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COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME 419 SUBURBIUM II IL SUBURBIO DI ROMA DALLA FINE DELL’ETÀ MONARCHICA ALLA NASCITA DEL SISTEMA DELLE VILLE (V-II SECOLO A.C.) a cura di Vincent JOLIVET, Carlo PAVOLINI, Maria Antonietta TOMEI, Rita VOLPE ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME 2009

IL SUBURBIO DI ROMA DALLA FINE DELL’ETÀ MONARCHICA … OLCESE 2009...Suburbium II. Il suburbio di Roma dalla fine dell’età monarchica alla nascita del sistema delle ville (V-II

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C O L L E C T I O N D E L ’ É C O L E F R A N Ç A I S E D E R O M E4 1 9

SUBURBIUM II

IL SUBURBIO DI ROMA DALLA FINE DELL’ETÀMONARCHICA ALLA NASCITA DEL SISTEMA

DELLE VILLE (V-II SECOLO A.C.)

a cura diVincent JOLIVET, Carlo PAVOLINI, Maria Antonietta TOMEI, Rita VOLPE

ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME2009

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I testi raccolti in questo volume costituiscono gli atti delle Giornate di studio sul suburbio romanotenute all’École française de Rome il 16 ottobre e 3 novembre 2004, 17 e 18 febbraio 2005

Cura redazionale degli Atti e della Bibliografia : Marialetizia Buonfiglio, Irma Della Giovampaola, SabinaZeggio

Cura redazionale dei testi del CD-ROM allegato : Irma Della Giovampaola

Elaborazione grafica della Carta delle attestazioniarcheologiche del Suburbium dal V al II secolo a.C.in due tavole : Carmelo La Micela con la collaborazione di Sergio Mineo

Elaborazione digitale interattiva del CD-ROM : Jérôme Valette

Suburbium II. Il suburbio di Roma dalla fine dell’età monarchicaalla nascita del sistema delle ville (V-II secolo a.C.) : [atti delle giornatedi studio sul suburbio romano tenute a Roma il 16 ottobre e 3 novembre2004, 17 e 18 febbraio 2005] / a cura di Vincent Jolivet, Carlo Pavolini,Maria Antonietta Tomei, Rita Volpe.Rome : École française de Rome, 2009.(Collection de l’École française de Rome, 0223-5099; 419)ISBN 978-2-7283-0820-0 (br.)1. Banlieues - - Italie - - Rome (Italie) - - Congrès. 2. Voies romaines - - Italie - -Rome (Italie) - - Congrès. 3. Campagne romaine (Italie) - - Congrès.I. Jolivet, Vincent, 1955- II. Pavolini, Carlo, 1948- III. Tomei, MariaAntonietta 1946- IV. Volpe, Rita, 1957-.

CIP – Bibliothèque de l’École française de Rome

© - École française de Rome - 2009

ISSN 0223-5099ISBN 978-2-7283-0820-0

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1 Ho preferito invece tralasciare per ora alcune classi,come ad esempio la ceramica detta a vernice rossa opa-

ca poiché la ricerca è solo agli inizi e sono necessari piùdati.

GLORIA OLCESE

PRODUZIONE E CIRCOLAZIONE CERAMICAIN AREA ROMANA IN ETÀ REPUBBLICANA

LINEE DI RICERCA, METODI DI INDAGINE E PROBLEMI APERTI

Introduzione

In questo contributo prendo brevemente inconsiderazione problematiche metodologichee alcune linee di ricerca relative a ceramichedocumentate in area romana tra la metà/finedel IV e il II secolo a.C. : la produzione e la cir-colazione delle anfore greco italiche (e la pro-duzione del vino), le ceramica a vernice nera einfine le ceramiche comuni1. Le osservazioniriguardano un’area più ampia di quella del su-burbio non solo per il taglio metodologico delcontributo ma anche perché i dati a disposi-zione non sono ancora molti.

Prima di affrontare questi argomenti, con-viene forse interrogarsi, più in generale, sullasituazione degli studi sulle ceramiche in ar-cheologia e sulla rotta da seguire per le ricer-che future. A mio parere, infatti, resta moltoda fare e soprattutto restano da riorganizzaretemi di ricerca, approcci di studio e metodi diindagine.

Dagli anni 70-80 la ceramica viene utilizza-ta non solo per datare siti e contesti, ma sonostate messe in evidenza le sue enormi poten-zialità anche in altri importanti campi della ri-cerca archeologica, ad esempio nella ricostru-zione delle attività produttive e dei commerci.L’ingresso delle discipline scientifiche nella ri-

cerca archeologica – e in particolare gli studidi determinazione di origine, fondamentaliper la ricostruzione di temi legati alla storiaeconomica – ha accresciuto tali potenzialità.

Dopo una fase in cui la cultura materiale èstata al centro degli interessi di una parte con-sistente degli archeologi italiani e un’altra,successiva e recente, dominata da un grandeinteresse per le analisi di laboratorio sui reper-ti, ci troviamo ora in una fase di attenzione ca-lante per entrambi gli ambiti. In ogni caso sia-mo ancora lontani dal raggiungimento degliobiettivi che miravano ad una integrazione diapprocci e di metodi di ricerca diversi.

Sono ancora pochi gli studi di sintesi cheinterpretino i dati «grezzi», archeologici e dilaboratorio e, spesso, studiare la ceramica si-gnifica fermarsi alla prima fase dell’indagine,la registrazione della presenza di forme e tipi.Nel giusto tentativo di dare una veste più cre-dibile e oggettiva agli studi sulla ceramica, ab-biamo talora perso di vista alcune delle finalitàultime della ricerca, che non si possono limita-re alla datazione dei contesti ma che dovreb-bero comprendere altri campi, tra cui anche laricostruzione della storia economica e delletecnologie antiche.

Cosa sappiamo effettivamente della cera-

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2 In Italia le indagini di laboratorio sui materiali cera-mici non sono ancora di routine e sono pochi i casi in cuiè stato possibile effettuare studi di laboratorio su ampiascala. Anche quando esiste la possibilità di effettuare ana-lisi archeometriche, le difficoltà maggiori sorgono nellaelaborazione e interpretazione dei dati, fasi che richiedo-no équipes di studio specializzate su questo argomento,Olcese 2006, con bibliografia precedente.

3 Il lavoro è stato la mia tesi di abilitazione presso la

Freie Universitat Berlin nel 1997. Fino ad ora sono statepubblicate alcune parti relative alle ceramiche comuni(Olcese 2003a) oppure alle analisi sulle vernici nere (Olce-se 1998) e alle terre sigillate (Olcese 2003b). L’indagine èstata accompagnata da verifiche e prospezioni, effettuatecon M. Picon, in alcune aree geologicamente idonee al-l’impianto di officine ceramiche.

4 Olcese 1997, 2003 a.

mica di età repubblicana e, in particolare, de-gli aspetti produttivi in area romana? Per laverità non molto e alcuni temi fondamentalirestano scoperti. Molto importante per questazona di primo piano e, in particolare, proprioper le ceramiche di epoca repubblicana chehanno ricevuto meno attenzione di quelle del-l’età imperiale, appare quindi l’adozione diuna linea di ricerca meditata e possibilmentecondivisa da più studiosi.

Concretamente penso che gli interventiprincipali siano riassumibili in alcuni punti :

– un ripensamento e la riformulazione de-gli obiettivi degli studi che utilizzano la cera-mica come indicatore, con la scelta di temi diinteresse scientifico rilevante a cui dare lapriorità;

– il collegamento delle ricerche tra loro,poiché esiste una frammentazione eccessivache non giova all’avanzamento degli studi;

– la ripresa di tutta una serie di vecchi dati(immense sono le quantità di materiali nonstudiati nei magazzini) in base a indirizzi distudio prestabiliti. Anche nel caso peggiore,cioè in mancanza di dati stratigrafici, le cera-miche possono essere utilizzate per ricercheinterdisciplinari.

– Un approccio metodologico diverso, piùampio, che preveda indagini estese a più siti.Accanto allo studio dei singoli contesti, si ritie-ne indispensabile anche una fase ulteriore, chepreveda ricerche sulle ceramiche in zone di-verse e per periodi di tempo più ampi.

– L’adozione di un approccio di tipo ar-cheometrico; ciò non significa solo esecuzionedi analisi chimiche e fisiche2, ma prevedeun’attenzione maggiore nei confronti dei cen-tri di produzione e della tecnologia di fabbri-

cazione. Un’indagine così orientata, spesso sirivela utile anche per limitare il numero delleanalisi di laboratorio da effettuare, riservate inquesto modo solo alle problematiche che lo ri-chiedano effettivamente.

– La redazione di tipologie ceramiche al-l’interno delle aree produttive di appartenenza.

Una ricerca degli anni ’90 e un nuovo progettosulle ceramiche ad Ostia in età repubblicana

Una ricerca condotta negli anni ’90, solo inparte pubblicata, mi ha permesso di approfon-dire alcuni temi relativi alla produzione cera-mica in epoca tardo repubblicana e nella pri-ma età imperiale a Roma e in area romana3.L’indagine partiva dalla raccolta di tutte le in-formazioni esistenti sui centri di produzione;uno degli obiettivi principali era individuare ecaratterizzare le produzioni locali/regionali,grazie a uno studio tipologico, macroscopico earcheometrico.

Nel corso della ricerca era emersa la scarsi-tà di documentazione esistente sulle officineceramiche nel Lazio4 da cui partire per un ap-profondimento. In assenza di siti produttoriindividuati, ricerche archeologiche e di labora-torio mirate possono sopperire, almeno in par-te, alla mancanza di dati sui centri produttorie consentono di arrivare a conoscere meglio lecaratteristiche del materiale ceramico fabbri-cato nelle diverse zone, in periodi differenti.

La fig. 1 raccoglie i siti in cui sono statecampionate e analizzate ceramiche e argillecon metodi chimici e mineralogici e i risultatisono confluiti in una banca dati – archeologicae archeometrica – delle ceramiche di Roma edel Lazio.

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5 Per una prima notizia sulla ricerca in corso e per labibliografia precedente sulla zona, Morelli-Olcese-Zevi2004; per le anfore, Olcese-Thierrin Michael, c.s. Per ricer-che precedentemente effettuate sulle ceramiche di età re-pubblicana nella zona di Ostia, Carbonara et alii 2003, conulteriore bibliografia. Si è recentemente costituito ungruppo di ricerca a cui partecipano A. Carbonara, V. For-te, P. Manacorda, A. Rinaldi e gli studenti della Facoltà diLettere della Sapienza a cui sono state affidate tesi di lau-

rea o studi su materiali ceramici da contesti ostiensi e del-l’ager portuensis.

6 Olcese 1997; Olcese 2003a.7 A questo proposito si veda Vandermersch 2001 che fa

il punto sull’argomento, riassumendo le diverse posizionie la bibliografia relativa.

8 Tchernia 1986, p. 108; Vandermersch 2001; Volpe, inquesto volume con bibliografia precedente.

9 Vandermersch 2001.

Astura (L)Bolsena (L)Capena (L)Cerveteri (L)Chiusi (L)Fondi (L)Formia (L)Fregellae (L)Macchia di Freddara (B)Minturno (L)Olevano (B)Ostia (B, L)Paliano (B)Segni (B)Sutri (B)Tarquinia (L)Tivoli (B)Tolfa (B)Vasanello (B)Velletri (L)

Roma (B)Roma Concordia (B)Roma Gianicolo (B)Roma La Celsa (B)Roma Palatino (B)Roma Tevere (B)Roma via U. Moricco (L)Roma Villa Quintili (B)

L = Lyon; B = Berlin

Fig. 1 – Elenco dei siti di campionamento delle ceramichesottoposte ad analisi chimica e mineralogica nei laboratoridi Lyon, Cnrs (M. Picon) e Berlino (Habilitation G. Olcese).

Lo studio è stato recentemente esteso anchealle ceramiche di epoca repubblicana di Ostia edell’ager portuensis, nell’ambito di un progettocon la Soprintendenza di Ostia : le ricerche av-viate con C. Morelli, F. Zevi e A. Pellegrino e iloro collaboratori5 – sono finalizzate alla rico-struzione delle vicende economiche e alle mo-dalità di insediamento nel territorio ostiense inetà repubblicana.

I siti da cui provengono i materiali, datatiper lo più ad epoca medio repubblicana, si tro-vano a poca distanza dal Tevere e sono stati in-terpretati da C. Morelli come edifici con fun-zione commerciale e destinati allo stoccaggiodel sale delle vicine saline. La zona si sta rive-lando estremamente interessante per conosce-re la realtà economica e di insediamento in

epoca medio-repubblicana. Il progetto sulle ce-ramiche è incentrato sullo studio delle anforegreco-italiche e sulla produzione e circolazionedel vino in area romano/laziale; sull’organizza-zione dell’artigianato ceramico (attraverso lostudio delle ceramiche a vernice nera); inoltre,sulle ceramiche comuni, in particolare quelleda cucina, che consentono approfondimentisul livello tecnologico di una società e sulle abi-tudini alimentari.

Sono ricerche agli inizi e quindi non di-spongo di dati definitivi; mi è stato possibileper ora avere solo qualche conferma dei risul-tati emersi nel corso dello studio precedente-mente effettuato6.

Alcuni spunti di ricerca sulle classi ceramiche aRoma e nel Lazio (IV-II secolo a.C.)

Le anfore greco-italiche

Il tema della produzione di anfore si collegaa quello ben più ampio della produzione regio-nale del vino e del suo commercio.

Se ci basiamo sui dati della bibliografia, ilvino «romano» sembra essere prodotto nel-l’ambito delle villae del Latium adiectum edel Nord della Campania dal II secolo a.C.7

Molti indizi, però, indicano l’esistenza di unaproduzione regionale già in epoche preceden-ti e i consumi di vino di Roma e del Laziodevono aver influito sullo sviluppo di unaproduzione regionale già in età medio-repub-blicana8. Vandermersch ha recentemente af-fermato che la produzione del vino romanonon è il risultato di una «revolution de struc-ture», bensì ha le sue origini in età medio-repubblicana nel Latium vetus e si accompa-gna a dinamiche di tipo espansionistico e al-lo sviluppo del commercio marittimo9; anchealtri studiosi hanno ipotizzato una produzio-

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10 Un panorama degli studi storici e archeologici è inVandermersch 2001, con bibliografia.

11 Si veda il contributo di R. Volpe in questo stesso vo-lume; Vandermersch 2001; per lo stesso tema in età arcai-ca, Gras 1983.

12 Sono molti in realtà i «vuoti» di attestazioni di mate-riale ceramico e di notizie sui siti di produttori nell’area diRoma : proprio a proposito delle anfore – ma la situazionedi altre classi ceramiche non è diversa – il controllo dellacarta delle aree di produzione per l’età repubblicana dimo-stra un vuoto di attestazioni tra Pyrgi e Fondi (fig. 2), ma èmolto improbabile che tale vuoto corrisponda a una man-canza di produzione ceramica in quella zona.

13 Le anfore (greco italiche e altre), da una prima valuta-zione, sembrano rappresentare una percentuale compresatra il 10 e il 30% del materiale ceramico in almeno 5 dei siticonsiderati. In questi 5 siti i frammenti di anfora «diagno-stici» sono 318, di cui 222 pertinenti a anfore greco itali-che, 42 sono di tipo Dressel 1, 54 di altri tipi.

14 Vandermersch 2001, p. 169-174; Morel ha ipotizzatoche le anfore e la ceramica a vernice nera provenienti dalRelitto di Montecristo, da lui datato intorno al 300 a.C.,siano del Lazio (Morel 1997, p. 222, nota 58).

15 Hesnard et alii. 1989, p. 24-26. Attema-de Haaas-Nij-boer 2003.

16 Hesnard 1977 : Hesnard-Lemoine 1981; Hesnard etalii 1989, p. 26; Thierrin Michael 1992; Olcese, Lattes.

17 Hesnard 1977 (aree di produzione di anfore Dressel 1e Dressel 2/4 nella zona di Terracina); Hesnard et alii 1989,p. 26; Kirsopp Lake 1934-1935.

18 Il materiale di molti di questi siti è già stato oggettoanche di analisi archeometriche e di importanti studi inlaboratorio (Hesnard et alii 1989; Thierrin Michael 1992).Tali analisi, che costituiscono dei gruppi di riferimento,sono oggi integrate con nuove analisi su campioni di cui siconosce la tipologia precisa nell’ambito del progetto «Im-menso Aequora» in corso di effettuazione. Le campionatu-re di quei lavori sono state effettuate ormai molto tempo

ne agricola romana sfociata nel commerciomarittimo già nella seconda metà del IV se-colo a.C.10

Le anfore greco italiche possono darci utiliindicazioni sulle attività agricole e sullo sfrut-tamento vinicolo del Lazio in epoca repubbli-cana. I dati in nostro possesso sulla produzionee sulla circolazione di tali contenitori nell’areadi Roma e nel Lazio sono, però, molto pochi,anche in quelle zone in cui le fonti e la ricercasul paesaggio agrario documentano la coltiva-zione della vite e tracce di produzione vinicola,anche in epoca precedente quella repubblica-na11. Rita Volpe ha ipotizzato durante questoconvegno che la bassa incidenza numerica dianfore greco-italiche nei contesti e negli stratidi età repubblicana a Roma e nel suburbio nonsia casuale e sia invece da attribuire ad altrimodi di conservare e trasportare il vino, in otrio cullei e, in tono minore, in botti, verso i mer-cati urbani. In area romana quindi, in questoperiodo, non si produrrebbero anfore. Si trattadi un’ipotesi possibile, soprattutto per la città,anche se, forse, sarebbero utili ulteriori verifi-che in più contesti suburbani e nelle zone diproduzione del vino, con un ampliamento dellericerche sul terreno e nei magazzini12.

Le indagini preliminari in corso nell’agerportuensis rivelano che in quasi tutti i contestimedio repubblicani presi in considerazionesono documentate anfore greco italiche, di cuiper ora non si conosce l’origine, talora associa-

te ad altre anfore (di tipo punico o «etrusche»recenti). Anche se l’area in questione non co-stituisce forse un punto di confronto e verificadel tutto adeguato a quello della situazione ur-bana, vale comunque la pena di tenere contodi questa realtà13.

Recentemente, inoltre, è stata ipotizzatal’esistenza di una produzione di anfore grecoitaliche in ambiente latino/romano definitecon l’abbreviazione RMR (amphores romainesmédio-republicaines), datate al periodo com-preso tra la metà del IV e il III secolo a.C. e dacollegare forse a quella della ceramica a verni-ce nera a stampigli del Lazio14.

Ulteriori approfondimenti sul campo e neimagazzini potrebbero aggiungere notizie sullapresenza di anfore ma anche sulle possibiliaree di produzione; per ora, infatti i dati chepossediamo in proposito riguardano anforepiù recenti e zone produttrici effettivamentelontane dalla città, situate nei pressi del mareo di vie d’acqua. Mi riferisco agli scarichi di of-ficine di anfore greco italiche recenti e Dressel1 a Astura15, Fondi16 e Minturno17, nelle zone diproduzione del caecubum e del fundanum(fig. 2). Alcuni di questi scarichi sarebberopassati inosservati e non ne conserveremmonotizia, se non fossero stati cercati e indivi-duati nel corso di prospezioni geologiche/ar-cheometriche, mirate alla localizzazione diaree di produzione18. È probabile che la situa-zione individuata nella zona di Fondi, ad

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fa e spesso non si era distinto tra le greco italiche e leDressel 1. Un confronto incrociato tra dati tipologici, ar-cheometrici e epigrafici può dare risultati interessanti, adesempio potrebbe permettere di arrivare a provare o ascartare l’attribuzione delle anfore nei siti dell’ager por-tuensis ai vari siti di produzione (Minturno, Fondi adesempio). Gli studi archeometrici effettuati hanno ulte-riormente sottolineato l’importanza dell’utilizzo integratodi analisi chimiche e mineralogiche, precedute da un’ac-curata indagine macroscopica.

19 Senza citare i rinvenimenti dell’Etruria settentrionale(dell’ager Pisanus, Volaterranus e Cosanus), ricordo, perl’Etruria meridionale la presenza di una o due fornaci di

anfore di greco italiche di tipo recente e/o Dressel 1 nellazona di Pyrgi (località Cava di Caolino), segnalate dallapresenza di discariche (Incitti 1990). Tali rinvenimenti do-cumenterebbero la produzione del vino ceretano e gravi-scano, nota dalle fonti per il periodo successivo (Plin. Nat.,14. 67). Ancora più a nord abbiamo notizie di una produ-zione di Dressel 1 nella zona di Tarquinia, Pian di Spille,Incitti 1986. Sui materiali di questi siti sono in corso anali-si di laboratorio, Olcese, Lattes.

20 Per la Campania la produzione di anfore greco itali-che tra IV e III secolo a.C. è documentata dalle officine diIschia/Golfo di Napoli, Olcese 2004; Olcese 2005-2006.

Fig. 2 – Siti di produzione di anfore (principalmente greco italiche recenti e Dressel 1)(realizzazione grafica della carta L. Ceccarelli).

esempio, sia solo la traccia sbiadita di unarealtà produttiva molto più articolata che oggifatichiamo a ricostruire, ma che ci restituiscecomunque una testimonianza importante del-la produzione di anfore in epoca repubblicananel Lazio, un possibile «modello» documenta-to anche in altre aree (in Etruria19 e in Campa-nia20, ad esempio).

Le analisi di laboratorio condotte da untrentennio sulle anfore, inoltre, confermanoun panorama produttivo estremamente artico-lato e frammentato in Italia centrale : le anforegreco italiche recenti e le Dressel 1 individuatein numerosi siti della Gallia provengono da unnumero molto elevato di officine (per le soleDressel 1 è stato calcolato potrebbero oltrepas-

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21 Thierrin Michael-Picon 1994, p. 144. Per il commer-cio del vino in Gallia, Olmer 2003.

22 Il programma di studio sulle greco italiche dell’agerportuensis è in corso di effettuazione nell’ambito di unprogetto sulle greco italiche prodotte in area tirrenica cen-tro-meridionale, mirato alla raccolta di dati tipologici, epi-grafici e archeometrici nei siti di produzione, consumo esui relitti. Olcese 2004; Olcese 2005-2006.

23 In corso di studio da parte di chi scrive. Le anforeprovengono dai siti Lunga Sosta, Piano particolareggiatoL23, P5 saggio B, P12, Saggio D, Nuova Fiera di Roma,

saggio 10, Casale Bernocchi A1.24 Vandermersch 1994.25 La ceramica a vernice nera è in corso di studio; noti-

zie preliminari sulle analisi di laboratorio sono state pre-sentate al convegno di Archaeometry 2008 a Siena, Olceseet alii, c.s.

26 Piano Particolareggiato L23 – Aree P5, P7, P8, P12,NFR 10, le cui ceramiche sono in corso di studio da partedi P. Manacorda, V. Forte, R. Giudice, A. Carbonara,coordinati da C. Morelli e da chi scrive.

27 Il sito, denominato P5, è stato scavato dall’équipe

Fig. 3 – Anfore greco italiche dall’Ager Portuensis (sito L23).

sare il centinaio21); una parte di queste offici-ne, di cui oggi non resta traccia, era situata inItalia centrale tirrenica.

Alcuni dati preliminari sulle anfore greco-italiche dell’ager portuensis22

Le anfore greco italiche dell’ager portuen-sis23 appartengono ai tipi V, VI e V/VI dellaclassificazione del Vandermersch24 e sono

state rinvenute in associazione con ceramichea vernice nera decorate a stampigli25, cerami-che etrusco-laziali e con tipi ricorrenti di cera-miche comuni da mensa e da cucina (olle tipo1 e tegami tipo 1 – fig. 8)26.

In un sito, in particolare, sono stati rinve-nuti numerosi colli di anfora del tipo V e V/VIdi Vandermersch (fig. 3), in associazione conceramica a vernice nera (in prevalenza coppeMorel 2783) e ceramica comune da cucina27.

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coordinata da C. Morelli con la collaborazione di V. Fortee P. Manacorda. Si veda il contributo di C. Morelli in que-sto volume.

28 Sugli impasti e sul problema delle aree di origine del-le greco italiche antiche alla luce della ricerca archeologi-ca e archeometrica, Olcese 2004; Olcese 2005-2006; Olce-se-Thierrin Michael, c.s. I risultati delle analisi di labora-torio sulle anfore dell’ager Portuensis sono stati presentatinel 2007 al convegno EMAC di Budapest.

29 Osservazioni analoghe riguardano gli impasti delleanfore greco italiche rinvenute in alcuni siti di epoca tardo

repubblicana nell’area dei monti della Tolfa : da una pri-mo esame delle argille solo il 26,44% dei contenitori italiciera riferibile alla produzione campana (Golfo di Napoli),mentre il restante 73,56% ha impasti non collegabili a cen-tri di produzione noti (Incitti 1990, p. 113).

30 Morel, 1965; 1969; 1981; 1997, per citare solo alcunidei principali contributi.

31 Ad esempio la ricerca che A. Ferrandes ha in corsosulle ceramiche a vernice nera di IV – III secolo a.C. a Ro-ma. Sulle ceramiche a vernice nera di Gabii si veda anchePérez Ballester 2003.

La destinazione del contesto è ancora incerta –si è pensato in un primo momento ad un fornoceramico – ma le caratteristiche strutturali so-no anomale e alimentano alcuni dubbi sullareale finalità dell’insediamento, datato in basealla vernice nera tra il secondo quarto del III ela metà del III secolo a.C.

Gli impasti delle anfore greco italiche del-la zona si distinguono, nella maggior partedei casi, da quelli che ho recentemente stu-diato nell’area di Ischia e del Golfo di Napo-li28 (impasti per altro presenti in area ostien-se, anche se in percentuali più basse e ancorada definire)29. Le prime sezioni sottili effet-tuate confermano che non si tratta di argilledel Golfo di Napoli; la presenza di compo-nenti detritiche e vulcaniche potrebbe farpensare anche ad alcune aree del Lazio, mala localizzazione della o delle aree di originedella materia prima, in mancanza di dati diriferimento sicuri resta, almeno per ora, vagae generica (fig. 4).

Si pone dunque un quesito nuovo, quellodell’area/aree di approvvigionamento di vino eanfore in questa zona non lontana da Roma.Verifiche sono in corso con le produzioni notedell’Etruria meridionale e del Lazio meridio-nale e con i dati di riferimento relativi alle an-fore greco italiche rinvenute a bordo dei relittidi età repubblicana.

Le ceramiche a vernice nera in epoca me-dio repubblicana : necessità di una svolta nel-l’approccio di studio?

Le conoscenze sulle ceramiche a vernicenera sono quelle sottoposte a una revisionecritica più marcata. Si tratta di un passaggio

obbligato e indispensabile alla luce dei dati deinuovi scavi e delle precisazioni cronologicheche ne derivano e, in qualche caso, anche gra-zie all’individuazione di siti produttori un tem-po sconosciuti.

Le ceramiche a vernice nera in area roma-no laziale costituiscono un «caso» a parte ri-spetto alle altre produzioni a vernice nera cheil Lamboglia definiva «marittime». I fonda-mentali lavori di Morel hanno contribuito afar luce su aspetti basilari della produzione inarea romana30.

Lo studio delle ceramiche a vernice neradi Ostia e dell’ager Portuensis è ancora incorso e il suo completamento potrà dare, in-sieme ad altri lavori nuovi31, un contributointeressante poiché alcuni siti hanno unacronologia definita, spesso nell’ambito del IIIsecolo a.C. Per ora mancano i riscontri diuna eventuale produzione locale e le cerami-che di origine campana sembrano essere po-co documentate. I dati sembrano allinearsi aquanto già evidenziato in altri contesti inarea urbana e periurbana di epoca medio re-pubblicana. I siti individuati – in gran partecoevi – restituiscono un panorama di presen-ze piuttosto omogeneo : ceramica decorata astampigli, ceramica sovradipinta, con impa-sti in qualche caso ricorrenti ma spesso di-stinguibili tra loro e talora molto simili aquelli della ceramica depurata, che ha talorale stesse forme delle ceramiche a vernice nera.

La ceramica a vernice nera è un indicatoreimportante dell’epoca repubblicana che puòaiutarci a ricostruire la storia economica e so-ciale ma i dati sulla tipologia, da soli, non so-

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32 Chi ha studiato ceramica a vernice nera sa quanto siadifficile la separazione di ceramiche in base a criteri ma-croscopici.

Fig. 4 – Alcuni siti di produzione delle ceramiche a vernice nera.

Roma* (Ceci-Schneider 1994; Morel-Picon 1994; Olce-se 1998)

Capena* (Camilli-Vitali Rosati 1995, p. 412; Camilli etalii 1994, p. 24; analisi Olcese 1997 e 1998)

Cerveteri* Caere (Mengarelli 1936, p. 71; G. Nardi inCaere 3.1; Santoro 1992; Olcese 1998)

Civita Castellana Falerii veteres (Pasqui 1903, p. 455-456; Moscati 1986; Analisi da Civita Castellana, Pe-ña 1987, p. 136)

Gabii (Pérez Ballester 2003)Gravisca (Valentini 1993)Leprignano (Cozza 1907, p. 732)Lucus Feroniae (Stanco 2004, 2005)Minturno (Kirsopp Lake 1934-35)Narce (Potter 1976, p. 80-82; Di Giuseppe 2003,

p. 163)

Palestrina* (Gatti-Onorati 1992; Olcese 1998)Prima Porta (Di Giuseppe 2003)Priverno (Ambrosini 2001)Segni* (Stanco 1988; Olcese 1998)Tivoli* (Leotta 1993 e 1995; Olcese 1997)Veio (Di Giuseppe 2003)

A questi siti possiamo aggiungere anche :

Pyrgi (Baglione 1989-90; Pyrgi 1959; Pyrgi 1970; Pyrgi1988-89)

Tarquinia* (Niro Giangiulio 1998; analisi Picon)Populonia (Romualdi 1992)Bolsena (Santrot et alii 1992)

no sempre sono sufficienti per una ricostru-zione storico-economica immediata. Mancanospesso certezze sull’origine delle produzioni equesto può compromettere in modo sostan-

ziale il loro utilizzo per una interpretazione inchiave economica. Nello studio delle cerami-che a vernice nera (soprattutto nella distinzio-ne e descrizione degli impasti)32 prevalgono

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33 Per le analisi chimiche sulle ceramiche a vernice neradell’Italia centro-meridionale, Morel-Picon 1994; per Ro-ma, Olcese 1998. Le ceramiche a vernice nera di Ostia edell’Ager Portuensis sono ora oggetto di programma di stu-dio anche in laboratorio, Olcese et alii, c.s.

34 La somiglianza delle argille nell’area considerata ren-de difficoltosa la separazione in laboratorio dei materialidi officine diverse.

35 Olcese 1998, p. 141-145; Olcese-Picon 1998.

36 Un gruppo di composizione per Roma (III/II secoloa.C.), ampio e ancora piuttosto generico, è stato individua-to sulla base delle analisi di laboratorio, Olcese 1998.

37 Tale definizione tiene conto delle caratteristichemorfologiche, delle decorazioni e degli impasti e non puòprescindere da un confronto allargato a più siti e aree. Lapubblicazione di foto di impasti, «vernici» e decorazionipuò dare un notevole aiuto in questo lavoro.

spesso le impressioni soggettive ed esistonomolte difficoltà a fissare dei punti che abbia-no un valore oggettivo e «universale». I mate-riali sono, nella migliore delle ipotesi, rag-gruppabili in macro-produzioni (etrusco-la-ziali, etrusche, «locali», sud-italiche), chespesso, però, rispecchiano ipotesi di lavoro,raramente oggetto di verifiche in laboratorio.Una interpretazione storico-economica deidati che parta da queste basi rischia quindi didare risultati poco attendibili.

Indagini archeometriche su ceramiche avernice nera di Roma e del Lazio condottenegli anni ’80 e ’90, non sempre recepite dal-la letteratura archeologica, fanno luce sullasituazione produttiva di IV-III secolo a.C. Documentano, ad esempio, che le ceramicheattribuite all’officina des petites estampilleshanno composizioni chimiche eterogenee cheriflettono una frammentazione della produ-zione33. Le ceramiche dell’atelier delle petitesestampilles, quindi, sembrano essere stateprodotte da più officine attive in una regionein cui le argille hanno forti somiglianze dicomposizione34; sembrano inoltre rappresen-tare un modo di fare e decorare la ceramica,più che la produzione di una sola grande of-ficina o di un gruppo di officine, che si è cer-cato di localizzare ora in un centro ora in unaltro (in modo particolare a Roma stessa)35.

Sempre le analisi di laboratorio hanno con-sentito di stabilire che nell’ambito delle stesseofficine si producevano diverse ceramiche :decorate a stampigli, Heraklesschalen, cerami-ca sovraddipinta, ceramica comune. I centriche hanno prodotto ceramiche dalle caratteri-stiche simili in una sorta di koiné artigianale,restano in gran parte ancora da localizzarecon certezza e poche sono le produzioni carat-terizzate anche in laboratorio. È possibile che,in questo contesto produttivo estremamente

vario, alcune officine – quelle di Roma stessaad esempio – abbiano avuto più peso di altreper la qualità dei materiali prodotti, per la po-sizione logistica o per il peso giocato dal cen-tro produttore36. La ricaduta che questi datihanno sulla storia economica sono importantie condizionano l’interpretazione dell’organiz-zazione produttiva e commerciale della primaceramica «romana».

Dal punto di vista della metodologia di lavo-ro, quindi, forse, non ha molto senso continuarea studiare la ceramica a vernice nera seguendoun approccio basato sulla classificazione solomorfo-tipologica, senza cercare di precisare aquali produzioni appartengano i tipi.

Una prima proposta, che non ha nulla dioriginale ma che vorrebbe colmare una lacunanegli studi, potrebbe essere la revisione delleceramiche a vernice nera a Roma e nel Laziocercando di definire e fissare, in modo unani-me, le caratteristiche tipologiche, di impasto edecorazione (verificate in laboratorio) delleproduzioni che via via vengono individuate,mettendole in relazione con quelle già note37.È all’interno di produzioni così definite che ilriconoscimento e la classificazione tipologicaacquistano maggior significato.

Un’altra proposta è quella di riprendere,con un approccio diverso, lo studio di tuttequelle ceramiche che, estrapolate dalle pro-duzioni di appartenenza per caratteristichedecorative peculiari che hanno attirato preco-cemente l’attenzione degli studiosi, quali le-Heraklesshalen o le ceramiche sovraddipinte,ad esempio, e dare loro una collocazione nelquadro produttivo generale. La fabbricazionedi questi materiali avveniva infatti con tuttaprobabilità nelle stesse officine che produce-vano le altre ceramiche a vernice nera e pro-babilmente anche parte delle ceramiche co-muni.

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38 Si tratta di un primo aggiornamento della carta e de-gli elenchi inseriti in Olcese 1997 e 1998; realizzazione gra-fica di L. Ceccarelli.

39 Il punto interrogativo segnala nell’elenco una situa-zione da verificare con controlli diretti sui materiali o conanalisi di laboratorio. In alcuni casi l’attribuzione è statafatta in passato, magari in base alle ingenti quantità delmateriale rinvenuto o per la qualità scadente delle argille/vernici, criteri che da soli non sono sufficienti a documen-tare con certezza una produzione locale. La presenza dimateriali di scarto, inoltre, non sempre è indicatore certodi una produzione locale.

40 Olcese 1998, p. 152. Per alcuni di tali siti la campagnadi analisi archeometriche riguarda anche altre ceramiche,come le comuni, la ceramica pesante e le anfore, consen-tendo di avere un panorama più completo dell’attività pro-duttiva di un sito.

41 Olcese-Picon 1998, p. 33.42 Queste produzioni, meritano approfondimenti e veri-

fiche anche di laboratorio. Le classificazioni su base ma-croscopica, proprio nel caso delle ceramiche a vernice ne-ra, inducono facilmente in errori di classificazione e attri-buzione.

43 Per la ceramica a vernice nera «campana», Maggettiet alii 1981. Per le vernici nere attiche, si vedano a titolo diesempio, Bimson 1956 e Winter 1978. Nonostante questistudi siano stati risolutivi, l’argomento viene spesso ripro-posto, in maniera più o meno fedele, nell’ambito di conve-gni o pubblicazioni di archeometria/archeologia.

44 La bibliografia in questo campo è veramente ampia,citerò solo gli articoli più recenti che riassumono quelliprecedenti (Picon 2002; 2004). Le ceramiche a vernice ne-ra sono cotte nel modo definito A, a contatto diretto con lafiamma e con un’atmosfera di cottura riducente quando latemperatura è al massimo; tale atmosfera diviene ossidan-te nel momento del raffreddamento e l’aria circola libera-mente nel forno.

Un’ultima proposta è quella di condurre laricerca sulle produzioni delle ceramiche avernice nera anche in rapporto alle altre clas-si ceramiche, come le ceramiche comuni e leanfore. Una ricerca che esca dalla schematiz-zazione in «classi» creata dagli archeologi eche affronti l’artigianato ceramico di un pe-riodo nel suo complesso ha molte più poten-zialità in termini di acquisizione di informa-zioni nuove.

I centri che hanno prodotto ceramica a ver-nice nera in area romano-laziale

Di seguito vengono elencate le località inarea romano-laziale dove è accertata o possibi-le una produzione di ceramica a vernice nera38

(fig. 4). L’elenco non è certamente completo ein alcuni siti l’individuazione di possibili pro-duzioni locali non è definitivamente assodata39.Inoltre, non sempre è possibile circoscriverecon precisione la cronologia delle produzioninei singoli siti.

Alcune delle ceramiche a vernice nera deisiti indicati nella figura sono state oggetto dianalisi di laboratorio (chimiche e mineralogi-che) (Roma, Capena, Cerveteri, Palestrina,Segni, Tivoli) (fig. 5) e, in qualche caso, sonogià state pubblicate le medie delle composi-zioni40, utili per un eventuale confronto(fig. 6).

La prima tornata di analisi ha rivelato che

l’utilizzo di criteri congiunti di studio può con-tribuire alla separazione delle officine, nono-stante la difficoltà causata dalle forti somi-glianze regionali di composizione delle argil-le41.

Infine, esiste la necessità di ampliare le ri-cerche sulle produzioni «romane» (D e E) diIV e III secolo a.C. e anche su quelle più recen-ti di II e I secolo a.C. (eventuale produzione ro-mana di campana B)42.

La tecnologia delle ceramiche a vernice nera

I dati tecnologici della ceramica a vernicenera sono importanti e possono essere utiliz-zati come ulteriore criterio di distinzione e de-finizione delle diverse produzioni, oltre cheper conoscere il livello tecnologico di una so-cietà e per spiegare la fortuna che certe cera-miche hanno avuto nell’antichità.

La tecnologia di fabbricazione della cera-mica a vernice nera è stata studiata brillan-temente nell’ambito di alcune ricerche ar-cheometriche di ottimo livello degli anni ’80(agli anni 40/50 risalgono i lavori che illu-strano la tecnica di cottura della vernice ne-ra attica)43.

Se è vero che il successo delle ceramiche avernice nera (e poi della sigillata) è legato anchealla loro resistenza e impermeabilità, caratteri-stiche tecnologiche che derivano da una cotturaintorno ai 950o per quelle a vernice nera44,

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45 Nelle pubblicazioni archeologiche (e talora anche ar-cheometriche) si sostiene il contrario. Su queste idee privedi fondamento scientifico si costruiscono poi interpreta-zioni ulteriori, ad esempio che la sua fabbricazione fosseaffidata ad artigiani specializzati proprio per la presuntadifficoltà di fabbricazione che le ceramiche a vernice nera

presenterebbero.46 Picon 2002, in cui sono riassunti tutti gli studi prece-

denti relativi ai temi tecnologici delle ceramiche fini ro-mane.

47 Olcese 2003a, con bibliografia precedente.

A BE

C D

F

Fig. 5 – Ceramiche a vernice nera sottoposte ad analisi chimica(a = Roma, Tempio della Concordia; b, c = Roma, Tevere; d = Segni; e, f = Preneste).

è altrettanto vero che quest’ultima è una cera-mica che si può fabbricare facilmente dal pun-to di vista tecnologico45. Ed è proprio la relati-va facilità di fabbricazione, unita a fattoritecnici e di moda, che giustifica la sua produ-zione quasi ovunque in ambito mediterraneo,a differenza di quanto avverrà per la terra si-gillata le cui modalità di fabbricazione – e dicottura in modo particolare – sono più com-plesse e più costose in termini di utilizzo dicombustibile46.

Le ceramiche comuni

Per le informazioni relative alle ceramichecomuni (da mensa e cucina) in area romanarimando a lavori recenti47, che raccolgono labibliografia precedente; in questa sede mi li-miterò a fare qualche cenno sulla situazionedell’ager portuensis, dove le prime indaginiconfermano una certa ripetitività di forme/tipiceramici, come già era emerso dallo studioeseguito sulle comuni dell’area di Roma.

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Fig. 6 – Ceramiche a vernice nera da Roma e da alcuni siti nel Lazio : medie e deviazioni standard (da Olcese 1998).

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48 Per questi tipi sono documentati anche usi diversi daquello domestico.

49 Come è emerso dallo studio dei reperti in alcuni con-testi dell’Ager Portuensis.

50 Per i tegami, Olcese 2003a, p. 85.51 Per la bibliografia e per notizie riassuntive sul tipo,

Olcese 2003a, p. 88.52 Picon in Olcese 2003a, p. 52.53 Per la bibliografia e una scheda sul tipo, Olcese

2003a, p. 100.54 Olcese 2003a, p. 100-101.

Fig. 7 – Ceramiche da cucina : olle repubblicaneda Casale Bernocchi.

Fig. 8 – Ceramiche da cucina e per la preparazionedi età repubblicana (da Olcese 2003)

Nell’ambito della ceramica da cucina, tra lafine del IV e la prima metà del III secolo a.C.,dominano le olle a orlo svasato e ingrossato(fig. 7 e 8.1), che si pensa precorrano le olle amandorla di età tardo repubblicana48. In real-tà, in alcuni contesti, i due tipi coesistono49.

Tra i tipi più diffusi ci sono anche i tegamiad orlo incavato50 (fig. 8.2), noti in molti conte-sti romani e, più in generale, in Italia centro-meridionale tra IV e II secolo a.C.; inoltre di-versi coperchi e alcuni tipi di clibanus per lacottura sub testu51.

Siamo di fronte ad una sorta di «servizioda cucina» che si ripete con una certa monoto-nia, sia morfologica e, in alcuni casi, anche diimpasto.

Dallo studio precedentemente effettuatoera emerso che alcune zone del Lazio (in parti-colare della valle del Tevere) sono favorite permotivazioni geologiche per la presenza di ar-gille adatte per la realizzazione di ceramicheda fuoco52 di qualità, anche se ceramiche dacucina mediocre erano prodotte ovunque.

Le ceramiche da mensa e per la preparazio-

ne sono documentate dai bacini a doppio orlo,noti anche con la definizione di «bacini ad impasto chiaro impasto augitico», di dimen-sioni diverse oppure di bacini con impasti deltipo di quelli «chiari e sabbiosi» documentatinei secoli precedenti l’epoca repubblicana53

(fig. 8.3). La loro presenza, se pur in percen-tuali non molto alte, è ricorrente nell’ager por-tuensis in contesti della prima metà del III, inassociazione con le ceramiche a vernice neradecorate a stampigli e con anfore greco-italiche tipi Vandermersch 5, 5/6, 6.

Nei bacini rinvenuti a Gabii e nell’area diVeio, appartenenti a questi tipi, si era riscon-trata la presenza di leucite e la zona di possibi-le origine della materia prima dovrebbe esserelocalizzabile. Sempre per la definizione del-l’area di origine di questi recipienti piuttostodiffusi, va sottolineata la somiglianza del loroimpasto con quello di alcune anfore di tipoPy 454.

Anche alcuni recipienti in ceramica comu-ne, quindi, sono potenziali indicatori cronolo-gici e di aree produttive e su di essi vale la pe-na indagare ulteriormente.

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55 La raccolta di informazioni sulla produzione cerami-ca continua attualmente grazie a un nuovo progetto incorso che permette di collocare i dati dell’area romana inun lavoro più ampio sulla produzione ceramica in area tir-

renica centro-meridionale (Progetto Firb 2005 – 2008 «Ri-costruire i commerci nel Mediterraneo occidentale in epo-ca ellenistica e romana attraverso nuovi approcci scientifi-ci e tecnologici»).

Un data base delle ceramiche prodotte in Italiacentro-meridionale

I dati di queste prime ricerche costituisco-no, insieme ad altri della bibliografia, la basedi una banca dati archeologici/archeometricidelle ceramiche prodotte e/o che circolavanonell’area di Roma in epoca repubblicana e im-periale, data base che, a lavoro ultimato, verràmesso in rete55 (www.immensaaequora.org).

L’interesse della zona indagata e l’abbon-

danza di materiale ceramico facilita anche lacostituzione di un «laboratorio» per lo studiodella ceramica di produzione locale/regiona-le». Nuove ricerche archeometriche in corsosulla produzione ceramica di epoca romana inarea tirrenica centro-meridionale, in strettocollegamento con le problematiche archeolo-giche e lo studio dei contesti, costituisconoun’occasione preziosa non solo per un incre-mento dei dati, ma anche per una loro nuovalettura e interpretazione.

Gloria OLCESE