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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.353/2003 - art. 1, comma 1 - n. 12 anno XXV - Editore Regione Piemonte - p.zza Castello 165 - Torino MONDI VICINI SGUARDI LONTANI IN COPERTINA Tempo di gelo, tempo di disgelo AVIFAUNA Il gracchio dei ghiacciai PARCHI L’alta Valle Antrona 201 Dicembre 2010

IN COPERTINA - piemonteparchi

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IN COPERTINATempo di gelo, tempo di disgelo

AVIFAUNAIl gracchio dei ghiacciai

PARCHI L’alta Valle Antrona

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Dicembre 2010

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Oggi è sufficiente volgere lo sguardo dal-le nostre città verso il maestoso splen-dore granitico della catena alpina, untempo perennemente imbiancata e oggispesso cupamente grigia nelle stagioniestive, per capire quanto la questione cli-matica ci riguardi da vicino e il rischio didesertificazione, combinato al pericolo difrequenti alluvioni disastrose, stia rag-giungendo anche il Piemonte, terra dasempre fertile, ricca di acque e forte di unmicroclima ottimale che, combinando iltepore offerto dal Mediterraneo con i ri-gori delle vette alpine, ha consentito ilfiorire di un’enogastronomia di altissimaqualità oltre che di un patrimonio cultu-rale e sociale che affonda le sue radici finoltre i primordi della romanità.Ma il ghiaccio e il ghiacciaio, sia nella loroaccezione locale ed alpina sia in quellasconfinata offerta dai Poli, sono da semprenella nostra cultura anche il simbolo dellasfida, dell’impresa ai limiti delle possibilitàumane. In sostanza e attraverso tutto ilNovecento, il simbolo dell’ultima frontiera.Prima infatti che l’uomo volgesse losguardo al cielo e iniziasse a muovere iprimi passi nel cosmo, la “terra incognita”(per dirla come i cartografi del XVI seco-lo) si è ridotta sempre più, accerchiatadalla volontà di conoscenza dell’uomo,per ridursi (con gli inizi appunto del XXsecolo) alle vette più alte e ai poli artici.Come non ricordare allora l’avventurosostimolo, l’eroico sprone o il profondo si-gnificato di imprese epiche quali quelle diRoald Amundsen e del generale

Umberto Nobile, la sfida contro la mor-sa dei ghiacci dell’equipaggio del dirigibi-le Italia, così come i drammi dell’impre-sa della campagna di Russia durante ilsecondo conflitto mondiale, che tantoha segnato le famiglie italiane e partico-larmente quelle piemontesi. Il ghiaccio èsempre un attore drammaticamentecentrale e il suo superamento il segnodella vittoria della volontà umana.“Non le cime, non le difficoltà, non il re-cord mi interessano, ma quello che suc-cede all’uomo quando si avvicina allamontagna” ci ricorda Reinhold Messnernel commentare Le meditazioni delle vet-te di Julius Evola. Ed è proprio tra le pa-gine del filosofo, così come negli scritti diDino Buzzati, di Massimo Mila o diAleister Crowley, che troviamo il signifi-cato profondo del tendere a sfidare ilDestino (“l’amor fati” come lo chiamavaEvola) attraverso le scalate difficili, le di-scese pericolose e, soprattutto, l’attra-versamento di rocce e ghiacciai. Un per-corso che da “ascesa” diventa “ascesi”, inuna palestra di rudimento interiore privadi compromessi, che non si può e non sideve affrontare impreparati.Per questo il ghiaccio e il ghiacciaio sonocosì importanti, non solo sotto l’aspettoclimatico ma anche per la loro valenza cul-turale. Per questo è importante conoscer-li, anche per meglio conoscere noi stessi.Per questo è importante conservarli e va-lorizzarli, così da poter richiamare a noistessi il significato della sfida e dell’impe-gno, e per continuare a guardare oltre.

La sfida del ghiaccio

IN UN PERIODO DI CLIMI MUTEVOLI E DI AUMENTODELLA TEMPERATURA, LA CONOSCENZA E LA CONSERVAZIONE DEI NOSTRI GHIACCIAI, TEMA CARDINE DI QUESTO NUMERO DI PIEMONTEPARCHI, PASSA DA ESSERE UNA QUESTIONE PER ESPERTI,APPASSIONATI O ESPLORATORI A FATTORE IMPORTANTEDELLA NOSTRA QUOTIDIANITÀ, PER COMPRENDEREDIRETTAMENTE ATTRAVERSO LA LORO RIDUZIONE E L’EVENTUALE RISCHIO DI SCOMPARSA LA “SALUTE”CLIMATICA DEL NOSTRO PIANETA

William CasoniAssessore ai Parchi della Regione Piemonte

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M O N D I V I C I N I S G U A R D I L O N T A N I

IN COPERTINATempo di gelo, tempo di disgelo

AVIFAUNAIl gracchio dei ghiacciai

PARCHI L’alta Valle Antrona

201

Dicembre 2010

TORINOBosco del Vaj, Collina di Superga Via Alessandria, 2 - 10090 Castagneto Po TO tel. e fax 011 912462 La Mandria, Collina di Rivoli, Madonna della Neve sul Monte Lera, Ponte del Diavolo,Stura di Lanzo Viale Carlo Emanuele II, 256 - 10078 Venaria Reale TO tel. 011 4993311 fax 011 4594352 Gran Bosco di Salbertrand Via Fransuà Fontan, 1 - 10050 Salbertrand TO tel. 0122 854720 fax 0122 854421 Laghi di Avigliana Via Monte Pirchiriano, 54 - 10051 Avigliana TO tel. 011 9313000 fax 011 9328055 Monti Pelati e Torre Cives, Sacro Montedi Belmonte, Vauda Corso Massimo d’Azeglio, 216 - 10081 Castellamonte TO tel. 0124 510605 fax 0124 514463 Orsiera Rocciavrè, Orrido di Chianocco, Orrido di Foresto Via S. Rocco, 2 - Fraz. Foresto - 10053 Bussoleno TO tel. 0122 47064 fax 0122 48383 Po (tratto torinese) Corso Trieste, 98 - 10024 Moncalieri TO tel. 011 64880 fax 011 643218 StupinigiVia Magellano 1 - 10128 Torinotel. e fax 011 5681650 Val Troncea Via della Pineta - La Rua - 10060 Pragelato TO tel. e fax 0122 78849

VERBANO-CUSIO-OSSOLAAlpe Veglia e Alpe Devero, Alta Valle Antrona Viale Pieri, 27 - 28868 Varzo VB tel. 0324 72572 fax 0324 72790 Sacro Monte Calvario di Domodossola Borgata S. Monte Calvario, 5 - 28845 Domodossola VBtel. 0324 241976 fax 0324 247749 Sacro Monte della SS. Trinità di Ghiffa Via SS. Trinità, 48 - 28823 Ghiffa VB tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLIAlta Valsesia Corso Roma, 35 - 13019 Varallo VC tel. e fax 0163 54680 Bosco delle Sorti della Partecipanza Corso Vercelli, 3 - 13039 Trino VC tel. 0161 828642 fax 0161 805515 Garzaia di Carisio, Garzaia di Villarboit,Isolone di Oldenico, Lame del Sesia, Palude di Casalbeltrame Via XX Settembre, 12 - 13030 Albano Vercellese VC tel. 0161 73112 fax 0161 73311 Monte Fenera Fraz. Fenera Annunziata - 13011 Borgosesia VC tel. e fax 0163 209356 Sacro Monte di Varallo Loc. Sacro Monte Piazza Basilica - 13019 Varallo VC tel. 0163 53938 fax 0163 54047

PARCHI NAZIONALIGran Paradiso Via Della Rocca, 47 - 10123 Torino tel. 011 8606211 fax 011 8121305 Val Grande Villa Biraghi, piazza Pretorio, 6 - 28805 Vogogna VB tel. 0324 87540 fax 0324 878573

AREE PROTETTE D’INTERESSE PROVINCIALELago di Candia, Monte Tre-Denti e Freidour,Monte San Giorgio, Conca Cialancia, Stagno di Oulx, Colle del Lys c/soProvincia di Torino - c.so Inghilterra 7/9 - 10138 Torinotel. 011 8616254 / Fax 011 8616477

REGIONE PIEMONTEASSESSORATO COMMERCIO E FIERE,PARCHI E AREE PROTETTE Assessore William Casoni DIREZIONE AMBIENTE Direttore Salvatore De GiorgioVia Principe Amedeo, 17 - 10123 TorinoSETTORE PARCHIResponsabile Giovanni Assandrivia Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 4323524 fax 011 4324759/5397

AREE PROTETTE REGIONALIALESSANDRIABosco delle Sorti La Communa c/o Comune, Piazza Vitt. Veneto - 15016 Cassine AL tel. e fax 0144 715151 Capanne di Marcarolo Via Umberto I, 32 A - 15060 Bosio AL tel. e fax 0143 684777 Po (tratto vercellese-alessandrino)Fontana Gigante, Palude S. Genuario, Torrente OrbaPiazza Giovanni XXIII, 6 - 15048 Valenza AL tel. 0131 927555 fax 0131 927721 Sacro Monte di Crea Cascina Valperone, 1 - 15020 Ponzano Monferrato AL tel. 0141 927120 fax 0141 927800

ASTIRocchetta Tanaro, Valle Andona, Valle Botto e Val Grande, Val Sarmassa Via S. Martino, 5 - 14100 AT tel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLA Baragge, Bessa, Brich di Zumagliae Mont Prevé Via Crosa, 1 - 13882 Cerrione BI tel. 015 677276 fax 015 2587904 Burcina Cascina Emilia - 13814 Pollone BI tel. 015 2563007 fax 015 2563 914 Sacro Monte di Oropa c/o Santuario, Via Santuario di Oropa, 480 -13900 BI tel. 015 25551203 fax 015 25551209

CUNEO Alpi Marittime, Juniperus Phoenicea di Rocca,S. Giovanni-Saben Piazza Regina Elena, 30 - 12010 Valdieri CN tel. 0171 97397 fax 0171 97542 Alta Valle Pesio e Tanaro, AugustaBagiennorum, Ciciu del Villar, Oasi di CravaMorozzo, Sorgenti del Belbo Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio CN tel. 0171 734021 fax 0171 735166 Boschi e Rocche del Roero c/o Comune, Piazza Marconi 8 - 12040 SommarivaPerno CN tel. 0172 46021 fax 0172 46658 Gesso e Stura c/o Comune Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo tel. 0171 444501 fax 0171 602669 Po (tratto cuneese), Rocca di Cavour Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo CN tel. 0175 46505 fax 0175 43710

NOVARABosco Solivo, Canneti di Dormelletto, FondoToce, Lagoni di Mercurago Via Gattico, 6 - 28040 Mercurago di Arona NO tel. 0322 240239 fax 0322 237916 Colle della Torre di Buccione, Monte Mesma,Sacro Monte di Orta Via Sacro Monte - 28016 Orta S. Giulio NO tel. 0322 911960 fax 0322 905654 Valle del Ticino Villa Picchetta - 28062 Cameri NO tel. 0321 517706 fax 0321 517707

PIEMONTE PARCHI Anno XXV - N° 12

Editore Regione Piemonte – p.zza Castello 165 – Torino

Direzione e Redazione via Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 432 5761 fax 011 432 5919e-mail: [email protected]

Direttore responsabileEnrico CamanniComitato di direzioneEnrico Camanni, Gianluca Castro, Massimiliano PaneroVice direttoreEnrico Massone CaporedattoreEmanuela Celona Redazione Toni Farina, Loredana Matonti, Aldo Molino, Mauro PiantaHanno collaborato a questo numero:S. Ardito, C. Barbieri, P. Bassi, V. Bertoglio, C. Bordese, G. Boschis, S. Camanni, B. Gambarotta, E. Giacobino/MRSNT,C. Grande, C. Gromis di Trana, I. Polastro, G. SeregniFotografiS. Ardito, H. Ausloos/Panda Photo, P. Bassi, V. Bertoglio, R. Borra/CeDRAP, C.F. Capello, D. Cat Berro, G. Evangelista, A. Ferrari, S. Gallotti/Panda Photo, E. Gillo, C. Grande, L. Mercalli,A. Molino, R. Oggioni/Panda Photo, I. Polastro, G. Seregni, M. Tron, arc. SMI, www.tipsimagesDisegni M. Battaglia, F. Cecchin, C. Girard, G. Ovani, A. SartorisMappe e Grafici S. ChiantorePromozione e iniziative specialiSimonetta AvigdorSegreteria amministrativaGigliola Di Tonno Arretrati e copie omaggioAngela Eugenia, tel. 011 4323273 fax 011 [email protected] Guide territorialiToni FarinaPiemonte Parchi WebMauro Pianta – www.piemonteparchiweb.itPiemonte Parchi Web JuniorLoredana Matonti www.piemonteparchiweb.it/juniorBiblioteca Aree ProtetteMauro Beltramone, Paola Sartori - tel. 011 4323185 L’editore è disponibile per eventuali aventi diritto per fonti iconografiche nonindividuate. Riproduzione anche parziale di testi, immagini e disegni è vietatasalvo autorizzazione dell’editore. Testi e fotografie non richiesti non sirestituiscono e per gli stessi non è dovuto alcun compenso.Registrazione tribunale di Torino n. 3624 del 10.2.1986Stampa: stampato su carta FSCGrafica, impaginazione, stampa e distribuzione Satiz Srl – Torino

In copertina: Glacier Blanc, Parco nazionale degli Ecrins(foto Giorgio Evangelista)

ABBONAMENTO ANNUALE CARTACEO 16 €su c.c.p. 20530200 intestato a Staff Srlvia Bodoni 24, 20090 Buccinasco (MI)ABBONAMENTO ANNUALE ONLINE - 10 €Pagamento su Internet (possibile anche per il cartaceo)www.piemonteparchi.it

INFO ABBONAMENTItel. 02 45702415 (dal lun. al ven. ore 9/12-14.30/17.30)[email protected]

NUMERO VERDE 800 333 444

Aree protette in Piemonte

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«I GHIACCIAI SONO UN TERMOMETROFORMIDABILE, SU CUIOCCORRE SIA SEMPREPUNTATO L¹OCCHIO DEL MONDO INTERO, DEL MONDO MORALECOME DEL MONDOPOLITICO.»

JULES MICHELET

EDITORIALELA SFIDA DEL GHIACCIO 1di William Casoni

GHIACCIAIINFERNO, PARADISO E RITORNO 6di Enrico Camanni

VALSUSA, DISEGNATA DAL GHIACCIO 10di Gianni Boschis

C’ERANO UNA VOLTA I GHIACCIAI DELL’ORCO 14di Valerio Bertoglio

I RIFUGI AMICI DEL GHIACCIAIO 18di Chiara Barbieri

E CI SCIOGLIAMO NOI… DI COMMOZIONE 20di Carlo Grande

IL CALDERONE, L’UNICO DELL’APPENNINO 23di Stefano Ardito

I SENTIERI GLACIOLOGICI 26di Toni Farina, Aldo Molino

ALETSCH, IL PRIMO DELLA CLASSE 28di Pia Bassi, Grazia Seregni

AVIFAUNAIL GRACCHIO, PROIETTILE DEI GHIACCIAI 30di Caterina Gromis di Trana

PARCHI PIEMONTESIALTA VALLE ANTRONA 33di Aldo Molino

TERRITORIOSPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME… 36di Gian Franco Midali

RUBRICHE 38

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR

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IL MOMENTOCONGELATO

Lo scorso inverno faceva così freddoin Scozia (-17°C/1°F) che gli uccellierano alla disperata ricerca di cibo.Un sorbo selvatico in fondo algiardino di Fergus Gill (autore dellafoto), nel Perthshire, diventò unacalamita per i tordi che beccavanofreneticamente le bacche della pianta.Il fotografo voleva catturare lasensazione di gelo di quel giornomostrando la personalità dellecesene (una specie di tordo), che si libravano per piluccare le bacche. La sfida (a parte il freddo) era di isolare una cesena contro unosfondo chiaro, e l’unico modo eradi stare in piedi sul suo stagnoghiacciato. Riuscì così ad afferraresia il momento sia la delicatezza del colore.Questo scatto ha vinto il premio“Veolia Environnement WildlifePhotographer of the Year - 2010”per la sezione giovani, attribuitoogni anno all’immagine più singolare.Il concorso, che quest’anno hacontato più di 100 vincitoriappartenenti a 18 diverse categorie,è una vetrina internazionale per la migliore fotografia naturalistica. La competizione è promossa dalNatural History Museum e dal BBCWildlife Magazine. Esservi ammessiè qualcosa cui i fotografi naturalisticidi tutto il mondo aspirano.

The frozen moment - Fergus Gill(Stati Uniti)

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GHIACCIAI

Inferno, Paradiso e ritorno

Enrico [email protected]

Una rappresentazione della leggenda del Paradiso perduto di Germano Ovani; disegno

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PLA MILLENARIARELAZIONE TRA UOMINI E GHIACCIAI ALPINI PASSAPER LA MITICA ETÀDELL’ORO DEL MEDIOEVO,LA CATASTROFICAAVANZATA E LA RIVALUTAZIONEESTETICA DEL TURISMO.OGGI, SCIOGLIENDO E SMAGRENDO, I GHIACCI RISVEGLIANOANCESTRALI PAURE

Prima di essere esplorati, prima di es-sere scalati, i ghiacciai andavano visti.Oggi non pare vero, ma fino alSettecento i monti, le pareti e i ghiac-ciai erano “oggetti” quasi del tuttoignorati dall’arte e dalla cultura, per-ché praticamente inutili ed estetica-mente insignificanti. Invisibili, in unaparola.I primi curiosi furono gli inglesi. Ilviaggiatore William Windham, scape-strato rampollo dei Windham delNorfolk, nell’estate del 1741 si dedicòalla scoperta di nuovi scenari esotici: ighiacciai. Con l’amico RichardPococke, aspirante ecclesiatico, misein piedi una campagna di esplorazioneper descrivere le meraviglie del MonteBianco di Chamonix, che appartenevaal Regno di Savoia, accompagnato dal-l’ostilità degli indigeni e dal confortodi una bottiglia di acqua e vino.Quando, di ritorno dall’avventura, se-dette con carta e penna alla scrivania,Windham si accorse che gli difettava-no le parole. Non certo per assuefazio-ne al tema, o per insufficienza di ma-teria prima. Al contrario.Semplicemente non gli riusciva di de-scrivere una cosa pazzesca, sconosciu-ta e senza nome – il ghiacciaio –, siache si presentasse in forma di torrenterappreso come i Bossons, oppure difiume congelato come la Mer deGlace. Il ghiacciaio, o meglio «la ghiac-ciaia» (glacière, gletscher per i tede-schi), rappresentava una forma fisica e

Tête de Pelvoux, 3753 m, Parco nazionaledegli Ecrins (foto G. Evangelista)

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mentale che sfuggiva a ogni metafora,raffronto, immaginazione. Alla fine,dopo molto pensare, Windham scrissesui “Proceedings” della Royal Society:«Non c’è nulla tra quanto ho visto finorache abbia con quello la minima somi-glianza… La descrizione che i viaggia-tori fanno dei mari della Groenlandia èquella che sembra avvicinarsi di più.Bisognerebbe figurarsi la superficie diuno specchio d’acqua agitato da unvento tumultuoso e congelato al-l’istante...».L’immagine era così azzeccata, anchedal punto di vista scientifico, che ilsommo Horace-Bénédicte de Saussurereplicò nel 1760:«Sembrava un mare che sia gelato al-l’improvviso».Poi da naturalista precisò:«Non però nel momento della tempe-sta, ma quando il vento sia cessato e leonde, benché ancora alte, si siano fattetondeggianti e smussate».Alla metafora mancava un elementofondamentale: il movimento. A questoprovvide l’interpretazione poetica diPercy Bysshe Shelley, che visitò laSavoia nell’estate del 1816 e ne restòimpressionato. Scrisse in una lettera al-l’amico Thomas Love Peacock:«Scendono senza posa verso valle, di-struggendo nel lento ma inarrestabileavanzare i pascoli e le foreste che licircondano… I ghiacciai avanzanosempre, trascinando con sé dalle re-gioni superiori tutte le macerie delle

montagne, e massi immensi, e gigan-tesche quantità di sabbia e sassi…».Ora l’immagine è completa. I ghiacciaisono i grandi artefici, gli agenti creato-ri del paesaggio; nei secoli dei secolihanno scavato le valli, plasmato i ver-santi, accumulato le morene e imbian-cato le altezze, terrorizzando i valligia-ni e seducendo talvolta i viandanti.

Il Paradiso perduto«Nei tempi dei tempi – racconta la leg-genda del Cervino raccolta da MaryTibaldi Chiesa nel 1932 –, i monti nonerano irti di punte e solcati da crepac-ci, ma formavano una giogaia unifor-me, che abbracciava a semicerchio ilfondo della valle, la conca prativa cheora si chiama Breuil. Un’epoca beata,quella, per le valli d’Aosta! Le valli go-devano di un clima mitissimo, cosìche si potevano tenere gli armenti aglialti pascoli, a circa duemila metri d’al-tezza, fin quasi a Natale. Immensepraterie fiorite si stendevano sullependici dei monti, i pastori vivevanonella più felice abbondanza. Il latteera in sì gran copia da formare ruscel-letti, nei quali gli agnelli si dissetava-no. I ragazzi giocavano ai birilli conpallottole di burro, ai dischi con formedi formaggio. Tutti andavano d’amoree d’accordo; il male e l’invidia eranosconosciuti».Ma un brutto giorno l’armonia tra i val-ligiani e il loro dio è brutalmente an-nientata dalla stoltezza dei montanari.

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Il Pasterze è il più grande ghiacciaio delle AlpiOrientali, e scorre sotto le vette del Grossglocknernegli Alti Tauri austriaci (foto V. dell’Orto)

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La lettura antigiudaica attribuisce all’EbreoErrante il motivo del tradimento:«…ora avvenne che l’Ebreo Errantecapitò alla città sul colle eccelso (ilTeodulo). I buoni montanari lo accol-sero senza diffidenza e gli diederoospitalità, non sapendo che, con l’op-porsi così alla volontà di Dio, si espo-nevano alla sua terribile vendetta.Infatti, dopo mille anni, l’Ebreo Erranteritornò per la seconda volta sul colle.Avvicinandosi a quei luoghi, un tempoameni e deliziosi, egli sentì il cuore

battere forte nel petto. Una fitta nebbiasi levò dinanzi a lui, togliendogli la vi-sta del paesaggio, un brivido di freddolo raggelò. A un tratto un vento furi-bondo spazzò l’orizzonte e l’Ebreocontemplò inorridito uno spettacolo didesolazione. Le pendici verdeggianti ei boschi folti erano scomparsi, scom-parsa la bella città sul colle. Ovunquedeserto e silenzio, rocce dirupate, ge-lide nevi, ghiacciai minacciosi».Il patto di alleanza tra Dio e i monta-nari è rotto definitivamente. Alla fine

del Medioevo i ghiacci avvolgono ipeccatori come le fiamme degli inferi,e li sotterrano con la loro insipienza.Con la Piccola età glaciale di metà mil-lennio, che durerà fino al 1850, prendeforma l’idea più negativa delle altequote e dei ghiacciai alpini, simboli deldisordine e della collera divina. Luterobolla le montagne come un prodottodel peccato, il lascito apocalittico deldiluvio universale. L’Eden è diventatol’Inferno. Nel 1673 John Evelyn scrive:«La natura ha spazzato tutte le im-

GHIACCIAI

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mondizie della Terra nelle Alpi, alloscopo di spianare e di ripulire la pia-nura della Lombardia».Gli fa eco il teologo Burnet:«La Terra, se noi la consideriamonel suo complesso, non è un insie-me bello e ordinato, ma una massaconfusa di parti accumulate alla rin-fusa, senza badare alla bellezza ealla simmetria. Le montagne a checosa servono? Se si potessero sop-primere, cosa perderebbe la naturase non un peso inutile?».

Nel silenzio delle gelide notti senzaluna, chi abita gli alpeggi più prossi-mi ai ghiacciai può udire i lamenti deimorti che chiedono pietà. Sono leanime dannate dei montanari, untempo ricchi e felici, poi condannati avagare senza requie nel fondo deicrepacci per espiare le loro colpe.Ancora nel Settecento era voce comu-ne che in qualche recesso del MonteRosa dovesse trovarsi la valle favolo-sa, ricca un tempo di campi, fiori edelizie, abbandonata precipitosamen-te dal popolo walser per l’avanzatadei ghiacciai: la Verlorne Thal, o VallePerduta. Il mito della Valle era diffusosia sul versante del Sesia sia su quellodel Lys, al punto che sette giovanigressonari si organizzarono per an-darla a cercare. Il 15 agosto 1778 essiraggiunsero la Roccia della Scoperta,nei pressi del Colle del Lys, la grandeporta del Monte Rosa spalancata sulVallese. Naturalmente i sette ragazzidi Gressoney non trovarono la valledei loro padri, ma, affacciandosi sulbacino di Zermatt, furono i primi asuperare la soglia dei quattromila me-tri e a infrangere il tabù dei ghiacciaie dell’alta quota. Inconsapevolmenteaprirono la via all’alpinismo e al turi-smo, ben otto anni prima che Paccarde Balmat scalassero il Monte Bianco.

Il regno ritrovatoA questo punto i regni perduti posso-no essere fisicamente riconquistati.Con scale, corde, piccozze e ramponi.I ghiacciai sono percorsi in lungo e inlargo, d’estate e d’inverno, a piedi econ gli sci, e al mistero si sostituisco-no la villeggiatura, lo sport, il piacere.L’incognita, l’avventura, perfino lapaura, sono i sentimenti valorizzatidalla nuova moda delle vacanze alpi-ne; promettono panorami, sorpreseed emozioni.Nell’Ottocento i ghiacciai della Svizzerae della Savoia, soprattutto le seracca-te del Monte Bianco e i plateau gelatidel Monte Rosa, diventano l’irresisti-bile attrattiva di un turismo borghe-se che ha scoperto il “bello” doveun tempo i montanari vedevano ca-os e rovina, ha trovato il piacere neiluoghi delle leggende e delle trage-die contadine, ha nobilitato la fatica

che i valligiani subivano come uncastigo divino.A fine secolo si progetta la “conquista”dei ghiacciai con i treni a cremagliera,abbassando l’alta montagna alla porta-ta di tutti. In pochi anni, con realizza-zioni avveniristiche, nascono le ferro-vie del Gornergrat sopra il ghiacciaiodel Gorner, del Montenvers sopra laMer de Glace e del Jungfraujoch nelcuore dell’Oberland Bernese, dove iltreno si permette di bucare la panciadell’Eiger, l’Orco.Infine, con il Novecento e l’industriadel turismo di massa, la fatica residuaviene cancellata dalle funivie e i ghiac-ciai diventano sfondo di lievi giochisulla neve. Si scia anche a luglio suighiacciai del Sommeiller, del Gigante,del Teodulo e di Punta Indren, ma ècome se si scivolasse su una superficiesintetica, in ambiente domestico e at-trezzato. A dar retta alla pubblicità del-lo sci estivo i crepacci non ci sono più,il vento non c’è più, anche il freddo èstato sconfitto. Sembra più un limboche un paradiso.

Le paure contemporaneeE poi siamo approdati a un altrotempo ancora: lo scioglimento deighiacci. L’attuale stato di arretramen-to dei ghiacciai alpini non è così di-verso da quello che, nel Medioevo,vide il popolo walser superare i collidel Monte Rosa e insediarsi sopra iduemila metri, ma nel frattempo ècambiato tutto: i ghiacciai sparisconoa velocità mai vista, complici i gasserra e il riscaldamento globale,mentre quelle nevi che per i monta-nari dei secoli passati erano un casti-go divino, ora sono l’oro bianco delturismo invernale, grazie all’inven-zione dello sci, e costituiscono unosfondo insostituibile per quello esti-vo. Si sono invertiti i valori esteticied economici, al punto che l’innalza-mento della quota dei ghiacciai, nonpiù sinonimo di Paradiso, somigliapiuttosto a un nuovo ammonimentodivino, perché compromette le cer-tezze del turismo e rischia soprattut-to di privare fiumi, campagne, uomi-ni, piante e animali dell’elementopiù vitale: l’acqua. Anche la paura hacambiato volto.

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GHIACCIAI

IN VALLE DI SUSA I GHIACCIAI SONO OGGI IN VISIBILE RITIRO, MA L’IMPRONTADELL’EROSIONE È ANCORA EVIDENTE LUNGO TUTTA LA VALLE DELLA DORA, SINO ALLE PORTE DI TORINO

Valsusa, un paesaggiodisegnato dal ghiaccio

La Valsusa dei ghiacci? Una terra qua-si "didattica". Parola di FedericoSacco, che nel 1938 scrive: «Dal pun-to di vista glaciologico la Val di Susaè una delle più caratteristiche nellesue diverse parti (grande Anfiteatro,terrazzature vallive, archi stadiari, ar-rotondamenti, levigature, striature,

ecc.) in modo da risultarne una vallequasi didattica; tanto più per la co-modità di accesso da Torino, in mo-do da poterne fare facilmente l’esa-me dalle morene più antiche su su,attraverso gli archi stadiari, sino agliultimi alti circhi alpini…» (1).Nell’affrontare il tema del glacialismo

in Valle di Susa sento l’obbligo dionorare la memoria del geologoFederico Sacco per il grande contri-buto da lui dato allo studio dei ghiac-ciai alpini, tante volte osservati dalleaule del Valentino (allora sede delRegio Politecnico di Torino) e, imma-gino, innumerevoli volte descritti con

Gianni Boschis

In questa pagina: simulazione dell'antico ghiacciaiodella Valle di Susa ripreso dalla Sacra di S. Michele(foto E. Gillo)

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passione ai propri studenti diGeologia. Per contro, la Valle di Susanon è l’area più adatta a un discorsosul glacialismo da almeno 10mila an-ni circa (sul finire del Pleistocene),quando a sentire proprio Sacco, ilsuo ghiacciaio «aveva ancora unalunghezza di 32 chilometri, conun’ampiezza di oltre un chilometro,posando allora la sua fronte termina-le sul piano di Salbertrand».Eppure, nonostante il precoce ritiro,il ghiacciaio ha lasciato un’improntaindelebile nel paesaggio della Valledi Susa e della pianura sino alle portedell’area torinese, il cosiddetto “gran-de Anfiteatro” di Sacco, esteso fraAvigliana e Rivoli, ma con propagginiche raggiungono Druento, Pianezzae Rivalta. Alla metà dell’Ottocento,sono proprio le colline sviluppate asemicerchio (ecco svelata la ragionedel nome “anfiteatro”) allo sboccovallivo a suscitare l’interesse dei pri-mi geologi (meglio sarebbe dire “in-gegneri minerari”, dal momento chela laurea in geologia non esisteva an-cora). In particolare incuriosiva lapresenza, apparentemente inspiega-bile, di ingombranti massi dissemina-ti fra le morene e la pianura. Per se-coli oggetto di fantasiose leggende eculti esoterici, i massi erratici diederoorigine a un’accesa disputa scientificafra due visioni contrapposte. Da unlato la visione “catastrofista” che rite-neva il paesaggio frutto di fenomenisconvolgenti, ben diversi da quelli chedominano oggi il modellamento terre-stre; dall’altro la visione “attualista” chesosteneva la continuità e l’analogia frai processi di modellamento odierni epassati. Assertore dell’“Attualismo”,Bartolomeo Gastaldi, fondatore dellaglaciologia piemontese, nel 1849 inter-preta per la prima volta le colline diRivoli-Avigliana non come la prova diun antico e catastrofico “diluvio”, macome il risultato della deposizione dimateriale trasportato da un anticoghiacciaio. Ecco svelata l’origine dimassi che portano ancora oggi nomimisteriosi come Pera Luvera, Pera d’-la Vulp, Pera di Masc; in seguito fu ilCAI a intitolare il ciclopico roccionedi Pianezza in onore dell’insigne gla-cialista, Masso Gastaldi, appunto.

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Il piccolo Ghiacciaio Galambra è uno dei pochi superstiti in alta Valledi Susa. Mentre alla metà del Novecento (archivio SMI) era ancorain piena forma e mostrava un'alta falesia frontale di ghiaccio, oggi losi può considerare pressoché estinto (foto di M. Tron, estate 2007)

più esterne e antiche sono contraddi-stinte da rilievi meno accentuati, dadepositi con un grado d’alterazionemaggiore e da suoli più ossidati ri-spetto alle cerchie moreniche più in-terne e recenti: ciò in relazione allamaggiore durata dell’esposizione agliagenti atmosferici subita dalle cerchiepiù antiche. Una singolarità del gran-de complesso morenico valsusino èla biforcazione del ghiacciaio allosbocco nella pianura nel corso del-l’ultima glaciazione: mentre il ramoprincipale defluiva verso Rivoli, unramo secondario deviava verso Trana,dando origine, successivamente al ri-tiro, alle conche lacustri di Avigliana.Ma che fine ha fatto il lungo e grande

L’anfiteatro morenico è composto dadiverse cerchie di depositi prodotteda altrettante oscillazioni del ghiac-ciaio, risultato delle cicliche variazio-ni nel clima delle nostre regioni. A seconda l’assestarsi di condizioniclimatiche più fredde e nevose (pe-riodi glaciali) o di fasi climatiche piùcalde (periodi interglaciali), i ghiac-ciai alpini avanzavano o regredivanodi volta in volta rimodellando le col-line moreniche. Le cerchie moreni-che più evidenti sono sostanzialmen-te ascrivibili a due glaciazioni avve-nute rispettivamente fra 750mila e135mila anni fa (Pleistocene medio)e fra 135mila e 10mila anni fa(Pleistocene superiore) (2). Le colline

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2000, per le ragguardevoli dimen-sioni assunte, aveva destato qual-che timore di alluvioni.Gli altri ghiacciai si spengono forsecon meno clamore, ma in modo al-trettanto impressionante: quelli delGalambra, dell’Agnello, di Bard e delLamet, già ridotti a modesti lembi nelcorso dell’era pre-industriale, sonoormai scomparsi o prossimi all’estin-zione. Chi si aggira nei dintorni delMassiccio d’Ambin, per esempio, ri-schia di scambiarli per modesti nevai,un’ombra rispetto al loro antico can-dore. La progressiva risalita verso l’al-to del limite delle nevi perenni, acce-lerata in alcuni casi dall’esposizionediretta ai raggi solari, intacca la“provvista” di ghiaccio degli strati piùantichi, più grigi per densità e impu-

fiume di ghiaccio capace di trascina-re con sé per tanti chilometri grandimacigni e milioni di tonnellate di de-triti al punto da formare intere colli-ne? Del ghiacciaio valsusino non re-stano oggi che modestissimi lembiconfinati alle quote più elevate, so-prattutto fra il Moncenisio e il Vallonedi Rochemolles; sul versante francese,grazie all’esposizione settentrionale,risultano un po’ più estesi, come a ri-dosso della cima del Rocciamelone onell’alto Vallone d’Ambin. Eppure an-che qui il ghiaccio soffre scongelan-dosi e le fronti glaciali indietreggianoal ritmo di alcuni metri l’anno. Il Ghiacciaio del Rocciamelone,considerevolmente regredito, hacosì svelato la presenza di un lagoeffimero che nei primi anni del

rità detritiche: è questo colore il se-gno evidente di un cattivo stato di sa-lute, se non addirittura di uno stadioterminale.È il caso del Ghiacciaio di Galambrail cui bianco paesaggio, nel breve vol-gere di mezzo secolo, ha lasciato spa-zio a un’arida e pietrosa conca. Chedire poi del Ghiacciaio di Bard, ai pri-mi del ’900 ancora al centro di un flo-rido commercio del ghiaccio, estrattoe venduto come conservante alimen-tare? Certamente, in questo caso, an-che gli uomini sono stati motivo delsuo declino (3). Non meno sorpren-dente il ritiro del Ghiacciaiodell’Agnello, il cui antico e massiccioaspetto (in estensione e spessore) erareso ancora più severo da una seriedi pericolosi crepacci, uno dei qualifatale – il 25 giugno 1860 – a un inge-gnere del catasto salito fin lassù peralcuni rilievi. Scrivono AlessandroMartelli e Luigi Vaccarone:«Sdegnando i consigli della guidaAschieris di legarsi alla fune, unafenditura mascherata si aperse sotto isuoi passi ed egli, precipitando perparecchi metri, si trovò immersonell’acqua ghiacciata che scorreva infondo al crepaccio; non si perdetted’animo, ed aggrappandosi alle pa-reti di ghiaccio con tutti i mezzi chegli consigliava il caso disperato, riu-scì a tenersi sollevato sull’acqua.Aschieris non avendo modo alcunodi porgergli aiuto lo lasciò ai confortidi un amico che li seguiva, per cor-rere al Colle Clapier, dove trovavansicorde e uomini. Quando ritornò eratroppo tardi, le membra intirizzitedal freddo non avevano potuto so-stenere il corpo al di sopra dell’ac-qua e l’infelice Tonini periva nellacorrente micidiale!» (4).Il glacialismo valsusino evoca ricordianche sportivi. Quand’ero ragazzo ilGhiacciaio del Sommeiller era unapiccola mecca dello sci estivo, picco-lo santuario per comitive di assetati“skiatori” in crisi di astinenza, dispo-sti alle scomodità di una strada scon-nessa sempre sull’orlo di precipizi,pur di avere qualche curva sulle nevie i ghiacci d’agosto.Se i ghiacciai sono ormai poca cosarispetto alle origini, l’impronta del lo-

IL GHIACCIO IN CASAOggi che abbiamo il frigorifero in quasi tutte le case ci riesce difficile immagina-re quanto problematico fosse il problema della refrigerazione e della conserva-zione dei cibi sino a pochi decenni fa. Per approvvigionarsi di ghiaccio si ricor-reva alle ghiacciaie, alle neviere, e anche dove l’efficienza delle comunicazioni lopermetteva, ai ghiacciai stessi. Così a Salbetrand, dove gli intraprendenti mon-tanari con fatiche inimagginabili salivano con la “lesa” (la slitta di legno) in spallasino al ghiacciaio del Galambra e caricatela dei blocchi staccati dal ghiacciaioscendevano con il prezioso carico fino alla stazione del paese il più velocemen-te possibile per non perdere il ghiaccio prima del tempo. Percorso reso difficiledal peso, dalla rudimentalità del mezzo di trasporto e dal terreno accidentato.Basta alzare gli occhi alla bastionata che scende dai Roc Peirous dove transitavala “strada del ghiaccio”per meravigliarsi e farsi un’idea della durezza e della pe-ricolosità di quel lavoro.

AlMo

GHIACCIAI

Qui sopra, la ghiacciaia dell’Ecomuseo di Salbertrand (foto A. Molino)

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Gianni Boschis, geologo, coordinatore per ilPiemonte dell’Associazione Italiana diGeologia & Turismo, divide la sua attività fral’insegnamento della Geografia nella scuolasuperiore, la ricerca sui temi del paesaggio e lapubblicazione di guide di turismo, cultura enatura alpina. Coordina Meridiani SocietàScientifica – www.imeridiani.net

A dispetto dei 62 anni dallasua scomparsa, la figura diSacco è quanto mai vivanel campo della geo-logia e della culturascientifica non so-lo italiana, ma in-ternazionale.Non si trattadella ripetitiva,per quanto do-vuta, citazionebibliografica del-le sue tante ope-re, ma dell’ispira-zione che costante-mente scorre nel lavo-ro di ricerca e di studio universitario, dell’emozione che è ancora capace di suscitare nel lettore naturalista, nell’appassionatodi paleontologia o cartografia, sino a toccare la curiosità dell’astrofilo.Nato a Fossano il 5 febbraio 1864, Federico Sacco vive intensamente più viteprofessionali che si completano in una cultura umanistica e scientifica insieme:enciclopedica, diremmo. Docente universitario, geologo, naturalista, paleonto-logo, nei 37 anni d’insegnamento di geologia al Regio Politecnico di Torino, ar-ricchì notevolmente le collezioni didattiche universitarie, tanto che ancora ogginon è raro imbattersi in campioni di roccia con la didascalia scritta di suo pu-gno. Presidente della Società Geologica Italiana e del Comitato GeologicoItaliano, membro del Consiglio Superiore delle Miniere, dell’Accademia deiLincei e dell’Accademia di Agricoltura di Torino, con riconoscimenti da ogniparte del mondo, nel tempo libero dirigeva e pubblicava a sue spese la rivistaastronomica Urania.Sacco pubblicò almeno 600 saggi frutto di campagne di studi e rilevamenti chelo portarono a percorrere a piedi circa 60mila chilometri. Gran parte di questipassi fu compiuta con robusti scarponi di cuoio (chissà quante volte risuolata dalmomento che Sacco aveva fama di parsimonioso) su e giù per le Alpi, con unapreferenza per le Alpi occidentali, di cui il grande geologo non faceva mistero, co-me si evince anche dal monumentale libro Le Alpi. L’opera trascende una voltatanto il lato scientifico a favore del lato contemplativo del paesaggio. Egli affrontale Alpi in tutti i loro aspetti, dalla formazione tettonica alla vita di un ghiacciaio,dalle impressionanti gole scavate da impetuosi torrenti alle piramidi di terra, dallesuggestive grotte carsiche all’origine marina delle Dolomiti e del Monviso, termi-nando con una sempre attuale riflessione sul futuro della catena montuosa. La ristampa anastatica del volume, recentemente curata da Meridiani societàscientifica per conto della Regione Piemonte, ne rispetta la forma originaria: 65articoli corredati di una galleria fotografica ricca di oltre 1000 illustrazioni com-pendiate in 700 pagine.Sacco morì a Torino il 4 ottobre 1948 all’età di 84 anni: una vita quasi intera-mente dedicata alle “sue” montagne.

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Note1. F. Sacco, Il Glacialismo piemontese, estrattoda L’Universo, IGM, 1938.2. Le oscillazioni del ghiacciaio si sono verifi-cate in seguito a una serie di variazioni ciclichenel clima delle nostre regioni. Durante i cicliclimatici maggiori la temperatura media annuaglobale del nostro pianeta può variare di circa6 gradi centigradi e, nel caso di un raffredda-mento del clima, ciò si può tradurre inun’espansione delle masse glaciali.3. In genere il ghiaccio, una volta portato a val-le, prendeva la strada di Torino, ma la notiziariportata dalla Rivista Mensile del CAI del 1893non finisce di stupire: il ghiaccio provenientedal Ghiacciaio di Bard (fra Susa ed ilMoncenisio), nel corso del 1884, veniva rego-larmente spedito a Massaua: quanto ne giun-gesse non è dato sapere, «forse giusto giusto ilsorbetto per il generale» (da: G. Garimoldi,Meglio avere alle spalle montagne con ghiac-ciai, in Mestieri tradizionali fra rocce e dirupi,Museo Nazionale Duca degli Abruzzi diTorino, 1985).4. A. Martelli e L. Vaccarone, Guida delle AlpiOccidentali, vol. 1, Marittime e Cozie, Sezionedi Torino del CAI, 1889.

ro passaggio è tuttavia ancora evi-dentissima lungo tutta la Valsusa: apartire dal già citato Anfiteatro diRivoli-Avigliana, i fianchi vallivi (chesi raccordano con il classico profilo a“U”) sono cosparsi da frequenti de-positi morenici qua e là interessati dacuriose sculture di erosione, come lepiramidi di terra del Pian delleRovine o il solitario Ciuquet d’Magritnel Vallone del Prebec. Le superfici rocciose sono modellatecon forme addolcite, levigate e striatedalla forza abrasiva dei ghiacci: pertutte parlano le dorsali rocciose diCondove, Torre del Colle o i fianchidel Pirchiriano, il monte della Sacra diSan Michele. Alle quote più elevate ivalloni laterali culminano infine inampi circhi glaciali come nei massiccid’Ambin e Orsiera-Rocciavré, fino alle“sorgenti” ultime dell’antico ghiaccia-io valsusino, la Valle Argentera e laValle Stretta, dall’inconfondibile profi-lo a “ferro di cavallo”, spettacolareeredità dell’ultima grande glaciazione.

LE ALPI DI FEDERICO SACCO

Nel disegno qui sopra, Federico Sacco in una simpatica caricatura dei primi del ‘900intento a scrutare l’interno della Terra (arc. Famiglia Della Beffa)

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PARCO DEL GRAN PARADISO

RITIRATA: QUESTA È LA PAROLA D’ORDINE. UN GUARDIAPARCO DALLACOMPETENZA ALPINISTICA E SCIENTIFICA DOCUMENTA I CAMBIAMENTI DEI GHIACCIAI SUL VERSANTE PIEMONTESE DEL PARCO NAZIONALE DEL GRAN PARADISO

C’erano una volta…i ghiacciai dell’OrcoValerio Bertoglio

Qui sopra, il Ghiacciaio della Capra nel 2010; nella pagina a fianco, il Ghiacciaiodi Nel Centrale, variazioni frontali annualicumulate 1997-2010 (foto V. Bertoglio)

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Iassoluta di un’atleta donna, RaffaellaMiravalle, tra lo stupore dei presentie un celato pizzico d’invidia dei col-leghi maschi. Ma gli escursionistipossono visitare gli apparati glacialiutilizzando comodi rifugi e bivacchi:rifugio Pontese, bivacco Ivrea, bivac-co Girando, rifugio Chivasso, rifugioBallotta, rifugio Jervis.I ghiacciai del versante sud del GranParadiso e quelli sui versanti nord deigruppi montuosi compresi tra leLevanne e la Basei costituiscono ilpatrimonio glaciale della Valledell’Orco. Le aree di recente degla-ciazione hanno modellato un nuovopaesaggio di alta montagna, dovutoalla rapidità con cui le masse glacialistanno rispondendo ai cambiamenticlimatici. Le variazioni frontali sonole uniche misure che vengono effet-tuate in questa valle del parco.Rappresentano un parametro condi-zionato dalla geometria della fronte,ma forniscono un dato preciso sul-l’arretramento lineare. Insieme alledocumentazioni fotografiche forni-scono una serie storica che risale peralcuni ghiacciai alla fine del 1800,permettendo di ricostruire la dinami-ca glaciale.Nella Valle dell’Orco sono rimasti 19ghiacciai. L’ultimo annesso al territo-rio del Parco Nazionale del GranParadiso è il Ghiacciaio del Forno.Secondo un’antica leggenda il Fornoera un alpeggio verdeggiante di pro-prietà di tre giovani sorelle.Sopravvenuto d’un tratto il ghiaccia-io, le tre ragazze sarebbero perite, e

ora dormirebbero l’ultimo sonno nelfondo della conca cristallina. Il fattopotrebbe essere coinciso con le ulti-me avanzate della Piccola EtàGlaciale e darebbe un fondamentoalla leggenda. Nel 2010 la superficiedel ghiacciaio, ridotto a una placca indisfacimento, si presenta uniforme-mente inclinata e coperta quasi inte-ramente da detrito. All’interno dellamorena di contenimento si è formatoun lago che nel corso degli anni haaumentato le sue dimensioni. Ancoraghiaccio, nelle ultime due stagioniben coperto da nevato, nel canaleche sale al Col Perduto, anche se ilghiacciaio era stato considerato estin-to già dal Catasto del CGI nel 1961.Il Ghiacciaio di Nel Centrale, domi-nato dalla parete nord della LevannaCentrale, negli ultimi dodici anni èarretrato di quasi quattrocento metrifacendo registrare il più grande ritirotra i ghiacciai del Parco. Solo nel2005 ha perso 183 metri e non si èfermato: nell’anno successivo ne hapersi altri 86. Riduzioni di spessore eapertura di finestre glaciali sono i fe-nomeni che hanno preceduto il col-lasso della fronte. Nel corso del 2007si è registrato un arretramento di al-tri 32 metri rispetto al segnale postoa 2730 metri s.l.m., che si è ridotto a6 metri nel 2008 e arrestato nel 2009grazie alle abbondanti precipitazioniinvernali. Nel 2010 il nevato dell’an-no idrologico 2008-09 ha protetto lafronte dall’azione del sole, facendoregistrare un arretramento di solomezzo metro a fine agosto.

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I ghiacciai della Valle dell’Orco sipossono visitare in poco più di setteore: è questo il tempo che hanno fat-to registrare gli atleti della Royal SkyMaraton lo scorso luglio. Partiti dalLago Teleccio hanno sfiorato nel per-corso di gara gli apparati glaciali delVallone di Piantonetto, del Roc edell’alta Valle dell’Orco, per arrivaredopo 56 km al traguardo di CeresoleReale. La gara corre lungo un sugge-stivo percorso nel Parco Nazionaledel Gran Paradiso e scavalca i più alticolli della valle poco sotto le frontiglaciali. Giunta alla terza edizione, loscorso anno ha registrato la vittoria

met

ri

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quota 2575 metri, si èaperta una nuova pic-cola bocca glaciale condiametro di 5 metri, cheentra nel ghiacciaio percirca 15 metri ed è per-corsa da un torrentesubglaciale intorbiditodal limo.Il Ghiacciaio Basei facil-mente raggiungibile dalColle del Nivolet è il piùfrequentato della valle.Piccolo ghiacciaio di pen-dio, ha subito nell’ultimodecennio modeste varia-zioni frontali.Tra la Valsavarenche e laValle dell’Orco il bacinoche ospitava i Ghiacciai diPunta Fourà estinti da al-cuni anni, è ora colonizza-to tra i 3000 e i 3050 metrida una ventina di specievegetali, piante pioniereche utilizzano i depositi disabbia e limo lasciati dalghiacciaio. La specie più diffusa èl’Artemisia genipi Weber, seguita dal-la Saxifraga bryoides L. e dallaCampanula cenisia L., ed è anchecomparsa una prima foraggera: laPoa alpina L. Continua la colonizzazione vegetaledella conca che ospitava il Ghiacciaiodella Porta Occidentale: si è passatidalle quattro specie del 2000 alle no-ve del 2006 e alle diciotto del 2008,fino alle venti del 2010 con la com-

Nonostante il catasto ne censisca tre,sono in realtà due i ghiacciai di Nel:il ghiacciaio di Nel Orientale, postosotto il versante settentrionale dellaLevannetta, e il Ghiacciaio di NelCentrale, che confluendo con ilGhiacciaio di Nel Occidentale formaun unico corpo glaciale.I Ghiacciai del Carro, percorsi in pri-mavera da numerosi sciatori alpinisti,occupano la parte superiore del-l’omonima ampia conca, divisa daquella del Ghiacciaio del Nel dallaCostiera dell’Uja.Attualmente sono due le unità glacia-li: il Ghiacciaio del Carro Orientale,posto sotto la cima dell’Uja, e ilGhiacciaio del Carro Oc ciden tale chesi estende sul vasto pendio nord-ovesttra le Cime del Carro e d’Oin, divi-dendosi nei due rami che fiancheg-giano lo sperone roccioso quotato3154 metri.Il ramo sinistro del ghiacciaio termi-na ad unghia sottile sopra la barrierarocciosa dove fino ad alcuni anni fascendeva ancora potente la lingua.Restano integre le due morene stori-che della Piccola Età Glaciale (1850)del Ghiacciaio della Capra. La fronteaffiora a 2450 metri ed è la più bassadel Parco. Al di sopra, il ghiaccio èinteramente coperto da detrito eriaffiora a 2500 metri in un trattopianeggiante solcato dalle anse diun torrente epiglaciale. Il torrenteglaciale alimenta e conferisce il co-lore grigio azzurro al lago artificialedel Serrù. In posizione centrale, a

Qui sopra, la Grande Uja di Ciardoney (3325 m) sovrasta l'omonimoghiacciaio in alta Valle Soana: il suo fianco settentrionale nel 1910appariva completamente fasciato di neve e ghiaccio (f. A. Ferrari, da Fondazione Sella, Biella), diversamente da oggi (f. L. Mercalli)

Sopra, il Ghiacciaio Basei (presso il Colle delNivolet, Gran Paradiso) ripreso nelle estatidel 1928 (f. C. F. Capello) e del 2010 (f. D.Cat Berro): in un ottantennio il ghiacciaio haperso quasi un terzo della sua superficie

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parsa della Poa Alpina L. e dellaFestuca rubra L.Annidati sotto le pareti sud ed est delCiarforon sono rispettivamente iGhiacciai del Broglio e di Ciamous -seretto. Il Ghiacciaio del Broglio è or-mai una placca di ghiaccio di 17,5 et-tari (2007). Dopo anni di stabilità finoal 1995, è iniziata una fase di drasticariduzione che ha fatto registrare unarretramento di 100 metri nel 2003 edi 120 metri nel 2006. Il Ghiacciaio diCiamousseretto, con una superficiedi 26,7 ettari (2006), si è diviso neisettori superiore e inferiore, in granparte ricoperto da detrito. Le riduzio-ni medie di superficie rispetto ai datidal Catasto del 1989 sono del 28,6%.Il Ghiacciaio di Noaschet ta contendela prima posizione per estensione alGhiacciaio del Nel. È situato nel cuore del ParcoNazionale del Gran Paradiso e si pre-senta diviso in due unità distinte:l’occidentale e l’orientale, separatesicompletamente nel corso degli anniOttanta. La fronte del settore orienta-le è uniformemente coperta da detri-to, con una grande colata centrale;già nel 1986 veniva descritta come

PARCO DEL GRAN PARADISO

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sommersa da morene. Nella parte su-periore il ghiacciaio forma un vastoripiano che si presenta quasi unifor-memente coperto da detriti fini egrossolani. Su questo pianalto chepuò essere ormai percorso senzal’utilizzo di ramponi, sono osservabilii più significativi indicatori della de-glaciazione: numerosi funghi glaciali,grandi bédières, fori crioconitici, pre-senza di limo glaciale. La lingua mi-surata fino al 2000 risulta attualmentestaccata.Dimenticati per anni per la loro col-locazione altimetrica sono i ghiacciaidel Colle dell’Ape e quello di PuntaCeresole. Il Ghiacciaio del Colledell’Ape è il ghiacciaio con la frontepiù elevata del Parco Nazionale delGran Paradiso: 3690 metri.Ghiacciaio di sella, è separato ormaida tempo dal soprastante Ghiacciaiodella Tribolazione da una fascia roc-ciosa alta circa 50 metri. Si presentacome una ripida placca di ghiaccioricoperta uniformemente da nevato,e viene alimentato sia per nevicatedirette che dal trasporto eolico, comedimostrato dalle cornici a vento chesporgono sul versante canavesano. IlGhiacciaio di Punta Ceresole, di tiposospeso, è una piccola placca dighiaccio con la fronte che si allargasopra un salto roccioso. Per canaliscarica sul sottostante Ghiacciaio diNoaschetta. Il ghiacciaio si presentauniformemente coperto di nevato edè privo di crepacci. La fronte è postaa quota 3540 metri, quasi la stessa ri-levata nel 1975.Due erano i Ghiacciai della Losa nel-la Valle dell’Orco. Il primo, situatosulla cresta di confine con la Franciasulla destra orografica dell’omonimocolle, continua a restituire reperti bel-lici dell’ultima guerra. Il secondo, si-tuato nell’alto vallone di Noaschetta,occupava l’ampio e profondo circochiuso dal contrafforte meridionaledella Becca di Gay; è da anni unosplendido lago. Ancora segnalato co-me unità glaciale nel 1983 sul catastodel WGI, già nel 1987 risultava pres-soché estinto, estinzione confermatadal controllo del 1991. Nel settembre2009 la superficie del lago parzial-mente ghiacciata, coperta e circonda-

ta da neve residua, riportava alla me-moria il recente passato glaciale dellaconca.Il Ghiacciaio di Teleccio era un tem-po collegato al Ghiacciaio diValeille della Valle di Cogne attra-verso il Colle di Teleccio. Appare al-quanto smagrito dall’ultimo control-lo di Fulvio Fornengo nel 1989, conla placca dell’Ondezana separatadal corpo glaciale da una fascia roc-ciosa alta una trentina di metri.Oltre cinquanta sono ormai i metriche lo separano dal colle omonimo.Il Colle di Teleccio era uno dei vali-chi che i documenti storici e le tra-dizioni orali dicono fosse utilizzatoin età medioevale da mandrie e pa-stori che dalla Valle di Cogne pasco-lavano gli alti prati di Piantonetto. A questa fase mite è subentrato unperiodo di incremento glaciale du-rato circa quattro secoli, fino al1850. Le fronti glaciali si sono ab-bassate e molti colli sono tornati aessere glacializzati.Successivamente la deglaciazione,soprattutto negli ultimi venti anni,sta riportando alla luce gli antichipassaggi. Potrebbe ancora trattarsidi un’alternanza delle fasi climati-che che si sono avvicendate lungo isecoli, ma senza dubbio l’uomo stacontribuendo in modo determinanteal riscaldamento globale.

Valerio Bertoglio è naturalista ed è diventa-to alpinista dopo anni di atletica leggera.Attualmente guardiaparco del Parco naziona-le Gran Paradiso, nel 1987 ha conseguito ilbrevetto Guida Alpina.

Comprendere la storia e gli equilibri delterritorio di montagna è più facile in altaValle Orco, grazie al GlacioMuseo delSerrù, che offre un approccio originaleai ghiacciai dell’area. Realizzato nel 2002su iniziativa della Società MeteorologicaItaliana e del Comune di CeresoleReale, con la collaborazione di AEMTorino e del Parco nazionale GranParadiso, il museo è ospitato in una ex-cabina elettrica di pietra, situata a 2300m di quota, a lato della strada del colledel Nivolet, poco a monte della diga delLago Serrù. Si tratta di un’esposizione didattica per-manente articolata in pannelli fotograficie plastici che descrivono i ghiacciai localie la loro evoluzione recente, il loro ruo-lo nel modellamento del paesaggio, nel-la fruizione turistica del territorio e nellaproduzione di energia idroelettrica. Inparticolare, i pannelli illustrano lo straor-dinario regresso glaciale intervenuto dal-l'inizio del ’900 a oggi. Completa l’espo-sizione una proiezione di immagini so-norizzate, che offre ai visitatori un inso-lito spunto di conoscenza sull’ambientecircostante, dominato dai ghiacciai dellaCapra e del Carro: un’occasione moltoapprezzata dai turisti qualora il maltem-po comprometta la visibilità. Il GlacioMuseo, che ha riscosso un note-vole successo, è aperto tutti i giorni da ini-zio giugno a metà ottobre, con ingressolibero. Chi intende conoscere più da vici-no l’ambiente glaciale della zona potràpercorrere il sentiero segnalato intorno alLago Serrù, che con un percorso in granparte pianeggiante, di circa 1,5 h, consentedi avvicinarsi alle caratteristiche morene.

Ilaria Polastro

Info utili: Apertura GlacioMuseo dal 15 giugno al15 ottobre, tutti i giorni dalle 9 alle 18.Ingresso libero.Segreteria turistica Parco nazionaleGran Paradiso, tel. 0124 901070; e-mail: [email protected]; Internet: www.pngp.itSocietà Meteorologica Italiana, tel. 011 797620; e-mail [email protected]; Internet: www.nimbus.it

Il GlacioMuseo del Serrù eil Sentiero glaciologico

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GlacioMuseo del Serrù (foto SMI)

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SOSTENIBILITÀ

I rifugi amici del ghiacciaioChiara Barbieri

Qui sopra, il Rifugio Gnifetti, Alagna Valsesia,Monte Rosa (foto E++)

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I RIFUGI ALPINI SONO STRUTTURE RICETTIVE INSERITE IN UN CONTESTO AMBIENTALECON PARTICOLARI CRITICITÀ. LA LORO COLLOCAZIONE, PITTORESCA MA ASSAI DELICATA,RENDE PARTICOLARMENTE COMPLESSO GARANTIRE GLI APPROVVIGIONAMENTI DI ACQUAED ENERGIA. L’ESPERIENZA DI “CAI ENERGIA 2000” INSEGNANNegli anni, con la finalità di diffondere

l’interesse per i territori montani pro-muovendo una cultura di sviluppo e disostenibilità, è stata incentivata una se-rie di progetti volti alla riqualificazionedei rifugi negli ambiti relativi alla pro-duzione di energia elettrica, smaltimen-to reflui e potabilizzazione dell’acqua.Dal punto di vista energetico, il CAIcon il progetto CAI Energia 2000, findai primi anni di questo decennio haportato avanti un progetto di efficiente-mento energetico dei rifugi alpini. Conil progetto CAI Energia 2000 ben 36 ri-fugi dell’arco alpino piemontese, valdo-stano e veneto sono stati attrezzati conimpianti alimentati da fonti rinnovabili.Questi interventi sono stati pianificatinel pieno rispetto delle norme di sicu-rezza, riducendo o azzerando l’utilizzodi gruppi elettrogeni alimentati da com-bustibile fossile. Ciò significa non soloridurre le emissioni di gas serra, ma an-che un minore inquinamento acustico,grazie alla riduzione dei passaggi del-l’elicottero, unico mezzo con cui è pos-sibile effettuare gli approvvigionamentidi carburante in zone spesso impervie.I primi interventi di attivazione di im-pianti fotovoltaici risalgono al 1984 ehanno ottenuto importati risultati, taliche oggi molte strutture sono equipag-giate utilizzando tecnologie che sfrutta-no le fonti rinnovabili. Le installazionipreviste rispondono a requisiti di sem-plicità d’uso e manutenzione, affidabili-tà e integrazione nel contesto ambien-tale. La scelta di installare impianti ali-mentati da fonti rinnovabili presso unrifugio montano, in un contesto pae-saggistico delicato e protetto, si inseri-sce in un quadro di intervento organicoche considera l’approvvigionamento

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vegetale sono pari a quelli assorbiti dal-la pianta durante il suo ciclo vitale).Ovviamente l’uso del cogeneratore, purse alimentato da fonti rinnovabili, co-munque comporta spese di utilizzo e dimanutenzione e può risultare maggior-mente invasivo rispetto a un impiantoeolico o fotovoltaico. In molti casi unasoluzione pulita e intelligente per ga-rantire un buon approvvigionamentoenergetico è l’utilizzo combinato di di-verse tecnologie, che costituiscano uninsieme ibrido, in grado di tener contodella complementarietà delle fonti di-sponibili (l’assenza di sole, ad esempio,può per contro voler dire disporre dellaforza del vento). Il corretto dimensiona-mento del campo fotovoltaico ed eoli-co, lavorando insieme, consentono disopperire nel miglior modo possibile alfabbisogno dei carichi primari, qualel’illuminazione, i refrigeratori e gli im-pianti di potabilizzazione. Si tratta, co-me appare evidente, di un’integrazioneassai sofisticata, implementata con l’ap-porto di sistemi di comunicazione, re-golazione e controllo che permettonodi gestire autonomamente le funzionidel rifugio tramite un’interfaccia di faci-le utilizzo, in grado di visualizzare i bi-sogni energetici della struttura e lo statodi funzionamento. Come sulle nostrevetture, in cui tecnologie per certi versianaloghe consentono di gestire sistemidi sicurezza attiva, passiva e di frenata,diventa possibile la gestione e il con-trollo delle complesse reti di produzio-ne energetica, automatizzandone ogniprocesso. La scelta di utilizzare le fontirinnovabili per produrre energia utile alsostentamento di un rifugio alpino par-te, in prima battuta, da una profondaconoscenza del contesto ambientale incui gli impianti andranno ad inserirsi.L’integrazione, o meglio l’ibridazionedelle risorse disponibili rappresentauna soluzione particolarmente perfor-mante, in grado di coprire le esigenzeenergetiche di una struttura isolata.Tutto questo nel pieno rispetto dellaflora e della fauna.Negli anni l’attenzione dedicata ai temidella sostenibilità dei rifugi montani ècresciuta in maniera esponenziale. Inquest’ottica, l’Unione Internazionale deiClub Alpini (UIAA) ha recentementededicato una grande attenzione al tema

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della sostenibilità dei rifugi durante l’ul-tima Assemblea annuale tenutasi aBormio lo scorso 5 ottobre. DichiaraSilvio Calvi, membro italiano del boardUIAA: «Alla conferenza di ottobre si èfatto il punto sulle attuali problematicheche i rifugi di montagna incontrano nel-le varie parti del mondo. L’elenco deiproblemi è certamente lungo: dallaconservazione, alla valorizzazione, al-l’innovazione. Johannes Hubmann, del-lo studio Steinbacher di Innsbruck, haillustrato la ricerca sviluppata negli ulti-mi quattro anni su un campione di 100rifugi dell’arco alpino orientale per ana-lizzare le situazioni esistenti in relazio-ne a acqua, energia e reflui. KarenRollins, per la Backcountry EnergyEnvironmental Solutions (BEES), legataal Club Alpino canadese, ha illustratouna ricerca sui rifugi del Canada e leproposte per migliorarne l’impatto sul-l’ambiente. Franco Filippi, Presidente diE++, ha illustrato il progetto CAIEnergia 2000 che negli anni dal 2002 al2005 ha visto innovazioni importantisotto l’aspetto energetico per rifugi delPiemonte, della Valle d’Aosta e delVeneto. A questi si sono associate pre-sentazioni per altri interventi importan-ti, dalla nuova Capanna Monte Rosa delClub Alpino Svizzero ai problemi dellespedizioni in Himalaya, che produconoun impatto al quale non è facile porrerimedio. La presentazione di questeesperienze ha confermato l’importanzache la macchina-rifugio ha nello svilup-po della frequentazione della monta-gna». Dalla conferenza di Bormio si èusciti con la certezza che, al di là delledifficoltà contingenti, sia necessario piùche mai continuare a guardare oltre,verso quella visione integrale capace diarmonizzare presenza umana e conte-sto naturale riducendo al minimo l’im-patto ambientale e amplificando laqualità della vita. Siamo certi che par-chi e comunità montane possano rap-presentare le punte di diamante di unapproccio realmente sostenibile, chepuò contribuire a valorizzare l’ambien-te montano preservandolo per le gene-razioni future.

energetico non solo come mero fattoreeconomico, ma come elemento fonda-mentale nella gestione delle risorse deisiti interessati; un sistema virtuoso ca-pace di attivare un’economia di scala,con abbattimento dei costi e ottenimen-to di fondi da eventuali finanziamentiche le politiche comunitarie rivolgonoallo sviluppo sostenibile.La scelta di puntare sulle energie rinno-vabili in un contesto non servito dallarete elettrica nazionale e caratterizzatoda particolari condizioni climatiche elogistiche, fa capo inevitabilmente a unprocesso che parte da una prima fasedi conoscenza del contesto. Il primopasso concreto è, dunque, il sopralluo-go tecnico, utile a rilevare le condizionidi funzionamento del rifugio interessa-to all’intervento, le sue necessità ener-getiche e le risorse disponibili e poten-zialmente sfruttabili. È necessario, quin-di, uno specifico studio preliminare re-lativo alla possibile realizzazione di im-pianti quali: generatori eolici ad asseverticale, silenziosi e innocui per l’avi-fauna, generatori fotovoltaici integratialle strutture del tetto, centraline idroe-lettriche di piccola potenza, incapaci dicreare danno all’ambiente e alla fauna.Quando ci riferiamo a rifugi montaninon sempre parliamo di strutture picco-le e spesso le necessità energetiche so-no rilevanti. In casi simili, a supplire alfunzionamento delle strutture del rifu-gio, qualora questi dispositivi alimentatida fonti rinnovabili non fornissero po-tenza sufficiente, in luogo dei tradizio-nali generatori a diesel sono stati sceltigruppi di cogenerazione ad olio vege-tale. Il cogeneratore, come tutti i motoria combustione interna, tende a dissipa-re circa i 2/3 dell’energia fornita attra-verso il carburante trasformandola incalore. Ora, con un cogeneratore que-sto calore viene recuperato e accumu-lato in un serbatoio di acqua glicolata al50%, con la funzione di batteria energe-tica. L’alimentazione a combustibile ve-getale quale olio di colza, di girasole oricavato da oli vegetali esausti, total-mente esente da zolfo o dalle altre so-stanze inquinanti presenti nei combu-stibili di origine minerale, permette dinon introdurre nuova anidride carboni-ca in atmosfera (gli ossidi di carbonioprodotti dalla combustione di un olio

Chiara Barbieri è responsabile della Comuni -cazione E++, azienda piemontese che opera daanni nel settore delle energie rinnovabili e del-l’efficienza energetica.

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PATAGONIA

STORIA DEL PERITO MORENO, IL GHIACCIAIO PIÙ FAMOSO D’ARGENTINA, E DEL SUO INCREDIBILE (MA DIMENTICATO)SCOPRITORE. E IL PERITO HA SMESSO DI SCIOGLIERE

E ci sciogliamo noi...

Dove lo troviamo, oggi, un funziona-rio statale che passa la vita su e giùper terre ignote e desolate del suoPaese, a scoprire e segnare nuoviconfini, e quando torna tra i cosid-detti civili restituisce alla res publicagran parte del territorio che gli è sta-to donato come ricompensa, affin-ché diventi il primo parco pubblicodella nazione? E due amici suoi diavventura, che ottenuti ampi appez-zamenti di terreno a Buenos Aires(nel quartiere Palermo, ora fra i piùesclusivi) li donano alla città perchévi sorgano lo zoo e il giardino bota-nico, che ai nostri giorni resistono

ancora al cemento e alle speculazioni?È la storia di Francisco PascasioMoreno, lo “scopritore” del ghiaccia-io più famoso dell’Argentina (se nondella Terra), che nell’Ottocentoesplorò la Patagonia lungo la valledel Rio Negro fino al lago NahuelHuapì (nella Patagonia settentriona-le) e la Cordigliera delle Ande, cheindividuò il lago Viedma e il Fitz Roy(e gli diede il nome di un ammiraglioinglese), credendolo però un vulcano:gli indios Tehuelche che lo accompa-gnavano lo chiamavano Chaltén,montagna spaventosa e “fumante”.Moreno arrivò al Lago Santa Cruz e

alle sorgenti dell’omonimo fiume, esulle rive del Rio Leona venne attac-cato da un puma, che gli conficcò gliartigli nella schiena e stava per sbra-narlo; per un soffio riportò a casa lapelle perché la belva – così raccontaTom Dauer in Cerro Torre. Mito dellaPatagonia (Ed. Corbaccio) – se neandò improvvisamente.I due avventurieri erano gli italianiClemente Onelli e Carlos Spegazzini,appassionati di fauna e flora quantoMoreno lo era di biologia: in tre, nel1877, risalirono su una barca a vela ea remi il rio Santa Cruz: cose d’altritempi, come la famosa missione che

Carlo Grande

In queste pagine, il ghiacciaio Perito Moreno, Argentina

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di commozione

Francisco Moreno guidò a fineOttocento per stabilire i confini traCile e Argentina, mai definiti sulle ci-me delle Ande. Francisco (insignitodel titolo di “perito”) contribuì conincredibili donazioni a fondare ancheil Museo di Storia naturale de la Plata,a Buenos Aires. Morì, ça va sans dire,povero e dimenticato, nel 1919. Unavventuriero, profondo conoscitoredella geografia nazionale. Un “civilservant” d’altri tempi, meno famosodel ghiacciaio visitato da milioni dituristi: in fondo è il destino di quasitutti gli uomini, di fronte ai templidella natura.

Il ghiacciaio, considerato Patrimoniodell’Umanità dall’Unesco, è davverouna meraviglia assoluta, un prodigio.È la terza riserva al mondo d’acquadolce, un colosso in movimento conuna “lingua” anteriore lunga circacinque chilometri, che si arresta perun’altezza di 70-80 metri sul LagoArgentino e sprofonda per altri 150sul suo fondo. La sua fronte, spiega laguida, è la compattazione delle nevi-cate che caddero addosso a Magellanomentre esplorava la Patagonia, cinquesecoli orsono. Il movimento del ghiacciaio – che adifferenza di quelli cileni non fini-

sce in mare ma in un’immensa riser-va di acqua dolce, il Lago Argentino– è dovuto all’esistenza alla base diuna sorta di cuscino d’acqua che lotiene staccato dalla roccia. Ecco per-ché avanza di circa due metri algiorno, 700 l’anno, scendendo conun’inclinazione di 45 gradi. Non sitratta dell'unico caso: diversi ghiac-ciai dell'Alaska o del settore occi-dentale dell'Himalaya stanno avan-zando allo stesso modo, così comeil Pio XI in Cile. Ora sembra che il perito Moreno nonsi sciolga più: se si escludono piccolevariazioni, il suo “bilancio glaciale”

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sarebbe rimasto inequilibrio, negli ul-timi novant’anni.Qualche anno fa eraquasi il simbolo del-l’effetto serra, oraAndres Rivera, gla-ciologo del Centroper gli studi scientifi-ci di Valdivia, in Cile,giura che non si stapiù ritirando. Unadelle ragioni potreb-be essere la sua ap-parente insensibilità ai cambiamenticlimatici, in quello che i glaciologi de-finiscono la linea di equilibrio deighiacciai. Probabilmente, però, di-venta sempre più sottile. C’è un’inver-sione di tendenza? Nessuno può giu-rarlo. Il Campo de Hielo PatagónicoSur (o anche Campo de Hielo Sur), ilgigantesco “ghiacciaio” continentaleche gli dà vita, la terza calotta glacia-le al mondo dopo Antartide eGroenlandia (si trova sulle Ande me-ridionali, lungo la linea di confine traCile e Argentina), non è facile da mi-surare. Ancora oggi presenta vastearee inesplorate. Le prime esplora-zioni iniziarono nel 1943 quando ilgoverno cileno fotografò l’area dal-l’alto con aerei militari, ma l’area fugià attraversata da studiosi comeFederico Reichert e padre Alberto DeAgostini, che vide la lingua del ghiac-ciaio non ancora attaccata alla terra-ferma. De Agostini viaggiava perconto dell’Ordine salesiano, che so-steneva gli indios fuegini e dellaPatagonia contro i coloni.Il “Hielo” è la più grande riserva d’ac-qua dolce del Sudamerica, una spe-cie di calderone, una pentola dove siconcentrano le precipitazioni e chetrabocca, dando vita a 360 enormighiacciai vallivi, anche sul versantecileno. Il perito Moreno nemmeno èfra i più grandi: il primato è delghiacciaio Upsala, che arretra di settechilometri ogni vent’anni. E poi ci so-no il Pio XI o il Viedma. Nel Campode Hielo Patagonico Sur si trovano ilCerro Chaltén (noto anche comeCerro Fitz Roy) e il Cerro Torre. Il Perito Moreno – dice qualcuno – èsempre più sottile, perché nella

“pentola” (22mila chilometri qua-dri, 2500 metri di profondità, lun-ghezza da nord a sud circa trecentochilometri, 80 da ovest a est, gran-de all’incirca come la Corsica) nonsi accumula la stessa quantità diprecipitazioni. Ci sciogliamo noi, di commozione,arrivando in barca davanti al frontedel ghiacciaio, su una delle tantebarche che partono da El Calafate,località turistica sulle rive del lagoArgentino. L’immensa barriera di ghiaccio toccale sponde di quel braccio del lagoArgentino, forma una diga naturaleche separa le due metà del lago. Illivello dell'acqua nella parte di lagodetta Brazo Rico risale di oltre 30metri rispetto al consueto livello.L'enorme forza prodotta dalla massad'acqua finisce per fare pressione ederodere il fronte del ghiacciaio: ilmuro di ghiaccio si scioglie nei pun-ti più deboli attraverso i quali filtral'acqua, fino a far crollare enormiblocchi. Migliaia di turisti osservanoogni anno lo spettacolo, che è fattonon solo di riflessi azzurri e guglie elame turchesi, ma anche di scric-chiolii, borbottii, scrosci che si per-dono nella vallata e nei boschi. Ditanto in tanto cadono blocchi impo-nenti che diventano iceberg, vaganosolitari sul lago, vanno alla deriva.Con un pullman si può arrivare sullato del ghiacciaio e attraverso un si-

stema di passerelle osservarlo da di-verse angolazioni e altezze. Spettacolari i “crolli”, provocatidall’acqua che erode la barriera dighiaccio e a intervalli di qualche an-no la fa cedere in diversi punti.Fortunato chi si trova a vedere eascoltare, uno scenario che lascia abocca aperta. È famoso il crollo del"ponte di ghiaccio", creato dal tun-nel che l'acqua del Lago Argentinoscava tra la fronte del ghiacciaio e illato della montagna. Ogni 2-4 anni ilponte si spezza per la pressione deighiacci in avanzamento, ed è comese un immenso edificio si abbattesseall'improvviso. Filmati sono osserva-bili su Internet. In ogni caso, intruppati con gli altrisul ponte della barca o sulle passe-relle, accalcandosi per le foto di ritodavanti alle torri di ghiaccio, pochipensano a Francisco “perito”Moreno. Scattano fotografie, man-giano, vanno avanti e indietro. Il ghiacciaio parla, pochi lo ascolta-no. Cade a pezzi, eternamente, fragridolini, fischi, applausi e rumori dimacchine fotografiche. Stessero unpo’ in silenzio, ogni tanto.

Carlo Grande è scrittore, sceneggiatore e gior-nalista de La Stampa. Già direttore responsabiledella rivista di Italia Nostra, ha scritto tra gli al-tri “La via dei Lupi” (Ponte alle Grazie 2002, Tea2006), romanzo che ha vinto il premio GrinzaneCiviltà della Montagna e il San Vidal a Venezia.Sul sito del quotidiano cura un blog dedicato al-la creatività: www.lastampa.it/grande

PATAGONIA

In queste immagini: l’esploratore Perito Morenoe il paesaggio ghiacciato (foto C. Grande)

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Stefano Ardito

Il Calderone,l’unico dell’Appennino

PARCO DEL GRAN SASSO

ANONOSTANTE LE MISURAZIONI POSITIVE DEGLI ULTIMI DUE ANNI, IL GHIACCIAIODEL GRAN SASSO SEMBRA DESTINATO A SCOMPARIRE

Anche in Abruzzo, sotto le pietre, c’èun ghiacciaio. Chi è abituato alle Alpi,però, deve allontanare dalla mente leimmagini dei seracchi del ghiacciaiodel Lys o dei Bossons, o le distese ge-late della Mer de Glace o del Miage.Siamo al Gran Sasso, tra i 2650 e i 2870metri di quota, ai piedi delle quattrovette del Corno Grande, in una piccolaconca esposta ai venti freddi del nord.E un ripido pendio di neve e ghiaccio,il Calderone per la gente del posto, èstato considerato come un ghiacciaiofin dall’inizio dell’esplorazione alpini-stica del massiccio. Primo a notare la presenza delCalderone, nel 1794, è il giovane gen-tiluomo teramano Orazio Delfico, am-miratore di Alexander von Humboldt eHorace-Bénédict de Saussure. Delficocompie la prima ascensione al CornoGrande dal versante di Teramo e notala presenza di “una maestosa concacontinuamente coverta di neve”.Cinquantuno anni più tardi è lo studio-so teramano Raffaele Quartapelle adescrivere “un grande spazio quasi cir-colare di più moggia di estensione, co-verta di duro banco di neve, sotto cuisi vede correre un gran ruscello”. Anche quadri e fotografie, nell’Otto -cento, mostrano un’immagine delCalderone ben diversa da quella odier-na. Enrico Abbate, autore e alpinistaromano, scrive di “una vedretta solcataorizzontalmente da grandi crepacci”.Le poche immagini a corredo della suaGuida al Gran Sasso d’Italia, edita nel1888 dalla sezione romana del CAI,mostrano che lo strato di neve e ghiac-cio si spinge a poche decine di metridalla Forchetta del Calderone.

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Il Ghiacciaio del Calderone in giugno(foto S. Ardito)

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Testimoni raccontano che verso vallela colata fuoriesce dalla conca, e sispinge su un desolato ghiaione versoil Vallone delle Cornacchie e lo spero-ne dove oggi sorge il rifugioFranchetti. Degli indizi non certi, comeun quadro dipinto da Isola del GranSasso, nel 1843, dal famoso paesaggi-sta inglese Edward Lear, suggerisconoche un ramo laterale del Calderone sispinga nel grande canale (l’odiernocanale Jannetta) che incide la bastio-nata del Paretone. Si lega a queste osservazioni non sem-pre esatte l’errore dei topografidell’IGM, che nel 1885, nella primacarta in scala 1:50.000 del Gran Sasso,disegnano un inesistente vallone chescende dal Calderone piegando a de-stra verso il canale Jannetta e ilParetone. Nel 1916 i geografi Marinellie Ricci verificano per la prima voltascientificamente che quello ai piedidel Corno Grande è un vero e proprioghiacciaio. Quando l’ingegner DinoTonini, nel 1961, compie un preciso ri-lievo della zona, il Calderone è ormairinchiuso nella sua conca. La superfi-cie è di circa 6 ettari, la pendenza mas-sima di circa 35 gradi. Tra ghiacciaio emorena, all’inizio dell’estate, si forma ilpiccolo Lago Sofia. Per escursionisti e alpinisti, nei decennidel dopoguerra, quella del Calderonerimane una presenza consueta. Lo sipercorre a primavera con gli sci e al-l’inizio dell’estate con piccozza e ram-poni, per poi abbandonarlo quando ilghiaccio scoperto rende le cadute disassi troppo frequenti. Anche in pienaestate, comitive di escursionisti prove-nienti da ogni parte d’Italia salgono avedere e a fotografare la colata.“Nel suo piccolo, il Calderone è una fi-gura importante nella storia dellascienza italiana. L’attenzione che ha ri-cevuto negli anni fa dell’unico ghiac-ciaio del Gran Sasso e dell’Appennino,il numero 1004 dell’elenco ufficiale ita-liano, un soggetto quasi unico negliannali della glaciologia. I dati che horaccolto dai primi anni Novanta sonostati citati in tutto il mondo, e vengo-no registrati dal World GlacierMonitoring Service” spiega MassimoPecci, glaciologo dell’Ente Italiano perla Montagna, che segue con passione

PARCO DEL GRAN SASSO

Qui sopra, ricercatori sul Calderone e sotto un piccolo crepaccio sullo stessoghiacciaio (foto S. Ardito)

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da vent’anni quel fazzoletto di ghiac-cio. Basta una breve indagine suInternet per scoprire che le ricerchecompiute da Massimo Pecci insiemeai colleghi Maurizio D’Orefice,Claudio Smiraglia e Renato Venturavengono citate anche negli Stati Uniti,in Nuova Zelanda e in Giappone. Fino a oggi il Calderone ha potuto so-pravvivere grazie all’esposizione a set-tentrione, alla profondità del circo chelo ospita, ai venti umidi che soffianodall’Adriatico e che permettono ungrande accumulo di neve. Anche que-ste condizioni, però, si stanno rivelan-do insufficienti di fronte all’innalza-mento delle temperature. Come moltisuoi piccoli simili sulle Alpi Marittime,sulle Dolomiti e sui Pirenei, per nonparlare del Kilimanjaro e del MonteKenya, il Calderone sembra destinatoa scomparire. Il primo allarme arriva nella torridaestate del 1990, che vede anche il pro-sciugamento del Lago di Pilato sui nonlontani Monti Sibillini. A settembre, aipiedi delle vette del Corno Grande, sivedono solo pietraie. Televisioni egiornali danno il Calderone per estin-to. Basta un controllo dei glaciologi,invece, per scoprire che il ghiaccio siè nascosto sotto uno spesso strato disassi. Tra il 1994 e il 1997, degli invernieccezionalmente nevosi permettonoalla massa glaciale di accrescersi unpo’. Poi riprende il declino. Nell’estatedel 1999, per la prima volta, il ghiac-ciaio si divide in due parti separate dauna fascia rocciosa. Nel 2004, un altroinverno di grandi nevicate permette airicercatori Massimo Pecci e PinuccioD’Aquila di registrare per il Calderoneun bilancio di massa positivo. Ma latendenza è un’altra. La geologia del Gran Sasso appare sul-le prime pagine di tutta Italia nell’ago-sto del 2006, quando una gigantescafrana si stacca dal “Paretone”, la mura-glia di 1600 metri di altezza con laquale il Corno Grande si affaccia sullecolline di Isola del Gran Sasso eCastelli. La roccia percorre a velocitàterrificante la parete, poi si schianta1200 metri più in basso. Siamo sul ver-sante opposto della montagna, ma apoche centinaia di metri in linea d’ariadal Calderone. Anche sul Gran Sasso,

come sulle Cinque Torri o sul Dru, lariduzione del permafrost, lo strato pe-rennemente ghiacciato che cementarocce e morene, sembra aver reso icrolli più frequenti. Alla fine dell’estate del 2006, comenella successiva, il Calderone sembraaver raggiunto il minimo storico. Asettembre, Massimo Pecci e i suoi col-leghi si aggirano su una ripida e de-solata distesa di pietre. Il ghiaccio c’èancora, ma è nascosto sotto le pietre.Nel 2008 la situazione è stazionaria.Nel 2009, invece, la combinazione traun inverno molto nevoso e un’estatefreddina fa sì che, alla fine di settem-bre, la conca sia ancora piena di ne-ve, e il bilancio di massa misurato daiglaciologi sia positivo per la primavolta dopo anni. E anche quest’annoil Calderone sembra essere cresciutoun po’. Certo, due anni in controtendenza nonpermettono troppe illusioni, e MassimoPecci lo sa bene. “Ormai, a voler esse-re formali, non si potrebbe parlare piùdi un vero e proprio ghiacciaio. Per laglaciologia ufficiale si può usare que-

sto termine solo per colate unitarie,con una superficie di almeno 5 ettari.Invece il Calderone è diviso in dueparti, e l’estensione totale non superai 4 ettari” racconta. “Un po’ di ghiaccioresterà sempre tra le rocce, ma nem-meno noi che gli siamo affezionatipotremo parlare di un vero e proprioghiacciaio. È interessante notare che,quando il Calderone diventerà un gla-cionevato, cioè un deposito perennedi neve e ghiaccio privo della strutturacomplessa e delle dimensioni di unghiacciaio, non sarà più l’unico nelsuo genere sull’Appennino e sul GranSasso. Depositi di questo tipo, infatti,esistono in altre parti del massiccio:per esempio la conca del Fondo dellaSalsa (a soli 1300 metri di quota!) e ilcanalone del Gravone. Sarà diverso,ma avremo ancora di che studiare”.

Stefano Ardito è giornalista, fotografo, scritto-re e documentarista specializzato in natura,viaggi, montagna, escursionismo e aree protet-te. Scrive o ha scritto per Specchio dellaStampa, Repubblica, Il Venerdì, Airone,Meridiani, Dove, Qui Touring, Plein Air, Alp eRivista della Montagna.

Qui sopra, il Calderone asciutto - settembre 2007 (foto S. Ardito)

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I

PARCHI ALTA VALSESIA E VEGLIA-DEVERO

ANCHE CHI HA POCA DIMESTICHEZZA CON RAMPONI E PICCOZZA E NON È ALPINISTA,PUÒ ACCOSTARSI AL MONDO DEI GHIACCIAI PERCORRENDO I SENTIERI TEMATICIPREDISPOSTI IN ALCUNI PARCHI PIEMONTESI

I sentieri glaciologici

Il Sentiero glaciologico del Parco na-turale dell’alta Valsesia è l’itinerarioideale per scoprire (da lontano) lagrande parete sud-est del Monte Rosa,laddove i ghiacciai per ora continuanoa dettare le regole del gioco e a dise-gnare e ridisegnare il paesaggio.Primo del genere in Italia, il percorsoconsente ai neofiti di familiarizzarecon gli elementi di geologia caratteri-stici degli ambienti di origine glaciale.

Toni Farina, Aldo [email protected]

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Il punto di partenza è il parcheggiodell’Acqua Bianca, di fianco all’omo-nima cascata poco a monte di Alagna.Seguono due ore di agevole cammi-no e seicento metri di dislivello in cuiprestare attenzione sia alla morfolo-gia che ai pannelli descrittivi.All’inizio della mulattiera è collocato ilprimo tabellone che illustra i cambia-menti climatici del passato, in partico-lare quelli relativi all’ultimo milione di

anni durante il quale si sono verificatele grandi glaciazioni pleistoceniche; ilsecondo è a pochi minuti di cammino,opportunamente collocato nei pressidelle “caldaie del Sesia”, istruttivoesempio di forra fluvioglaciale.Salendo si raggiunge con facilitàl’Alpe Fum Bitz, dove si può appro-fittare di un punto informativo delparco e visitare l’orto botanico. Si at-traversa quindi il Sesia e si esce sul

Qui sopra, il Ghiacciaio del Monte Rosa, versante valsesiano (foto R. Borra/CeDRAP)

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accumulo come i terrazzi di Kame,delle erosioni e della formazione del-le rocce montonate, dell’evoluzionedei ghiacciai dal ’700 ai giorni nostri.L’arretramento della fronte dal 1820 aoggi è sensibile ed è stimato in 820m. L’esatta determinazione è resa pe-rò difficile dal fatto che la parte fron-tale è ricoperta da fine materiale de-tritico che nasconde il ghiaccio sotto-stante costituendo un cosiddetto“ghiacciaio nero”.I pannelli descrivono infine i rock gla-ciers, colate detritiche semoventi dallaforma lobata (ben visibile dall’alto), co-stituite da blocchi rocciosi, al cui internosi trova un nucleo di ghiaccio che si de-forma e le fa muovere. I rock glaciers,costituiscono la fase finale dell’evolu-zione di un ghiacciaio. Il miglioreesempio di tutta l’Ossola, che si estendeper oltre un chilometro, lo si può trova-

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piano dell’Alpe Pile (Fum d’Pile), do-ve entra in scena la parete del MonteRosa e dove si può sostare al rifugioPastore, comodissimo punto di ap-poggio per le escursioni nella zona.In prossimità del rifugio si incontranodue punti di interesse: il primo illustral’origine delle “marmitte dei giganti”,cavità scavate nella roccia dai torrentisubglaciali; il successivo descrive ighiacciai del versante valsesiano delRosa con i relativi toponimi.Si prosegue nella valle verso l’AlpeBors, all’imbocco del vallone omoni-mo, dove altri pannelli descrivono laformazione delle valli sospese e deicirchi glaciali. Si raggiunge quindi ilsoprastante cordone morenico depo-sitato durante la Piccola Età Glaciale,dove si può conoscere l’origine dimorene frontali e laterali. Ed è sullacresta morenica che il sentiero saleall’Alpe Fun d’Ekku, quota massimadella camminata (2070 m), dove l’ul-timo tabellone spiega la dinamica ela struttura dei ghiacciai, che visti diqui paiono davvero vicini.Il Sentiero glaciologico al ghiacciaiod’Aurona ci porta invece all’AlpeVeglia. 12.000 anni fa la coltre glacia-le copriva quasi interamente la su-perficie del parco. Degli imponentighiacciai che modellarono l’Ossola(nei pressi di Domo la coltre dighiaccio raggiungeva i 2 km di spes-sore) e che originarono le stesse con-che di Veglia e Devero non restamolto. Il più esteso è quello diAurona situato sul versante setten-trionale del Monte Leone con una su-perficie di circa 115 ettari, una lun-ghezza di oltre due chilometri e lafronte a 2300 m di altezza. Un belsentiero autoguidato, attrezzato connove pannelli didascalici, sale dallalocalità Isola di Veglia (1740 m) sinoalla fronte del ghiacciaio alla cui basesono chiaramente leggibili i fenome-ni di esarazione glaciale: rocce mon-tonate e cordoni morenici, argini affi-lati di detriti lunghi fino a 700 m.Nella possente cerchia morenicafrontale un pianoro sabbioso docu-menta l’esistenza passata di un la-ghetto proglaciale ormai interrato.I pannelli ci raccontano delle morfo-logie glaciali, delle antiche forme di

re nella vicina Val Buscagna al Deveronei pressi del Passo di Cornera.Camminandoci sopra si incontranodepressioni profonde alcuni metri sulcui fondo affiora ghiaccio residuo dicolore blu-azzurro.Un guado sul torrente permette di por-tarsi sull’opposto versante della valle edi tornare lungo un sentiero segnalatosul versante settentrionale del MonteLeone che transita nei pressi del sug-gestivo Lago delle Streghe oggi circon-dato di boschi, ma originatosi tra lemorene del ghiacciaio. Complessi -vamente sono 520 m di dislivello ecirca due ore di cammino in salita.Si accede all’Alpe Veglia da SanDomenico di Varzo o percorrendo lapista di servizio o raggiungendo conla seggiovia l’Alpe Ciamporino e diqui l’alpe passando per il bel sentierobalcone.

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OBERLAND-SVIZZERA

È IL PIÙ GRANDE DELLE ALPI, UN FIUME DI GHIACCIO NEL CUORE DELLA SVIZZERA. OGNI ANNO LO VISITA, SENZA RECAR DANNO,UN MILIONE DI PERSONE

Aletsch, il primo della classePia Bassi e Grazia Seregni

In questa pagina, Riederalp: vista dell’Aletschgletscher. Nella pagina accanto, l’Aletsch nella parte inferiore (foto P. Bassi-G. Seregni)

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IIl ghiacciaio dell’Aletsch, attualmente23 chilometri di lunghezza, nel 2001 èstato riconosciuto dall’Unesco Patrimo -nio dell’umanità. È il ghiacciaio piùgrande delle Alpi; scende imponentedai quattromila dell’Oberland, nelcuore della Svizzera: Aletschorn 4195m, Jungfrau 4158 m, Monch 4107 m eFiescherhorn 4049 m. Ogni anno vie-ne visitato da oltre un milione di per-sone provenienti da ogni parte delmondo: 750mila turisti dal versante diInterlaken con il trenino delJungfraujoch (3454 m), 600mila dal la-to del Vallese. Qui il turismo del futuro esiste già; lanatura è sovrana e gli spostamenti sifanno a piedi o con i bus taxi elettrici. Chi vuole camminare trova 72 chilo-metri di sentieri tracciati e segnalati,in parte anche d’inverno. Turisti conproblemi di deambulazione, anzianie bambini dispongono di facilitazio-ni: dalla strada panoramica e piana

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che unisce i due centri abitati diRiederalp e Bettmeralp, alle funivie,ai numerosi parchi giochi, ai sentieridelle “marmotte” e dei “nani”. Il mu-seo di Villa Cassel, ex residenza pri-vata, raggiungibile in trenta minuti apiedi dal centro di Riederalp, è oraun interessante Centro Pro-natura do-ve in un documentario l’aquila prota-gonista fa gli onori di casa fra i montie accompagna in volo i visitatori sul-le Alpi circostanti. Sono in corso stu-di per la reintroduzione di animaliquali la lince e l’orso bruno, un tem-po comuni come il cervo e il gallocedrone. I volontari del Centro misu-rano l’andamento del ghiacciaio, cheha perso molto terreno negli ultimianni. Sull’Eiswelt Betterhorn, da do-ve si domina il fiume gelato, si puòrivivere in diorama la vita del ghiac-ciaio a partire dall’epoca dei mam-muth, con alternanze di glaciazione escioglimento. Nel 1862 la città diBriga era circondata da enormi bloc-chi di ghiaccio chiamati “rollybock”. Per rendersi conto dell’ambiente sipuò percorrere il sentiero che dallastazione di Bettmerhorm raggiungeRiederfurka, 2075 m. Dalla cresta, al-tri sentieri ben segnalati scendono alghiacciaio attraversando la secolareforesta di cembri, larici, pini e betul-le. Attraversare la foresta in autunnoè un’esperienza unica: il vento arpeg-gia fra le fronde degli alberi rossastri,con lo sfondo celeste del ghiaccio.Chi non soffre di vertigini può attra-versare la fronte del ghiacciaio su unponte tibetano lungo 124 metri, checollega le due sponde del fiume dighiaccio da Riedfurka a Belalp.Le notti sull’altopiano sono silenziosee gli animali prendono possesso diboschi, prati, giardini e campi dagolf. In autunno i cervi vanno inamore e si spostano da un prato al-l’altro inseguendo le femmine. I bra-miti si diffondono per chilometri nel-le valli ed echeggiano nella gola delghiacciaio.

Pia Bassi, giornalista e trekker. Da anni si de-dica alla divulgazione scientifica e al turismo.Ha scritto e scrive per le pagine scientifiche di:Il Giorno, Tuttoscienze de La Stampa, Quark,Airone, Oasis, Aqva. Dal 1989 fa partedell’Ugis, Unione giornalisti italiani scientifici.

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Come arrivarciDall’Italia è facile raggiungere l’Aletsch attraverso il passo del Sempione che portafacilmente a Briga, nel Vallese; da qui in macchina o in treno a Morel, dove si lasciala vettura dato che l’altopiano di accesso al ghiacciaio è vietato a tutti gli automez-zi a motore. Gli svizzeri hanno attrezzato i paesi della valle di ampi parcheggi e i turisti e gli escursionisti devono prendere le cabinovie che portano ai tre “vil-laggi” dell’altipiano: Riederalp, Bettmeralp e Fiescheralp.

Info utili www.svizzera.it, numero verde 0080019920030, tel. 02-76317791 - www.jungfrau.ch -www.interlaken.ch - www.riederalp.ch - www.valaisinfo.ch - www.pronatura.ch/aletsh

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SGRAZIATO, SCHIAMAZZANTE, UN PO’ CIALTRONE:L’ALLEGRO VERSO DI QUESTO UCCELLO RENDE PIÙDOMESTICO IL SILENZIO DELL’ALTA MONTAGNA

Il gracchio, proiettile dei ghiacciaiCaterina Gromis di Trana

AVIFAUNA

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PPer chi fa di ogni erba un fascio quan-do parla di corvi, in quel calderone cimette gracchi, cornacchie, taccole ecorvi imperiali. E invece no: sono tuttiun po’ sgraziati e più o meno schia-mazzanti, ma ce n’è uno speciale, abi-tante dell’altitudine, capace di ridi-mensionare i silenzi dell’alta monta-gna con un verso che rende più do-mestico persino il ghiacciaio. In quelsantuario al di sopra della vita, chechiede ogni tanto lo scotto di un’ani-ma a chi lo sfida, il volo del gracchioche si getta a valle piroettando comeper gioco è un guizzo di allegria cheincoraggia chi arrampica e fatica.Gli alpinisti sedotti dalle altitudiniinospitali lo riconoscono complice: ilgracchio è l’ultimo vivente un po’cialtrone che si avventura lassù. Gli

altri animali delle vettesono piccoli, mimetici,

silenziosi, fin troppoadattati alle condi-zioni estreme;sembra si scusinodi disturbare, inquei luoghi chepaiono durare ineterno. Il gracchiono, lui chiacchie-ra, curioso e intel-ligente come tutti i

corvidi, e fa tesorodelle novità che la ci-

viltà gli offre: bivacchie rifugi sono luoghi inte-

ressanti, dove trovare preli-batezze indicibili nei resti di sem-

plici pasti consumati dai viandanti.Alle stazioni di seggiovie e funivieche sputano turisti gli è facile insce-nare un teatrino da animale semi-do-mestico, ed estorcere qualche pezzodi pane a quelli che amano guardarsiun po’ intorno prima di scaraventarsinell’imbuto della pista di sci.Si fa notare, il nostro gracchio alpino(Pyrrhocorax graculus): la livrea nerasmagliante, il becco giallo, l’occhio vigi-le, il saltellare curioso come se fossesulle spine, i voli in gruppi petulanti.Ancora più elegante è il suo primo cu-gino, il gracchio corallino (Pyrrhocoraxpyrrhocorax), più raro, dotato di un belbecco rosso lucente.Le due specie hanno anche altri carat-

teri distintivi: il gracchio corallino ha lacoda più corta, è un po’ più grosso delcompare e in volo tiene le remigantiprimarie ben aperte verso l’esterno, co-me se volesse dar sfoggio di eleganza. I gracchi sono animali sedentari, ched’inverno formano grandi stormi erra-tici: fanno comunella, tutti per unonelle avversità, muovendosi versovalle come un enorme sciame rumo-reggiante. Nella bella stagione i nidisono posti tra gli anfratti e gli inghiot-titoi delle rocce, talmente poco acces-sibili che i gracchi della conca delBreuil, abili nel volo veleggiato, cimettono anche un quarto d’ora a rag-giungerli dai pascoli di alimentazione,sfruttando le correnti ascensionali aridosso delle pareti rocciose delleGrandes Murailles. Per tornare ai praticircostanti bastano tre minuti, spesi inspettacolari tuffi ad ali chiuse, comeproiettili viventi. I corvidi sono capaci di sorprendentimanifestazioni di psichismo: tra i po-chi nel mondo animale in grado diusare strumenti, lo fanno con azioninon stereotipate ma finalizzate alla so-luzione di problemi di volta in voltadiversi. Nelle aree più frequentate daituristi i gracchi danno prova di saperfar tesoro dell’“urbanizzazione” dellamontagna, imparando rapidamente adavvicinarsi all’uomo per ricevere cibo.Tutto resta nei limiti: ai tempi della co-va smettono di frequentare i luoghiabitati, non per snobismo ma proba-bilmente perché l’apporto energetico-nutritivo offerto dal turista, per lo piùmollica di pane, non è sufficiente a ga-rantire un regolare allevamento dellaprole. Allora i gracchi si danno da farecome madre natura ha insegnato, cac-ciando insetti: coleotteri e cavallettesono proteine, ideali per i giovani daallevare. In inverno gli insetti sparisco-no, la dieta cambia e i gracchi si adat-tano a diventare vegetariani, predili-gendo le bacche di ginepro, senza di-sdegnare qualche ghiottoneria qualiresti e interiora di ungulati abbattutidurante la stagione di caccia. Quandonascondono il cibo nelle crepe e nellefessure delle rocce, non più gregarima individualisti, il loro comportamen-to ha un altro significato adattativo: èlungimiranza, messa in atto in vista di

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foto

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Osservando i grandi gruppi misti cheformano le due specie e il nervosismoche serpeggia quando un individuoprende il volo per un nonnulla, segui-to a ruota da tutto lo stormo, pare cheperdano un mucchio di tempo a rin-correre ansie inutili. In tal modo si nu-trono disordinatamente e male, ma intermini adattativi lo stress è compen-sato dai vantaggi antipredatori che ilgruppo garantisce. L’aquila reale e ilfalco pellegrino non lasciano scampoa un individuo isolato, ma dal gruppopetulante stanno alla larga. E che dire del canto? Non è un gran-ché quello dei gracchi per l’orecchioumano desideroso di usignoli e capi-nere, però anche la voce dei gracchiha un senso e merita la sua bella ana-lisi spettrografica, utile per studi diecologia, etologia e zoogeografia.L’esame della variabilità dei canti ne-gli areali delle varie specie permettedi spiegare i meccanismi che control-lano l’evoluzione spazio-temporaledella comunicazione sonora.Apposite missioni di campo sono sta-te organizzate per registrare i cantidel gracchio alpino e del gracchio co-rallino in varie regioni europee, inMarocco, Etiopia, Kirghistan (Asiacentrale) e alle isole Canarie. Le carat-teristiche del repertorio sono influen-zate dalla frammentazione geograficadell’habitat e dal grado di isolamentodi alcune popolazioni: anche tra igracchi si parla il dialetto, come siconviene a veri montanari fieri dellapropria identità.

PER SAPERNE DI PIÙ• Antonio Rolando, I corvidi italiani:sistematica, faunistica, eco-etologia,problemi di conservazione econtrollo, Edagricole 1995• Sandro Lovari e Antonio Rolando,Guida allo studio degli animali innatura, Bollati Boringhieri 2004

Caterina Gromis è biologa e collabora con va-rie testate di divulgazione naturalistica.

gravi avversità atmosferiche, prevedi-bili nei lunghi inverni di montagna.In un bel libro dedicato alla conoscen-za dei comportamenti animali (Guidaallo studio degli animali in natura,Bollati Boringhieri, 2004) SandroLovari e Antonio Rolando raccontanocome sia possibile ottenere grandi ri-sultati con tecniche di indagine sem-pre più sofisticate, dalla telemetria allafotografia digitale alla bioacustica allamodellistica. I gracchi sono tra gli ani-mali prescelti nei campi di studio degliautori. Affascinanti uccelli pieni di ri-sorse, per cercare insetti possonosmuovere sassi e sterco di vacca, ocamminare appaiati per ottimizzare lospazio tra un individuo e l’altro e ren-dere più efficace la ricerca del cibo. Lihanno visti scavare, conficcando piùvolte il becco nel terreno, a caccia diinvertebrati, o librati a mezz’aria, im-mobili, intenti a catturare le cavalletteal volo. Hanno applicato un metododi campionamento detto “primo atto-re” (focal animal), secondo il qualeun individuo particolare riceve lapriorità di osservazione all’interno delgruppo di cui fa parte. Registrandonele azioni e le interazioni, si ottengonoinformazioni su tutto il gruppo.Questo metodo applicato ai corvidiha permesso di chiarire come le atti-vità trofiche siano condizionate dalcontesto sociale in cui si svolgono.Gracchi alpini e gracchi corallini con-vivono pacificamente sulle Alpi.L’analisi dei loro escrementi ha saputospiegare il perché di questa mancanzadi rivalità: hanno diete differenziateche non si sovrappongono.

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In questa pagina: impronte del gracchiosulla neve (foto H. Ausloos/PandaPhoto) e un gracchio alpino mentreurla (foto R.Oggioni/Panda Photo)

AVIFAUNA

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Aldo [email protected]

Alta Valle Antrona, un nuovo parco per l’Ossola

PARCHI PIEMONTESI

APPARTATA E SOLITARIA L’ALTA VALLE ANTRONA È L’ULTIMO NATO TRA I PARCHI NATURALI REGIONALI. OTTOCENTO ETTARI DI AMBIENTE PROTETTO,MA SOPRATTUTTO OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO PER LA VALLE

Non impervia come la Val Grande,non dolcemente prativa come Veglia-Devero, la Valle Antrona è un mondoa parte: montagna incontaminata,montagna antica o molto più sempli-cemente montagna.Stretta e angusta, dal fondovalle delToce, appena prima di Domodossola,si arrampica fino alle conche pascoli-ve prossime alla Svizzera. Il severoPizzo d’Andolla, 3656 m, è la cima

donne dell’alta valle con il costumetradizionale della festa o del lavoro in-dossato non a fini folklorici. Dopol’abbandono delle attività tradizionali eil fortissimo spopolamento, la valle orasembra puntare a un turismo di qualitàe sostenibile.Prima del Sempione e del tunnel fer-roviario, i transiti con il Vallese segui-vano la via più breve attraverso ilpasso di Saas: da qui l’interesse stra-

più elevata di tutta l’Ossola e puntod’inizio della catena di montagne chein territorio svizzero culmina nei 4000metri della Weissmies. Dal Pizzod’Antigene invece si origina la giogaiadi monti che la separa dalla ValleAnzasca e dal Monte Rosa. Emarginata dai grandi flussi turistici edalle vie di comunicazione, in ValleAntrona il tempo sembra essersi fer-mato, e non è raro incontrare ancora

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Tipica baita lungo la strada che sale al Lago Cavalli (foto A. Molino)

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L’Erebia christiIl “gioiello” naturalistico della Valle Antrona è

una bella e rara farfalla diurna che vive al cospettodelle più alte cime delle Lepontine: l’erebia deighiacciai, come più comunemente è chiamata, èinfatti un endemismo esclusivo vallesano-ossolano

il cui areale distributivo comprende pochissime sta-zioni in Piemonte e in Svizzera. Nel Canton Vallese è

nota in particolare nella Valle di Laggin, dove venne rinvenuta per la primavolta nel 1882, mentre le prime segnalazioni sul versante italiano risalgono al15 luglio 1972, quando Giorgio Leigheg la scoprì all’Alpe Veglia. L’eccessivaspecializzazione della specie alle rigorose condizioni ecologiche, e conseguen-temente un areale estremamente ristretto e frammentato, rende critica la so-pravvivenza della farfalla minacciata non soltanto dalle modificazioni dell’ha-bitat (nel 1982 ad esempio l’apertura di una nuova strada ha distrutto la piùimportante popolazione elvetica conosciuta), ma anche dai collezionisti senzascrupoli.L’erebia, il cui carattere distintivo è dato dalle quattro macchie nere sulle aliin linea, si trova nelle praterie alpine tra i 1500 e i 2100 metri di quota, e sullepareti rocciose fessurate con esposizione a sud e a est, dove cresce laFestuca sulle cui foglie filiformi vengono deposte le uova. Dopo circa quindici giorni il bruco inizia a svilupparsi lentamente, dovendo af-frontare durante la sua crescita due lunghi inverni. A metà maggio del secon-do anno avviene l’incrisalidamento e dopo un mese e mezzo tra la fine di giu-gno e la fine di luglio lo sfarfallamento.

AlMo

PARCHI PIEMONTESI

tegico della valle e la presenza distrutture monastiche a vigilare affin-chè pericolose eresie protestanti nonpenetrassero in Italia. A Monteschieno, prima della fillosserae della peronospora, esistevano estesivigneti eredi di una tradizione forsemillenaria. Interi versanti nei secoli so-no stati terrazzati per adattarli alla cul-tura della vite: muri megalitici, scale dipietra, ripari sotto roccia, canali dre-nanti, rimandano a epoche dove la fa-tica era compagna quotidiana.Viganella, come testimonia l’anticoedificio che ne ospita il museo, è statoil centro nevralgico di quella che fuanche chiamata la La valle del ferro.Le miniere già conosciute dai romani,a partire dal 1200 furono sfruttate si-stematicamente; la loro presenza èall’origine dell’importante centro side-rurgico di Villadossola. La qualità delminerale, l’accessibilità dei filoni,l’abbondanza di legname per i fornifusori che si trovavano in loco han-no determinato lo sviluppo di un’at-tività che nel XVI secolo impiegavafino a 500 persone per una produ-

Il villaggio di Cheggio con le montagnedell'Alta Valle Antrona (foto A. Molino)

zione stimata di 100 tonnellate l’anno.Le miniere si trovavano soprattuto sulMonte Ogaggia in Val Brevettola, doveancora si possono vedere gli antichicunicoli e i resti dei villaggi minerari.Un altro museo, quello dell’oro diLocasca (frazione di Antronapiana),racconta di come a partire dal 1700 laraccolta del ferro e la sua lavorazionevennero abbandonate a favore deipiù redditizi minerali auriferi. Nei val-loni di Trivera e del Mottone e lungoil torrente Ovesca, furono installatimolti molinetti del tipo piemonteseper la macinazione e amalgamazionedel minerale aurifero, che venivaestratto e trasportato a spalle dalle lo-calità Mottone, Mee, Fajot, Trivera,Frisa, Cave del Bosco, Asino, Canna,Colmigia e Salto.Cessate definitivamente per motivi eco-nomici nel 1945 le ricerche aurifere, èstato l’oro bianco dell’idroelettrico a te-nere banco a partire dagli anni ’20 delsecolo scorso, sino a che l’automazionedegli impianti ha ridotto drasticamentele opportunità di lavoro. Alcune dellemigliori aree pascolive furono trasfor-

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mate in impianti idroelettrici. Antrona,Cavalli, Cinghi no, Campliccioli, Campo -secco sono i principali invasi artificialirealizzati in quel periodo.L’area protetta vera e propria, istituitanel dicembre 2009 e affidata al nuovoEnte di gestione dei parchi Ossolani(ex Veglia-Devero), interessa il versan-te destro idrografico della ValleAntrona a monte di Viganella com-prendendo un tratto di fondovalle do-ve sono localizzati gli insediamentistorici di questo comune e la testata divalle con la Val Troncone, la ValBanella e il tratto superiore della ValLoranco. In essa ricade parte della ZPSAlte valli Antrona e Bognanco, facentiparte della “Rete Natura 2000”.Dislivelli, substrati geologici, condizio-ni meteorologiche determinano unapluralità di habitat e quindi di speciepresenti. Una quota consistente delterritorio è occupata dal bosco (ci so-no anche faggete e abetine e piccolinuclei di pino uncinato), che in altocede spazio ai pascoli, alle praterie dialta quota e agli arbusteti. La flora, ancora poco conosciuta, è in-

La grande franaIl paesaggio dell’Alta Valle Antrona appare oggi molto diver-so rispetto al passato, a causa di un evento che ne stravolseper sempre la morfologia.Per la tradizione popolare si trattò di un maleficio, operatoda chissà quale potenza oscura. Invece fu soltanto un feno-meno naturale che si verificò il 27 luglio 1642 ed ebbe tragi-che conseguenze per gli abitanti. Il geologo AntonioStoppani (1824-1891) lo descrive così:«Una spaventosa frana che, staccatasi dal vicino MontePozzoli, si gittò con orrendo fracasso attraverso la valle, ri-montandola in parte dallato opposto. In pochiminuti fu seppellito quasitutto il paese di Antrona -piana, con l’eccidio di 150persone e di numerosiarmenti». I detriti inghiottironoquasi tutti gli edifici, in-clusa la chiesa che erastata ampliata pochi anniprima, ad eccezione dialcune case ubicate nellaparte bassa dell’abitato. La frana, che si staccò

dalla Cima di Pozzuoli, situata a monte dell’abitato diAntronapiana, fu innescata dalle intense piogge che, infil-trandosi, agirono sugli strati rocciosi fortemente inclinati. Ilmateriale franato, corrispondente a circa 12 milioni di m3 diroccia, andò a ostruire il corso del Torrente Troncone,dando origine al Lago di Antrona, così come descrive an-cora Stoppani: «Impedito così il passo al torrenteTroncone, le acque si accumularono sino al sommo dellanuova diga, formando un bacino quasi circolare di circa trechilometri di circuito, nel quale ogni tanto ancor precipi-tano nuovi massi, che si distaccano dalla cicatrice del

Monte Pozzoli, ancoracosì fresca e ben visibileche non si direbbe vec-chia di 257 anni!». Nel 1926 venne realizza-ta una condotta forzataper lo sfruttamento dellago come bacino idroe-lettrico e oggi il suo sbar-ramento, coperto da bo-schi di conifere, rappre-senta un’attrazione pae-saggistica di grande im-portanza.

Ilaria Polastro

teressante perché la zona rappresentail limite di diffusione delle specie ende-miche occidentali come Semprevivumgrandiflorum e Senecium halleri, ospi-ta specie rare come Androsace vandel-li o Drosera rotundifolia, piccola pian-ta carnivora tipica delle zone umide, ola Tozzia alpina che sulle montagneossolane è altrimenti presente solo inVal Formazza.84 sono le specie di uccelli nidifican-ti, tra cui il francolino di monte, la ci-vetta nana, la civetta capogrosso,mentre tra i mammiferi sono presentii principali ungulati (camoscio, ca-priolo, stambecco, cervo) e i musteli-di (ermellino, donnola, martora); allafine degli anni ’90 sono state trovatetracce di un felide attribuite alla lince,la cui presenza non è però stata piùconfermata.Di eccezionale interesse sono infine ilepidotteri con una cinquantina di spe-cie tra cui la “farfalla più rara d’Europa”:l’Erebia christi. Giova qui ricordare co-me molte farfalle che all’osservazioneappaiono assai simili tra loro presenti-no nei fatti apparati riproduttivi esclu-

sivi propri solamente a maschi e fem-mine di quella specie. Se l’estate è la stagione per percorrerei sentieri in alta quota alla ricerca degliambienti tipici dell’alta montagna, d’in-verno, quando la neve ridisegna i pae-saggi, la valle assume un aspetto seve-ro e al tempo stesso magico.Per ritrovare il sole bisogna quasi sem-pre salire in alto e per incontrare la na-tura è indispensabile calzare le ciaspo-le, se la neve ovviamente lo permette,tenendosi comunque lontano dai pen-dii e dai canaloni valanghivi. Ad Antronapiana si trova una pista dasci di fondo che si snoda sui pendii do-ve si è abbattuta la grande frana, e an-che una pista di pattinaggio su ghiac-cio, mentre a Cheggio una sciovia e untapis roulant frequentati dai locali costi-tuiscono un bel terreno di gioco per ibambini. Molti e spesso impegnativi so-no anche gli itinerari di sci alpinismo.

Per informazioni: Ente di gestione Parchi Ossolani viale Pieri 27, 28868 Varzo, tel. 0324 72572

Lago di Antrona visto dalla diga (foto I. Polastro)

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LVALLE ANTRONA

PER 83 GIORNI D’INVERNO IL SOLE A VIGANELLA NON SI VEDE, MA GRAZIEALL’INTRAPRENDENZA DEI SUOI AMMINISTRATORI E A UN GRANDE SPECCHIO PIAZZATOIN ALTO SULLA MONTAGNA, LA PIAZZA DEL PAESE PUÒ GODERE DELLA LUCE RIFLESSA

Specchio, specchio delle mie brame…

La cosa che più colpisce l’occhio delvisitatore che giunge a Viganella, è labellezza del suo centro storico, ag-grappato a un dosso roccioso com-preso tra due piccoli corsi d’acqua,non ancora contaminato da interventiedilizi in odore di modernità. Uno deirii sopracitati forma una cascata, conquattro salti d’acqua che in alcuni pe-riodi dell’anno offre uno spettacolodegno di nota, dove oggi si pratica ilcanyoning. Fino all’inizio dell’Ottocento questoterritorio era denominato semplice-mente “Comune di Mezza Valle”, e so-lo recentemente ha assunto la denomi-

Gian Franco Midali

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nazione di Viganella, che per alcuni ètoponimo che sta a indicare il pascolodel vicinale, per altri proviene dall’an-tico appellativo “Ulcanella” per la pre-senza dei numerosi forni fusori per lalavorazione del ferro, simili a piccolivulcani, attivi sul territorio. L’architettura rurale è, infatti, tipica diuna comunità di minatori, carbonai efabbri, e le origini della storia del ferroin Piemonte non possono prescinderedalla storia di questa comunità, comeprecisato nel documento che risale al21 luglio 1217 conservato nell’archiviostorico di Torino. Espressiva anche ladefinizione “Squadra del Forno Ossola

Superiore” presente sulle mappeTeresiane del 1722, riferita alle frazio-ni Prato, Porta, Trezo Fuori, Ruginentae Isella, che stabiliva con inequivoca-bile precisione una delle più antichesedi di lavorazione del ferronell’Ossola in epoca antica. Un altrodocumento, che risale al 1291, certifi-ca che i valichi alpini erano sicura-mente più frequentati e percorribili ri-spetto ai giorni nostri, ed erano per-corsi non solo da pastori e da greggi,ma anche da minatori e mercanti. La Valle Antrona divenne così un im-portante centro minerario e lo rimase fi-no al secondo dopoguerra, grazie all’at-tività del fabbro ferraio Pietro MariaCeretti che continuò l’antica attivitàestrattiva utilizzando il minerale nellefabbriche di sua proprietà, costruite aVilladossola. Nel 1921 una piena delTorrente Ovesca disseppelliva nei pres-si dell’antico abitato d’Isella un altofor-no e un maglio, e nel 1967 i resti di unosplendido crogiuolo rinvenuto a Portafurono portati a Villadossola davanti al-la nuova Chiesa divenendo il “monu-mento al lavoro” inaugurato alla pre-senza dell’allora onorevole Aldo Moro.La chiesa parrocchiale dedicata a MariaNascente del 1614 è senza dubbio l’edi-ficio storico di maggior interesse, al cuiinterno sono presenti sculture e pitturedi pregio tra le quali spiccano le operedi Giulio e Paolo Guaglio, GiuseppeMattia Borgnis e Giacomo Del Zoppo. Di notevole rilevanza anche l’edificiostorico denominato “Casa Vanni”, con ilpregevole colonnato seicentesco, l’anti-ca torretta medievale, la “casa forte” delXVI secolo, cappelle e oratori sparsiqua e là lungo tutto il territorio e ancora

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fontane in sasso, ponti romanici in pie-tra, forni, macine, frantoio per la spre-mitura delle noci, incisioni rupestri e lefamose cisterne della Colma. Degna dinota anche l’archeologia, che riporta leorigini di Viganella in epoca lontanissi-ma grazie alla presenza sul territorio dinicchie e grotte a falsa cupola risalential megalitico, simili a quelle rinvenute aVarchignoli, e una necropoli romananella frazione Rivera dove furono rinve-nute olpe e coppe in terracotta e mo-nete bronzee risalenti al 156 d.C.In tempi moderni, Viganella è diventatafamosa per la costruzione dello spec-chio solare, capace di riflettere sul cen-tro storico i raggi del sole durante il pe-riodo invernale, quando per effetto diuna dorsale alpina questi non raggiun-gono il territorio comunale. Simpaticala coincidenza dell’assenza di sole condue date del calendario Gregoriano,che ha reso più affascinante la storiadel sole riconquistato. Il sole illuminainfatti Viganella per l’ultima volta l’11novembre, il giorno dell’estate di SanMartino, e vi ritorna solamente il 2 feb-braio, festa della Candelora.Ottantatré lunghi giorni di buio inver-nale al quale hanno posto rimedio dueamici ferrovieri, un Capo deposito lau-reato in architettura, e un Macchinistaeletto Sindaco del paese. Un progettoche ha entusiasmato l’opinione pubbli-ca mondiale per l’originalità e l’innova-zione, e che ha consentito al piccolopaese di balzare agli onori della crona-ca. Quaranta metri quadrati d’acciaiotraslucido, issati sul versante nord dellamontagna, all’alpe Scagiola, azionati daun sistema oleodinamico computeriz-zato in grado di seguire il movimentodella terra attorno al sole, di catturare iraggi di quest’ultimo e di “bloccarli” sul-la piazza del paese per un periodo disei-otto ore giornaliere. Un miracolomoderno frutto della tecnologia abbi-nata al calcolo astronomico. Nel picco-lo paese della Valle Antrona, per cele-brare l’avvenimento sono salite le piùimportanti televisioni nazionali e inter-nazionali. Simpatico anche il gemel-laggio che ha unito Viganella alla cittàdi Huelva in Andalusia, e che ha fattofiorire il turismo tra due località appa-rentemente lontane. Tra le tradizionipiù belle della comunità di Viganella,

a tradizioni del passato, a testimonianzadi come le sue origini si perdano neltempo. Dai documenti antichi si desu-me come gli abitanti fossero quasi tenu-ti ad attraversare in processione gli al-peggi del comune per invocare l’inter-cessione divina sulla campagna, i rac-colti, la riproduzione del bestiame, eper scongiurare le calamità naturali. La particolarità che rende esclusival’Autani dell’Alpe Cavallo rispetto atutte le altre processioni di questo tipo,è rappresentata dal fatto che dal 1945,l’anno della Liberazione e della finedella Seconda guerra mondiale, èl’unica che ai tradizionali motivi propi-ziatori ha affiancato momenti di parti-colare ricordo per i partigiani, le vitti-me di guerra della Valle Antrona, cele-brando i valori di libertà di democraziae di pace scaturiti alla Resistenza.Giova ancora ricordare come le fra-zioni alte Bordo e Cheggio, immersenel verde del bosco, siano divenuteluogo di meditazione per un gruppomitteleuropeo appartenente alla reli-gione buddista.

Gian Franco Midali è amministratore e studio-so di storia locale - [email protected]

vi è senza dubbio “la Candelora”, chesi celebra ogni anno il 2 febbraio percelebrare il ritorno della luce. In quelgiorno, infatti, tutti gli abitanti del luo-go, a titolo di ringraziamento, dopo lalunga assenza solare invernale, porta-no solennemente in chiesa la “Pescia”,un abete carico di doni nel corso diuna festa dalle chiare origini pagane,ma molto significativa e folcloristca.Un’altra tradizione della comunità chemerita di essere ricordata, è l’Autanidell’Alpe Cavallo, che si celebra la pri-ma domenica d’agosto.Si tratta di una processione alpinad’origine antichissima, che partendodal centro del paese raggiunge l’alpeg-gio – zona di monticazione estiva de-nominato “Cavallo” per la caratteristicaforma che assomiglia a un equino – at-traversando quasi totalmente il territo-rio comunale. Una processione propi-ziatoria, lunga diverse ore di camminointercalato da canti e giaculatorie, se-condo un preciso rituale dalle originiagro pastorali e precristiane.La parola “Autani” altro non è che unacorruzione dialettale della parola “lita-nie”, in pratica le stesse invocazioni epreghiere che si cantano durante il per-corso. Nel panorama alpino si trovanotestimonianze di queste camminate ri-tuali un po’ ovunque in tutte le vallate,dal Piemonte al Trentino Alto Adige. Diquella di Viganella troviamo le primetracce scritte nell’archivio parrocchialedel Seicento, dove già si fa riferimento

Info utili:Centro d’osservazione del territorio diViganella. Tel. 0324 56002 oppure3357654386. Sono altresì consultabili i sitiwww.comune.viganella.vb.it; www.casavanniviganella.it

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EROI DELLA NATURA

P«Più che dare risposte sensate, una mente scientifica formuladomande sensate.»

Per l’ultima delle interviste impossibili ho preparato un veroscoop giornalistico. Sto per incontrare il padre dell’antropo-logia moderna, il professor Claude Levi Strauss.Professore, lei è divenuto famoso per gli studi sulle popola-zioni indigene del Mato Grosso.

Ci vuole raccontare che cosa l’ha portata in Brasile?Nel corso della mia vita, come forse saprà, ho viaggiato mol-to. Una peregrinazione da un capo all’atro del pianeta: ilBelgio, la Francia, l’America, il Brasile e molte altre mete. Mi sono spostato spesso per motivi di lavoro, ma a causadelle mie origini ebraiche sono stato costretto a viaggiare an-che per motivi meno piacevoli, come nel 1941, quando hodovuto lasciare Parigi per sfuggire alle persecuzioni naziste.Fortunatamente i viaggi che ho compiuto si sono sempre tra-sformati in grandi opportunità lavorative e conoscitive. Il Mato Grosso è stato il luogo che ha cambiato la mia vita emi ha dato l’occasione di scrivere Tristi Tropici.

Tristi Tropici è stato il suo più grande successo letterario;un testo essenziale per l’antropologia moderna. Ci raccon-ta come è nato?È essenzialmente un diario di viaggio nel quale ho annotatole mie impressioni sul mondo primitivo amazzonico, una re-altà che nel 1930 era del tutto sconosciuta. Vivere a contattocon le popolazioni indie dell’Amazzonia è stata un’esperienzarivelatrice, fondamentale per la mia carriera.

Che cosa è successo?Ho compreso che se si voleva dare scientificità agli studi et-

nografici non bastavano osservazioni empiriche, ma occorre-va elaborare modelli di ricerca. Cosa ben più importante, hocapito che alla base di ogni comunità risiedono analoghischemi comportamentali e relazionali. Questo è stato un tra-guardo fondamentale per scardinare la convinzione di supe-riorità culturale da parte delle civiltà occidentali.

Un tema di grande attualità. In quest’ottica di convergenzaculturale si colloca il suo lavoro sulla creazione dei miti. Di che cosa si tratta?Ho percorso l’intero continente americano, dalla Terra delFuoco all’Alaska, per dimostrare che in fondo i meccanismi chesottendono alla costruzione dei miti sono simili in qualsiasi co-munità. Detto in parole povere: i miti sono sempre gli stessi.D’accordo, cambiano un po’ nell’aspetto, ma solo in funzionedell’ambiente in cui vengono elaborati. Ho dimostrato in questomodo che le società che consideravamo primitive hanno men-talità logiche e non caratterizzate da una partecipazione esclusi-vamente affettiva e mistica con le cose. L’elemento importantedei miei studi è che possiamo scoprire molto di noi stessi avvi-cinandoci senza pregiudizi a culture distanti.

Per lei, quindi, la conoscenza autentica dell’altro è alla ba-se di un rapporto di pace tra i popoli?Certamente, la conoscenza è fondamentale per la compren-sione di chi è diverso da noi e per raggiungere una reale in-tegrazione basata sulla condivisione dei rispettivi bagagli cul-turali, e non viziata dalla convinzione che esista una presuntasuperiorità di alcuni sui molti.

INTERVISTE IMPOSSIBILI - A CURA DI MARIANO SALVATORE

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BRUXELLES, 28 NOVEMBRE 1908 – PARIGI, 30 OTTOBRE 2009

Intervista a Claude Levi Strauss

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La rubrica “Interviste impossibili” termina qui, con le domande rivolte a Claude Levi Strauss in attesa di “incontrare” altri personaggi interessantie dediti alla Natura.

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a cura di Emanuela [email protected]

NOTIZIE E CURIOSITÀAltre notizie e appuntamenti su www.piemonteparchi.it

LLa Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e leProvince autonome, di cui la Regione Piemonte è capofila per la te-matica Ambientale, ha approvato lo schema di Strategia nazionale perla biodiversità predisposto dal ministero dell'Ambiente, ora operati-vo a tutti gli effetti. Approvata in tempo di record, dopo 4 mesi di la-voro intenso e una decina di riunioni, la Strategia Nazionale, nel con-fermare l'impegno di arrestare la perdita di biodiversità, è lo strumentoche dovrebbe integrare le varie politiche nazionali sul tema. Per raggiun-gere tale proposito, la Strategia si sviluppa su tre ambiti principali: biodiver-sità e servizi ecosistemici, biodiversità e cambiamenti climatici, biodiversità epolitiche economiche. In relazione a questi ambiti, il lavoro da sviluppare verràsuddiviso in 15 aree: specie, habitat, paesaggio, aree protette, risorse genetiche,agricoltura, foreste, acque interne, ambiente marino, infrastrutture e trasporti, areeurbane, salute, energia, turismo, ricerca e innovazione, educazione, informazionee comunicazione, Italia e biodiversità nel mondo.La Strategia nazionale prevede l’istituzione – presso il ministero dell'Ambiente– di un Comitato paritetico a supporto della Conferenza Stato-Regioni, com-posto da rappresentanti delle amministrazioni centrali e delle Regioni e ProvinceAutonome. A supporto del Comitato sarà anche istituito un Osservatorio Nazionalesulla Biodiversità che fornirà il necessario apporto scientifico multidisciplinare. Per per-mettere poi il pieno coinvolgimento dei portatori d'interesse verrà anche istituito un Tavolo diconsultazione che coinvolgerà il Comitato paritetico e i rappresentanti delle principali associazioniambientaliste.La Strategia nazionale per la biodiversità è stata presentata a livello internazionale dal Ministrodell'Ambiente Stefania Prestigiacomo a Nagoya, in Giappone, alla decima Conferenza delle parti dellaConvenzione internazionale sulla biodiversità: appuntamento che vede l’Italia partecipare senzaaver raggiunto gli obiettivi di salvaguardia della biodiversità per il 2010. Nonostante il nostro Paeseparta con le carte in regola dal punto di vista istituzionale – sottolineano le associa-zioni ambientaliste – preoccupa molto il taglio di fondi che ha colpito l’ambiente, co-me quello operato sui parchi nazionali che ha visto ridurre il proprio budget del 50%per l’anno a venire.

Il Piemonte fa da guida

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AMBIENTE PIEMONTE

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Piemonte Parchi è su FacebookNOTIZIE E CURIOSITÀ

Grazie a un progetto finanziato dall’OsservatorioFaunistico della Regione Basilicata e dall’Università diAlicante (Spagna), lo scorso luglio sono stati marcati contrasmittenti GPS/Argos per la prima volta in Italia duegiovani bianconi (Circaetus gallicus), nel Parco GallipoliCognato Piccole Dolomiti Lucane. Ai bianconi sono sta-ti dati i nomi di Nic e Biagio. Le trasmittenti, dal peso di45 g (meno del 3% del peso delle aquile) funzionano tra-

mite telemetriasatellitare, unatecnica attraver-so la quale èpossibile seguirele migrazionidegli uccelli at-traverso piccoleradio alimentateda pannelli sola-ri. Questi stru-menti, che sonostati applicatitramite un leg-

gerissimo “zainetto” pochi giorni prima che le giovaniaquile si involassero dal nido, inviano dei dati (coordi-nate, ora e data) che sono poi scaricabili da internet. Ilbiancone è un’aquila che nidifica in ambienti mediterra-nei, si nutre quasi esclusivamente di serpenti, e trascor-re l’inverno prevalentemente in Africa. Il sistema GPS consente di localizzare i bianconi conprecisione e quindi di valutare le rotte di migrazioneutilizzate per attraversare il Mediterraneo e il Sahara,nonché di determinare le aree di svernamento in Africatropicale. Con pochi mesi di vita le giovani aquile hannoaffrontato un viaggio di migliaia di chilometri, sorvolan-do barriere naturali come il mare e il deserto e raggiun-gendo le aree di svernamento in Africa tropicale. È possibile seguire i loro spostamenti quasi in temporeale sul sito www.parcogallipolicognato.it.

Con la motivazione «le luci, i silenzi, le attese, i suoni dellanatura, le rare voci – ovvero l’essenza vera del cinema –ci conducono, attraverso uno sguardo di attenta e parte-cipe contemplazione, alla “vera essenza” della vita di unguardiaparco e del suo ambiente di lavoro» la giuria in-ternazionale di Sondrio Festival 2010, presieduta dal regi-sta Mario Brenta, ha assegnato il primo premio “Città diSondrio” al documentario In un altro mondo di JosephPeaquin, prodotto dal Parco Nazionale Gran Paradiso edalla Fondation Grand Paradis. Interamente nel Parconazionale, il film racconta passo dopo passo, giorno dopogiorno la vita e le attività quotidiane di Dario Favre, guar-daparco della prima area protetta istituita in Italia. Per saperne di più: www.sondriofestival.it

Primi rapaci marcati con trasmittente satellitare

Recupero dell'area ex cava pedrale nel Parco del Po torinese

Continua la collaborazione tra l’Ente parco del Po torinesee il Comune di Settimo la progettazione e la realizzazionedi interventi di messa in sicurezza e di riqualificazione am-bientale di un’area contaminata, parte di proprietà comuna-le e parte demaniale, in sponda sinistra del Fiume Po in lo-calità Cantababbio Mezzaluna. Su tutta l’area sarà realizzatoun capping, ovvero una copertura del suolo mediante ma-teriale impermeabile con successiva messa a dimora di ar-busti con radici poco profonde, al fine di consentire una ri-qualificazione dell’area e una destinazione finale del sito dautilizzare come parco pubblico, in prosecuzione del parcogià esistente poco a monte e realizzato dal Comune diSettimo. Un altro passo verso la difficile riappropriazione allafruizione e al recupero delle fasce fluviali che a lungo sonostate oggetto di abbandono e che oggi per esser recuperatenecessitano di un lavoro di recupero, per ridare valore aspazi e paesaggi che possiedono un grande interesse nell'in-tero programma di recupero delle sponde del Po.

Nuovo sito Internet per il Gran Paradiso

È on-line all'indirizzo www.pngp.it. Il nuovo sito internetdel Parco nazionale Gran Paradiso. Realizzato dall'agen-zia di comunicazione web Sixeleven di Torino, il sito èconforme agli ultimi standard di accessibilità e usabilità,per rendere i contenuti disponibili a tutte le tipologie dipubblico. Le principali novità introdotte iniziano già dallahome page che accoglie i visitatori indirizzandoli alle di-verse sezioni e dando subito un'idea di ciò che il turista ol'appassionato potrà vedere con i propri occhi nel parco.

12 milioni gli animali rinchiusi nei laboratori

La Commissione Europea ha pubblicato il VI rapporto2008 sui dati statistici relativi al numero di animali utiliz-zati a fini sperimentali. Ne sono stati calcolati quasi 12 mi-lioni. Fra questi: 21.000 cani, 330.000 conigli e oltre 9.000scimmie – il 56% delle quali catturate in giovanissima età al-lo stato selvatico, spesso alle Mauritius, distruggendo per loscopo interi nuclei familiari al prezzo di 2.600 sterline. Dei27 Paesi europei, i peggiori sono, nell’ordine: Francia,Regno Unito, Germania, Spagna e l’Italia.

Sondrio Film Festival: vince la storia di un guardiaparco

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DAL MONDO DELLA RICERCA

Un’armaturadi ghiaccioClaudia [email protected]

QQuando il manto nevoso che ricopre una montagna supera il limite delle neviperenni, i fiocchi diventano ghiaccio e non si sciolgono più, formando una coltrepiù o meno spessa che per tutto l'anno nasconde le rocce al sole e alla vista.Per quanto ancorata alle pareti sottostanti, la massa di ghiaccio si sposta versoil basso, scivolando secondo un ovvio gradiente di gravità, e asportando lungola sua lenta discesa sottili fettine della superficie rocciosa, in un'incessante operadi lima ed erosione che gli anglofoni hanno etichettato con il nome di “Teoriadella sega circolare”. La conseguenza è l'erosione delle montagne a opera deighiacciai, che in tal modo ne bloccano o meglio rallentano la crescita.Una recente ricerca messa in campo da un gruppo di geologi e geofisicidell'Università di Yale ha però dimostrato l'inadeguatezza di questa teoria, oquantomeno l'impossibilità di applicarla a tutti i ghiacciai del pianeta. Il loro lavo-ro si è concentrato in Sudamerica, sulla catena andina, in particolare nelle Andemeridionali patagoniche, caratterizzate da un'altezza più modesta e da tempe-rature ovviamente più basse. Le altezze più contenute e il clima decisamente piùglaciale facevano presupporre un maggior impatto dei ghiacciai sulle pareti roc-ciose, e quindi una maggiore erosione delle montagne stesse. D'altronde, i risul-tati ottenuti con gli esami eseguiti sulle vette centrali della catena, quelle cioè dimaggior altitudine e presenti tra i 40° e i 50° di latitudine Sud, non facevano checonfermare la teoria della sega circolare e quindi del freno imposto dai ghiaccialla crescita delle cime. Ben diversi si sono però rivelati i risultati degli esami sullerocce delle Ande meridionali, collocate cioè a sud del 50° parallelo. L'analisi del-le formazioni rocciose sotto il mantello di ghiaccio che ricopre tali montagne ol-tre il limite delle nevi perenni, ha evidenziato un'età delle stesse ben più anticadi quanto presunto, a testimonianza della mancata erosione e della costanteorogenesi. In pratica la conclusione cui sono giunti i ricercatori di Yale è che aquelle latitudini i ghiacciai operano da armatura protettiva per lamontagna, ancorandosi alla sua superficie e proteggendola dall'ero-sione operata dai fattori atmosferici, e permettendole in tal mododi raggiungere altezze più elevate di quelle previste dalle attuali teo-rie sull'erosione. È ovvio che un ruolo di primo piano lo gioca latemperatura, giacché al suo alzarsi – come si verifica al di sotto dei50° di latitudine Sud o Nord – si osserva lo sganciamento del ghiac-ciaio dalla superficie rocciosa e il lento scivolare che provoca l'ero-sione. Futuro obiettivo del gruppo di ricerca è l'elaborazione di unmodello globale dell'erosione che possa essere applicato a tutti ighiacciai del pianeta e che aiuti a comprendere gli effetti del climasulla crescita delle montagne.

Il Ghiacciaio del Perito Moreno (foto C. Grande)

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Per saperne di piùStuart N. Thomson, Mark T. Brandon, Jonathan H. Tomkin4, PeterW. Reiners, Cristián Vásquez & Nathaniel J. Wilson, Glaciation asa destructive and constructive control on mountain building, inNature 467, 16 settembre 2010.

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SENTIERI PROVATI

Inverno a MasselloA cura di Aldo [email protected]

RRisalita la Val Germanasca e superati Perrero e il ponte, non sonoin molti d’inverno che invece di proseguire verso la più nota e at-trezzata Prali svoltano a destra per continuare nel vallone lateraledi Salza e Massello, due piccoli comuni all’ombra del Bric Ghinivert,dall’ampio territorio ma di ridotta popolazione (meno di 100 abi-tanti ciascuno).Prevalentemente cattolico uno e protestante l’altro, nessun capo-luogo ma uno spolvero di borgate (sedici solo a Massello), un de-stino comune segnato dalla fine dell’agricoltura di montagna e dallacessazione delle attività minerarie, uno spopolamento che ha il ca-rattere del vero e proprio esodo. Dopo anni di declino, negli ultimianni si è assistito a qualche segnale di ripresa: nuove infrastruttureper il turismo e piccole iniziative imprenditoriali, grazie anche allapromozione dell’Ecomuseo minerario. Il comune di Massello, al finedi valorizzare il ricco patrimonio naturale (la parte alta fa infatti partedel SIC Val Troncea), ha promosso la formazione di un nutritogruppo di guide naturalistiche per accompagnare gli ospiti sui sen-tieri a “caccia” di stambecchi ecamosci. Poco più di sessanta(d’inverno anche meno) sono iresidenti stabili di Massello, co-mune nel cui territorio si trovala storica località di Balsiglia. Il 6settembre 1689 vi fecero tappale milizie valdesi del PastoreArnaud, durante l’epico ritornonelle valli, e nell’inverno succes-sivo resistettero all’assedio dellesoldataglie francesi. comandatedai marescialli Catinat e succes-sivamente De Feuquières. NelMuseo, realizzato dalla Societàdi Studi valdesi nei locali dellaex-scuola costruita nel 1889, sipuò ripercorrere la storia del Rimpatrio e della resistenza su questemontagne. Per salire a Balsiglia occorre comunque attendere l’esta-te, perché la borgata è disabitata e la strada di accesso non è sne-vata. La Foresteria di Massello realizzata con fondi pubblici e gestitada privati, che si trova a sinistra della strada un chilometro oltre ilbivio per Salza, d’inverno è il principale punto di appoggio. Disponedi biblioteca e offre ottima cucina locale, con serate a tema. Neipressi si snoda la pista da fondo, poco più di 2 km normalmente,ben battuta che risale dapprima per poi tornare lungo il torrenteche attraversa con un paio di ponti. Boschetti si alternano ad ampieradure, dove è possibile leggere attraverso le impronte l’intensa at-tività notturna degli animali del bosco e le “tragedie che si consu-mano”, come il leprotto caduto vittima dei rapaci. Il tracciato nellasua parte conclusiva transita nei pressi del “mulino di GorgioTrounno”, uno dei tanti piccoli mulini ad acqua presenti in valle. Simacinava soprattutto la segale, l’unico cereale panificabile che erapossibile coltivare nelle esposizioni migliori. Lo sportivo troverà lapista un po’ limitata, dato il modesto sviluppo e la semplicità deltracciato particolarmente adatto alle famiglie e ai principianti.L’accesso è a pagamento ma gratuito per chi usufruisce dei servizidella vicina Foresteria.

«D’INVERNO LA SEVERITÀDELLA STAGIONE POIAPPARE IN TUTTA LA SUACRUDA REALTÀ, NON CI SISENTE INTIMORITI NÉOPPRESSI PERCHÉ LA VALLE È AMPIA, UN SOLCOIMMANE CHE SERPEGGIAFINO AD ESSERE INTERROTTODALL’ANFITEATRO DEL PIS»(CORRADO GRASSI)

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A Salza, non più attiva la vecchia sciovia, si trova una pista di patti-naggio su ghiaccio. Come la Foresteria per Massello, l’Agriturismo“la Miando” è riferimento per questa piccola valle laterale. La cucinarispetta la tradizione occitana e la produzione agricola dell'aziendaè certificata biologica (ortofrutta, in particolare patate). Si allevanoanche pecore con produzione di formaggi tipici e animali di bassacorte. L'agriturismo offre pernottamento (è anche posto tappaGTA), vendita di prodotti locali e attività ricreative e di animazioneper gruppi scolastici. La Miando con la Foresteria e il Ristorante Didier, in autunno or-ganizzano la “Festa del cavolo” in omaggio a uno dei pochi ortaggiche crescono su queste montagne.Cascate di ghiaccio e passeggiate con le ciaspole (l’attrezzatura sipuò affittare alla Foresteria) completano l’offerta invernale.D’estate le possibilità escursionistiche all’aria aperta si ampliano dimolto: ecco allora percorsi ciclabili come “Il sentiero dei Valdesi” eil “Giro dei Comuni”, o itinerari a piedi come il “la Ruota e l’acqua”o il sentiero dedicato a Arturo Genre, professore di linguistica ori-ginario di Massello prematuramente scomparso e autore tra l’altrodel Dizionario occitano delle valli e della versione in patois delVangelo di Matteo.A Massello è stato realizzato anche un percorso di “nordic wal-king”, la nuova disciplina sportiva nata in Finlandia che consiste nelcamminare, ma anche saltellare, correre e fare esercizi con l’ausiliodegli appositi bastoncini tipo sci ma ammortizzati. Quando si appli-ca la tecnica corretta, si utilizza il 90% della muscolatura del corposenza sollecitare troppo le articolazioni.

Nella pagina accanto: lungo la pista di sci di fondo a Massello.In questa pagina, dall’alto: la foresteria di Massello, la cristallineacque del Germanasca, impronte di lepre variabile sulla neve(foto A. Molino)

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INDIRIZZI UTILI

• La Foresteria, località Molino 4, Massello

Tel. 0121 801018 - Fax 39 0121 801018

http://www.laforesteriadimassello.com/

• Azienda Agricola La Miando, Borg. Didiero 16

10060 Salza di Pinerolo

Tel. 0121 801018 – cell. 339 2763215

[email protected]

• Trattoria pizzeria Ristorante Didier, Borg. Didiero 24

10060 Salza di Pinerolo - Tel. 0121 808644 - cell. 338 9781820

[email protected]

• Da DanielaBorgata Centrale 2, 10060 Massello

Tel. 0121 808670 - fax 0121 809677 [email protected]

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Il libro del meseEnrico [email protected]

LIBRI

LCHE C’È SOTTO LA SUPERFICIE?

Alla scoperta della geologia del Parco La Mandria, a cura diGabriella Forno, Luca Gregorio e Roberto Vatteroni,Collana “I quaderni de La Mandria n. 4”, ed. Ente di gestio-ne del Parco Regionale La Mandria e dei Parchi e delleRiserve naturali delle Valli di Lanzo (t. 011 4993311), € 6.

La geologia è una scienza difficile da comunicare al grandepubblico e ancor più da spiegare ai ragazzi. Per muoversi age-volmente in spazi di tempo smisuratamente dilatati rispettoall’esperienza della storia umana, è necessaria una buona dosedi elasticità mentale. E ancheuna grande capacità d’immagina-zione, per vedere le cose con-crete e reali che i nostri occhinon possono vedere, perchéstanno sotto la superficie. Così lageologia è spesso confinata in di-mensioni nebulose e lontane, va-ghe e indefinite, sebbene sia inve-ce una disciplina fondamentaleper lo studio dell’ambiente e losviluppo del territorio. Conoscere cosa c’è nelle profon-dità della Terra, ci aiuta a scoprirela matrice di un paesaggio, l’evolu-zione di una pianura, il profilo diun corso d’acqua e ci permette diprevederne le possibili trasforma-zioni future. Nessuno conosce i se-greti custoditi sotto i nostri piedicosì profondamente come il geolo-go. E proprio un gruppo di geologidell’Università di Torino ha realizza-to un libro dal notevole valore di-vulgativo e didattico, un concentra-to di nozioni, informazioni, espe-rienze, per far conoscere una realtà ancora poco nota delParco La Mandria.La descrizione, accurata e precisa, inizia con l’inquadramentodell’ampia area formata dall’accumulo di materiali rocciosi tra-

sportati dal torrente Stura di Lanzo, poi si concentra sull’on-dulata pianura alluvionale del Parco, di cui esamina l’alterazio-ne e lo sviluppo dei suoli. Notevoli sono i valori aggiunti offertidal volume. Il primo è rappresentato dall’allegata carta geolo-gica (scala 1:20.000 - dimensioni cm 110 x 90). Le consuete le-gende dei colori di riferimento e dei segni convenzionali, sonoqui arricchite dalla presenza di 12 immagini fotografiche espli-cative dei depositi rilevati in sito e di 3 dettagliati profili geo-logici che mettono in luce la complessa realtà del sottosuolo(Vastalla-Cascina del Parco, Cascina Bonini-Frazione Martini,zona delle Grange di Fiano). Rientra nell’ambito dell’educazione ambientale un altro ele-mento qualificante. Il libro non si limita a descrivere in modoscrupoloso i vari momenti della storia evolutiva che portaro-no alla formazione del terrazzo fluviale sul quale oggi sorgeLa Mandria, ma attraverso un linguaggio chiaro, semplice escientificamente corretto, svela i principali segreti per costrui-re una carta geologica. Un’occasione davvero originale cheinzia con concetti generali di scienze della terra, per giungerealla descrizione puntuale di quello specifico ambiente natura-le. Passo dopo passo e quasi tenendoci per mano, il libro ciguida sul territorio. Percorrendo un itinerario prestabilito, gli

autori aiutano i lettori ad affina-re la sensibilità e accrescere laloro attitudine alla ricerca.Indicano le cose significative daosservare, consigliano comeannotarle e suggeriscono co-me organizzare gli appunti.Insegnano poi a trasformaregli elementi raccolti in segnigrafici e spiegano come tra-sferirli sulla carta. Il puntod’arrivo è la stesura della car-ta geologica, cioè la restitu-zione a tavolino del lavorosvolto sul campo, con la loca-lizzazione degli affioramentiindividuati nel corso dei rile-vamenti, l’interpretazionedei dati e le delicate proce-dure d’interpolazione perunire i vari sedimenti. Imparare-facendo, dunque.Si può riconoscere che ilmessaggio di questo volu-metto sia un invito a tra-sformarsi da spettatori pas-

sivi a fruitori dinamici, prota-gonisti consapevoli che utilizzano la visita in un’area protettaregionale per accrescere la conoscenza dell’ambiente e dellanatura. Un’esperienza di scienza applicata, che riempie disoddifazione chiunque voglia provarci!

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Dizionario delle Aree protette a curadi Carlo Desideri e Renzo Moschini,ed. ETS (t. 050 29544), € 20. Fruttodella collaborazione fra i maggiori stu-diosi ed esperti italiani in materia diaree protette, il libro è utile per indi-viduare e comprendere con chiarezzaqualità e problematiche dei parchi edelle riserve naturali. L’ottica interdi-sciplinare offre la possibilità di appro-fondire un’ampia gamma di termini,da quelli più specifici ecologici e natu-ralistici, a quelli istituzionali, giuridici,culturali, economici e gestionali.

La mia Svezia – Storie di un fotografoitaliano al Nord di Vitantonio dell’OrtoPublinova Edizioni Negri (t. 0331777306), € 49 racconta per immaginila natura “non domesticata” dellaSvezia. Hans Strand noto fotografopaesaggista europeo, scrive così nelretro di copertina: «Se in Europa me-ridionale, culla della civiltà, la terra èstata usata negli ultimi 10.000 anni, nelmeno popolato Nord questo proces-so è avvenuto a un ritmo molto piùlento e vaste aree selvagge sono rima-ste inalterate. La Svezia è dunque di-venuta un santuario per gli europei delsud in cerca di scenari selvaggi, comenel caso di dell’Orto: arrivato in Sveziaha acquisito il gusto per la wildernesse portandosi appresso una sensibilitàitaliana per le sfumature e i dettagli haconfezionato questo libro, pienod'amore per la natura in tutti i suoiaspetti: luci e colori, paesaggi grandiosie intimi, mammiferi e uccelli». (e.cel)

Il Sacro Monte di Varallo (t. 0163 53938)ha curato la pubblicazione del secondonumero di Sacri Monti - Rivista di arte,conservazione, paesaggio e spiritualità.Il poderoso volume (560 pagine) contie-ne aggiornati e qualificati saggi, resocontie fotografie sulle nove realtà che com-pongono il sito Unesco “Sacri Monti delPiemonte e della Lombardia”.

I segreti di Flora di Carola Lodari, ed. Tararà(t. 0323 401027), € 13 è una metafora ca-rica di suggestioni, riflessioni e informa-zioni botaniche. Una storia affascinante edelicata, carica di passione e intelligenzafra la protagonista e la natura. Un raccon-to dove l’impegno fisico per riordinare unterreno trascurato e trasformarlo in giar-dino, si alterna ai mille rimandi interioriche riverberano i moti dell’animo.

Monte Tre Denti – Freidour, ed. Hapax(t. 011 8616626), è un agile volumetto chepresenta in modo sintetico le caratteristi-che del Parco naturale di rilievo provin-ciale (Provincia di Torino). Il libro propo-ne tre interessanti itinerari (uno percorri-bile dagli appassionati di mountain bike) euna serie di informazioni sulle attrattiveturistico-ecologiche che è possibile visita-re nelle immediate vicinanze del Parco.

Piante e rimedi popolari a Salbertand ein Alta Valle Susa di Loredana Matonti,ed. Ecomuseo Colombano Romean (t. 0122 854720), € 8. Propone i risultatidi un’approfondita ricerca che mescolasapientemente un insieme di conoscenzedi valore botanico, farmaceutico, veteri-nario e antropologico merita di essereconosciuto e conservato. Titolo originaledel libro, undicesimo cahier dell’ecomu-seo: “Erba midsinuza e armeddi anubra aSalbeltränd e din lä Valéa dl’ Àutä Duirä”.

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GHIACCIO VIVO di EnricoCamanni, Priuli & Verlucca editori,Scarmagno, 2010, € 18,50.

Un’inedita ricostruzione deltormentato rapporto tra l’uomo e il ghiacciaio, il libro si collocanell’attuale contesto di cambiamenticlimatici in cui è sempre piùevidente l’inscindibilità del binomiouomo-natura. L’opera accompagnasapientemente il lettore in un’indagineche ripercorre le tappe di questasuggestiva convivenza all’interno del territorio alpino, dal Medioevo a oggi. È un consistente lavoro di ricerca delle fonti, letterarie e scientifiche, vista l’estensionespaziale e temporale dell’indagine, da cui emerge un’immagine deighiacciai alpini, materializzata ancheattraverso un corredo iconografico,che varia nel tempo, così comecambia lo sguardo che l’uomorivolge ad essi. Il titolo Ghiaccio vivo esprime infattila natura mutevole del ghiacciaio,che proprio come un essere viventesi trasforma con i cambiamenticlimatici, diventando ora simbolo del castigo divino, ora rappresentazioneterrena del Paradiso e suscitando di volta in volta timore e riverenza,stupore e ammirazione,preoccupazione e allarme.

Ilaria Polastro

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I COLORI DELLA NATURA

«Perché i colori degli animali domesticisono così variabili, mentre quelli deiselvatici sono piuttosto uniformi? È il ri-sultato dell’assenza della selezione na-turale o è la conseguenza dell’addo-mesticamento stesso, che con la modi-fica del comportamento si è portatodietro a livello genetico anche il cam-biamento del colore?» Queste sono ledomande che si sono fatti alcuni ricer-catori svedesi nell’avviare una ricercapubblicata l’anno scorso sulla rivistaPlos Genetics. Lo studio è stato realiz-zato mettendo a confronto un gruppodi maiali domestici, dalla caratteristicacolorazione rosa, e un gruppo di maia-li selvatici provenienti da Europa eAsia, dal colore nero-bruno, ma i risul-tati si possono tranquillamente esten-dere a tutti gli animali domestici. I ricercatori hanno focalizzato l’atten-zione su un gene particolare che con-trolla la variazione del colore del pelodegli animali, presente certamente an-che nei cavalli, nei gatti, nei cani e nel-le pecore. Si è scoperto che sono pre-senti numerose mutazioni di questogene sia nelle specie domestiche chein quelle selvatiche, solo che nelle pri-me queste non hanno avuto successoin quanto la colorazione nero-brunadei cinghiali è quella più adatta al mi-metismo dell’animale in natura. Neglianimali domestici invece, dove ormaila “selezione naturale” è assente, lemutazioni del gene hanno dato luogoa numerose variazioni del colore delmantello. Non solo, probabilmente èstato l’uomo a favorirne la selezione.Per quale ragione? «Una spiegazionepotrebbe essere che 10mila anni fa,quando l'uomo cominciò ad allevareanimali, era più facile guidare il bestia-me con un mantello che si identificas-se meglio – spiega Greger Larson, unodegli autori della ricerca –, oppure chei primi contadini volessero privilegiarele differenze delle specie allevate ri-spetto ai loro parenti selvatici. Ma po-trebbe essere che l'uomo sia stato at-tratto da quelle novità biologiche offer-te casualmente dalla natura e ne ab-bia incoraggiato la diffusione».

Testo di Stefano CamanniDisegno di Cristina Girard

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Domestico è belloDomestico è bello

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Cavalli dai mille coloriQuando pensiamo a un cavallo lo im-maginiamo generalmente marrone,magari con alcune sfumature, fatta ec-cezione per il veloce destriero nero diZorro o il famoso cavallo bianco diNapoleone. In realtà esisistono cavallidi moltissimi colori. Il Buckskin Isabellaha un mantello gialliccio dorato e leparti inferiori delle zampe e la crinieraneri, mentre il cavallo grigio presentaun bel mantello grigiastro e la coda ela criniera che tendono al nero, o an-cora il cavallo Sauro dal colore intera-mente rossiccio. Ma un animale veramente curioso è ilcavallo Palomino, dal pelo color oro. Originario degli Stati Uniti, non pre-senta segni bianchi al di fuori della te-sta o degli arti; i crini sono bianchi ehanno al massimo il 15% di peli scuri.Veramente elegante!

Gatti pelosiIl gatto persiano è forse uno degliesempi più evidenti di selezione for-zata operata dall’uomo.L’animale è stato selezionato a partiredai gatti d’Angora, leggeri, slanciati edalle lunghe zampe, per arrivare a ungatto completamente diverso, dalcorpo tozzo e dalle zampe forti e mu-scolose. Ma il suo vero fascino è il pe-lo estremamente lungo che può assu-mere le più svariate tonalità di colore. Fra i Persiani unicolore sono piuttostocomuni il bianco e il nero, ma è anchemolto apprezzato il color cremamentre quello blu è diventato famo-sissimo dopo che la Regina Vittoria nevolle due esemplari per BuckinghamPalace. Più recente invece la nascitadei colori chocolate e lilac. Ma sono anche diffusissimi i persianibicolore, che la FIFE, Federa zione in-ternazionale dei felini, ha suddiviso intre gruppi: il Persiano bicolore condue terzi di colore solido e un terzodi bianco; il Persiano arlecchino concinque sesti di mantello bianco e unsesto della superficie coperto dal co-lore; il Persiano van con chiazze di co-lore solo sulla testa e sulla coda.

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Un sogno di ghiaccio

AMBIENTALISTA SARÀ LEI...

di Bruno GambarottaAAppartengo a quella categoria di lettori e di spettatori attirati irresistibilmente dal tema dei disastri cli-matici prossimi venturi. La nostra grande famiglia di catastrofisti si divide in due schieramenti: gli amantidel caldo e gli amanti del freddo, quelli che auspicano un avanzamento dei tropici e quelli che sognanouna nuova era glaciale. Pur senza avere mai calpestato un ghiacciaio, sono sicuro che starei meglio alfreddo. Alle elementari la maestra Bussone Culasso (la vera maestra ha sempre due cognomi) ci spie-gava che le valli a V erano state scavate nei millenni da un corso d'acqua mentre quelle a U erano ilrisultato dell'avanzamento di un ghiacciaio che poi si era ritirato. Sembrava che il ghiacciaio fosse unessere dotato di una volontà propria, che, dopo essersi spinto fino al bordo delle pianure, avesse de-ciso di tornarsene in montagna. Da allora, ogni volta che in viaggio incrocio l'imboccatura di una valle,per prima cosa la classifico e poi, se per caso decido che si tratta di una valle a U, m'immagino la massadi ghiaccio dai riflessi blu e verdi dalla quale esce il torrente glaciale. Un'acqua bianca, tumultuosa, chesembra latte e rotola a valle inciampando nei ciottoli. La realtà è ben diversa, i bollettini meteo parlanosolo di ritirata, un anno dopo l'altro. “I ghiacciai risalgono in disordine quelle valli da cui discesero neisecoli passati con orgogliosa sicurezza...” (firmato Diaz: per colpa del bollettino della vittoria molti ve-neti nati nel 1918 si ritrovarono Firmato come nome di battesimo). Che invidia quando si legge nelle cronache dell'assedio di Torino del 1706 che l'inverno precedente equello successivo il Po era così ghiacciato da reggere il passaggio dei carri e delle carrozze! In tempimolto più recenti, agli inizi del '900, le fotografie ci mostrano coppie che sul laghetto ghiacciato delValentino volteggiano affiancate sui pattini. La mia generazione ha fatto in tempo a vivere le stagionidel grande freddo, l'ultimo inverno della guerra e il primo della pace. Con l'acqua ghiacciata nei tubi,le lenzuola stese all'aperto e ritirate rigide come stoccafissi, serrature e infissi bloccati dal ghiaccio.Abitavo in una via in discesa e alla sera, prima di ritirarci in casa, noi ragazzi gettavamo sul marciapiedesecchiate d'acqua che nella notte diventava ghiaccio e ci permetteva il giorno dopo di compiere me-ravigliose scivolate. E pazienza se qualche adulto incosciente e distratto scivolava e batteva una culataper terra. Nelle mie fantasticherie di ragazzo mi vedevo a bordo di una nave rompighiaccio in viaggioin Antardide, ospitato in una confortevole e calda cabina, quando l'arrivo inaspettato e precoce del-l'inverno ci bloccava e ci costringeva a stare fermi fino al ritorno della bella stagione, impedendomi ditornare a scuola. Le storie delle esplorazioni polari esercitavano un fascino irresistibile.Gli scrittori non vanno esenti da questa fascinazione. Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe,scritte nel 1838 quando ancora si fantasticava su che cosa gli uomini avrebbero trovato in Antartide,s'interrompe quando mancano tre capitoli alla fine. Al punto in cui Artur Gordon Pym e Dick Peters,il quartiermastro della baleniera Grampus, scampati su un canotto alla strage dei selvaggi, avanzandoverso il Polo Sud, giungono all'84° di latitudine e dalla barriera delle nebbie vedono sollevarsi una figuraenorme, la cui pelle ha il candore perfetto della neve. Gordon Pym si conclude al Polo Sud mentreFrankenstein, di Mary Shelley, del 1818, inizia al Polo Nord; qui si trova l'esploratore Walton, su unanave imprigionata dai ghiacci, che racconta in una serie di lettere alla sorella Margaret la sua avven-tura: ha visto passare, diretto al Polo, su una slitta trainata dai cani, una creatura gigantesca che altronon è che il mostro senza nome creato dal dottor Frankenstein, che comparirà il giorno dopo mentresta inseguendo la sua creatura. Quanto a me, il desiderio di vivere in un mondo fatto di ghiaccio èsoddisfatto dal fatto di passare accanto al grande Igloo di Mertz che decora l'inizio di corsoMediterraneo a Torino.

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IN COPERTINATempo di gelo, tempo di disgelo

AVIFAUNAIl gracchio dei ghiacciai

PARCHI L’alta Valle Antrona

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Dicembre 2010

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Appuntamential museoa cura di Elena [email protected]

via Giolitti 36 - Torino tel. 011 432 6365

IN AFRICA27 novembre 2010 - 9 gennaio 2011

Tuareg e Masai, deserti e foreste, leoni e gorilla di montagna. Una mostrafotografica di Alessandro Bee al Museo per invitare chi osserva a riflettere sullabellezza e la fragilità del nostro Pianeta e sull’importanza della sua salvaguardiacome patrimonio inestimabile per le generazioni future.La mostra è articolata in quattro sezioni: Acqua – Dal Tramonto all’Alba - In movimento- Ritratti. Acqua ripropone il legame indissolubile tra gli animali e questo prezioso elementonaturale, fonte di vita e teatro di lotte per la sopravvivenza.Dal Tramonto all’Alba è un’antologia di scatti realizzati dopo il calare del sole,quando le luci del tramonto colorano la natura di tinte pastello e il buio della notteavvolge la savana, tra momenti di caccia e corteggiamenti. In movimento propone, attraverso immagini astratte, il tema dell’azione, deldinamismo e dell’energia della savana africana. Ritratti cattura il fascino degli animali dell’Africa, dai gorilla di montagna agli elefantidi Samburu, e la bellezza e la fierezza delle sue genti, dai Tuareg agli Himba,attraverso immagini “occhi negli occhi”.

L’introduzione alla mostra è di JaneGoodall, Fondatrice del Jane GoodallInstitute & Messaggero di Pace dell’ONU.«Le fotografie di Alessandro Bee, ognunadelle quali rivela la sua passione e il suoamore per l’Africa, aiuteranno a capire lamagia della flora, della fauna e della naturaincontaminate, la forza essenziale dellagente – e perciò ad occuparci del lorofuturo. Perciò esploriamo, attraversoqueste vivide immagini, questa Africa chetanto significa per Alessandro e per mestessa e per tanti altri ancora. E lavoriamo insiemeper proteggere luoghi dalla natura incontaminata eridare dignità alle migliaia di persone che hannoperso la speranza. Sarebbe davvero tragico se i figlidei nostri figli conoscessero l’Africa solo attraversole fotografie sbiadite di un mondo scomparso!»(Jane Goodall)

Alessandro Bee è nato a Torino nel 1976. Laureatoin Scienze Naturali, è fotografo naturalista, vincitoredi 3 premi (winner, runner-up, highly com -mended) al concorso internazionale WildlifePhotographer of the Year, organiz zato dalNatural History Museum di Londra e BBCWildlife. La sua mostra In Africa è stata inaugurataal Festival della Scienza di Genova da JaneGoodall.

Per approfondimenti, informazioni e prenotazioniTel. 011 4326307/6334/6337 [email protected]

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Appuntamential museoa cura di Elena [email protected]

via Giolitti 36 - Torino tel. 011 432 6365

IN AFRICA27 novembre 2010 - 9 gennaio 2011

Tuareg e Masai, deserti e foreste, leoni e gorilla di montagna. Una mostrafotografica al Museo per invitare chi osserva a riflettere sulla bellezza e la fragilitàdel nostro Pianeta e sull’importanza della sua salvaguardia come patrimonioinestimabile per le generazioni future.La mostra è articolata in quattro sezioni: Acqua – Dal Tramonto all’Alba - Inmovimento - Ritratti. Acqua ripropone il legame indissolubile tra gli animali e questo prezioso elementonaturale, fonte di vita e teatro di lotte per la sopravvivenza.Dal Tramonto all’Alba è un’antologia di scatti realizzati dopo il calare del sole,quando le luci del tramonto colorano la natura di tinte pastello e il buio della notteavvolge la savana, tra momenti di caccia e corteggiamenti. In movimento propone, attraverso immagini astratte, il tema dell’azione, deldinamismo e dell’energia della savana africana. Ritratti cattura il fascino degli animali dell’Africa, dai gorilla di montagna agli elefantidi Samburu, e la bellezza e la fierezza delle sue genti, dai Tuareg agli Himba,attraverso immagini “occhi negli occhi”.

L’introduzione alla mostra è di JaneGoodall, Fondatrice del Jane GoodallInstitute & Messaggero di Pace dell’ONU.«Le fotografie di Alessandro Bee, ognunadelle quali rivela la sua passione e il suoamore per l’Africa, aiuteranno a capire lamagia della flora, della fauna e della naturaincontaminate, la forza essenziale dellagente – e perciò ad occuparci del lorofuturo. Perciò esploriamo, attraversoqueste vivide immagini, questa Africa chetanto significa per Alessandro e per mestessa e per tanti altri ancora. E lavoriamo insiemeper proteggere luoghi dalla natura incontaminata eridare dignità alle migliaia di persone che hanno persola speranza. Sarebbe davvero tragico se i figli deinostri figli conoscessero l’Africa solo attraverso lefotografie sbiadite di un mondo scomparso!» JaneGoodall

Alessandro Bee è nato a Torino nel 1976. Laureatoin Scienze Naturali, è fotografo naturalista,vincitore di 3 premi (winner, runner-up,highly commended) al concorsointernazionale Wildlife Photographer ofthe Year, organizzato dal Natural HistoryMuseum di Londra e BBC Wildlife. La sua mostra In Africa è stata inaugurataal Festival della Scienza di Genova da JaneGoodall.

Per approfondimenti, informazioni e prenotazioniTel. 011 4326307/6334/6337 [email protected]

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