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1 IL VIAGGIO DEI SOGNI

IL VIAGGIO DEI SOGNI€¦ · Sono pronta e contenta perché riesco a mettere in valigia tanta “roba” per loro e questo mi dà un sacco di soddisfazione. Nel periodo natalizio

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IL VIAGGIO DEI SOGNI

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DAY 1 – 4/01/2019 Dopo diversi giorni trascorsi in ansia per la preparazione delle valigie, (ovviamente non per il mio guardaroba necessario lì visto che ho messo assieme pochi “stracci”), ma per il tentativo di farci stare più cose possibili per le persone di Shalom Home, l’orfanotrofio situato nel Meru, Kenya, dove andrò in missione per le prossime tre settimane. Sono pronta e contenta perché riesco a mettere in valigia tanta “roba” per loro e questo mi dà un sacco di soddisfazione. Nel periodo natalizio ho lavorato ai mercatini di Natale del mio paese, ma la mia mente era già in Kenya per realizzare il sogno che coltivavo da tempo: fare volontariato. Il giorno prima della partenza la frenesia non è stata poca, una serie di avvenimenti “accidentali” ha costellato i momenti pre-viaggio. Io che ho bloccato la combinazione della chiusura del bagaglio a mano impiegando qualche ora per sbloccarla seguendo tutorial con mia sorella su you-tube, Martin (in realtà si chiama Christian) il mio migliore amico, nonché compagno di viaggio, che è rientrato da Praga con 6 ore di ritardo a causa del maltempo, perdendo penso 10 anni di vita visto che il rientro e la partenza avvenivano nella stessa mezza giornata!!! Lui doveva atterrare all’Orio al Serio di Bergamo quindi eravamo d’accordo di trovarci alla Malpensa verso le tre del mattino, visto che avevamo il volo alle 7 circa. Sto per partire con miei genitori da Ossana quando leggo il messaggio di Martin: -Poi noi allora ci troviamo a Linate ok?... Mi prende il panico perché immagino la scena in cui io sono a Malpensa ad aspettarlo e lui mi aspetta a Linate. Gli mando un audio annesso d’intercalari e qualche parolina “simpatica” dove gli chiedo: -Ci sei o ci fai?, perché nel programma di viaggio definitivo, Linate non era mai stato nominato!!! Fortunatamente questo errore è uscito con largo anticipo, il che ci ha permesso di arrivare entrambi nell’aeroporto giusto in tempo. Siamo a Malpensa quindi…ci facciamo una risata liberatoria pensando alle volte che abbiamo rischiato di perdere il volo, ma poi ci tranquillizziamo perché in realtà arriviamo anche quasi in anticipo per il check-in dei bagagli. E’ la notte del 4 gennaio, ci troviamo qui con mille valigie pesantissime di oggetti e vestiario, ma soprattutto stracolme del nostro sogno: quello di andare a fare volontariato e vedere come sta procedendo il progetto “Il sogno di Davide”, della stalla realizzata in ricordo del nostro caro amico scomparso nell’ottobre scorso. Siamo emozionati, ma distrutti dalla notte trascorsa in aeroporto, fortunatamente riusciamo a indirizzare le valigie da stiva nel giusto posto e a salire sull’aereo. Viaggiamo con Kenya-airways, abbiamo un’ora e mezzo circa di volo per il primo scalo a Parigi e poi una “tirata” di circa 9 ore e mezzo per Nairobi. Non avremmo mai immaginato fosse così confortevole, ma probabilmente lo sono tutti i voli intercontinentali. Nonostante siamo abbastanza impacciati, non essendo viaggiatori abitudinari, riusciamo ad arrivare sull’aereo che ci porterà a Nairobi; fortunatamente abbiamo un solo scalo da fare e le valigie vengono indirizzate in automatico alla destinazione finale. Sull’aereo per Parigi ho fatto la mia prima figuraccia: sto dormendo profondamente collassata dalla notte in piedi, la hostess gentilmente chiede se vogliamo un croissant per colazione, ma io col sonno di piombo mi sveglio di soprassalto e le porgo velocemente passaporto e carta d’imbarco. Le strappo un sorriso che, imbarazzata per me cerca di trattenere, cosa che invece non fa Martin che scoppia a ridere sfottendomi apertamente!!! A Parigi siamo arrivati in un’ora e mezza, da lì partiamo alle 10.50 e arriviamo a Nairobi verso le nove, dove ad aspettarci ci sarà padre Francis. L’ho conosciuto in Val di Non all’incontro di preparazione per il progetto dei giovani finanziato dalla provincia. Dialogando con mia madre ha scoperto la mia passione per la musica e il desiderio che potessi insegnarla ai bambini dell’orfanotrofio. Mia madre, che è insegnante di musica mi suggerisce di portare il flauto dolce che è uno strumento piccolo e maneggevole. Con l’aiuto di amici e conoscenti sono riuscita a procurarmi una trentina di strumenti. Ho scaricato un po’ di melodie semplici e orecchiabili, preparato uno schedario di fotocopie e canzoncine, qualche spartito con accordi di

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chitarra e riempito la valigia con questo piccolo sogno: insegnare ai ragazzi africani a suonare e a fare musica “all’italiana”. Il viaggio è lungo, le poltrone sono molto più comode del primo volo, abbiamo uno schermo e delle cuffiette ciascuno e ci servono i pasti direttamente al posto. Guardo un film in inglese “Le avventure di un panda”, ma purtroppo mi addormento e non seguo la fine. Al risveglio controllo la nostra posizione di viaggio: siamo a più di 11 mila metri da terra, a -46°C e ci aspettano più di 6400 km di viaggio. Essendo un volo intercontinentale ci sono le diverse unità di misura, ad esempio siamo a 39000 piedi da terra; ridendo mi scappa la battuta: -Sono tantissimi 39000 piedi! E Martin ribatte: -Pensa che odor!, scoppiamo a ridere

anche per distrarci un po’, siamo più o meno sopra Napoli, l’aereo balla, e non poco!!! Che Dio ci aiuti!?! Finalmente alle 21 arriviamo a Nairobi. Siamo cotti come peri, ma felici di essere arrivati. Sfiniti ci portiamo all’interno dell’aeroporto dove speriamo ci sia il Wi-Fi per chiamare padre Francis. Subito ci fanno compilare il visto da immigrati. Mi fa un effetto strano sentirmi chiamare così, eppure è giusto, noi siamo i diversi! Paghiamo il visto e andiamo a ritirare le valigie. Andiamo verso l’uscita e Francis mi chiama dicendo che ci sta raggiungendo al Terminal 1 A. Martin dice: -Tu che lo conosci, guarda se lo vedi! (Sarà un’impresa visto che sono tutti scuri, con capelli neri cortissimi, tutti uguali). La nostra attesa è breve: infatti un uomo di colore ci corre incontro a braccia aperte. Questo gesto mi fa sentire a casa e la tensione del lungo viaggio svanisce in un attimo. Ci presenta l’autista Francis (che fantasia!!!), che in realtà si chiama Francisco e un altro signore, Larry, professore a Shalom. Ci spiega che dopo mezz’ora di macchina vista l’ora tarda ci saremmo fermati a mangiare un boccone e a dormire un po’ perché la mattina seguente avrebbe avuto delle commissioni da fare a Nairobi e perché il viaggio per Shalom sarebbe stato lunghetto. Padre Francis è un uomo in gamba, molto simpatico e solare, continua a ridere: è stra felice! Andiamo verso la periferia di Nairobi, dove le strade sono asfaltate, piene di luci e musica. Francis dice: -E’ come Trento no qui?; sorrido pensando che ci troviamo in mezzo all’Africa, un continente enorme e lui paragona questa città alla nostra. Ci fermiamo in un locale indiano per la cena. Chiediamo a Francis dove possiamo cambiare gli euro in scellini per pagare la cena e la camera dove saremo rimasti a dormire; lui ridendo dice: -Qua non ve li cambiano i soldi, gli euro non valgono, quindi sono io il ricco e voi i poveri, almeno potete provare cosa vuol dire, capito come? E’ un po’ una sagoma! Anche prima rideva di me: stavamo aspettando la cena quando il cameriere porta un piatto con dei “rotolini bianchi” fumanti, vedo che sono dei “panni” ma non ne capisco l’utilizzo. Lo prendo in mano e lo apro piano piano pensando contenga qualcosa, Francis vede la mia faccia interrogativa e scoppia a ridere dicendo: -Ma non hai mai visto un asciugamano per pulirsi le mani prima di mangiare? Da noi si usa molto al posto di andare in bagno a lavarsele prima e dopo i pasti! Resto un po’ sorpresa, nonostante venga da un mondo in cui abbiamo tutto, questa cosa mi mancava! Questo posto sembra un po’ una catapecchia, cose che da noi c’erano penso 60 anni fa, ma va benissimo, abbiamo una camera ciascuno. Padre Francis ci ha detto di prendere dalla macchina solo il bagaglio a mano, quindi ero senza asciugamani, shampoo e quant’altro che erano rimasti nella valigia da stiva. Entro in questa stanza con serratura a chiavistello che non mi da un grande senso di sicurezza, ma vabbè cerco di non pensarci e noto che in bagno ci sono una saponetta e un asciugamano. Che bello posso finalmente rinfrescarmi! Guardo se l’acqua del lavandino funziona, mi resta in mano la manopola; provo con la doccia, l’acqua è marroncina e fredda, ma è comunque rinfrescante. Dopo la doccia, sfinita dal lungo viaggio crollo e mi addormento. DAY 2 – 5/01/2019 Ci svegliamo alle otto, mi sento riposata dopo il lungo viaggio. Ci sediamo per colazione: ci portano una specie di frittata, toast marmellata e burro con una tazza di caffè. C’è la bustina di quello solubile, leggo: Nestlè. Padre Francis ci dice che qui è tutto in mano alle multinazionali, ricordo che ieri a cena sulla bottiglietta c’era il logo della CocaCola. Il caffè è molto lungo, slavato direi, ma va bene, volevo almeno una dose di caffeina seppur minima, per iniziare questa super giornata.

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Partiamo con l’auto, guida il padre, inizialmente dovevamo fermarci in banca per pagare i libri comprati per la classe quarta della High School perché ne era sprovvista, ma alla fine è riuscito a fare il pagamento tramite chiamata. Ci avviamo quindi verso Meru, precisamente Mitunguu, verso l’orfanotrofio Shalom Home dove andremo a stare. Il viaggio è lungo, 5 ore quasi, ma devo dire che mi passano in fretta perché non stacco gli occhi neanche un secondo dal panorama che mi si presenta fuori dal finestrino. Osservo la diversità di questo posto: è lontano “anni luce” dal mio mondo. La gente stende i panni su fili appesi alle piante, il bestiame è libero per il paese o al pascolo a bordo strada, alcuni animali trainano

carretti pieni di frutta o verdura, altri persone. Sono infinite le piantagioni di ananas, riso, mais e banane. Ogni tanto ci sono mercati della frutta, alcune persone sperano di guadagnare qualche soldo vendendo per strada. Qualcuno passeggia senza scarpe, alcune donne portano un tino di acqua sopra la testa, altre tirano alla corda una capra con un neonato legato tramite bandana di stoffa dietro alla schiena. Ad ogni chilometro di autostrada c’è un dosso, sono altissimi quindi bisogna rallentare parecchio, ma poi capisco il perché: c’è l’attraversamento pedonale! Non mi rendo conto a che altitudine ci troviamo, non ci sono curve, procediamo sempre andando avanti, è tutto dritto e in lontananza, a volte, spicca qualche collina. Chiedo informazioni al padre, che mi dice che siamo a 2000 m.s.l.m.. Non me ne capacito sto morendo di caldo. Mentre siamo in viaggio a un certo punto inizia a piovere, tutto si colora di un rosso più scuro. Attraversando la città non capisco come questa possa essere la “parte benestante”. Ci sono alcuni negozietti, che sembrano dei container rettangolari con muri in cemento, ogni tanto si vede una casa “normale” come le nostre (saranno quelle dei ricchi), mentre tante sono le zone spoglie con baracche in lamiera, stracolme di persone. Capisco che questa è la parte povera, ma più popolata della zona sviluppata, tutto ciò mi da un senso di dispiacere che mi rabbuia il volto per qualche secondo. Proseguiamo verso Shalom, ci fermiamo in un posto a mangiare un piatto di fagioli, poi capisco che stiamo per arrivare quando la qualità delle strade peggiora sempre più. Sono sterrate, piene di buche, sembra molto avventuroso come viaggio, poi però penso a come sarebbe scomodo percorrerle ogni giorno. Francis rallenta per imboccare la stradina alla nostra sinistra; indicando verso destra però dice: -Leggete il cartello… ad alta voce esclamo: -VIA TRENTINO! Sorrido quando Francis esclama: -Ditelo al mio amico Maurizio Fugatti che una via del Kenya ha lo stesso nome della vostra regione! Ribatto con tono acido: -E a Salvini che siamo venuti ad aiutarvi, “a casa vostra”!. Ci facciamo una risata tutti e tre. Percorriamo circa 300 metri di stradina poi vedo un grande cancello azzurro con scritto “Diocese of Meru - Val di Sole Technical College”, siamo arrivati!!! Capisco che questa è la parte costruita dall’associazione Val di Sole Solidale, quindi proseguiamo avanti per ancora qualche metro e al cancello con scritto “Diocese of Meru – Benvenuti Melamango - Primary School” entriamo nel piazzale. Sono veramente emozionata e il mio cuore si riempie ancora di più di gioia quando una ressa di bambini corre attorno alla nostra macchina e la circonda. Tento di scendere dalla macchina aprendo la portiera ma ho già 4/5 bambini che mi

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stringono la vita, altrettanti che mi si attaccano alle braccia e alle mani. Padre Francis li ha abituati bene, devono presentarsi con la mano. Tutti mi chiedono: -What’s your name? (Come ti chiami?) rispondo e tento di chiedere il loro, ma i loro nomi sono troppi per ricordarmeli tutti. Per togliermi i piccini di dosso il padre inventa una scusa, quindi tornano alle loro cose e ci lasciano scaricare la macchina. Un bimbo con un sorriso gigante però mi fissa e mi sorride stringendomi forte, gli accarezzo la nuca e dico: -Ci vediamo dopo in inglese, ma non so se ha capito. Ci sistemiamo nelle nostre stanze, abbiamo due camere diverse, per loro cultura maschi e femmine non possono dormire assieme se non sposati, ma visto che noi siamo soltanto compagni di viaggio ci va più che bene. Ho due letti in camera, entrambi forniti di zanzariera appesa al soffitto, un piccolo tavolino e un bagnetto laterale: c’è il water, noto che non ha la tavoletta né “l’asse” dove sedersi, c’è un piccolo lavandino all’angolo con sotto uno scarico e una doccia al centro del bagno. Non c’è il box e capisco che ogni volta che mi laverò allagherò il bagno, pazienza. Fa parte dell’avventura! Sono molto felice di dovermi adattare ad arrangiarmi col minimo indispensabile. A casa abbiamo talmente tante cose superflue, che probabilmente questo mi aiuterà ad apprezzare ancora di più le mie cose una volta rientrata. Dopo esserci sistemati padre Francis vuole presentarci alla comunità di Shalom in modo “formale”; andiamo nelle diverse classi dove i bimbi e i ragazzi hanno appena iniziato la scuola e stanno facendo orientamento, sono nel prato con le sedie di plastica sistemate a cerchio. Qui l’anno scolastico inizia ai primi di gennaio, come l’anno solare. Ci presenta ai ragazzi e poi ci mostra l’orfanotrofio: è enorme ci vivono più di 600 persone. Ci impressiona la sala dove mangiano i ragazzi, è grandissima con tavoli e panche in legno e la cucina dove tre signori preparano da mangiare in pentoloni enormi in stile “caldera da malga”. Sono tante le bocche da sfamare, riso bollito e fagioli è il pasto quotidiano dei ragazzi. Mentre ci spiega un po’ l’organizzazione della comunità, noto una giovane signora seduta sul muretto appena fuori dalla cucina; ha una bimba piccolissima in una fascia attorno al torace, un’altra di circa 4 anni con un vestitino verde e una più grandicella che avrà 7 anni. Capisco che son tutte femminucce perché hanno le gonne, hanno i capelli rasati e sono veramente carine. Il padre si rivolge

loro in lingua swaili, intervallando di tanto in tanto qualche parola in inglese. Dal tono di voce sembra una chiacchierata normale, ma gli occhi della giovane madre e di una figlia non mi sembrano tranquilli. Poco dopo capiamo il perché. Francis ci spiega, con una tranquillità disarmante, probabilmente perché sente e vede queste storie ogni giorno, che la madre è venuta a chiedere se le figlie possono studiare qui. Purtroppo solo la maggiore potrà essere accolta in orfanotrofio perché la mamma e le piccine sono infette dall’HIV. La cosa che mi sconcerta e mi commuove è che sanno di dover attendere inermi la morte, non avendo denaro per pagarsi le cure, che comunque non sempre sono efficaci. Non dimenticherò mai la disperazione negli occhi della madre e della figlia maggiore, pronta a vivere in orfanotrofio, la sua vita lontana dai famigliari e dalla strada, con la consapevolezza che non avrebbe più rivisto i suoi cari. Quel che più mi ha impressionato sono stati gli occhi della bimba col vestitino verde: aveva una faccina arrabbiatissima e delusa guardando padre Francis, perché pensava non la volesse. Sfortunatamente non può accogliere gente malata, perché non ha la possibilità di curarla, ma anche per paura del contagio. Continua a fissare me e Martin con gli occhi supplichevoli che sembrano gridare: -Salvatemi voi. Siamo bianchi, i bianchi per loro dovrebbero essere tutti ricchi e potere tutto. Io non riesco nemmeno a farle un sorriso di consolazione per alienare il suo dolore: siamo impotenti, non c’è soluzione! Francis manda una loro foto a

Giuliana, la presidente di MelaMango l’associazione che gestisce l’orfanotrofio, chiedendole il da farsi. Il problema rimane: io posso solo recitare una preghiera per loro. E’ disumano, non so quanto ci vorrà a superare questa cosa, vedo molto provato anche Martin, sarà difficile dimenticare quegli sguardi. Ora vado a letto con un mix di emozioni fortissime: da un lato la tristezza e la desolazione per l’impotenza di fronte alla devastazione della malattia e della povertà, dall’altro la felicità e la commozione per la gratitudine che si legge negli occhi di questi stupendi ragazzi. Come primo giorno di Shalom Home niente male!!!

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Ps: un secondo sorriso mi spunta pensando alle formiche che stamattina camminavano tranquille sul mio toast! W I VACCINI!!! DAY 3 – 6/01/2019 E’ la domenica dell’Epifania. La comunità è molto religiosa: vanno a messa ogni giorno ed essendo anche noi più o meno cattolici frequentati ci andiamo volentieri. Ore 7.00: siamo già tutti nel capannone, dove celebrano le messe per la comunità di Shalom, bambini piccoli compresi anche se un po’ assonnati (come li capisco!). Mentre aspettano che arrivi Padre Francis cantano e ballano, la loro musica è molto allegra, non sembrano neanche motivi religiosi, sono raggianti, tutti sprizzano energia e vita da ogni poro. Un ragazzo dirige il coro, mi sembra molto giovane, poi scopro che è il prof. di musica e che ha la mia età, mentre un altro insegnante suona la tastiera. Fanno parte del coro sia i ragazzi più grandi sia i bambini, ma comunque anche gli altri partecipanti alla messa stanno cantando e si muovono a ritmo. Si capisce che credono nelle parole che stanno cantando, che hanno un rapporto molto forte con Dio, con la religione ed io provo un sacco d’invidia. Probabilmente quando non hai niente a qualcosa ti devi aggrappare, mentre quando hai tutto è difficile credere che ci sia qualcuno che vada oltre la potenza del “dio soldo”, purtroppo. Tra balli, canti, prediche e preghiere la messa dura due ore, ma ci siamo divertiti un sacco. Io e Martin siamo seduti quasi davanti a tutti, due bambini ci hanno trascinato con dolcezza e chiesto se ci mettevamo vicino a loro. Una bambina seduta davanti a me, di nome Marianne, mi ha tenuto la mano per tutta la messa, mi fa una tenerezza incredibile. Ha degli occhioni stupendi, un sorriso “a finestrelle” perché i dentini sono caduti e un vestitino viola e azzurro che veste con molta fierezza; capisco sia quello delle feste. Una cosa stupefacente è stata vedere al momento delle offerte che alcuni tra i ragazzi più grandi si siano alzati per mettere una moneta nella cassetta, mi chiedo dove l’abbiano presa, forse sono delle mance che han guadagnato aiutando nei campi, poco importa, le stanno condividendo con la comunità. Ho dei soldi in tasca e li do ad un bimbo per metterli nella cassettina. Mi guarda con gli occhi pieni di stupore e mi dice: -Proprio io?... è felicissimo di fare questo gesto, probabilmente è la prima volta per lui, con fierezza mette la banconota di 5€ nella cassetta e torna a sedersi. Un attimo dopo un altro mi batte sulla spalla con la mano aperta, come per dire: -A me non ne dai?, ma non avevo altri spiccioli e purtroppo non ho potuto accontentarlo. Dopo questa messa Francis deve andare a celebrare anche nella sua parrocchia (una delle tante!). Andiamo con lui, altre due ore di messa e alla fine ci presenta a tutta la parrocchia, poi ci invita a cantare una canzone: imbarazzati intoniamo “Te al centro del mio cuore!”. Niente a confronto alle canzoni cantate dal coro della chiesa. Siamo emozionatissimi. Dopo messa e dopo aver mangiato fagioli, riso, carne (mi chiedo che animale sia, è tutto nervi e ossa!) e una porzione di frutta andiamo con lui a trovare un signore malato di cancro. Non mi sorprende più di tanto il fatto che sia malato, sono cose che capitano anche da noi, arriviamo in questo posto dove le case assomigliano più a delle baracche, c’è il fuoco acceso appena fuori la porta, dei sassi disposti a cerchio e un grande padellone di rame sopra, attorno ci sono sedute su una panchina in legno delle signore che sgranano pannocchie e puliscono fagioli. Mi sembra una cosa da paleolitico, anche perché nella casa di fianco, all’interno, hanno il frigo, ma non hanno il gas e cuociono gli alimenti (fagioli, riso e mais) all’esterno dell’abitazione sopra un bracere. Torniamo a Shalom Home e il padre deve andare a fare delle commissioni. Ci lascia con EvaStella una ragazza gentilissima che lavora qui con i bambini da due anni e Machalia, il bambino che ieri aveva quel sorriso gigantesco indimenticabile. EvaStella ci porta a fare un giro nella zona intorno all’orfanotrofio, ci sono parecchi alcolizzati e drogati per strada, ma vedendoci con lei non succede nulla di pericoloso. Andiamo a vedere le realtà familiari fuori da Shalom e come vivono le persone qua attorno. Ci porta in un posto nascosto da bananeti, è una baracca fatiscente, sembra cada da un momento all’altro, non ha vetri né la porta, il tetto in lamiera e fuori ci sono dei fili attaccati agli alberi con dei vestiti stesi. Ci vive qualcuno qui penso! Arrivati lì Machalia urla qualcosa in swaili e corre verso altri due bambini che escono dalla baracca, sono più piccoli di lui. Si abbracciano! Chiediamo a EvaStella se si conoscono e ci spiega che le sorelle maggiori e questi due bambini vengono a scuola a Shalom perché il loro padre lavora come manutentore lì. Mi chiedo come una persona che lavora possa vivere in un posto del genere, ma effettivamente i bimbi son tanti. Ci viene incontro il bimbo più piccolo e lo segue la madre con un neonato in fasce tra le braccia. Stavo facendo qualche foto agli appezzamenti ma vedendo quella bambina ho spento tutto e messo via il cellulare. Questa neonata è pelle ed ossa, ha due mesi ed è magrissima. E’ raccapricciante. Da noi verrebbe curata all’ospedale. In questa baracca vivono i genitori con 5. All’interno non ci sono stanze, non c’è il pavimento, si sta sulla terra battuta. C’è un

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fuoco acceso per terra, il fumo fa lacrimare gli occhi e non si riesce a respirare, dietro una tenda che funge da separazione tra una “stanza” e l’altra c’è una sorta di grande letto, non so di che cosa sia

fatto forse di foglie. Capisco che essendo l’unico dormiranno lì tutti insieme e dietro un’altra tela due grandi bacinelle dove fanno i bisogni. Sono sconvolta, perché questi genitori han tutti questi figli se non hanno modo di mantenere nemmeno se stessi? Eppure qui è così in tantissime zone, EvaStella ci racconta che le donne vengono violentate già da giovani, la spiegazione al fatto che ci sono così tanti bambini che vengono fatti marcire in mezzo alla sporcizia e alle zanzare. Eva ci mostra le mani del bimbo più grande, ci dice che sono guarite da poco, un parassita che viene dalla terra gli era entrato attraverso le fessure di mani e piedi e gli aveva mangiato la pelle delle dita. Tutto ciò mi turba e mi commuove. I bimbi vengono a stringermi la mano, vorrei portarli via, spero che padre Francis li faccia venire a dormire all’orfanotrofio. Rientrati trascorriamo un intenso pomeriggio coi bimbi e coi ragazzi di Shalom, mi rendo conto che nonostante non abbiano nulla sono molto fortunati a stare qui, avere un letto, un pasto e la possibilità di andare a scuola. Non è cosa da poco rispetto a quello che

abbiamo visto prima. Alle persone che vivono al di fuori da questa comunità mancano i presupposti per una vita decente. L’uomo, se fortunato lavora, ma molti di loro beve, si droga e sfrutta le donne. La donna purtroppo si prostituisce e spesso non è in grado di accudire i “tanti” figli. Tanta gente è povera perché, prima degli anni ’80 questa era una zona molto fertile per le coltivazioni di cotone e tabacco, quindi molti di loro sono venute a vivere qui per poter lavorare. Quando il mercato di questi prodotti entrò in crisi, creò povertà e disagi quali alcolismo, droga e prostituzione. Parlando coi bimbi di Francis mi sorprende quanto siano stati educati bene, non parlano mai del loro passato, nè chi magari è arrivato qui da piccolissimo, né chi è arrivato già da ragazzino. Nessuno lascia intuire perché abbia dovuto abbandonare la propria casa, hanno un grandissimo rispetto per lui, per la religione che insegna e fa praticare, per la comunità che li ha accolti e, a parer mio, salvati. Hanno anche molto rispetto e gratitudine per noi “Mzungo”, così chiamano i bianchi, volontari, che vengono per aiutare. Questa cosa mi piace un sacco, loro sanno che noi siamo qui per loro e ancor prima di battere ciglio ti stanno già ringraziando, anche se magari non hai ancora fatto niente di che. Oggi da noi queste forme di gratitudine e di riconoscenza purtroppo non esistono più. Ne ho conosciuti tanti oggi, i nomi di ognuno però sono difficili da ricordare…sono troppi! Uno più bello dell’altro questi bimbi, ti si attaccano e non ti mollano più. Mi han mostrato i terreni di banane di Shalom Home, le galline, due vacche, i maiali…è enorme questo posto! Abbiamo raccolto anche un sacco di manghi, loro li mangiano strada facendo, noi per sicurezza dobbiamo lavarli e sbucciarli non avendo i loro anticorpi. Solo dopo poche ore assieme li adoro già, quanta purezza in questi bimbi, con un sorriso sincero si fanno amare subito. Il solo pensiero che siano così felici pur avendo sempre lo stesso vestito, magari di qualche taglia più grande, magari strappato, senza scarpe o con gli infradito rotti, è un tuffo al cuore. Abbiamo trascorso un pomeriggio indimenticabile, inizialmente pensavo di non aver fatto niente di “utile” per loro, ma pensandoci anche il rapporto che si va a creare stando

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con loro è fondamentale, necessitano proprio questo non avendo una famiglia, essendo la comunità il loro “parente più prossimo”. Vado a letto felice…penso che bel regalo questa giornata, per me e per loro! DAY 4 – 7/01/2019 Ogni momento che passo con questi bambini mi rendo conto di quanto sono fortunata. Una cosa che io non ho, nonostante mi possa permettere tutto, è avere un cuore così grande e uno smisurato rispetto per il prossimo. E’ una lezione dalla quale devo solo imparare. Mi fanno divertire un sacco, vedono che sono tanto diversa da loro, bionda, occhi chiari, bianca…ma non per questo mi guardano male o mi giudicano, anzi, mi fanno capire di adorare questa mia diversità. Maria una bambina che avrà circa 9 anni, è molto curiosa, fissa i miei orecchini, li tocca e mi abbraccia, poi mi infila un dito in una narice!!! Solo dopo un attimo capisco che è perché voleva toccare il mio piercing al naso…scoppio a ridere, probabilmente non è frequente per loro vedere persone con l’anello al naso! Un’altra bimba invece questa mattina, durante la messa, mi ha tolto gli orecchini uno alla volta, mostrandoli fiera alle amiche sedute vicino a lei…è troppo dolce anche se presto mi stava per togliere anche l’orecchio! Poi è passata all’anello che ho nel dito medio della mano destra, mi ha chiesto se sono sposata, ho risposto di no, ma che è un simbolo del mio fidanzamento. Lei me lo ha tolto e poi lo ha rimesso dicendo sottovoce: -In the name of Father, of the Son and of the Holy Spirit! (Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo), come se volesse benedirlo o imitare il momento dello scambio delle fedi. Quanta tenerezza mi fa! Mi spiace non ricordarmi il suo nome ma, è così difficile ricordarli

tutti, quasi impossibile! Ieri sera ho tentato di lavarmi i capelli nel mini-lavandino del bagno, dalla doccia scende poca acqua per la massa di chioma che mi ritrovo, dopo qualche tentativo disperato però tra risciacqui e diverse spazzolate ce l’ho finalmente fatta, quindi, questa mattina vado a messa coi capelli sciolti, raccolti solo da una piccola molletta. Non l’avessi mai fatto!?! Neanche il tempo di sedermi al posto che mi avevano assegnato, che tre bambini mi si fiondano addosso per toccarli, pettinarli e intrecciarli. Sono super eccitati e come dargli torto, i nostri capelli sono molto diversi dai loro. Li lascio fare, si stanno divertendo troppo, anche se mi fanno un male “cane” perché tiran come matti. Ad un certo punto non sento più così male, ma comunque qualcuno che li tocca. E’ una di loro, Brendah, che ha degli occhi magnifici mi ha fatto una treccia stupenda. Non so dove abbia imparato a farla così bene, loro per questioni igienico-sanitarie sono tutti pelati fino alla scuola secondaria, ma la ringrazio tanto!

Abbiamo giocato un bel po’ questo pomeriggio, sanno fare il gioco con le mani “Sardina” in italiano, immagino che qualche volontario stato qua prima di noi glielo abbia insegnato. Si divertono un mondo a farlo e io con loro, erano secoli che non ci giocavo! Facciamo diversi giochi, gli faccio il solletico e ridon come matti, gli faccio fare il giro tondo e quando è l’ora di fare il “tutti giù per terra” tutti si buttano sul prato, con talmente tanta foga che mi preoccupo essendo pieno di sassi! Non so se l’avessero fatto ancora, sembrava di no, ma ci siamo divertiti tantissimo, sono state ore intensissime di gioco, baci e abbracci. Quanto si vede che gli manca un affetto, una famiglia con la quale interagire, eppure sono adorabili. DAY 5 – 8/01/2019 Altra giornata stupefacente! Questa mattina siamo stati con i ragazzi disabili. Phineas ha 21 anni, Mugambi 12 e Antony 10. Antony è quello che sta fisicamente meglio, infatti segue gli orari dei compagni e va in classe a fare lezione normalmente. Mugambi è dolcissimo, occhioni ottimisti che sembrano parlare e un sorriso stampato sul volto; lui oltre all’immobilità delle gambe, ha anche problemi con la sensibilità delle mani, non riesce bene a stringere e a tenere le cose, ha una malattia degenerativa. Phineas è il fratello maggiore di Antony e Brian, un bimbo di 7 anni che al momento attuale è normale, ma che essendo una malattia genetica improntata sul gene maschile, probabilmente finirà come loro. Generalmente questa malattia non fa superare i 20 anni d’età, perché essendo una distrofia muscolare, col tempo anche i muscoli interni si atrofizzano finchè non moriranno soffocati.

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Entrando nella loro camera noto che non è organizzata per accettare disabili, ma ricordo che Francis ci aveva raccontato che fino a 3 anni fa non li accoglievano proprio per questo motivo. Mi fa una bella impressione il fatto che le pareti siano colorate e luminose e vicino a ogni letto ci sia il loro nome dipinto sul muro. Accanto al letto di Antony però non c’è il suo nome dipinto, ma Edwin. Non chiedo perché, purtroppo so già il motivo. Maria, una signora della Val di Peio che si è presa in cura i ragazzi disabili, mi aveva raccontato che a novembre quando è stata qui, il fratello mediano dei ragazzi purtroppo aveva smesso questa vita fatta di limitazioni e sofferenze. Faccio un sospiro per rimanere “impassibile” e faccio un sorriso ai due ragazzi che ci guardano. Maria ci aveva raccomandato di portargli matite e pennarelli con disegni in bianco e nero da poter colorare. Consegniamo il tutto, sono felicissimi, ma non parlano molto. Phineas è timidissimo e Mugambi parla solo swaili e pochissimo inglese, ma la gratitudine si legge nei loro occhi che brillano. Phineas è molto preciso, non ha problemi nel tenere in mano i colori, anche se non riesce a stendere bene il braccio, fa tutte righe attaccate fino a riempire le diverse figure. Mugambi invece fa più fatica a tenere in mano il pennarello quindi colora in modo un po’ meno chiaro, ma sempre impegnandosi a non uscire dai bordi che delimitano la figura. Le ore con loro passano molto veloci, non mi pesano…Dio solo sa quanto può far bene passare qualche momento con loro: sono esempi di forza, perseveranza e autenticità. Nel pomeriggio andiamo con EvaStella a visitare il “Cottolengo Mission Hospital Chaaria”, in realtà dobbiamo portarci dei bambini. Alcuni salgono tranquillamente sul VAN, Eva dice che devono farsi degli interventi ai denti, mentre Anthony, un piccoletto che penso non abbia più di 6 anni ha una faccia veramente brutta e sofferente. Era nel furgone quando gli viene il vomito, ci fermiamo, Eva gli da una mano tenendogli su la testa, quando i conati sono passati, si risiede al suo posto, sta malissimo. Gli do una carezza di conforto sul volto, scotta tantissimo questo bimbo, non riesco a tenergli la mano addosso, piange, e come biasimarlo, povero chissà cos’avrà! Entriamo in ospedale, sembra un vecchio oratorio, fatto di saloni grandi pieni di gente, ovviamente di colore, qualcuno sembra aspetti il suo turno, qualcuno è sul lettino sofferente, qualcun altro in carozzina. Mi fa una strana impressione quando dalle diverse stanzette che usano come ambulatori escono medici con delle uniformi blu, sono bianchi, fissano me e Martin in modo strano, noi sorridiamo, capiscono che siamo italiani e ci salutano con un “Buongiorno, benvenuti!”. EvaStella ci spiega che questo ospedale viene gestito da un frate, Beppe Gaido, che ha sacrificato la sua vita per stare qui e fare il missionario. Ce ne aveva parlato anche Giuliana. Che bella cosa, ce ne fossero tante persone così, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore! Tornando a Anthony, i medici gli fanno tutti gli esami ma non trovano niente, lo vogliono tenere qui questa notte così domani gli ripetono gli esami per capirne di più. Siamo noi e Evastella i suoi accompagnatori…penso che alla sua età se avessi avuto qualche problema avrei voluto al mio fianco la mia mamma. Eva ci ha raccontato che lui e i suoi due fratelli minori, hanno camminato per mesi prima di arrivare a Shalom Home, sono arrivati lì disidratati e Anthony nell’ultimo anno ha avuto diverse volte questi episodi di vomito e febbre alta. Lo ricoverano, lo portiamo in pediatria, mi consolo perché almeno questa stanza assomiglia ad un ospedale, ha dei disegni sulle pareti. Questo posto non mi sta facendo una bellissima impressione, ci sono questi cameroni coi pazienti tutti ammassati, con dei camicioni azzurri tutti macchiati di sangue, penso le riutilizzino, come le lenzuola e le coperte, spero tanto le lavino. Il sistema igienico-sanitario non è sicuramente paragonabile al nostro, ma EvaStella mi dice che questo è uno degli ospedali migliori della zona, subito penso tra me e me che non vorrei mai vedere gli altri. Diciamo a Anthony che dovrà passare qui la notte, lo mettono in questo camerone pieno di mamme che dormono sullo stesso letto dei loro bimbi, che sono i pazienti. Ognuno ha un piatto di plastica pieno di riso e fagioli, ma ci sono talmente tanti letti che tra uno e l’altro non c’è spazio per passare. Salutiamo il piccolo, mi piange il cuore lasciarlo qui tutta la notte da solo, spero riesca a dormire un po’, ma sta ancora vomitando e scotta tantissimo. Tornati a Shalom Home un’onda di bimbi ci saluta abbracciandoci forte, ne ho addosso quattro o cinque, li adoro, mi erano mancati…sono formidabili!

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DAY 6 – 9/01/2019 Questa mattina finalmente abbiamo sistemato le cose che abbiamo portato dall’Italia. Sono felicissima di aver potuto portare così tanta roba, mi rendo conto sempre di più che gli serve tutta. Tra scarpe rotte e vestiti strappati o bucati non ce n’è uno che indossi qualcosa di non usurato. Entriamo nella stanza che usano come deposito e noto che ci sono degli scaffali vuoti, ci appoggiamo le nostre cose, ma fissando gli altri vedo che sono pieni. Mi chiedo perché non gliela diano. Eva però mi spiega che essendo così tanti e essendo abituati a non avere niente, vengono a chiedere un vestito o un paio di scarpe solo nel momento in cui le loro siano rotte o non più utilizzabili, perché altrimenti la scorta finirebbe in un secondo. Dopo aver sistemato le scarpe, i pantaloni, le sementi e le altre cose, torniamo al Chaaria Hospital da Anthony; sta ancora malissimo, vomita e la temperatura è a più di 40°. Gli ripetono le analisi, poi ci dicono che ha la malaria e dovrà rimanere in ospedale per più di una settimana per la cura. Eva è molto preoccupata, lei domani dovrà tornare nel Meru per proseguire con l’università quindi nessuno di Shalom potrà venire a trovarlo. Ci dice che dovrebbe esserci una zia che abita vicino a Shalom, mentre rientriamo verso l’orfanotrofio andiamo a cercarla in una baracca di lamiera, legno e fango; non c’è. Diciamo a una signora che dice di abitare lì vicina (siamo in mezzo a un bananeto non saprei dove!!!) di avvisare la zia e torniamo a Shalom. Dopo pranzo Eva mi porta dai ragazzi per cominciare col flauto, è stata molto disponibile a darmi una mano. Devo partire dalle basi, purtroppo non è andata come avrei voluto, saranno 60 o anche di più e avevo racimolato solo 35 flauti. Inoltre il mio inglese non è dei migliori e, un attimo dopo Eva e i professori se ne vanno, quindi i bimbi continuano a strimpellare a caso facendo un chiasso infernale, ma si divertono un sacco! Io non mi reputo in grado di insegnare, non so come gestirli anche perché son eccitati dal flauto che non avevano mai visto, fanno un casino pazzesco! Penso che sarà necessario organizzarla meglio questa cosa!!! Fortunatamente arriva l’ora della doccia, tanti fuggono anche perché mi vedono in preda a una crisi isterica, ma in 5/6 rimangono e vogliono provare. Tiro un sospiro di sollievo, spiego a loro le regole principali sul come va tenuto il flauto e sul fatto che dovrebbero suonare solo quando glielo dico io e non a caso. Ce la facciamo!!! Imparano una canzoncina di due righe, sono felicissima! Anche perché non sanno leggere le note, imparano tutto a memoria guardando le diverse posizioni dalle mie mani mentre li mostro come suonare. Prima di andarsene tutti loro, uno per uno, anche chi faceva chiasso mi ha ringraziata per avergli portato “questa nuova cosa” e io sono molto felice e appagata di tutto ciò. DAY 7 – 10/01/2019 Appena terminata la solita messa mattutina, andiamo verso la cucina per fare colazione. Fortunatamente Brother Momoh, un ragazzo che sta studiando per diventare prete, arriva dopo di noi così posso chiedergli un consiglio per organizzare le lezioni di flauto. Maria aveva detto che lui era molto in gamba e disponibile, ed è così, mi dice che dopo aver consultato gli orari della scuola

possiamo organizzarci, così a metà mattina mi dice che per le 3 gli studenti saranno disponibili. Dopo colazione in realtà non sappiamo cosa fare, c’è una ragazza sul muretto qui fuori dall’ufficio, Rebecca. Dice di aver mal di stomaco, la riconosco, era venuta qualche giorno fa al Chaaria con noi e le avevano dato una cura, ci offriamo per accompagnarla all’ospedale, è piegata in due dal male qualcosa dobbiamo fare, tanto oramai la strada la conosciamo! Chiediamo a Lilian, la segretaria, che però dice che le avevano consigliato di mangiare verdure perché

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soffre di costipazione (mangiando sempre e solo riso e fagioli è possibile!) e quindi si offre di andare a cucinargliele. Andiamo a salutare Mugambi e Phineas; se non abbiamo un programma preciso sulla tabella di marcia, qualche momento con loro non ce lo toglie nessuno. Stanno colorando i libri che ha portato Martin, sono molto contenti. Dopo due disegni mi viene un’idea, potremmo portare Mugambi fuori a fare un giro, Phineas purtroppo non si può muovere dal letto. E’ una bella giornata, un po’ d’aria gli farà bene. Fa caldo quindi cerchiamo di stare all’ombra, siamo nel piccolo chiostro vicino alle nostre stanze. Gli facciamo vedere la tartaruga che gira in quel piccolo giardinetto, Francis ci aveva raccontato che l’aveva portata lì lui, chissà dove l’ha presa, ma Mugambi non la vuole toccare. Gli chiedo se vuole cantare, so che gli piace la musica, prendo dalla camera il flauto e gli suono “Nella vecchia fattoria” perché so che la sa. Tutti i bambini qua la sanno, gli piace fare tutti i versi degli animali! Mi si riempie il cuore quando una volta capito che canzone sto suonando, inizia a cantare. E’ un ragazzino con un sorriso e degli occhi d’oro che rubano il cuore. Sono contenta la nostra compagnia gli faccia piacere. Dopo un po’ deve andare al bagno, lo portiamo dentro, Micheal lo aiuta e poi riprende a colorare. Noi decidiamo di andare a vedere se a qualcuno serve una mano, ma niente, ci arrangiamo. Andiamo in quella che i bimbi chiamano “Shamba”, le aiuole fatte da Giusy, una volontaria sarda arrivata qui a novembre, a togliere un po’ di erbacce. In questi giorni Giusy non c’è, è a Kibico a trovare delle suore, dovrebbe arrivare a breve con la nipote. Si è fatta ora di pranzo, Lilian deve ancora cucinare quindi le diciamo che possiamo fare da soli, spaghetti del Kenya, che brutta scoperta…scuociono!!! Dopo pranzo aiutiamo Eva a caricare su un pick-up le sue cose da portare all’università, mi spiace tanto che se ne vada, lei viveva qua da due anni; è essenziale per questo posto, sa tutto sui bambini è come una mamma per loro, spero possa esaudire il suo sogno! Deve portarsi tutto, anche lei viene da una famiglia poco facoltosa, mi dice che avrà una specie di camera più cucina a Meru, ma quando ci fa caricare anche il letto e il mobiletto-gas capisco che ha potuto accedere a qualcosa di poco fornito e comodo. E’ ora della lezione di flauto: questa volta sono “solo” 10! “Menomale” penso, c’eravamo organizzati per far venire al primo turno gli studenti della Primary e al secondo quelli della Secondary. Con i bambini faccio un po’ più fatica, perché nonostante dica di non suonare senza il mio “Via”, lo fanno comunque, ma come dargli torto è il primo strumento che vedono! Nonostante tutto sono bravi, riusciamo a fare un pezzettino di una melodia semplice. Con i ragazzi delle superiori è molto più semplice farsi capire, alcuni di loro sanno leggere le note quindi in un’ora imparano la prima canzoncina. Sono super soddisfatta. E’ incredibile però come per “comprarmi” la loro attenzione devo suonargli “Nella vecchia fattoria”!!! Ormai è l’inno di Shalom Home, la sanno tutti!!! DAY 8 – 11/01/2019

Dopo messa andiamo verso la cucina a fare colazione e dopo un po’ Kelvin, un ragazzo del college (per capirci, la nostra scuola professionale), dove insegnano i mestieri pratici ai ragazzi che non vanno alle superiori, viene a chiamarci per andare a macinare il mais. Il giorno precedente ci aveva detto che bisognava preparare la farina da cucinare e noi che ci sentiamo “agronomi provetti”, ci siamo offerti di aiutarli. Ci sono due macchinari e Gerrard, un altro ragazzo del college. Cominciamo a darci da fare, due per macchina: due buttano la granella nel macchinario che la spacca, gli altri due nel macinatore per la macinata più “da fino”. Siamo una bella squadra, non ci fermiamo mai, a parte due brevi pause se s’inceppano le macchine. -Sono cinesi!,

esclama Gerrard, forse intendendo che valgono poco, ma sono anche un po’ vecchiotte a mio avviso, una è tenuta assieme da un grosso fil di ferro, spero non si rompa altrimenti finiamo infarinati nel giro di un secondo! Ne esce un buon lavoro, due sacconi di una bella farina bianca (alti fin sopra la mia vita), di varietà molto chiare che raccolgono molto prima di noi. Aiuto Gerrard a spostarne uno: penso pesi più di noi. Sorridendo mi dice: -You are very strong! (Sei molto forte!); rido pensando: -Ah certo, mais da lavorare ce n’è anche a Ossana! Lui ribatte: -We like people that love to work! (Ci piace la gente che ama lavorare!) e penso, chissà quanti di loro vorrebbero venire da noi a lavorare ed avere una vita almeno degna di questo nome. Poi considerando la situazione politica che c’è da noi, in

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questo momento, soprattutto per quanto riguarda la questione “immigrati” penso sia preferibile che rimangano qua, evitando di morire attraversando il deserto o il mare! Dopo il lavoro del mais ci vengono a dire che Francis ci aspetta in parrocchia, un prof. ci accompagna con una macchina scassatissima, che sembra si scomponga da un momento all’altro, per portarci alla Parish! Andiamo con lui in tre scuole diverse, in cui ci fa parlare agli studenti, dirgli di studiare seriamente e farsi una vita e poi anche dalla polizia. Avevo conosciuto il poliziotto qualche sera prima, Francis mi aveva chiamato per conoscerlo nella cucina dei volontari, era lì perché aveva portato a Shalom una 17enne che voleva andare a fare la escort per guadagnare. Era stata con 40 uomini e suo padre non l’aveva fermata, allora la polizia l’aveva tolta dalla famiglia. Capisco le mentalità chiuse che ci sono qui quando la ragazzina era quasi dispiaciuta di poter studiare e vivere una vita normale con i suoi coetanei lontana dai maltrattamenti, probabilmente per lei era normale svendere il suo corpo perché le avevano insegnato così. Ho i brividi al solo pensiero che qualcuno abbia potuto abusare di una ragazzina così giovane! Mentre parliamo col poliziotto della situazione della ragazza, mi chiedo quante persone conosca padre Francis. Non credo esista una risposta! Francis insiste per volersi fermare fuori a pranzo, ha sempre mille cose da fare, ma probabilmente vuole passare un po’ di tempo con noi e nonostante noi proviamo a declinare l’invito, lui non vuole sentire ragione. Probabilmente desidera un’ora di pace. Fa più che bene!!! Quando andiamo a pranzo con lui vuole bere sempre una birra kenyota, si chiama Tusker, dice: -Dai bevete che siete ben abituati, poi all’orfanotrofio più che acqua non vedete! E’ una birra molto leggera, fa 2,5 gradi, ma sinceramente in questo periodo non avevo né mai pensato all’alcol né alla mancanza del bere qualcosa con gli amici. Probabilmente perché qui vediamo molta gente ubriaca a bordo strada e molti bambini che sono qui perché maltrattati da genitori alcolisti. Allora è difficile vedere l’alcol come una cosa piacevole (comunque va sempre usato con moderazione). Parliamo molto con lui, è un buon ascoltatore e ha sempre un consiglio o una buona parola per qualsiasi cosa. Sono contenta perché Martin riesce a sfogarsi su argomenti difficili da esternare e superare. Entrambi nel giro di due anni abbiamo perso due compagni di classe morti in due incidenti diversi, Elisabetta e Davide, lui poi ha perso anche il cognato dieci giorni prima che nascesse la sua nipotina, quindi è stato difficile realizzare il peso della morte, ma con il padre è stato più semplice, perché ci ha permesso di realizzare meglio il peso che ha la vita. Ci ha permesso di pensare alla morte come un passaggio che sì, è obbligatorio per chiunque, ma non per forza deve essere la fine di qualcosa, di un rapporto, oppure di quello che per noi era la persona che ci ha lasciati. Le sue parole ci servono molto, con metafore e pensieri profondi ci fa capire che è importante vivere al meglio ogni minuto, perché la vita è un regalo e noi almeno abbiamo la possibilità di vivere bene, questi ragazzi invece sarebbero morti di fame o di qualche malattia infettiva. Mentre mangiamo, ci racconta le storie di alcuni ragazzi. Sono incredibili! Il 60% di loro è stato violentato dai genitori, gli altri picchiati sempre dai genitori alcolizzati o drogati, altri ancora orfani che han trovato sulla strada o che sono arrivati li tramite il tribunale dei minori. Sono raccapriccianti, come quella dei ragazzi disabili. Francis li ha trovati quando stava andando a benedire le case, fuori da una baracca con la testa che usciva dalle buche. I genitori probabilmente non erano in grado di tenerli essendo disabili e con gli arti rattrappiti. Forse puzzavano troppo dato che erano stati lasciati lì nelle loro deiezioni. Rimango a bocca aperta, com’è possibile trattare dei figli a questa maniera solo perché malati? Francis dice che i genitori tenevano all’interno della baracca soltanto i tre figli sani, o per lo meno ancora sani, essendo degenerativa come distrofia probabilmente anche loro finiranno sulla sedia a rotelle. Mugambi invece è stato portato lì dalla nonna dopo che lei aveva scoperto che all’orfanotrofio erano stati accolti dei disabili. L’ha scaricato come un pacco dicendogli di tenerselo, come fosse un oggetto, in realtà per me è il ragazzino più solare del mondo! Dico al padre che sempre più mi sorprendo di come i bimbi e i ragazzi non ti facciano minimamente pesare il loro passato, non raccontino niente di quello che c’è stato prima dell’arrivo all’orfanotrofio e siano sempre sereni e sorridenti. Quest’uomo ha fatto un lavoro d’oro! “Sei altro che uomo nero” gli diciamo come battuta!!!

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Torniamo a Shalom e ci viene incontro una ragazza bianca, si presenta è Caterina, dice di essere la nipote di Giusy, la famosa donna stabilitasi qui e che tanto volevo conoscere perché sia Maria che Giuliana ce ne avevano parlato bene. Ci dice anche lei di aver sentito parlare di noi, è contentissima delle cose che abbiamo portato, delle sementi, dei colori e che sappiamo cantare. E’ un vulcano di energia per un metro e 20 di donna!!! Ci organizziamo subito per ottimizzare al meglio le due settimane che ci restano, vogliamo fare un orticello, che lei chiama “Nursery”, per la crescita degli strapianti che poi si dovranno trasferire ed allargare in un altro pezzo di terreno, per insegnare ai ragazzi a coltivarsi un po’ di verdura. Inoltre vogliamo piantare un po’ di fiori per colorare l’ambiente e renderlo un po’ più accogliente, colorare la stanza dei disabili, sistemare i dormitori per far si che ogni bimbo/ragazzo abbia un appendino con il proprio nome dove mettere in modo ordinato la divisa o il vestito della domenica e abbiamo altri mille progetti di questo tipo. Tante cose belle che mi caricano un sacco! Non vedo l’ora di rimboccarmi le maniche! Day 9 – 12/01/2019

Oggi giornata programmata dal padre in stile “gita” illustrativa. Partiamo dopo messa e andiamo alla scoperta di un’azienda che produce miele. L’autista si chiama Vincent, è molto solare come uomo, sorride sempre. E’ molto felice di accompagnarci, parla tutto il viaggio con Martin quindi capisco che è un apicoltore anche lui e già in viaggio inizia a raccontarci come funziona l’apicoltura in Kenya. Dice che è difficile trovare qualcuno che ti venda le colonie di api per iniziare l’attività, perché appena si posiziona un’arnia, nel giro di pochi giorni si riempie da sola. Le fioriture qui sono molto più lunghe che da noi e continue non essendoci stagioni, quindi volendo sarebbe possibile raccogliere miele anche durante

tutto l’anno. Martin ha i cuoricini negli occhi durante tutta la visita, è il suo lavoro questo quindi è pane per i suoi denti! Io e Caterina ascoltiamo interessate e compriamo del miele da portare a casa in Italia. Ci dirigiamo poi verso l’azienda Meru Herbs; coltivano piante da tisana e producono marmellate che vendono anche da noi da Altro Mercato e scopriamo che l’azienda è gestita da Bolzano. Piccolo il mondo? Molto interessante come cosa, la pianta dell’ibisco è molto bella e da quella viene prodotto il famoso karkadè. Compriamo anche le tisane, io le adoro e ne bevo un sacco quindi sono molto felice. Dopodiché passiamo in una cooperativa che per dare lavoro ai giovani senza occupazione fa gestire loro un autolavaggio; una bella iniziativa, hanno qui un sacco di macchine da lavare, si vede che sono bravi! E mica con le gomme dell’acqua a pressione e chissà che solvente particolare per ogni tipo di carrozzeria, tutto a mano con secchi d’acqua e olio di gomito. Dietro l’autolavaggio c’è un bananeto con in mezzo delle piante di caffè, non l’avevo mai vista prima come pianta e sono molto interessata. Altra cosa che mi sbalordisce è il fiore di banano, è gigantesco, sarà lungo 30 centimetri se non di più, ed è viola scuro. Andiamo poi in un’altra azienda di sole donne, signore che filano a mano la lana di pecora per farci tappeti. Vedere lavorare a mano è una cosa sempre affascinante, ormai i macchinari trionfano un po’ in tutti i settori, vedere come filano mi fa a pensare alle nonne: tutte avevano l’attrezzo per filare la lana in casa. Compriamo qualcosa anche a loro, ci dicono che siamo i primi clienti dell’anno, sono felicissime che i primi siano dei “Muzungo”. L’ultima tappa è a un orfanotrofio di 15 bambini, ci sono delle signore che con la plastica fanno a mano cestini e borsette, sono molto belli e colorati, ci spiegano che vendendoli provano a mandare avanti questo posto. Ci presentano i bambini, sono uno più bello dell’altro come tutti i bimbi del

mondo, ma la prima bimba che vedo mi resta più impressa nella mente. Ha il volto e una mano coperti da un’enorme cicatrice, sembra sia stata una bruciatura, un tuffo al cuore, spero tanto non sia stata causata da una violenza domestica, ma da un incidente. Ricordo che Giuliana ci aveva raccontato di una ragazzina che a Shalom tiene sempre il berretto per nascondere una grossa cicatrice che il padre le aveva provocato bruciandola sulla testa con l’olio della lampada. Sto un po’ per appartata a pensare, devo togliermi quel visino tutto bruciato dalla mente. Passeggio nel giardino dell’orfanotrofio, noto 4 altalene e un “pinco-panco”, mentre nella strada qui

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a fianco ci sono dei bambini che giocano con vecchi copertoni di auto e capisco sempre più quanto ci si potrebbe accontentare delle piccole cose; si stanno divertendo un mondo, anche senza tablet, play-station e canali che trasmettono cartoni 24 ore al giorno. Andiamo a pranzo con Vincent e dopo essere tornati a Shalom Home, essendo sabato pomeriggio stiamo un po’ con i bambini che sono liberi; giriamo per i bananeti dell’orfanotrofio. Stare con loro non ti stanca e annoia mai, ti dimostrano così tanto affetto non avendo nulla che non mi accorgo che i giorni passano. Sono a dir poco speciali! Pagherei tutto l’oro del mondo per vederli tra 20 anni a capo dello stato a cambiare questo sistema sbagliato che, senza strutture come l’orfanotrofio, li avrebbe già fatti passare purtroppo a “miglior vita”. DAY 10 – 13/01/2019 Dopo messa andiamo all’ospedale con 10 ragazzi per il controllo dentistico. Un gentilissimo primario di Cagliari offre gratuitamente il suo servizio per l’intera giornata ai nostri ragazzi di Shalom. Approfittando dell’occasione andiamo a trovare Anthony, il bimbo della malaria. E’ molto giù di tono, però non scotta e non vomita più per fortuna. Giusy dice che la cura per la malaria è pesantissima e di non preoccuparci se Anthony è così mogio. Chiediamo se la zia è stata a trovarlo nei giorni scorsi, ma ci dice che le ultime persone che ha visto siamo state noi, nei giorni scorsi. Mi dispiace un sacco che un bimbo così piccolo debba stare in ospedale da solo. Gli facciamo compagnia, chiamiamo anche i ragazzi che sono in sala d’attesa per il dentista che a turno vengono a fargli visita. Anthony ha poco appetito; con Eva gli avevamo portato della frutta e ci aveva detto che ne andava ghiotto, quindi andiamo a comprargliene ancora in un baracchino di fronte all’ospedale. Non lo dimostra ma è contento, è senza forze poverino! Io non riesco a pensare che la sua spossatezza sia causata solo dalle cure a cui viene sottoposto e riferisco le mie perplessità ai miei amici. Martin risponde dicendo: -Anche se non fosse per la cura, devi provare ad immedesimarti in lui, un bimbetto di 6 anni, in ospedale da solo per giorni; pensa se ci fossero tre neri al capezzale del tuo letto a consolarti!”, scoppiamo a ridere. Saluto Anthony dicendo che saremmo tornati presto a prenderlo, lo stringo, lo abbraccio e gli do un bacio in fronte. Mamma mia che ho fatto!?! Le mamme dei letti intorno mi fissano sconvolte e scoppiano a ridere; sapevo che in Africa non c’è la tradizione del bacio come dimostrazione d’affetto, ma non ci avevo neanche pensato, sinceramente. Dico in inglese che in Italia si fa così, continuano a farsi gli affari loro e noi torniamo dagli altri ragazzi. Passiamo in sostanza tutto il giorno in ospedale, in sala d’attesa ci annoiamo un po’, ma le ragazze che stanno aspettando il loro turno dal dentista ci chiedono se possono pettinarci e intrecciarci i capelli, ovviamente diciamo di sì. Torniamo a Shalom per le 6 e stiamo un po’ con i bambini prima di cena. Arriva Jeremy, un bambino del terzo anno della primaria e mi attacca una figurina con BatMan sulla spalla; non so dove l’abbia presa, senza rendermene conto la tengo finchè non mi lavo prima di andare a dormire! E’ troppo carino, ogni giorno viene a chiedermi se mi ricordo il suo nome perché sa che fatico a ricordarli tutti. Parlando mi chiede quando partiremo e, dopo la mia risposta mi dice: “the next time you’ll come here, you’ll put me in your baggage and you will bring me in Italy with you!” (“la prossima volta che verrai mi metterai nella tua valigia e mi porterai con te in Italia!”). Che tenero, mi scioglie il cuore, se potessi li metterei tutti in valigia. Penso a quando dovremo salutarli, sarà straziante. Sto seriamente pensando all’adozione a distanza! DAY 11 – 14/02/2019 Mi accorgo di scrivere ogni giorno sempre meno particolari, ma non perché le giornate siano monotone, anzi abbiamo un sacco di cose da fare, ma siamo sempre “a mille” quindi la sera arrivo stanca, ma felice (e ci faccio caso, al fatto che sono SEMPRE FELICE!). Stamattina siamo andati a vedere come procedono i lavori per il progetto della stalla di Davide, domani dovrebbero iniziare a costruire la seconda vasca di raccolta dell’acqua e da quello che ci dicono verso marzo dovrebbe iniziare la costruzione dello stabile adibito al ricovero degli animali. Prima di cominciare con quello è importante essere sicuri di avere le risorse idriche anche nei periodi di siccità, per questo, avendo trovato una buona sorgente di acqua pulita, vogliono procedere con lo stoccaggio in due serbatoi differenti nel caso ci siano in futuro periodi di siccità. Pensandoci però non ho mai visto un animale bere qui, è proprio vero che si adattano all’ambiente in cui sono. Qui ci sono

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delle sottospecie stupende, che avevo visto solo in foto: il Bos Taurus Indicus, chiamato anche zebù, con una grande gobba a livello del garrese, è bellissima!! Giuliana ci chiede di monitorare la portata del pozzo per fare una stima dell’acqua che viene giornalmente raccolta, quindi per una settimana Martin si impegna ad andare mattina e sera a leggere i numeri; arriviamo ad una stima di circa 20-21 m cubi al giorno, niente male! Torniamo a Shalom, iniziamo a lavorare il pezzo di terreno per gli strapianti. Ci mettiamo un bel po’, ci sono da estirpare due bambù (hanno delle radici pazzesche) e metterli da un’altra parte. Abbiamo a disposizione due zappe, ma non capiamo perché in Africa non hanno molto la cultura del manico comodo, queste saranno lunghe mezzo metro quindi bisogno lavorare stando gobbi. Anche le scope non esistono, o per lo meno non le sanno usare, non fan parte della loro cultura; per spazzare i

ragazzi prendono una manciata di paglia o erba, chinano le schiena e via di olio di gomito. Uguale per tutti gli altri attrezzi, manico corto, schiena piegata e via! Con molta fatica e con l’aiuto di Gerrard, il ragazzo con cui avevamo macinato il mais ce la facciamo, siamo sudatissimi perché è caldissimo. Di lì a poco arriva il padre, ha un cartello in mano, vuole portarci alla “farm Melamango” e spiegarci per filo e per segno su quali appezzamenti verrà costruita la stalla e quali saranno utilizzati per la semina delle foraggere ecc ecc (siamo stati li qualche ora prima e ci eravamo proprio chiesti dove faranno il tutto, che coincidenze!!!). Mi passa il cartello dicendo: -Tieni, lo dovete mettere voi. Lo giro e leggo la scritta: “VIVA DAVIDE! Bore Hole Shalom Home!” (“Viva Davide Pozzo di Shalom Home”). Trattengo la commozione pensando al nostro amico Davide, che da gran lavoratore quale era,

sarebbe fiero di noi. Probabilmente senza di lui non saremo mai venuti qui. Sono felicissima di attaccare il cartello, anche se pur un contributo minimo, magari anche insignificante, è un inizio a questo grande progetto che realizzerà il sogno di Davide che purtroppo non c’è più. Penso a Gianna, sua madre; voglio farle sapere che tutto sta procedendo per il meglio, purtroppo i ritmi africani sono molto lenti, ma anche se a rilento, si sta andando comunque avanti e questo è l’importante. Durante le pause tra un lavoro e l’altro, mi soffermo a riflettere sulle diversità che esistono tra noi e questa gente. Anche il concetto di morte viene vissuto in modo differente. Per noi la morte è così travolgente e spiazzante, incomprensibile; alcune persone non si riprendono più dopo una perdita. Per loro, qui, sembra una cosa naturale, talvolta una liberazione, un’abitudine. Chissà cosa han visto questi bimbi e ragazzi prima di arrivare all’orfanotrofio!?! Penso a Phineas, il disabile di 21 anni, ci penserà ogni giorno alla morte, probabilmente lo vede anche come un momento in cui proverà finalmente sollievo e i suoi fratelli minori uguale, magari loro essendo ancora piccoli la vedono ancora come una sfida da provare ad affrontare, ma arrivati allo stato di Phineas, che riesce a muovere poco o niente, si capisce il suo sorriso “arrendevole” e la sua tranquillità nel far vedere le emozioni che prova. Loro resteranno uno dei ricordi più genuini e più veri di questa esperienza, come i loro sguardi e i loro sorrisi quando li cuciniamo la “cena speciale”: buste di preparati di riso, pasta o minestra, ne vanno ghiotti! Phineas e Antony sono un po’ più schivi, ma secondo me per timidezza, Mugambi è la dolcezza fatta ragazzo, ha le mani di velluto. E’ così strano vedere e vivere le cose da qua, forse non avendo i ritmi frenetici di casa ci faccio più caso. Da una parte vorrei non rientrare mai, dall’altra vorrei vedere il mio affetto più grande, Dino, vorrei venisse anche lui e capisse che non è il colore della pelle che fa la persona, ma sono sicura non servirebbe spiegarglielo. E’ un buono, in mezzo a questi angeli di cioccolato ci starebbe bene col suo carattere giocoso e scherzoso sono sicura andrebbero tutti pazzi per lui. DAY 12 – 15/01/2019 Oggi la messa è iniziata un quarto d’ora prima; inizialmente non capisco perché, poi ricordo che Brian, un bimbo dal volto stupendo, mi disse che nella mattinata avrebbero dovuto sostenere l’esame di matematica. Ieri, aspettando l’ora di cena, gli esponevo dei piccoli problemi: -Se ho 5 mele e 4 patate ma tre mele son da buttare quanti vegetali ho? Che risate a farsi capire in inglese e fargli contare i vegetali sulle manine! Ma è sveglio questo bimbo e molto intuitivo. Son quasi in ansia per loro, ci tengono tanto ad andare bene a scuola e sfruttano a pieno la possibilità che Francis dà loro. Ho delle buone sensazioni e sono certa del loro successo.

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Questa mattina abbiamo in programma di andare nelle diverse classi per controllare il problema della scabbia, una malattia che si sta propagando velocemente, ed essendo in molti in questa comunità va controllata per evitare un’epidemia. La scabbia è un’infezione causata da un parassita che s’instaura sotto la pelle e depone lì le uova (e gli piace tanto stare nei posti dove non c’è luce quindi, oltre ad insidiarsi di notte su tutto il corpo, nelle parti di genitali e sedere, va a nozze!). Andiamo a parlare nelle classi della High School; Giusy spiega cos’è, come bisogna fare per prevenirla e come curarla nel caso si manifesti. Purtroppo il problema principale qui è l’igiene, quindi consigliamo di lavare bene i vestiti e cercare di lavarsi il corpo ogni giorno. Certo servirebbe l’acqua calda per sterminarla, ma pazienza già, se si lavassero, sarebbe una buona cosa. Non è poi così ovvia come pratica vista la carenza di acqua! Ricordo uno dei racconti di Francis; tanti bambini quando sono arrivati qua non sapevano neanche cosa fosse il bagno, vivendo in baracche senza stanze facevano i bisogni in bacinelle o addirittura all’esterno, dove capitava. Più o meno come gli animali! Penso che i primi anni sia stata veramente dura educarli all’igiene, ma hanno fatto un bellissimo lavoro; tanti sono puliti, altri si devono ancora abituare, ma l’importante è che ci stiano provando. Troviamo circa 30 casi di scabbia certa e altrettanti possibili “candidati”. Consigliamo di lavarsi prima di venire a fare il trattamento, ricordiamo di lavare i vestiti e pulire la zona in cui dormono. La cosa è complicata, ce ne rendiamo conto; sono in tantissimi e i supervisori troppo pochi, perché loro si arrangiano in tutto, dal più piccolo al più grande. Speriamo ci ascoltino. Terminata la visita, iniziamo la preparazione del terreno per gli strapianti. Giusy vorrebbe che i ragazzi imparassero a prendersi cura delle piante per auto-sostenere parte dei fabbisogni alimentari; la trovo un’idea bellissima che permetterà qualche piccola variazione al solito menù. Sono sicura andrà bene questo progetto, si fermano tutti a chiederci cosa facciamo e se dopo aver finito la scuola ci possono aiutare. E’ caldissimo!!! So anch’io che gli africani han questo ritmo “pole pole”, ovvero “piano piano”. Ogni tre zappate devo fermarmi a rifiatare! Nel pomeriggio ho assoluto bisogno di una doccia, sono sudatissima e sporca; fortunatamente l’acqua è tornata (da due giorni ne venivano proprio solo quattro gocce) e riesco quindi a lavarmi bene. Ora ho la lezione di flauto. Seleziono alcuni elementi della primaria, quelli che mi dimostrano più voglia di fare e faccio lo stesso con quelli della secondaria. Spiego che a Padre Francis piace tanto la canzone “Fratello Sole Sorella Luna” (ricordo che una sera l’abbiamo cantata a squarcia gola fuori dalla mia camera, piace tanto anche a me e vorrei fargli una sorpresa: suonarla domenica a messa, magari cantata da qualche altro elemento!?!). Basta nominare Francis che i ragazzi si mettono subito di buona lena e impegno. Imparano bene una frase della canzone. Sono contentissima! Alcuni suonano ancora un po’ a caso e questo mi fa sorridere, ma tanti danno proprio soddisfazione. Alle 19 corrono tutti a cena. Ogni volta che mi dicono che vanno a mangiare penso alle parole di Francis: -60 kg di fagioli e 20 kg di piselli o di mais al giorno, non calcolando la quota di riso! Ce ne sono di pance da “riempire”. Noi andiamo nella cucinetta dei volontari a preparare la “cena speciale” per i nostri “ragazzi speciali”; in realtà Martin aveva già iniziato a cucinare, mentre io ero ancora a lezione. Ogni tanto mi sento un po’ “in colpa” a rivolgere più attenzioni ai disabili, ma poi penso che almeno gli altri hanno la possibilità di correre, giocare e pazienza se invece della cena speciale si beccano sempre i soliti riso e fagioli! Questi ragazzi sono sempre contenti di vederci, anche perché li intratteniamo con la chitarra, canti e balli e li facciamo divertire un po’. Andiamo a cena pure noi. Portiamo la chitarra nella cucina che c’è vicino al college e dopo aver mangiato iniziamo a cantare! Vedo che furtivamente fuori dalla finestra c’è qualche ragazzo che ascolta. Usciamo e andiamo sui muretti all’esterno del loro dormitorio a suonare la chitarra. Anche se sono canzoni italiane sono felici di ascoltarci e di passare una serata diversa dal solito. Non vanno più a letto, ci tocca smettere!!! E’ così strano come i bisogni di questi ragazzi di 15/20 anni siano totalmente diversi da quelli dei loro coetanei italiani, europei o comunque non poveri. Sicuramente il loro primo pensiero non sono i social o l’abito alla moda, ma stanno imparando un lavoro che gli permetterà di autogestirsi, una volta fuori di qui. Sono belle persone: questi sorrisi spontanei, questa loro stima nei miei confronti sono ricordi che resteranno indelebili nel mio cuore.

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DAY 13 – 16/01/2019 Anche questa mattina la messa è alle 6.45 perché gli scolari della Primary hanno ancora esami! (…se non sbaglio oggi è quello di lingua kiswaili, d’inglese e composizione: penso siano diverse materie assieme). Dopo colazione con Francis andremo nell’aula computer della High School a foderare i libri per i ragazzi del quarto anno. Caterina e Giusy vanno a Chaaria per accompagnare una ragazza all’ospedale, quindi siamo io e Martin. L’aula computer non è molto grande, ci saranno una ventina di portatili molto vecchi (credo quelli di prima generazione), ma per loro è già un grosso regalo. Ricordo che alcuni ragazzi mi chiesero il contatto Facebook, ora collego come fanno ad averlo. Questa mattinata assieme a Martin è utile per entrambi perché tra le tante occupazioni non riusciamo mai a fare quattro chiacchiere. Ci chiediamo come

faremo a riprendere i ritmi una volta in Italia, come faremo senza questi ragazzi e questi bimbi, perché dopo aver condiviso con loro quest’esperienza, ti affezioni. Mi mancheranno un sacco! Nel pomeriggio andiamo avanti a macchinetta, ne abbiamo foderati un sacco, io tagliavo la plastica (un rotolo da 160 metri di quella da serra!!!) necessaria per i libri, mentre Martin, con le grafette; terminiamo il lavoro finchè non sono finite le graffette, di tutta la scuola!!! Sono le 16 circa, alle 17 ho la lezione di flauto, voglio andare un secondo in camera a rinfrescarmi, ma alcuni dei miei “alunni” mi fermano per strada e chiedono se iniziamo prima la lezione. Ci tengono a imparare bene la canzone per Francis, piano piano ci raggiungono anche gli altri e riusciamo a leggerla tutta. O per lo meno io mostro battuta per battuta e loro memorizzano tutte le posizioni con le mani! Sono molto contenta perché il canto “prende forma”, sono emozionata. Arriva anche Martin con altri due bambini, mentre loro suonano gliela cantiamo così possono imparare anche il testo in italiano visto che la melodia è la stessa. Mi viene un’idea! Chiedo a Martin di andare a prendere Mugambi, lui adora la musica, infatti quando arrivano nella sala è super sorridente. Anche se non riesce a tenere le cose in mano, Martin gli appoggia un flauto vicino alla bocca, con forza prende fiato e soffia, che bellissima melodia!!! E’ felicissimo, anche se, non riuscendo a chiudere i fori con le dita suona sempre la stessa nota, sia io che i ragazzi sorridiamo e gli lasciamo questa “libertà sonora”. Mi riempie di gioia. Per fare una piccola pausa dalla canzone religiosa, insegno ai flautisti “Nella vecchia fattoria!”, è la preferita di Mugambi! Verso le 18.30 Martin dice che dovremmo andare al pozzo a leggere i dati della pompa. Dico ai ragazzi che ci saremmo visti il giorno dopo alla solita ora e alcuni mi chiedono di poter tenere il flauto per esercitarsi; mi rendono ancora più felice; significa che apprezzano il mio lavoro e desiderano imparare in fretta, perché sanno che il tempo a nostra disposizione è agli sgoccioli. M’incammino verso la mia camera e li sento suonare “Nella vecchia fattoria!”, gli piace proprio tanto questa canzone!!! Ora sono le 22.35 e sento qualcuno strimpellare ancora, di sicuro domani qualche professore verrà a lamentarsi per il casino, ma io vado a dormire con un sorriso a 32 denti. Li adoro! DAY 14 – 17/01/2019 Altra giornata da incorniciare! Questa mattina Martin ed io abbiamo finito di foderare i libri della secondaria, credo fossero più di 300. Siamo super contenti, siamo andati come due missili, ma subito Francis ci spegne l’entusiasmo dicendoci che volendo ci sono anche quelli della primaria da ultimare. Lo facciamo volentieri per questi cuccioli. Pensiamo sempre più a come faremo senza di loro, senza questa dose quotidiana di felicità, di gratitudine alla vita, di serenità e apprezzamento delle cose semplici…come farò senza questi bimbi che ti stringono così forte da lasciarti un segno indelebile. Credo che nel salutarli piangerò come una fontana (…è meglio non pensarci!).

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Nel pomeriggio ho lezione di flauto…sono sempre più bravi! Canto e suono la chitarra; stanno in silenzio e mi ascoltano con stupore, sorrido mentre canto, sono grata che piaccia la mia voce, ma sono un po’ sorpresa da questa cosa, loro cantano tutti benissimo! Finita la strofa dico in inglese: -Cantate con me! Alex, un ragazzino di 14 anni mi dice: -No, prima ancora una volta tu da sola!. Mi sciolgo! Domani andiamo al Meru National Park a fare il safari, Francis sceglie anche una decina di bambini e ragazzi tra i più meritevoli, sono troppo felice! Almeno anche loro possono fare una gita, magari la prima della loro vita e così noi ci sentiamo un po’ meno in colpa di usare un autista solo per noi tre. Ci saranno anche Brian e Jeremy, due bimbetti simpatici e dolci per i quali nutriamo e riceviamo affetto. Sono eccitatissima, penso più di loro, infatti non ho chiuso occhio. Sveglia ore 3.30! DAY 15 – 18/01/2019 Giornata avventurosa e indimenticabile a dir poco! Partiamo alle 4 come deciso per riuscire ad arrivare al parco abbastanza presto. Sognavo l’alba nella savana da sempre, con in lontananza una scena di caccia tra un leone e una gazzella, con la sigla del Re Leone cantata da Ivana Spagna…ma niente, questo sogno rimarrà tale!?! Nonostante i ragazzi prima di partire abbiano recitato il rosario, a 15 km dalla partenza su un dosso è partito uno dei freni posteriori del VAN. Ce ne rendiamo conto perché Francisco non riesce a frenare e prende il dosso in velocità. Fortunatamente per le preghiere o forse perché eravamo legati, non ci facciamo nulla!!! Francisco preoccupato ci chiede se stiamo bene; siamo tutti tranquilli. Il furgone però è rotto, sono le 4 e mezzo del mattino, siamo vicino a Nkubu. L’autista conosce un meccanico (o almeno penso lo sia!), che giustamente a quest’ora dorme, ma lo sveglia lo stesso. Bussa ad una baracca in lamiera e sentiamo il rumore della portiera di un furgone che si apre: stava dormendo in macchina!?! Non capisco cosa si dicono. L’attesa è lunga, i ragazzi nel frattempo recitano un altro rosario e intonano qualche inno sacro. Brian mi canta “Shalom” una canzoncina inventata da Giusy sull’orfanotrofio. Verso le 7.30 il meccanico ha finito con la riparazione, Martin mi dice che ha utilizzato anche dei ferri che c’erano per strada, sarà affidabile? Speriamo! Lo paga lui, 200 scellini (2€). Riusciamo quindi a partire, un po’ tristi per aver visto l’alba da questa baraccopoli, ma comunque emozionati. Sulla strada per il parco un incosciente con una macchina grigia sta viaggiando contro-mano, quasi facciamo un frontale, ma fortunatamente e per merito del nostro autista tutto si conclude per il meglio. In questo caso devo proprio dirlo, Dio oggi è dalla nostra, fortuna i ragazzi pregano un sacco!!!

Sono seduta vicino a Brian, anche Jeremy avrebbe voluto che mi sedessi vicino a lui, ma essendo un flautista lo vedo molto di più di Brian, quindi decido di rimanere un po’ più con lui. Ricordo che uno dei primi giorni che del mio arrivo a Shalom, per attirare l’attenzione di alcuni bimbi ho fischiato con due dita in bocca, rimasero tutti meravigliati, tranne lui che provò subito ad imitarmi e dopo alcuni tentativi ci riuscì. Sono super felici ed eccitati di andare a vedere gli animali ed io penso di esserlo più di loro! Brian è orfano, ha circa 9 anni, fisicamente è piccolino ma ha un viso sorridente, con dei lineamenti pazzeschi. Appena saliti sul VAN questa mattina presto cantava, si muoveva come per danzare e ne faceva di tutti i colori, ma a causa dei vari “incidenti di percorso” si calma e si addormenta su di me. E’ incredibile come ad ogni dosso preso da Francisco, anche se sembra dorma abbastanza fisso, non lascia mai la presa del mio braccio, della mia mano, anzi la stringe ancor di più. La voglia di affetto che hanno questi bimbi è incolmabile! Sono felice mi stringa forte forte a sé, significa che di qualche adulto questi bambini si fidano ancora, nonostante tutto ciò che hanno subito e visto. Il sole si alza, ma il viaggio è ancora lungo. Ogni tanto Brian si sveglia per vedere se siamo arrivati, ma subito si riaddormenta stringendomi sempre più. E’ stupendo questo bimbo: ha la nuca coperta di questi capelli “da

africano” raccolti in boccoletti, ma sono corti, pochi millimetri dalla cute. Ha un viso dolce, rilassato e

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felice. Ha ciglia lunghissime e folte, che evidenziano i suoi bellissimi occhioni bruni da cerbiatto, tanto penetranti ed espressivi. Ha la pelle morbida e delle cicatrici sul volto, che mi fa rabbuiare pensando a come possa essersele procurate; un brivido mi percorre la schiena. Ricordo le parole di Francis: “Il 60% di loro è stato violentato, picchiato e maltrattato dai genitori”. Non voglio pensare che una madre o un padre possano anche solo aver sfiorato una creatura così indifesa. Scaccio via questo pensiero e fingo di credere che siano cicatrici da bambino, fatte giocando con gli altri amichetti a Shalom Home. Lo osservo estasiata, non so perché ma questo bimbo ha rapito la mia attenzione da subito, ha un sorriso magico, anche se con un dente “sbeccato”! Mi convinco ancora sia stato giocando, non posso pensare che gli abbiano fatto del male. E’ educato, premuroso, molto dolce…vorrei metterlo in valigia e portarmelo appresso. Passiamo una bellissima giornata assieme. Non so chi dei due sia più entusiasta nel vedere gli animali, faccio un sacco di foto col cellulare che poi lui riguarda mille volte al rientro. Mi stringe ancora la mano con delicatezza, ma non lascia mai la presa, nonostante il caldo. Gli accarezzo con il pollice le nocche, gli piace tanto. Dentro di me penso: “L’avrà già adottato qualcuno questo bimbo d’oro?”. Devo chiedere a Giuliana, si merita di avere un buon futuro lontano dal brutto mondo che lo circonda fuori dall’orfanotrofio. Non abbiamo visto il leone, ma sono felicissima, abbiamo visto zebre, giraffe, impala, antilopi, elefanti, rinoceronti e ippopotami. Uno spettacolo dietro l’altro! Immersi in questa terra sconfinata, ogni chilometro di savana illimitata è stato un piacere per gli occhi! Un ringraziamento speciale però, oltre che per Francis che ha permesso tutto questo e a Francisco che ha guidato per tutto il giorno, va al “VAN” con più di mezzo milione di chilometri, per averci riportati sani e salvi a Shalom Home. Non ci avrei giurato!!! DAY 16 – 19/01/2019 Oggi giornata strana e diversa. Dopo colazione Francis ci dice che dobbiamo andare al funerale del padre di una bambina dell’orfanotrofio, Sharon, così possiamo vedere come si svolgono le funzioni religiose, qui. Mi chiedo perché è all’orfanotrofio se il padre lo aveva. Andiamo col mitico VAN, siamo una quindicina tra bambini e ragazzi. Lei sorride, in viaggio l’autista mette la musica, canta e balla spensierata, capisco che non gli han detto che l’uomo che è morto è suo padre. Arriviamo alla chiesa, probabilmente vedendo tutti i suoi parenti capisce e corre verso quelle persone. Le dicono del padre, è stato ucciso da dei delinquenti in un appartamento a Nairobi l’8 gennaio (11 giorni fa!). Formalmente era lì per lavoro con un amico e sono stati uccisi entrambi; era giovane, un quarantenne. Anche se è un funerale cantano e ballano la solita musica africana allegra, ma non capisco le parole del prete perché parla in swaili. Le persone scattano foto col telefono, fanno video con la telecamera. Mi sembra un po’ strano, queste cose da noi non si fanno. Riprendono la bara e l’altare, chiedo a una bimba che è lì con me se è una cosa normale e mi dice che qui è tradizione fare così. La famiglia del morto poi, chiamando anche Sharon, sale sull’altare per fare le foto con la bara, come facciamo noi ai matrimoni e alle comunioni. Mi sembra assurdo ma vabbè, è anche assurdo che ci siano sia la mamma che la nonna della bambina, non capisco! Chiamano anche noi a fare le foto col morto; sono un po’ sconvolta, sinceramente non vorrei, ma facendo parte della comunità dove sta la figlia devo partecipare. Finite le foto mettono la bara in una sorta di carro funebre/pulmino. Kelvin un ragazzo che c’è con noi mi dice che qui i morti si seppelliscono nel giardino (sta cosa mi fa un po’ senso) e che non esistono i cimiteri. Andiamo in questo posto, c’è una casa bellissima simile alle nostre, è una delle poche che vedo che non assomiglia a una baracca di lamiera e mi capacito ancor meno di tutta questa situazione. Perché Sharon è a Shalom se ha genitori e casa? Chiedo spiegazioni a Kelvin: il padre non l’aveva riconosciuta e probabilmente lei non sapeva neanche della sua esistenza, la madre è una psicopatica alcolizzata e questa non è casa loro, ma di un vicino. Ok, ora capisco e penso sia molto meglio che la bimba sia lì in orfanotrofio con noi. C’è un coro che canta vicino a una grande buca scavata al fianco di un’altra tomba tutta in sasso bianco. Dopo aver calato la bara e recitato una preghiera la gente inizia a buttare la sabbia a pugni, come si fa anche da noi, poi alcuni uomini con dei piccoli badili (col manico corto) iniziano a coprire il buco. Nel frattempo alcune persone stanno filmando con la telecamera e col cellulare, forse per loro è un giorno da ricordare, penso! Mi da quasi fastidio questa cosa, come il fatto che la madre e la nonna siano super carine con la bambina. Dopo la

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sepoltura vogliono che io, Christian e Caterina facciamo una foto con la tomba, noi ci rifiutiamo dicendo che da noi non si fa, non ci sembra rispettoso. Dopo la cerimonia c’è una specie di catering che distribuisce il pranzo, mi fa troppo strano mangiare davanti a delle lapidi. Vabbè, è tradizione loro, quindi mangiamo. Un’altra cosa che mi incuriosisce è l’atteggiamento quasi infastidito di Sharon nei confronti della madre e dei famigliari, capisco che c’è qualcosa di strano in questo suo comportamento. Si è fatto tardi, dobbiamo tornare a Shalom Home. L’autista saluta i parenti della bambina e lei distaccatissima li saluta con un cenno, prende la mano a Martin e gli dice “andiamo!”. Rimaniamo stupiti, pensavamo di essere noi le ultime persone a scaturire interesse nella bambina in questo giorno, e invece. Fuori dal giardino, vicino al cancello di entrata ci sono delle foto appese con dello scotch, non capisco. Kelvin mi spiega che i fotografi che han fatto le foto durante il funerale poi alla fine le vendono a chi le vuole comprare. 50 scellini per una foto! Ovviamente non la vogliamo ci sembra “troppo assurdo”. Saliamo sul VAN e una signora, penso una parente di Sharon ci segue e ci ringrazia, molto gentilmente. La bimba è molto triste, ma si vede che vuole andar via da questo posto, partiamo e dopo qualche minuto di lacrime si appoggia sulla spalla di un suo amico, lui le appoggia la testa sulle sue gambe e lei si addormenta. Che gesto carino! Tornati a Shalom, Francis ci spiega velocemente la storia di Sharon, che il padre non l’ha voluta riconoscere e essendo la madre un’alcolizzata è stata portata lì da un’assistente sociale dopo essere stata avvisata da dei passanti che avevano trovato la bambina in paese a chiedere l’elemosina. La signora simpatica che sembrava un famigliare era l’assistente sociale, ecco perché è stata così carina con noi, conosceva le persone di Shalom. Abbiamo chiesto a Sharon se voleva compagnia, eravamo un po’ preoccupati che stesse male, ma tornata tra le amichette dell’orfanotrofio sembrava già più serena e sorridente. E’ proprio vero che i bambini e i ragazzi che vengono qua vogliono abbandonare le situazioni che hanno a casa. La sera raccatto i flautisti che nel pomeriggio erano impegnati e facciamo una sorta di prova generale, è sabato quindi domani dovremmo debuttare. Riesco a spiegare loro come vorrei fare la canzone: una strofa cantata con 4 flauti solisti, un’altra solo suonata dai flauti e l’ultima cantata da tutti. Dopo diversi tentativi riusciamo a suonarla al completo! Neanche farlo apposta entra padre Francis nella sala, riconosce subito la canzone che tanto gli piace e inizia a cantare con noi con gli occhi lucidi dalla gioia. Sono felicissima anch’io, orgogliosa dei miei ragazzi e molto soddisfatta che l’esperimento di portare i flauti sia riuscito. In neanche un’ora al giorno per una settimana, col mio inglese orribile, ce l’abbiamo fatta!!! Sono super carichi ed eccitati anche loro per domani, spero non facciano “stramberie”! L’ho già detto che li adoro? DAY 17 – 20/01/2019 Giorno del debutto! Sveglia ore 6, ritrovo ore 6.30. I flautisti sono ancora assonnati, un po’ anch’io anche se sono stra euforica, ma va bene così, sarebbe domenica anche per loro poveretti! La funzione viene svolta all’esterno così ci stanno tutti: primaria, secondaria e college, altrimenti durante la settimana si devono alternare, perché la sala non è sufficientemente capiente per gli studenti dei tre ordini di scuole. Ci disponiamo in fondo al coro. Sono contenta perché siamo dietro a una fila di ragazzi che cantano da basso, mi piacciono un sacco le voci maschili. Io ho la chitarra, gli altri flauto e spartito; ci esercitiamo una volta prima che inizi la messa. Sono un po’ agitata ma, mi sforzo di essere tranquilla, mi godo ancora i loro canti e balli che sono stupendi. Mi giro guardando verso la folla, vedo che c’è padre Joele, ma dov’è Francis??? Dovevamo dedicargli la canzone!!! Ci resto quasi male, ma poi penso che sicuramente sarà successo qualche imprevisto che l’ha tenuto occupato. Fa niente, chiedo a brother Momo se a fine messa possiamo suonarla comunque, mi spiace deludere il mio gruppetto. Chiedo al prof Anthony se a fine celebrazione possiamo esibirci e mi dice di si con un mega sorriso. Alla fine della messa il prof mi fa un cenno con la testa quando è il nostro turno, ci invita ad andare davanti, vicino all’”altare” per non voltare la schiena agli ascoltatori. Ci disponiamo e iniziamo: io suono la chitarra, Jeremy mi regge lo spartito, Martin suona il flauto e dà gli attacchi. Ci sono anche tre/quattro ragazzini che cantano e Doris, una bimba di 11 anni, molto timida, ma educata e carina e Derrik un ragazzo dell’ultimo anno

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della secondaria. La cantano con passione, questo pezzo piace loro molto come piace a me. Iniziamo a suonare/cantare e tutto sommato va anche bene, a parte qualche stecca!!!! Ma non mi interessa più di tanto se fanno errori o no, li guardo e penso…sono in Africa, sti ragazzini non sapevano leggere le note, non avevano mai visto un flauto e per di più non parliamo la stessa lingua. Mi sento orgogliosissima di loro! Tutti applaudono contenti a fine canzone, probabilmente l’avrebbero fatto anche se avessimo suonato male! I flautisti sono tutti felici, sorridenti! Io emozionata li ringrazio. Vorrebbero che gli insegnassi un’altra canzone, dico che non so se avremo tempo nei prossimi giorni, ma mi riempiono il cuore perché avrebbero l’entusiasmo per continuare, vuol dire che con questa cosa ho lasciato il segno e non può esserci soddisfazione più grande. Sono stati unici, impegnati, determinati e a volte “casinisti”! Quando perdevo la pazienza fingevo di tirargli il flauto, si spaventavano un sacco per poi scoppiare a ridere e quando continuavano a suonare a vanvera, facevo un fischio con le dita in stile “richiamo del bestiame” e anche lì giù tutti a ridere! E’ stato proprio bello, sarà un ricordo che custodirò sempre con gioia ed emozione. Dopo colazione siamo liberi. Ci accordiamo con Derrik per andare a fare due passi alla farm, a salutare la GrandMa Jojo (97anni) e con la scusa lui e un altro ragazzo della Form4, mi sfugge il nome , ci portano alla cava. Me ne aveva parlato Maria, qui lavorano tutto a mano, fanno scavi, spaccano pietre a suon di mazza, è una cosa impressionante, chissà che fatica questo lavoro! Al rientro facciamo due chiacchiere, Derrik è molto in gamba, credo sia il ragazzo che si è affezionato più di tutti a noi.

Dopo pranzo, alcuni dei miei flautisti della primary mi dicono che la prof. Lucy gli ha dato il permesso di portare me e Martin a fare un giro a piedi. Ci incamminiamo verso la parrocchia del paese, incontriamo gente che non mi piace, si vede che sono ubriachi o drogati non saprei, non mi piacciono han delle brutte facce, uno ha un macete in mano. Chiedo se sono sicuri che possiamo passare di qua da soli, sulla strada principale e rispondono di sì. Cerco almeno di tenerli raggruppati a bordo strada, sono in 11. Dopo la parrocchia vogliono andare a Mitunguu in paese, fa caldissimo, io ovviamente sto diventando “paonazza”. Rido perché Alvin si accorge che sto diventando rossa e mi dice: -Ma può farti morire il

sole?. Che carino si è preoccupato per me. Spiego che avendo la pelle così chiara devo sempre mettere una protezione alta, ma che anche con quella a volte (sempre) mi scotto. Mi dice: -La pelle nera è impossibile che si scotti! Rido e dico che li invidio molto. Abbiamo sete, è caldissimo, Martin aveva portato dei soldi, compriamo una Fanta a testa, sono contentissimi, come gli avessimo regalato il mondo e ci ringraziano tanto. Prima di dare le bottigliette però raccomando di non buttare l’immondizia per terra come sono abituati a fare. Doris bravissima tira fuori da una tasca un sacchettino di stoffa e mi dice che possiamo raccoglierle tutte lì e poi buttarle al rientro. Tutta la gente del paese ci guarda, qualcuno esclama “Muzungo”, “bianco”, chiedo di nuovo ai bimbi se siamo al sicuro, il più grande, Roger mi chiede ridendo se ho paura. Gli rispondo che essendo noi i loro responsabili in questo momento non voglio ci succeda nulla, mi dice di stare tranquilla, che Francis li ha abituati a girare nella comunità. Facciamo un giro lunghissimo in mezzo ai bananeti, attraversiamo un fiume sui sassi, fino ad arrivare ancora alla cava. Anche se ci eravamo stati la mattina siamo felicissimi di trascorrere del tempo con loro. Siamo entusiasti, quasi emozionati. E’ incredibile come questi ragazzini siano attenti, responsabili, ma pur sempre piccoli! Perché è questo che sono, anche se molti di loro già all’età di 4/5 anni avevano già esperimentato e subito le “torture della vita”, pur non facendolo pesare a nessuno e recitano comunque la parte dei bambini spensierati in un modo che adoro. Tornati all’orfanotrofio ho bisogno di una doccia, sono ustionata e piena di terra (questo in realtà succede ogni volta che si gira sia a piedi che in macchina sulle strade sterrate!). Dopo una rinfrescata prepariamo la cena ai disabili, gliela portiamo e mi sento frastornata. Come farò venerdì a salutarli? Ne sarò in grado? Fisso Mugambi che è “fortissimo” nel non voler farci notare quanto male gli dia la schiena. Antony è pieno di bronchite (il fratello Edwin è morto poco dopo averla presa) mangia felice, ha gli occhi che parlano, dicono “grazie” con amore e sincerità. Cerco di non commuovermi ma è dura non pensare a quando arriverà, forse a breve, il giorno del loro addio. Povere anime, li saluto e esco veloce, non voglio mi vedano piangere. Fuori incontro il mio Brian, ha

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una ciabatta sola, mi guarda sorridendo, non capisco se l’ha rotta, l’ha persa o qualcuno gliel’ha presa, mi stringe la mano canta e balla. E’ troppo bravo, uno spettacolo per gli occhi. Sono “troppo felice” di aver conosciuto questo bambino, ma consapevole che tra pochi giorni questo concentrato di gioia finirà. Mi viene il magone, ma non voglio scoppiare, mancano ancora 4 giorni. Lui mi fissa, arriva Alvin uno dei miei flautisti e gli parla in swaili. Mi dice poi in inglese che Brian gli ha appena detto che vorrebbe accompagnarmi in aeroporto per salutarmi. Come faccio a trattenermi? Non riesco, infatti scoppio in lacrime. Fortunatamente è già buio, si accorgono solo loro, Alvin mi guarda con i suoi occhioni luccicanti pieni di spensieratezza e dice: -Don’t cry! (Non piangere!). Dico che mi mancheranno tanto e lui risponde sorridendo: -Anche tu!. Devo inventarmi una scusa, dico che vado a cena altrimenti non smetto più, li bacio e vado via. Entrambi hanno degli occhi e un sorriso che non scorderò mai, spero possano avere un bel futuro, pieno della gioia che ogni bambino del mondo si merita di avere! DAY 18 – 21/01/2019 Stamattina niente messa, chissà perché! Brother Momò ci invita a meditare in una stanza dove va anche lui a pregare; rimaniamo qualche minuto, poi però torniamo a foderare i libri. Vogliamo terminare il lavoro e pensiamo di poter meditare anche mentre facciamo andar le mani!!! Dopo i libri andiamo a dare una mano a Giusy; ha una scritta da farci dipingere sul muro del corridoio dove ci sono le stanze dei Brothers e per i volontari. “I am the way, the truth and the life. – John 14:6”. E’ bellissima questa frase, mi fa tanto pensare. “Io sono la via, la verità e la vita”, molto bella, profonda. Sei tu che costruisci il tuo destino…è molto vera! Mi fa pensare molto, a quanto sto bene qui e a quanto sarà dura riambientarsi su, in mezzo alle mille distrazioni, al “caotico” avere tutto, allo stress e spesso all’infelicità. Il sorriso questi bambini ce l’hanno stampato in faccia e ogni volta mi chiedo come facciano. Avrebbero tutto il diritto di essere tristi, ma se ne fregano, voltano le spalle alle malvagità che han dovuto sopportare prima di venire qua, e sorridono facendo del loro meglio. Nel pomeriggio andiamo a Chaaria all’ospedale, ci offriamo per andare a prendere Jessy, che era stato ricoverato per la malaria e Isaac, un ragazzino operato a una fistola perianale. Erano stati messi nella stessa stanza, quindi eravamo tranquilli a lasciarli là soli, badavano uno all’altro e si facevano compagnia, Andrea, un medico volontario molto disponibile, ci avvisa che verranno dimessi entrambi oggi. Ricordo che la prima volta che si era presentato chiacchierando gli avevo detto che ero della Val di Sole in Trentino, lui è di Salerno. Mai avrei pensato che conoscesse le mie zone, ma poi mi disse di essersi specializzato a Trento e che per due anni ha fatto la guardia medica a Pellizzano. Gli faccio la battuta: -Com’è possibile che sei stato due anni a Pellizzano e ci conosciamo in un ospedale del Meru?”, altro che piccolo il mondo! Isaac è un ragazzino molto solare e garbato, cammina con passi piccoli e vorrebbe essere autonomo, ma quando gli porgo la mano per aiutarlo, l’accetta volentieri. Dopo due giorni dall’operazione non so neanche se possa camminare, figuriamoci sullo sterrato tra i sassi, l’immondizia e salire sul VAN che non è poi così basso. Con un salto atletico ce la fa a spingersi e sedersi sul sedile, immagino che con tutte le buche presenti in strada dovrà stringere parecchie volte i denti. Jessy quando capisce che siamo venuti per riportarlo a “casa”, sprizza gioia da tutti i pori e ci viene incontro con un sorriso stampato sul volto. Ho cercato di dirgli qualcosa ma non credo capisce bene l’inglese perché non mi risponde, però mi guarda sorridendo. Al rientro gli compriamo qualche banana, perché sono affamati; fortunatamente è venuto con noi un ragazzo della High School, Newton, così può parlargli in swaili e ha potuto occuparsi velocemente anche delle carte di dimissione. Al pomeriggio continuiamo ad abbellire la zona dei visitatori, dipingiamo di rosso le finestre così da ravvivare un po’ la zona. Non so se i miei alunni di flauto vogliano esercitarsi, eravamo d’accordo di imparare un’altra canzone, ma credo non ne abbiano il tempo; hanno sempre la giornata impegnata “zeppa” di impegni. Non sento nessuno strimpellare in giro, di solito suonano dappertutto e a tutte le ore “quel coso”! Capisco che sono indaffarati contrariamente sarebbero venuti a cercarmi. So che domani avranno un test, sicuramente stanno studiando. Oggi sono arrivate delle dottoresse volontarie,

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siamo felici, così potranno controllare la salute dei ragazzi, soprattutto trattare il problema della scabbia e vedere come procedere per limitarlo. Nel frattempo stiamo con i bambini, Jeremy viene a farsi coccolare un po’, sa che tra qualche giorno è ora di salutarci quindi ogni volta che ci vede si incolla a noi. E’ un po’ una “sagoma”, fa finta di essere triste, poi però se gli faccio il solletico ride come un matto. Gli chiedo dov’è Brian, dice che è in classe a fare i compiti, deve essere molto bravo a scuola, è sveglio ed interessato, sa tante cose. Se Francis lo ha fatto venire al safari con noi, probabilmente se lo meritava. Dico a Jeremy di salutarmelo quando andrà a dormire, ma parte di corsa e se ne va, torna dopo un attimo con Brian. Chiedo se poteva e mi dice di aver finito di studiare, siamo seduti sul muretto fuori dal dispensario, mi prende la mano e inizia a giocare a “Sardina” e tanti altri giochi con le mani. Mi chiedo da quanto tempo non giocavo più così tanto con un bambino a questi giochi con le mani; Brian si diverte da matti e io con lui! Ogni tanto m’insegnano qualche parola in swaili, “Nakupenda” significa “ti voglio bene/ti amo”. Glielo dico mentre lo abbraccio facendogli il solletico sulla pancia e coi suoi occhioni luccicanti risponde qualcosa in swaili, non capisco ma penso intenda “anche io!”. Sono adorabili questi bambini! A cena chiedo al padre di raccontarmi qualcosa di lui. Brian ha perso entrambi i genitori, se ho capito bene prima la madre poi il padre. Stava con il nonno ed è arrivato all’orfanotrofio quando aveva 4 anni nel 2013. Vorrei portarlo con me, mi si stringe il cuore a lasciarlo qua. E’ così bravo, educato, rispettoso, responsabile e allo stesso tempo così tanto bambino! E’ “pura tenerezza”! Sarà dura venerdì! DAY 19 – 22/01/2019 Stamattina andiamo al mercato, doveva accompagnarci padre Francis ma è impegnato, allora ci accompagnano un autista e un altro signore. Meglio così, ci sentivamo in colpa perchè, sappiamo che ha sempre mille cose da fare. Visitiamo il mercato per alcune ore, troviamo un sacco di stoffe, bracciali in stile massai, cestini artigianali. Svaligiamo ogni banchetto di stoffe, sono troppo belle, colorate, l’idea sarebbe quella di venderle in Italia e mandare il ricavato a Francis per Shalom Home! Torniamo e mangiamo un po’ di frutta, sono le 16 del pomeriggio. Alle 17 avrei lezione di flauto, ma i ragazzi sono impegnati nei giochi. Li lascio fare, è una delle poche cose che organizzano extra alla preghiera e allo studio, sono felice si possano sfogare un po’.

Mi godo la compagnia di alcuni ragazzi liberi, chiacchieriamo, scherziamo, ci facciamo foto con il mio cellulare perché figuriamoci, se c’è una cosa che li attira è proprio il telefono! Ho addosso la maglietta della MelaMango, me la faccio firmare con l’indelebile, vorrei un ricordo di ognuno di loro. Sorrido e penso a come farci stare le firme di tutti loro. Impossibile! Ma ci proverò e se non ci stessero ogni stretta di mano e ogni chiacchierata saranno stampate in modo, ancora più indelebile, nei miei ricordi! Sono momenti difficili che mi mancheranno molto, pensare di andar via da questa vita ricca di felicità seppur povera di materialità, mi addolora. Starei qui! Prepariamo cena ai disabili, accompagno Isaac fino al

dormitorio, mi dice che gli serve un secchio di acqua calda per lavarsi la ferita; mi sembra strano essendo appena stato operato, ma gliela preparo. E’ sorprendente quanto sia premuroso ed educato questo ragazzo. Nel modo di camminare si vede che è sofferente, ma schietto, nasconde tutto dietro ad un sorriso “forzato”. Siamo all’entrata del dormitorio maschile, inizia a guardarmi in modo strano, capisco che è perché le ragazze non possono entrare, gli dico che gli porto il secchio in bagno e poi esco, ma non vuole, serio mi dice di lasciarlo alla porta. Vorrei tanto aiutarlo, il secchio pesa e cammina ancora a fatica, spero nel dormitorio ci sia qualche ragazzo che possa dargli una mano. Mi ringrazia tanto, gli auguro buona notte, anche se è ancora presto e torno verso la cucina. Sento un “Good night” proveniente da dietro, mi giro ed è Collins, uno dei miei flautisti della High School. Questo ragazzino ha degli occhi stupendi e un sorriso espressivo, è “super grazioso” nei modi di fare;

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è uno dei più bravi col flauto, mi ascolta volentieri. Mi chiedo come mai sia qui, vorrei tanto conoscere la sua storia, magari avrebbe bisogno di un’adozione per aprirsi una buona strada dopo la scuola, andare all’università, diventare qualcuno e allontanarsi dalla povertà che lo circonda fuori di qui. Chiederò a Francis sue notizie, mi è rimasto impresso fin dal primo giorno, non so come mai, forse per la sua gentilezza. Scrivo un messaggio a Giuliana per chiederle come funziona l’adozione a distanza. Mi risponde quasi subito, si tratta di 1€ al giorno, ci penso, non ho ancora trovato un lavoro stabile, ma penso che potrei farcela, alla fine parliamo di un caffè in meno al bar. Vorrei tanto aiutare il mio piccolo Brian, ma è già stato assegnato ad un’altra famiglia; un po’ mi dispiace, mi ha veramente rubato il cuore questo bimbo, ma sono felice che possa avere qualcuno che gli dia una mano per il suo mantenimento e per l’istruzione. Penso che potrei aiutare Collins, o qualcun altro. Domani indagherò chiedendo ai professori come stanno andando a scuola e chiedendo ai ragazzini che progetti hanno, se vorrebbero frequentare l’università oppure andare a lavorare. E’ difficile qui diventare grandi, devono difendersi da un mondo infame che non li tutela, non li aiuta e ancor meno li valorizza; sono già bravi a rimanere qui! Un po’ capisco chi molla tutto e scappa. Come tanti altri bambini e ragazzi bisognosi, ci sarebbe anche un altro Brian che forse avrebbe più bisogno, il fratello minore di Antony e Phineas, i distrofici. Probabilmente a breve finirà anche lui sulla sedia a rotelle; forse avrebbe bisogno di un aiuto più consistente, ma finché non troverò un lavoro non posso aiutarlo. Non so neanche se riuscirei emotivamente a sapere che ha una vita limitata, costretto in un letto o su una carrozzina. Vedrò appena torno in Italia, per uno o per l’altro credo proprio lo farò, alla fine si tratta rinunciare a qualcosa di materiale che comunque non mi serve sicuramente per sopravvivere! (1€ al giorno!!!) DAY 20 – 23/01/2019 Si avvicinano gli ultimi giorni, il pensiero di dover andare già via e’ “moralmente sfiancante”! Non dormo bene questa notte, sento proprio il peso del ritorno. Vorrei stare qui dove “con niente si ha tutto”. Terminiamo di foderare i libri per la Primary. Sia io sia Martin siamo un po’ “mosci”, anche lui starebbe qua. Lui almeno al rientro ha un lavoro, io sto ancora aspettando notizie e pensare di tornare senza avere un’occupazione mi stressa parecchio perché qui sarei molto più utile, senza aver bisogno di chissà quale laurea o curriculum “colmo” di titoli. A malincuore iniziamo a sistemare un po’ la roba da riportare a casa; le valigie sono in sostanza vuote, perché anche dei miei vestiti lascio qua un bel po’ di roba. Lavo a mano gli indumenti che decido di lasciare così per domani saranno asciutti e potrò sistemarli nel magazzino. Mi piacerebbe tanto sapere chi sceglierà le mie cose!?! Prima di pranzo facciamo un salto dai disabili, mi spiace perché con tutte le cose che avevamo da fare, ultimamente, da loro passavamo solo per un saluto o quattro chiacchiere, quando gli portavamo la “cena speciale”! Oggi ci siamo fermati un attimo in più, chiedo a Phineas se mi “autografa” uno dei disegni che gli avevo portato da colorare e se posso portarmelo in Italia. Tutto felice mi dice di sì e impegnandosi inizia a scrivere il suo nome e poi anche quello del fratello e di Mugambi. Ho addosso la maglietta con le firme, chiedo a Denis, un ragazzino che è sempre qui con loro, se mi scrive tutti i loro nomi. Gli chiedo di firmare sulla manica così saranno in un posto “speciale” rispetto agli altri. Penso a cosa farà Denis quando Phineas o uno degli altri moriranno; non hanno la stessa età, lui è molto più piccolo, ma in particolare lui e assieme ad un altro bambino, James, sono sempre qui quando non hanno scuola. Fanno compagnia a questi bambini sfortunati, senza nessun problema: i ragazzi devono andare in bagno, li aiutano con il pappagallo o con la padella, se devono cambiarli li cambiano. Rimango sempre più impressionata dalla cura che offrono loro e che lo facciano con tanta naturalezza. Non è una cosa alla portata di tutti. Salutare questi angeli, che sono venuti sulla terra con

una sola missione, cioè quella di diffondere sorrisi, sarà ancora più dura che salutare gli altri. Dopo pranzo aiutiamo Giusy che mi propone di fare un’altra scritta sul muro. Mi dice che ha una piccola sagoma dell’Africa in cartone, capisco subito cosa vuole fare. Le propongo di ricalcare la sagoma, magari a triangolo “3 afriche stilizzate” e poi intorno a cerchio scrivere uno dei motti di Shalom Home: “Obedience – Humility – Self giving”! (Obbedienza – Umiltà – Dare se stessi!) Mi piace un sacco come idea, vorrei mettere anche la traduzione in swaili, fatalità me l’ero già fatta tradurre per mia curiosità da padre Francis. Chiedo conferma a Brother Jackson: “Kutii – Kujinyenyekeza – Kujipeana”! Ne esce un buon lavoro, io faccio la scritta a matita e poi Martin mi aiuta a colorarla con le tempera:

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sono orgogliosa. Abbiamo lasciato anche un segno artistico, Giusy ha ragione, è tutta un’altra presentazione questo posto, sia per gli ospiti che per i ragazzi. Finito il dipinto, vado a vedere se c’è qualcuno libero per suonare un po’, ma alcuni ragazzi hanno coro, altri catechesi, qualcuno calcio. Lascio stare, ormai manca poco, se vorranno impareranno qualche altra canzone con Giusy o con il prof. di musica, so che ce la faranno. Vado a dipingere i bordi di una bacheca dove ci sono appesi gli avvisi, Brother Momo mi ha chiesto se era possibile farla risaltare un po’…scelgo il colore rosso! Mentre torno in camera incontro alcuni ragazzi della High School, facciamo due chiacchiere. Son simpatici, carini, educati, dove li trovo 15enni così, volenterosi di parlare, disposti ad ascoltare!?! Alcuni mi danno il loro numero, che salvo

su whatsapp perché qui ho una scheda kenyota io do il mio e dico che se verranno in Italia, prima o poi, dovranno assolutamente chiamarmi. Tanti di loro il telefono non ce l’hanno e gli altri qui non lo possono tenere, ma magari neanche si ricorderanno di me una volta tornati a casa. Fa strano pensare a loro con il telefono, han le scarpe rotte, i vestiti strappati, però anche Francis ci spiegava che magari i genitori, pur di avere il telefono facevano a meno di comprare il vestiario o il cibo, e che alcuni di loro che, avrebbero la possibilità di avere il cellulare e una casa, scappano perché in quella casa li accolgono solamente genitori violenti e drogati. Che assurdo questo mondo a volte! Facciamo una foto tutti assieme, mi mancheranno tanto. Prima di cena, stasera pasta italiana (Martin per

sicurezza aveva portato 1 kg di spaghetti), buttiamo giù due righe per Francis, un modo per ringraziarlo del tempo passato assieme e di questa bella opportunità che ci ha offerto. Ci chiama nell’ufficio, sta organizzando il viaggio per andare verso l’aeroporto a Nairobi. Lui dovrebbe andare già domani perché deve sbrigare delle faccende all’ambasciata con Peter, un ragazzo che ha una distrofia mandibolare, che gli fa crescere di continuo l’osso della mandibola; già anni fa lo avevano operato al Santa Chiara di Trento e quest’anno dovrebbe tornare per una seconda operazione quindi deve sistemare tutti i carteggi per rimanere in Italia 2/3 mesi. Lui e Peter partono oggi mentre noi dovremmo partire venerdì pomeriggio avendo l’aereo alla sera. Martin già prima mi aveva detto che secondo lui ci faceva partire oggi con loro. Io resto di pietra, non vorrei partire prima e perdermi una giornata coi bimbi! Gli chiediamo cosa vorrebbe fare, se è proprio impossibile farci partire di venerdì da soli, andando un po’ contro la scritta che abbiamo dipinto oggi, infrangendo la prima parte: “Obbedienza”, ma lo facciamo per una buona causa. Prima di partire però vorrei salutare tutti, proprio tutti! Mentre stiamo decidendo come organizzarci arriva Brian in ufficio, chiede informazioni per un libro che vorrebbe leggere: che bravo è sto cucciolo! Resta lì anche mentre parliamo, stiamo parlando in italiano, ma ad un certo punto scoppia a piangere, probabilmente ha sentito nominare Nairobi. Non vuole farsi vedere, si copre il viso con le braccia, ma capisco che sta piangendo. Non capisco bene cos’ha, dico a Francis di chiederglielo e la prof Lucy che è lì con lui dice: -He is sad because you leave! (E’ triste perché partite). Ovviamente davanti a questo cioccolatino non riesco a trattenermi, mi vengon gli occhi lucidi e chiedo a Francis: -Allora cosa facciamo?, risponde: -Tranquilla faccio io, potete stare qua fino a venerdì! Cerco di consolare il mio piccolo, non vuole spostare le manine dagli occhi, singhiozza. Gli parlo, anch’io tentando di trattenere i singhiozzi! Mi scioglie il cuore sto bimbo, cerco di dirgli che ci sarò anche domani e che comunque dall’Italia lo penserò ogni giorno e pregherò per lui e per ognuno di loro. E lui singhiozza…lo porto fuori dall’ufficio, ho al collo una collanina con un tao, bianco e nero, me la tolgo e la do a lui. So che non è giusto fare preferenze o affezionarsi ad uno in particolare, ma è stato più forte di me! Gli dico che questa figura è fatta per una metà nera che è lui e per una metà bianca che sono io, e che insieme formano una cosa sola. Piange ancora di più e io con lui. Gli dico che dovrà essere un bravo bambino, che dovrà studiare, ascoltare i professori e Francis, cercare di diventare un buon ometto.

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Lui a ogni raccomandazione dice singhiozzando: -Yes!. Il mio cucciolo, che cuore grande ha! Ci raggiunge anche Jeremy, è triste ma si trattiene nel vederci in crisi entrambi. Li abbraccio ripetendo queste raccomandazioni quasi materne, ma mi sento di dirgliele perché so che ascoltano e so che non hanno una madre che gliele possa ripetere ogni giorno, come ho io. E’ difficile perché con ognuno di loro, anche coi più grandi, si scatena in me un istinto materno, un senso di protezione, quasi inevitabile: sono soli. A Brian in particolare, volevo dirle queste cose, sarà dura senza questi occhietti da cerbiatto! DAY 21 – 24/01/2019 Giornata devastante a livello emotivo! Meglio provare ad essere pimpanti però, perchè domani durante il lungo volo ne avrò di tempo per sbizzarrirmi e tentare di spiegare le diverse emozioni provate oggi. Una dose di affetto che conserverò per tutta la vita!!! Dico solo che il mio piccolo Brian mi ha sorpreso oggi, ma domani racconterò tutto meglio! DAY 22 – 25/01/2019 Giornata super impegnativa anche oggi…ma prima voglio raccontare la giornata di ieri! La mattina ci siamo “tenuti liberi” per rimanere accanto ancora un po’ di tempo, a Phineas e Mugambi, mentre Antony, di solito, la mattina è in classe. Prima andiamo in cucina a scrivere sul muro il nostro pezzo di canzoncina in rima scritta in ricordo di questa esperienza; Giusy lo fa fare a ogni gruppo di volontari che viene qui. Ci siamo fatti due risate nel scriverle e nel ricordare i giorni passati in questo posto, poi siamo andati dai ragazzi, ho portato due flauti di plastica giocattolo che, da usare come strumento non andavano bene. I ragazzi apprezzano tantissimo anche solo poter soffiarci dentro non avendo la possibilità di usare bene le mani. A Mugambi, visto che lui può uscire con la carrozzina, ho portato un cappellino con visiera della “Cassa Rurale Val di Sole e Peio”, aveva gli occhi pieni di gioia. Con l’indelebile gli ho scritto il suo nome così lo potranno usare sempre per lui. Poi mentre Martin ha ricalcato un po’ di disegni per Phineas, io ho scritto i loro tre nomi e ho detto a Phineas di colorarli così poi potranno appenderli vicino a ognuno dei loro letti. Non è un ragazzo di molte parole, ma mi è bastato vedere i suoi occhi brillare per capire la sua gratificazione. E’ difficile pensare che, anche se un domani potrei tornare, probabilmente lui non ci sarà. Verso le 12.30 siamo andati a vedere se le dottoresse erano pronte per pranzo, stavano ordinando dei file cartacei, volevano sistemare l’archivio medico dei ragazzi. Silvia, la dottoressa abruzzese ha detto che avevano quasi finito e poi sarebbero venute a pranzo, quindi le abbiamo aspettate per andare tutti assieme. Mi indica una “pila” di fogli mentre esclama: -Se vuoi quelle puoi leggerle! Ero convinta fossero una sorta di cartelle cliniche, mentre li sfogliavo, mi sono resa conto che erano pensieri scritti dai bambini. Mentre leggevo avevo la pelle d’oca: questi fatti orribili raccontati con la leggerezza dei bambini non sembravano neanche così gravi come, invece interpretate da adulto realmente sono state. Anthony scrive che prima di arrivare a Shalom ha camminato per 3 mesi in cerca di cibo con i due fratelli minori, Jan e Paul. Leggendo questa storia mi è venuto agli occhi subito il suo volto, sì, è il bambino che abbiamo accompagnato all’ospedale per la malaria con Eva, uno dei nostri primi giorni qui. Ricordo quando è tornato all’orfanotrofio, che sorriso e che gioia quando aveva finalmente finito la cura! Poi c’è la storia di Alex: aveva 11 anni quando è arrivato all’orfanotrofio, ho capito di chi si tratta, uno dei miei flautisti! Dice che anche la sorella è qui, che la madre non era sposata, era alcolizzata e poi scrive: “at this moment she’s in prison” (“al momento è in prigione”). Avevo i brividi, mi sono chiesta con chi staranno questi ragazzini quando rientreranno, se i genitori a casa non ci sono? Ho continuato a leggere: “Quando torno a casa non mi piace starci, sto in strada a cercare soldi per comprare qualche merendina”. Voleva dire che anche una volta arrivati in Shalom, quando tornano a casa per le vacanze non vengono accuditi, non gli danno da mangiare. Assurdo quanto questi bambini capiscano l’importanza dello stare all’orfanotrofio, la conoscono meglio di chiunque altro, sono al sicuro qui, si sentono protetti e questa cosa mi ha dato per un attimo un senso tranquillità, anche se un domani, usciti da qui dovranno sbrigarsela da soli. Ho impiegato un po’ a leggerle tutte, anche se senza rendermene conto avevo gli occhi lucidi, ma son poi riuscita a trattenermi. Sono arrivata ad un foglio un po’ più bianco degli altri, con scritto “Brian Micheni”, sarà stato il mio Brian? Vedo la data 2013, no impossibile, era troppo piccolo il “mio” per saper scrivere, ho capito che si trattava del Brian che c’è all’ultimo anno della primaria o forse quello che è alla secondaria, ce ne sono diversi con lo stesso nome. In cima alla pagina come consegna c’era scritto “10 ragioni per stare a Shalom Home” e c’era un elenco puntato: -Fuori ci sono molte persone che vogliono distruggere la mia vita;

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-ho realizzato che non piacevo ai miei genitori perché mia madre è morta e mio padre mi ha abbandonato; -voglio poter assistere gli altri giovani al di fuori di qui, come io sono stato aiutato da Shalom Home; -voglio stare qui per studiare, andare alla scuola secondaria e costruirmi un futuro. Le lacrime mi han rigato le guance, fin dal primo punto letto, ma son riuscita a fingere di star bene e nessuno se n’è reso conto. Ho letto tutta questa prima parte, ero spiazzata! Ho girato la pagina e a seguire c’era scritto in cima: “10 ragioni per cui potrei essere utile all’orfanotrofio”. Che tenerezza! Solo per citarne alcune: -Pulirò il dormitorio perché quando ero al primo anno i grandi lo pulivano per me; -posso aiutare a dar da mangiare e a curare gli animali; -posso aiutare i bambini più piccoli a lavarsi i vestiti. Quanto mi ha fatto pensare leggere queste cose, sono solo alcune delle storie dei bambini/ragazzi che ci sono qui, sono in 600 calcolando anche i ragazzi del college. Questo significa che ci sarebbero circa 600 storie così da leggere! Dopo pranzo abbiamo aiutato un po’ le dottoresse a sistemare i documenti. Erano stanchissime, in tre giorni non so quanti bimbi abbiano dovuto visitare, curare e quanto ordine nel dispensario abbiano dovuto fare, era un po’ incasinato! Verso le 15 è arrivato Francis; ha voluto parlarci da soli per spiegarci come fare ad arrivare a Nairobi e che avremmo dovuto prendere un “matatu” da Nkubu, una specie di pulmino taxi. Eravamo contenti perché questo ci ha permesso di rimanere un giorno in più, quanto è buono l’uomo nero pensai! Francis poi ha dato un bigliettino a Martin, intanto rideva e guardava me. Lì per lì non capivo di cosa si trattasse ovviamente, ho aspettato che me lo desse per leggerlo e rideva anche Martin. In inglese c’era scritto: “La ringrazio Padre per l’opportunità che mi ha dato di andare al Meru National Park. Le chiedo se per favore mi può concedere il permesso di andare in Italia con i nostri visitatori”. Mi sono commossa perché ho capito subito da dove proveniva, ma per sicurezza ho chiesto comunque a Francis chi gliel’aveva dato. Lui si è girato verso me e ridendo ha detto: -Secondo te?. Non ci credevo, il mio Brian che ha scritto una lettera formale al padre per chiedergli se poteva venire a casa con me. Quanto amore può esserci in un bambino!!! Essendo l’ultimo pomeriggio qui, ho detto a Martin che volevo stare con i “bimbi di cioccolato”. Uscendo dalla cucina abbiamo trovato proprio loro che avevano appena finito il turno di pulizia: Brian, Jeremy, Roger un tredicenne divertentissimo, Doris, Nickson e tanti altri. Abbiamo giocato un po’ fuori dalla dining-room, poi Roger ha proposto di andare alla cava. Guardando l’ora era troppo tardi anche se i bambini stavano già saltando dall’eccitazione, allora ho proposto di andare fino alla Melamango farm e poi tornare indietro. Ho chiesto se dovevamo chiedere a qualcuno il permesso, Brian mi ha tirato per la mano e detto convinto: -No, let’s go! (No, andiamo!). Ho preso per mano anche l’altro Brian, il fratellino minore dei distrofici, aveva la manina piena di pustole sanguinanti date dalla scabbia povero, ma non sembrava gli facessero male perché me la stringeva fortissimo. Erano tutti un po’ tristi per la nostra partenza di oggi, ho cercato di rincuorarli chiedendo di cantarmi una canzone. Il mio Brian ha intonato “Nella vecchia fattoria!”, mamma mia quella canzone oramai mi veniva fuori dalle orecchie, ma ovviamente l’ho apprezzata. L’abbiamo cantata a squarcia gola, tanto non potevamo disturbare nessuno perchè eravamo immersi nella campagna. Quanto si divertivano a fare i versi degli animali e ogni tanto gli facevo il solletico col dito che mi restava libero dal tenerli per mano quindi han riso per tutto il percorso come matti. Quando eravamo quasi alla stalla mi dicono: -GrandMa Jojo! Mentre indicavano col dito verso destra. Ho capito quindi che volevano andare a salutare la signora anziana che abita nella baracca qua vicino. Sono tanto premurosi con lei, ci tenevano a passare di là, in più ogni giorno a turni vengono tre volte a portargli da mangiare e a darle una mano se ha bisogno. L’hanno salutata stringendogli la mano e quando era il nostro turno esclamavano con tono orgoglioso: -This is a Mzungo (Questo è un bianco!), lei quindi ha cercato di sorriderci mettendosi più composta, come volesse porsi in modo più rispettoso. Hanno voluto fare una foto assieme, poi Jeremy prendendole la mano le ha raccontato qualcosa in swaili, mentre gli altri intanto hanno cominciato ad assalire la pianta di mango che Jojo ha di fianco alla baracca. Che pazzia questi bimbi! Saltavano su e giù per l’enorme albero, urlavano, mangiavano, mentre io pregavo perchè non cadessero e si facessero male! I manghi arancioni li han mangiati tutti, quando gli abbiamo chiesto di prendercene un po’ di verdi da portare in Italia, è stata una lotta a chi ce ne portava di più!!! Eravamo pieni di manghi, li tenevamo raccolti nelle magliette, anche i più piccoli ne avevano un sacco. I frutti maturi li han divorati in un secondo, siamo riusciti però a conservarne una decina di quelli verdi. Ho passato due ore stupende, immersa nella natura con questi cuccioli di cioccolato. Quanto sono stata bene! Siamo tornati col nostro bottino, abbiamo sistemato i manghi in una scatola da mettere in valigia. Nel frattempo è arrivata l’ora di cena, abbiamo scattato le

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ultime foto assieme ai bambini: avevano ancora gli occhi lucidi….Non ce la potevo fare, non ressistevo! Quanta dolcezza! Brian si è nascosto, è timido il mio ometto! L’ho visto andare nella dining-room tenendosi le mani sugli occhi, in un secondo ero lì con gli occhi lucidi anche io. Intanto sono arrivati alcuni ragazzi della High School, Martin, Collins, Eluid mi hanno chiesto come andava, ma hanno visto che ero a pezzi, non volevo Brian stesse così male, ma in realtà lo capivo! Abbiamo chiacchierato un po’, gli ho detto che avrei voluto tanto adottare a distanza Brian, ma fortunatamente per lui era già stato assegnato ad un’altra famiglia. Collins senza guardarmi in faccia di getto esclamò: -You can

adopt me! (Puoi adottare me!). Sono rimasta un po’ sorpresa dalla sua spontaneità! E’ sempre stato un ragazzino molto timido, sempre educato, mai sfrontato, sinceramente l’avevo notato proprio per questo e la sua affermazione mi ha sorpreso…forse è per il grande desiderio che ha di essere adottato. Inoltre, ogni volta che ci vedevamo mi salutava con un sorriso spontaneo e vero, cosa che non tutti i ragazzini più grandi facevano. Infatti per battuta una volta gli avevo detto che con quel sorriso e gli occhioni neri che si ritrova sicuramente qualche ragazzina sarebbe caduta ai suoi piedi!!! Qualcuno aveva esclamato scherzando: -You? (Tu?), ridendo risposi che oltre ad essere troppo vecchia per loro, in Italia avevo anche io un bellissimo sorriso che mi aspettava. Collins era un po’ imbarazzato, penso perché qui da loro non è come da noi, non si fidanzano da giovani, se hanno relazioni è perché le ragazzine vengono promesse come mogli a consorti scelti dai genitori e diventano madri prestissimo perché violentate a volte anche da diversi uomini o perché devono prostituirsi per mantenersi. Mi chiedo se sarebbe meglio per loro conoscere il nostro modo di vivere le relazioni, quindi fidanzarsi come una questione affettiva, divertendosi e volendosi bene, oppure se è meglio siano talmente religiosi che vedono l’amore come una cosa solo dopo il matrimonio. Mentre parlavamo i ragazzi giocavano con le mani, è incredibile quanto il contatto fisico sia una cosa normalissima qui, tra tutte le persone, di qualsiasi età. Anche tra i maschi, da noi non esiste, altrimenti ti guardano male. Mi facevano troppa tenerezza…pensavo tra me e me che forse anche uno di loro dovrebbe essere adottato, che forse avrebbero avuto più bisogno dei piccini, perché tra pochi anni dovranno uscire da qui e sbrigarsela da soli. Ai ragazzi ho promesso che ci saremo visti dopo, perché Brian era ancora nell’angolo a piangere e volevo andare a consolarlo. L’ho preso per mano e dalla dining-room siamo andati verso la panchina all’esterno, come sempre ci han seguito anche altri 5/6 bambini, Raphael si è seduto in mezzo a noi due, ma io comunque non ho lasciato la manina di Brian! Abbiamo cantato, scherzato e intanto è arrivata l’ora del turno di cena della Primary. Un ammasso di bambini ci ha circondato in un attimo, tanti chiedevano a me e a Martin quando saremmo partiti e io rispendevo che purtroppo saremmo partiti oggi. Hanno iniziato a dire: -Mi mancherai!, a chiedere: -Quando tornerai?, io ho cercato di non commuovermi e intanto rispondevo. Brian guardava in alto, vedevo che era per trattenere le lacrime, gli ho stretto la mano e detto che era l’ora di cena. Sentivo che muoveva la mano, non capivo cosa stava facendo perché avevo addosso troppi bambini, poi ho sentito che mi ha lasciato la mano, si è alzato e è andato a mettersi in fila, ma mi ha lasciato qualcosa in mano. Gli ho urlato: -Grazie!, ancor prima di guardare. Era un cuoricino blu, sembrava di bigiotteria o uno di quelli attaccati alle magliette come abbellimento, il retro era grigio, era tutto graffiato, probabilmente l’aveva trovato per terra, però brilla. Mi è sembrato il regalo più bello del mondo, ha pensato di portarlo a me, è stato carinissimo! Sta volta non ho potuto trattenermi, non ci sono proprio riuscita, me ne sono andata via dalla vista dei bambini per lasciar cadere le lacrime di commozione. Pensai che sono troppo coinvolta con questo bambino, non è una bella cosa, o quanto mento non è giusto, il distacco sarà ancora più difficile, soprattutto per lui che affetti non ne ha. Appena mi sono ripresa siamo andati a cena, ho raccontato del regalino che mi ha fatto il mio ometto, Martin e Caterina hanno detto per battuta che oramai eravamo una cosa sola! L’ho pensato anche io, ho messo il cuoricino nella cover del telefono così potrà essere sempre con me. Abbiamo aspettato le dottoresse per mangiare, c’era anche Peter il ragazzo del problema alla mandibola; mentre aspettavamo ci siamo sdraiati sul prato davanti alla cucina per guardare le stelle. Che cielo stupendo! Abbiamo chiacchierato un bel po’, Peter è un ragazzo molto in gamba, immagino quanto difficile sia avere questo problema, più che altro avere una mandibola in continua crescita significa avere gli

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occhi di tutti puntati addosso in ogni momento, non deve essere bello! Dopo “l’ultima cena”, io e Martin siamo andati dove ci sono i dormitori, eravamo d’accordo con alcuni ragazzi della High School che dopo la loro ora di studio ci saremo visti un attimo. Mentre stavamo aspettando che finissero la preghiera prima di andare a letto, abbiamo fatto quattro chiacchiere, noi due. Pensavamo a come sarebbe stato stare lontani da questo mondo e quante esperienze abbiamo vissuto qui, in sole tre settimane. Ci siamo consolati un po’ dicendo che magari prima o poi potremmo ritornare, magari per meno tempo, magari anche con i nostri rispettivi fidanzati, sarebbe molto bello! Dalla stradina sono arrivati i bimbi della Primary, che anche loro, dopo la scuola e la preghiera andavano a nanna. Senza rendermene conto da dietro Brian mi si è buttato addosso e si è seduto sulle mie gambe; era super sorridente, non collego e non lo comprendo perchè un’ora e mezzo fa era devastato, ma ne sono stra felice, aveva un sorriso indimenticabile. Abbiamo parlato un po’ poi gli ho detto che era tardi e che era ora di andare a letto, gli ho dato il bacino della buona notte e ho detto: -Good night! (Buona notte!) e lui ha risposto felice: -And good dreams! (E buoni sogni!). Come si fa a non amarlo!!! I ragazzi della secondaria uscivano un po’ alla volta, uno dei primi era Collins, è andato diretto verso il dormitorio senza salutarci, ma poi si era reso conto che eravamo lì ed è tornato indietro, ci ha stretto la mano. Era triste, gli ho tenuto la mano chiedendogli cosa avesse anche se immaginavo che era per la nostra partenza e intanto che ci guardava ha detto: -So tomorrow… (Quindi domani…); l’ho bloccato subito, non voglio piangere ancora, gli ho detto di andare a letto, anche perché sapevo che oggi avrebbero avuto un esame. Gli abbiamo augurato la buona notte dicendogli che oggi li avremmo pensati e pregato per il loro compito. Lui ha risposto con un: -Good night! (Buona notte!) e con una dolcezza unica e coi suoi “occhi parlanti”. L’abbiamo salutato mentre stavamo dando la mano alla valanga di ragazzini e ragazzine che vedendoci seduti per terra stavano arrivando a salutarci. Abbiamo trascorso una bella mezz’ora a chiacchierare e scherzare. Quanta purezza, so che avevo già fatto questo pensiero, ma è così; tutti i bimbi e i ragazzi del mondo sono bravi e buoni! Purtroppo quelli che vivono da noi, nel mondo in cui abbiamo tutto, sono attratti da troppe distrazioni e troppa materialità e dimenticano, a volte, il vero significato delle “piccole cose”. Tanto da perdersi il bello di questa genuinità che sta in una chiacchiera o in una risata sincera. Ci siamo abbracciati, qualcuno ha voluto due bacini sulle guance “come facciamo noi italiani”, qui non li usano, infatti sembrava di regalargli il mondo erano emozionatissimi e anche le ragazzine quando glieli ha dati Martin. Che grandi!! Sono andata a letto strafelice, ma non avrei pensato di non chiudere occhio. La notte tra il 24 e il 25, nonostante la stanchezza non ho fatto altro che pensare a come avrei fatto a ritornare ai ritmi di casa, in mezzo allo stress, alle persone che con un solo sguardo ti giudicano senza conoscerti, in mezzo a individui che pur avendo tutto non hanno la felicità di questi bambini e ragazzi. Pensavo che in queste tre settimane non mi sono mai sentita giudicata un secondo da nessuno di loro, eppure ero io quella con la pelle di colore diverso. Neanche fisicamente nonostante i miei chili in eccesso, loro hanno apprezzato pure quelli, i bambini si divertivano un sacco a toccarmi la ciccia sulla pancia e sulle braccia, è stato troppo divertente! Da noi purtroppo se non sei “una modella” o non hai tanti “mi piace” sui social non sei nessuno e già qui si capisce l’assurdità di gran parte della nostra società. I ragazzini e le ragazzine più grandi invece erano più focalizzati sulla pelle chiara e sui capelli biondi, ma comunque ho sentito sempre e solo apprezzamenti. Quanto mi mancherà questa cosa, loro conoscono veramente le cose brutte della vita, cosa vuol dire la fame, avere un corpo che viene sfruttato e maltrattato dai genitori, non guardando il bello o il brutto, quindi le cose belle le apprezzano al mille per mille e questa gioia di vivere a pieno ogni momento, mi mancherà davvero. Ho pensato ancora all’adozione a distanza, sono quasi decisa a prendere in considerazione qualcuno di quelli più grandini, della secondaria. Mi dovrò informare su chi è bravo a scuola così potrà vincere la borsa di studio per l’università. Ho ripensato a Collins, quanta speranza aveva negli occhi quando mi ha chiesto di scegliere lui! Dovrò chiedere a Giuliana e Francis. La notte è passata ma io sono rigirata nel letto mille volte, non riuscivo ad accettare che questa esperienza così bella fosse già finita. Bisognerebbe vivere sempre con questa dose di felicità! Alle 4.30 sento la sveglia dei ragazzi della secondaria. Che bravi che sono, hanno un orario giornaliero da paura, scolastico ed extra-scolastico. Altro che i nostri!!!!! Alle 6 li sento sfilare in processione che vanno a colazione, spero tanto di vederli dopo, hanno l’esame oggi e non ho capito se a messa ci saranno o no. Siamo pronti…sospirone…ultima messa!!! Ci fermiamo in fondo alla chiesa, chiedo a brother Momoh se alla fine possiamo salutare tutti ringraziando per l’esperienza. Volevamo prepararci un discorso perfetto, ma poi ci siamo detti: -Il cuore parlerà da sé. Lui fa un sorrisino e mi dice: -Tranquilla hanno già pensato a tutto! Non capisco cosa intenda, chi ha pensato a cosa? Poi vedo

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Jeremy lungo la sala, si dirige verso noi, ha un sorriso a 32 denti, ci prende per mano e ci porta a metà della sala. Arriviamo alle sedie e chi c’è seduto in parte a due sedie libere? Il mio ometto dagli occhioni giganti, sono felice di trascorrere ancora un po’ di tempo assieme. Anche lui è super sorridente, inizio a capire perché ieri sera era così contento e dico a Martin: -Secondo me questi non ce la raccontano giusta, han preparato qualcosa per noi!. Mi viene un po’ di agitazione, ma sono felicissima. C’è padre Patrick, che celebra l’intera messa in inglese, che gesto carino, almeno l’abbiamo capita tutta anche noi. Tengo per tutto il tempo Brian per mano e ogni tanto giochiamo al gioco “schiaccia pollice”, si diverte come un matto! E’ uno dei ballerini della messa quindi quando è ora va con Jeremy, Jackline, Doris e tutti gli altri a ballare nel corridoio tra le infinite sedie di plastica che fungono da banchi. Quanto sono bravi! Li filmo per l’ultima volta anche se ne ho un sacco di video delle messe. Brian controlla se lo sto guardando e mi sorride, gli piace un sacco ballare e cantare e a me piace un sacco guardarlo. Ad un certo punto della predica mi accorgo che si è appisolato. Cucciolo, secondo me dall’euforia non ha dormito, come me, gli tengo comunque la mano e gli accarezzo le nocche con il pollice, (a me piace da matti quando Dino lo fa con me) e ricordo che anche al mio ometto piaceva quando lo facevo durante il viaggio al safari. Finita la messa, padre Patrick dice qualcosa sui saluti ai volontari, ma non ho capito bene, vedo che stanno preparando sull’altare 5 sedie. Brian mi prende per mano e dice: -Let’s go! (Andiamo!), Jeremy fa lo stesso con Martin e vedo che da infondo alla sala altri bambini hanno preso per mano le tre dottoresse, anche loro partono nel pomeriggio. Ci sediamo sulle sedie che hanno preparato e i ballerini, in due file indiane messe a specchio, iniziano a ballare e a cantare una canzone molto orecchiabile dicendo i nostri nomi uno alla volta per ogni strofa. Ci invitano a ballare, io sto già piangendo, una flotta di non so quanti bambini sta cantando e ballando per salutare noi. Dopo un po’ ci fanno risedere. Una bambina prende il microfono e con in mano una letterina si mette davanti alla folla sorridendo. Dice il nome di Sabrina la prima dottoressa e la legge, è un ringraziamento da parte di tutta la comunità per quello che ha fatto qui a Shalom. Fanno così anche per le altre due dottoresse, capisco che hanno una letterina anche per me e per Martin. Nella mia mi ringraziano per aver portato i flauti e per aver insegnato come suonarli, per le giornate passate all’ospedale e per aver aiutato Giusy nella shamba. Già al: -Cara Elisa come stai?, letto e scritto così, in italiano, ho le lacrime ma cerco di trattenermi il più possibile e ascolto felicissima. Alla fine ci fanno salutare con il microfono, ringraziamo pubblicamente tutti per ogni cosa, avevo pensato a un bel discorso per tutta la notte; di incoraggiarli a fare il meglio per il loro futuro, per vincere la battaglia del vivere in questo mondo povero e provare a puntare sempre in altro, ma sono troppo emozionata, riesco a dire due parole in croce, singhiozzando. Usciamo dalla Multipurpose Room e ognuno di loro viene a stringerci la mano, ad abbracciarci, qualcuno ha gli occhi lucidi, qualcun altro ci sorride e io ormai penso di aver svuotato il sacco lacrimale. Quanto amore in questa comunità, quanto senso della gratitudine. Mi ricorderò ogni sorriso e spero loro ricordino il mio! Si avvicina Alvin, uno dei miei flautisti, gli sorrido e ripenso a qualche giorno fa, quando mi sono fatta firmare la maglietta da alcuni di loro; lui l’aveva voluta dividere in due parti, una colonna per gli amici dove scrisse “FRIEND” e una per gli studenti di flauto, ma dove scritte “FRUIT” (“frutta”) invece che “FLUTE”, quanto avevamo riso per questo errore!!!! Ma ovviamente l’avevo tenuta scritta così! Mi dice: -I’ll miss you! (Mi mancherai!), sorrido e rispondo: -You too! (Anche tu!), è grandicello ma al mio bacio sulla fronte non si sposta anche da loro non è abitudine, anzi chiude gli occhi e sorride, come fosse il primo che riceve. Mi ringrazia e va a colazione. Brian e Jeremy sono lì in fondo alle scale che ci guardano, li bacio e li abbraccio, dico di andare a colazione che l’ultimo saluto glielo avrei dato dopo al tea break perché eravamo d’accordo saremmo partiti verso mezzogiorno. Mi ascoltano e vanno via senza insistere e “fare capricci”, quanto bravi sono. Noi intanto andiamo a sistemarci la stanza, laviamo le lenzuola, cerchiamo di pulire al meglio, anche se con la terra rossa è un po’ dura, ma cerchiamo di sistemare tutto. Dopodichè andiamo a salutare Phineas e Mugambi, i ragazzi disabili, entro nella stanza e non so perché sento un nodo micidiale alla gola. Anzi, so il perché, se tornerò potrei non trovarli più. E’ così pesante da sopportare questa cosa, soprattutto con il più grande, Phineas. Ha i miei flauti vicino alle gambe e sta colorando, quanto s’impegnano questi ragazzi nonostante il dolore agli arti il suo “dovere quotidiano” lo fanno con entusiasmo. Phineas sta colorando le scritte che gli avevo preparato ieri, giustamente la sua l’ha colorata per prima, poi quella del fratello e poi quella per Mugambi, mi riempie il cuore! Sono tanto giù di morale, mi si spezza il cuore non poter fare nulla per loro, per farli stare meglio, eppure penso che in queste tre settimane con le cene speciali, le cose da colorare e con i canti con la chitarra almeno qualche bel sorriso glielo abbiamo procurato. Dico a Martin che è quasi ora del tea-break per l’ultimo saluto a tutti prima di andare con Antonio verso Nkubu. Salutiamo Phineas e Mugambi, mi sento debolissima, perché più che ringraziarli per il tempo passato assieme e augurargli il meglio non posso aggiungere altro.

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Hanno entrambi gli occhi lucidi ma non si scompongono, son delle rocce questi ragazzi, Mugambi mi fa uno dei suoi dolcissimi sorrisi, vedo che anche Martin fa fatica a salutarli, quindi facciamo presto ad uscire. Scoppio a piangere, perché una madre avrebbe dovuto abbandonarli, lasciarli in giardino nelle loro deiezioni solo perché disabili? Ogni volta che ci penso mi viene addosso una rabbia e mi sembra una cosa veramente assurda. Fortuna che Francis li ha trovati, almeno qui possono sopportare la loro malattia con dignità e con un minimo di attenzioni da parte di tutti. Nel frattempo i ragazzi della High School sono già in fila per la pausa; finito di bere il the uno alla

volta vengono a salutarci prima di tornare in classe. Prima le ragazze, alcune di loro ci ringraziano per quello che abbiamo fatto per loro e dicono che gli mancheremo, poi arriva anche qualche ragazzo, intanto io rispondo che anche loro mi mancheranno e gli do qualche raccomandazione “fraterna”: -You have to be good girls and good boys! (Dovete essere brave ragazze e bravi ragazzi!). Mi sento di dargli questi consigli perché so che saranno prossimi a uscire da qui, a tornare alla vita dal quale sono venuti, ma so anche che lo faranno con una consapevolezza diversa, sapranno gestirsi, lavarsi, pulirsi, sapranno che dovranno stare lontani dalla via dell’alcool, della

droga e della prostituzione e che dovranno concentrarsi sul continuare gli studi o sull’andare a lavorare per costruirsi un buon futuro. Mi promettono che lo faranno, speriamo vada davvero così!!! Si avvicinano Martin, Eluid e Collins, si sono affezionati i miei super flautisti. Martin mi chiede se ho pianto, dico come battuta: -Sono tre giorni che piango!, mi sorride e dice in una maniera tenerissima: -I’ll miss you so much! (Mi mancherai così tanto!). Ovviamente rispondo: -Anche tu! e mi avvicino a loro tre in particolare, li saluto con un bacio sulla guancia e li ringrazio per l’impegno con il flauto, non dovrei dirlo ma assieme a Poli, una ragazza bravissima anche a cantare e ballare, loro erano i più bravi. Si emozionano e anche un po’ imbarazzano per il bacino, ma dico che almeno un saluto all’italiana me lo dovevano lasciar fare, allora ridono e vanno a “gasarsi” con gli altri ragazzini. Spero tanto rimangano così naturali e semplici anche da adulti e che nessuno di loro segua la strada dei genitori o comunque degli adulti che ho visto stesi ai bordi delle strade, salire sulla macchina da ubriachi o drogati mentre passavamo in moto. Auguro loro il meglio…e ritornano in classe. Ci viene incontro Zacaria, uno dei ragazzi più grandi della Form 4, ci dice che vuole rivederci anche fuori da qui, probabilmente se torneremo lui avrà già finito la scuola quindi ci dice che nel caso dovremmo cercarlo nel paese o magari lui con l’università riuscirà a venire in Italia con l’erasmus. Ha le lacrime agli occhi. Mi spiazza la sincerità con cui ci parla e ci ringrazia, lo abbracciamo forte e ringraziamo anche noi per il tempo passato assieme…che uomo! Salutiamo anche Derrique, non l’avevamo visto al tea-break, avevamo paura di non riuscire a vederlo, anche a lui ci siamo affezionati particolarmente, era uno di quelli che ci veniva a salutare ogni giorno e che ci ha mostrato i terreni di Shalom e le zone limitrofe con molto orgoglio di stare qui. Avevo detto a Martin che era impossibile non venisse a salutarci, abbiamo un rapporto speciale con lui, ci ha accolto in un modo veramente gentile ed affettuoso fin dal primo giorno. Siamo emozionati tutti e tre, non sappiamo che dire per salutarci, in realtà non vorremmo. Inizio io perché loro, nonostante siano uomini, mi sembrano in difficoltà! Lo ringrazio per tutto, per averci portato dalla GrandMa Jojo, per averci mostrato la cava e tutti gli alveari naturali presenti in Shalom, poi però non riesco a formulare altro. E’ un ragazzo in gambissima, super intelligente, sveglio, lo abbraccio forte senza sapere che dire e lui ricambia commosso. E’ un mito, indimenticabile Derrique! E’ il turno della Primary per la pausa. Tornano tutti ad abbracciarci un’ultima volta. Mi godo ogni singola stretta di mano, ogni saluto e ogni sorriso di questi piccoli scriccioli color cioccolato. Ha le lacrime anche Raphael, mi sorprende, è talmente scatenato sto bambino nei momenti di libertà, ricordo che l’ho dovuto tirar giù da alberi altissimi più di una volta, però mi fa piacere vederlo commosso, spero si ricordi di me. Ricordo anche che un giorno abbiamo assistito a una scena memorabile!!! Un ragazzino, penso delle ultime classi della Primary, era nel prato con alcuni bambini

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più piccoli, imbracciava un tubo dal quale usciva dell’acqua, penso fosse collegato con la turbina, e a mo’ di idrante li lavava, nel prato, nudi. Non so se lo facevano per giocare o perché erano sporchi e dovevano aiutarli a lavarsi, ma è stato troppo bello vedere come si divertivano. Quando ci hanno visto passare, alcuni di loro si imbarazzarono, Raphael invece corse verso di noi per salutarci, ma gli urlai di tornare alla “doccia” che ci saremo visti dopo. Incredibile quanto si aiutino l’un con l’altro, ma è giusto così, qui si devono arrangiare a fare tutto, a lavare ognuno i propri vestiti, indipendentemente dall’età. Capitava a volte di stare a contatto con bambini che puzzavano di urina oppure erano sporchi, ma con il nostro consiglio di andare a lavarsi e l’aiuto di qualche compagno, ci ascoltavano obbedienti. A quattro anni chi si laverebbe i vestiti a mano o andrebbe a lavarsi senza l’ordine della mamma? Penso nessuno, ripeto sono troppo bravi! Brian mi passa in parte con lo sguardo basso, so che lo fa perché non vuole star male, ma gli dico in inglese: -Vieni qua, ultimo abbraccio! Ci guardiamo sorridendo, si trattiene, gli dico: -Nakupenda! (Ti voglio bene!) e poi dandogli una pacca sul sedere gli dico di andare in classe, altrimenti diventa troppo doloroso come saluto. Si gira, mi guarda un’ultima volta, mi fa ancora un sorriso e poi corre in classe! E così tutti i bimbi e i ragazzini della Primary passano per un saluto, ci ringraziano e poi tornano a lezione. Anche Doris cerca di andare via, vedo che ha gli occhi lucidi, è super posata questa piccola donnina, mi ha fatto tanto piacere passare del tempo con lei a cantare “Fratello sole sorella luna”, ha una voce pazzesca, le piaceva tanto cantare e a me farlo con lei! La abbraccio forte e le dico di continuare così. Quanto è educata questa bimba! La madre è morta di meningite, ricordo quando mi aveva chiesto se avevo entrambi i genitori e lei con un sorriso dolcissimo mi aveva detto che a casa aveva solo il papà, ma che era un ubriacone quindi stava meglio qui. Spero tanto possa andar via da quella casa una volta finita la scuola ma, sveglia com’è, sicuramente saprà cavarsela. Anche Jackline sembra triste, ha dei lineamenti stupendi e balla da Dio. Do un bacio a entrambe e le lascio andare. Stiamo per caricare i bagagli sul pick-up, li fissiamo con una corda e Antonio li copre per evitare che si riempiano di terra e polvere. Vedo in lontananza Zacaria che viene verso di noi correndo, dà un foglio a Martin e dice che è per noi, ci sono i numeri di telefono di 4/5 ragazzi della Form 4, che carini! Abbraccia Martin, si sfila il rosario dal collo e lo da glielo dà, mi chiedo con quale cuore possa regalargli l’unica cosa “di valore” che ha, ha un sorriso e uno sguardo che parlano da soli. Ci ripete: -Is not a goodbye! (Non è un addio!), ne sono convinta anch’io, non sarà un addio, basta volerlo. Giusy prepara un “corettino” vicino al cancello per salutarci, una decina di bimbi ci canta una canzoncina scritta da lei “Shalom” che parla dell’orfanotrofio. Quanto sono carini! Mi si riempiono gli occhi di lacrime, ANCORA!!! Questa volta stiamo andando davvero. Antonio ci accompagna con Larry a prendere il pulmino-taxi che ci porterà a Nairobi. E’ un po’ avventurosa come cosa, arrivati alla “stazione”, un piazzale sempre sterrato come le strade, tutti i proprietari di questi taxi ci hanno “assalito” perché volevano salissimo sul loro piuttosto che su quello di qualcun altro, fortunatamente ci hanno pensato Antonio e Larry: hanno scelto il più affidabile e il più comodo essendo lungo il viaggio. Siamo felici di essere rimasti un giorno in più e aver provato anche questa esperienza. Ci incontriamo con padre Francis, Francisco e Peter appena prima dell’entrata nel centro della città. Hanno scelto di farci scendere lì, perché in centro c’è troppo casino. Sono molto contenti di vederci e dalle nostre facce capiscono che i saluti sono stati duri. Arriviamo a Nairobi dopo circa 40 minuti, andiamo a mangiare qualcosa prima di raggiungere l’aeroporto, così possiamo goderci l’ultima chiacchierata con Francis. Inverosimile quanto grande sia il cuore di quest’uomo, la sua vita è tutta spesa per gli altri; di giorno fa e agisce, la notte pensa e organizza. E’ una macchina, incredibile! Gli raccontiamo della festicciola organizzata dopo la messa, gli faccio vedere la letterina che mi hanno dato e gli mostro il cuoricino che mi ha dato il giorno prima Brian. Mi dice ridendo: -Ma questo bambino è proprio perso per te! gli rispondo: -No, il contrario!Ma è normale? chiedo, e lui dice: -Non succede sempre che si crei un rapporto così tra un bambino in particolare e un volontario, devi esserne felice! Allora continuo con le mie domande sulla vita di Brian prima che arrivasse a Shalom, Martin sembra un po’ scocciato, come biasimarlo, d'altronde continuo a parlare di questo bambino. Infatti, a un certo punto afferma: -Non so se te ne sei resa conto, ma questo bambino ha sprigionato in te un senso materno che non avevi mai avuto prima! Mi spiazza con questa battuta, però forse è vero. Mi sentivo proprio come se avessi dovuto proteggerlo mentre ero a Shalom e adesso che dobbiamo partire, lasciarlo qui, è veramente dura. Gli ho promesso che ci vedremo ancora, devo rivederlo! Dico a Francis che se le persone che l’hanno adottato a distanza per qualsiasi motivo interrompessero l’adozione, vorrei saperlo per occuparmene io, poi cambio argomento per non soffrire ulteriormente. Parlo con Francis dell’adozione, gli dico che sto pensando a Collins e che per me è un ragazzino in gamba. Chiedo la sua storia; è incredibile come Francis si ricordi il passato di ognuno di loro e quando

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sia felice di raccontarcelo, ci tiene proprio a far capire il livello di povertà nel quale vivevano prima di conoscerlo, probabilmente anche per farci capire quanto siamo fortunati. Racconta quindi di Collins: è orfano di entrambi i genitori, lo ha portato a Shalom il nonno due anni fa. Prima frequentava un’altra scuola primaria, era il primo di quella scuola, questo merito gli ha permesso di entrare in Shalom, oltre al fatto di essere orfano logicamente. Francis ci tiene molto che i ragazzi capiscano che se vogliono stare all’orfanotrofio devono studiare e impegnarsi perché lì la scuola è a un livello alto, è una delle prime del paese. Sono convinta che si impegnerà e farà di tutto per prendere la borsa di studio, per fare l’università, così l’aiuto con l’adozione potrà servirgli per il mantenimento. Francis sorride, ci vede distrutti, ma penso sia abituato, immagino che tutti quelli che vengono qua non vorrebbero più andare via. Sei troppo utile qui, apprezzato, a contatto con i valori veri della vita. E’ durissima anche salutare lui, non ha avuto troppo tempo per stare con noi, ma una visita più o meno ogni giorno, per vedere com’era andata la nostra giornata, la faceva e ci teneva stessimo bene, mangiassimo e ci godessimo i bambini. Ricordo che quando veniva a cenare con noi ci riempiva i piatti di cibo africano e diceva: -Mangia, mangia, perchè se torni in Italia e dici alla mamma che l’uomo negro non ti ha dato da mangiare non ti manda più qui! Che mito di uomo! Una volta è arrivato sotto la finestra della stanza alle 23.30, essendo di plastica sentivo che mi aveva chiamata dal piazzale: -Eli, ci sei?Tutto bene oggi?, un po’ mi ero spaventata, poi avevo capito che era lui, mi sono affacciata per rispondere: -Ma cosa fai qui a quest’ora?, si girò verso gli stabili della scuola e disse: -Senti?Dormono tutti, buon segno, significa che è stata una giornata produttiva. Io vengo spesso a quest’ora a controllare sia tutto tranquillo. INCOMPARABILE UOMO DEL CONTINENTE NERO!!!

Lo salutiamo cercando di trattenerci, lo abbracciamo forte e diciamo che faremo di tutto per aiutarli anche dall’Italia. Non credo sarò mai abbastanza grata a quest’uomo per l’opportunità che mi ha dato. Quest’esperienza è stata più significativa per noi che per loro, almeno parlo per me. Ero partita con molti dubbi e domande sull’esistenza, specialmente dopo aver perso tre amici in meno di tre anni, ma torno con una consapevolezza e una visione della vita diversa e sicuramente con una voglia di vivere a pieno ogni sentimento, sia positivo che negativo. Spero di poter testimoniare e raccontare questa esperienza a più persone possibili e magari perché no, far capire loro che nella vita ciò che conta non è il colore della pelle o il luogo di provenienza, l’importante è che tutti abbiano una vita dignitosa,

senza violenze, ingiustizie e povertà. Non penso di dover aggiungere altro, sono stanchissima dalle notti precedenti passate in bianco, siamo in aereo ed è la notte del 26 gennaio, si ritorna alla vita normale, al freddo, dai nostri amici e cari, penso con un cuore più ricco di emozioni e storie da raccontare, pieno di sorrisi e sguardi che, abbiamo il compito di condividere con ogni persona che incontreremo sulla nostra strada. Passo e chiudo! PS: ci sarà una cura per il mal d’Africa??? Speriamo di sì perché ho già guardato le foto sia del cellulare che della macchina fotografica tre volte e siamo partiti da solo due ore! AIUTO!!!