripetere (le dice quel ch’io poi ridir non oso).
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
Il tempo della rappresentazione è tutto in
presa diretta; tanti momenti si susseguono.
Il cambio di ambientazione e di prospettiva
non crea opposizione (come spesso nel
petrarchismo) ma progressione
trasformazione dello stato del poeta sancita
da due soliloqui: il primo è dell’io razionale e
si conclude col pianto, l’altro è dell’anima e si
conclude con un grido di disperazione.
I due tentativi di risolvere l’assenza
dell’amata sono falliti entrambi.
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
La sintassi segue il corso del racconto e oltrepassa le
scansioni strofiche.
Nelle quartine la serie delle temporali iniziali (vv. 1-4) è
retta da i’ penso (v. 5).
Tra fronte e sirma, invece, è rispettata la tradizionale
pausa sintattica, ma non c’è scarto logico: l’avverbio
iniziale del v. 9 (in questa, “nel frattempo”) segnala
contemporaneità; l’avanzamento temporale e narrativo
è nel secondo emistichio (et poi che…).
Il discorso si prolunga oltre il confine della prima terzina
con un forte enjambement. Si segnala inoltre prima un
altro enjambement (vv. 9-10) e un parallelismo ai vv.
10-11, dove le due frasi condividono lo stesso verbo
(riempie).
Pietro Bembo, 163 (ed. Donnini)
A bilanciare queste ultime soluzioni stilistiche,
rimangono evidenti alcuni segnali
“tradizionali” della forma-sonetto: nessuna
inarcatura nella fronte; nella sirma, la chiusa
al v. 14, giocata sul parallelismo ricalca Rvf
245, v.14 (o felice eloquentia, o lieto giorno!).
La gravitas cinquecentesca
Dalla metà del ‘500 due fazioni: i sostenitori
della dulcedo e quelli della gravitas (≠ Bembo
che conciliava entrambe).
Gravitas: discorso lungo, parlar disgiunto,uso
intenso dell’enjambement
Gli avversati non negano la funzione della
gravitas, ma è un mezzo non un fine ultimo
sincronia tra metrica e sintassi, il verso è
un’unità chiusa, geometria nei parallelismi
La gravitas cinquecentesca
Nel sonetto la gravitas non è solo questione di stile.
Temi: maggior impegno, dal piano amoroso a contenuti
più intellettuali o spirituali
Schemi: allontanamento dalla tradizione.
Nelle quartine si riafferma lo schema alternato (ABAB
ABAB) e due anomali usati in poche liriche dei Rvf
(ABBA BAAB e ABAB BABA).
Nelle terzine c’è un calo di CDC DCD e l’espansione
dei tipi a tre rime, specie quelli meno diffusi o assenti in
Petrarca.
Della Casa radicalizza la gravitas di Petrarca e Bembo.
La scelta delle fonti concorre a creare complessità
tecnica e lessicale.
Giovanni Della Casa, 63
(ed. Tanturli) O dolce selva solitaria, amica A
de’ miei pensieri sbigottiti et stanchi, B
mentre Borea ne’ dì torbidi et manchi B
d’horrido giel l’aere et la terra implica, A
et la tua verde chioma ombrosa, antica, A
come la mia par d’ognintorno imbianchi, B
hor, che ’nvece di fior vermigli et bianchi B
ha neve et ghiaccio ogni tua piaggia aprica, A
a questa breve e nubilosa luce C
vo ripensando ,che m’avanza, et ghiaccio D
gli spirti anch’io sento et le membra farsi; E
ma più di te dentro et d’intorno agghiaccio, D
ché più crudo Euro a me mio verno adduce, C
più lunga notte, e dì più freddi et scarsi. E
Giovanni Della Casa, 63
(ed. Tanturli)
Il poeta associa l’inverno che stringe nella morsa del
ghiaccio la selva alla sia vecchiaia.
Apparentemente rispetta la partizione: nella fronte la
descrizione naturale, nella sirma la riflessione intima. Ma
la vicinanza tra mondo esterno e interno è dichiarato già
ben prima (vv.1-2: selva….amica / de’ miei pensieri; vv. 5-
6: chioma… /come la mia par d’ognintorno imbianchi).
La sovrapposizione è estrema nella prima terzina, il
soggetto sembra trasformarsi in una pianta bloccata dal
gelo (ghiaccio / gli spirti anch’io sento et le membra farsi;
cfr Rvf, 135, vv. 59-60).
Nel finale c’è distinzione (ma, v. 12), segnata soprattutto
da una intensificazione (ma più di te…, v. 12)
Giovanni Della Casa, 63
(ed. Tanturli)
Il paesaggio sembra pian piano inglobato nell’io. Il
discorso avanza, ma con spostamenti semantici piccoli.
Grande periodo sintattico che lega le prime tre strofe.
Disposizione delle frasi: apertura in vocativo, poi due
temporali coordinate tra una quartina e l’altra (mentre
Borea… et la tua verde chioma…), da queste ne deriva
un’altra (hor, che ‘nvece di fior….). La principale è nella
prima terzina distinta in tre momenti (vo ripensando…
sento… agghiaccio).
Forti enjambements: vv. 1-2; 9-10 (il verbo è tra il
complemento e la sua relativa, a questa breve et nubilosa
luce / vo ripensando,che m’avanza); 10-11 (separati due
elementi che dovrebbero essere vicini, ghiaccio / gli spirti
anch’io sento et le membra farsi).
Giovanni Della Casa, 63
(ed. Tanturli)
Fitte ripetizioni per ribattere fortemente alcuni
nuclei semantici:
Gelo: horrido giel, v.4; ghiaccio, vv. 8 e 10;
agghiaccio, v. 12
Bianco / neve: imbianchi, v. 6; bianchi, v. 7;
neve, v. 7
Venti: Borea, v. 3; Euro, v. 13
Rime derivative: imbianchi: bianchi; ghiaccio;
agghiaccio
Torquato Tasso
Questione aperta delle Rime: numero
imponente (più di 1.700 componimenti),
tradizione multipla, impossibilità di scegliere
come “migliore” una delle fasi di lavoro.
Distinzione sul piano tematico: Rime d’amore,
Rime d’occasione e d’encomio, Rime sacre
(cfr. ed. Solerti)
Sperimentalismo metrico: varietà di schemi
impiegati
Torquato Tasso
Fronte: ABBA ABBA (1.153 casi su 1.181),
ABAB ABAB (17 casi), ABAB BAAB (9 casi),
ABAB BABA (2 casi) utilizza i 4 schemi
petrarcheschi
Sirma: maggiori varianti (12 schemi differenti)
Torquato Tasso, da Rime d’amore
Amore alma è del mondo, Amore è mente A
e ’n ciel per corso obliquo il sole ei gira, B
e d’altri erranti a la celeste lira B
fa le danze lassù veloci o lente. A
L’aria, l’acqua, la terra e ’l foco ardente A
regge, misto al gran corpo, e nutre e spira; B
e quinci l’uom desia, teme e s’adira, B
e speranza e diletto e doglia ei sente. A
Ma, ben che tutto crei, tutto governi C
e per tutto risplenda e ’l tutto allumi, D
più spiega in noi di sua possanza amore; E
e come sian de’ cerchi in ciel superni, C
posta ha la reggia sua ne’ dolci lumi D
de’ bei vostri occhi e ’l tempio in questo core. E
Torquato Tasso, da Rime d’amore
Schema petrarchesco e discorso sviluppato in
maniera tradizionale (ciascun blocco svolge un
movimento sintattico).
Ma la ripetizione della parola amore alla fine
della prima terzina sposta il baricentro in avanti
(anche se nelle quartine il soggetto è sempre
Amore) terzina finale isolata
Gravitas nell’inarcatura ai vv.5-6 (cfr. Della Casa)
e nell’allitterazione di m al v. 1
Ricerca armonica con ripetizioni (ciel,vv. 2 e 12;
regge, v. 6 e reggia, v. 13) e allitterazioni di s e r.
Torquato Tasso, da Rime d’occasione
Se a chi penetrar valse il fosco e nero A
vel ch’a gli arcani suoi Natura pose, B
sì che vi scorse apertamente il vero A
e le cagioni a’ nostri sensi ascose, B
e s’a chi ben oprar seco propose B
e fe’ seguire gli effetti al suo pensiero, A
dar non si può tra le mondane cose B
premio che ‘l merto lor agguagli intero; A
qual il mio rozzo stil daratti onore C
Ch’al tuo sommo valor non sembri poco? D
Ché ‘l vero e ‘l buon non sol conosci ed opri, E
ma drizzi e inviti a questo il tuo signore, C
e quel tratto di tenebre gli scopri E
ond’in ciel fra le stelle acquisti ei loco. D
Torquato Tasso, da Rime d’occasione
Il componimento si svolge principalmente per
distici.
Il movimento sintattico, però, non si chiude in
fine della seconda quartina, ma prosegue fino
al v. 10
Lo schema rimico nella prima quartina
asseconda la sintassi, nella seconda,
rovesciando l’alternanza, la contraddice
(ABAB BABA)
Gravitas confermata dallo schema delle
terzine (CDE CED)
Marino e i marinisti
Centralità della “meraviglia”: interesse per ciò
che colpisce i sensi, in particolare la vista
rapporto tra poesia e pittura
Sul piano formale c’è minore complessità
sintattica e apertura lessicale e tematica
Attenzione rivolta alla chiusa del testo che
spesso si stacca anche sintatticamente dal resto
effetto sorpresa (commento arguto, cambio di
prospettiva, cambio di referente…)
Al sonetto nulla è precluso, nessun argomento,
nessuna prospettiva, nessun registro.
abbandono del rapporto genere – forma metrica
Marino e i marinisti
La ricerca dello “straordinario”, dello
“stupefacente” arriva fino ad esiti grotteschi
difetti fisici (balbuzie) o morali (donna
indemoniata o bestemmiatrice)
A bilanciare queste “libertà” c’è la rigidità sul
piano formale, in particolare negli schemi delle
terzine.
Nelle Rime di Marino (1602) su 430 sonetti ben
394 hanno la forma alternata su due rime CDC
DCD: lo schema a due rime è il secondo dei Rvf,
per Bembo si presta alla dulcedo (carattere
amoroso)
Giovan Battista Marino, da La Lira
Nera sì, ma se’ bella, o di Natura A
fra le belle d’Amor leggiadro mostro. B
Fosca è l’alba appo te, perde e s’oscura A
presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro. B
Or quando, or dove il mondo antico o il nostro B
vide sì viva mai, sentì sì pura, A
o luce uscir di tenebroso inchiostro, B
o di spento carbon nascere arsura? A
Servo di chi m’è serva, ecco ch’avolto C
porto di bruno laccio il core intorno, D
che per candida man non fia mai sciolto. C
Là ’ve più ardi, o sol, sol per tuo scorno D
un sole è nato, un sol che nel bel volto C
porta la notte, ed ha negli occhi il giorno. D
Giovan Battista Marino, da La Lira
Lode alla bellezza bruna di una schiava (cfr.
madrigali e canzone di Tasso per una
cameriera mora) ≠ canone petrarchesco
mostro, v. 2: monstrum (“prodigio”, cfr. Rvf
247, 5: O de le donne altero e raro mostro),
ma anche per designare la bizzarria e l’orrido
(qui in ossimoro, leggiadro mostro).
Uso di enjambements, allitterazioni, “bisticcio”
(sol, sol, sole, sol), antitesi (vv. 3-4, 7 e 8),
ossimori (v. 2, 13-14), anastrofi (vv. 3 e 8),
iperbati (vv. 1-2, 9-10)
Il Settecento
Rifiuto polemico degli eccessi barocchi a favore di
ordine e misura.
Al centro della reazione c’è l’Arcadia (accademia
romana fondata nel 1690) ritorno al linguaggio
tradizionale e nuova centralità attribuita alla musica
(melodramma)
Intensa sperimentazione metrica:
1) Produzione “in serie” di canzonette (quartine rimate
di settenari o ottonari con versi anche tronchi e
sdruccioli)
2) Riscoperta dei classici (Orazio, Ovidio, Anacreonte)
ripresa di odi, egloghe, distici elegiaci in chiave
moderna
Il sonetto e l’Arcadia
Rime degli Arcadi, 14 voll. (1716-1781): 5.157 sonetti
su 5.906 componimenti totali.
Il sonetto del ‘700 presenta ampia escursione tematica:
amore, argomenti morali e sacri, encomi, occasioni
speciali…
Schemi: fronte con rime incrociate (61%), seguita da
quella a rime alternate (31%) riduzione della forbice
tra i due tipi: nei sonetti marinisti ABBA ABBA sfiorava
3/4 del totale. Emarginazione della fronte a rima
alternata con inversione (ABAB BABA, usata nel 10%
dei casi dai marinisti; cfr. sonetto precedente di Marino).
Tendenzialmente la sintassi segue le partizioni
metriche.
Giambattista Felice Zappi
Talora i’ parlo a un colle, a un rivo, a un fiore A
e l’aspre del mio cor pene descrivo; B
ma non mi crede il colle, il fiore, il rivo B
che per vezzo del canto io fingo amore. A
Talor m’ascolta poi ninfa o pastore A
dir ch’io non amo e ’l bel d’un volto ho a schivo. B
Ninfe e pastor, non mi si creda: io vivo B
pur troppo amante: oh se vedeste il core! A
Non amo, no, sebben di Filli e Iole C
canto talor, ma pur le fiamme ho in seno; D
chi mai può non amar quand’amar vuole? C
Amo, e non amo un gentil volto e bello: E
quel ch’io lodo non è quel per cui peno, D
ma quel ch’io taccio, ah quel ch’io taccio è quello. E
Giuseppe Parini
Alcune poesie di Ripano Eupilino (1752): 87 sonetti
su 93 componimenti molteplicità di registri per
vari argomenti (amoroso, sacro,morale, piacevole).
Piano tematico: novità rappresentata dai sonetti
“magici” (presenza di streghe innamorate, pozioni,
malefici) e “di genere” (vita campestre)
Piano formale: la novità è l’endecasillabo rolliano
(inventato da Rolli si compone di due quinari:
uscita sdrucciola nel primo emistichio e piana nel
secondo, es: O Sonno placido che, con liev’orme)
Nei sonetti “piacevoli” di Parini spesso compare la
coda.
Vittorio Alfieri
La sua produzione sonettistica rientra in un
progetto più organico e complesso: Rime, 2
voll. (1789 e 1804). Maggioranza di sonetti.
I due libri sono organizzati per metri e i
componimenti sono accompagnati
dall’indicazione di data e luogo di ispirazione
o composizione una specie di “diario”
Gusto per il classicismo petrarchesco: utilizzo
di schemi diffusi e tipici
Ugo Foscolo
Pochi ma notevoli sonetti di Foscolo (12 nell’ed.
definitiva delle Poesie 1803) snodo cruciale nella
storia del metro.
Schema: nella fronte preferenza per la rima alternata
(7 casi su 12) fronte concepita come compatta e
unitaria (cfr. Alla sera e A Zacinto). La fronte
petrarchesca (ABBA ABBA) compare, invece, solo 2
volte.
La preferenza per la rima alternata è anche nelle
terzine (5 su 12); il tipo più diffuso nei Rvf (CDE
CDE) invece c’è solo 1 volta.
Il verso è continuamente “rotto”; il discorso si estende
oltre la misura dell’endecasillabo.
Foscolo, A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde A
ove il mio corpo fanciulletto giacque, B
Zacinto mia, che te specchi nell’onde A
del greco mar, da cui vergine nacque B
Venere, e fea quelle isole feconde A
col suo primo sorriso, onde non tacque B
le tue limpide nubi e le tue fronde A
l’inclito verso di colui che l’acque B
cantò fatali, ed il diverso esiglio C
per cui bello di fama e di sventura D
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. E
Tu non altro che il canto avrai del figlio, C
o materna mia terra; a noi prescrisse E
il fato illacrimata sepoltura. D
Foscolo, A Zacinto
Lo schema a rima alternata della fronte è
quello maggioritario, mentre quello della
sirma non è petrarchesco e non è tra quelli
più usati dalla tradizione (ma avrà successo
nell’Ottocento).
Movimento lungo e disteso della sintassi: il
primo periodo si conclude alla fine della prima
terzina (v. 11) ed è ricco di inarcature.
Uso di iperbati e allitterazioni (inclito, colui,
acque, cantò); ripresa di verso (v. 8) in
diverso (v. 9) effetto di compattezza.
Foscolo, A Zacinto
C’è molta coesione grazie anche a riprese
foniche: v. 6 onde (rima interna); cantò (v. 9)
e canto (v. 12), possessivi mio-mia (vv. 2-3) e
tue-tue (v. 7).
Sul piano strutturale c’è il recupero con
variatio al v. 13 (O materna mia terra) del
vocativo iniziale (Zacinto mia); sul piano
semantico c’è la ripresa del corpo che
giacque nella sepoltura illacrimata.
Schemi metrici dell’Ottocento
Nella prima parte del secolo l’assetto del
sonetto foscoliano pare vincente (ABAB
ABAB CDC DCD) emancipazione dal
modello dei Rvf.
Alla fine dell’Ottocento, invece, si ha un
ritorno al modello petrarchesco (quasi a
bilanciare la controspinta del percorso di
liberazione dalle forme tradizionali con
l’avvento del verso libero).
Schemi metrici dell’Ottocento
Schemi delle terzine: se il ‘700 si poneva in
continuità con la lirica marinista adottando
maggiormente la sirma su due rime (molto
spesso alternate), nell’800 si utilizza
soprattutto una sirma a tre rime (CDC EDE,
34%). Lo schema su due rime alternate si
colloca al 2° posto (26%), al terzo troviamo
invece il petrarchesco CDE CDE (21,4 %).
Versante sperimentale che porta
all’introduzione di nuovi schemi.
Verso un sonetto “libero”
A partire dall’ultimo ventennio del XIX secolo
l’istituto della rima comincia a vacillare.
Molteplici cause:
1) Insofferenza verso la retorica romantica
2) Metrica barbara carducciana
3) Verso libero
Ricerca di nuovi rapporti musicali e semantici
Giovanni Camerana, da Oropee
Addio! Vedi, l’autunno arriva: il verde A
già dei faggi si attrista e cambia in toni B
ambigui d’ocra, e delle pie canzoni B
già l’eco nei silenzi alti si perde A
malinconicamente. Addio,deserti C
già dell’alpe i sentier, vacue le bianche D
fughe dei porticati, e come inerti C
le brume, inerte il cuor, sopite e stanche D
tutte le ultime fedi. Addio, verranno E
le nevi, il buio, il nembo:il Santuario X
sarà tutto un sepolcro intorno a te. F
Pei viventi sepolcri che vedranno E
altre lacrime ancor, tu prega, o Statua, X
prega, o raggiante, e prega anche per me. F
Giovanni Camerana, da Oropee
Camerana muove i primi passi nell’ambito
della scapigliatura milanese, poi si avvicina al
simbolismo.
Questo sonetto è tratto dalla serie Oropee,
dedicata al santuario di Oropa, vicino a Biella.
Novità: cambio di rima e di schema tra prima
e seconda quartina; nelle terzine i vv. 10 e 13
sono irrelati.
La rima non è più un obbligo da rispettare.
Remigio Zena, da Olympia
Datemi delle rose. Io voglio delle A
rose! Oh le rose! molte rose! molte B
rose! Oh dormire tra le rose, colte B
appena appena! Sulle rose! nelle A
rose! Voi non sapete quante volte B
sognai che piovevano dal ciel le A
rose, a nembi, a ghirlande! Rose belle, A
deh piovete dal ciel, roride e folte! B
Non rosee, non bianche, non vermiglie, C
e neppur gialle e neppur variopinte: D
io voglio le mie rose come tinte D
del mio pensiero all’ora di compieta, E
quando il tedio m’abbranca fra gli artigli e C
non viene a confortarmi il mio poeta. E
Remigio Zena, da Olympia
Rima franta (vv. 6 e 13), già usata anche in
passato, e rima su parola grammaticale (vv. 1 e 4),
già usata da Carducci, portano insieme ad un
indebolimento della fine del verso.
Il sonetto, pur costruito sul ritmo dell’endecasillabo,
sembra uno schema vuoto; le unità di senso si
ricombinano ad inizio verso (cfr. ripetizione nella
fronte di rose, una specie di rima identica che sta al
posto della rima B in uno schema prima
abbracciato e poi alternato).
Interessante che l’ultima parola sia proprio poeta,
un poeta ormai cambiato che non consola più con
la sua poesia.
Gabriele D’Annunzio,
da La chimera Scende la neve su la Terra madre,
placidamente. E lei bianca riceve
la Terra ne’ suoi giusti ozi, da poi
che all’uom copia di frutti ha partorito.
Guarda il bifolco splendere a’ sudati
campi la neve, mentre siede al desco;
e a lui dal cuor la speme e dal bicchiere
sorride la primizïa del vino.
— Scendi con pace, o neve; e le radici
difendi e i germi, che daranno ancora
erba molta alli armenti, all’uomo il pane.
Scendi con pace; sì che al novel tempo
da te nudriti, lungo il pian ridesto,
corran qual greggia obedïenti i fiumi.
Gabriele D’Annunzio,
da La chimera Del tutto assenti rime e assonanze; gli altri elementi
formali, invece, sono perfettamente rispettati:
1) Scansione strofica: divisione in due quartine e due
terzine risaltata dalla punteggiatura.
2) Uso dell’endecasillabo canonico.
3) Verbo posto in prima posizione ad aprire le strofe.
A sopperire la mancanza di rime concorrono: ripetizioni
di parole (neve ai vv. 1, 6, 9;Terra ai vv. 1 e 3); rime
interne (neve: riceve, v. 2; ipermetra scende:
splendere, vv. 1 e 5; armenti: obedienti, vv. 11 e 14);
legami fonici (es. pane, pace ai vv. 11-12)….
Luigi Capuana, da Semiritmi
Suona nei tuoi versi, o biondo poeta,
una musica troppo nuova pei duri orecchi
del nostro volgo. Ei grida: parole, parole!
E volge altrove sdegnosamente il capo.
Parole, parole!... Ma vive nelle sillabe,
avvolgentisi in spirale onda armoniosa,
un senso profondo; il ritmo anch’esso
è poesia che, indefinita, invade il cuore.
Gravi, dolci, in minore tutta scendono
e salgono la gamma, luminosamente,
fiammelle cantanti con linguaggio arcano,
salgono e scendono, incessanti, le numerate
sillabe; e i duri orecchi, o poeta, non afferrano
la lor gentile espressione… Parole, parole!
Luigi Capuana, da Semiritmi
Primo dei due testi riuniti sotto il titolo unico di
Poesia musicale.
Apparentemente sembra un sonetto per
numero di versi e divisione in due quartine e
due terzine, sottolineata dalla chiusura
sintattica delle singole strofe.
Ma mancano schema metrico e isometria:
non tutti i versi sono endecasillabi.
Corrado Govoni, da Gli aborti
Feccia. Distacco. Notte primordiale. A
Deformità. Confusione. Lutti. B
Servitù. Nulla. Inesistenza. Flutti B
letei. Deserto. Sonno sepolcrale. A
Finzione. Caino micidiale A
che fugge il giorno. Miseri ributti B
della vita. Con aspri amari frutti B
giardino degli olivi passionale. A
Parole della porta dell’inferno. C
Ebano lucido di flauti lenti D
per incantare lividi serpenti. D
L’ultimo. Il cuore, don Giovanni eterno C
dannato a traghettar le singhiozzanti E
ombre pallide di tradite amanti. E
Corrado Govoni, da Gli aborti
Questo sonetto, intitolato Il nero, è legittimato
dalla divisione strofica, dallo schema rimico e
dall’uso regolare dell’endecasillabo (tranne
l’ultimo per gli accenti).
Ma frantumazione interna delle strofe con
continue pause elemento di novità; si ha
l’impressione che la forma sia svuotata.
La rottura sintattica si deve a Pascoli (cfr.
Myricae).
Remigio Zena, da Poesie grigie
Siete pronta, marchesa, per il ballo? A
Lasciatevelo dir: siete una fata B
con quell’abito a sbuffi rosso e giallo A
e con quella parrucca inciprïata. B
Il ventaglio di piume e di corallo A
eccolo qui coi guanti. Andiamo? è l’ora: C
badate di non porre il piede in fallo. A
Se ci fosse Voltaire, o mia signora, C
minierebbe per voi un madrigale, D
se il re Luigi fosse vivo ancora C
ei vi darebbe braccio nelle sale. D
Ma pria di far l’ingresso trionfale D
ditemi un sì che trepidando aspetto: E
faremo insieme un passo di minuetto? E
Remigio Zena, da Poesie grigie
Sonetto “ricombinato”: le strofe,
sintatticamente autonome, sono dislocate in
una sequenza anomala (4+3+4+3).
Tutte le strofe condividono con la precedente
almeno una rima.
La manipolazione è significativa: il
riconoscimento della forma metrica non è
immediato, ma può avvenire solo
confrontando il modello con la sua
realizzazione.
Gian Pietro Lucini
Figura complessa; legato alla tradizione, ma
anche poliedrico e sperimentale (cfr. verso libero)
Il libro delle figurazioni ideali (1894):
preponderanza di sonetti (30 su 40 testi).
Principalmente schemi a rima alternata per la
fronte (27 casi) e per la sirma (16 casi), secondo
la preferenza di inizio Ottocento.
Novità: distinzione del testo in sole due strofe, la
fronte e la sirma (ma arbitraria dal punto di vista
sintattico).
Il libro delle imagini terrene (1898): contiene 112
sonetti.
Gian Pietro Lucini,
da Il libro delle figurazioni ideali E noi veniamo a te, strana Maliarda A
Sui cavalli coperti di gualdrappe, B
Veniamo, gioventù forte e gagliarda. A
Or lungo fu il viaggio e per le frappe B
E le forre dell’Alpe, l’alabarda A
Nostra splendette e le vermiglie cappe B
Giocar col vento della notte tarda. A
Vediamo ne’ tuoi giardin’ rider le grappe B
Da cui spremi l’Ambrosia del piacere; C
Vediam te,nuova Acrasia, in tanta gloria D
Porger la Tazza ad invitare a bere: C
E noi veniamo a te sul bastione E
D’oro del tuo palagio, e la Vittoria D
Squilla per noi la più ardita canzone. E
Il Novecento e la modernità
1903: Canti di Castelvecchio di Pascoli; Maia di
D’Annunzio, poi seguita da Elettra e Alcyone; Le fiale
e Armonia in grigio et in silenzio di Govoni poesia
italiana del Novecento.
Pascoli a parte (nei Canti non ci sono sonetti), negli
altri autori il sonetto è ancora vitale.
D’Annunzio ne fa largo uso in Elettra (in Maia,
invece, non compaiono): fronte a rima incrociata
(ABBA ABBA) e sirma su tre rime (maggioritario CDE
CDE). Rime perfette e sintassi adeguata alla
scansione strofica. In Alcyone il numero si riduce:
nella sezione Corona di Glauco 7 sonetti su 9 sono
“riformati”, cioè con assonanze al posto della rima.
Il Novecento e la modernità
Govoni ricorre notevolmente al sonetto
regolare in Le fiale (100 casi); la novità
consiste nelle scelte lessicali, soprattutto in
rima (esotismi, preziosità…).
Il punto di arrivo del percorso di Govoni è
rappresentato dai 25 sonetti dei Fuochi
d’artificio (1905), tutti con versi di 13 sillabe.
Il Novecento e la modernità
Gozzano usa il sonetto nella prima raccolta,
La via del rifugio (1907): 20 componimenti in
larga parte con schema incrociato nella fronte
(ABBA ABBA) e sempre con schema
replicato nelle terzine (CDE CDE).
In sede di rima si avverte chiaramente il
“cozzare tra l’aulico e il prosastico”.
La vera novità nella poesia di Gozzano è,
però, l’abbandono di questa forma metrica
nella sua raccolta maggiore, I colloqui (ce ne
sono solo 2).
Il Novecento e la modernità
Poco spazio al sonetto è concesso anche in tre
raccolte importanti uscite tra il 1913 e il 1914:
Frammenti lirici di Clemente Rebora (3 su 72 testi).
Pianissimo di Sbarbaro non contiene sonetti e quelli
presenti in Resine sono stati presto rinnegati
dall’autore.
Solo 3 sonetti, peraltro irregolari, troviamo nel corpus
poetico di Dino Campana, pubblicati tra gli Inediti nel
1942. Un sonetto “nascosto” si trova alla fine di
Immagini del viaggio e della montagna, testo di 77
vv. all’interno dei Canti orfici, che termina con 14
endecasillabi indivisi, rimati secondo lo schema
ABBABAABCDECDE.
Umberto Saba
Almeno fino i primi anni ’20 Saba è un poeta
fedele alla tradizione. Il suo retroterra metrico
rimane “tardo-ottocentesco o tardo-
romantico” lontano dalle intonazioni ufficiali
e classiche come dalle sperimentazioni.
Uso del sonetto: partizione strofica
tradizionale e uso regolare dell’endecasillabo.
MA libertà negli schemi, non sempre
canonici: moltiplicazione delle rime nella
fronte e predilezione per la rima baciata nella
sirma.
Umberto Saba, da Canzoniere 1921
Pure a me non dispiace ancor quest'urto A
soldatesco, quel cielo arroventato; B
i colloqui col mio vicino armato. B
Gli chiedo: "A casa, ove il lavoro frutta; C
a casa, dove certo hai la tua tutta C
bella, ci andresti, anche così aggravato, B
a piedi, con lo zaino affardellato, B
vivendo d'elemosina e di furto?” A
Egli mi guarda, e mi lascia parlare: D
“Non è al paese che frutta il lavoro, E
ma più giù, nell' Americhe lontane; D
dove c'è tanto pane e tanto oro, E
tanto vino per chi sa lavorare”. D
In America sì vorrebbe andare. D
Umberto Saba, da Canzoniere 1921
Fronte costruita su tre rime (in 6 dei 27
sonetti militari inclusi nel Canzoniere
definitivo la fronte è addirittura su quattro
rime ABBC CDDA).
Armonizzazione musicale con assonanze e
consonanze e riprese di vario tipo (vicino, v.
3, e vino, v. 13; frutta, vv. 4 e 10; America, vv.
11 e 14).
Elemento dissonante: il v. 11 non rima
perfettamente con la rima D (assonanza).
Umberto Saba
Nella raccolta Versi militari (da cui è tratto
l’esempio precedente) Saba arriva perfino a
connettere due sonetti creando un dittico.
Le singole partizioni metriche sono chiuse
tranne l’ultima terzina del primo sonetto che
si protende e si inarca nel sonetto successivo
narrazione
Nelle raccolte successive Saba continuerà ad
usare il sonetto, però dopo il 1921 sono
bandite le “stravaganze” e gli schemi tornano
a essere rigorosamente petrarcheschi.
Sonetti in tempo di guerra:
Carlo Betocchi
Il primo Ungaretti, il Montale degli Ossi e delle Occasioni,
Cardarelli e i Rondisti non usano sonetti. Gli ermetici
(Luzi, Gatto, Quasimodo) ne utilizzano molto pochi.
Carlo Betocchi, invece, compone 36 sonetti
principalmente tra gli anni ‘40 e ’50, ma pubblicati nel
corso del tempo, addirittura nel 1980 nelle raccolte Il sale
del canto e Poesie del sabato negli anni ‘80, con il
recupero della metrica chiusa, l’inattuale Betocchi diventa
estremamente attuale.
In Betocchi la scansione strofica è tradizionale, ma
l’approccio è libero e a volte sperimentale, sia nella misura
del verso (ipometri e/o ipermetri), sia nell’uso della rima (a
volte sostituita da assonanza/consonanza), sia nel
rapporto tra metro e sintassi (enjambements intra e
interstrofici).
Sonetti in tempo di guerra:
Eugenio Montale
1943: Finisterre di Montale. 15 poesie, di cui
4 sono sonetti elisabettiani (4+4+4+2)
spazio all’argomentazione e poi
accelerazione finale con clausola.
La scelta di Montale è una apertura alla
cultura inglese (che ha sempre ammirato),
ma testimonia anche, e soprattutto, il
rapporto tra due tradizioni in un momento
storico drammatico. Montale carica la sua
poesia di “memoria storica”.
Eugenio Montale, da Finisterre
Ut pictura... Le labbra che confondono, A
gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti B
provo a figgerli là come in un tondo A
di cannocchiale arrovesciato, muti B
e immoti, ma più vivi. Era una giostra C
d'uomini e ordegni in fuga tra quel fumo D
ch'Euro batteva, e già l'alba l'inostra C
con un sussulto e rompe quelle brume. D
Luce la madreperla, la calanca E
vertiginosa inghiotte ancora vittime, F
ma le tue piume sulle guance sbiancano E
e il giorno è forse salvo. O colpi fitti, F
quando ti schiudi, o crudi lampi, o scrosci G
sull'orde! (Muore chi ti riconosce?) . G
Eugenio Montale, da Finisterre
Il testo, in endecasillabi regolari, non presenta
divisioni strofiche, ma lo schema delle rime indica la
tipologia “elisabettiana”.
La sintassi non segue lo schema delle rime, segna
un punto in fine di verso solo in ottava posizione
(suggerisce una divisione tradizionale, italiana, tra
fronte e sirma?).
Le rime non sono tutte perfette: ai vv. 1 e 3, 9 e 11,
10, 12 si ha un rima ipermetra, tra sdrucciola e piana;
ai vv. 6 e 8, 13 e 14 una rima imperfetta all’atona.
Fitti i legami fonici (rima a contatto di schiudi e crudi
al v. 13; allitterazioni ai vv. 4-5 e 7…).
Eugenio Montale, da Finisterre
Cfr. riferimento oraziano in apertura: il rapporto pittura-
poesia è visto in termini di prospettiva; questo tema è
richiamato dal riferimento al v. 4 del cannocchiale
arrovesciato.
La prospettiva è anche temporale: lo strumento ottico
usato al rovescio avvicina le cose lontane (il passato di
Clizia) e distanzia quelle vicine (la guerra).
L’avvento salvifico di Clizia (v.12), che si manifesta come
splendore di madreperla, riesce a mettere in fuga le orde
che mietono ancora vittime.
Nella chiusura del sonetto (che inizia nel 2° emistichio del
v. 12) ricorre il triplice vocativo con cui sono descritte le
azioni liberatrici della donna. La parentesi e l’interrogativa
finale sanciscono la natura soprannaturale di Clizia.
Sonetti in tempo di guerra:
Giorgio Caproni
I due sonetti di Caproni raccolti in Finzioni sono
della prima metà del 1940, mentre i diciotto
Sonetti dell’anniversario (in Cronistoria, del 1943)
sono databili nellla seconda metà del 1942.
Lo sfondo degli eventi è sempre la guerra, ma il
poeta aggiunge anche una tragedia personale:
l’anniversario di cui si parla è quello della morte
(nel 1936) della fidanzata Olga.
La forma classica (quasi assoluta e atemporale)
serve a trattenere una condizione emotiva
precaria.
Sonetti in tempo di guerra:
Giorgio Caproni
Anche Caproni ricorre a sonetti “monoblocco”
dove la tensione scaturisce dal rapporto tra
sintassi e metro.
Il discorso non trova pause in corrispondenza
delle partizioni strofiche e il verso è spesso
frammentato da incisi, parentesi, rotture
tensione.
A sostegno della forma metrica ci sono le
rime perfette e la ricerca di armonizzazione
fonica.
Sonetti in tempo di guerra:
Giorgio Caproni
In Caproni lo schema rimico maggioritario
prevede fronte e sirma a rime alternate
schema aperto (come il lamento e lo
sgomento che sono infiniti), ma anche
chiusura melodica giocata tendenzialmente
solo su quattro rime.
Alla guerra e a Gli anni tedeschi (sezione
della raccolta Il passaggio d’Enea, 1956) si
riferiscono i sonetti della seconda fase di
Caproni, databili tra il 1942 e il 1947.
Giorgio Caproni
I lamenti (sottosezione di sonetti de Gli anni
tedeschi) e i sonetti de Il “Terzo libro” e altre
cose (1968) si pongono in continuità con i
Sonetti dell’anniversario sul piano tematico
(la morte), fantasmatico (l’amore), intonativo
(abbondanza di interiezioni, iterazioni….),
metrico-sintattico.
Anche in questa serie lo schema rimico
maggioritario è quello a rima alternata, ma il
tratto di novità è che proprio le rime a volte
vengono sostituite o sono assenti.
Giorgio Caproni,
da Il passaggio d’Enea Amore mio, nei vapori di un bar A A
all’alba, amore mio che inverno B B
lungo e che brivido attenderti! Qua C A
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa C A
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo D B
rumore oltre la brina io quale tram E A
odo, che apre e richiude in eterno B B
le deserte sue porte?... Amore, io ho fermo D B
il polso: e se il bicchiere entro il fragore F C
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse G D
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore, F C
non dirmi, ora che in vece tua già il sole H C
sgorga, non dirmi che da quelle porte, I D
qui, col tuo passo, già attendo la morte. I D
Giorgio Caproni,
da Il passaggio d’Enea
Difficile ricondurre ad uno schema univoco le
terminazioni versali. Ma a partire da un profilo, come
quello indicato, che considera solo rapporti rimici
perfetti (ABCCDEBDFGFHII) si può procedere a
riduzioni equiparando la doppia coppia di assonanze
nella fronte (bar e tram, qua e sa da un lato; inverno
ed eterno, ermo e fermo dall’altro); mentre per la
sirma si può considerare da una parte lo scambio /r/
e /l/ in sede di rima (fragore, sole, amore), e dall’altra
la tendenza a rispettare la quantità consonantica tra
le parole in rima (forse, porte, morte).
Schema ABAABABBCDCCDD inedito nella
tradizione, ma con una sua simmetria interna.
Giorgio Caproni,
da Il passaggio d’Enea
A bilanciare questa indeterminatezza rimica ci
sono le ripetizioni.
Amore, parola chiave che rima con rumore, v.6, e
assuona con morte (la prima e l’ultima parola del
sonetto), si ripete 4 volte (vv. 1, 2, 8, 11)
occupando tutte le posizioni all’interno
dell’endecasillabo (ictus di 2°, poi di 4°, di 8° e
infine di 10°).
Deittici qua e qui (vv. 3 e 14), ora (vv. 5 e 12) e
già (vv. 12 e 14); sostantivo porte (vv. 8 e 13);
sintagma non dirmi (vv. 12 e 13); verbo attendere
(vv. 3 e 14).
Sonetti in tempo di guerra:
Franco Fortini
Per Montale e Caproni il recupero del sonetto
avviene un momento storico traumatico e lì si
esaurisce: infatti non torneranno più al sonetto.
Diverso il caso di Franco Fortini che ha usato con
maggior consuetudine le forme metriche tradizionali,
compreso il sonetto che ritorna spesso nelle sue
raccolte.
In Fortini il ricorso a forme metriche tradizionali,
insieme con l’uso di un registro linguistico e stilistico
alto e sostenuto, serve per inserire il contenuto
individuale in una storia collettiva che lo trascende.
Non c’è dunque la ricerca metafisica di Montale, né il
pathos espressionistico di Caproni.
Franco Fortini,
da Foglio di via e altri versi Mai una primavera come questa
È venuta sul mondo. Certo è un giorno
Da molto tempo a me promesso questo
Dove tutto il mio sguardo si fa eguale
Ai miei confini, riposando; e quanta
Calma giustizia nel pensiero è in fiore
Quanta limpida luce orna il colore
Delle ombre del mondo. Ora conosco
Perché mai degli inverni ove a fatica
Si levò questo esistere mio vivo
M’è rimasto quel nome, che mi scrivo
Su quest’aria d’aprile, o sola antica
E perduta e oltre il pianto sempre cara
Immagine d’amore mia compagna.
Franco Fortini,
da Foglio di via e altri versi Alcuni pregavano per la grazia di un colpo ben centrato.
Altri cantavano i canti di Israele…
(Dal diario di una dodicenne polacca, 1944).
Sempre dunque cosí gemeranno le porte
divaricate in pianto. Rotano eterni i fumi
dei roghi e giú s’ingorga la coorte
d’uomini scimmie, di femmine implumi.
Con loro, amici! Sono questi i fiumi
da cui credemmo salvare la sorte.
Ma se le torce stridono e vacillano i lumi
qualcuno dentro il buio canta più forte.
Non la battaglia bianca d’arcangeli cristiani
clama l’inno che tu alla notte rubi
sempre più cieca; ma noi, gli ultimi, i vivi.
A coro alto scendiamo, le mani strette alle mani
e non vinti, le grotte vane: Anubi
enorme erra, testa di cane, ai trivi.
Franco Fortini,
da Foglio di via e altri versi
Il primo sonetto chiude la sezione Elegie con
testi di carattere privato, rievocativo. Il testo,
scritto proprio in corsivo, è un momento di
riconciliazione con il mondo, il passato e il
presente ritrovano un senso.
Vice veris, il primo componimento qui
presentato, è un parasonetto: 14
endecasillabi canonici, assenza di stacchi
strofici e di accordo tra metrica e sintassi,
profilo rimico non perfetto (vv. 1 e 3 rima
imperfetta questa: questo, vv. 6-7 rima
perfetta fiore: colore…).
Franco Fortini,
da Foglio di via e altri versi
Il secondo, intitolato Sonetto, appartiene agli
Altri versi, sezione varia. Il componimento, dal
tono solenne con epigrafe in esergo, si
collega al tema dello sterminio degli ebrei.
Qui c’è scansione strofica tradizionale,
accordo tra metro e sintassi, rime perfette.
L’unica particolarità è la misura versale
differente: endecasillabi e alessandrini.
Qui metro e lingua servono a oggettivare un
contenuto forte e a garantirgli una durata.
Franco Fortini
Fortini tornerà più volte e in varie occasioni ad
usare il sonetto:
Da Góngora e da Shakespeare (cfr. sezione Di
seconda intenzione, in Paesaggio con serpente,
1984).
Traduzione immaginaria da Mallarmé (in L’ospite
ingrato, II, 1985).
Sonetti di corrispondenza con Zanzotto (in
Paesaggio con serpente, 1984, e L’ospite
ingrato, II, 1985).
2 sonetti nella sezione Sette canzonette del
Golfo (in Composita solvantur, 1994).
Il secondo dopoguerra:
Pier Paolo Pasolini
Pasolini ha un rapporto ricco e complesso
con la tradizione e la metrica: nell’appendice
all’Usignolo della chiesa cattolica (testi
composti tra il 1950 e il 1953) c’è una serie
intitolata Poesiole notturne, composta da
quattro componimenti di cui 3 sonetti minori.
Diverse licenze sia nella misura, sia nello
schema delle rime, con figure sostitutive e
versi irrelati, sia nel rapporto con la sintassi.
Il secondo dopoguerra:
Pier Paolo Pasolini
Pasolini, Sonetto primaverile, Milano,
Scheiwiller, 1960 (ma i testi sono datati 1953)
Serie di 14 sonetti ricondotti ad unità dal
titolo al singolare, ma anche dall’aggettivo (la
stagione primaverile ritorna in quasi tutti i
componimenti). Si può considerare il
precursore dell’Ipersonetto di Zanzotto.
Pier Paolo Pasolini,
da Sonetto primaverile Nel falso silenzio che si addensa A
per le campagne e le borgate, grava B
Il brusio delle sere primaverili C
Quando soave l’atmosfera propaga B
da finestre aperte, anditi, cortili, C
i suoni domestici, e gli allegri D
echi di strade popolari. Ma aprile C
è lontano: e in questo vuoto, grevi D
d’un senso di morte sono i segni E
Che dovrebbero rallegrare la vita. F
È un ritorno, questo; e nei sereni E
Fari, nei già tiepidi spazi è finita F
una forma del nostro esistere, e inizio G
Non ne ha una nuova, se tremarne è vizio. G
Pier Paolo Pasolini,
da Sonetto primaverile
Sonetto elisabettiano (il 1° che apre la raccolta).
Versi spesso paraendecasillabici (oscillanti tra 10
e 12 sillabe) e con ritmo spesso non canonico.
Forme sostitutive della rima con il v. 1 irrelato
(ABCBCDCDEFEFGG; in corsivo le assonanze-
consonanze e rime imperfette).
Sintassi libera rispetto al metro.
Dialettica tra la temporalità della stagione e
quella esistenziale. Il paesaggio iniziale (vv. 1-7)
è disseminato di segnali di allarme (falso silenzio;
grava / il brusio).
Pier Paolo Pasolini,
da Sonetto primaverile
Una temporalità appartiene al presente e
delinea un percorso (dal falso silenzio
all’aprile lontano), l’altra alla memoria (dal
brusio agli echi).
Aprile (v. 7) è sia riferimento stagionale sia
esistenziale.
Il ritorno alle origini segna la consapevolezza
della discrasia tra la ciclicità stagionale e la
finitudine dell’esistenza.
3 parti: descrittiva (vv. 1-7); metafisica (vv. 7-
10); conclusiva ed esistenziale.
Andrea Zanzotto e l’Ipersonetto
Punto di svolta è l’Ipersonetto, pubblicato ne Il galateo
in bosco del 1978.
14 sonetti (tanti quanti i versi canonici di un sonetto) + 2
sonetti (Premessa e Postilla).
L’Ipersonetto è al centro della raccolta (18 poesie lo
precedono e 18 lo seguono).
I due sostantivi del titolo, galateo e bosco, si riferiscono
alla polarità tra cultura e natura.
Fa da sfondo la zona del Montello in provincia di
Treviso: qui ci sono testimonianze naturali (il bosco),
letterarie (presenza di Gaspara Stampa e Della Casa,
autore del Galateo), storiche (ossario per i caduti della
Prima guerra mondiale).
Andrea Zanzotto e l’Ipersonetto
Struttura dei sonetti dell’Ipersonetto:
Divisione tradizionale in quartine e terzine (con
sostanziale autonomia delle partizioni strofiche).
Uso di endecasillabi regolari (solo qualche libertà
sul versante ritmico).
Schema rimico: quartine quasi tutte a rima
incrociata e terzine con schema perlopiù
replicato (CDE CDE), ma anche con varietà non
petrarchesche.
Prevalenza quasi assoluta di rime perfette;
ricorso solo all’ipermetra, in cui rimano parole
piane e sdrucciole.
Andrea Zanzotto,
da Il galateo in bosco Galatei, sparsi enunciati, dulcedini A
di giusto a voi, fronde e ombre, egregio codice... B
Codice di cui pregno, o bosco godi B
e abbondi e incombi, in nascite e putredini.. A
Lasciate ovunque scorrere le redini A
intricando e sciogliendo glomi e nodi... B
Svischiate ovunque forze e glorie, o modici B
bollori d'ingredienti, indici, albedini... A
Non più che in brezze ragna, o filigrana C
dubbiamente filmata in echi e luci D
sia il tuo schivarti, penna, e l'inchinarti... E
Non sia peso nei rai che da te emanano C
prescrivendo e secando; a te riduci D
segno, te stesso, e le tue labili arti... E
Andrea Zanzotto,
da Il galateo in bosco Somma di sommi d'irrealtà, paese A
che a zero smotta e pur genera a vista B
vermi mutanti in dèi, così che acquista B
nel suo perdersi, e inventa e inforca imprese, A
vanno da falso a falso tue contese, A
ma in sì variata ed infinita lista B
che quanto in falso qui s'intigna e intrista B
là col vero via guizza a nozze e intese. A
Falso pur io, clone di tanto falso, C
od aborto, e peggiore in ciò del padre, D
accalco detti in fatto ovver misfatto: E
così ancora di te mi sono avvalso, C
di te sonetto, righe infami e ladre – D
mandala in cui di frusto in frusto accatto. E
Andrea Zanzotto,
da Il galateo in bosco
Due sonetti di endecasillabi regolari con
schema petrarchesco per eccellenza.
Nel primo sonetto (Premessa) ricorre la rima
su parola sdrucciola (vv. 1, 4, 5, 8), ma anche
la rima ipermetra (vv. 2-3, 6-7, 9 e 12). Si
segnalano anche assonanze e consonanze.
Nel secondo (Postilla) prevale l’antitesi, fino
all’ossimoro (vv. 3-4). Ripetizione insistente di
falso.
La Postilla chiude il discorso sul rapporto tra
norma e realtà/verità.
Il neometricismo degli anni ‘80
Verso la fine degli anni ‘70 ci sono le prime
incursioni nella metrica chiusa da parte di
esponenti in origine refrattari alla tradizione,
come Edoardo Sanguineti, che aveva aderito
ai Novissimi e al Gruppo ’63 Sottosonetto,
scritto per Valerio Trubbiani e pubblicato in
una plaquette del 1979 con 3 acqueforti
dell’artista.
Inizio anni ‘80: Patrizia Valduga.
Il neometricismo degli anni ‘80
Cause e fattori di sviluppo:
postmodernismo con la predilezione per il
pastiche e la contaminazione linguistica, il
citazionismo cui si accompagnano la
riscoperta della vocalità e della corporeità.
Situazione italiana degli anni ’70 tornata nella
sfera dell’orfismo e del neormetismo dopo la
neoavanguardia.
Si registra allora una reazione a tutto questo
basata sull’ancoraggio formalizzato del testo
poetico.
Il neometricismo degli anni ’80:
Patrizia Valduga
La sua poesia si affida esclusivamente a forme
chiuse: sonetti, madrigali, sestine, ottave, terzine,
distici, sirventesi, quartine.
Gli opposti si legittimano: provocazione/ insicurezza;
tragressione/ timidezza; esibizione/ isolamento;
pornografia/ misticismo.
“Sacralità” data dalla ripetizione di forme e parole.
Temi dominanti: Desiderio d’amore e paura della
morte/abbandono.
Piano lessicale: citazioni e prelievi da Dante,
Petrarca…
Piano sintattico: accumulo e iterazione.
Piano fonico-ritmico: seduttivo con richiami.
Il neometricismo degli anni ’80:
Patrizia Valduga
1981: Serie di 14 sonetti (cfr. Ipersonetto di
Zanzotto) pubblicata, con introduzione di
Raboni, nell’“Almanacco dello specchio”.
1982: Medicamenta (raccolta con 22 sonetti,
alternati con distici, terzine, ottave…).
1989: Medicamenta e altri medicamenta (22
sonetti precedenti + 8 nuovi).
Caratteristiche: disposizione strofica
tradizionale, ma varietà di schemi ripresi dalla
tradizione anche minore o inediti
sperimentazione soprattutto uditiva.
Patrizia Valduga,
da Medicamenta e altri medicamenta E nottetempo la gente si arrappa, A
s’ingrifa, al serra serra si disgroppa. B
Ah…eh…ah…bada ansimare…di tappa A
in tappa svelta s’accoppia, s’aggroppa. B
Ponte sui sensi, avendoli, s’acchiappa A
con mutua trappola, greve s’intoppa B
fino allo scoppio… gioca a stringichiappa A
a strappa strappa e a cervello di stoppa B
Per toppa…E intanto la notte le scappa A
da razionalità antidotata C
e imperata…Io dolente, in gola un groppo, D
il mio universo di assenze e la mappa A
dei miei giorni ridesti mi sciroppo, D
di pensamento in abuso incappata. C
La stessa rigirata c
d’angoscia in margine all’esiguo e al troppo: D
Il succo della notte invero allappa. A
Patrizia Valduga,
da Medicamenta e altri medicamenta
Grande effetto musicale: la fronte alterna due rime
fortemente consonantiche che ritornano nelle terzine
e nella coda.
Difficile dire se si tratta di tre o quattro rime in totale
(la coda non ha la rima baciata).
Armonizzazione data da rime, allitterazioni,
assonanze.
Lessico disfemico (≠ eufemico): ingrifarsi,
disgropparsi (ma anche in Graf), aggropparsi (ma
anche in Guittone e Boccaccio); spie letterarie:
pensamento (cfr. Dante), arrappare (con consonante
doppia nel valore antico di “afferrare”); neologismi:
stringichiappa.
Il neometricismo degli anni ’80:
Edoardo Sanguineti
Il revival metrico interessa anche gli autori della
neoavanguardia.
Dalla fine degli anni’70 Sanguineti inizia a scrivere
sonetti, mostrando tutto il suo virtuosismo (recupera
infatti modi da canzonieri antichi inserendo
l’acrostico).
Sanguineti spesso gioca con il riferimento tecnico al
metro: cfr. l’Emisubsonetto (due terzine seguite da
una quartina, in endecasillabi rimati ABA CBC DEED)
e i cinque semisonetti (una quartina e una terzina di
endecasillabi; nel primo la quartina è a rime alternate,
negli altri a rime incrociate, mentre la terzina è
sempre CDC), presenti nella raccolta Cose del 2001.
Edoardo Sanguineti, da Segnalibro
Se sa sedurti soltanto un sonetto, A
Archetipo d’amaro amore assente, B
Nasconderò nei tuoi nomi il mio niente, B
Golfo mio, mia girandola, mio ghetto: A
Umiliato unicorno, unico e urgente, B
Inciderò in te impronte, intimo insetto, A
Nodo dei nodi, nudo nervosetto, A
Enfasi estrema, epigramma emergente: B
Tenera in tutto, torre di tormenti, C
Infarcito mio infarto, idolo, inferno, D
Apriti a me, tu, aurora di aghi ardenti: C
Muta medusa, muscolo materno, D
Ascoltami, arida aspide, e acconsenti: C
Tremo con te, tremendo, tardo terno. D
Edoardo Sanguineti, da Segnalibro
L’Eterosonetto, datato 1979, è stato pubblicato
nel 1982.
Ciascun endecasillabo, dal ritmo quasi sempre
canonico, è composto da parole che cominciano
con la stessa lettera di quella iniziale struttura
allitterante che procede per accumulazione.
Le rime sono perfette.
Seguendole lettere iniziali dei versi si ha la
formula Sanguineti amat (che trova rispondenza
nel titolo).
MA manca la profondità di un discorso
argomentato.
Verso la fine del Novecento:
Giovanni Raboni
Dopo un’esperienza poetica, quasi tutta
giocata nell’orizzonte della metrica libera,
Giovanni Raboni inizia nella seconda metà
degli anni ‘80 ad avvicinarsi alla metrica
chiusa.
Motivi: stimoli personali e familiari (il rapporto
con Patrizia Valduga), riflessioni teoriche (il
verso libero si era ormai esaurito), esempi di
amici (Fortini, Caproni, Zanzotto…)
Raccolta intitolata Versi guerrieri e amorosi
(1990).
Verso la fine del Novecento:
Giovanni Raboni
Raboni recupera l’isostrofismo, l’endecasillabo e
la rima con funzione strutturante.
Nella sezione centrale della raccolta compaiono
3 sonetti, uno in endecasillabi e due in versi
minori.
Nelle raccolte successive (Ogni terzo pensiero,
1993, e Quare tristis, 1998) il sonetto si colloca al
centro della sua poesia.
In totale Raboni scrive 86 sonetti, di cui 75 in
endecasillabi e 11 in versi minori; 58 sono nella
forma italiana e 28 in quella elisabettiana.
Verso la fine del Novecento:
Giovanni Raboni
La sperimentazione di Raboni avviene ora
all’interno della struttura metrica dialettica tra
metro e sintassi; non c’è coincidenza tra strofa e
periodo; uso di enjambements.
Raboni non modifica le sue strategie discorsive,
che comportano l’abbassamento del tono, le
ripetizioni, l’uso di monologhi interiori con incisi,
sospensioni, domande retoriche.
Per le rime sceglie spesso elementi
semanticamente vuoti come preposizioni,
congiunzioni, articoli, avverbi, pronomi…
Giovanni Raboni, da Quare tristis
Più la gente che c'era se ne va A
o si nasconde e meno avrebbe senso B
lasciarla da vivo questa città A
senza vita. Sì, ogni tanto ci penso, B
immagino un altro cielo, un incenso B
meno acre ma chi me lo ridà A
l'alitare, il parlottare, l'immenso B
silenzioso brusio di chi non ha A
casa che nel mio ricordo? Per quanti C
siano i vivi che amo non saranno D
mai tanti come loro, gli sfrattati E
dal tempo, i clandestini, gli abbonati E
fuori elenco a telefoni che hanno D
numeri di cinque cifre soltanto. C
Giovanni Raboni, da Quare tristis
Due temi centrali fin da Le case della Vetra (1966): il
rapporto con Milano e quello con i morti sviluppati in
un monologo interiore.
3 parti: esposizione del tema, ipotetica e retorica
messa in discussione, conferma.
I versi sono tutti endecasillabi, ma molti non canonici
(vv. 3, 4, 5, 7, 9, 14).
Rispetto dello schema rimico e delle rime (una sola
rima imperfetta, quanti: soltanto, vv. 9 e 14).
Rapporto conflittuale tra metro e sintassi: cfr.
passaggio tra fronte e sirma con inarcatura
interstrofica che mette in rilievo la parola casa (v. 9).