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Impatto Mag - ISSUE #1

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www.impattomagazine.it // [email protected] // Questa settimana in primo piano: Alla scoperta di Cuba ... la piccola ex rivale degli States. Follow Us on Facebook: https://www.facebook.com/impattomagazine

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l tempo scorre? No. Il tempo si ferma. Si ferma di colpo come l’aria che ti blocca il respiro e non viene su. Si ferma quando avverti un dolore ed il corpo parla, reagisce. Una stretta allo stomaco. Una dolce e triste malinconia per un amico che

non hai mai conosciuto. Per una persona che ti risulta fa-miliare. In quell’attimo, il tempo si ferma e torna indietro. In un vortice vorticoso di ricordi e la mente macina, ritorna a te. Ai tuoi occhi, alla tua bocca, alla tua Africa. Al tuo mare alle quattro di notte in mezzo al pane. Si ferma il tempo e tu “nun ride ‘cchiù” aspettando che piova. Che una pioggia possa bagnare la terra tua in cui si erra. In cui ci si perde, in cui si sbaglia ma è la tua terra! Una Terra “piena e libertà”. Ora la senti quella libertà, vero? La paura della morte ti ha lasciato. È fatta! Sei andato libero. Con la tua voce, con i vi-brati di un’anima. La tua. Anima partenopea.

l tempo si ferma e torna indietro. Nel buio di occhi chiusi, di corde di una chitarra che iniziano a strimpellare pian piano fino a creare una magia, penetrano dentro, in un luogo interiore non defi-nito ma che non è materiale, fino a coinvolgere e il

corpo ne è pervaso. Il corpo la sente sulla pelle la vibrazione delle tue corde, della tua voce sottile. Poi arrivano le paro-le. Dopo. E cade il silenzio attorno. Tutto attorno è silenzio. Null’altro esiste. Un’alienazione. C’è solo la musica. Una voce. Un ritmo. Sei catapultato in un altrove creativo, in un altrove in cui si ritrova l’essenza dell’uomo. Quell’essen-za che spinge a cercare un dio nella storia, nelle religioni, nell’arte, nella musica. Per andare oltre il corpo e render-si eterni. Parte uno swing,un blues, un’anima profonda. Un’anima sempre agli angoli. Riservata, umile, vera. Carica di quella verità ormai perduta e rara. Un’anima da Dio.

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!MPATTO - SommarioN.1 | 6 Gennaio 2015

CONTENUTI

Revolución y Cuba Libre

Se a crollare sono le strategie fantocce di un caso spettacolarmente internazionale, lo spettatore si siede, osserva e si diverte. Ma dopo le contestazioni e gli attacchi hacker, l’applauso finale non è di certo assicurato.The Interview

MangiaPregaAma

3

27.

25.

Il fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarez-zata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combat-tuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

7.

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magazine di approfondimento

[email protected]

Direttore ResponsabileEmanuela Guarnieri

Responsabile EditorialeGuglielmo Pulcini

ContributiAnna AnnunziataGiorgia MangiapiaMarina FinaldiFlavio Di FuscoPierluigi PataccaGennaro BattistaMarco TreguaLiliana SquillacciottiEleonora BaluciValerio VarchettaJosy MonacoArmando De Martino

GraficaEnnio GrillettoVittoria Fiorito

Edito da Gruppo Editoriale ImpattoIT [email protected] CoordinamentoPulseoIT 07369271213 [email protected]

Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014.

Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: [email protected]) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.

Colpi di tosse

À la recherche du temps perdu

Electric No Green

67.

Per l’OCSE un’ampia forbice tra richezza e povertà rallenta l’economia reale di una nazione.

Chiudere la forbice

4

61.

43.

!MPATTO

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro.

Nella Napoli del boom economico. Sogni ad una

finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare

un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per

un lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

49.

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stanco della vecchia editoria?

!MPATTO MAG assume un impegno ecosostenibile ed etico.

!MPATTO MAG viene distribuito gratuitamente.

!MPATTO MAG offre ogni settimana una linea editoriale innovativa.

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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Revolución y Cuba Libre

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!MPATTO - LifeN.1 | 6 Gennaio 2015 !MPATTO - Life!MPATTO - Life

di Emanuela GuarnieriIl fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarezzata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combattuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

!MPATTO - LifeN.1 | 6 Gennaio 2015

di Emanuela GuarnieriIl fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarezzata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combattuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

di Emanuela GuarnieriIl fumo di un Cohiba scrive nell’aria il mito disordinato e folle di un terra che ha il sapore della libertà. Accarezzata dal mare, baciata dalle verdi spianate, toccata da tutti, posseduta da nessuno. Cuba desiderata e temuta. Cuba calpestata e combattuta. La Terra dell’inganno, dell’incanto e disinganno.

Revolución y Cuba Libre

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Revolución y Cuba Libre

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Su un tappeto rosso vellutoStili diversi, coloniali, che sanno di passato e l’incerta compagnia della

notte. Così accattivante e pericolosa. Finestre da cui spiare vite che passano. Su un tappeto rosso.

(Ph. Dave Rodden - 2011)

è un profumo inebriante, che dall’Africa alle Ande ti racco-nta di tabacco e caffè”: Dan-

iele Silvestri canta con una voce mai banale la sua Cohiba e nel frattempo da quei cerchi di fumo sembra emergere una favola di lotte, di agguati in mimetica, di barbe folte e di pugni alzati. Non è interessante parlare di rivoluzione, né di embarghi imposti e poi an-nullati. Lo fanno e lo hanno fatto già in troppi. Interessante è par-lare di mito. Non di quello ridotto a maglietta nera e rossa, o a band-iera rossa e nera. Neanche di quello che oggi porta centinaia di persone a chiamarsi “compagni” quando non sono neanche fratelli. Il mito è l’essenza. Il mito è musica, è case colorate, è santería cubana. Il mito è Dioniso. Il mito è quasi sempre ubriaco e confuso. I Cohiba sono i sigari più contraffatti del mercato almeno quanto Cuba la più banal-izzata del panorama geopolitico.

“C’è un profumo inebriante, che dall’Africa alle Ande ti racco-nta di tabacco e caffè”: Dan-

iele Silvestri canta con una voce mai banale la sua Cohiba e nel frattempo da quei cerchi di fumo sembra emergere una favola di lotte, di agguati in mimetica, di barbe folte e di pugni alzati. Non è interessante parlare di rivoluzione, né di embarghi imposti e poi an-nullati. Lo fanno e lo hanno fatto già in troppi. Interessante è par-lare di mito. Non di quello ridotto a maglietta nera e rossa, o a band-iera rossa e nera. Neanche di quello che oggi porta centinaia di persone a chiamarsi “compagni” quando non sono neanche fratelli. Il mito è l’essenza. Il mito è musica, è case colorate, è santería cubana. Il mito è Dioniso. Il mito è quasi sempre ubriaco e confuso. I Cohiba sono i sigari più contraffatti del mercato almeno quanto Cuba la più banal-izzata del panorama geopolitico.

Revolución y Cuba Libre

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L

Vorticosa la lenta vitaGente che va e gente che viene. Nel

tram tram quotidiano, una foto coglie un istante e il vortice del movimento

viene fermato per un attimo.(Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

Fotografati tra le labbra di Fidel Castro ed Ernesto Gue-vara hanno fatto il giro del mondo, gigantografie in bi-anco e nero della revolucíón. Eppure erano già gli anni ’50. Cuba, mitica, in fondo, lo era già. Quando gli spagnoli ar-rivarono sull’isola, appena nel 1492, quegli indigeni cir-condati da un mare cristalli-no sembrarono avere troppe anime per un solo governo imposto, per una sola reli-gione indotta, per una sola lingua da parlare. Obbligati alla religione cristiana e a lasciare da parte la loro fede tradizionale e politeista, gli oriundi nascosero dietro l’iconografia del cattolicesi-mo i loro Dei, per adorarli

in libertà, senza rinnegarli, al massimo ribattezzandoli. Elegguà, Yemayà, Changò diventarono quindi rispet-tivamente Sant’Antonio, la vergine Maria e Santa Bar-bara. Un paese pronto a re-inventarsi, fin dalle origini. Chi non sa reinventarsi, è ovvio, la rivoluzione non la farà mai.

a stessa, piccola isola, creò tanti problemi alla Spagna del 1898: proprio così si

chiamava la generazione di intellettuali spagnoli, Generazione del ’98. L’anno in cui la Spagna perse le sue ultime colonie d’oltremare

nella guerra ispano-amer-icana: Cuba, Puerto Rico e Filippine. “Me duele Espa-ña”, diceva Miguel de Una-muno: certo, aveva perso Cuba. Aveva perso il mito. E poi i missili, nel ’61, pun-tati verso l’America nella guerra più fredda nonos-tante fosse aprile. Un anno dopo, l’embargo. Cinquan-tadue anni di bloqueo. Oggi Barak Obama ha proposto di rimuoverlo. Fine del mito? O nuovo tentativo di control-lo? “Ma in fondo, io sospet-to, che l’America, l’America ha paura. Altrimenti non si spiega come faccia, a vedere in uno stato in miniatura, questa orribile minaccia”.

Fotografati tra le labbra di Fidel Castro ed Ernesto Gue-vara hanno fatto il giro del mondo, gigantografie in bi-anco e nero della revolucíón. Eppure erano già gli anni ’50. Cuba, mitica, in fondo, lo era già. Quando gli spagnoli ar-rivarono sull’isola, appena nel 1492, quegli indigeni cir-condati da un mare cristalli-no sembrarono avere troppe anime per un solo governo imposto, per una sola reli-gione indotta, per una sola lingua da parlare. Obbligati alla religione cristiana e a lasciare da parte la loro fede tradizionale e politeista, gli oriundi nascosero dietro l’iconografia del cattolicesi-mo i loro Dei, per adorarli

in libertà, senza rinnegarli, al massimo ribattezzandoli. Elegguà, Yemayà, Changò diventarono quindi rispet-tivamente Sant’Antonio, la vergine Maria e Santa Bar-bara. Un paese pronto a re-inventarsi, fin dalle origini. Chi non sa reinventarsi, è ovvio, la rivoluzione non la farà mai.

a stessa, piccola isola, creò tanti problemi alla Spagna del 1898: proprio così si

chiamava la generazione di intellettuali spagnoli, Generazione del ’98. L’anno in cui la Spagna perse le sue ultime colonie d’oltremare

nella guerra ispano-amer-icana: Cuba, Puerto Rico e Filippine. “Me duele Espa-ña”, diceva Miguel de Una-muno: certo, aveva perso Cuba. Aveva perso il mito. E poi i missili, nel ’61, pun-tati verso l’America nella guerra più fredda nonos-tante fosse aprile. Un anno dopo, l’embargo. Cinquan-tadue anni di bloqueo. Oggi Barak Obama ha proposto di rimuoverlo. Fine del mito? O nuovo tentativo di control-lo? “Ma in fondo, io sospet-to, che l’America, l’America ha paura. Altrimenti non si spiega come faccia, a vedere in uno stato in miniatura, questa orribile minaccia”.

Fotografati tra le labbra di Fidel Castro ed Ernesto Gue-vara hanno fatto il giro del mondo, gigantografie in bi-anco e nero della revolucíón. Eppure erano già gli anni ’50. Cuba, mitica, in fondo, lo era già. Quando gli spagnoli ar-rivarono sull’isola, appena nel 1492, quegli indigeni cir-condati da un mare cristalli-no sembrarono avere troppe anime per un solo governo imposto, per una sola reli-gione indotta, per una sola lingua da parlare. Obbligati alla religione cristiana e a lasciare da parte la loro fede tradizionale e politeista, gli oriundi nascosero dietro l’iconografia del cattolicesi-mo i loro Dei, per adorarli

in libertà, senza rinnegarli, al massimo ribattezzandoli. Elegguà, Yemayà, Changò diventarono quindi rispet-tivamente Sant’Antonio, la vergine Maria e Santa Bar-bara. Un paese pronto a re-inventarsi, fin dalle origini. Chi non sa reinventarsi, è ovvio, la rivoluzione non la farà mai.

a stessa, piccola isola, creò tanti problemi alla Spagna del 1898: proprio così si

chiamava la generazione di intellettuali spagnoli, Generazione del ’98. L’anno in cui la Spagna perse le sue ultime colonie d’oltremare

nella guerra ispano-amer-icana: Cuba, Puerto Rico e Filippine. “Me duele Espa-ña”, diceva Miguel de Una-muno: certo, aveva perso Cuba. Aveva perso il mito. E poi i missili, nel ’61, pun-tati verso l’America nella guerra più fredda nonos-tante fosse aprile. Un anno dopo, l’embargo. Cinquan-tadue anni di bloqueo. Oggi Barak Obama ha proposto di rimuoverlo. Fine del mito? O nuovo tentativo di control-lo? “Ma in fondo, io sospet-to, che l’America, l’America ha paura. Altrimenti non si spiega come faccia, a vedere in uno stato in miniatura, questa orribile minaccia”.

Vorticosa la lenta vitaGente che va e gente che viene. Nel

tram tram quotidiano, una foto coglie un istante e il vortice del movimento

viene fermato per un attimo.(Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

Vorticosa la lenta vitaGente che va e gente che viene. Nel

tram tram quotidiano, una foto coglie un istante e il vortice del movimento

viene fermato per un attimo.(Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

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Il confine col paradisoCuba, irruente come un’onda,

travolge le anime che la abitano. In un cielo che l’abbraccia e case

colorate che la invitano a sedersi, fumare un sigaro e ridere di pancia.

(Ph. Paolo Pellegrin - 2012)

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Tra ali spiegateLa libertà è eterea. Si dispiega al di

sopra delle teste, degli abiti da festa, dei bambini che corrono scalzi. La libertà

è la passione che si cela dietro un tramonto, oltre i palazzi, in riva al mare.

(Ph. Judith Bonderman - 2012)

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Blowin’ in the windNel vento i lembi di un lenzuolo. Nel

vento i pensieri e le miserie. Nel vento le facili gioie cubane e il fumo dei

sigari. Nel vento per tornare col vento. (Ph. Giancarlo Ceraudo - 2014)

Blowin’ in the windNel vento i lembi di un lenzuolo. Nel

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Il potere e l’istituzioneReinventarsi, cambiare, trasformarsi mentre le radici son radicate e salde

a terra. Nella terra di una Cuba dai colori cobalto e dalle partenze veloci.

(Ph. Giancarlo Ceraudo - 2014)

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Seduti in una sala cinematografica. Le luci calano e scende il silenzio. Partono le note di The living daylights. Atmosfera intrig-ante. Nella mente: luci fluo, immagini scat-tanti, velocità, passaggi veloci e casi only for your eyes si mescolano al ritmo di Mis-

sion impossibile. Un mash up per inseguimenti, misteri e location favolose, spionaggi e guerre hacker. Gli USA, la Corea. Gli attacchi e le rappresaglie. Le minacce di attentati e le polemiche internazionali. La pellicola in questione non trasmette un film di 007. Non c’è James Bond né il fascino misterioso delle belle donne alla Ur-sula Andress. Seduti in sala si assiste alla preparazione e al lancio di un film sospeso tra blocchi e via libera. The Interview. Un film satirico e a tratti demenziale diventa un caso. Prima ancora dell’uscita. Prima ancora di poter davvero capirne il valore e lo spessore. Come in un film di 007, gli intrecci della storia e le macchinazioni per l’uscita del film girano intorno ai servizi online di Xbox e Playstation, prodotti dalla Sony e da Microsoft, che

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Let the skyfall We will stand talL At skyfall

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Protagonista e registaL’eclettico e il poliedrico: Seth Rogen.

Attore, sceneggiatore, produttore cinematografico e doppiatore.

Protagonista ed anche regista del film e caso mediatico internazionale

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restano disabilitati per ore. Il blocco viene riferito dalla BBC. Le reti vengono attaccate dal gruppo hacker Lizard Squad che aveva già minacciato a inizio dicem-bre un attacco hacker. La Corea è indignata per l’aggressività e l’affronto scandaloso, presente nel film, nei confronti della guida suprema della Repub-blica democratica popolare di Corea. Pyongyang e il suo regime colpiti dalla trama e nella trama del film. Un film che istiga al terrorismo per la Commissione nazionale di difesa. Un film uscito in trecentoventi sale ameri-cane a fronte delle tremila sale previste e da dicembre disponibile online. Un film che ha scatenato polemiche e offese per Barack Obama definito una “scimmia nel-la giungla” perché non ha permesso l’annullamento della pellicola nel rispetto della libertà di espressione. Obama come primo col-pevole perché ha spinto la “Sony Pictures Entertain-ment a distribuire indis-criminatamente il film” negli Usa.

li attacchi hack-er - Dopo i primi attacchi hacker e le minacce di at-

tentati ricevuti, la produt-trice Sony e la distributrice Columbia avevano pensato di ritirare la pellicola ma proprio la Casa Bianca aveva obiettato. Così, sprezzanti del pericolo, nelle sale cin-ematografiche ecco com-parire il film di Seth Rogen e Evan Golderg. Nonostante il cyber attacco della Corea del Nord, si può assistere alla storia di un giornalista americano, James Franco, e del suo produttore, Seth

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film oscilla e cade nel catti-vo gusto perché si è immersi in un’atmosfera adolescen-ziale creata dai due pro-tagonisti immaturi, ancora immersi in un’età mentale puerile. I ritmi alla James Bond ci sono. Il fascino è inesistente. The interview si vedrà perché tutti ne par-lano? Perché ha scatenato un putiferio? I casi only for your eyes sono usciti dalla pellicola e diventati reali. Perché tra Cia, Casa Bianca, Corea del Nord, la ditta-tura versus la democrazia e la politica internazionale, l’intrigo prende quota. Af-fascina. Come spesso ac-cade, le aspettative sono state troppo elevate risp-etto al prodotto. E così da sette americani, il film è stato definito “cultural-mente insensibile” perché non rappresenterebbe il cinema di Hollywood né il classico spirito americano. Mancante di spessore e consapevolezza. Mentre il pubblico considera la pelli-cola per quello che è, un film satirico che lascia il tempo che trova, le polemiche tra gli alti vertici continuano. La Russia appoggia la Corea del Nord. Considera il film violento psicologicamente e il portavoce del ministero degli Esteri, Alexandre Lou-kachevitch dichiara che la Russia “è preoccupata dalla nuova escalation di ten-sioni tra Stati Uniti e Corea del Nord”. Le preoccu-pazioni continuano mentre l’incasso del film nel solo week end di Natale è lievi-tato a venti milioni. The In-terview conta non solo sulla proiezione cinematografica ma anche sul lancio in Vod (Video on demand), su You tube, Google Play, Microsoft Xbox Video e il sito creato

cui il massimo della verità e del clamore sia l’outing del personaggio famoso di turno sulla sua calvizie acuta e sull’uso del par-rucchino. Ma un’intervista ad un capo di Stato. E così tra parodie e retorica mili-tare, tra iperboli e cadute apocalittiche nella demen-zialità, si susseguono gag fino al momento topico del film: l’intervista. I carat-teri dei due personaggi vengono ben marcati nei loro ruoli: l’intelligente ambizioso e goffo Rogen e l’inconsapevole e ingenuo imbecille Franco. La scor-rettezza politica è insita nelle battute di Franco. Il

Rogen, inviati dalla Cia con la scusa di un’intervista ma col compito ben preciso di assassinare il leader coreano Kim Jon-un. Successo assi-curato per le polemiche che lo hanno investito e la curi-osità che hanno scatenato. The interview: un’intervista per cambiare la vita. Per passare dal gossip e dal pro-gramma d’intrattenimento all’intervista di qualità. Un’intervista per un salto professionale e perso-nale. Peccato sia tutto una finzione. Peccato sia solo un modo per coinvolgere e travolgere, fino a sconvol-gere, giornalista e produt-tore. Non più interviste in

Nonostante il cyber attacco si

può assistere alla storia di

un giornalista, inviati dalla Cia

con la scusa di un’intervista

ma col compito ben preciso di assassinare il

leader coreano Kim Jon-un.

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all’occorrenza, www.-seetheinterview.com. Sen-za alcun clamore, tra video illegali e non, The Interview è stato, naturalmente, il film più visto di Natale su-perando anche Guardiani della galassia e Maze Run-ner. Un commercio ed un affare combattuto tra Apple e Amazon, Sony e Microsoft. Così come continua la lotta tra gli hacker: Lizard Squad contro Guardian of peace. I secondi in difesa di Pyong-yang mentre i primi hanno accettato l’offerta di Kim Dotcom di voucher vitalizi su Mega e hanno sospeso le minacce. Altro vero inter-

esse nei confronti del film che scatena colpi di scena è rappresentato dagli sti-pendi dei due attori. Il film è costato 44 milioni di dollari. Seth ha intascato 8,4 milioni e James circa 6,5. Soldi spe-si in nome dell’arte? Soldi spesi per un film dal pessi-mo coreano, dalle situazioni irrealistiche, dall’assenza di un dramma vero e proprio e dal divertimento oscillante. The Interview non è altro che un prodotto ben incar-tato. La suspense iniziale, le critiche, le polemiche e gli attacchi hacker hanno determinato la corsa al bot-teghino. È il tipico prodotto

della società moderna. Sca-dente, facilmente cestina-bile. Godereccio e superfi-ciale quanto basta per farsi vedere. Il controverso film non fa paura. È innocuo. Vederlo significa sedersi e aspettare le nuove ripercus-sioni dopo la sua uscita a liv-ello politico mondiale?

ugie per vivere La rappresaglia USA agli attacchi nord coreani nei

confronti della Sony ha ap-erto la strada all’uscita del film. Un film che racchiude la sua veridicità in uno scambio di battute tra il presentatore

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e il suddetto attore dotato di parrucchino:“Lo sai, si dice che gli attori raccontino bu-gie per vivere. Ma questo è vivere una bugia.” [indi-cando i suoi presunti capelli] “Ok, Rob. Quando sei pron-to”. Aria di tensione in attesa di una rivelazione all’interno di uno studio televisivo. Si sfila il parrucchino. Mette in mostra il suo cuoio capel-luto liscio come il sedere di un bambino (il termine But-thole è una costante del film. Scivola, ritorna e risuona ridondante tra un’azione da agente 007 e l’altra). Sguardi sconvolti ed emotivamente coinvolti tra il pubblico e il

presentatore per la rivelata verità. Per la maschera cala-ta e il vero volto senza segreti dell’attore. Nella fiera della banalità e della superficial-ità in cui l’apparire deter-mina l’essere. The Interview è questo: una bugia. Una bugia superficiale, bonaria. Una bugia per diffondere un film. Una bugia per dare sig-nificato ad una strategia rac-chiusa in un caso internazio-nale. Questione di business. Questione di sapersi vende-re, farsi notare. Questione di astuzie e giochi da strateghi. Nell’epoca della strategia digitale e nella convinzione di poter davvero condizion-

are il pensiero delle persone. Fino ad un certo punto. Il filo sottile tra condizionamento e assoggettamento per for-tuna esiste. Si pagherà per vedere il film. Il botteghino urlerà di gioia. Gli incassi daranno ragione al busi-ness. Essere ricordati per una qualità è ben altra cosa. Essere apprezzati poi non ha prezzo. La strategia può vincere nei giochi a breve termine. La sostanza non ha bisogno di tessere reti. Ar-riva e resta impressa come le note di Skyfall di Adele per un 007 cinematografico più vero di un fantoccio caso in-ternazionale.

Un trio esilaranteUn trio esilarante per

battute scoppiettanti. Mentre imperversa una guerra al

blocco tra hacker, loro se la ridono di gusto.

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La tavola e il ringraziamentoLa prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

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La prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

La prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

La prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

La prima forma di energia è il cibo. La sostanza primaria e imprescindibile per qualsiasi essere vivente. Dalla potenza all’atto aristotelico si giunge attraverso ciò che di più naturale possa esistere. Sedersi, condividere e rendere grazie per quello che ci nutre sarebbe un gesto da ritrovare. Insieme e nella sacralità di un momento di convivio.

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oroni l’anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stil-la l’abbondanza.Stillano i pascoli del deserto e le

colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano. Tutto canta e grida di gioia”. Il cibo è sostanza, nutrizione e cultura dell’umanità, veicolo di emozioni e stati d’animo, frutto della terra e del duro lavoro degli uomini. Da sempre i popoli creano legami con il cibo, con gli alimenti che, nel momento in cui entrano in contatto con l’uomo, non sono più un insieme di vita-mine, proteine, grassi, acqua ma assumono un ruolo sacrale. Allo stesso modo l’uomo, nel rapporto con il cibo, smette di essere ani-male e l’istinto di sopravvivenza del nutrirsi si trasforma nell’atto del mangiare. In tutte le religioni il cibo, da tempo immemore, as-sume connotazioni sacrali, essendo riconosciuto come frutto e dono del dio/divinità e non solo come prodotto della fatica dell’uomo. Pregare per ciò che si è ricevuto, dire grazie, dimostrare riconoscen-za. Pratica che purtroppo, special-mente nei paesi industrializzati, u

“Coroni l’anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stil-la l’abbondanza.Stillano i pascoli del deserto e le

colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano. Tutto canta e grida di gioia”. Il cibo è sostanza, nutrizione e cultura dell’umanità, veicolo di emozioni e stati d’animo, frutto della terra e del duro lavoro degli uomini. Da sempre i popoli creano legami con il cibo, con gli alimenti che, nel momento in cui entrano in contatto con l’uomo, non sono più un insieme di vita-mine, proteine, grassi, acqua ma assumono un ruolo sacrale. Allo stesso modo l’uomo, nel rapporto con il cibo, smette di essere ani-male e l’istinto di sopravvivenza del nutrirsi si trasforma nell’atto del mangiare. In tutte le religioni il cibo, da tempo immemore, as-sume connotazioni sacrali, essendo riconosciuto come frutto e dono del dio/divinità e non solo come prodotto della fatica dell’uomo. Pregare per ciò che si è ricevuto, dire grazie, dimostrare riconoscen-za. Pratica che purtroppo, special-mente nei paesi industrializzati,

oroni l’anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stil-la l’abbondanza.Stillano i pascoli del deserto e le

colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano. Tutto canta e grida di gioia”. Il cibo è sostanza, nutrizione e cultura dell’umanità, veicolo di emozioni e stati d’animo, frutto della terra e del duro lavoro degli uomini. Da sempre i popoli creano legami con il cibo, con gli alimenti che, nel momento in cui entrano in contatto con l’uomo, non sono più un insieme di vita-mine, proteine, grassi, acqua ma assumono un ruolo sacrale. Allo stesso modo l’uomo, nel rapporto con il cibo, smette di essere ani-male e l’istinto di sopravvivenza del nutrirsi si trasforma nell’atto del mangiare. In tutte le religioni il cibo, da tempo immemore, as-sume connotazioni sacrali, essendo riconosciuto come frutto e dono del dio/divinità e non solo come prodotto della fatica dell’uomo. Pregare per ciò che si è ricevuto, dire grazie, dimostrare riconoscen-za. Pratica che purtroppo, special-mente nei paesi industrializzati,

Un braciere, un uomo e una donnaIntorno ad un focolare, cibi semplici,

una fiamma per riscaldare e quello che si mangia diviene cibo non solo per il corpo ma anche per la mente.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

Un braciere, un uomo e una donnaIntorno ad un focolare, cibi semplici,

una fiamma per riscaldare e quello che si mangia diviene cibo non solo per il corpo ma anche per la mente.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

Un braciere, un uomo e una donnaIntorno ad un focolare, cibi semplici,

una fiamma per riscaldare e quello che si mangia diviene cibo non solo per il corpo ma anche per la mente.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

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u

I

dove il cibo è visto ormai un diritto, viene sempre più spesso messa da parte; nelle famiglie si mangia male e troppo in fretta, senza sof-fermarsi su quanto lavoro ci sia realmente dietro una forma di pane o un piatto di pasta, sprecando alimenti e risorse, approfittandosi del-la natura ed impoverendo il territorio, perdendo così anche le radici dei popoli e la propria cultura.Genitori e figli, seduti alla stessa tavola, che recitano una preghiera prima di in-iziare il pasto quotidiano; un contadino russo che ringra-

zia per il grano accumulato nel granaio prima delle gel-ate; una tribù africana che venera la propria divinità per aver loro concesso la pioggia per far prosperare i campi; un padre di famiglia colom-biano che ringrazia il suo dio per avergli concesso lavoro, salute e nutrimento per i suoi piccoli.

l popolo ameri-cano annovera, dal 1863, anno in cui fu istituita da Abramo

Lincoln, una festa nazionale proprio dedicata al ringra-ziamento, il Thanksgiving

Day, festa nata nel 1621 ad opera dei Padri Pellegrini, arrivati nel nuovo mondo a bordo della famosa May-flower. Questo gruppo di profughi religiosi, scappati da persecuzioni in Inghil-terra, iniziò la coltivazione di molte verdure ancora scon-osciute nel vecchio conti-nente, come patate, pomo-dori, zucche, granoturco; il raccolto dopo pochi mesi fu così abbondante che i pel-legrini decisero di organiz-zare una festa per ringra-ziare del benessere e della prosperità ottenute. Da al-lora ogni ultimo giovedì di

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dove il cibo è visto ormai un diritto, viene sempre più spesso messa da parte; nelle famiglie si mangia male e troppo in fretta, senza sof-fermarsi su quanto lavoro ci sia realmente dietro una forma di pane o un piatto di pasta, sprecando alimenti e risorse, approfittandosi del-la natura ed impoverendo il territorio, perdendo così anche le radici dei popoli e la propria cultura.Genitori e figli, seduti alla stessa tavola, che recitano una preghiera prima di in-iziare il pasto quotidiano; un contadino russo che ringra-

zia per il grano accumulato nel granaio prima delle gel-ate; una tribù africana che venera la propria divinità per aver loro concesso la pioggia per far prosperare i campi; un padre di famiglia colom-biano che ringrazia il suo dio per avergli concesso lavoro, salute e nutrimento per i suoi piccoli.

l popolo ameri-cano annovera, dal 1863, anno in cui fu istituita da Abramo

Lincoln, una festa nazionale proprio dedicata al ringra-ziamento, il Thanksgiving

Day, festa nata nel 1621 ad opera dei Padri Pellegrini, arrivati nel nuovo mondo a bordo della famosa May-flower. Questo gruppo di profughi religiosi, scappati da persecuzioni in Inghil-terra, iniziò la coltivazione di molte verdure ancora scon-osciute nel vecchio conti-nente, come patate, pomo-dori, zucche, granoturco; il raccolto dopo pochi mesi fu così abbondante che i pel-legrini decisero di organiz-zare una festa per ringra-ziare del benessere e della prosperità ottenute. Da al-lora ogni ultimo giovedì di

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La pace attorno ad un tavoloLa famiglia attorno al tavolo nel

ringraziare per ciò che si è coltivato con le proprie mani e reso pietanza

col cuore di chi lo ha preparato.(Ph. William Albert Allard - 1976)

La pace attorno ad un tavoloLa famiglia attorno al tavolo nel

ringraziare per ciò che si è coltivato con le proprie mani e reso pietanza

col cuore di chi lo ha preparato.(Ph. William Albert Allard - 1976)

La pace attorno ad un tavoloLa famiglia attorno al tavolo nel

ringraziare per ciò che si è coltivato con le proprie mani e reso pietanza

col cuore di chi lo ha preparato.(Ph. William Albert Allard - 1976)

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A

novembre gli americani (e i cana-desi il secondo lunedì di ottobre) celebrano questa festa, in ricordo dei Padri Pellegrini e per celebrare e ringraziare dei frutti della natura e del duro lavoro degli uomini.

nche l’Italia ha la sua festa del ringrazia-mento, meno antica e famosa di quella amer-icana e con tutt’altra

origine: la Giornata nazionale del Ringraziamento, nata nel 1951, ad opera della Coldiretti, e celebrata la seconda domenica di novembre. Nel 1973 la Chiesa cattolica decise, con il documento pastorale “La Chiesa e il mondo rurale italiano, di curare “la Giornata del Ringra-ziamento in modo da renderla significativa per l’intera Chiesa particolare, oltre che occasione propizia per l’evangelizzazione del mondo rurale”. La Giornata nazio-nale del Ringraziamento, giunta alla 64ª edizione, nacque per sot-tolineare il profondo legame che lega l’uomo alla terra ed i sacrifici che si facevano un tempo (ora in gran parte alleviati da macchinari e mezzi automatizzati) nel mondo rurale; il cibo, offerto dalla terra, diventa quindi un dono. Un dono di cui rendere grazia, un dono da non sprecare, un dono da non sot-tovalutare come se fosse dovuto. Di conseguenza la festività vuole richiamare anche al rispetto per il territorio, troppo spesso sfrut-tato senza considerazione alcuna, sottolineare l’importanza di non sprecare le risorse, siano esse animali o naturali, richiamando il popolo alla riscoperta del vero va-lore del cibo. Un tempo, quando fu istituita la giornata, il mondo ru-rale era la risorsa più importante del Belpaese, soppiantato poi da un’industria in fase di sviluppo; il mondo dei campi era sudore, fatica, sacrificio, non sempre ripa-gati con ottimi risultati. Sarebbe infatti bastata una gelata fuori stagione, un’improvvisa moria del bestiame, un periodo di prolun- u

novembre gli americani (e i cana-desi il secondo lunedì di ottobre) celebrano questa festa, in ricordo dei Padri Pellegrini e per celebrare e ringraziare dei frutti della natura e del duro lavoro degli uomini.

nche l’Italia ha la sua festa del ringrazia-mento, meno antica e famosa di quella amer-icana e con tutt’altra

origine: la Giornata nazionale del Ringraziamento, nata nel 1951, ad opera della Coldiretti, e celebrata la seconda domenica di novembre. Nel 1973 la Chiesa cattolica decise, con il documento pastorale “La Chiesa e il mondo rurale italiano, di curare “la Giornata del Ringra-ziamento in modo da renderla significativa per l’intera Chiesa particolare, oltre che occasione propizia per l’evangelizzazione del mondo rurale”. La Giornata nazio-nale del Ringraziamento, giunta alla 64ª edizione, nacque per sot-tolineare il profondo legame che lega l’uomo alla terra ed i sacrifici che si facevano un tempo (ora in gran parte alleviati da macchinari e mezzi automatizzati) nel mondo rurale; il cibo, offerto dalla terra, diventa quindi un dono. Un dono di cui rendere grazia, un dono da non sprecare, un dono da non sot-tovalutare come se fosse dovuto. Di conseguenza la festività vuole richiamare anche al rispetto per il territorio, troppo spesso sfrut-tato senza considerazione alcuna, sottolineare l’importanza di non sprecare le risorse, siano esse animali o naturali, richiamando il popolo alla riscoperta del vero va-lore del cibo. Un tempo, quando fu istituita la giornata, il mondo ru-rale era la risorsa più importante del Belpaese, soppiantato poi da un’industria in fase di sviluppo; il mondo dei campi era sudore, fatica, sacrificio, non sempre ripa-gati con ottimi risultati. Sarebbe infatti bastata una gelata fuori stagione, un’improvvisa moria del bestiame, un periodo di prolun-

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Nell’immensa prateriaLe mani forti di un contadino diventano guanti delicati che

accarezzano un amico fedele così come hanno scavato nella terra.

(Ph. Winfield Parks - 1968)

Nell’immensa prateriaLe mani forti di un contadino diventano guanti delicati che

accarezzano un amico fedele così come hanno scavato nella terra.

(Ph. Winfield Parks - 1968)

Nell’immensa prateriaLe mani forti di un contadino diventano guanti delicati che

accarezzano un amico fedele così come hanno scavato nella terra.

(Ph. Winfield Parks - 1968)

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u

I

gata siccità per perdere tutto e vanificare ogni sforzo. Da qui il naturale desiderio di ringraziare per i doni della terra, l’esigenza di pregare, non necessariamente intesa in ambito religioso. Per-ché ringraziare per il cibo in tavola non è strettamente un atto connesso alla religione, non è solo pregare per il dio o la divinità di turno, ma qual-cosa di mistico, qualcosa che va oltre, che connette uomo e terra, uomo e ambiente, uomo e cibo. Già nel paleo-litico, ad esempio, gli uomini delle caverne compivano atti

rituali per far sì che le loro divinità rendessero fruttuo-sa la caccia, mentre nel neo-litico venivano fatti sacrifici di bestie per lo stesso scopo.

l popolo sumero pregava, invece, per la buona riuscita del raccolto, invocando due tipi di divinità:

le divinità terrestri, ma-terne, responsabili del mi-racolo della crescita delle pi-ante, come l’acqua e la terra, e le divinità celesti, paterne, indispensabili per il raccolto ma talvolta pericolose per la

loro furia distruttrice, come il cielo, il sole ed il vento. Nella religione ebraica la maggior parte delle festività sono legate al culto ed al ringra-ziamento del cibo, come la Pentecoste, celebrata du-rante la mietitura e la Festa delle Capanne, celebrata durante la vendemmia; la stessa Pasqua, anticamente, era una festa pastorale nella quale si ringraziava Dio per la fecondità del gregge. Inol-tre gli ebrei recitano a tavola preghiere diverse a seconda del pasto servito, sia esso carne, pesce o verdure, ol-

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gata siccità per perdere tutto e vanificare ogni sforzo. Da qui il naturale desiderio di ringraziare per i doni della terra, l’esigenza di pregare, non necessariamente intesa in ambito religioso. Per-ché ringraziare per il cibo in tavola non è strettamente un atto connesso alla religione, non è solo pregare per il dio o la divinità di turno, ma qual-cosa di mistico, qualcosa che va oltre, che connette uomo e terra, uomo e ambiente, uomo e cibo. Già nel paleo-litico, ad esempio, gli uomini delle caverne compivano atti

rituali per far sì che le loro divinità rendessero fruttuo-sa la caccia, mentre nel neo-litico venivano fatti sacrifici di bestie per lo stesso scopo.

l popolo sumero pregava, invece, per la buona riuscita del raccolto, invocando due tipi di divinità:

le divinità terrestri, ma-terne, responsabili del mi-racolo della crescita delle pi-ante, come l’acqua e la terra, e le divinità celesti, paterne, indispensabili per il raccolto ma talvolta pericolose per la

loro furia distruttrice, come il cielo, il sole ed il vento. Nella religione ebraica la maggior parte delle festività sono legate al culto ed al ringra-ziamento del cibo, come la Pentecoste, celebrata du-rante la mietitura e la Festa delle Capanne, celebrata durante la vendemmia; la stessa Pasqua, anticamente, era una festa pastorale nella quale si ringraziava Dio per la fecondità del gregge. Inol-tre gli ebrei recitano a tavola preghiere diverse a seconda del pasto servito, sia esso carne, pesce o verdure, ol-

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Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

Colori provenzali e suggestiviErba alta e passi veloci. Prendersi

cura di un campo e strappare e sradicare quello che è nocivo per

nutrire con premura corpo e mente.(Ph. Arthur Elgort - 1993)

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M

tre alla Birkat Hamazon (preghiera dopo i pasti), recitata alla fine di ogni pasto in cui è presente del pane o del matzo (pane azzi-mo). Nella religione induista Annapurna è il nome dato alla Madre Divina, la dea della natura, colei che è capace di dare nutri-mento senza limiti a tutta l’umanità; in In-dia, in occasione del primo raccolto di riso dell’anno, si celebra il Pongal, una festa che dura tre giorni. Sempre nella religione induista i fedeli durante il pasto fanno delle offerte alla divinità, il prasada, che può es-sere rappresentato solo da frutta, verdura, cereali o derivati del latte; inoltre prima di consumare cibi e bevande vengono recitate formule di ringraziamento chiamate puja.In Italia, in particolare, il ringraziamento prima del pranzo e della cena è sempre sta-to indissolubilmente legato alle tradizioni religiose della Chiesa cattolica, andando scemando nel corso degli anni, di pari pas-so alla pratica effettiva del culto religioso stesso. La maggior parte delle persone che ancora è solita pregare per i pasti è tutt’oggi la stessa dedita alla pratica costante della religione, a differenza di altre culture nelle quali il ringraziamento è ancorato ai sacri-fici della terra e dell’uomo per portare ogni giorno il cibo in tavola.

a quanti modi esis-tono per dire grazie del cibo che si mangia ogni giorno? Avere rispetto della terra e dei suoi frutti,

non sprecare gli alimenti e non gettare gli avanzi, essere consapevoli della storia e del lavoro che si trova dietro ogni piatto: sono tutti modi di ringraziare, di essere grati, si potrebbe dire, più correttamente.Non solo pregare una divinità quindi, non solo preghiere dette a mezzo voce in tavola, non solo altarini consacrati nei campi o nelle case dei contadini; dire gra-zie per il cibo ricevuto può essere anche un gesto in intimità, una consapevolezza che l’intrinseco legame tra uomo e natura e, di conseguenza, tra uomo e cibo, può spezzarsi da un momento all’altro se non si attuano delle scelte corrette o si é trop-po esigenti. Il rispetto per il cibo diventa quindi alla base di tutto perché, come re-cita il testo sanscrito Taittiriya Upanishad, “Tutte le creature che si trovano sulla terra traggono origine dal nutrimento e da esso sono mantenute in vita.

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tre alla Birkat Hamazon (preghiera dopo i pasti), recitata alla fine di ogni pasto in cui è presente del pane o del matzo (pane azzi-mo). Nella religione induista Annapurna è il nome dato alla Madre Divina, la dea della natura, colei che è capace di dare nutri-mento senza limiti a tutta l’umanità; in In-dia, in occasione del primo raccolto di riso dell’anno, si celebra il Pongal, una festa che dura tre giorni. Sempre nella religione induista i fedeli durante il pasto fanno delle offerte alla divinità, il prasada, che può es-sere rappresentato solo da frutta, verdura, cereali o derivati del latte; inoltre prima di consumare cibi e bevande vengono recitate formule di ringraziamento chiamate puja.In Italia, in particolare, il ringraziamento prima del pranzo e della cena è sempre sta-to indissolubilmente legato alle tradizioni religiose della Chiesa cattolica, andando scemando nel corso degli anni, di pari pas-so alla pratica effettiva del culto religioso stesso. La maggior parte delle persone che ancora è solita pregare per i pasti è tutt’oggi la stessa dedita alla pratica costante della religione, a differenza di altre culture nelle quali il ringraziamento è ancorato ai sacri-fici della terra e dell’uomo per portare ogni giorno il cibo in tavola.

a quanti modi esis-tono per dire grazie del cibo che si mangia ogni giorno? Avere rispetto della terra e dei suoi frutti,

non sprecare gli alimenti e non gettare gli avanzi, essere consapevoli della storia e del lavoro che si trova dietro ogni piatto: sono tutti modi di ringraziare, di essere grati, si potrebbe dire, più correttamente.Non solo pregare una divinità quindi, non solo preghiere dette a mezzo voce in tavola, non solo altarini consacrati nei campi o nelle case dei contadini; dire gra-zie per il cibo ricevuto può essere anche un gesto in intimità, una consapevolezza che l’intrinseco legame tra uomo e natura e, di conseguenza, tra uomo e cibo, può spezzarsi da un momento all’altro se non si attuano delle scelte corrette o si é trop-po esigenti. Il rispetto per il cibo diventa quindi alla base di tutto perché, come re-cita il testo sanscrito Taittiriya Upanishad, “Tutte le creature che si trovano sulla terra traggono origine dal nutrimento e da esso sono mantenute in vita.

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Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

Sorridere di gustoRidere, urlare di gioia, divertirsi

insieme. Semplicemente mangiare per assaporare ed avere un’attimo

intenso di armonia con gli altri.(Ph. Lynsey Addario - 2012)

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L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

L’energia antica di mani vissuteCappelli bianchi, abiti da contadina e la dedizione verso ciò che si ama.

Stesa come una bambina, vitale come una donna senza età, persa nel verde.

(Ph. Matthieu Paley - 2014)

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Mangiare è condividereUn gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il

tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare.

(Ph. Jim Richardson - 2014)

Mangiare è condividereUn gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il

tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare.

(Ph. Jim Richardson - 2014)

Mangiare è condividereUn gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il

tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare.

(Ph. Jim Richardson - 2014)

Mangiare è condividereUn gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il

tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare.

(Ph. Jim Richardson - 2014)

Mangiare è condividereUn gesto che dona, un sorriso che invita. Nel poco si trova il

tanto. Nella semplicità si scoprono ricchezze. Bisogna saperle afferrare.

(Ph. Jim Richardson - 2014)

Page 44: Impatto Mag - ISSUE #1

stanco della vecchia editoria?

!MPATTO MAG assume un impegno ecosostenibile ed etico.

!MPATTO MAG viene distribuito gratuitamente.

!MPATTO MAG offre ogni settimana una linea editoriale innovativa.

!MPATTO MAG con i suoi formati si apre a tutti i device digitali.

Page 45: Impatto Mag - ISSUE #1

Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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!MPATTO - InnovationN.1 | 6 Gennaio 2015

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uidare una macchina elettrica conferisce un’aura da amico dell’ambiente, o almeno così vogliono lasciar credere i dipartimenti di marketing dei loro costruttori. Tuttavia un report che analizza il

ciclo di vita delle emissioni delle automobili (ovvero tutte le emissioni, da quelle rilasciate per estrarre i materiali delle batteria, effettuare la produzione della vettura, dell’energia necessaria a muoverla, a smaltirla, e infine anche la classica misurazione delle emissioni dal tubo di scarico) presenta un quadro assai diverso. Un auto alimentata a batterie, ricaricata con elettricità prodotta da centrali elettriche a carbone, si scopre, può causare un numero di morti per inquinamento tre volte superiore a quello di una normale auto a benzina. Persino un’auto elettrica ricaricata con energia prodotta da un mix di fonti pari alla media di energia elettrica prodotta in America è molto più pericolosa dell’alternativa convenzionale. Christopher Tessum, Jason Hill e Julian Marshall dell’università del Minnesota hanno appena pubblicato questo studio negli atti dell’accademia nazionale delle scienze. Essi stimano come i livelli di polveri sottili e ozono nella troposfera – due componenti importanti dell’inquinamento

G

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uuule auto elettriche inquinano

più di quellea benzina

Page 48: Impatto Mag - ISSUE #1

u atmosferico, che uccide più di 100mila persone l’anno in America – cambierebbero se ognuno degli 11 modi di alimentare una vettura fosse utilizzato per il 10% delle miglia che si stima verranno percorse nel 2020 dai veicoli Americani.Non è una sorpresa constatare che le auto elettriche le cui batterie sono state alimentate dal vento, l’energia solare o l’idroelettrico siano state le più pulite, causando 231 morti presunte nel corso di un anno, rispetto alle 878 delle auto a benzina. Anche le auto elettriche ricaricate con l’energia prodotta dalle centrali a gas naturale sono state molto meno letali rispetto a quelle a benzina, con 439 morti. Ma se quelle stesse auto vengono ricaricate con l’energia del carbone, queste

divengono responsabili, secondo il modello, di oltre 3000 decessi. Anche i biocarburanti hanno causato più problemi di salute della benzina.

l duro nodo Diesel Mentre il diesel, che sta generando preoccupazione per

l’inquinamento in molte parti d’Europa, dove è molto più popolare che in America, è di poco più pulito della benzina. Questo anche perché il modello del Minessota assume l’ipotesi che entro il 2020 le tecnologie di controllo delle emissioni saranno maggiormente utilizzate, in particolare i filtri antiparticolato, che hanno un effetto marcato sulle emissioni dei motori diesel. Le auto a gasolio, inoltre, hanno anche maggiore autonomia rispetto

a quelle alimentate a benzina. In generale, la ricerca mostra che le auto elettriche sono più pulite di quelle che si basano su motori a combustione interna solo se l’energia utilizzata per ricaricarle proviene da una fonte verde. Difficilmente questa può essere una sorpresa, ma le dimensioni della differenza lo sono.

ove sono guidate Quanto siano verdi le auto elettriche, quindi,

dipende principalmente dal luogo in cui sono guidate. In Francia, dove più della metà dell’energia è ottenuta dalle centrali nucleari, sembrano una buona scommessa. In Cina – dove c’è la moda delle auto elettriche, ma una produzione di elettricità che dipende per l’80% dal carbone – molto meno.

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DI

!MPATTO - InnovationN.1 | 6 Gennaio 2015

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in 280 mega-watt di energia prodotta dagli impianti in-stallati in circa 70mila abitazi-oni. In Nevada, le ruspe sono al lavoro per la costruzione della “GIga-factory”, la più grande fab-brica di batterie al mondo, in parte alimentata pro-prio dall’energia solare. L’impianto vale 5 miliardi di dollari, e per Musk rappre-senta un passo fondamentale verso la realizzazione di auto elettriche più accessibili. Le batterie prodotte, inoltre, verranno impiegate anche per gli impianti domestici di Solar City, rendendoli eco-nomicamente più appetibili. Tant’è che anche il gigante dei centri commerciali Wal-Mart si è dimostrato interes-sato. Secondo Amory Lovins, co-fondatore del Rocky Mountain Institute, un con-sulente energetico con sede a Snowmass, in Colorado, l’evoluzione di queste batte-rie rappresenta una minac-cia mortale per il vecchio modo di produrre energia, e quindi per i vecchi modelli di business: “l’assenza di una regolamentazione su questi prodotti li rende incredibil-mente appetibili”. Eon AG, uno dei più grandi produt-tori di energia in Germania, sembra essere dello stesso parere. Dopo l’aumento dell’imposta per sovvenzi-onare l’energia pulita sugli impianti a carbone e gas na-turale, la società ha annun-ciato uno spin off del vecchio business per concentrarsi totalmente sulle energie rinnovabili, prima che i nuo-vi concorrenti in campo ot-tengano un vantaggio troppo marcato.

ntanto Elon Musk investe sul solare Elon Musk è uno dei miliardari americani

più chiacchierati del mo-mento. Inventore di paypal, società leader nei pagamenti online, è uscito poi dalla so-cietà per fondare Space X, con l’obiettivo di raggiunge-re Marte, e soprattutto Tesla Motors, casa produttrice di veicoli elettrici di lusso, che ha sdoganato questo tipo di alimentazione divenendo subito leader del nuovo mer-cato. Il celebre imprendi-tore ha una chiara visione di come evolverà il settore nei prossimi anni, e di quello che richiedono gli amanti del verde per continuare

a comprare i suoi prodot-ti. Perciò sta investendo pesantemente sull’energia del Sole. L’ultimo succes-so di Musk si chiama Solar City, un’impresa che pro-duce impianti fotovoltaici di ultima generazione per la casa. La novità introdotta da Solar City è l’uso di potenti batterie al litio per stipare l’energia prodotta in surplus durante le ore in cui il Sole è più intenso. Il successo dell’azienda è indiscutibile, il bilancio del 2013 indica chiaramente che le sue quote di mercato sono in conti-nua crescita, e ne hanno già consacrato il trono di leader del mercato con un market share del 32%, che si traduce u

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L’ultimo successo di Musk si chiama

Solar City, un’impresa che

produce impianti fotovoltaici

di ultima generazione per

la casa. La novità è l’uso di potenti batterie per che

stipano l’energia in surplus.

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evoluzione del mercato - In Cali-fornia, nazione dove il 40% delle

auto vendute è un’ibrida plug-in, circa la metà dei proprietari di una vet-tura elettrica ha un impi-anto fotovoltaico, e l’altra metà desidera installarlo. Il solare inoltre rappre-senta una grande oppor-tunità in tutti quei luoghi dove i costi dell’energia sono proibitivi, tra questi ci sono molti paesi della fas-cia compresa tra i tropici.Gli stessi analisti sono con-cordi nell’affermare che l’industria stia reagendo troppo lentamente. Tesla,

Solar City e le altre green-company si stanno muoven-do aggressivamente in uno spazio inoccupato. Per Ben Kallo, un analista di San Francisco che lavora per la Robert W. Baird & Co. “al-cune delle aziende che si sono mosse più veloce-mente, stanno letteralmente prendendo a pugni le vec-chie compagnie”. Secondo gli analisti di Morgan Stanley “non vi è un sufficiente ap-prezzamento della grandez-za della riduzione dei costi di stoccaggio energetico che Tesla ha già raggiunto, né dell’entità dell’ulteriore ri-duzione che Tesla potrebbe essere in grado di ottenere

una volta che avrà ultimato la costruzione della “Gi-gafactory”. Solar City e al-tre aziende del fotovoltaico come SunPower affermano che il loro obiettivo non è portare i consumatori ad ab-bandonare la rete elettrica, ma a diventare più indipen-denti da essa, e in questo le nuove batterie rappresenta-no il santo Graal per energie non sempre disponibili come il vento o i raggi solari. Per le aziende elettriche la posta in gioco è davvero alta. Le aziende di fornitura elettrica statunitensi affermano di avere già in lavorazione le loro stazioni di ricarica per le auto elettriche. Per James

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Avery, vice presidente senior della San Diego Gas & Electric “i veicoli elettrici possono es-sere sia la cosa migliore che la più distruttiva mai accaduta per la nostra industria”.

uardare Elon Musk Secondo Lovins: “le industrie della ener-gia elettrica dovreb-

bero guardare Elon Musk come un brillante innovatore e im-prenditore che sta creando un nuovo settore di successo, con la consapevolezza che scom-mettere contro di lui finora non ha funzionato. Piuttosto, dovrebbero trovare il modo di beneficiare di ciò che sta por-tando nel mercato”.

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A’ vita è n’affacciata ‘e fenestaIl tempo, il nostro tempo con il tanto tempo e il troppo poco tempo. L’unica cosa che abbiamo ma che non possediamo illimitatamente. Come la sabbia che scorre in una clessidra o il continuo tic toc di un pendolo. Ci sfugge, lo inseguiamo. Sarebbe più opportuno lasciare andare le lancette e scivolarci su, per andare al ritmo del nostro tempo.

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i dovrebbe iniziare con il morire, per poi ritrovarsi in un letto d’ospedale, così il trauma sarebbe or-mai superato; ci si

godrebbe la pensione finché - recu-perate le forze e sparite le rughe – si inizierebbe a lavorare, quarant’anni fino a che non si è talmente giovani da ritirarsi dalla vita lavorativa; poi comincia la scuola, ci si diverte, si fa sesso, si beve e senza obblighi e re-sponsabilità si arriva ad essere neo-nati; arrivato ad essere abbastanza piccolo, ti infili in un posto che empiricamente già conosci. Gli ul-timi nove mesi li trascorri facendo capriole in un posto con servizio in camera ed aria condizionata, per poi - da ultimo – abbandonare questa vita in un orgasmo. Sarebbe tutto molto più semplice e divertente se le cose andassero in questo modo: il più classico dei pensieri targati Woody Allen. Purtroppo, però, le cose non vanno così: si nasce, si cresce, ci si riproduce (nel migliore dei casi) e si muore. Ecco, la morte. L’unica certezza della vita: la morte. Che si nasca ad Hong Kong piut-tosto che a Pittsburgh, a Canberra piuttosto che ad Oslo, il nostro tempo su questo pianeta è limi-

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Il tempo naturale Un lento movimento di lancette e un

suono impercettibile tra un verde muschio e un marrone terra, perché

il tempo scorre naturalmente.

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tato. A’vita è n’affacciata ‘e fenesta, come sostenevano i più eruditi. Scorre, inesor-abilmente scorre e rende tutto così precario e fragile; basta che la tua dirimpet-taia abbia cattive intenzioni e l’indomani non sarai più lì, affacciato alla tua bella fin-estra.

iamo sette mili-ardi, siamo tanti, tantissimi, fin troppi, ma non

è il numero che spaventa, sono i bisogni. Oggi sette, domani otto, dopodomani

nove miliardi di persone con una prospettiva di vita media di ottanta anni: poco tempo, troppo poco tempo. Volli, volli, fortissimamente volli: ottanta anni di bisogni, di “io voglio questo” oppure “io preferisco questo” o an-cora e soprattutto “questo lo voglio anche io”. Il mondo si divide in due grandi fazioni: quelli che vogliono qualcosa e quelli che avrebbero voluto qualcosa; insomma, troppa gente e stessi bisogni. Ci si ritrova al termine della propria esistenza a tirare le somme chiedendosi cosa ab-

biamo avuto, cosa abbia-mo lasciato e se gli sforzi sono valsi a qualcosa. Fin dall’alba dei tempi l’uomo si è tempestato di domande del genere, si è scervel-lato a forza di congetture, di paure e speranze, prospet-tive e progetti. Tantum tem-pum nostrum est, soltanto il tempo è nostro, secondo Seneca; siamo artefici nos-trae quisque fortunae, siamo il Dio Vulcano che forgia il proprio futuro. Per quanto il libero arbitrio sia deter-minante, un humus fertile è comunque fondamentale;

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!MPATTO - LifeN.1 | 6 Gennaio 2015 !MPATTO - LifeN.1 | 6 Gennaio 2015

tato. A’vita è n’affacciata ‘e fenesta, come sostenevano i più eruditi. Scorre, inesor-abilmente scorre e rende tutto così precario e fragile; basta che la tua dirimpet-taia abbia cattive intenzioni e l’indomani non sarai più lì, affacciato alla tua bella fin-estra.

iamo sette mili-ardi, siamo tanti, tantissimi, fin troppi, ma non

è il numero che spaventa, sono i bisogni. Oggi sette, domani otto, dopodomani

nove miliardi di persone con una prospettiva di vita media di ottanta anni: poco tempo, troppo poco tempo. Volli, volli, fortissimamente volli: ottanta anni di bisogni, di “io voglio questo” oppure “io preferisco questo” o an-cora e soprattutto “questo lo voglio anche io”. Il mondo si divide in due grandi fazioni: quelli che vogliono qualcosa e quelli che avrebbero voluto qualcosa; insomma, troppa gente e stessi bisogni. Ci si ritrova al termine della propria esistenza a tirare le somme chiedendosi cosa ab-

biamo avuto, cosa abbia-mo lasciato e se gli sforzi sono valsi a qualcosa. Fin dall’alba dei tempi l’uomo si è tempestato di domande del genere, si è scervel-lato a forza di congetture, di paure e speranze, prospet-tive e progetti. Tantum tem-pum nostrum est, soltanto il tempo è nostro, secondo Seneca; siamo artefici nos-trae quisque fortunae, siamo il Dio Vulcano che forgia il proprio futuro. Per quanto il libero arbitrio sia deter-minante, un humus fertile è comunque fondamentale;

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Vellutato come un petaloIl tempo passa e va via senza poter

tornare, con la delicatezza di un petalo vellutato, con la forza di un

rosso intenso e romantico.

Vellutato come un petaloIl tempo passa e va via senza poter

tornare, con la delicatezza di un petalo vellutato, con la forza di un

rosso intenso e romantico.

Vellutato come un petaloIl tempo passa e va via senza poter

tornare, con la delicatezza di un petalo vellutato, con la forza di un

rosso intenso e romantico.

Vellutato come un petaloIl tempo passa e va via senza poter

tornare, con la delicatezza di un petalo vellutato, con la forza di un

rosso intenso e romantico.

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siamo come il Gigante nella favola di Goethe: un bestione di diversi metri che a causa di un sorti-legio è costretto ad agire soltanto attraverso la sua ombra. Quando il sole è allo zenit e rifulge del suo splendore, la sua capacità d’azione è minima, quando invece è in fase crepuscolare, l’ombra si allunga, facendo sì che il gigante possa e debba agire. È un po’ la metafora della nostra vita: l’astro sulla parte occidentale del globo risplende, e per noi, piccoli grandi giganti, è tutto più semplice; l’astro orientale, invece, tramonta, rendendo gli altri giganti bisognosi di agire per tirare avanti. Il tempo è denaro. Per i più fortunati il tempo è lavoro, hobby, famiglia, relax. Il tempo è fatturare: si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In occi-dente un bambino si sveglia e sa che dovrà stu-diare per lavorare e lucrare. Il tempo è denaro. Per i meno fortunati il tempo è lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. Il tempo è fatturare, si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In oriente un bambino si sveglia e sa che dovrà lavorare per contribuire al sostentamento della propria famiglia e, forse, per studiare, un giorno.

n dollaro l’ora, nel peggiore dei casi è questo il costo del tempo. Il bi-sogno di un paio di scarpe di marca è il costo di un bambino in Cina, in Taiwan o in Malesia.Nel migliore dei

casi, invece, il costo del tempo è un deja-vu, una risata per un qualcosa che è già accaduto o che sta per accadere. Si dovrebbe riuscire a togliere al tempo l’accezione di rendimento per sosti-tuirla con quella di fattore di ricchezza: il tempo come legame fra persone e non come misura; il tempo soggettivo, emotivo ed il ritmo personale e comunitario; il tempo come scelta e condivi-sione; il tempo come riabilitazione del presente; concepire la morte come fondamento della nos-tra vita. Il tempo assoluto non esiste, è soltanto un’astrazione mentale. Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente- come separaz-ione fra due cose che non esistono – come fa ad esistere? Nel momento in cui il lettore girerà la pagina, provocando un rumore, quando lo per-cepirà, sarà già passato ed inesistente…non pre-sente! Come si può, allora, cogliere un attimo che non esiste e che ipoteticamente fluisce inesora-bile? La quarta dimensione, secondo Socrate, non esisterebbe. Secoli di storia hanno dimostrato il contrario ma è comunque molto più poetico re-alizzare che il tempo, fondamentalmente, non esista. Quindi restate fermi su questo aggettivo, fermi ed il tempo non passerà mai!

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siamo come il Gigante nella favola di Goethe: un bestione di diversi metri che a causa di un sorti-legio è costretto ad agire soltanto attraverso la sua ombra. Quando il sole è allo zenit e rifulge del suo splendore, la sua capacità d’azione è minima, quando invece è in fase crepuscolare, l’ombra si allunga, facendo sì che il gigante possa e debba agire. È un po’ la metafora della nostra vita: l’astro sulla parte occidentale del globo risplende, e per noi, piccoli grandi giganti, è tutto più semplice; l’astro orientale, invece, tramonta, rendendo gli altri giganti bisognosi di agire per tirare avanti. Il tempo è denaro. Per i più fortunati il tempo è lavoro, hobby, famiglia, relax. Il tempo è fatturare: si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In occi-dente un bambino si sveglia e sa che dovrà stu-diare per lavorare e lucrare. Il tempo è denaro. Per i meno fortunati il tempo è lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. Il tempo è fatturare, si fattura in estate, si fattura in inverno, di giorno o di notte. In oriente un bambino si sveglia e sa che dovrà lavorare per contribuire al sostentamento della propria famiglia e, forse, per studiare, un giorno.

n dollaro l’ora, nel peggiore dei casi è questo il costo del tempo. Il bi-sogno di un paio di scarpe di marca è il costo di un bambino in Cina, in Taiwan o in Malesia.Nel migliore dei

casi, invece, il costo del tempo è un deja-vu, una risata per un qualcosa che è già accaduto o che sta per accadere. Si dovrebbe riuscire a togliere al tempo l’accezione di rendimento per sosti-tuirla con quella di fattore di ricchezza: il tempo come legame fra persone e non come misura; il tempo soggettivo, emotivo ed il ritmo personale e comunitario; il tempo come scelta e condivi-sione; il tempo come riabilitazione del presente; concepire la morte come fondamento della nos-tra vita. Il tempo assoluto non esiste, è soltanto un’astrazione mentale. Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente- come separaz-ione fra due cose che non esistono – come fa ad esistere? Nel momento in cui il lettore girerà la pagina, provocando un rumore, quando lo per-cepirà, sarà già passato ed inesistente…non pre-sente! Come si può, allora, cogliere un attimo che non esiste e che ipoteticamente fluisce inesora-bile? La quarta dimensione, secondo Socrate, non esisterebbe. Secoli di storia hanno dimostrato il contrario ma è comunque molto più poetico re-alizzare che il tempo, fondamentalmente, non esista. Quindi restate fermi su questo aggettivo, fermi ed il tempo non passerà mai!

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Un riflesso in un istanteÈ un attimo e una stanza prende vita.

In un attimo che sembra eterno. In un attimo che riscalda con l’intensità

di un raggio luminoso di Sole.

Un riflesso in un istanteÈ un attimo e una stanza prende vita.

In un attimo che sembra eterno. In un attimo che riscalda con l’intensità

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In un attimo che sembra eterno. In un attimo che riscalda con l’intensità

di un raggio luminoso di Sole.

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Chiuso come in un baccelloIl tempo si dischiude come un fiore,

come un baccello e si apre nella sua bellezza temporale e naturale

donando il tempo per goderne.

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donando il tempo per goderne.

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come un baccello e si apre nella sua bellezza temporale e naturale

donando il tempo per goderne.

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In un soffio di ventoCome un soffio, come uno stelo

che sinuoso si flette al vento. Come un corpo immobile che aspetta di esserne avvolto e trasportato via.

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In un soffio di ventoCome un soffio, come uno stelo

che sinuoso si flette al vento. Come un corpo immobile che aspetta di esserne avvolto e trasportato via.

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le ali mentre gli altri precipitano

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!MPATTO - CasesN.1 | 6 Gennaio 2015

cquisto di titoli di stato da parte dell’Unione Europea, Grecia sull’uscio dell’Euro e tagli agli investimenti su is-truzione e ricerca salgono alla ribalta tra gli interventi posti come potenziali soluzioni alla crisi in Europa, ma a far

riflettere è una condizione strutturale messa in luce dall’OCSE: quanto più ampia sarà la forbice tra ricchi e meno abbienti tanto più frenata sarà la crescita di un paese. La relazione tra le due variabili sembra inequivo-cabile, stando a dati e stime, che mostrano come elevate percentuali di crescita siano andate perse, laddove è più forte la disparità tra chi “non arriva a fine mese” e chi, invece, può permettersi spese folli. I numeri rendono il concetto meglio di ogni altra espressione: 10% in Mes-sico e Nuova Zelanda, dal 6 al 9% nel Regno Unito e in Italia, cifre simili in Svezia, Finlandia e Norvegia. Inol-tre, in passato si sono registrati PIL crescenti in paesi in

tagliare la

crisi chiudendo la forbiceA

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uuudi Marco Tregua

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cui la distribuzione della ricchez-za è più omogenea, come in Francia, Spagna e Irlanda a inizio secolo.

analisi dei dati non dà adito a perplessità, dal 1980 c’è la più alta disparità tra classi più agiate e classi in diffi-

coltà con patrimoni nel rapporto di 1 a 9, contro il 7 a 1 di 30 anni fa. La prima tra le conseguenze dirette di questa forte forbice tra i più ricchi e i meno abbienti è la forte contra-zione dei consumi da parte di questi ultimi e la concentrazione dei con-sumi sulle fasce top per chi ha mag-giori possibilità di spesa, con effetti altamente negativi per la maggior parte delle imprese, che si trovano costrette a dover modificare il pro-prio target, ma soprattutto a ripen-sare le proprie offerte.

problemi si ribaltano, però, anche sul medio - lungo termine, dato che le famiglie con maggiori dif-ficoltà economiche si ritro-

veranno a dover rinunciare a tipolo-gie di spesa per il proprio futuro o per quello dei propri figli, come per l’istruzione. I dati, difatti, pongono l’accento su come le classi sociali meno agiate si comportino allo stes-so modo di quanto fanno alcuni gov-erni: nel tagliare le spese sacrificano in primis le uscite per l’istruzione, che sta diventando come un bene di lusso. Nel lungo termine, così, le potenzialità di chi proviene da fami-glie più povere tendono a essere ancora più ridotte e ciò comporterà un ampliamento della forbice tra le classi sempre più ricche e quelle più in difficoltà. L’allarme lanciato dall’OCSE si conclude con l’auspicio che i governi nazionali possano im-postare delle politiche che, in pri-mis, combattano la disoccupazione e, successivamente, possano favori-re miglioramenti nel mercato del lavoro, nonché attività a supporto dei giovanissimi e dell’istruzione, quali passi necessari per riequili-brare le differenze.

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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!MPATTO - StoriesN.1 | 6 Gennaio 2015!MPATTO - StoriesN.1 | 6 Gennaio 2015

Il nero che opprime il respiroPareti sporche come sporchi sono i polmoni di chi lavora in fabbrica. Scale per un lavoro in salita che ti scaraventa in una discesa infernale.(Napoli - Discesa Metropolitana)

Il nero che opprime il respiroPareti sporche come sporchi sono i polmoni di chi lavora in fabbrica. Scale per un lavoro in salita che ti scaraventa in una discesa infernale.(Napoli - Discesa Metropolitana)

Il nero che opprime il respiroPareti sporche come sporchi sono i polmoni di chi lavora in fabbrica. Scale per un lavoro in salita che ti scaraventa in una discesa infernale.(Napoli - Discesa Metropolitana)

Il nero che opprime il respiroPareti sporche come sporchi sono i polmoni di chi lavora in fabbrica. Scale per un lavoro in salita che ti scaraventa in una discesa infernale.(Napoli - Discesa Metropolitana)

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Colpidi Tosse

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni

ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un

lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

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Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni

ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un

lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni

ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un

lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

Il sogno di una vita normale. una famiglia e un lavoro. Nella Napoli del boom economico. Sogni

ad una finestra attraverso cui vedersi vivere e cambiare. Accettare un lavoro in fabbrica e scendere a compromessi per andare avanti. Una croce per un

lavoro. Un voto per un futuro all’amianto.

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!MPATTO - StoriesN.1 | 6 Gennaio 2015!MPATTO - StoriesN.1 | 6 Gennaio 2015!MPATTO - StoriesN.1 | 6 Gennaio 2015

Come una foto anticaNapoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. È la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang.(Napoli - La Pignasecca)

Come una foto anticaNapoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. È la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang.(Napoli - La Pignasecca)

Come una foto anticaNapoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. È la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang.(Napoli - La Pignasecca)

Come una foto anticaNapoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. È la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang.(Napoli - La Pignasecca)

Come una foto anticaNapoli è in una foto in bianco e nero con sfumature seppia. È la Napoli del compromesso. Del boom economico che ritorna indietro come un boomerang.(Napoli - La Pignasecca)

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ognavo una vita tranquilla. Sogna-vo un futuro. Una donna accanto. La mia vita sacri-

ficata. Non avevo mai let-to Marx e non sapevo nulla dell’alienazione. Non sape-vo nulla. Da fuori i botti co-minciavano ad annunciare che tra pochi giorni sarebbe stato Capodanno. Io con la mia famiglia. Avrei vissuto tante ultime notti dell’an-no. Appena sarei riuscito ad entrare in quella fabbrica. La mattina consegnavo caf-fè. La sera lavavo piatti. Dal bar al ristorante, in mezzo la vita. Tutti i giorni. Andavo avanti a mance e minimi sa-lari settimanali. Desideravo un posto fisso. Un posto con

i turni. Con un dopolavoro magari dove giocare a carte o parlare di calcio. Gli anni settanta. Il Boom strasci-cato che provava a riesplo-dere. Fernet Branca, e caffè la mattina. Pizze, fritture la sera. Napoli mi accoglieva di notte. Stanco e negli occhi un silenzio di speranza. Un lavoro da aspettare e man-giare con avidità. Il mio po-sto con una tuta. La sirena di fine giornata che mi avrebbe consegnato la casa insieme a lei. Ai miei figli che mi par-lavano di scuola, di recite. Di calci ad un pallone. Una mat-tina a Piazza Del Gesù, nella foschia del giorno appena sbadigliato, tra il Genovesi e la Chiesa del Gesù, incontrai la mia speranza. Democrazia

Cristiana, il passepartout in doppio petto e valigetta. Il posto in fabbrica in cambio di voti. Molti voti. Dio ti aiu-ta. Basta mettere una croce. Una croce doppia. Una croce come ideale, merce di scam-bio, clientelismo spicciolo. Croce. Ma la tuta, la sirena di fine turno, la poesia di Nata-le dei bambini. Una casa. Una vita da operaio. Magari leg-gerò pure Marx. Magari avrò i sindacati con me. Avrò una posizione in questo mondo. Basta Fernet, amari, sam-buca. Basta mance. Stipen-dio, tredicesima, pensione. Basta presente. Ora futuro. In fabbrica tutto era come sognavo. Lastre di amianto. Colleghi simpatici. La sera dopo il lavoro mi fermavo

ognavo una vita tranquilla. Sogna-vo un futuro. Una donna accanto. La mia vita sacri-

ficata. Non avevo mai let-to Marx e non sapevo nulla dell’alienazione. Non sape-vo nulla. Da fuori i botti co-minciavano ad annunciare che tra pochi giorni sarebbe stato Capodanno. Io con la mia famiglia. Avrei vissuto tante ultime notti dell’an-no. Appena sarei riuscito ad entrare in quella fabbrica. La mattina consegnavo caf-fè. La sera lavavo piatti. Dal bar al ristorante, in mezzo la vita. Tutti i giorni. Andavo avanti a mance e minimi sa-lari settimanali. Desideravo un posto fisso. Un posto con

i turni. Con un dopolavoro magari dove giocare a carte o parlare di calcio. Gli anni settanta. Il Boom strasci-cato che provava a riesplo-dere. Fernet Branca, e caffè la mattina. Pizze, fritture la sera. Napoli mi accoglieva di notte. Stanco e negli occhi un silenzio di speranza. Un lavoro da aspettare e man-giare con avidità. Il mio po-sto con una tuta. La sirena di fine giornata che mi avrebbe consegnato la casa insieme a lei. Ai miei figli che mi par-lavano di scuola, di recite. Di calci ad un pallone. Una mat-tina a Piazza Del Gesù, nella foschia del giorno appena sbadigliato, tra il Genovesi e la Chiesa del Gesù, incontrai la mia speranza. Democrazia

Cristiana, il passepartout in doppio petto e valigetta. Il posto in fabbrica in cambio di voti. Molti voti. Dio ti aiu-ta. Basta mettere una croce. Una croce doppia. Una croce come ideale, merce di scam-bio, clientelismo spicciolo. Croce. Ma la tuta, la sirena di fine turno, la poesia di Nata-le dei bambini. Una casa. Una vita da operaio. Magari leg-gerò pure Marx. Magari avrò i sindacati con me. Avrò una posizione in questo mondo. Basta Fernet, amari, sam-buca. Basta mance. Stipen-dio, tredicesima, pensione. Basta presente. Ora futuro. In fabbrica tutto era come sognavo. Lastre di amianto. Colleghi simpatici. La sera dopo il lavoro mi fermavo

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al bar a bere un caffè ristret-to. Andavo a casa. Mangiavo insieme alla mia famiglia. La domenica portavo i miei figli in villa comunale. Il pomeriggio gli inculcavo il culto del Napoli. Alla radio. Con la testa sul tavolo. Ad ascoltare la partita. L’unico giorno in cui tutto si fermava ed ero padrone di un benes-sere fatto di calli e polmoni sgretolati. Andavo avanti ed ero contento. Andavo avan-

ti. Avevo letto Marx, come mi ero ripromesso. Non mi sentivo estraneo al bene che producevo. Non ero affat-to estraneo. Il bene che ho prodotto, ho aiutato a dif-fondere, mi è appartenuto per trent’anni. Me lo porto dentro. Me lo porto come ci-catrice, e l’ho elargito a tutti quelli che hanno respirato il mio lavoro. Napoli non la vedevo più di notte. Non mi accoglieva più rumorosa e

stanca. Mi abbracciava come una grande mamma, e coc-colava i sabati notte che mi avrebbero portato al mare con i miei bambini. Mi ave-vano tatuato il petto a fuo-co, col marchio del prodotto che ho realizzato negli anni. Con il quale hanno costru-ito palazzi. Ha contribuito al boom dell’abusivismo. Ha fatto mangiare tanti, ma proprio tanti. Con le croci e senza croci. I chiodi però li

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al bar a bere un caffè ristret-to. Andavo a casa. Mangiavo insieme alla mia famiglia. La domenica portavo i miei figli in villa comunale. Il pomeriggio gli inculcavo il culto del Napoli. Alla radio. Con la testa sul tavolo. Ad ascoltare la partita. L’unico giorno in cui tutto si fermava ed ero padrone di un benes-sere fatto di calli e polmoni sgretolati. Andavo avanti ed ero contento. Andavo avan-

ti. Avevo letto Marx, come mi ero ripromesso. Non mi sentivo estraneo al bene che producevo. Non ero affat-to estraneo. Il bene che ho prodotto, ho aiutato a dif-fondere, mi è appartenuto per trent’anni. Me lo porto dentro. Me lo porto come ci-catrice, e l’ho elargito a tutti quelli che hanno respirato il mio lavoro. Napoli non la vedevo più di notte. Non mi accoglieva più rumorosa e

stanca. Mi abbracciava come una grande mamma, e coc-colava i sabati notte che mi avrebbero portato al mare con i miei bambini. Mi ave-vano tatuato il petto a fuo-co, col marchio del prodotto che ho realizzato negli anni. Con il quale hanno costru-ito palazzi. Ha contribuito al boom dell’abusivismo. Ha fatto mangiare tanti, ma proprio tanti. Con le croci e senza croci. I chiodi però li

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Una bellezza da vivereTermini il lavoro, desideri

passeggiare, muoverti tra i vicoli, fermarti ad osservare mentre il

passo prosegue lento e incessante.(Napoli - Piazza del Gesù)

Una bellezza da vivereTermini il lavoro, desideri

passeggiare, muoverti tra i vicoli, fermarti ad osservare mentre il

passo prosegue lento e incessante.(Napoli - Piazza del Gesù)

Una bellezza da vivereTermini il lavoro, desideri

passeggiare, muoverti tra i vicoli, fermarti ad osservare mentre il

passo prosegue lento e incessante.(Napoli - Piazza del Gesù)

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E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

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hanno lasciati a me, e a tan-ti come me. Volevamo solo un lavoro che mi portasse la vita in braccio. La fabbrica sul mare. L’odore saliva e si mescolava al fumo. Amianto il cielo. Amianto dappertut-to. Amianto. Giocavo con la parola. Ami-anto. Ami. Amo i sacrifici che hanno portato alla laurea i miei figli. Amo mia moglie. Amo il modo in

cui dal garzone del bar sia ar-rivato ad estinguere il mutuo della casa. Amo il dorso delle dita sul viso di mia moglie, mentre dorme, serena per-ché sa che mi troverà sem-pre accanto. Amo la salita di Coroglio che si intreccia con Posillipo e si tuffa sul gol-fo ancora indispettito dalla notte e si volta sul fianco per vedere sparire Capri all’o-

rizzonte. Ho iniziato a non amare più la mia voce, però. La mia tosse. I miei colpi di tosse. Violenti nel cuore del-la notte. La mia faccia che si decompone ed in ginoc-chio mi chiede di rompere gli specchi. “Signor Esposi-to. Sospendiamo le chemio. Torni a casa. Avrà bisogno dei suoi cari in questi ultimi giorni”. Amen.

hanno lasciati a me, e a tan-ti come me. Volevamo solo un lavoro che mi portasse la vita in braccio. La fabbrica sul mare. L’odore saliva e si mescolava al fumo. Amianto il cielo. Amianto dappertut-to. Amianto. Giocavo con la parola. Ami-anto. Ami. Amo i sacrifici che hanno portato alla laurea i miei figli. Amo mia moglie. Amo il modo in

cui dal garzone del bar sia ar-rivato ad estinguere il mutuo della casa. Amo il dorso delle dita sul viso di mia moglie, mentre dorme, serena per-ché sa che mi troverà sem-pre accanto. Amo la salita di Coroglio che si intreccia con Posillipo e si tuffa sul gol-fo ancora indispettito dalla notte e si volta sul fianco per vedere sparire Capri all’o-

rizzonte. Ho iniziato a non amare più la mia voce, però. La mia tosse. I miei colpi di tosse. Violenti nel cuore del-la notte. La mia faccia che si decompone ed in ginoc-chio mi chiede di rompere gli specchi. “Signor Esposi-to. Sospendiamo le chemio. Torni a casa. Avrà bisogno dei suoi cari in questi ultimi giorni”. Amen.

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Il male che ha creatoL’uomo e i suoi disastri. L’uomo e le sue manie da superuomo costretto

a ripiegarsi su se stesso. A scoprirsi debole, malato di un male che ha creato.

(Bagnoli Napoli - Italsider)

Il male che ha creatoL’uomo e i suoi disastri. L’uomo e le sue manie da superuomo costretto

a ripiegarsi su se stesso. A scoprirsi debole, malato di un male che ha creato.

(Bagnoli Napoli - Italsider)

Il male che ha creatoL’uomo e i suoi disastri. L’uomo e le sue manie da superuomo costretto

a ripiegarsi su se stesso. A scoprirsi debole, malato di un male che ha creato.

(Bagnoli Napoli - Italsider)

Il male che ha creatoL’uomo e i suoi disastri. L’uomo e le sue manie da superuomo costretto

a ripiegarsi su se stesso. A scoprirsi debole, malato di un male che ha creato.

(Bagnoli Napoli - Italsider)

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