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1 Dispositivo Azioni di Sistema per l''adeguamento del sistema della formazione professionale e dell''istruzione Progetto n. 343055 IN RETE PER IL SUCCESSO SCOLASTICO E FORMATIVO. MODELLI ORGANIZZATIVI , STRUMENTI E METODOLOGIE I LARSA: (Laboratori per il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti) STRATEGIE INNOVATIVE PER SPERIMENTARE IL PASSAGGIO DALLA FORMAZIONE SCOLASTICA MONODISCIPLINARE AD UNA FORMAZIONE INTERDISCIPLINARE Pietro Roncalli Pietro Roncalli – Via Bissaroli, 6 – 24030 Palazzago (BG) Tel. 035 551250 – Cell. 349 2419669 e-mail: [email protected]

IN RETE PER IL SUCCESSO SCOLASTICO E FORMATIVO. … · 2012-12-06 · di lavoro) le modalità del loro svolgimento ... avendo presente il titolo del presente progetto, “In rete

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Dispositivo Azioni di Sistema per l''adeguamento del sistema della formazione professionale e dell''istruzione

Progetto n. 343055

IN RETE PER IL SUCCESSO SCOLASTICO E FORMATIVO. MODELLIORGANIZZATIVI , STRUMENTI E METODOLOGIE

I LARSA:(Laboratori per il Recupero e lo Sviluppo degli Apprendimenti)

STRATEGIE INNOVATIVE PER SPERIMENTARE IL PASSAGGIODALLA FORMAZIONE SCOLASTICA MONODISCIPLINARE

AD UNA FORMAZIONE INTERDISCIPLINARE

Pietro Roncalli

Pietro Roncalli – Via Bissaroli, 6 – 24030 Palazzago (BG)Tel. 035 551250 – Cell. 349 2419669

e-mail: [email protected]

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Indice argomenti

Delimitazione e configurazione del campo di riflessione. p. 3

Gli aspetti pedagogico/didattico/organizzativi del punto di vista monodisciplinare. “ 5

I limiti del punto di vista monodisciplinare: la situazione del presente e rilievi critici “ 10

del passato.

Il paradigma organizzativo, pedagogico e valoriale del punto di vista monodisciplinare. “ 14

Il punto di vista interdisciplinare: modalità organizzative, strumenti, metodologie. “ 20

Il paradigma organizzativo, pedagogico e valoriale del punto di vista interdisciplinare. “ 34

I Larsa: strategie innovative per sperimentare il passaggio da una formazione scolastica “ 43

monodisciplinare ad una formazione interdisciplinare.

3

Delimitazione e configurazione del campo di riflessione

Dalla lettura dei risultati emersi dai focus realizzati nelle realtà territoriali di Milano, Brescia eVarese sul tema dei Larsa e dalla relazione di commento a tali risultati emergono elementi sia diuniformità che di difformità delle esperienze realizzate dai diversi istituti formativi nelle realtàterritoriali richiamate.L’aspetto di uniformità che accomuna le esperienze esaminate riguarda il tempo dei Larsa, inquanto tempo che, attraverso specifici finanziamenti, si va ad aggiungere ai monte ore standard deipercorsi formativi istituzionali.Le difformità delle esperienze in questione riguardano invece molteplici aspetti, quali appunto itempi di svolgimento (curricolari, extracurricolari), i luoghi di svolgimento (aula, laboratori, luoghidi lavoro) le modalità del loro svolgimento (in codocenza, a livello individuale, di gruppo), isoggetti istituzionali coinvolti (singola scuola, più scuole, enti territoriali, aziende, etc.), etc..Aspetti, quelli richiamati, che trovano poi la loro variegata convergenza nelle varie forme di Larsa,così come indicato nell’ipotesi di lavoro richiamata dalla relazione di sintesi dei focus di cui sopra,che propone appunto una loro classificazione in quattro tipi di intervento, così come indicato nellaseguente tabella.1

Fig. 1

1.Recuperi

Azioni personalizzate di compensazione e riequilibrio culturale (specie linguistiche e logico-matematiche)allo scopo di riallineare la preparazione dello studente ai livelli qualitativi richiesti per l’accesso.Essi sono rivolti a chi non possiede la preparazione iniziale necessaria, oppure a chi si trova in condizionedi difficoltà lungo il percorso di apprendimento.

2.Approfondimenti

Riferimento ad aree disciplinari e/o ambiti di interesse personale e sociale rispetti ai quali gli allievimanifestano interesse per poter approfondire la preparazione con dossier, ricerche monografiche, projectwork, esperimenti…Sono rivolti a chi presenta un livello adeguato di padronanza e desidera procedere oltre verso l’eccellenza.

3.Passaggi

Strumento che consente il passaggio da un sottosistema all'altro, mediante la descrizione nel Portfoliodegli apprendimenti (competenze, conoscenze e abilità) da confrontare con il percorso di destinazione alfine di individuare l’area di completamento.Ciò prevede un orientamento permanente, la registrazione di una volontà dell’allievo, l’analisi del punto dipartenza e del punto di arrivo, il confronto delle situazioni (attesa/reale), la definizione di un piano diformazione tramite laboratorio.

4.Destrutturati

Si tratta di una metodologia complessa di intervento in uno specifico territorio, rivolta specialmente adadolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni che evidenziano percorsi evolutivi difficili, segnati dadeprivazioni affettive e culturali.Sono percorsi che mirano a proporre un insieme di opportunità che si possono costruire in mododifferenziato in rapporto al punto di partenza dei giovani stessi ed in direzione del successo del loroprogetto formativo.

L’ipotesi classificatoria sopra richiamata, la quale, in quanto ragionevole ipotesi di lavoro, opera losforzo di coniugare problemi tipici dell’utenza e relativi strumenti di intervento, viene qui propostacome punto d’appoggio sostantivo per sviluppare una riflessione in tema appunto di “modelliorganizzativi, strumenti e metodologie” che possono favorire “il successo scolastico e formativo”.La lettura dei risultati dei focus di cui sopra fa emergere infatti, pur in presenza del medesimoorientamento allo scopo, cioè favorire il successo scolastico e formativo degli allievi, l’utilizzo sia

1 Nella relazione di commento dei risultati viene richiamato il contributo di D. Nicoli che propone appunto diclassificare i Larsa nei quattro punti indicati nella tabella: 1. recuperi, 2. approfondimenti, 3. passaggi, 4. destrutturati.

4

di criteri progettuali caratterizzati da una visione mono disciplinare del sapere, tipica dellascolastica tradizionale, sia di criteri orientatati, pur a volte in modo non esaustivo, verso una visioneinterdisciplinare dell’azione formativa.2

Si tratta allora, avendo presente il titolo del presente progetto, “In rete per il successo scolastico eformativo. Modelli organizzativi, strumenti e metodologie”, di valutare il rapporto di congruenza odi incongurenza esistente tra l’orientamento allo scopo dichiarato, cioè favorire “il successoscolastico e formativo”, e i mezzi da utilizzare per il suo conseguimento, cioè i “modelliorganizzativi” (la rete come uno degli aspetti del “modello organizzativo”), gli strumenti, lemetodologie” formative.La presente riflessione si propone quindi di rilevare gli elementi di fondo dei due punti di vistarichiamati, quello mono disciplinare e quello interdisciplinare, al fine di evidenziarne gli elementi didiversità, sia sotto il profilo dei rispettivi “modelli organizzativi” di riferimento, rintracciabili nellavariegata e ricca letteratura organizzativa, sia sotto il profilo “degli strumenti e delle metodologie”formative, rintracciabili nell’altrettanto variegata e ricca letteratura pedagogica.Sulla base poi delle caratteristiche dei due punti di vista in questione si procederà, dapprima ariconoscere il punto di vista adottato nella progettazione e nell’attuazione dei tipi di Larsarichiamati nella precedente tabella (1. recuperi, 2. approfondimenti, 3. passaggi, 4. destrutturati) e,successivamente, si tenterà di formulare alcune ipotesi interpretative, ma anche progettuali, circa laloro congruenza, in quanto mezzi, per perseguimento dello scopo del successo scolastico eformativo.

Fig. 2

2 Per un confronto tra i punti di vista progettuali richiamati vedi P. Roncalli, “Scuola, convivenza civile, rendimentoscolastico: vuoto educativo a priori, punizioni a posteriori. Forse l’alternativa è da ricercare altrove”, da richiedere alseguente indirizzo di posta elettronica: [email protected]

LARSAORIENTAMENTO ALLO SCOPO :

FAVORIRE IL SUCCESSO SCOLASTICO E FORMATIVO

VALUTAZIONE DEL RAPPORTO DI CONGRUENZA/INCONGRUENZATRA LO SCOPO E LA COMMISURAZIONE DEI MEZZI

(modelli organizzativi, strumenti, metodologie)

ASPETTI SOSTANTIVI ASPETTI METODOLOGICI

PROBLEMI/UTENZAE TIPO DI INTERVENTO:

PUNTI DI VISTA:(epistemologie)

1. recuperi2. approfondimenti3. passaggi4. destrutturati

punto di vista monodisciplinare

punto di vista interdisciplinare

5

Gli aspetti pedagogico/di didattico/organizzativi del punto di vista monodisciplinare.

Secondo questo punto di vista un qualsiasi piano di studio è composto da tanti oggetti di studiocorrispondenti al numero delle discipline da esso previste, così come indicato nello schema diseguito rappresentato.

Fig. 3

disciplina A

disciplina C

disciplina B

disciplina …

LA PROGETTAZIONE MONO DISCIPLINARE:campi d’azione strutturati in parallelo

Oggetto di studioautoreferenziale

Oggetto di studioautoreferenziale

Oggetto di studioautoreferenziale

Oggetto di studioautoreferenziale

Importanza disciplina erelativo monte ore parziale

Importanza disciplina erelativo monte ore parziale

Importanza disciplina erelativo monte ore parziale

Importanza disciplina erelativo monte ore parziale

+

+

+

=MONTE ORE TOTALE

Ogni disciplina trova la sua autoreferenzialità nel suo specifico campo d’azione, i cui confini,indicati nello schema con le linee tratteggiate, sono rigidamente definiti da uno specifico monte oreparziale rispetto al monte ore totale contemplato dal piano di studio annuale; un monte ore,quest’ultimo, concepito appunto in quanto sommatoria dei monte ore parziali delle singolediscipline di studio.In tal senso si può qui parlare, sotto il profilo della logica organizzativa sottesa a tale punto di vista,di parcellizzazione del sapere, generata dal “potere” autoreferenziale attribuito ad ogni singoladisciplina di studio; per questa ovvia ragione ogni singola disciplina, mancando il riferimento ad unoggetto unitario di studio, si viene a configurare come fine in sé.Il monte ore totale annuale, quantitativamente ripartito in modo maggiore o minore in relazioneall’importanza attribuita alle diverse discipline contemplate dal piano di studio, viene poi ripartito inun orario annuale settimanale, affinché ogni docente, ogni allievo e ogni genitore, etc., sia messonella condizione di sapere, a priori, così come indicato a titolo esemplificativo nella seguentetabella, il tempo dedicato ad ogni disciplina nei diversi giorni della settimana.

6

Fig. 4

ORARIO SETTIMANALE ANNUALE DI UN TERZO ANNO DI UN ISTITUTO AGRARIO

n. 37 ore settimanali

SCIENZEFISICAED. FISICAAGRON.MIASTORIA12.40-13.30

AZIENDASTORIACHIMICAMATEMAT.ZOOTECN.AGRON.MIA9.55–10.45

AZIENDA14.55-15.45

AZIENDA14.05-14.55

PAUSA PRANZO13.30-14.05

ZOOTECNIAECONOMIAZOOTECNIAED. FISICAAGRONOM.SCIENZE11.50-12.40

AGRONOM.ITALIANOCHIMICAAZIENDAITALIANOFISICA11.00-11.50

INTERVALLO10.45-11.00

ECONOMIAFISICASTORIACHIMICACHIMICARELIGIONE9.05–9.55

SCIENZEMATEMAT.AZIENDASCIENZEMATEMAT.CHIMICA8.15–9.05

sabatovenerdigiovedimercoledimartedilunediGIORNI

ORARIO

A tale riguardo M. Casotti, già professore di Pedagogia nell’Università Cattolica del Sacro Cuoredal 1924, scriveva polemicamente a tale riguardo, nel 1953, che “(…) Un ministro della pubblicaistruzione in un paese che non vogliamo nominare, perché non ci piace screditare nessun popolo, sivantò una volta, tirando fuori l’orologio, di poter dire che cosa, in quel preciso minuto, erainsegnato in tutte le scuole della sua giurisdizione; tanto aveva montato bene la macchina delprogramma; (…)”.3

Ogni disciplina è poi al suo interno strutturata per programmi contenutistici che ogni docente,avendo presente il monte ore a sua disposizione, può pianificarne la scansione temporalesettimanale, mensile, trimestrale, etc., dei suoi insegnamenti, realizzati prevalentemente con latradizionale e tipica lezione frontale; tutto questo con il supporto di un libro di testo da utilizzare inaula e a casa, nel quale i contenuti di studio sono raggruppati per argomenti e disposti secondo unasuccessione lineare, nelle discipline scientifiche secondo la combinazione dei criteri “dal sempliceal complesso” accompagnato, via via, dal crierio “sommativo”, nelle discipline storico letterariesecondo il criterio “cronologico” accompagnato dal medesimo criterio “sommativo”, etc.G. Bertagna rintraccia nell’opera di A. Comenio, “Grande didattica”, scritta nel 1632, i riferimentistorici di questa impostazione: “(…) gli sembrò possibile trasmettere questo stabile patrimonio cosìidentificato a tutti (‘tutto a tutti’) e ottenere ottimi risultati formativi con ciascuno, adoperando lostesso libro di testo (‘stessa edizione, che corrispondano nel numero delle pagine, delle riche ecc.’),la stessa organizzazione metodologica e didattica, la stessa preparazione dei docenti; dedicando ‘undeterminato tempo a una sola materia di studio’ (le ore di ciascuna disciplina); ripartendo‘accuratamente le classi’ le materie di studio, ‘in modo che le prime spianino la strada e siano dichiarimento alle seguenti’, programmando ‘i tempi (…) in modo che ad ogni anno, mese, giorno,ora sia assegnato un determinato compito’; suddividendo ‘ il tempo e i lavori (…) cosicché nientevenga tralasciato o invertito’; adoperando ‘un solo maestro (…) per una scolaresca numerosa’. Sepoi qualche allievo ‘indolente e pigro’, nonostante questi interventi organizzativi e didattici, non sifosse impadronito a dovere delle materie di studio, a meno che fosse ‘irrecuperabile(perché)…’terra marcia’ (‘…ma di ingegno così degenerati ne troverai uno su mille’), doveva

3 Mario Casotti, “La lezione” in “Didattica”, parte I, Società editrice La Scuola, Brescia 1953.

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essere sottoposto a un’esposizione più prolungata nel tempo delle stesse cose e invitato, con ‘moltaprudenza e pazienza’, a svolgere un maggior numero di esercizi individuali (…)”.4

Se si considerano le quattro definizione di Larsa richiamate nella parte iniziale del presente lavoro eil riferimento di Comenio all’allievo ‘indolente e pigro’ e all’esigenza di sottoporlo “adun’esposizione più prolungata nel tempo delle stesse cose e invitato, con ‘molta prudenza epazienza’, a svolgere un maggior numero di esercizi individuali”, si potrebbe pensare, ad una primaapprossimativa e superficiale deduzione, considerando che ciò che uniforma tutti i Larsa sono tempiaggiuntivi, che si stia parlando del tipo di Larsa indicati dal punto 1, cioè i Larsa di recupero.Si tratta però di considerare che Comenio, parlando di “un’esposizione prolungata nel tempo dellestesse cose”, è probabile che si riferisse al “recupero di carenze mono disciplinari” da attuarsi con lemedesime modalità prima richiamate; ma se così fosse, risulterebbe certamente inadeguata farprecedere alla parola “recupero”, la parola “laboratori”, la quale implica, come verrà evidenziatopiù avanti, l’aggiunta di altre condizioni formative oltre a quella di tempi aggiuntivi, e il cuieventuale utilizzo porterebbe al superamento dei confini metodologici del punto di vista monodisciplinare per varcare quelli del punto di vista interdisciplinare.Ma si veda ora, come indicato nella seguente raffigurazione, aspetti già ampiamente conosciuti datutti riguardo a come, nella scolastica tradizionale monodisciplinare, viene utilizzato lo strumentoprevalente della lezione frontale per impartire gli insegnamenti riguardanti le singole discipline distudio.

Fig. 5

PIETRO

(banco 2)

BRUNO

(banco 1)

GUIDO

(banco 4)

ANNALISA

(banco 3)

VINCENZO

(banco 6)

DAVIDE

(banco 5)

SILVIA

(banco 8)

EMANUELE

(banco 7)

GIOVANNA

(banco 16)

CRISTINA

(banco 15)

MAURO

(banco 14)

CRISTIAN

(banco 13)

ROBERTO

(banco 12)

DANIELA

(banco 11)

GABRIELE

(banco 10)

SAMUELE

(banco 9)

VALENTINA

(banco 24)

MITZY

(banco 23)

PAMELA

(banco 22)

GIACOMO

(banco 21)

SIMONE

(banco 20)

GIORGIO

(banco 19)

STEFANO

(banco 18)

MATTEO

(banco 17)

DOCENTE

(cattedra)

LAVAGNA

FINESTRA FINESTRA

INGRESSO

n. 24 relazioni dimutuo adattamento

n. 1azione di

spiegazione

n. 24azioni di

comprensionestrutturate in

parallelo:accumulazione

di risultati

L’esempio riportato considera la composizione del gruppo classe sia di 24 allievi (nella realtà ilnumero può salire frequentemente anche a 28/29 allievi), i cui apprendimenti sono perseguitiattraverso la presenza alternata degli insegnanti specializzati nell’insegnamento delle singolediscipline previste dal piano di studio.Nella situazione della lezione frontale, lo scopo dell’apprendimento di nuove conoscenze da parte ditutti i discenti presenti in aula può essere conseguito solo se allo svolgimento dell’azione di

4 G. Bertagna, “Pensiero manuale”, Rubettino Università, 2006, p. 304.

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spiegazione del docente, simultaneamente corrispondono, attraverso una continua attenzionevisivo/uditivo/cognitiva, gli svolgimenti delle azioni di comprensione dei 24 discenti.Si noti che questa situazione organizzativa, tipica proprio della lezione frontale, mentre denota lapresenza di relazioni cooperative, prevalentemente unidirezionali, tra docente e singoli discenti,rileva però, qualora tutti i discenti fossero tutti intenzionalmente orientati allo scopodell’apprendimento, l’assenza di relazioni cooperative tra i discenti.D’altro canto, qualora non tutti i discenti fossero attenti alla spiegazione del docente, potrebberoverificarsi relazioni cooperative tra i discenti disattenti, non orientate però, molto probabilmente,allo scopo dell’apprendimento dell’oggetto di studio relativo alla spiegazione in corso; a meno che,ovviamente, un discente che non avesse compreso la spiegazione, invece di rivolgersi al docente, sirivolgesse al compagno di banco per chiedere delucidazioni, perdendo però, entrambi e nelcontempo, qualora il compagno di banco rispondesse alla sollecitazione, l’attenzione verso laspiegazione del docente.La situazione teorica che vede quindi tutti i discenti orientati allo scopo dell’apprendimento durantelo svolgimento della lezione frontale, configura n. 24 relazioni di mutuo adattamento che sidebbono instaurare tra la singola intenzionalità del docente e le 24 intenzionalità dei singoli discentinello svolgimento dell’azione di comprensione dell’oggetto di studio; le azioni dei discenti risultanoperò tra di loro separate secondo il criterio della strutturazione in parallelo.Questo tipo di strutturazione, pur non prevedendo alcuna relazione tra le azioni durante il lorosvolgimento - nel caso specifico tra le azioni di comprensione svolte dai singoli discenti -,presuppone però l’accumulo dei risultati conseguibili da ognuna di tali medesime azioni equantificabile, tale accumulo, attraverso la semplice sommatoria dei singoli risultati.Nel caso della lezione frontale la strutturazione in parallelo dovrebbe consentire l’accumulazionedegli apprendimenti conseguiti dai singoli discenti effettivamente attenti, realizzando in questomodo, secondo le ancor oggi attuali e prevalenti logiche organizzative della scuola, compresal’università, la “massimizzazione dell’efficienza e dell’efficacia”.Avendo presente l’esempio considerato tale criterio dovrebbe infatti consentire il conseguimento dieconomie di scala secondo un rapporto 1/24, attraverso appunto la strutturazione di n. 1 azione dispiegazione e di n. 24 azioni di comprensione (l’efficienza), in vista del conseguimento di n. 24apprendimenti (l’efficacia).Si consideri poi che questo criterio di “efficienza/efficacia parziale”, riferito ad ogni singoladisciplina di studio, dovrebbe poi tradursi in una sorta di “efficienza/efficacia totale”, derivantedalla sommatoria degli apprendimenti parcellizzati conseguibili da ogni discente in ognuna dellediscipline previste dall’orario settimanale annuale, quale quello riportato in precedenza a titoloesemplificativo e relativo ad un gruppo classe frequentante una ipotetica terza annualità di unistituto tecnico agrario.Allargando ulteriormente l’esempio è possibile riportare questo criterio di “efficienza/efficaciatotale” a tutti i gruppi classe di una singola istituzione scolastica e, più in generale, a tutte leistituzioni scolastiche di un intero paese nel quale sia generalizzata l’adozione della tipicaprogrammazione didattica monodisciplinare e i cui contenuti di studio, scanditi nei libri di testo,siano erogati secondo una logica lineare/dal semplice al complesso/cronologica/sommativa, in vistaappunto del conseguimento della sommatoria degli apprendimenti monodisciplinari previsti dairelativi indirizzi di studio.Per conseguire il massimo di economie di scala circa il rapporto tra azioni di insegnamento e azionidi apprendimento, le n. 37 ore dell’orario settimanale sono attribuite ai diversi docenti disciplinari, iquali svolgono le loro azioni di insegnamento in diversi gruppi classe fino alla copertura delle n. 18ore settimanali di docenza previste dalla normativa, così come ben indicato nella seguente tabella.

9

Fig 6

Monte ore settimanale: n. 37 ore

n. ore settimanali attribuite ad ogni singolo docente: n. 18 ore

n. medio di allievi per ogni gruppo classe: n. 24 allievi

n. docenti per gruppo classe: n. 11 docenti per n. 12 discipline(storia e italiano sono in genere attribuite congiuntamente a un unico docente)

discipline Relig. Econ. Ed. fis. Zootecn.

Matem. Fisica Scienze Agron. Storia/ital.

Chimica Azienda

n. ore settim.liper ognidisciplina

1 2 2 3 3 3 4 4 5 5 5

n. classi per ognidocente

18 9 9 6 6 6 4 +1(2h di

complet.cattedra)

4 + 1idem

3+1(3h di

complet.cattedra)

3 + 1idem

3 + 1idem

RapportoDocenti/allievinelle diversediscipline

1/432 1/216 1/216 1/144 1/144 1/144 1/120 1/120 1/96 1/96 1/96

Come si può ben immaginare nell’ambito di questo criterio di pianificazione dell’azione formativanon esiste un oggetto di studio unitario, ma il sapere è concepito come sommatoria di saperiparcellizzati e compartimentati appunto nei diversi ambiti disciplinari. L’importanza attribuita aidiversi saperi disciplinari, e quindi la diversa estensione dei relativi programmi di studio, è tradottaoperativamente attraverso l’attribuzione di monte ore variabili che possono andare, come si evincedall’esempio sopra riportato, che in ogni caso rappresenta la situazione media di una qualsiasiscuola superiore, da un minimo di n. 1 ora ad un massimo di n. 5 ore; sulla base di questo criterio isingoli docenti debbono svolgere la loro azioni di docenza in tanti gruppi classe fino alla coperturadelle n. 18 ore di servizio.Nel caso che un docente debba svolgere 1 ora in ogni classe, come nel caso della religione, questodocente deve, in una settimana, impartire i suoi insegnamenti programmati in 18 gruppi classe perun totale di n. 432 allievi; numero che si dimezza a 216 se le ore di insegnamento da impartire nellasua disciplina sono 2 (vedi economia ed educazione fisica), e che trova ulteriori riduzioniproporzionali a 144, a 120, a 96, se le ore aumentano rispettivamente a n. 3 (zootecnia, matematica,fisica), a n. 4 (scienze, agronomia), a n. 5 (storia/italiano, chimica, azienda) settimanali.Attraverso queste modalità didattico-organizzative la scolastica monodisciplinare persegue quindilo scopo di conseguire, attraverso una logica sommativa, l’accumulo degli apprendimentidisciplinari attraverso la messa in campo dei relativi insegnamenti parcellizzati, tra di loro separati eordinati secondo il criterio della strutturazione in parallelo. Tipo di strutturazione, quest’ultima, cheè opportuna allorquando, in un dato processo, in vista del conseguimento dell’accumulo totale deirisultati attesi, non sia necessario garantire relazioni organizzative tra le sequenze di azioni standard(strutturate appunto in parallelo) per conseguire rispettivamente i propri risultati parziali. E’evidente come in questi casi non siano richieste relazioni organizzative durante lo svolgimento ditale sequenze di azioni standard, ma sia richiesta una relazione organizzativa sui risultati conseguitida ognuna di tali sequenze di azioni standard, e configurabile, tale relazione, nella semplicesommatoria di tali singoli risultati.

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E’ il caso, ad esempio, di un tipico processo di vendemmia, nel quale gli operatori coinvoltisvolgono in modo separato le rispettive azioni della fase di raccolta dell’uva, per poi far confluire irispettivi quantitativi effettivamente raccolti nella successiva e tipica fase cumulativa dellapigiatura.A proposito allora della strutturazione separata e in parallelo degli insegnamenti relativi alle diversediscipline, non è per niente fuori luogo, ma cosa assolutamente normale, che un genitore, a metàquadrimestre, durante il colloquio riguardante il rendimento scolastico del proprio figlio in una certadisciplina, si senta richiedere dall’insegnante della disciplina in questione informazioni sulrendimento scolastico nelle discipline “non di sua competenza”: “…ma mi dica signora, come vasuo figlio nelle altre materie?”.Ma come nel processo di vendemmia, nel quale il passaggio dalla fase della raccolta dell’uva allafase della pigiatura richiede la selezione dell’uva buona e dell’uva cattiva e la relativaquantificazione, anche nell’azione formativa monodisciplinare il passaggio tra un anno formativo equello successivo richiede che vengano valutati, per ogni insegnamento e per l’insieme degliinsegnamenti (la collegialità a posteriori), con gli strumenti della presunta “oggettiva”strumentazione docimologica quantitativa, i risultati di apprendimento conseguiti cumulativamentedai singoli allievi nelle singole e nell’insieme delle discipline contemplate dal piano di studio, equindi selezionati quelli meritevoli da quelli non meritevoli, attraverso la promozione dei primi e labocciatura dei secondi.Si tratta quindi, nel caso in questione, non di una valutazione sul complessivo processo diinsegnamento-apprendimento, ma di una valutazione parziale del processo formativo, riguardanteappunto, esclusivamente, i risultati di apprendimento conseguiti cumulativamente dai singoli allievi,senza nulla considerare, come possibile criticità, la relazione processuale che si instaura tra l’azionedi insegnamento dei docenti e l’azione di apprendimento degli allievi.In questa prospettiva l’allievo non trova attenzione metodologica su di sé, sulle sue caratteristiche,sulle sue propensioni, sulle sue aspettative, sui suoi problemi, sulla sua effettiva intenzionalità adapprendere, bensì è considerato solo nel momento della risposta che egli dà agli stimoli ricevuti. Egli stimoli, in questo caso, sono rappresentati, in coerenza con la logica lineare di stampocomportamentista, dalle belle o dalle cattive votazioni (i premi e le punizioni) come conseguenzadell’accostamento o dello scostamento degli apprendimenti ai programmi di studio articolati nellediverse discipline.Ed è per questa ragione che nella scolastica monodisciplinare, essendo l’erogazione dei diversicontenuti di studio mono disciplinari pianificata a priori, attraverso la loro semplice scansionetemporale nelle diverse lezioni frontali, viene logicamente a decadere l’esigenza di una“collegialità progettuale a priori”, per far posto ad una “collegialità a posteriori”, qualestrumento per valutare cumulativamente gli apprendimenti conseguiti dai singoli allievi a seguitodei singoli insegnamenti autoreferenziali erogati secondo il criterio della strutturazione in parallelo.In tal senso è plausibile parlare non di percorso formativo, ma di percorsi formativi autoreferenziali,i cui punti di partenza e di arrivo sono scanditi rispettivamente dalla prima e dall’ultima pagina del“libro di testo a priori”, adottati per ognuno di tali percorsi autoreferenziali, e i cui risultati diapprendimento, la cui responsabilità è demandata esclusivamente agli allievi e alle relative famiglie,sono valutati con il semplice algoritmo della media aritmetica, calcolata, a seconda dei casi, indecimi, in ventiquattresimi, in centesimi, ecc.

I limiti del punto di vista monodisciplinare: la situazione del presente e rilievi critici delpassato.

Nel precedente paragrafo si è visto come la logica del punto di vista in questione sia tesa arealizzare “i suoi volumi produttivi”, e le relative “economie di scala”, attraverso le tipiche logichetayloriane applicate, ancor oggi, nonostante da più parti si parli del superamento del “fordismo”, in

11

non pochi comparti dei diversi settori produttivi orientati alla produzione di beni e di servizi,compreso appunto anche quello della produzione dei servizi dell’istruzione e della formazione.La pretesa di realizzare “economie di scala” nel conseguire la sommatoria di apprendimentiparcellizzati a livello monodisciplinare, attraverso appunto la strutturazione parallela dei diversiinsegnamenti disciplinari secondo il rapporto preso ad esempio di n. 1 insegnamento in vistadell’ottenimento di n. 24 apprendimenti, si scontra con un dato di fatto da sempre presente nellascolastica tradizionale, ma che sta sempre di più dimostrando la sua fragilità, come dimostra, daanni, il crescente numero di abbandoni e di insuccessi scolastici.D’altro canto è oramai da molti riconosciuta come sia solo illusoria la possibilità che con talimodalità di insegnamento, orientate al conseguimento di “economie di scala” nella memorizzazionepermanente di nozioni disciplinari studiate sono sui libri di testo, si possa apprendere la capacità diuna loro concreta utilizzazione dei diversi ambiti di vita sociale, sia essa lavorativa odextralavorativa; se non altro per il fatto che hanno davvero ragione alcuni studenti, magari un po’“indolenti e pigri” (come sosteneva Comenio) proprio per il carattere intrinseco di nozioni per loro“non dotate di senso”5, quando affermano, con molto realismo e sincerità, “…ma profe…cosa mifrega di studiare la storia così, se dopo una settimana dalla verifica non me la ricordo più?”, e cheancora a seguito della ingenua e tautologica risposta dell’insegnante che fa presente lo scoglio delleverifiche sommative (peraltro prive di fattiva “oggettività” riguardo alla loro effettiva capacità dirilevare gli apprendimenti), torna ad argomentare: “…ma profé, quando avrò finito la scuola non cisarà più neanche il rompimento delle verifiche sommative…”.Ma ad avvalorare scientificamente queste spontanee e sincere affermazioni, sono le ricerche sullacultura ponte degli insegnanti, le quali dimostrano come gli stessi insegnanti presentano appunto“vuoti di memoria” nelle discipline diverse da quelle da loro insegnante ripetitivamente nel corsodella loro vita professionale. Ma allora è ragionevole e plausibile immaginare la “naturale”bocciatura in cui potrebbe incorrere un grande numero di insegnanti se, assieme ai loro allievi, sipresentassero a sostenere l’esame di terza media o di maturità nelle discipline diverse da quelle daloro insegnate (non da meno questo potrebbe valere anche per gli insegnanti universitari).A proposito poi della modalità organizzativa tipica della lezione frontale svolta in aula (vedi fig. 5),nella quale come si è visto vi può essere apprendimento solo alla condizione che vi sia unarelazione organizzativa di mutuo adattamento tra l’azione di spiegazione dell’insegnante e le azionidi comprensione dei 24 allievi presenti in aula, ancora lo stesso M. Casotti, nel 1953, così scriveva:“ (…) Da gran tempo la pedagogia e la psicologia moderna hanno denunziato i difetti della lezionecosì intesa, che si possono riassumere nei seguenti: 1° essa non tiene alcun conto della vera‘durata’ dell’attenzione del ragazzo e nel giovinetto; 2° né dei suoi interessi, delle sue curiosità, deisuoi problemi interni, delle sue obiezioni e difficoltà; il programma stabilisce che oggi si deveparlare del tale argomento e bisogna, volenti o nolenti, parlarne.”6

Per trovare conferma della validità dei richiami dell’autore appena citato basterebbe che unqualsiasi insegnante, in una qualsiasi scuola media o superiore, provasse a verificare con i suoiallievi, impostando con loro una vera relazione di sincerità, il numero delle volte che a loro capita diessere disattenti e in quali ore della mattinata, ma ancora verificare le cose che fanno quando sonodisattenti e i perché di tale disattenzione.E’ probabile che i risultati di tale verifica non si discosterebbero di molto da quelli descritti nellaseguente tabella e conseguiti tramite un’intervista collettiva svolta, nel 2001, prima dell’avvio deicorsi triennali sperimentali, in un secondo anno di un corso di qualifica del settore alimentare.

5 Il contrario della weberiana “azione sociale dotata di senso”.6 Le altre critiche che M. Casotti rivolge alla lezione riguardano l’eccesso di “mnemonismo”, di “verbalismo”, di“intellettualismo”, op. cit. pag. 12.

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Fig. 7

“Quante volte vicapita di essere

disattenti?”

“Quando vicapita di essere

disattenti?”

“Cosa fate quandonon state attenti?”

“Perchè vi capita diessere disattenti?”

“devo prendere lacalcolatrice;

“sempre”; “tante volte”; “tantissime volte”; “quando lei ci ha

detto di provare acontare il numerodellevolte...nell’ultima orasono riuscito acontarne 20...masono molte dipiù...andavo fuori ditesa e non seguivopiù l’argomento”;

“non sonoriuscito...comunquetante volte”;

“quello che importa èdare l’impressione diessere attenti…inrealtà il più dellevolte la testa va dasola da un’altraparte”;

“tante volte”; “tante volte voglio

essere attento, madopo un pò miaccorgo che non hosentito laspiegazione”

“tantissime”; “quasi sempre”; “si può anche far

finta di essereattenti”;

“ho un amico chenon sta mai attentoma non fa casino...glibasta però sentireuna volta e capisce”;

“anch’io non sonoriuscito a contarle…come si puòpretendere che unostia attento in tutte leore…fuori uno ,dentro un altro, poiun altro…e tutti (gliinsegnanti) con lastessa pretesa”;

“in quasi tutte leore di lezione”;

“in relazione agliinsegnanti”;

“il sabato in tuttele cinque ore”;

“nelle bellegiornate...vorreiessere fuori”;

“la primaora...sonoassonnato”;

“l’ora primadell’intervallo el’ultima ora”;

“la 2°,la 3°, la 4°.la 5° ora...laprima no”;

“il Sabato...scarichiamo tuttolo stress dellasettimana”;

...

“.penso ad altre cose”; “faccio parole crociate”; “.scrivo sul diario”; “dormo ad occhi aperti”; “disegno sul diario”; “.dormo”; “...dormo, dormo...”; “parlo con il compagno”; “guardo oltre la finestra”; “smonto le cose”; “tagliuzzo la gomma”; “smonto la calcolatrice”; “guardo sul diario i compiti

che devo fare”; “copio i compiti di altre

materie”; “mi dondolo sulla sedia”” “faccio di tutto”; “ascolto la musica con gli

stratagemmi più diversi”; “guardo ai documenti del

portafoglio”; “leggo giornali o riviste”; “guardo l’orologio...i

secondi che passano”; “gioco con le macchinine”; “penso alle moto...alle

donne”; “penso a quello che farò nel

pomeriggio”; “penso a tutto meno a quello

che sta dicendo la prof”; “alcuni si fanno le...”; “si parla di storie amorose”; “si mangia”; “guardo i diari degli altri”; “si fanno le gare di

scoregge”; “si gioca con il fantacalcio”; “scrivo le lettere”; “penso al mio ragazzo”; “penso alle botte che ho fatto

ieri”; “penso ai problemi di

famiglia”; “penso ai sogni erotici che

non si potranno mairealizzare”;

“fingo di essere attento”; ...

“quando le lezioni sonobarbose”;

“quando la classe facasino partecipoanch’io”;

“quando la lezione non miinteressa”;

“non riesco a capire equindi”;

“se perdo il concettoperdo il filo deldiscorso...e quindi”;

“se non capisco unconcetto e’ inutile che stoa sentire”;

“non mi piacel’argomento”;

“quando gli insegnantinon mi considerano”;

“mi attribuiscono colpeche non ho e quindi migirano...e non sto piùattento”;

“l’insegnante banalizza”; “lezioni noiosissime”; “dopo alcune lezioni che

ho fatto casino il prof nonmi considera più anche sepoi mi impegno...doporipetuti richiami mi rompoe quindi di proposito nonsto più attento”;

“per problemiesterni...penso troppo adaltre cose”;

“già all’inizio dellelezioni so già se staròattenta o no...può capitarein tutte le ore”;

“per quanto mi riguardase voglio sto attenta anchecon quelli con cui altri sirompono”;

“anch’io”; “è proprio impossibile

essere sempre attenti”; “è vero…a me capita

tante volte che voglioessere attenta, ma non ciriesco”;

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A dimostrazione del fatto che i risultati presentati nella tabella configurano problemi da semprepresenti nella scolastica monodisciplinare, e che quindi non è imputabile ad una sorta dipeggioramento del mondo giovanile, lo dimostra di nuovo il contributo di M. Casotti, il quale, nelprimo capitolo del suo libro “Didattica”, descrive, con molto realismo, una situazione d’aula delpassato; situazione, peraltro, facilmente riconoscibile, ancor oggi, sia da docenti che da discenti inqualsiasi ordine di scuola:7 “In quasi tutti i lettori queste parole evocheranno l’immagine di unmaestro che parla a perdifiato dalla cattedra, e, per conseguenza, di molti scolari che, pigiati neiloro banchi, si sforzano di comporre le facce ad intensa attenzione, lottando contro un incipientesbadiglio che le vorrebbe scomporre, e, insomma, facendo di tutto per nascondere la noia e,diremmo manzonianamente, l’amaritudine che ispira loro, secondo i casi, la matematica o il latino,la geografia o la storia che sgorga ad ampli flutti dalle inesauste labbra dell’insegnante.”8

Altrettanto realistica ed attuale, se non per l’unica differenza che oggi la fine delle lezioni vienescandita con il suono della campanella, risulta la descrizione degli ultimi minuti prima del terminedelle lezioni e l’uscita dalla scuola: “Le lancette dell’orologio, tante volte sbirciate sotto il banco,sembrano ferme, tanto è grande la loro lentezza; pure, nonostante le apparenze, anch’esse simuovono, la porta di classe si apre: - Finis! – echeggia la voce desiderata del bidello. Un intensosospiro di sollievo prorompe, pur frenato con maggior o minor educazione o paura, secondo i casie l’insegnante, da tutti i petti. Rumori di libri, di tavolette, di piedi smossi e poi, via, un torrente diragazzi che si riversa dal portone, nonostante gl’indignati richiami dei bidelli e la faccia severa deldirettore che tante volte ha spiegato le buone regole dell’uscita e raccomandato l’ordine.”9

Ma si consideri ancora, qualche anno dopo, (il 1958), forse per una non casuale coincidenza, ancheun altro illustre contributo viene da Francesco De Bartolomeis,10 il quale, a proposito della criticaalla lezione frontale, nella terza edizione di “Metodi e nuova cultura nella pedagogia d’oggi” 11 (laprima edizione risale al 1958 uscita con il titolo “I metodi nella pedagogia contemporanea”) especificamente nel II capitolo “Necessità di una preparazione metodologica”, afferma quantosegue:

“…Il metodo, a livello scolastico, ha due significati legittimi corrispondentemente ai ruoli rispettiviche l’insegnante e l’allievo hanno nel processo educativo: metodo dell’insegnante, cioè la didattica con cui l’insegnante affronta i problemi del suo

intervento o meglio della sua partecipazione al processo educativo; metodo dell’allievo, cioè i mezzi che questi mette in opera per apprendere o produrre.

Il primo deve essere in funzione del secondo, cioè tutte le misure didattiche dell’insegnante devonofavorire l’attività dell’allievo.”12

Nel capitolo successivo “Critica dell’insegnamento collettivo”, a proposito del “metododell’insegnante”, afferma che “…la causa più frequente degli errori educativi consistenell’intendere il metodo come metodo dell’insegnante; la conseguenza inevitabile è l’insegnamentocollettivo che è il metodo di gran lunga più diffuso ancor oggi in tutti i gradi della scuola.”13

F. De Bartolomeis, nell’esplicitare la critica verso le pratiche educative in corso in quegli anni – e,peraltro, più che mai attuali in quasi tutti gli ordini di scuola -, non vuole rendersi il compito troppofacile e, a tale proposito, non insiste nel criticare le “…lezioni brutte in cui collaborano

7 Comprese anche, purtroppo, le facoltà universitarie in scienze della formazione e della comunicazione.8Mario Casotti, “La lezione” in “Didattica”, parte I, Società editrice La Scuola, Brescia 1953, pag. 9.9“Didattica”, op. cit., pag. 9.10F. De Bartolomeis è stato per oltre trent’anni titolare della cattedra di Pedagogia e direttore dell’Istituto di Pedagogiadell’Università di Torino.11F. De Bartolomeis, “Metodi e nuova cultura nella pedagogia d’oggi”, Loescher Editore, Torino 1972. La prima e laseconda edizione dell’opera citata risalgono rispettivamente al 1953 e al 1963 con il seguente titolo: “I metodi nellapedagogia contemporanea”.12“Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 13.13“Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 21.

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all’insuccesso la mancanza di prestigio personale dell’insegnante, la sua immaturità umana e lasua imperizia culturale…”,14 ma propone un esame critico del “…valore educativo delle bellelezioni, quelle di cui molti di noi ancora si ricordano per averne subito un fascino irresistibile.”15

Egli pone quindi degli interrogativi: “In quale misura e con quali distorsioni la lezione ècomunicativa?. Quale influenza ha sull’iniziativa culturale degli allievi, sulla loro capacità dioperare su problemi personali con un ritmo personale?. Che cosa accade della collaborazione edello scambio di cui il metodo della lezione non sembra preoccuparsi?”.16

A questi interrogativi si appresta poi a rispondere denunciando la negatività del metodo dellalezione in quanto “…occupa violentemente e arbitrariamente il terreno su cui gli allievi dovrebberomuoversi in modo autonomo e produttivo, pur con la guida e con l’aiuto dell’insegnante”.17

A proposito di strategie educative alternative il De Bartolomeis propone la sua filosofiad’intervento: “Di fronte a questa necessità di fondo la legittimità stessa del termine ‘lezione’ ècostretta a cadere. Dobbiamo pensare invece a interventi verbali in forma di impostazioni, diorientamenti, di consigli i quali del resto devono rappresentare soltanto uno dei tanti modiattraverso cui si esercita l’influenza della funzione docente nel complesso e vario quadro delleattività educative; funzione che in ogni caso deve preparare e sollecitare l’iniziativa degli allievi inquanto soltanto questa produce veramente apprendimento.”18

In queste ultime affermazioni è possibile trovare conferma di quanto già esplicito in precedenza, eche verrà ripreso più avanti a proposito della differenza esistente tra le attività di recupero inpresenza di deficit di apprendimento di allievi ‘indolenti e pigri’, e i Laboratori di recupero degliapprendimenti (vedi punto 1 della tabella iniziale – fig. 1), che presuppongono appunto, attraversola parola laboratorio, la trasformazione dell’aula intesa come “auditorio”, in aula intesa come“laboratorio”: “(…) Riconoscere come attività decisiva per l’apprendimento, e quindi perl’educazione, la struttura cognitiva messa in moto sia dal vedere e dall’ascoltare, sia dal “fare”:questo si è detto essere il principio pedagogico che supporta il passaggio dall’auditorium allaboratorium”.19

In tal senso è opportuno ribadire che non è sufficiente l’aggiunta di maggiori quantità di tempo alnormale svolgimento dell’attività didattica perché si possa parlare di Larsa.

Il paradigma organizzativo, pedagogico e valoriale del punto di vista monodisciplinare.

A volte, quando si discute di alternanza scuola lavoro, viene rilevato, da parte degli insegnanti dellecosiddette discipline culturali umanistiche, il rischio di un appiattimento contenutistico sugli aspetti“aziendalistici”, legati alle logiche del profitto e alle logiche addestrative al lavoro, penalizzando, inquesto modo, i saperi culturali-umanistici, letterari, storici, artistici, giuridici, economici, ecc.; ciòche qui si intende dimostrare è invece proprio il carattere addestrativo-mnemonico-nozionistico concui anche tali insegnamenti vengono il più delle volte impartiti, attraverso le modalità ditrasmissione del sapere tipiche del punto di vista scolastico monodisciplinare-comportamentista, lequali, oltre a separare educazione e istruzione, la prima attribuita alla famiglia, la seconda allascuola, e a parcellizzare lo studio nei diversi saperi disciplinari, conseguono cumulativamente, oltrea questi aspetti, la separazione tra teoria e pratica.Non è un caso che nei focus sui Larsa realizzati nei territori richiamati in precedenza emergal’esigenza di “(…) creare appunto questa specie di motivazione con più pratica e riuscire a capireche cosa veramente loro sentono di dover svolgere, cosa devono fare…” (focus Milano).

14 “Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 21.15 “Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 21.16 “Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 22.17 “Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 22.18 “Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pag. 22.19 G. Sandrone Boscarino, La didattica laboratoriale, Scuola e Didattica n 9, inserto,15 gennaio 2004 anno IXL

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Si considerino ora, attraverso riferimenti alla letteratura organizzativa, le ragioni logiche attraversole quali il “modello organizzativo” praticato nella scuola, le cui caratteristiche sono state descritte inuno dei precedenti paragrafi, porta di fatto alla concreta separazione tra teoria e pratica, la quale,unitamente agli altri aspetti critici della separazione tra educazione e istruzione, dellaparcellizzazione del sapere, rende effettivamente plausibile e veritiera la critica, da tempo e da piùparti avanzata, circo lo scollamento che pare davvero esistere tra scuola e società.Il punto di vista organizzativo presente nella letteratura organizzativa che appare sicuramente piùvicino alle logiche organizzative in atto nella scuola, quali quelle descritte nei precedenti paragrafi,è quello proposto, per la progettazione del lavoro industriale, da F. W. Taylor, in “L’organizzazionescientifica del lavoro”.20

L’analisi del testo in questione fa emergere i criteri fondamentali di questa impostazione, definita,nell’ambito della stessa letteratura organizzativa, proprio per il suo carattere deterministico, tipicodell’approccio epistemologico della spiegazione causale, come il punto di vista che vedel’organizzazione come un “sistema chiuso” o “sistema meccanico”. Un sistema nel quale sipresume che il progettista, disponendo di una razionalità oggettiva, sia in grado di appropriarsi dellaconoscenza di tutte le variali in campo e, per conseguenza, sia in grado di prevedere, non solo tuttele possibili relazioni tra tali variali, ma anche le conseguenze di ognuna di tali relazioni divariabili.21

In tal senso è solo una conseguenza logica il fatto che, a fronte di tale onnipotenza del progettista,alle persone non rimane che assoggettarsi alla sua autorità, attraverso il criterio e il valoredell’obbedienza.Non è un caso che Taylor, dall’alto della sua “razionalità oggettiva”, e a fronte delle contestazionidei sindacati,22 dichiarava che i sindacalisti non erano cattive persone, bensì fossero persone“irrazionali”, in quanto non avevano capito di quale razionalità fosse intrisa la sua unica ed ottimaorganizzazione scientifica del lavoro; di seguito vengono rilevati alcuni dei suoi criteri prescrittiviutili alla presente riflessione, quali appunto:- la scomposizione del lavoro in compiti elementari,- l’attribuzione stabile dei compiti elementari a singole persone;- la separazione tra direzione ed esecuzione;- la selezione, l’addestramento e l’incentivazione.

I primi due criteri, insieme, quello della scomposizione del lavoro in compiti elementari, unitamentealla loro attribuzione stabile a persone appositamente addestrate (vedi quarto criterio), portano allaconfigurazione del concetto di mansione, nel quale vengono sinteticamente e prescrittivamente fusiil compito elementare, il più elementare possibile, risultato appunto della scomposizione del lavoro,e la persona: la rotella dell’ingranaggio del sistema meccanico.La differenza con la scuola consiste semplicemente nel fatto che Taylor aveva a che fare con lavoroindustriale e non con lavoro educativo. Per quanto concerne allora il primo criterio ciò che cambiaè il tipo di lavoro oggetto della scomposizione, nel primo caso quello industriale, nel secondo casoquello formativo. Si è visto infatti come nella pianificazione del lavoro formativo il sapere èscomposto in tanti saperi disciplinari e, in relazione al valore assegnato ad ognuno di tali saperi, iltotale del monte ore annuale viene scomposto in tanti monte ore mensili e settimanali e giornalieri.Ai diversi monte ore disciplinari è poi collegato il secondo criterio prescrittivo, cioè quellodell’attribuzione stabile ai singoli docenti del sapere parcellizzato nelle diverse discipline. In questo

20 F.W. Taylor, “L’organizzazione scientifica del lavoro”, Etas/Kompas, Milano, 1952.21 Questa idea di “razionalità olimpica” viene aspramente criticara da H.A Simon, premio nobel per l’economia (1978),in “Il comportamento amministrativo”,22 Si ricorda che il pensiero di Taylor è stato inquisito e condannato, negli Stati Uniti d’America, da una commissineparlamentare, appositamente costituita a seguito di grandi disordini e conflitti insorti a seguito delle inumane condizionidi lavoro generate dall’applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro. Si veda, a tale proposito, gli atti di dettacommissione in allegato all’opera già cirtata: F.W. Taylor, “L’organizzazione scienfica del lavoro”, Etas/Kompas,Milano 1952.

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modo, mentre agli insegnanti è attribuito il compito di trasmettere i diversi saperi disciplinari, benimpacchettati in programmi e libri di testo rigidamente definiti a priori, agli studenti è attribuito ilcompito di apprendere tali saperi parcellizzati, suddivisi in gruppi classe composti da un numerominimo e massimo di allievi, disposti, all’interno dell’aula, in genere a due a due, secondo fileparallele disposte, nella quali totalità dei casi, in senso verticale: la fissità ergonomica del banco discuola.Il punto di vista ergonomico che propone una “ergonomia di concezione”, e non solo di “posizione”(postura, movimenti, ecc.), in coerenza con la definizione di salute dell’Organizzazione Mondialedella Sanità in quanto stato di “benessere fisico, mentale e sociale” (1937 – definzione che superaquella ottocentesca intesa in quanto semplice assenza di patologia), rileva come “la noia”, “ilmalessere”, “la svogliatezza”, ecc. (elementi denunciati dagli stessi allievi e descritti nella fig. 7, maalcuni dei quali già citati dal Comenio nel 1632), generati dalle concrete condizioni organizzative(quali ad esempio: compiti ripetitivi complessi che richiedono continua attenzione, ma di scarsosignificato per gli allievi, rigida ed elevata separazione di tali compiti, rigida determinazione deitempi, non accettabilità dell’interruzione, processo molto mutevole anche con compiti uniformi -cambia la disciplina ma è sempre richiesta la medesima attenzione uditivo/visivo/cognitiva -,priorità non determinabili, limitazione dello scostamento accettabile, necessità di elevate verifiche eregolazioni, imposizione delle prescrizioni, eccessiva formalizzazione, postura fissa, inadeguatorapporto tra dimensioni locali e numero allievi, inadeguato rapporto tra locali, aerazione e n. allievi,ecc. ecc.), definite appunto come “condizioni di costrittività organizzativa”, possono già essereinterpretati come “rischi” e “danni” alla salute, intesa appunto come “benessere fisico, mentale esociale”.23

Come si può concepire che persone, in piena fase della loro età evolutiva, caratterizzata da elevatibioritmi, possa essere costretta, giorno dopo giorno, alla fissità della postazione del banco di scuolaper 5, 6 e anche 7 ore giornaliere, e pretendere che a questa fissità di tempi possa corrispondere unacontinua e costante attenzione visivo/uditivo/cognitiva richiesta dallo strumento formativo, ancoroggi prevalente, della lezione frontale.Ancora lo stesso De Bartolomeis, nel medesimo testo già richiamato, a proposito delle mutevoli evariegate conoscenze implicate nei processi formativi, richiamava, tra molte altre, l’esigenza che lascuola si dovesse dotare, per progettazione la sua specifica azione educativa, anche di conoscenze dianatomo-fisiologia, di auxologia di igiene fisica: “(…) Pur con l’insistenza da una parte suimetodi attivi e dall’altra sulla psicologia e sui fattori socio-culturali, c’è il pericolo di restarechiusi in una sorta di spiritualismo. E l’organismo? E le leggi del suo sviluppo? E il sistemanervoso? E le ghiandole endocrine? E tutti gli apparati di cui l’individuo si serve per il suoadattamento vitale all’ambiente? Troppo spesso si trascura che l’allievo è un essere biologico il cuisviluppo è improntato di certe caratteristiche organiche, che esistono condizioni favorevoli esfavorevoli, che c’è un legame stretto tra il comportamento e la vita organica. Tra l’altro, leemozioni, i sentimenti, gli sbalzi di umore, la mobilitazione di energie psichiche non si spieganosenza la conoscenza dei meccanismi nervosi, della funzione della ghiandole endocrine. Bisognasapere quali sono le condizioni per uno sviluppo sano e per una giusta erogazione di energie, checos’è l’affaticamento. Anche a causa della ignoranza di tutto ciò la scuola è una persistentesituazione antigienica (…)”.24

L’ultimo contributo può aiutare a comprendere la probabile inadeguatezza di certi provvedimentiadottati in alcune situazioni, nelle quali si è provveduto a trattare farmacologicamente l’iperattività

23 L’ ”ergonomica di concezione” supera la visione riduttiva della visione ergonomia di “posizione”, considerando, aifini di prevenire le condizioni di costrittività lesive del “benessere fisico, mentale e sociale”, la situazione complessivadella persona nel suo rapporto con le condizioni di vita sociale, sia essa lavorativa ed extralorativa. Vedi B. Maggi, “IlMetodo delle Congruenze Organizzative rivolto allo studio dei rapporti tra organizzazione e salute”, in “Razionalità ebenessere – Studio Interdisciplinare dell’organizzazione”, Etaslibri, Sonzogno, 1990.N.B.: Il Metodo delle Congruenze Organizzative è utilizzato nell’ambito di un programma di ricerca interdisciplinarepresso l’Istituto di Medicina del Lavoro “L. Devoto” dell’Università di Milano.24“Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pagg. 68,69.

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manifestata da bambini e adolescenti durante l’orario scolastico; essendo noto e risaputo che ilperiodo dell’età evolutiva è caratterizzato da maggiori e più elevati bioritmi psico-fisici, rispetto allealtre fasi della vita delle persone, e che tali bioritmi sono diversi da persona a persona, c’è dachiedersi se la presunta patologia in questione non sia proprio generata dalle condizioni di“costrittività organizzativa”25 tipiche della scolastica monodisciplinare, la quale imprigiona, inmodo innaturale, nella postura fissa del banco di scuola, la naturale ed elevata variabilità deibioritmi di persone in età evolutiva. Una variabilità di bioritmi, quindi, che invece di esserevalorizzata, viene, nella logica del sistema chiuso (o sistema meccanico), deliberatamente escientificamente repressa attraverso strumenti punitivi, oppure, quando questi risultasseroinsufficienti, tale medesima elevata variabilità di bioritmi, viene attenuata attraverso logiche epratiche farmacologiche.Un bell’esempio di questa esplosione di bioritmi compressi è stato ben rappresentato dal Casottinella parte finale della sua descrizione relativa agli ultimi minuti prima del termine delle lezioni:“(…) la porta di classe si apre: - Finis! – echeggia la voce desiderata del bidello. Un intensosospiro di sollievo prorompe, pur frenato con maggior o minor educazione o paura, secondo i casie l’insegnante, da tutti i petti. Rumori di libri, di tavolette, di piedi smossi e poi, via, un torrente diragazzi che si riversa dal portone (lo sfogo appunto di bioritmi repressi per tante ore), nonostantegl’indignati richiami dei bidelli e la faccia severa del direttore che tante volte ha spiegato le buoneregole dell’uscita e raccomandato l’ordine.”26

Ed è appunto il riferimento agli “…indignati richiami dei bidelli e la faccia severa del direttore…”che è possibile interpretare la posizione del De Bartolomeis quando segnalava essere nella “causadell’ignoranza di tutto ciò” il persistere della scuola in una “situazione antigienica”.Alla luce delle ultime riflessioni non è allora azzardato paragonare la parcellizzazione del lavoroindustriale, realizzato attraverso i primi due criteri tayloriani, quello della scomposizione del lavoroin compiti elementari e quello dell’attribuzione stabile di tali compiti parcellizzati ad una persona,con la parcellizzazione del lavoro educativo/formativo, realizzato attraverso la scomposizione el’erogazione separata ed auto referenziale dei diversi saperi disciplinari.Si consideri ora in che modo questo criterio tayloriano porta, nel lavoro educativo, al concretoscollamento tra l’ambito di vita sociale scolastica e gli altri ambiti di vita sociale. Se si prende inesame il lavoro industriale non può che risultare evidente come a seguito della sua scomposizioneper produrre le parti elementari del prodotto da realizzare, vi debba essere, nella parte finale delprocesso, la tipica fase lavorativa dell’assemblaggio; fase nella quale il lavoro svolto nelle diversefasi precedenti trova la sua ricomposizione in un oggetto di “senso compiuto” da offrire al mercato(l’efficacia economica), affinché sia acquistato e successivamente utilizzato in un qualche ambito divita sociale (l’efficacia sociale). Nel lavoro educativo/formativo, a parte i forzati collegamentimultidisciplinari tentati nella tesina di presentazione all’esame finale da sostenere a conclusione diun dato percorso di studi, non appare esservi traccia di alcun assemblaggio di saperi parcellizzati insaperi unitari che i singoli studenti possano utilizzare, come contributo personale, nell’ambito deidiversi processi di cooperazione sociale.Una efficienza quindi, quella del lavoro educativo, a cui non corrisponde una adeguata efficaciasociale, non solo per effetto della parcellizzazione del sapere nei diversi saperi disciplinari, maanche per la separazione generata tra teoria e pratica dal terzo criterio tayloriano in precedenzarichiamato, cioè la separazione tra direzione ed esecuzione. Si è visto, infatti, che nella concezionedel sistema chiuso è il progettista, con la sua razionalità oggettiva, a detenere la teoria necessariaper prevedere il tutto, per prevedere cioè, in modo deterministico, tutte le sequenze “pratiche” di

25 Vedi, nella nota 22, il riferimento al Metodo delle Congruenze Organizzative nel quale è utilizzato il concetto (inquanto criterio interpretativo) di “Costrittività organizzativa”. Con questo criterio interpretativo, attraverso il qualevengono interpretate le condizioni di rischio sulla salute, si coniugano, in modo interdisciplinare, conoscenze dellediscipline sociali e conoscenze delle discipline biomediche. In quest’ottica sono recuperati le riflessioni metodologicheavviate da M.Weber, in “Metodo e ricerca nella grande industria”, e da G. Friedmann, in “Problemi umani delmacchinismo industriale”.26“Didattica”, op. cit., pag. 9.

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causa-effetto del lavoro parcellizzato (il concetto di mansione). L’applicazione cumulativa di questicriteri di stampo meccanicistico porta però, se si confronta la parcellizzazione del lavoro industrialee la parcellizzazione del lavoro educativo/formativo, a conseguenze diverse; nel primo caso ilavoratori industriali vengono espropriati della teoria, mentre nel secondo caso i lavoratoriinsegnanti ed i loro allievi vengono espropriati della pratica, e questo per la ovvia ragione che nellascuola monodisciplinare ciò che viene prescrittivamente parcellizzato è il lavoro educativo perl’insegnamento e l’apprendimento del sapere.Ci si può chiedere come sia logicamente possibile l’espropriazione della pratica nel lavoroeducativo; essa è possibile proprio per effetto della parcellizzazione del sapere, se è vero, come pareeffettivamente essere, che lo svolgimento di una qualsivoglia azione sociale sia semprecaratterizzato da un carattere implicitamente e sostantivamente interdisciplinare.Si provi ad immaginare, a semplice titolo esemplificativo, a quali conoscenze disciplinari debba farricorso una persona che, dovendo recarsi alla sede Inps di Roma per risolvere un suo specificoproblema, debba scegliere, tra varie alternative riguardanti i possibili mezzi da utilizzare, quella chegli consenta, dovendo partire da uno sperduto paese montano della Lombardia, di conseguiremaggiori vantaggi derivanti dalla combinazione delle variabili concernenti i tempi di trasferimentocon le variabili concernenti i costi di trasferimento.E’ facilmente intuibile da ogni persona come lo spezzettamento del sapere, concependo ognidisciplina come fine in sé, e in quanto tale autoreferenziale, non può logicamente consentire alcunriferimento ad un qualsivoglia ambito d’azione sociale in quanto possibile oggetto di studiounitario; se si riflette bene, attraverso queste modalità che espropriano la pratica dal lavoroeducativo, di fatto viene espropriato agli studenti lo studio della “vita sociale”. Ed è proprio laprepotenza autoreferenziale delle singole discipline che, allontanandole dalla “vita sociale reale”le rende “non dotate di senso”27 e, in quanto tali, astratte, mnemoniche, nozionistiche, noise agliocchi e al concreto vissuto di quegli allievi che, non avendo alle spalle l’influenza educativa difamiglie orientate all’uso strumentale della scuola per la propria “affermazione sociale”, ricercano,a seguito di scarso rendimento scolastico e di precoce abbandono della scuola, l’alternativa delprecoce avvio al lavoro.Si è già avuto modo di rilevare come l’autorità e l’obbiedienza siano i valori che derivanologicamente dall’adozione del punto di vista organizzativo che vede l’organizzazione come unsistema chiuso; un sistema predefinito rispetto ai soggetti, nel quale tutte le variabili, le loropossibili relazioni e le conseguenze di ogni relazione, sono deterministicamente e prescrittivamentepreviste nel momento originario e progettuale del passato; ed è la presunta “oggettività” di questomomento progettuale del passato che giustifica, nella logica del sistema meccanico, l’utilizzo“comportamentista” di premi e di punizioni, in quanto stimoli per governare gli accostamenti e gliscostamenti alle prescrizioni date.In tal senso è possibile riscontrare, nella prospettiva epistemologica della spiegazione causale, checoncepisce i rapporti tra le variabili in campo come rapporti necessari di causa-effetto, l’incontrocoerente, nella scolastica monodisciplinare, tra il paradigma organizzativo tayloriano e ilparadigma pedagogico della teoria della Gestalt (comportamentismo).Ma è lo stesso De Bartolomeis, valorizzando la posizione del Dewey, che rammenta ladegenerazione valoriale a cui conduce questa impostazione.28 Il De Bartolomeis, in “La pedagogiacome scienza” (prima edizione 1953), richiama infatti la posizione del Dewey laddove questoautore contrappone la “teoria dell’interesse” alla “teoria dello sforzo” . Egli pone in evidenza, diceil De Barolomeis, come l’educazione tradizionale (si consideri che gli scritti del Dewey risalgonoall’inizio del 900) “assume lo ‘sforzo’ come criterio su cui basare l’apprendimento culturale emorale”; in tal senso l’applicazione di questo punto di vista “impone compiti per i quali gli allievi

27 La weberiana “azione sociale dotata di senso”. M. Weber, “Economia e società”, Edizioni Comunità, Milano 1986,pp. 3-2628 F. De Bartolomeis, “Educazione e interesse”, in “La pedagogia come scienza”, La Nuova Italia, Firenze 1976, pagg.141,142.

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non sentono un’attrazione spontanea, con la giustificazione che la vita è cosa dura e che perciò adessa ci si prepara attraverso la disciplina e il sacrificio”.Nell’argomentare le posizioni del Dewey il De Bartolomeis riporta poi la feroce critica che isostenitori di questo punto di vista rivolgono alla “teoria dell’interesse”, la quale “educherebbealla dissipazione, a tener dietro a questo o a quello stimolo piacevole, a trascurare i fattiimportanti ed essenziali” e quindi “tutto si ridurrebbe a giuoco e a divertimento e non si potrebbeneppure parlare di educazione”. Ma subito lo stesso Dewey bene evidenzia la clamorosacontraddizione della “teoria dello sforzo”: “…è psicologicamente impossibile provocare un’attivitàsenza qualche interesse. La teoria dello sforzo non fa che sostituire un interesse a un altro. Essasostituisce all’interesse normale per l’oggetto di studio un interesse viziato: il timoredell’insegnante (la punizione per lo scostamento dalle prescrizioni) o la speranza della ricompensa(il premio per l’accostamento alle prescrizioni)”.E, proprio in tal senso, a detta del De Bartolomeis, la teoria dello sforzo “fallisce proprio in ciò chesembra essere il suo scopo supremo, la formazione del carattere”. Essa, dice il Dewey, comporta“una sorta di sdoppiamento dell’attenzione a cui corrisponde una disintegrazione intellettuale emorale del carattere” e il suo errore principale consiste “nell’identificare l’esercizio e l’educazionedella volontà con certe attività e certi risultati esteriori”.Conclude poi il De Bartolomeis, a proposito di valori educativi, che “a lui – riferendosi al Dewey -importa soprattutto quello che il fanciullo è umanamente e moralmente nel processo diapprendimento ”.Se ci si sofferma con attenzione sul prezioso contributo del Dewey torna di estrema attualità,quando nel riferire le conseguenze educative della teoria dello sforzo egli parla di “sdoppiamentodell’attenzione a cui corrisponde una disintegrazione intellettuale e morale del carattere”, l’annosaed eterna questione del rapporto mezzi/fini e dell’implicita ipocrisia e falsità (in quanto appuntovalori effettivamente praticati) che si viene a generare quando il fine dichiarato viene declassato amezzo per il perseguimento di altri fini (non dichiarati).Ne più e né meno, e non appare affatto esagerato il paragone, la medesima questione posta da GesùCristo con la cacciata dei mercanti dal tempio.

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Il punto di vista interdisciplinare: modalità organizzative, strumenti, metodologie.

I rilievi fortemente critici rivolti al punto di vista monodisciplinare non implicano, ovviamente, unaimplicita sottovalutazione dell’importanza che debbono assumere le discipline nei processieducativo/formativi, bensì presuppongono il riferimento a modalità assolutamente alternative circail loro utilizzo.Il punto di vista interdisciplinare concepisce infatti le discipline non come fini in sé, e in quanto taliautoreferenziali, ma guarda ad esse come mezzi affinché la singola persona, a seguito del loroapprendimento, non solo sia messa nella condizione, in quanto cittadino, di poter decidere ed agire– la democrazia formale -, ma sia in grado, attraverso l’utilizzo sinergico dei diversi contributidisciplinari, di esprimere la capacità di decidere e di agire nei diversi ambiti di vita sociale, sianoessi ambiti di vita famigliare, lavorativa, politica, sincadale, religiosa, di tempo libero, ecc. – lademocrazia sostanziale –.29

Nella figura che segue sono simboleggiate graficamente le modalità attraverso le quali le singolediscipline trovano una loro diversa collocazione logica e sostantiva nell’ambito dei due punti divista in questione, quello monodisciplinare e quello interdisciplinare.

Fig. 8

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abcd

abcd

abcd

disciplina a

disciplina b

disciplina c

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINAREUNITÀ DEL SAPERE:

campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

PARCELLIZZAZIONE DEL SAPERE:campi d’azione monodisciplinari

abcddisciplina d

Come si può ben notare, la visione grafica riguardante il diverso utilizzo delle discipline indicatecon le lettere a, b, c, d, mostra come i due punti di vista in questione siano, sotto il profilo logico,assolutamente alternativi ed eversivi l’uno rispetto all’altro.La rappresentazione grafica del punto di vista interdisciplinare evidenzia, attraverso i cerchi ovalitratteggiati che circoscrivono campi d’azione concernenti obiettivi formativi unitari, come allesingole discipline sia tolto il “potere autoreferenziale” conferito loro dal punto di vista

29 Non è un caso che lo stesso J. Dewey abbia titolato, agli inizi del XX secolo (1915), un dei suoi più importanticontributi con un testo dal titolo “Democrazie e educazione”, La Nuova Italia, Milano.

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monodisciplinare, fino a farle diventare, ognuna di loro (vedi le frecce tratteggiate che neraffigurano i rispettivi percorsi), pur con diverso peso ed importanza, come fini in sé .Ci si può però domandare a cosa può servire un potere, pur assoluto ed autoreferenziale, se questopotere, da sé stesso imprigionato in una noiosa, tedia ed infruttuosa solitudine, nega di fattoqualsiasi possibilità ad ogni singola disciplina di essere socialmente valorizzata, pur dovendorinunciare ad un potere assoluto a favore di un potere più discreto, nei colloqui e negli scambi conaltre discipline e finalizzati, tali colloqui e tali scambi, in modo unitario - appunto in modointerdisciplinare -, allo studio dei diversi e variegati campi d’azione sociale prima richiamati(famigliari, lavorativi, ecc.).La reciproca eversione logica che si viene a generare, sia che dal punto di vista monodisciplinare sipassi a quello interdisciplinare, sia che da quello interdisciplinare si passi a quellomonodisciplinare, consiste, come appunto evidenziato nella fig. 8, nel diverso modo di concepire edi configurare l’oggetto di studio.E’ opportuno da subito chiarire che le figure ovali tratteggiate configurano campi d’azioneinterdisciplinari, i quali non sono certamente assimilabili a quelli che, nel linguaggio corrente,vengono definiti come interventi formativi a carattere multidisciplinare; azioni formative, questeultime, che rimanendo in una logica di sapere parcellizzato e di separazione tra teoria e pratica, silimitano semplicemente ad affrontare un dato argomento assemblando cumulativamente nozioni dipiù discipline. E’ il caso, ad esempio, dei più moderni libri di testo di geografia che, nell’affrontarelo studio di una data regione, descrivono, in modo già bellè confezionato, magari corredato daschemi esplicativi, mappe e da test di autoverifica dell’ apprendimento, l’accumulo di conoscenzerelative al suo territorio, alla sua popolazione, alle sue risorse, alla sua economia, ai nomi dei suoifiumi e dei suoi laghi; a tutto ciò, e basta consultare un qualsiasi testo di terza media per constatarela veridicità dell’esempio proposto, sono sempre aggiunte informazioni storiche che, appiccicatecumulativamente alle altre, forniscono nozioni relative alle invasioni subite da altri popoli, o quelleoperate a danno di altri popoli, in quello o in quell’altro secolo.Si è già avuto modo di evidenziare come ogni momento di vita sociale delle persone può essereconfigurato come campo d’azione interdisciplinare, per la semplice ragione che “(…) nellosvolgimento di una qualsiasi azione… ogni persona utilizza… in modo unitario le conoscenze insuo possesso (se sono in suo possesso), dapprima per vagliare tra varie alternative di scelta quellache, a suo parere, gli risulti più adeguata di altre per conseguire determinati risultati attesi e,successivamente, per dar corso allo svolgimento delle azioni ritenute coerenti con l’alternativaprescelta. Nelle azioni di vita quotidiana, in sostanza, le diverse conoscenze disciplinari sonochiamate, in quanto mezzi, a fornire il loro contributo discreto, ma sempre in modo unitario, alperseguimento delle rispettive finalità; e sono proprio le finalità appena richiamate che generano ilivelli di complessità dei diversi contributi disciplinari implicati nello svolgimento di qualsivogliaazione. Si considerino, a titolo esemplificativo, i contributi disciplinari implicati nel perseguimentodelle seguenti finalità culinarie: la preparazione di un menù gustoso e succulento (tecnicaculinaria e assenza di conoscenze di dietetica/dietologia), la preparazione del medesimo menùequilibrato però sotto il profilo nutrizionale (tecnica culinaria, dietetica/dietologia), ancora lapreparazione dello stesso menù per persone portatrici di determinate malattie, quali la celiachia,l’ipercolesterolomia (tecnica culinaria, dietetica/dietologia specialistica) etc.; è evidente comenegli esempi richiamati non si possa parlare di contributi teorici e di contributi pratici, ma sidebba invece parlare di specifici livelli di conoscenza che, in quanto mezzi, sono richiesti a queldeterminato livello per conseguire le relative finalità. Ma si consideri, ancora a titoloesemplificativo, i due diversi livelli di conoscenze matematiche che sono richiesti ad un giovaneapprendista che, su indicazione del suo titolare, debba produrre, in un caso tutta la quantitàpossibile di focacce avendo a disposizione 5 kg. di farina, in un altro caso debba produrre, ancorasu indicazione del titolare che però non si preoccupa, confidando nella “professionalità” del suoapprendista, di indicare la quantità di farina da utilizzare, esattamente 5 kg. di focacce; nellaprima situazione questo apprendista deve semplicemente applicare, conoscendo la ricetta che

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stabilisce le percentuali dei diversi ingredienti sulla base del 100/100 di farina, il calcolodirettamente proporzionale, mentre nel secondo caso, essendo sconosciuto il dato dell’ingredientebase, cioè quello della farina, e dovendo considerare il grado di saturazione derivante dal rapportofarina/acqua, deve procedere al calcolo del coefficiente di ponderazione degli ingredienti. Calcolo,quest’ultimo, certamente più complesso del primo, che consente al panificatore, avendo individuatoil bisogno quantitativo di un certo prodotto della panificazione, di evitare, nel contempo, sia eccessiche deficienze quantitative di produzione…”.30

I due esempi richiamati, quello culinario e quello relativo al processo di panificazione, rendonoeffettivamente evidente, avendo presente una finalità dichiarata e le azioni da porre in essere per ilsuo conseguimento, a quali livelli sono rispettivamente richiesti i contribuiti sinergici dei diversicontributi disciplinari, concepiti, ognuno di essi, non più in quanto fini in sé, bensì concepitisinergicamente come mezzi per il conseguimento della finalità dichiarata.Ed è appunto questa diversa configurazione dei diversi contributi disciplinari che, nel perdere laconfigurazione “individuale” di fini in sé, per assumere quella “collegiale” di mezzi, vengono neifatti superate sia la parcellizzazione del sapere, sia la separazione tra teoria e pratica.

Fig. 9

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abcd

abcd

disciplina a

disciplina b

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINAREUNITÀ DEL SAPERE:

campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

PARCELLIZZAZIONE DEL SAPERE:campi d’azione monodisciplinari

LA CONFIGURAZIONEDELLE SINGOLE DISCIPLINE

IN QUANTO “FINI INDIVIDUALI”

LA PARCELLIZZAZIONE DEL SAPEREE LA SEPARAZIONE TRA

TEORIA E PRATICA

LA CONFIGURAZIONEDELL’INSIEME DELLE DISCIPLINEIN QUANTO “MEZZI COLLEGIALI”

I LIVELLI DI SAPERI DISCIPLINARIRICHIESTI PER ILCONSEGUIMENTODELLE FINALITA’ DI VITA SOCIALE

separazionetra

teoria/pratica

Le due figure ovali tratteggiate raffigurate nella parte dx dello schema sopra riportato possono benrappresentare, a proposito dell’incremento di variabilità di campo d’azione (la sua complessità), idue esempi dell’apprendista panificatore.

30 P. Roncalli, “Scuola, convivenza civile, rendimento scolatico: vuoto educativo a priori, punizioni a posteriori. Forsel’alternantiva è da ricercare altrove”, da richiedere a: [email protected]

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Il primo esempio (il primo ovale tratteggiato) indica come l’apprendista in questione, nonconoscendo gli algoritmi implicati nel calcolo del coefficiente di ponderazione degli ingredienti,debba ancora dipendere dal suo titolare per reperire, in valore assoluto, l’informazione relativaall’ingrediente base, cioè la quantità di farina su cui applicare l’algoritmo relativo al calcolodirettamente proporzionale per determinare, nella fase della dosatura degli ingredienti, le quantità diacqua, di malto, di olio e di sale da aggiungere, nella successiva fase dell’impastamento, a quelladeterminata quantità di farina.Il secondo esempio (vedi il secondo ovale tratteggiato di dimensioni più grandi) indica invece comel’apprendimento della conoscenza relativa al calcolo del coefficiente sopra richiamato, consente almedesimo apprendista, nell’aumentare consapevolmente la sua autonomia decisionale e d’azione, di“liberare” la sua persona dalla dipendenza professionale generata dalle maggiori “conoscenzeprofessionali” possedute del suo titolare (nel caso specifico dalla conoscenza, appunto, di specificialgoritmi matematici).Ma si consideri, avendo presente la mappa del processo di produzione e di commercializzazione deiprodotti della panificazione di seguito presentata, quante e quali altri livelli di conoscenzedisciplinari debba e possa apprendere l’apprendista in questione per conseguire i livelli diautonomia decisionale e d’azione richiesti dallo svolgimento delle diverse fasi di azioni tipiche(primarie ed accessorie)31 di tale processo professionale.

Fig. 10

PROCESSO DI PRODUZIONE/COMMERCIALIZZAZIONE DI

PRODOTTI DELLA PANIFICAZIONE:

AZIONI TECNICHE PRIMARIE

FASE ADETERMINAZIONE

VOLUMI PRODUZIONE

FASE BAPPROVVIGION.MENTI

FASE CPANIFICAZIONE

FASE DDISTRIBUZIONE PANE

AZIONI TECNICHE ACCESSORIE• DIMENSIONAMENTO: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE, PERSONALE

• MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE• PULITURA/DETERSIONE/SANIFICAZIONE: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE

• AZIONI AMMINISTRATIVE: CONTABILITA’ PERSONALE, CLIENTI, FORNITORI, FISCALE, GENERALE• AZIONI FORMATIVE

A.1 - VENDITA SUCOMMITTENZA:

A.1.1 A RIVENTITORIA.1.2 IMPASTI CUSCINETTOA.1.3 A CLIENTI CONSUMO

A.2 – PREVISIONIVENDITA DETTAGLIO

A.3 – DETERMINAZIONIPREZZI VENDITA

A.4 – INDIVIDUAZIONEINNOVAZIONI PRODOTTO

A.5 – DETERMINAZIONEPIANO LAVORO

B.1 - DEFINIZIONEQUALITA’ E QUANTITA’APPROVVIGIONAMENTIALIMENTARI

B.2 – VALUTAZIONECONDIZIONI ACQUISTO

B.3 – ACQUISTODERRATE ALIMENTARI

B.4 – VERIFICAQUALITATIVAE QUANTITATIVADERRATE CONSEGNA

B.5 – IMMAGAZZIN.TO:SCORTAa lunga conservazionea breve conservazionePRONTO USO

C.1 – DEFINZIONEPIANO PRODUZIONE

C.2 - VERIFICA/REGOL.NECOND.NI LAVORAZ.NE

C.3 - SCELTA TIPO IM.STOC.4 – RAGGRUPP. IMPASTI

C.5 – DOSATURAINGREDIENTI

C.6 - IMPASTAMENTOC.7 - PUNTATA IMPASTOC.8 - LAMINAZIONEC.9 - DIVISIONEC.10 - PESATURAC.11 - FORMATURAC.12 - PUNTATA SEMILAV.C.13 - INFORNAMENTOC.14 - COTTURAC.15 - SFORNAMENTOC.16 – PRED. IMPASTI BIGAC.17 – PREDISPOSIZIONE

PASTA RIPORTO

D.1 - SMISTAMENTOPANE

D.3 – CONSEGNA PANE:D.3.1 A RIVENDITORID.3.2 A CLIENTI DETTAGLIO

D.2 – DEFINIZIONEPIANO CONSEGNA

D.4 - VENDITAPANE AL DETTAGLIO

D.5 GESTIONE PANEINVENDUTO

D.6 VERIFICA DOMANDANON ESAUDITA

D.6 RILEV.NE ASPETTICRITICI PRODOTTO ESERVIZIO CONSEGNA

VISIONE UNITARIA (GENERALE E PARTICOLARE) ED INTERDISCIPLINAREDEL PROCESSO DI LAVORO OGGETTO DI STUDIO

LIVELLI C

ONTRIB

UTI

DISCIP

LINA

A

LIVELLI CONTRIBUTIDISCIPLINA B

LIVELLI CO

NTR

ITUTI

DISC

IPLINA

G

LIVELLI CO

NTRIBUTI

DISCIPLINA

C

LIV

EL

LIC

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IBU

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CIP

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A…

LIVELLI CONTRIBUTI DISCIPLINA F

LIVELLI

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31 Per quanto concerne la distinzione tra azioni primarie ed azioni accessorie vedi: P. Roncalli, “Giacimenti culturali neiprocessi di lavoro”, in G. Bertagna, a cura di, “Alternanza scuola lavoro”, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 86-92.

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I due esempi di conoscenze di matematica fatti in precedenza hanno riguardato la specifica fasedella panificazione (fase C), ma si consideri quali altre conoscenze di matematica, in particolare distatistica applicata, deve essere in grado di utilizzare un titolare di un’azienda di panificazione cherealizzi medi o grandi volumi d’affari annuali, per valutare, sulla base del suo storico di produzionenei diversi mesi e settimane dell’anno (si consideri che la variabilità di vendite dei prodotti dellapanificazione dipende da moltissime variabili, quali la stagionalità, la distribuzione delle vacanzescolastiche, giorni feriali e giorni di festa, ecc.), le quantità giornaliere di pane da produrre per lavendita al dettaglio (vedi fase A.2 – previsioni di vendita al dettaglio), ma anche si consideri, leconoscenze di matematica che ci si auspica debba e possa conoscere, per valutare, attraversol’utilizzo degli indici di bilancio, l’effettivo andamento economico negli anni della sua azienda.A ben vedere gli algoritmi di matematica implicati nei due esempi sono sempre gli stessi, sia chevengano utilizzati in una didattica monodisciplinare, sia che vengano utilizzati in una didatticainterdisciplinare; ciò che cambia, come si è già argomentato, è la loro diversa configurazione logica,di fini in sé nella logica disciplinare, di mezzi nella logica interdisciplinare.Le conseguenze sostantive di questa diversa configurazione logica risiedono invece nel fatto cheogni persona, in una logica formativa interdisciplinare, è messa nella condizione di riconoscere “ilsenso” che ogni livello di conoscenza, sia esso basso o elevato, semplice o complesso, assumedurante il suo concreto utilizzo nell’ambito dei diversi ambiti di vita sociale; ed è proprio in questo“riconoscimento di senso” che l’allievo può essere aiutato a trovare, “dentro di sé”, le ragioni delsuo impegno verso uno studio che egli riconosce, nel constatare via via l’incremento della suaautonomia decisionale e d’azione conseguita nei suoi diversi ambiti di vita sociale, come lostrumento di valorizzazione sociale della sua persona.J. Dewey, nel contrastare la logica di un “prima teorico” da acquisire nella scuola, in quantoinvestimento futuro del “dopo pratico” della vita, rileva, parlando di genitori ed insegnanti, ipericoli della scolastica tradizionale: “…essi non si accorgono del pericolo che le norme cosìinsegnate siano meramente simboliche; cioè in gran parte convenzionali e verbali. In realtà, gliideali effettivi, operanti, che possono non essere quelli professati (solo dichiarati), dipendono daquello che un individuo ha personalmente sentito come profondamente significativo nella suaesperienza concreta...”.32

Di fronte a questo pericolo lo stesso autore propone il suo criterio di intervento: “…prima chel’insegnamento possa cominciare senza pericolo a trasmettere fatti e idee attraverso la mediazionedei segni, la scuola deve procurare situazioni genuine nelle quali la partecipazione personalefaccia toccare con mano l’importanza del materiale e dei problemi che trasmette…”.33

Prosegue poi nell’evidenziare cosa può rappresentare quel “…toccare con mano…” sia per l’allievoe che per l’insegnante: “…da punto di vista dell’allievo le esperienze che ne risultano hanno valoredi per sé; dal punto di vista del maestro esse rendono possibile l’edificare quella base che sirichiede per comprendere le nozioni che si trasmettono per segni, e di suscitare atteggiamenti dicomprensione e di interesse riguardo al materiale trasmesso simbolicamente…la funzione prima ebasilare del lavoro di laboratorio in un campo nuovo, per esempio in una scuola media ouniversità, è di render famigliari allo studente un certo raggio di fatti e problemi di prima mano;dargliene ‘il senso’”.34

Un esempio concreto del “pericolo educativo ” appena richiamato dal Dewey è nell’affermazionedel giovane apprendista panificatore che, incitato dal proprio datore di lavoro a partecipare allaformazione obbligatoria esterna all’azienda presso un ente formativo, risponde “…piuttosto milicenzio…”; un’affermazione, quest’ultima, indicatrice di una accentuata repulsione nei confronti diuna scuola oppressiva, da essa fuggito precocemente, che da lui ha preteso si assoggettasse, perquanto concerne ad esempio la matematica, allo studio di algoritmi astratti “ fine a sé stessi” e,

32 John Dewey, “Valori educativi”, in “Democrazia e educazione” (1915), La Nuova Italia, 30133 John Dewey, “Valori educativi”, in “Democrazia e educazione”, op. cit. p. 299.34 John Dewey, “Valori educativi”, in “Democrazia e educazione”, op. cit. pp. 298-303.

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proprio in quanto tali, richiedenti una “fatica d’apprendimento obbligatoria e non dotata di senso”.In questo tipo di fatica è ascrivibile il “pericolo” richiamato dal Dewey, concretizzatosi, nel caso inquestione, in un precoce abbandono della scuola.Ma diversa, allo stesso apprendista, si è rivelata la situazione nell’ambito del laboratoriointerdisciplinare di panificazione nel quale egli ha potuto “toccare con mano”, e quindiriconoscerne “il senso”, sia del calcolo direttamente proporzionale, avendo a disposizione unadeterminata quantità di farina, sia dei calcoli implicati per la ricerca coefficiente di ponderazionedegli ingredienti, dovendo produrre con precisione, senza eccessi né deficienze quantitative, unadeterminata quantità di pane. In questo secondo caso si può quindi parlare, a ragion veduta, di una“fatica d’apprendimento intenzionale e dotata di senso”.Uno strumento metodologico coerente con una impostazione interdisciplinare è quello dell’ Unitàdi Apprendimento, delineato nelle Indicazioni Nazionali emanate a seguito della L. 53/2003, maanche ampiamente utilizzato nell’ambito della sperimentazione dei corsi triennali di qualifica inalcune regioni, a seguito dell’applicazione del protocollo d’intesa realizzato con il Ministerodell’Istruzione.Si considerino, a proposito di questo strumento, gli elementi costitutivi configurati dai due terminiutilizzati per la sua definizione, il termine Unità e il termine Apprendimento.Sotto il termine Unità rientrano tutti gli aspetti concernenti l’oggetto di studio fin qui affrontati; unoggetto di studio unitario perché pone appunto al centro dello studio i diversi ambiti in cui simanifesta la concretezza della vita sociale; uno studio che, a partire dalla vita sociale del presente,non può non considerare le influenze del passato in vista della progettazione sociale futura,servendosi appunto, in modo collegiale, cioè in modo interdisciplinare, dei diversi contributidisciplinari accumulati nel passato dalle precedenti generazioni.Alla parola Unità, riprendendo il De Bartolomeis, è quindi possibile abbinare la parolaInsegnamento: “(…) metodo dell’insegnante, cioè la didattica con cui l’insegnante affronta iproblemi del suo intervento o meglio della sua partecipazione al processo educativo (…)”.Detta in altre parole la parola Unità, compresa nella definizione di Unità di Apprendimento,configura le influenze educative/formative che il “mondo degli adulti” (trattandosi nel caso inquestione di formazione in età giovanile) intende generare verso il “mondo dei giovani”.Nella letteratura riguardante il rapporto tra formazione ed organizzazione viene proposto, aproposito di influenze che ogni persona può generare sull’altrui o sul proprio apprendimento, didistinguere le influenze generale secondo le modalità di una “formazione non enucleata”, daquelle generate da una “formazione enucleata”.35

Nel primo caso si ammette che, pur assenza di intenzionalità rivolta al proprio o all’altruiapprendimento, nel concreto vive sociale le persone si influenzano reciprocamente; nel secondocaso tale influenza viene invece generata appunto intenzionalmente.In tal senso può essere ripreso il concetto weberiano di “azione sociale dotata di senso”, nel qualel’azione individuale viene concepita, non tanto in quanto azione individuale in sé, ma in quantoazione individuale influenzata socialmente.36

Nei suoi diversi ambiti di vita sociale ogni persona può quindi ricevere influenze formative da altrepersone, ma anche generare influenze formative su tali medesime persone, sia in modo enucleato,sia in modo non enucleato. Un genitore può, nella sua vita famigliare quotidiana, influenzare inmodo non enucleato l’educazione dei propri figli attraverso le tipiche modalità definite dallinguaggio popolare come “il buon esempio” e “il cattivo esempio”, comportandosi secondo le sueconsuete abitudini civiche, politiche, religiose, ecc. Si consideri, ad esempio, quanto naturale puòdiventare per un bambino gettare, dal finestrino dell’autovettura in movimento, la carta dellacaramella appena scartata, quando tale gesto sia stato, con naturalezza, ripetutamente compiuto dal

35 B. Maggi, “La formazione: concezioni a confronto”, Etas Libri. - P. Roncalli, “Orientamento, formazione,collocamento”, F. Angeli, Mi, 1999, p. 50.36 M. Weber, “Economia e società”, op. cit., pp. 3-26.

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genitore in precedenti situazioni, così come, allo stesso modo, può diventare naturale per ilmedesimo bambino, avendo visto il genitore compiere la stessa azione, riporre la carta nell’appositocontenitore; e tutto ciò, ovviamente, in assenza dell’intenzionalità del genitore di influenzare, nelbene o nel male, l’educazione dei propri figli durante un dato tragitto compiuto a bordo dellapropria autovettura. (modalità di formazione non enucleata). Allo stesso modo il medesimogenitore, nella medesima situazione, consapevole delle influenze educative che può generare suipropri figli, assume intenzionalmente comportamenti ritenuti coerenti con le regole di convivenzacivile da lui ritenute degne di rispetto, argomentando, magari, ai propri figli, le ragioni etiche dellesue convinzioni (modalità tipica di formazione enucleata).La scuola è un tipico ambito istituzionale il cui “senso” è proprio quello di essere concepito comeuno strumento di formazione enucleata che il “mondo degli adulti” utilizza per influenzare gliapprendimenti delle nuove generazioni; ma sarebbe erroneo pensare alla scuola come ad unesclusivo ambito di formazione enucleata, così come risulterebbe altrettanto erroneo pensare aglialtri di vita sociale, siano essi di vita famigliare, di vita lavorativa, di vita religiosa, ecc., comeambiti esclusivi di formazione non enucleata. Nell’ambito di vita sociale della scuola, così come inogni altro ambito di vita sociale, vi possono essere influenze educative generate sia con le modalitàdella formazione enucleata, sia con le modalità della formazione non enucleata.

Fig. 11

Modalità per generare le influenze formative

formazionenon enucleata

formazioneenucleata

assenzadi intenzionalità

verso lo scopo delproprio o dell’altrui

apprendimento

presenzadi intenzionalitàverso scopo del

proprio o dell’altruiapprendimento

MODALITA’ PRESENTI ENTRAMBI SIA NELL’AMBITO DIVITA SOCIALESCOLASTICA SIA NEGLI ALTRI AMBITI DI VITA SOCIALE

La parola Unità, contenuta nella più ampia definizione di Unità di Apprendimento, configuraquindi il particolare modo in cui il punto di vista interdisciplinare intende influenzare, in modoenucleato, gli apprendimenti degli allievi.A questo punto della riflessione ci si può provocatoriamente domandare se la enucleazionedell’intenzionalità degli operatori della scuola, da porre in essere per influenzare in una certadirezione l’apprendimento dei propri allievi (De Bartolomeis: “il metodo dell’insegnante”), puòprescindere dalla effettiva enucleazione dell’intenzionalità dei singoli allievi verso la direzione ditali medesimi apprendimenti: il “(…) metodo dell’allievo, cioè i mezzi che questi mette in operaper apprendere o produrre.” (De Bartolomeis).Si è già avuto modo di rilevare, nella Fig. 7, il problema della disattenzione nelle diverse ore dellamattinata, la quale, ogni qualvolta si manifesta in capo al singolo allievo, rileva l’assenza diintenzionalità rivolta al proprio apprendimento, nonostante la costante presenza di intenzionalitàdegli insegnanti rivolta verso l’altrui apprendimento.Si può quindi ragionevolmente sostenere che ogni qualvolta non vi sia una relazione di mutuoadattamento tra “il metodo dell’insegnante”, cioè la enucleazione di intenzionalità rivolta

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all’altrui apprendimento, e “il metodo dell’allievo”, cioè la enucleazione di intenzionalità rivoltaal proprio apprendimento, non vi può essere logicamente alcun risultato di apprendimento.Gia lo stesso Dewey, nel 1938, poneva questo problema del mutuo adattamento tra le condizioniesterne (oggettive) dell’esperienza educativa, cioè “(…) quello che l’educatore ha il potere diregolare (…) la sua abilità di influenzare direttamente l’esperienza degli altri e quindi la loroeducazione, gli impone il dovere di determinare quell’ambiente che interagirà con le capacità e ibisogni che posseggono colore a cui insegna, per creare un’esperienza che abbia valore”; maancora, a proposito dell’intenzionalità dell’allievo, sosteneva che “il guaio dell’educazionetradizionale non era già che gli educatori si assumessero la responsabilità di provvedere unambiente. Il guaio si era che non consideravano l’altro fattore nel creare un’esperienza, vale a direi poteri e i propositi di quelli cui insegnavano. Si muoveva dal presupposto che una certa serie dicondizioni fosse intrinsecamente desiderabile, ma si estraeva dalla sua capacità di evocare unacerta qualità di risposta negli individui. Questo difetto di mutuo adattamento rendeva accidentaleil processo dell’insegnare e dell’apprendere (…)”.37

Quindi, la parola Apprendimento, contenuta nella definizione più generale di Unità diApprendimento, intende metodologicamente ricordare il rapporto di effettivo mutuo adattamentoche si deve instaurare tra le condizioni didattico/organizzative configurate dalla parola Unità,strutturate intenzionalmente per influenzare l’apprendimento degli allievi, e tutto ciò che talicondizioni generano sulla effettiva intenzionalità all’apprendimento dei singoli allievi; in tal sensola parola Apprendimento, contenuta appunto nella definizione di Unità di Apprendimento, deveessere riferita al singoli allievo, alla sua intenzionalità, le sue caratteristiche, le sue aspettative, ecc.,così come indicato nella seguente figura, nella quale, sotto la parola Apprendimento, sono indicatigli aspetti relativi alla configurazione analitica della persona in apprendimento.

Fig. 12

UNITA’ DI APPRENDIMENTO:

una distinzione:

UNITA’L’OGGETTO DI STUDIO:

La sua configurazione unitariagenerata dallo studio

della vita sociale

APPRENDIMENTOIL DISCENTE:

la sua intenzionalità, le suecaratteristiche, le sue

aspettative, ecc.

DI

abcd

abcd

abcd

abcd

• OGGETTO TRASFORMATO/

LA SUA NATURA UMANA:la trasformazione delle sue conoscenze possedute

in nuove conoscenze.

• MEZZO PER L’APPRENDIMENTO:le sue funzioni cognitive, percettive, motorie.

• OGGETTO DI STUDIO:in positivo o in negativo l’allievo costruisce la percezione

di sé.

• SOGGETTO DELL’APPRENDIMENTO:la sua intenzionalità – le sue decisioni ed azioni.

CONFIGURAZIONE ANALITICA

DEL SOGGETTO IN APPRENDIMENTO

Relazionedi mutuo

adattamento

La messa in campo di intenzionalitàper generare influenze educative

37 J. Dewey, “Criteri dell’esperienza”, in “Esperienza e educazione”, La Nuova Italia, febbraio 2006, p. 30.

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Si considerino, pur brevemente, le dimensioni analitiche assunte dal singolo allievo nel processo diapprendimento. Innanzitutto l’allievo che enuclea la sua intenzionalità verso il proprioapprendimento assume, ovviamente, la configurazione di soggetto dell’apprendimento; è solo unaconseguenza logica che nel porre in essere le sue decisioni ed azioni rivolte al suo apprendimentodebba utilizzare le sue funzioni cognitive, percettive e motorie, assumendo, in questo modo, anchela configurazione analitica di mezzo (assieme ad altri mezzi) per il suo apprendimento. Se siconsidera che lo svolgimento di una qualsiasi azione sociale, posta in essere da una qualsiasipersona, presuppone la trasformazione di un qualche oggetto, si tratta di chiedersi quale sia lanatura e l’oggetto trasformato nell’azione formativa; il punto di vista organizzativo qui proposto, acui si farà specifico riferimento nel paragrafo successivo, propone di distinguere i diversi oggettitrasformati dall’azione umana, in oggetti la cui natura può essere materiale, simbolica e umana.Il semplice spostamento di una sedia configura, ad esempio, la trasformazione della posizione nellospazio di un oggetto a natura materiale, così come un oggetto di natura materiale è latrasformazione della temperatura dell’acqua fredda in acqua calda compiuta con l’azione dibollitura, ecc. Il giornalista invece che scrive un articolo e l’insegnante che parla ai suoi allievitrasformano, rispettivamente in forma scritta e orale, dei simboli alfanumerici per configurare(costruire) dei significati che si intendono comunicare e, attraverso i quali, influenzare le opinionidei cittadini, o influenzare l’apprendimento dei propri allievi verso nuove conoscenze; si tratta inquesto caso della trasformazione di oggetti dalla natura simbolica.Ma l’allievo che è attento a quello che dice il docente, o che sta sperimentando il calcolo relativo alcoefficiente di ponderazione degli ingredienti per poterne apprendere l’applicazione finalizzata allaproduzione di un certo quantitativo di pane, ed evitare proprio tramite il suo utilizzo eventualisurplus o deficienze di produzione, si sta cimentando nella trasformazione di sé stesso,configurando, in questo modo, la trasformazione di un oggetto dalla natura umana. Un oggetto,quindi, da sé stesso trasformato.Ma in ogni momento della vita sociale ogni persona, nel riceve o meno conferme positive onegative in merito risultati conseguiti a seguito dalla messa in campo delle sue decisioni ed azioni,nel percepire le conferme, i giudizi positivi o negativi, i plausi, i dinieghi, ecc., dalle persone concui coopera quotidianamente nei diversi ambiti di vita famigliare, lavorativa, di tempo libero, ecc.,compreso, ovviamente, quello preponderante di vita sociale scolastica, mette continuamente allaprova sé stessa, costruendo, in questo modo, proprio in conseguenza della sua azione individualeinfluenzata socialmente, la percezione di sé; per questa ovvia e logica ragione l’allievo inapprendimento si viene a configurare, oltre che come soggetto e mezzo della trasformazioneformativa e come oggetto da sé stesso trasformato, anche come oggetto di studio.Se ci si sofferma attentamente sull’ultima dimensione analitica e ci si può rendere effettivamenteconto di come ogni esperienza compiuta dalle singole persone contribuisce alla costruzione, inpositivo o in negativo, della percezione di sé; ma se questo è vero nella vita sociale quotidiana, amaggior ragione è un aspetto che deve essere intenzionalmente enucleato quando si ha a che farecon la formazione (educazione) di persone in età evolutiva, le quali, nello scoprire il mondo, ancheattraverso le esperienze compiute nella scuola, scoprono, in positivo o in negativo, sé stesse (inquanto percezione di sé).In tal senso è possibile affermare, avendo appunto presente la dimensione analitica assunta da ognipersona in apprendimento in quanto oggetto di studio, oltre che soggetto, mezzo e oggettotrasformato, che ogni azione formativa si configura sempre, in ogni momento, come azioneorientativa; un’azione quindi, quella formativa, che in quanto appunto mezzo, può aiutare esupportare gli allievi, attraverso adeguate esperienze del presente e la riflessione speculativa sullavita sociale passata, a discernere consapevolmente, tra possibili alternative di scelta, quelle per luimaggiormente confacenti per la sua vita sociale futura.Ma se è vero che nell’azione formativa il singolo allievo nell’approcciarsi verso un determinatooggetto di studio, diventa esso stesso, per sé stesso, un oggetto di studio, a maggior ragione ciò deve

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valere per ogni singolo insegnante, la cui intenzionalità è proprio professionalmente orientata,appunto in modo enucleato, verso l’altrui apprendimento.Ciò che nella impostazione monodisciplinare avviene invece, appunto in quanto formazione nonenucleata, è proprio legata a questo aspetto dell’allievo configurato, esso stesso, come oggetto distudio.Si pensi, ad esempio, all’apprendista panificatore già richiamato, il quale, pur di non sopportare dinuovo “il malessere” generato dall’oppressione subita nella sua precedente esperienza scolastica, eavendo percepito la sua inadeguatezza verso quel sapere imposto e per lui “non dotato di senso”si è orientato all’avvio del precoce lavoro, è disposto a licenziarsi pur di non partecipare allafrequenza obbligatoria dei corsi di apprendistato.Ma nella medesima situazione risulta essere il sempre crescente numero di allievi che, nelpercepire la loro inadeguatezza allo studio, a fronte anche di ripetuti insuccessi scolastici,abbandonano precocemente la scuola o tralasciano di ultimare un percorso formativo avviato.E’ assai generalizzata la situazione delle scuole superiori che vedono progressivamente gonfiarsi ilnumero degli allievi delle prime classi, sino a raggiungere, in non poche occasioni, il n. di 30allievi, proprio per la presenza, in ognuna di tali classi, di n. 5/6 allievi ripetenti.A proposito allora di aspetti di formazione non enucleata che si possono generare nella scolasticamonodisciplinare, ancora lo stesso Dewey parla di “ (…) apprendimento collaterale, la formazionedi attitudini durature o di repulsioni, può essere e spesso è molto più importante. Codeste attitudinisono difatti quel che conta veramente nel futuro. L’attitudine che più importa sia acquistata è ildesiderio di apprendere. Se l’impulso in questa direzione viene indebolito (l’effetto pigmalione innegativo) anziché rafforzato (l’effetto pigmalione in positivo), ci troviamo di fronte a un fattomolto più grave che a un semplice difetto di preparazione. (…) che beneficio c’è ad accumulare leprescritte notizie di geografia e di storia, ad apprendere a leggere e scrivere, se con questol’individuo perde la sua anima (appunto la percezione positiva di sé), il discernimento delle cosebuone, dei valori cui queste cose si riferiscono; se perde il desiderio di applicare ciò che haappreso e, soprattutto, se ha perduto la capacità di estrarre significato dalle esperienze future incui via via si imbatterà? (…)”.38

In tal senso, se ci si colloca nel punto di vista interdisciplinare, ogni educatore si trova a doveraffrontare, non solo il carattere interdisciplinare di un dato oggetto di studio unitario, quale appuntoquello configurato dalla parola Unità contenuta nella definizione di Unità di Apprendimento, ma ilcarattere interdisciplinare generato dall’altro oggetto di studio della sua azione, configurato appuntodalla parola Apprendimento, cioè i singoli allievi e il loro configurarsi in quanto soggetti, mezzi,oggetti della trasformazione formativa, nonché oggetti di studio per sé stessi (e, appunto, per glistessi docenti).In tal senso occorre, in questa prospettiva, che venga enucleata, da parte degli educatori, unaintenzionalità, non solo orientata a favorire le condizioni per l’apprendimento dei propri allievi, maanche orientata a monitorare come il singolo allievo costruisce la percezione di sé durante la suaesperienza formativa in rapporto all’oggetto di studio, per eventualmente regolare l’azioneformativa in vista del conseguimento del “successo” dell’azione orientativa (la scoperta positiva delsé da parte dell’allievo).Il carattere interdisciplinare di un’azione formativa non deriva quindi solo dal carattereunitario di un dato oggetto di studio, bensì è generato dalla irrinunciabile relazione di mutuoadattamento che si deve instaurare tra l’intenzionalità degli educatori (la formazione enucleataverso l’altrui apprendimento), rivolta appunto ad influenzare l’apprendimento dei propri allieviattraverso lo studio interdisciplinare della vita sociale, e l’intenzionalità dei singoli allievi (laformazione enucleata verso il proprio apprendimento), orientata consapevolmente, attraverso leesperienze di apprendimento riguardanti lo studio della vita sociale presente e passata, eavendo incrementato la scoperta sé stesso, proprio grazie a queste esperienze diapprendimento, alla costruzione delle ipotesi riguardati il proprio futuro di vita sociale.

38 J. Dewey, “Criteri dell’esperienza”, in “Esperienza e educazione”, op. cit. pp. 33,34.

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Tutto ciò consente di affermare che se ci si colloca nella logica della formazione interdisciplinare, aproposito della parola Apprendimento contenuta nella definizione di Unità di Apprendimento,risulta oltremodo ridondante l’eventuale utilizzo della parola “personalizzazione”, per la sempliceed ovvia ragione che se un qualsiasi allievo non assume contemporaneamente la configurazione disoggetto, mezzo e oggetto della trasformazione formativa non vi può essere apprendimento, pur inpresenza dell’azione di insegnamento; a ciò si aggiunga che la quarta dimensione analitica assuntadall’allievo, quale quella appunto di configurarsi, esso stesso, oggetto di studio per sé stesso, oltreche per lo stesso docente, aiuta a comprendere come, in ogni caso, l’allievo costruisce sempre lapercezione di sé stesso in qualsiasi situazione, sia che esso assuma o non assuma le configurazionianalitiche di soggetto, mezzo e oggetto della trasformazione formativa; per meglio precisare èopportuno ribadire che il singolo allievo assume sempre, in ogni situazione formativa, leconfigurazioni analitiche di soggetto, mezzo e oggetto della trasformazione orientativa, cioè lacostruzione della percezione sé in ogni momento della sua vita sociale presente che influenza lescelte della sua vita sociale futura. A questo proposito i casi di abbandono precoce della scuolapossono essere interpretati come risultato di esperienze formative negative che, nel generarel’effetto pigmalione negativo, cioè una percezione di inadeguatezza personale rispetto allo studio,influenzano l’allievo nella scelta di abbandono precoce della vita sociale scolastica, per avviarsi,impreparati, verso la vita sociale lavorativa. .Nella seguente figura viene proposta la ricomposizione dei due aspetti configurati dalle parole Unitàe Apprendimento contemplate nello strumento delle Unità di Apprendimento.

Fig. 13

Strumento:

Unità di Apprendimento

abcdefgh abcdefgh abcdefgh abcdefgh

l’unità del sapere:lo studio della vita sociale

tra presente, passato e futuro

I discenti:la loro intenzionalità, le loro

caratteristiche, i loro tempi e modalità diapprendimento

Criteri:DALL’AULA COME “AUDITORIO” ALL’AULA COME “LABORATORIO” –

DAL “FARE” Al “RIFLETTERE SUL FARE” -

“punto di vista interdisciplinare”

Ma la effettiva difficoltà che si incontrano nella progettazione delle Unità di Apprendimento,caratterizzate dagli aspetti richiamati nelle ultime pagine, risiede nel fatto, o meglio nella ingenua ovelleitaria pretesa, che si possa passare da un paradigma pedagogico monodisciplinare ad unparadigma pedagogico interdisciplinare, senza che, in corrispondenza di tale passaggio, vi sia ilcambiamento del paradigma organizzativo e, con esso, i criteri da adottare nella strutturazioneorganizzativa.

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Fig. 14

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abcd

abcd

disciplina a

disciplina b

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINAREUNITÀ DEL SAPERE:

campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

PARCELLIZZAZIONE DEL SAPERE:campi d’azione monodisciplinari

separazionetra

teoria/pratica

PARADIGMA ORGANIZZATIVOLOGICA DEL SISTEMA CHIUSO

•Scomposizione del sapere in saperidisciplinari;• Attribuzione stabile dei saperidisciplinari a singoli docenti;• Separazione tra teoria della scuola ela pratica della vita sociale;• Addestramento allo studio cumulativomnemonico/nozionistico dei saperidisciplinari;• …

PARADIGMA ORGANIZZATIVO

?

Si provi concretamente ad immaginare, avendo presente la situazione rappresentata nella fig. 6, e diseguito riproposta, nella quale è visualizzata la situazione conseguente all’applicazione dei criteridel punto di vista monodisciplinare, la complicazione organizzativa che si verrebbe a generare,anche solo a fronte della progettazione di una o due Unità di Apprendimento nel corso di un annoformativo.

Fig. 15 (Fig. 6 )

Monte ore settimanale: n. 37 ore

n. ore settimanali attribuite ad ogni singolo docente: n. 18 ore

n. medio di allievi per ogni gruppo classe: n. 24 allievi

n. docenti per gruppo classe: n. 11 docenti per n. 12 discipline(storia e italiano sono in genere attribuite congiuntamente a un unico docente)

discipline Relig. Econ. Ed. fis. Zootecn.

Matem. Fisica Scienze Agron. Storia/ital.

Chimica Azienda

n. ore settim.lidisciplina

1 2 2 3 3 3 4 4 5 5 5

n. classi per ognidocente

18 9 9 6 6 6 4 +1 3+1 3 + 1 3 + 1

Rapportodocente/allievi

1/432 1/216 1/216 1/144 1/144 1/144 1/120 1/120 1/96 1/96 1/96

Si immagini, ad esempio, a quante riunioni collegiali debba partecipare l’insegnante di economiache, avendo a disposizione 2 ore settimanali per influenzare l’apprendimento dei suoi n. 216 allievi,sia coinvolto nella progettazione anche di una sola unità di apprendimento per ognuno dei gruppi

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classe (n. 9) in cui sono ripartivi tali allievi. Ma si immagini il giro di riunioni che sarebbe richiestoper la progettazione di una sola Unità di Apprendimento in ognuna delle classi dell’istituto agrarioin questione. Basti solo pensare a quanto sia complicato, in istituti di una certa dimensione, vista laparcellizzazione degli insegnamenti disciplinari, “incastrare” gli orari per garantire lo svolgimentodi tutti i consigli di classe 3 o 4 volte nel corso dell’anno scolastico.In effetti, nelle discussioni e nei dibattiti di questi anni circa l’effettiva applicabilità dello strumentodell’Unità di Apprendimento, non emergono contrasti circa loro valenza metodologica e la loromaggiore incisività formativa, si vedano ad esempio i risultati dei focus che evidenziano come talestrumento dia risultati proprio con l’utenza cosiddetta “più difficile”, bensì emergono le difficoltàorganizzative generate proprio dal concreto e generalizzato utilizzo della logica tayloriana delsistema chiuso nella strutturazione dell’azione formativa.Questo è un esempio concreto di come i due punti di vista siano reciprocamente eversivi l’unorispetto all’altro, non solo sotto il profilo logico, ma anche sotto quello concretamente operativo.In tal senso il passaggio da un punto di vista all’altro, anche a livello sperimentale, richiede nonsolo l’adozione di un diverso punto di vista pedagogico, ma anche l’assunzione di criteriorganizzativi generati da un punto di vista organizzativo che fondi, come verrà evidenziato nelsuccessivo paragrafo, le sue radici interpretative e progettuali, sul medesimo presuppostometodologico del punto di vista pedagogico che si intende adottare.Un esempio di convergenza metodologica tra punto di vista pedagogico e punto di vistaorganizzativo è già stato evidenziato quando si è rilevata la formidabile e ferrea coerenza esistentetra la logica organizzativa tayloriana del sistema chiuso e la logica pedagogica comportamentista, lequali fondano le loro radici sui presupposti progettuali della razionalità oggettiva, generati, a lorovolta, dai presupposti epistemologici della spiegazione causale.Se si considera l’azione di insegnamento, cioè le azioni formative attraverso le quali si intendonogenerare influenze educative sugli allievi, essa assume il carattere di azione interdisciplinare, nonper la semplice e banale compresenza in classe di due o più insegnanti (che peraltro comporterebbeun notevole incremento di costi), ma per il fatto che si possa concretamente disporre dei livelli diconoscenze disciplinari implicate da un oggetto di studio unitario, e posseduti, magari, da una solapersona.In effetti la ricomposizione del sapere per lo studio della vita sociale presuppone che, innanzitutto,tale ricomposizione avvenga nelle persone impegnate nel generare influenze educative verso lenuove generazioni.L’idea della ricomposizione del sapere proposta dal punto di vista interdisciplinare è benevidenziata da un vecchio e ragionevole detto popolare il quale asserisce che “…una persona nonpuò aspirare a diventare un buon maestro di vita se la vita di cui intende diventare maestro non èstata vissuta e sperimentata in prima persona, proprio da tale persona…”.“(…) A proposito allora di quale criterio organizzativo sia opportuno adottare per una diversaattribuzione delle azioni educative agli insegnanti, si può qui far riferimento ad una linea ditendenza che consenta di sperimentate e di consolidare attribuzioni in grado di coprire, quanto piùpossibile nel tempo, l’ambito dei saperi disciplinari implicati dai diversi obiettivo formativi unitarie riferiti ai diversi ambiti di vita sociale (…) Ciò sta a significare che se l’azione educativainterdisciplinare intende operare ad esempio sull’ambito di vita sociale di tempo libero, perinfluenzare determinati allievi verso il godimento dell’arte teatrale, anche quella praticata da lorostessi, in alternativa alle notti passate in discoteca, occorre che l’insegnante disponga dellecompetenze per godere e praticare egli stesso, prima degli allievi, l’ideazione e l’allestimento diuno spettacolo teatrale. Ma in queste righe si può solo, a titolo esemplificativo, stimolare il lettoread immaginare verso quanti altri obiettivi formativi, oltre a quello dell’educazione al godimentodell’arte teatrale, sia possibile indirizzare l’utilizzo del teatro come strumento di apprendimentointerdisciplinare, quali quelli, ad esempio, del favorire la scoperta della propria identità (i ruoliinterpretati, l’uso espressivo della propria voce, del proprio corpo etc.), quelli di uno studio miratoe consapevole della storia, della letteratura, della musica, dell’italiano, etc., ma anche quelli

33

relativi allo studio e alla pratica delle regole della convivenza civile. Ma si immagini anche lecompetenze che deve acquisire un gruppo ristretto di insegnanti che debbano, con i loro allievi,simulare l’attuazione dell’azione dell’ente locale per una adeguata gestione del territorio ove operila scuola, oppure ancora, produrre una pubblicazione competente, e la sua presentazione pubblica,sulle problematiche e sugli aspetti tecnici relativi al processo di gestione delle acque nello stessoterritorio, anche attraverso visite guidate, tirocini formativi, etc, nelle sue fasi di azioni tipiche,dalla captazione delle risorse idriche, al loro accumulo, alla loro potabilizzazione e distribuzione,al loro collettamento, alla loro depurazione e smaltimento; si immagini anche, in quest’ultimocaso, tutte le possibili problematiche che possono essere affrontate, secondo la logica della “teoriadell’interesse”, nello studio delle condizioni di vita di popolazioni che non possono godere diquesto prezioso e indispensabile bene naturale, in vista appunto della generazione di influenzeeducative sull’utilizzo oculato dell’acqua, oltre che nel proprio territorio, anche nel proprio ambitodi vita famigliare quotidiana.In questa logica formativa processuale non solo la scuola deve superare la sua autoreferenzialità, apartire, come si è visto, dal superamento dell’autoreferenzialità delle singole discipline di studio,per aprirsi al territorio e al mondo reale, ma deve anche porsi il problema di come i suoi giovaniallievi possano acquisire le competenze per poter, a loro volta, una volta divenuti adulti, generareconsapevolmente le influenze educative (enucleate) verso i propri figli e verso il mondo dei giovaniin generale; si può allora pensare ad una scuola che prenda esempio dai criteri educativi utilizzatidagli oratori nell’organizzazione dei centri ricreativi estivi (CRE), nell’ambito dei quali gruppi digiovani adolescenti prendono in carico la gestione di attività ricreative rivolte ad adolescenti piùgiovani o rivolte a bambini. Cosa vieta ad esempio alle scuole di un territorio, organizzate nellalogica di campus, che gli allievi di una scuola superiore possano fornire supporti educativi agliallievi di una scuola media, e che, a loro volta, questi stessi allievi della scuola media, possanofornire supporti educativi agli allievi di una scuola elementare, per prepararsi, consapevolmente,in questo modo, a diventare, nel tempo, “maestri di vita”. Con queste modalità educative, forse, sipotrebbe tentare, già da subito, di arginare le deteriori influenze educative generate tra “pari”, aproposito delle forme di violenza e di bullismo presenti nella scuola, oramai quotidianamenteevidenziate da giornali e da televisioni; atteggiamenti e comportamenti assolutamente contrari allepiù elementari regole di convivenza civile che sicuramente non possono essere riconvertiti, inpositivo, utilizzando esclusivamente misure punitive, che rischiano di generare, laddove sonoutilizzate fine a sé stesse, effetti pigmalione in negativo (vedi implicazioni generate dal fatto chel’allievo si viene a configurare, oltre che come soggetto, mezzo e oggetto della trasformazioneformativo, anche come oggetto di studio) (…)”.39

Si considerino, nella seguente figura, le implicazioni operative che comporta l’adozione dei criteriorganizzativi del punto di vista interdisciplinare.

39 P. Roncalli, “ Scuola convivenza civile e rendimento scolastico: vuoto educativo a priori, punizioni a posteriori.Forse l’alternativa è da ricercare altrove”, da richiedere a [email protected]

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Fig. 16

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abcd

abcd

disciplina a

disciplina b

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINAREUNITÀ DEL SAPERE:

campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

PARCELLIZZAZIONE DEL SAPERE:campi d’azione monodisciplinari

separazionetra

teoria/pratica

PARADIGMA ORGANIZZATIVOLOGICA DEL SISTEMA CHIUSO: CRITERI

•Scomposizione del sapere in saperidisciplinari;• Attribuzione stabile dei saperi disciplinaria singoli docenti;• Separazione tra teoria della scuola e lapratica della vita sociale;• Addestramento allo studio cumulativomnemonico/nozionistico dei saperidisciplinari;• …

PARADIGMA ORGANIZZATIVOLOGICA PROCESSUALE: CRITERI

• Ricomposizione del sapere in oggetti distudio unitari concernenti la vita sociale• Tirocini formativi di vita sociale perdocenti• Ricomposizione delle attribuzioni aidocenti non per discipline ma perobiettivi formativi unitari;• L’azione formativa come mezzo perl’azione orientativa;• …

Il paradigma organizzativo, pedagogico e valoriale del punto di vista interdisciplinare.

In questo paragrafo vengono considerati, pur brevemente, gli aspetti paradigmatici del punto divista interdisciplinare, sia per quanto concerne gli aspetti pedagogici che quelli organizzativi,avendo presente le due dimensioni che si debbono mutuamente adattare in qualsiasi processoformativo per ottenere risultati di apprendimento, appunto l’azione di insegnamento e l’azione diapprendimento; aspetti già affrontati a proposito due parole di Unità e di Apprendimento contenutenella definizione dello strumento metodologico delle Unità di Apprendimento (UdA).A proposito dell’azione di insegnamento e come questa, adottando il punto di vistainterdisciplinare, debba riportare al centro dello studio, ricomponendo i saperi disciplinari e lateoria con la pratica, la vita sociale, torna più che mai attuale il riferimento al punto di vistaeducativo proposto dal Dewey, la sua “Teoria dell’interesse”, con la quale l’autore propone appuntola ricomposizione tra i “segni” (le conoscenze) e le “cose” (la vita).Ed è in questa ricomposizione tra “segni”, da lui definiti come “l’esperienza indiretta”, e le“cose”, da lui definite come “l’esperienza diretta”,40 che è possibile trovare una corrispondenzacon la parola Unità contenuta nella definizione di Unità di Apprendimento (“dal fare”, al “rifletteresul fare”).A proposito dell’esperienza che ogni persona matura nel corso della sua vita sociale egli propone, aifini della riflessione e in vista della sua proposta pedagogica, la distinzione (non la separazione) tral’esperienza diretta e l’esperienza indiretta: “…altro è essere stati in guerra, aver condiviso i suoipericoli e le sue privazioni, altro leggerne o sentirne parlare…”. Nell’ammettere che gran parte

40 J. Dewey, “Valori educativi”, in Democrazia e educazione”, p. 297

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della nostra esperienza è indiretta il Dewey afferma che essa “…dipende dai segni che intervengonofra le cose e noi stessi…l’intero linguaggio, tutti i simboli, sono strumenti di un’esperienzaindiretta…in parole tecniche, l’esperienza procurata per mezzo loro è mediata…”; afferma poi chel’esperienza indiretta “…è in contrasto con l’esperienza diretta, immediata, con cui noi prendiamoviva parte di prima mano, invece che attraverso mezzi rappresentativi…”, ma subito dopo prende ledifese dell’esperienza indiretta perché “…se non fosse per l’intervento di agenti che rappresentanocose assenti e lontane, la nostra esperienza rimarrebbe quasi al livello di quella dei bruti…ognipasso dallo stato selvaggio dipende dalle invenzioni dei mezzi che allargano il dominiodell’esperienza immediata, collegandola con cose che possono essere soltanto significate esimboleggiate…”.41 Ma ciò che il Dewey intende affermare non è alcun primato assoluto, né delle“cose” (l’esperienza diretta), né dei “segni” (l’esperienza indiretta), ma ribadire la necessità dellaloro compresenza nell’azione educativa.Dopo aver ribadito l’importanza dei “segni” in rapporto alle “cose” egli procede ad esplicitare lasua critica: “…allo stesso tempo vi è sempre il pericolo che i simboli non siano realmenterappresentativi, il pericolo che invece di evocare la cosa assente o remota in modo da introdurlanell’esperienza viva, i mezzi linguistici di rappresentazione diventino fine a sé stessi…l’educazioneformale è particolarmente esposta a questo pericolo col risultato che quanto l’analfabetismo èvinto, troppo spesso lo studio diventa libresco, o, come popolarmente si dice, accademico…”.42

Ma il Dewey, nelle sue argomentazioni, sposta poi l’attenzione sull’altro aspetto del processoformativo, cioè l’allievo e la sua intenzionalità, quando, in risposta alla critica che i sostenitori della“teoria dello sforzo” rivolgono alla “teoria dell’interesse”, egli risponde che “…bisogna ricordareche l’intento fondamentale non è di divertire o di trasmettere informazioni col minimo di fastidio(…) ma di allargare e arricchire il dominio dell’esperienza, e di mantenere vigile ed efficacel’interesse per il progresso intellettuale…”.43

A proposito del problema del “rendimento scolastico” disciplinare, può risultare sicuramente utile,come esempio paradigmatico valevole per tutte le discipline, riportare la posizione integrale delDewey sullo studio della matematica: “(...) si dice che la matematica ha per esempio un valoredisciplinare perché abitua l’allievo all’accuratezza di definizione e alla stringatezza delragionamento; che ha un valore utilitario in quanto dà la padronanza delle arti del calcolo chefanno parte del commercio e delle arti; un valore culturale perché amplia l’immaginazione inquanto indaga i rapporti più generali delle cose; e anche un valore religioso nel suo concettodell’infinito e di idee con esso connesse. Ma evidentemente la matematica non giunge a questirisultati perché è dotata di facoltà miracolose chiamate valori; ha questi valori se e quandoperviene a questi risultati e non altrimenti. Quelle affermazioni possono aiutare il maestro aottenere una visione più larga dei possibili risultati che può produrre l’istruzione nelle materiematematiche. Ma disgraziatamente la tendenza è di ritenere che con tali affermazioni si indichinopoteri intrinseci alla materia, operino essi o no, dando così ad esso una giustificazione rigida. Senon operano, la colpa non è attribuita al modo in cui è insegnato l’argomento, ma all’indifferenzao alla refrattarietà degli allievi…”.44

Conclude poi esplicitando la sua posizione progettuale sostenendo che “…il modo di renderpossibile a uno studente di capire il valore strumentale dell’aritmetica non è già di predicargli ilbeneficio che gliene verrà in un remoto e incerto avvenire, ma di lasciargli scoprire che il successoin qualcosa in cui è interessato dipende dall’abilità di usare i numeri…”.45

In linea con quest’ultimo pensiero è sicuramente utile ricordare l’esempio dell’apprendistapanificatore già richiamato visivamente con i due ovali tratteggiati (vedi pp. 21, 22), a proposito deidue livelli di conoscenze matematiche implicate nella fase della dosatura degli ingredienti, il primo

41 J. Dewey, “Valori educativi”, in Democrazia e educazione”, op. cit., p. 29842 J. Dewey, “Valori educativi”, in Democrazia e educazione”, op. cit., p. 29843 J. Dewey, “Valori educativi”, in Democrazia e educazione”, op. cit., p. 300.44 J. Dewey, “La valutazione degli studi”, in “Democrazia e educazione”, op. cit. pp. 315, 316.45 J. Dewey, “La valutazione degli studi”, in “Democrazia e educazione”, op. cit. pp. 308, 309.

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per indicare l’utilizzo del calcolo proporzionale, il secondo, più grande, per indicare un campod’azione più complesso, in quanto implicata la conoscenza di algoritmi più complessi per poterprocedere nel calcolo del coefficiente di ponderazione degli ingredienti.Dopo aver ribadito l’importanza del rapporto tra i “segni” e le “cose” (se si riflette bene staparlando di unità del sapere - la U della UdA), il Dewey ribadisce l’importanza dell’interesse e dellapartecipazione al processo educativo: “…nel linguaggio comune la frase ‘senso di parcecipazione’è adoperato per esprimere l’urgenza, il calore e l’intimità di un’esperienza diretta in confronto allaqualità remota, pallida e freddamente distaccata di un’esperienza per rappresentazioni…”;46 ed è aquesto punto che il Dewey, come si è già ricordato a proposito del “pericolo educativo” (vedi p. 24),esprime e propone il suo “prima” e il suo “dopo” dell’azione educativa, ribaltando, senza operareseparazioni, la logica comportamentista del “prima teorico”, tutto scolastico, e del “dopo pratico”della vita sociale: “…prima che l’insegnamento possa cominciare senza pericolo a trasmettere fattie idee attraverso la mediazione dei segni, la scuola deve procurare situazioni genuine nelle quali lapartecipazione personale faccia toccare con mano l’importanza del materiale e dei problemi chetrasmette (…) dargliene ‘il senso’ (…) ”; (“situazioni genuine” = U della UdA – “dargliene ilsenso” = A della UdA).Per quanto concerne il valore da attribuire più in generale agli studi afferma che “…quandoconfrontiamo gli studi per quel che concerne il loro valore, cioè li consideriamo mezzi versoqualcosa che li trascende, il criterio esatto di valutazione emergerà appunto dalla situazionespecifica nella quale dovranno essere usati..”, cioè la loro efficacia nell’ambito dei processi dicooperazione sociale; ed è proprio nell’affermare il criterio di valutazione degli studi che il Dewey ,nel riferirsi alla situazione nella quale gli studi dovranno essere usati, ripropone con forzal’attenzione metodologica e sostantiva alla vita sociale come oggetto unitario di studio(interdisciplinare – la U della UdA).Di nuovo lo stesso Dewey aiuta a comprendere il perché, nella scolastica tradizionale, qui definitacome punto di vista monodisciplinare, non si tiene “(…) nel debito conto la necessità di adattarsi aibisogni e alle attitudini degli individui risale all’idea che certe materie di studio e certi metodisiano intrinsecamente culturali o intrinsecamente buoni per la disciplina mentale. L’idea che certioggetti di studio e certi metodi e che la conoscenze di certi fatti e di certe verità posseggono valoreeducativo in sé e per sé è la ragione per cui l’educazione tradizionale ha ridotto in gran parte ilmateriale dell’educazione ad una dieta di materiali predigeriti. Sulla base di questa idea, si ècreduto che bastasse regolare la quantità e la difficoltà del materiale offerto secondo un piano digradualità quantitativa, di mese in mese e di anno in anno. Si è supposto che l’alunno l’avrebbepreso in base alle dosi prescritte dall’esterno. Se egli si rifiutava di prenderlo, se disertavafisicamente la scuola, se la disertava mentalmente col fantasticare (vedi gli attuali problemi didisattenzione rappresentati nella fig. 8) e finalmente mostrava un senso di ripugnanza perl’argomento di studio, lo si imputava a colpa sua. Nessuno si chiedeva se l’inconveniente nonrisalisse alla materia offerta e al modo in cui veniva offerta.”47

L’autore propone poi la sua visione processuale del processo educativo in quanto appunto relazionedi mutuo adattamento tra l’azione degli educatori e l’azione degli allievi: “Il principiodell’interazione ci fa intendere che il mancato adattamento del materiale (l’azione dei docenti) aibisogni e alle attitudini degli individui può provocare una esperienza non educativa quanto ilmancato adattamento di un individuo al materiale”.48

Questi continui riferimenti tra i “segni” e le “cose”, per configurare l’inscindibilità tra teoria epratica, e quindi l’unità del sapere, e il continuo riferimento all’effettivo interesse che l’oggetto distudio genera nell’intenzionalità dell’allievo per generarne il suo apprendimento, ragionevolmente

46 J. Dewey, “Valori educativi”, in Democrazia e educazione”, op. cit., p. 29847 J. Dewey, “Criteri dell’esperienza”, in “Esperienza e educazione”, op. cit. pp. 31.48 J. Dewey, “Criteri dell’esperienza”, in “Esperienza e educazione”, op. cit. pp. 31.

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consente e autorizza a trovare una corrispondenza tra il contributo di questo autore e la valenzametodologica dello strumento dell’Unità di Apprendimento.

Fig. 17

UNITA’ DI APPRENDIMENTO:gli elementi costitutivi

UNITA’:la configurazione

unitariadell’oggetto di studio

APPRENDIMENTO:l’intenzionalità e le

caratteristichedei singoli allievi

DI

LA RELAZIONE CIRCOLARE E DI MUTUO ADATTAMENTO TRAL’AZIONE DI INSEGNAMENTO E L’AZIONE DI APPRENDIMENTO

Nella scelta del punto di vista organizzativo occorre, ovviamente, far riferimento ai diversicontributi presenti nella letteratura organizzativa, nella quale, non pochi di questi contributi,propongono il criterio per una comparazione proprio dei diversi punti di vista e delle teorie e delletecniche di indagine e di progettazione che da essi ne derivano.B. Maggi,49 al fine di offrire il criterio comparativo per operare la scelta del punto di vista dotatoeuristicamente di maggiore capacità interpretativa (e quindi anche progettuale), propone unaclassificazione nella quale i diversi contributi siano abbinabili, per le caratteristiche dei rispettiviprocedimenti di analisi e di progettazione organizzativa, ai diversi quadri interpretivi che, sotto ilprofilo epistemologico, sono da sempre oggetto di confronto e di scontro nell’ambito della filosofiadella scienza. L’autore perviene in questo modo ad una proposta classificatoria nella quale i diversipunti di vista siano riconducili a tre fondamentali modi di vedere le organizzazioni. Un primopunto di vista, che vede l’organizzazione come un sistema predefinito rispetto ai soggetti, proponedi aggregare tutti i contributi riconducibili ai procedimenti tipici sia della spiegazione causale, cheperviene all’idea di organizzazione come sistema chiuso (il meccanicismo, con la sua attribuzionedi valore assoluto alla progettazione deterministica di fini e di mezzi – il passato), sia dellaspiegazione funzionale, che prefigura invece l’idea di organizzazione come sistema aperto(l’organicismo con la sua attribuzione di valore assoluto ad un dato fine a cui tutto deve essereadattato – il futuro). Un secondo punto di vista, assolutamente antitetico al primo, che vedel’organizzazione come un sistema concreto a posteriori, propone di aggregare tutti i contributi che,

49 B. Maggi, “ Le concezioni di organizzazione” - (note epistemologiche) - in “Razionalità e Benessere”, Etas Libri,Sonzogno 1990, pp. 181-202.

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negando l’idea di un sistema a priori, pongono l’enfasi ed un appiattimento interpretativo al livellodelle strategie soggettive, pervenendo in questo modo, nel negare una pur ipotetica possibilitàinterpretativa del sistema a priori, ad una sorta di razionalità a posteriori, e con essa, ad un sorta ditautologico giustificazionismo interpretativo in un eterno ed infinito presente (il valore assolutodella dimensione temporale del presente). Anche il terzo punto di vista vede l’organizzazione comeun sistema, è però un sistema che non nega, in una logica processuale, né la possibilità di formulareipotesi interpretative e progettuali a priori, né la possibilità di verificare e di regolare in corsod’opera (a posteriori) tali ipotesi; è un sistema quindi che, nel considerare l’organizzazione come unprocesso di decisioni e di azioni orientato allo scopo, non opera la separazione tra soggetti esistema. I soggetti, in quanto soggetti che decidono ed agiscono nel processo organizzativo, siconfigurano essi stessi, nel loro agire cooperativo, come il sistema processuale.Il presupposto epistemologico di questo punto di vista è il procedimento della “spiegazionecondizionale” (M. Weber), attraverso il quale ogni persona, nel suo vivere sociale cooperativo,mette in campo la sua razionalità limitata ed intenzionale (H.A. Simon); in questa prospettiva siammette infatti il limite della razionalità umana, in quanto intenzionale ma pur sempre limitata, conla quale ogni persona può, con spirito problematico, essendo consapevole del limite, formulareipotesi interpretative e progettuali a priori, e ammetterne, in corso d’opera, la verifica circa la suaadeguatezza e la sua stessa regolazione. Una ammissione di modestia sulla razionalità umana checonsente di far emergere, proprio in corso d’opera, una sensibilità metodologica di attenzione allepossibili variabili che sicuramente sono sfuggite nella formulazione dell’ipotesi progettuale a priori;in questo risiede il punto di forza di questo punto di vista epistemologico. Tutto questo in uncontinuo processo circolare di decisioni e di azioni nel quale, il rapporto di influenza tra ledimensioni temporali della vita passata, della vita presente e della vita futura, non presenta alcunasoluzione di continuità.La distinzione su cui si è gia argomentato tra formazione enucleata e formazione non enucleata,deriva proprio dall’idea di organizzazione come processo di decisioni e di azioni orientato alloscopo; attraverso il concetto di formazione enucleata questa concezione organizzativa ammette cheuna parte di tempo di vita dei soggetti possa essere enucleata dal processo sociale, per esserededicata all’apprendimento proprio delle competenze che sono richieste per una adeguata econsapevole azione cooperativa nell’ambito dei diversi ambiti di vita dello stesso processo sociale,in sostanza una enucleazione dal processo per lo studio del medesimo processo; in tal senso si puòallora parlare di oggetti unitari di studio e, in quanto tali, interdisciplinari: lo studio della vitafamigliare, della vita affettivo sentimentale, della vita sessuale, della vita di tempo libero (gioco,sport, arte, musica, teatro, etc.), della vita lavorativa (orientata alla produzione dei beni o di servizi),della vita politica, della vita religiosa, della vita di volontariato, etc.In questa diversa configurazione dell’oggetto di studio i diversi saperi disciplinari sono indotti asuperare la logica della separazione/parcellizzazione di educazione e di istruzione e la separazionetra teoria e pratica, per essere riorientati e valorizzati verso una logica di ricomposizione unitaria, equindi interdisciplinare, del sapere.In questo senso l’attenzione ai bisogni formativi del processo, cioè le influenze educative che siintendono generare sulle nuove generazioni per quanto concerne il loro “dover essere” nei diversiambiti di vita sociale, consente la formulazione a priori delle ipotesi sui punti di arrivo del processoformativo; ma in questa logica processuale non possono essere logicamente persi di vista i soggetti,perché sono proprio i soggetti che, con le loro decisioni ed azioni esprimono la loro intenzionalitàcooperativa nei diversi ambiti di vita sociale, compreso l’ambito istituzionale di vita socialeeducativa, nell’ambito della quale, accanto ai docenti che esprimono la loro intenzionalità pergenerare le influenze educative verso un determinato “dover essere”, vi sono gli allievi che,attraverso la loro intenzionalità, trasformano “il loro effettivo essere”, o nella direzione di queldeterminato “dover essere”, o nella direzione di altri “dover essere” verso i quali possono averagito influenze educative non enucleate, siano esse scolastiche od extrascolastiche, o verso i qualipossono aver agito altre influenze educative enucleate generate, però, in altri ambiti d’azione

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sociale. Per questa ragione, in un qualsiasi processo educativo, l’intenzionalità del soggetto, con lesue convinzioni, con le sue caratteristiche, con la sua esperienza, con le sue conoscenze possedute,etc., rappresentano i punti di riferimento logici su cui costruire, con lui, in modo consapevole (lapropria identità), le ipotesi sui diversi punti di partenza corrispondenti ai diversi e mutevoli punti diarrivo in cui è ipoteticamente articolato il processo formativo (l’orientamento alla vita sociale inrelazione alla propria consapevole, continua e mutevole identità).La mancata enucleazione di questo obiettivo organizzativo da parte di una qualsiasi persona cheintenda generare influenze educative su altre persone è indicatrice, se si ragiona secondo la logicadel sistema processuale, di una intenzionalità educativa “non dotata di senso”, per la sempliceragione che non vi può essere, in questa logica organizzativa, alcun processo di apprendimento senon a partire dalla sincera ed onesta intenzionalità del soggetto orientata alla trasformazione di séstesso, in vista di una sua partecipazione attiva, consapevole e competente, nei diversi ambiti di vitasociale.Le ultime argomentazioni consentono di rilevare il riferimento valoriale di questa logicaorganizzativa processuale, nella quale il soggetto in apprendimento “costruisce sé stesso” (sia comeoggetto della trasformazione formativa, sia come oggetto di studio) senza essere indotto acontraffare, per conseguire il “successo formativo” (la promozione sociale della persona), larelazione tra fini e mezzi; cosa che invece è normale che accada, come si è già rilevato, se ci sicolloca nella logica organizzativa comportamentista del sistema chiuso, la quale consegue, con glistrumenti del premio e della punizione, il declassamento delle finalità di apprendimento a mezzi perl’ottenimento del “successo formativo” (la promozione scolastica dell’allievo).In questa direzione di ragionamento appare coerente il richiamo che il De Bartolomeis fa delDewey, quando afferma che “…a lui importa soprattutto quello che il fanciullo è umanamente emoralmente nel processo di apprendimento…”.L’assenza di riferimento all’intenzionalità del soggetto in apprendimento è invece coerente se ci sicolloca nella logica del sistema chiuso (o sistema meccanico) nella quale il progettista, dotato di unarazionalità oggettiva, è in grado di prevedere il tutto, sia i fini che i mezzi; al soggetto inaddestramento, in questo caso, non rimane che assoggettarsi al valore assoluto dell’obbedienza,imposto dall’autorità pedagogica costituita, pena la sua eliminazione dal sistema (l’autoritarismopedagogico).Nella logica del sistema aperto (o sistema organico) l’attenzione al soggetto è invecefunzionalmente utilizzata per generare, attraverso strumenti carismatici, la sua motivazionefunzionale alla ricerca dei mezzi che, meglio di altri, si adattano all’ottimo fine tendenziale tracciatoa priori dal progettista del sistema; in questo caso al soggetto in formazione è richiesta, una voltagenerata la motivazione, la sua identificazione funzionale nel ruolo assegnato e l’assunzioneadattiva dei relativi spazi di discrezionalità e di partecipazione assegnati (il funzionalismopedagogico).Nel sistema concreto a posteriori è invece ribaltata la logica dell’adattamento del soggetto alsistema, ma è la negazione a priori di un qualsiasi sistema, pur processuale, che porta ad una sortadi “sbragamento” adattivo sui singoli soggetti e, con esso, ad una pedagogia concretamente agita ditipo permissivista e giustificazionista.L’applicazione concreta di quest’ultimo punto di vista può essere riscontrato in quei genitori che,per svariate ragioni (mancanza di tempo, di preparazione, etc.), sia per loro più agevole adottarecomportamenti adattivi rispetto a desideri e a comportamenti dei propri figli, lasciandoinconsapevolmente che agiscano, sulla loro educazione, influenze educative non enucleate,piuttosto che porre in essere intenzionalmente la fatica richiesta dalla messa in campo delle proprieinfluenze educative enucleate; si provino allora ad immaginare le conseguenze su molti dei nostrigiovani studenti, schiacciati tra due logiche educative antitetiche, quella della scuola del sistema apriori, quella della famiglia del sistema concreto a posteriori.In tal senso viene qui riproposta l’urgenza di una riflessione orientata alla ricerca di un altro puntodi vista che, nel superare la parcellizzazione del sapere, sia in grado anche di generare coerenti

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alleanze educative tra gli adulti operanti nel mondo della scuola e gli adulti operanti negli altriambiti di vita sociale, a partire, ovviamente, da quello di vita famigliare.A proposito del passaggio da un paradigma pedagogico ad un altro, si considerino ora alcuni brevispunti di riflessione sulle implicazioni organizzative che comporta il passaggio da una logicatayloriana ad una logica processuale, avendo presente, così come indicato nello schema di seguitoriportato, quanto già evidenziato, pedagogicamente, riguardo ai diversi modi di configurazionedell’oggetto di studio e i diversi modi di considerare (o meno) i soggetti in apprendimento.

Fig. 18

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abc

abc

abc

disciplina a

disciplina b

disciplina c

Unità del sapere:Campi d’azione interdisciplinari

Parcellizzazione del sapere:Campi d’azione monodiscipliari

Punti partenza percorso scolastico:

• inizio programmi disciplinari

Punti arrivo percorso scolastico:

•fine programmi disciplinari

Ipotesi punti partenza processo:

• il soggetto e la sua intenzionalità

Ipotesi punti arrivo processo:

•le influenze educative enucleate

P TU AN YT LO O

RD II A

NV OI

STA

P PU RN OT CO E

SD SI U

AV LI E

STA

Nello schema sono visualizzati, attraverso le frecce tratteggiate, la logica attraverso la qualevengono generati i rispettivi campi d’azione dei due punti di vista in questione; nel primo caso,come si è già ampiamente dimostrato, si tratta di un numero di campi d’azione (disposti inparallelo) corrispondente al numero delle discipline previste in un dato piano di studi; nell’ambito diogni campo d’azione le conoscenze monodisciplinari sono disposte, propedeuticamente ed in modoprescrittivo, in sequenza lineare e cronologica solo per “segni”, una dopo l’altra, dall’inizio fino altermine del programma. Gli allievi sono considerati, dall’inizio alla fine del programma, inrelazione al loro maggiore o minore rendimento scolastico in termini di accostamento/scostamentodall’apprendimento nozionistico di tali programmi di studio, misurato, volta per volta, attraversoindicatori numerici e, nel loro risultato finale/totale, attraverso la media aritmetica degli indicatorinumerici meritati volta per volta da ogni singolo allievo.I campi dell’azione educativa interdisciplinare sono invece rappresenti, nello stesso schema, dafigure ovali tratteggiate di dimensioni sempre maggiori per indicare campi d’azione che, via via,richiedono l’intervento di livelli di conoscenza maggiori per poter conseguire la finalità riferita adun determinato ambito d’azione sociale, configurato come fine educativo (la “scuola di vita”); sirammenti, a titolo esemplificativo, l’esempio dell’apprendista panificatore e i diversi gradi diautonomia che può conseguire nella sua attività professionale l’apprendimento del calcolodirettamente proporzionale e l’apprendimento dei calcoli implicati per l’ottenimento del coefficientedi ponderazione degli ingredienti.

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L’utilizzo delle figure ovali tratteggiate a dimensione crescente, all’interno quale sono richiamati, alivelli sempre maggiori, i diversi contributi disciplinari con le lettere A-B-C, intende sinteticamentevisualizzare la possibile applicazione del punto di vista pedagogico del Dewey, cioè un adeguato edequilibrato rapporto tra l’esperienza diretta sulle “cose” (l’ovale tratteggiato) e l’esperienza indirettadi riflessione speculativa su di essa, attraverso lo studio dei “segni” (i diversi contributi disciplinariraffigurati dalle lettere A-B-C). La differenza con la logica tayloriana consiste nel fatto che nellalogica processuale chiunque può cogliere “il senso” di ogni singolo contributo disciplinare, maanche, si possono cogliere, le relazioni di senso che si instaurano tra i diversi contributi disciplinariche sono chiamati a fornire il loro apporto verso la comprensione di un determinato oggetto distudio unitario. E’ attraverso questo aspetto che in questa logica è possibile progettare, in relazionealle diverse fasi dell’età evolutiva dei soggetti in apprendimento, un’azione educativa sulle “cose”(l’esperienza diretta) nella quale l’intenzionalità dei singoli allievi possa essere sinceramente econsapevolmente generata anche sulla riflessione speculativa su di essa, la mediazione dei “segni”(l’esperienza indiretta).In effetti, si potrebbe obiettare, che anche in questa logica educativa può sorgere il problemadell’assenza di motivazione quando sia richiesto un periodo di tempo, magari anche lungo, dadedicare allo studio di conoscenze propedeutiche per la comprensione e l’apprendimento di un datolivello di conoscenza disciplinare implicato da un obiettivo formativo unitario. Innanzitutto èopportuno ribadire la prerogativa pedagogica del punto di vista in questione, cioè il fatto che isingoli allievi debbano essere resi pienamente consapevoli del contributo che i diversi livelli diconoscenze disciplinari forniscono al concreto conseguimento dei risultati previsti dall’obiettivoformativo unitario e, attraverso questa consapevolezza, debbono anche essere resi consapevoli dellivello di autonomia e di affermazione personale che essi possono trarre dal un loro consapevoleapprendimento. Cosicché un allievo adolescente può essere indotto e stimolato allo studio dellamatematica per un dato periodo di tempo, ma tale studio deve garantire allo stesso allievo laconsapevolezza circa il contributo che da esso può riceve per sviluppare la propria autonomiadecisionale e operativa in un dato ambito d’azione sociale.Ma il riferimento alle diverse fasi dell’età evolutiva dei soggetti in apprendimento può suggerire uncriterio progettuale attraverso il quale considerare il rapporto esistente tra un dato obiettivoformativo unitario e l’entità delle conoscenze propedeutiche relative ai diversi apporti disciplinariimplicati nel suo perseguimento; se si considera che sotto il profilo teorico speculativo si puòammettere la plausibile ipotesi che al crescere dell’età evolutiva può corrisponde una maggiorematurità della persona, si può allora adottare il criterio progettuale secondo il quale l’entità delleconoscenze propedeutiche richieste per conseguire lo specifico apprendimento dei livelli diconoscenza disciplinari implicati da un oggetto di studio unitario, possa essere via via incrementataproprio al crescere dell’età evolutiva e, ovviamente, possa essere via via ridotta al decresceredell’età evolutiva dei soggetti in apprendimento.In ogni caso risulta evidente la differenza tra una prospettiva pedagogica che non si pone ilproblema di garantire agli allievi apprendimenti per loro dotati di senso, rispetto ad una prospettivache, al contrario, non può sopportare, nei suoi fondamenti epistemologici, l’assenza di intenzionalitàall’apprendimento proprio in quei soggetti a cui siano indirizzate azioni educative per generare,consapevolmente in loro, determinate influenze educative .Nella logica processuale, come si è già argomentato, non vi sono certezze a priori che possanogarantire un progettazione ottima e, in quanto tale, immodificabile, bensì, si parla e si ragionaproblematicamente, con adeguata modestia interpretativa e progettuale, di ipotesi di punti di arrivodel processo, cioè le ipotesi sulle influenze educative da generare nel processo, e di ipotesi sui puntidi partenza del medesimo processo, cioè la effettiva intenzionalità della persona in apprendimentodurante il medesimo processo.Il carattere di mobilità dell’ipotesi sul punto di partenza del processo rende logicamente mobileanche l’ipotesi sul punto di arrivo del medesimo processo, generando, in questo modo, attraverso

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azioni di verifica e di regolazione, un processo circolare che non presenta logicamente, e tantomeno concretamente, alcuna soluzione di continuità.Chi sceglie quindi di adottare il paradigma pedagogico-organizzativo processuale deve quindisapere che deve assumersi la fatica deontologica che comporta un’azione educativa orientata edeterminata a “non mollare mai la presa”.Una fatica, quella dell’azione educativa, generata logicamente dal carattere interdisciplinare delprocesso di insegnamento/apprendimento, nel corso del quale gli operatori della scuola, come si ègià più volte ribadito, hanno a che fare con due oggetti di studio, il primo concernente le influenzeeducative di vita sociale, in quanto ipotesi enucleate a priori, che si intendono appunto generare conl’azione di insegnamento, il secondo identificabile nei singoli allievi, osservabile e monitorabile nelcorso della sua effettiva trasformazione formativa ed orientativa; un oggetto di studio “vivo”,quest’ultimo (ogni singolo allievo), che può essere scoperto dagli stessi insegnanti solo in corsod’opera, e che può essere scoperto in positivo anche da sé stesso (l’azione orientativa) propriograzie ai continui e reiterati tentativi di generare la relazione di mutuo adattamento tra l’azione diinsegnamento e l’azione di apprendimento, in vista appunto della effettiva ed irrinunciabilepromozione sociale dei singoli allievi.

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I Larsa: strategie innovative per sperimentare il passaggio da una formazione scolasticamonodisciplinare ad una formazione interdisciplinare.

Avendo presente le caratteristiche dei punti di vista monodisciplinare ed interdisciplinare sipropongono di seguito alcune riflessioni, esemplificazioni, e relativi criteri progettuali, concernenti itipi di Larsa indicati nell’ipotesi di lavoro presentata all’inizio del presente scritto, così comeindicato nella seguente figura.

Fig. 19

1.Recuperi

2.Approfondimenti

3.Passaggi

4.Destrutturati

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abc

abc

abc

disciplina a

disciplina b

disciplina c

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINARE

Unità del sapere:Campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

Parcellizzazione del sapere:Campi d’azione monodisciplinari

Punti partenza percorso scolastico:

• inizio programmi disciplinari

Punti arrivo percorso scolastico:

•fine programmi disciplinari

Ipotesi punti partenza processo:

• il soggetto e la sua intenzionalità,

Ipotesi punti arrivo processo:

•le influenze educative enucleate

E’ oramai da tutti riconosciuto il fatto che nell’ambito dei corsi di qualifica della formazioneprofessionale regionale confluisce un’utenza caratterizzata da minor “vocazione allo studio”, edefinita, tale utenza, nel linguaggio di uso corrente, come “utenza difficile”. Ma negli ultimi anni glioperatori della formazione professionale si sono dovuti ricredere, quando, avendo a che fare con laformazione esterna per apprendisti minorenni (formazione extra aziendale), si sono ritrovati unautenza ben più difficile di quella frequentante i corsi di qualifica; interi gruppi classe di allieviapprendisti maschi, in particolare dei settori edile, meccanico, elettrico e del legno, caratterizzati,oltre che da una ovvia assoluta e totale assenza di motivazione allo studio, dalla normale assunzionedi atteggiamenti “strafottenti” e per niente rispettosi delle minime regole di convivenza civile, oltreche delle più consuete e consolidate regole sociali cosiddette di “buona educazione”.Basta parlare con un qualsiasi operatore della formazione professionale che sia stato coinvolto inquesto ambito formativo per trovare conferma del totale fallimento della scuola nei confronti diquesta utenza. In non poche situazioni, laddove a tali allievi è stata propinata una formazionemonodisciplinare non dissimile da quella scolastica, da essa appunto fuggiti (impreparati) allaricerca di un precoce lavoro, si è giunti anche a forme di ingovernabilità di rapporto tra docenti eallievi e culminate, a volte, in grave manomissione di aule, porte e finestre, caloriferi, ecc.E sono proprio queste esperienze di formazione esterna per apprendisti minorenni che consentonodi dimostrare la veridicità delle affermazioni del Dewey riguardo a quello che l’autore definivacome “(…) apprendimento collaterale” (formazione non enucleata), in particolare quando siriferiva alla “formazione di attitudini durature, di repulsioni” appunto verso lo studio, indebolendo

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“l’attitudine che più importa sia acquisita (…) il desiderio di apprendere” (vedi richiamo integralepag. 29).In tal senso, se si considera il problema dal punto di vista sostanziale, la formazione per apprendistiminorenni può essere configurata, a prescindere da fatto che sotto il profilo formale non vieneutilizzato il termine Larsa, come azione formativa orientata al recupero di deficit formativiconseguiti nell’ambito delle precedenti esperienze formative dell’obbligo scolastico.Nella formazione per apprendisti minorenni sono infatti implicati due decreti ministeriali chedefiniscono gli ambiti disciplinari di studio, così come indicato nella seguente tabella.

Fig. 20

I progetti – ribadendo quanto definito nell’allegato 1 della delibera G.R. (Lombardia) n. 18056del 2 luglio 2004, dovranno prevedere:il modello metodologico-didattico che prediliga l’ “apprendere in situazione” (reale osimulata) e la tensione progettuale a legare il più possibile le attività di aula (formazioneesterna come luogo) con le attività in azienda. In tal senso occorrerà attivare lasperimentazione di modelli organizzativi e metodologie didattiche nuove che propongano unapproccio non “segmentato” in moduli rigidamente preconfezionati, ma capaci di integrarefortemente le aree formative, permettendo di ritrovare e realizzare le dimensioni educative,culturali e professionali di ogni area.

Totale n. 240 ore

Totale n. 120 oreTotale n. 120 ore

n. 8 oren. 8 oren. 104 orePer differenza monteore contenuti trasversali

Almeno 42 ore n. 120

ELEMENTI DICITTADIN.ZA

ATTIVA

ORIENT.TOPROFESS.LE

MODULI AGGIUNTIVIOBBLIGO FORMATVO- competenze linguistiche:lingua italiana, linguainglese- competenze matematiche- competenze informatiche

CONTENUTIPROFESSIONALIZ.TI

CONTENUTITRASVERSALI- competenzerelazionali- organizzazione edeconomia- disciplina delrapporto di lavoro- sicurezza sul lavoro

DM 179/1999 - DM 152/2001

RIFERIMENTI NORMATIVI PER LA RIPARTIZIONE DELLE ORE TRA LE DIVERSE AREE DISCIPLINARI

FORMAZIONE ESTERNA PER APPRENDISTI MINORENNI IN DIRITTO DOVERE DI ISTRUZIONE

Come ben indicato nella tabella il primo decreto ministeriale (DM 179/1999) prevede le n. 120 oredi contenuti trasversali e di contenuti professionalizzanti che debbono essere erogati a favore degliapprendisti maggiorenni; per gli apprendisti minorenni a queste 120 ore vanno aggiunte le n. 120ore contemplate dal secondo decreto (DM 152/2001) e concernenti, in particolare, per n. 104 ore, lalingua italiana, la lingua inglese, la matematica, l’informatica. Per questo specifico monte ore si puòappunto parlare di azioni formative di recupero di deficit di apprendimento conseguiti nelleprecedenti esperienze formative dell’obbligo scolastico (licenza media inferiore e primo annoscuola superiore).E’ interessante notare, nella tabella di cui sopra, il riferimento all’allegato 1 della delibera dellaGiunta Regionale della Regione Lombardia (n. 18056) del 2 luglio 2004, nel quale viene indicato“un modelo metodologico-didattico che prediliga l’apprendere in situazione (reale o simulata) e latensione progettuale a legare il più possibile le attività di aula con le attività in azienda”; già inquesta affermazione viene data l’indicazione di “legare il più possibile” l’azione formativa esternaall’azienda, con “le attività in azienda”, indicando, in questo modo, nell’azione sociale lavorativa,una configurazione unitaria dell’oggetto di studio. Ma ancora, il medesimo allegato, come sopra

45

riportato, nel fornire l’indicazione concernente il superamento di “un approccio segmentato inmoduli rigidamente preconfezionali”, ma capaci di integrare fortemente le aree formative…”,appare proprio indicare il superamento di un approccio monodisciplinare, a favore di unapproccio interdisciplinare.Le indicazioni di questo allegato hanno rappresentato, in alcune situazioni, proprio il puntod’appoggio istituzionale per sperimentare, a proposito di recuperi di deficit di apprendimento, maanche a proposito di approfondimenti concernenti determinati ambiti di vita sociale lavorativa, unaesperienza formativa caratterizzata secondo i criteri di una didattica interdisciplinare.

Fig. 21

1.Recuperi

2.Approfondimenti

3.Passaggi

4.Destrutturati

UNITA’ DI APPRENDIMENTO:

una distinzione:

UNITA’L’OGGETTO DI STUDIO:

La sua configurazione unitariagenerata dallo studio

della vita sociale

APPRENDIMENTOIL DISCENTE:

la sua intenzionalità, le suecaratteristiche, le sue

aspettative, ecc.

DI

abcd

abcd

abcd

abcd

• OGGETTO TRASFORMATO/

LA SUA NATURA UMANA:la trasformazione delle sue conoscenze possedute

in nuove conoscenze.

• MEZZO PER L’APPRENDIMENTO:le sue funzioni cognitive, percettive, motorie.

• OGGETTO DI STUDIO:in positivo o in negativo l’allievo costruisce la percezione

di sé.

• SOGGETTO DELL’APPRENDIMENTO:la sua intenzionalità – le sue decisioni ed azioni.

CONFIGURAZIONE ANALITICA

DEL SOGGETTO IN APPRENDIMENTO

Relazionedi mutuo

adattamento

La messa in campo di intenzionalitàper generare influenze educative

Si consideri che nella formazione per apprendisti non è previsto l’utilizzo della strumentazionedocimologica per premiare o punire, con belle o cattive valutazioni, i risultati di apprendimento; glioperatori che hanno a che fare con questa utenza, possono contare solo sull’effettivo interesse chepuò generare l’oggetto di studio da esso progettato; un oggetto di studio che, nel generare a seguitodel suo apprendimento (l’allievo in quanto soggetto, mezzo e oggetto della trasformazione) unapositiva percezione di sé (l’allievo in quanto, esso stesso, oggetto di studio), può generaresuccessive enucleazioni di intenzionalità verso ulteriori, più approfonditi e qualificatiapprendimenti.L’esempio che si intende di seguito commentare riguarda una significativa esperienza realizzatanella formazione per apprendisti minorenni (ma anche maggiorenni) del settore impianti elettrici;esperienza che ha consentito di conseguire, trattandosi appunto di un oggetto di studio strettamenteconnesso all’esperienza lavorativa e dopo un periodo di giustificato e ampiamente previstopregiudizio da parte di tali giovani apprendisti per il fatto di dover tornare tra i banchi di scuola,risultati più che soddisfacenti in termini di recupero del “…desiderio di apprendere…”, grazieanche ad un continuo e costante rapporto con i tutor e titolari delle stesse aziende, e non poche voltecon i genitori degli stessi apprendisti minorenni. Si consideri che l’esperienza in questione, inquesto specifico settore, pur partendo originariamente da 3 gruppi classe, si è protratta fino allosvolgimento di una terza annualità per quei giovani lavoratori che, nei tre anni in questione, hannomantenuto la configurazione contrattuale di lavoratori apprendisti.

46

Il primo aspetto che si intende sottoporre all’attenzione è lo strumento didattico attraverso il quale èpossibile fornire una visione unitaria (ologrammatica) dell’oggetto di studio; nel caso specificol’oggetto di studio è unitariamente ben raffigurato dalla mappa logica di seguito propostaall’attenzione, e concernente appunto il processo di installazione di impianti elettrici civili.

Fig. 22

PROCESSO DI INSTALLAZIONE IMPIANTI ELETTRICI CIVILIAZIONI PRIMARIE

FASE AACQUISIZIONECOMMITTENZA

FASE BAPPRONT.TOPROGETTO

COSTRUTTIVO

FASE CAPPROVVIG.TO

MATERIALI

FASE DINSTALLAZIONE

IMPIANTI

FASE ECOLLAUDO E

CERTIFICAZ.NEIMPIANTI

• INSTAUR.NERELAZIONECOMMERCIALE

•CONFIGURAZ.BISOGNOCLIENTE

•PREDISPOSIZ.PREVENTIVO

•DEFINIZIONE EFORMALIZZAZ.CONTRATTOD’OPERA

•INTERPR.NEPROGETTO

•REALIZZ.NEDISEGNOCOSTRUTTIVO

•VALUTAZIONEBISOGNI DIAPPROVVIG.TO

•VALUTAZIONECONDIZIONI DIACQUISTO

•ACQUISTOMATERIALI ESEMILAVORATI

•VERIFICA QUALITA’MATERIALI ESEMILAVORATI

•IMMAGAZZINAM.

•INTERPR.NEDISEGNO COSTRUT.VO

•DETERMINAZ.PROGR.MA LAVORO

•TRACCIATURA

•POSA TUBI E SCATOLE

•INFILAGGIO

•INSTALLAZIONEFRUTTI ECOLLEGAMENTI

•INSTALLAZIONEQUADRO ELETTRICO

•VERIFICHESECONDO LEGGE46/90

•COLLAUDO

•DICHIARAZIONECONFORMITA’

AZIONI ACCESSORIEDIMENSIONAMENTO: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE, PERSONALE.

MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE;PULITURA: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE

AZIONI AMMINISTRATIVE: CONTABILITA’ PERSONALE, CLIENTI E FORNITORI, FISCALE, GENERALEAZIONI FORMATIVE

VISIONE UNITARIA (GENERALE E PARTICOLARE) ED INTERDISCIPLINAREDEL PROCESSO DI LAVORO OGGETTO DI STUDIO

LIVELLI C

ONTRIB

UTI

DISC

IPLIN

AA

LIVELLI CONTRIBUTIDISCIPLINA B

LIVELLI CO

NTR

ITUTI

DISC

IPLINA

G

LIVELLI CO

NTRIB

UTI

DISCIPLIN

AC

LIV

EL

LIC

ON

TR

IBU

TI

DIS

CIP

LIN

A…

LIVELLI CONTRIBUTI DISCIPLINA F

LIVELLI C

ONTR

IBUTI

DIS

CIP

LINA

E

LIV

EL

LI

CO

NT

RIB

UT

ID

ISC

IPL

INA

D

Nella mappa sono indicate le diverse fasi di azioni primarie, quelle cioè in grado di rendere evidentela tipicità di un dato processo (vedi fasi A, B, C, D, E), e le fasi di azioni accessorie, le cuicaratteristiche tipiche le rendono comuni ad un qualsiasi altro processo, quali appunto quelle per ildimensionamento dei locali, delle attrezzature, del personale, ecc., quelle per la manutenzioneordinaria e straordinaria, ecc..La mappa sopra riportata consente di evidenziare le “relazioni di senso” esistenti tra le diverseazioni contemplate in una fase generale del processo, vedi ad esempio la relazione logica esistentenella fase D (installazione impianti) tra le azioni di interpretazione del disegno costruttivo, dideterminazione del programma di lavoro, di tracciatura, ecc., ma la medesima mappa consenteanche di cogliere le “relazioni di senso” esistenti tra le stesse fasi generali del medesimo processo;ed è attraverso questo strumento che l’apprendista deve essere messo nella condizione di rileggere,durante il percorso formativo, la sua concreta esperienza lavorativa, ed aggiungere ad essa,attraverso l’apprendimento dei livelli di conoscenze relative alle diverse fasi del processo di lavorooggetto di studio, ulteriori e più qualificati livelli di autonomia decisionale e d’azione.A proposito dei Larsa di approfondimento, vengono di seguito proposte due figure che consentonodi evidenziare due esempi di approfondimento concernenti l’azione di configurazione del bisogno

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del cliente (vedi fase generale A) e l’azione di valutazione dei bisogni di approvvigionamento(vedi fase generale B).

Fig. 23PROCESSO DI INSTALLAZIONE IMPIANTI ELETTRICI CIVILI

AZIONI PRIMARIE

FASE A: ACQUISIZIONE COMMITTENZA

DEFINIZIONE CARATTERISTICHE IMPIANTO

POTENZA DA INSTALLAREPUNTI LUCEPUNTI DI FORZA MOTRICEPUNTI DI TELEFONIAPUNTI CITOFONICIPUNTI TVQUADRO ELETTRICO

-protezioni da contatti indiretti-protezioni da sovraccarico-protezioni da cortocircuito

LINEA MONTANTE-dimensionamento

IMPIANTO DI TERRA-collegamenti equipotenziali-conduttore di terra-rete di dispersiane-norma CEI 11.8

SCELTA MATERIALIPANORAMICA DI MERCATO

DEFINIZIONEFORMALIZZ.CONTRATTO

PREDISPOSIZ.PREVENTIVO

CONFIGURAZIONE BISOGNO CLIENTEINSTAURAZIONERELAZIONECOMERCIALE

Fig. 24PROCESSO DI INSTALLAZIONE IMPIANTI ELETTRICI CIVILI

AZIONI PRIMARIE

FASE C: APPROVVIGIONAMENTO MATERIALI

ESAME PROGETTO EIDENTIFICAZIONECARATTERISTICHE MATERIALIDA ACQUISTARECAVI

-densità-resistenza elettrica-isolamento elettrico-tensione elettrica-intensità di corrente

INTERRUTTORI PROTEZIONI-corto circuito-sovraccarico-protezione differenziale

FRUTTI-comandi diretti-comandi indiretti

TUBI E SCATOLE-Tubazioni varie (norme CEI64/8)

ILLUMINOTECNICA

IMMAG.MENTOVERIFICAQUALITA’

MATERIALI

ACQUISTOMATERIALI

VALUTAZIONECONDIZIONI DI

ACQUISTO

VALUTAZIONE BISOGNIAPPROVVIGIONAMENTO

Nella tabella di seguito proposta viene invece indicato l’articolazione del piano di studio articolatoin unità di apprendimento (laboratori), i cui oggetti di studio unitari si riferiscono, in modopuntuale, ai diversi aspetti tecnico professionali delle diverse fasi del processo di lavoro oggetto distudio.

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FIG. 25

PIANO FORMATIVO PER APPRENDISTI ELETTRICI (MINORENNI) – UNITA’ DI APPRENDIMENTO

1LABORATORIO DIINSTALLAZIONE

IMPIANTIELETTRICI

2LABORATORIO DIPRIMO SOCCORSO

E SICUREZZA

3LABORATORIO PERLA REALIZZAZIONEDI PREVENTIVI PERAPPROVIGGION.TO

MATERIALI

4LABORATORIO DI

LEGISLAZIONE DELLAVORO

5LABORATORIO SUL

LESSICO DELSETTORE IMPIANTI

ELETTRICI

6LABORATORIO SUL

BILANCIO DELLECOMPETENZE

(curricolo e portfolio)

7LABORATORIO DI

CONVIVENZACIVILE

Laboratoriointerdisciplinare persimulare la realizzazionedi impianti elettrici eper documentare informa multimediale everbale i seguentiaspetti:- analisi delle fasi delprocesso (mappaprocesso)- analisi del disegnocostruttivo- comprensione delleconoscenze dielettrotecnica implicatenei relativi impiantisimulati- l’analisi dei materiali- l’analisi delleprotezioni- la realizzazionedell’impianto

Laboratoriointerdisciplinare per larealizzazione in formamultimediale di unsemplice manuale diconsultazione relativoall’azione di primosoccorso e alla sicurezzanei processi diinstallazione impiantielettrici, avendo comeriferimento gli impiantirealizzati in laboratorio ela personale esperienzadi lavoro.

Laboratoriointerdisciplinare per laelaborazione dipreventivi di spesa perl’approvviginamento dimateriali relativi aprogetti di installazionedi impianti elettrici,attraverso l’utilizzo delfoglio elettronico excel

Laboratoriointerdisciplinare sugliaspetti normativi relativial le diverse fasi delrapporto di lavoro(instaurazione,svolgimento,sospensione, risoluzione)e ai calcoli relativi agliaspetti retributivi e lorodocumentazione informa multimediale everbale

Laboratoriointerdisciplinare per larealizzazionemultimediale del lessicoin lingua italiana e inlingua inglese delprocesso di installazioneimpianti elettrici, avendopresente gli impiantirealizzati in laboratorio ein relazione allapersonale esperienza dilavoro.

Laboratoriointerdisciplinare per lacostruzionemultimediale delportfolio dellecompetenze personali:- in ingresso : 2 ore- in itinere: 12 ore- in uscita: 2 ore

Esperienza concreta esignificativa diconvivenza civile:esperienza di lavorocomune nei laboratoricartotecnica efalegnameria con allievidei corsi Flada(Formazione lavoroallievi diversamenteabili) e riflessione su diessa.

n. 8 ore

- n. 8 ore da cittadinanzaattiva

n. ore 88

- n. 78 ore da contenutiprofessionalizzanti- n. 10 ore daorganizzazione edeconomia

n. ore 44

- n. 18 da sicurezza sullavoro- n. 14 ore da italiano- n. 12 ore informaticatrattamento testi

n. ore 34

- n. 18 da matematica- n. 16 ore dainformatica (excell)

n. ore 20

- n. 10 ore da disciplinarapporto di lavoro- n. 6 ore dacompetenze matemat.- n. 4 competenzeinformatiche

n. ore 30

- n. 6 da italiano- n. 18 da inglese- n. 6 informaticamultimediale

n. ore 16

- n. 8 da orientamentoprofessionale- n. 4 da competenzerelazionali- n. 4 da competenzeinformatiche(trattamento testi)

n. 8 ore

- n. 8 ore dacittadinanza attiva

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I cerchi tratteggiati indicano come ad ogni unità di apprendimento è stato attribuito un monte orepescando dai monte ore previsti dai due decreti ministeriali; si noti come le n. 105 ore relative allalingua italiana, alla lingua inglese, alla matematica, all’informativa, configurabili per questo tipo diutenza proprio come indiscutibili ore di recupero degli apprendimenti, sono state distribuite nelleunità di apprendimento n. 2, 3, 4, 5, invece che essere strutturate come “moduli segmentati” fine asé stessi, in linea appunto con le indicazioni contenute nell’allegato alla delibera di Giunta dellaRegione Lombardia richiamata nelle pagine precedenti.Di seguito viene ora presentato l’esempio della prima unità di apprendimento, il cui oggetto distudio unitario è rappresentato dalla fase lavorativa con cui i giovani apprendisti in questione hannomaggiormente a che fare, cioè fase di installazione di impianti elettrici civili (vedi fase D dellamappa – fig. 22); successivamente verranno brevemente commentate anche le altre unità diapprendimento previste dal piano di studio.La figura di seguito presentata contiene un elenco di possibili sessioni di lavoro di 4 ore cad.,compiute in un locale appositamente predisposto e caratterizzato da due spazi distinti mastrettamente collegati; uno spazio, metà circa dell’aula, nel quale sono predisposti i pannelli dimontaggio di parti di impianti elettrici, un altro spazio nel quale sono presenti i classici banchi discuola predisposti secondo la forma tipica del ferro di cavallo. In ogni sessione di lavoro (due almassimo) deve essere garantita la realizzazione di parti dell’impianto, e la sua documentazionemultimediale in dispense corredate da fotografie, attraverso azioni formative di progettazionedell’impianto, abbozzo del disegno costruttivo, montaggio impianto, comprensione delleconoscenze tecniche di elettrotecnica implicate, studio delle protezioni, studio dei materiali; azioniformative, quelle richiamate, strutturate, volta per volta, secondo relazioni circolari/sequenziali inconsiderazione dei problemi di comprensione e di attenzione dei singoli apprendisti.Un rapporto circolare/sequenziale, quindi, in grado di garantire un costante ed equilibrato rapportotra le “cose” e i “segni”, tra il “fare” e il “riflettere sul fare”.Ovviamente il monte ore di questa unità di apprendimento deve essere attribuito ad un solo docente,superando, in questo modo, la tradizionale attribuzione separata che, il più delle volte, avviene tral’insegnante di elettrotecnica e l’insegnante di laboratorio elettrico.

50

Fig. 26PROGRAMMA DI STUDIO DEL LABORATORIO DI INSTALLAZIONE IMPIANTI ELETTICI CIVILI

N. IMPIANTI A COMPLESSITA’CRESCENTE

AZIONI FORMATIVE INTERDISCIPLINARI DA SVOLGERSI,PER OGNI SIMULAZIONE DI IMPIANTO DA REALIZZARE

IN UNA O PIU’ SESSIONI DI LAVORO DI 4 ORE CAD.

1 PUNTO LUCE INTERROTTO

Progettazione impianto e spiegazione dei relativi concetti di elettrotecnica; Interpretazione disegno; Studio dei materiali; Studio delle protezioni Realizzazione impianto

2 PUNTO LUCE DEVIATO

3 PUNTO LUCE DEVIATO CON 2LAMPADE

IN PARALLELO

4PUNTO LUCE DEVIATO CON 2

LAMPADE IN SERIE

5 PUNTO LUCE INVERTITO

6 PUNTO LUCE INVERTITO CON 4COMANDI

7 PUNTO LUCE COMANDATO DA3 POSTI CON RETE PASSO-

PASSO

8PUNTO LUCE COMANDATO DA

4 POSTI CON RETE PASSO-PASSO

Progettazioneimpianto

Interpretazionedisegno

Studio materiali

Studio protezioni

Realizzazioneimpianto

studioconoscenze

elettrotecnica

DA DOCUMENTARE SECONDOMODALITA’ MULTIMEDIALI

9 IMPIANTO DI CHIAMATA(DA RIPETERE DA 2 A 4 VOLTE)

Progettazione impianto e spiegazione dei relativi concetti di elettrotecnica; Interpretazione disegno; Studio dei materiali Studio delle protezioni Realizzazione impianto

10 IMPIANTI CON L’UTILIZZO DIRETE OCTAL E UNDECAL

(DA RIPETERE DA 2 A 4 VOLTE)

Progettazione impianto e spiegazione dei relativi concetti di elettrotecnica; Interpretazione disegno; Studio dei materiali Studio delle protezioni Realizzazione impianti

11IMPIANTO DI UN PICCOLO

APPARTAMENTONEL QUALE SIANO IMPLICATI

GLI IMPIANTI DI CUI SOPRA

Progettazione impianto e spiegazione dei relativi concetti di elettrotecnica; Interpretazione disegno; Studio dei materiali Studio delle protezioni Realizzazione impianti

12 IMPIANTI DIAPPARTAMENTI/VILLETTE ACOMPLESSITA’ CRESCENTE

Progettazione impianto e spiegazione dei relativi concetti di elettrotecnica; Interpretazione disegno; Studio dei materiali Studio delle protezioni Realizzazione impianti

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La figura di seguito riportata intende riportare l’attenzione sul carattere interdisciplinaredell’esempio proposto, generato da obiettivi formativi unitari che, via via, configurano unacrescente variabilità di campi d’azione concernenti il processo di lavoro oggetto di studio e, inparticolare, concretamente riferibili alle concrete e specifiche problematiche della vita quotidianalavorativa degli allievi apprendisti in questione.In tal senso l’esempio in questione può essere modestamente riferibile alla proposta del Dewey,quando, pur implicitamente, parlando dell’esperienza educativa egli fa riferimento ad una scuolache sia scuola di vita: “Quando l’educazione è concepita in termini di esperienza unaconsiderazione deve dominare chiaramente tutte le altre. Tutto ciò che può essere chiamato materiadi studio, aritmetica, storia, geografia, scienze naturale, deve essere tratto dal materiale cherientra nell’ambito dell’ordinaria esperienza quotidiana. Sotto questo riguardo la nuovaeducazione contrasta nettamente coi procedimenti che muovono da fatti e da verità che sono fuoridell’ambito dell’esperienza di coloro che vengono istruiti, donde sorge il problema di scoprire vie emezzi per portarli nell’esperienza”.50

Fig. 27

1Punto luceinterrotto

2Punto luce

deviato3

Punto lucedeviato con due

lampade inparallelo

4PUNTO LUCE

DEVIATO CON 2LAMPADEIN SERIE

5Punto luce

invertito

Cosa cambia?

LA VARIABILITA’DEL CAMPO D’AZIONE

E con essa i livelli delle conoscenze implicate

Realizzazione impianto

Progettazione impianto,

Studio conoscenze elettrotecnica

Studio materiali

Studio protezioni

Realizzazione disegno/interpretazione

L’azione formativa dell’unità di apprendimento in questione (Uda 1) deve, ovviamente, esserestrettamente correlata con l’UdA n. 6, definita, a proposito appunto della scuola come scuola di vita,come Laboratorio sul bilancio delle competenze della propria vita lavorativa: in entrata, in itinere,in uscita.La figura che segue (Fig. 27) è un esempio di come, attraverso la mappa del processo (la sua visionegenerale e particolare) e le azioni formative extra aziendali svolte secondo una logica laboratoriale,gli allievi apprendisti possono essere aiutati e supportati nel maturare la consapevolezza circa ilivelli di autonomia decisionale e d’azione via via acquisiti nell’ambito della loro vitaprofessionale/lavorativa.In altri termini, così come indicato nella figura, gli allievi sono adeguatamente supportati e messinella condizione di rilevare, rispetto appunto alle diverse fasi di azioni lavorative, le rispettive

50 J. Dewey, “Organizzazione progressiva della materia di studio”, in “Esperienza e educazione”, op. cit. p. 57.

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relazioni di simmetria o di asimmetria esistenti tra le conoscenze richieste per il loro svolgimento equelle effettivamente in loro possesso e, con esse, di riconoscere, sia gli ambiti lavorativi per i quali,essendo in grado di esprimere autonomia decisionale e d’azione, essi sono già competenti (lacompetenza come mezzo), sia gli ambiti lavorativi per i quali, avendo constatato di non essereancora in grado di esprimere autonomia decisionale d’azione, la competenza sia ancora un fine daconseguire.

Fig. 28

AUTOVALUTAZIONE DELL’ALLIEVO APPRENDISTA RIGUARDO AI SUOI LIVELLIDI AUTONOMIA DECISIONALE E D’AZIONE NELL’AMBITO DEL PROCESSO DI LAVORO

“AVENDO PRESENTE LA MAPPA DEL PROCESSO DI LAVORO VALUTALE COSE CHE SAI FARE E LE COSE CHE ANCORA NON SAI FARE”

PROCESSO DI INSTALLAZIONE IMPIANTI ELETTRICI CIVILIAZIONI PRIMARIE

FASE AACQUISIZIONECOMMITTENZA

FASE BAPPRONT.TOPROGETTO

COSTRUTTIVO

FASE CAPPROVVIG.TO

MATERIALI

FASE DINSTALLAZIONE

IMPIANTI

FASE ECOLLAUDO E

CERTIFICAZ.NEIMPIANTI

• INSTAUR.NERELAZIONECOMMERCIALE

•CONFIGURAZ.BISOGNOCLIENTE

•PREDISPOSIZ.PREVENTIVO

•DEFINIZIONE EFORMALIZZAZ.CONTRATTOD’OPERA

•INTERPR.NEPROGETTO

•REALIZZ.NEDISEGNO

COSTRUTTIVO

•VALUTAZIONEBISOGNI DIAPPROVVIG.TO

•VALUTAZIONECONDIZIONI DIACQUISTO

•ACQUISTOMATERIALI ESEMILAVORATI

•VERIFICA QUALITA’MATERIALI E

SEMILAVORATI

•IMMAGAZZINAM.

•INTERPR.NEDISEGNO COSTRUT.VO

•DETERMINAZ.PROGR.MA LAVORO

•TRACCIATURA

•POSATUBI E SCATOLE

•INFILAGGIO

•INSTALLAZIONEFRUTTI ECOLLEGAMENTI

•INSTALLAZIONEQUADRO ELETTRICO

•VERIFICHESECONDO LEGGE46/90

•COLLAUDO

•DICHIARAZIONECONFORMITA’

AZIONI ACCESSORIEDIMENSIONAMENTO: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE, PERSONALE.

MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA : LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE;PULITURA: LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE

AZIONI AMMINISTRATIVE: CONTABILITA’ PERSONALE, CLIENTI E FORNITORI, FISCALE, GENERALEAZIONI FORMATIVE

Fase generaledel processo

Descrivi le azioni lavorative che vedi fare daaltre operatori e che ritieni di essere in grado

di svolgere in autonomia

Descrivi le azioni lavorative che vedi fare daaltre operatori e che ritieni di non essereancora in grado di svolgere in autonomia

Campi d’azioneper i quali l’allievo ritiene di poteresprimere autonomia decisionale

e d’azione

LA COMPETENZACONFIGURABILEGIA’ COME MEZZO

Campi d’azioneper i quali l’allievo ritiene di non

essere ancora in grado di esprimereautonomia decisionale e d’azione

LA COMPETENZA CONFIGURABILEANCORA COME FINE

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L’unità di apprendimento n. 1 si configura sicuramente come strumento di approfondimento ditematiche tecnico-professionali relative al processo di lavoro oggetto di studio. Si considerino ora lecaratteristiche delle altre unità di apprendimento, in particolare le n. 2, 3, 4, 5, le quali,nell’approfondire tematiche tecnico-professionali del medesimo processo di lavoro, utilizzanomodalità per il recupero di apprendimenti relativi all’italiano, all’inglese, alla matematica,all’informatica.Ovviamente il recupero di tali conoscenze disciplinari può essere conseguito in corso d’opera, acondizione che l’obiettivo formativo unitario dell’unità di apprendimento faccia scattare lamotivazione dell’allievo verso il conseguimento di tali finalità e, con essa, la consapevolezza circala strumentalità dell’apprendimento delle conoscenze disciplinari implicate appunto nelconseguimento dell’obiettivo formativo unitario (il conseguimento della sua autonomiadecisionale e d’azione riguardo, in questo caso, ad una specifica fase di azioni sociali lavorative).Si veda, ad esempio, l’unità di apprendimento n. 2, il cui obiettivo, concordato di comune accordonell’incontro congiunto tra tutor aziendali ed apprendisti (nell’ambito delle n. 8 ore di formazioneobbligatoria per tutor aziendali, una sessione della quale è svolta nel medesimo orario di frequenzadegli apprendisti), è quello della produzione di un CD multimediale da parte di ogni singolo allievo,nel quale siano riportate le normative sulla sicurezza relative al processo di lavoro oggetto di studio,con relativa documentazione fotografica anche prodotta nel laboratorio relativo all’UdA n. 1, ladocumentazione multimediale sulle cose da fare e da non fare in tema di “primo soccorso”,corredata anche questa parte dalle fotografie digitali realizzate durante l’intervento del tecnico di untecnico della Croce Rossa con apposito manichino, la formalizzazione di procedure da seguire nellediverse situazioni lavorative che presentano rischi e la relativa produzione di tabelle informative daaffiggere nei luoghi di lavoro in prossimità di tali rischi, ecc.; per quanto concerne il “primosoccorso” gli allievi apprendisti possono essere supportati nella produzione di una sempliceopuscolo multimediale, corredato appunto da immagini illustrative, da distribuire ai propri colleghidi lavoro che illustri, in forma chiara e comprensibile, le cose da fare e le cose da non fare neidiversi casi di infortuni sul lavoro.Il docente a cui è attribuito il monte ore di questa UdA deve avere chiaramente enucleato le suefinalità formative, sia per quanto concerne le influenze che intende generare circa gliapprendimenti di approfondimento, sia per quanto concerne le influenze che intende generare peril recupero di apprendimenti riguardanti l’utilizzo, in forma scritta e orale, della lingua italiana;allora può richiedere ai suoi apprendisti, essendo motivati alla produzione di materiali daconsegnare ai propri colleghi e alla produzione del CD multimediale, di cui alcune parti verranno dalui presentate alla fine del percorso formativo al secondo incontro con i tutor aziendali, dicimentarsi nella scrittura delle informazioni e procedure da seguire nei diversi casi di infortunio, maanche di provare ad illustrare, utilizzando diapositive in power point, la presentazione orale dialcuni suoi personali lavori. Ed è appunto durante lo svolgimento di tali azioni formative che ildocente può intervenire e, sulla base dei rilievi critici rilevati in corso d’opera, supportare l’allievonella correzione scritta e orale delle suoi lavori, argomentando, proprio a partire dagli aspetti criticirilevati, sull’importanza che l’utilizzo corretto dell’italiano in forma scritta e orale puòrappresentare per la sua personale valorizzazione sociale: l’italiano, dunque, come mezzo per il finedella valorizzazione della persona nei suoi diversi ambiti di vita sociale.La medesima cosa vale per l’UdA n. 4 relativa alla legislazione del lavoro, nell’ambito della qualel’apprendista può cimentarsi, dovendo produrre e documentare in una parte del CD multimedialeuno schema di calcolo degli elementi della retribuzione da applicare, su richiesta, anche suoicolleghi di lavoro, nello studio motivato del calcolo direttamente proporzionale, da lui percepitocome noioso ed inutile nella sua precedente esperienza scolastica. Ma anche in questo caso ildocente di legislazione sociale deve fare in modo che l’allievo possa, a partire dalla constatazionedell’utilità della matematica nella vita sociale lavorativa, essere motivato a scoprirne ulteriori e piùcomplessi campi di applicazione.

54

La medesima possibilità di approfondimento di aspetti tecnico professionali e, nel contempo, direcupero di conoscenze di matematica, è dato dalla UdA n.3 relativa al laboratorio perl’approvvigionamento dei materiali, il cui monte ore è composto da n. 18 ore di matematica e n. 16ore di informativa, in particolare, queste ultime, dedicate all’apprendimento dell’utilizzo del foglioexcel.Nella fig. 24 sono stati esemplificati gli aspetti tecnici che debbono essere consideratinell’approvvigionamento dei materiali da utilizzare nell’installazione di impianti, e in questo sensoessi possono essere considerati, assieme all’utilizzo del foglio excel, come aspetti diapprofondimento; ma nel foglio excel debbono essere inserite le formule di matematica da utilizzarenei conteggi concernenti appunto l’approvvigionamento dei materiali, in vista della realizzazione dipreventivi di spesa per valutare, tra più alternative, il preventivo più conveniente, a secondo che siintenda privilegiare, nel rapporto qualità/costi, o l’aspetto prevalente della qualità dei materiali, ol’aspetto prevalente relativo ai loro costi.Anche in questo caso l’unità di apprendimento può essere utilizzata per recuperare l’apprendimentodi conoscenze matematiche che il docente, in corso d’opera, ha verificato non essere possedute daalcuni dei suoi allievi/apprendisti, per ottenere da essi, non solo la loro sincera intenzionalità versoil recupero di tali specifiche carenze, bensì per ottenere più in generale, con queste modalitàformative, quella che Dewey chiama “l’attitudine che più importa sia acquisita (…) il desiderio diapprendere” (vedi richiamo integrale pag. 29).Ma il medesimo criterio è applicato nella UdA n. 5 relativa al laboratorio sul lessico del settoreimpianti elettrici, il cui monte ore è ripartito in n. 6 ore di italiano, n. 18 ore di inglese e n. 6 ore diinformatica. Con questo monte ore il docente, utilizzando i materiali e le fotografie digitali prodottenegli altri laboratori relativi ai materiali utilizzati nella realizzazione di impianti, può realizzare unaparte del CD multimediale nella quale accanto alle fotografie dei singoli materiali e la lorodenominazione in italiano, sia predisposta la relativa traduzione in lingua inglese. Gli stessi cartellidi segnalazione dei problemi di sicurezza sul lavoro possono essere realizzati sia in lingua italianache in lingua inglese.Ovviamente il conseguimento di una determinata finalità non può essere ipotizzata a prescindere dauna adeguata commisurazione di mezzi; a questo proposito il monte ore dell’unità di apprendimentoconcernente il recupero della lingua inglese, non può che limitarsi a considerare una piccola partedel lessico delle lingua straniera, riguardante appunto i materiali e la strumentazione tecnicoprofessionale con cui gli allievi/apprendisti hanno a che fare, quotidianamente, nella loro via socialelavorativa. Ma cosa ben più importante, in ogni caso, è ottenere, attraverso le modalità didatticheillustrate, che l’allievo apprendista, avendo avuto a che fare nella sua precedente esperienzascolastica con l’obbligatorietà di studi astratti per lui “non dotati di senso”, possa ricredersi riguardoalle sue convinzioni circa l’inutilità dello studio della lingua inglese, della matematica, dell’italiano,ecc.; risultato, quest’ultimo, che certamente non può essere conseguito se questa utenza, definitacome “utenza difficile”, viene resa ancor “più difficile” nel riproporre ad essa, attraverso un“approccio... segmenato…in moduli rigidamente predefiniti” (vedi fig. 20 – allegato delibera diGiunta Regione Lombardia), lo studio dell’italiano, della matematica, della lingua inglese, comefini in sé, appunto come fini autoreferenziali “non dotati di senso”.L’unità di apprendimento n. 7, pur avendo a disposizione solo le n. 8 ore relative alla cittadinanzaattiva, può consentire, applicando il criterio didattico del “fare” e del “riflettere sul fare” (Dewey: ilrapporto tra l’esperienza diretta delle “cose” e l’esperienza indiretta dei “segni”), di utilizzare le duesessioni di lavoro di n. 4 ore cad. per una esperienza formativa che faccia “toccare con mano”, aglialleivi/apprendisti, il problema sociale delle persone diversamente abili e le problematiche cheoccorre affrontare per garantire loro, secondo le leggi vigenti (vedi legge 68 per assunzioneobbligatoria), un adeguato supporto per un loro inserimento lavorativo, in coerenza con quantoprevisto dal principio contemplato dall’art. 4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti icittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto (…)”.

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Le n. 8 ore dell’UdA in questione sono state utilizzate riproducendo, in piccolo, alcune esperienzerealizzate, con un monte ore molto più consistente, nell’ambito dei corsi triennali di qualifica delsettore alimentare, cogliendo, come opportunità, la presenza, nel medesimo Centro di FormazioneProfessionale, dei corsi di Formazione lavoro rivolti ad allievi diversamente abili (Flada).51

Si pensi, ad esempio, alla percezione positiva di sé (l’allievo come oggetto di studio: “l’effettopigmalione in positivo”) ottenuta da un allievo normodotato, frequentante un corso del settorealimentare, il cui compito sia stato quello di affiancare, dopo aver frequentato i laboratori difalegnameria, di cartotecnica e di informatica degli allievi disabili (“le cose”) e aver riflettuto sullediverse forme di disabilità (“i segni”), un allievo diversamente abile nell’apprendere la preparazionedi un semplice menù, la predisposizione della sala ristorazione, l’erogazione dei servizi di bar (“lecose”), e di vedere lo stesso allievo disabile, nella serata congiunta con i genitori invitati ad unbanchetto conviviale, svolgere in autonomia, con successo e con soddisfazione, le cose da lui stessoinsegnate a quell’allievo disabile. Un’affermazione personale, quella di questo allievo, ottenuta peraver contribuito, a sua volta, all’affermazione personale di un suo compagno allievo diversamenteabile. A questo punto è davvero difficile immaginare, a proposito delle forme di bullismo presentinella scuola, come questo stesso allievo possa, nella sua vita sociale scolastica ed extrascolastica,manifestare atteggiamenti di intolleranza, non solo verso persone disabili, ma più in generale e peranalogia, verso tutte le altre forme di diversità, di razza, di religione, etc., sempre che, ovviamente,l’allievo in questione, a partire dall’interesse e dalla consapevolezza generati da quella esperienzaconcreta, sia stato motivato a riflettere e a speculare, attraverso “la mediazione dei segni” (Dewey),sulle diverse forme di diversità che caratterizzano la dimensione umana nella vita sociale, magariavendo approfondito, con un ricerca documentata, sotto il profilo storico e legislativo, il problemadella disabilità nella storia.Le fotografie digitali di seguito proposte indicano alcuni passaggi logici dell’esperienza soprarichiamata. La prima fotografia indica un quaderno personalizzato, omaggiato dagli allievi disabiliagli allievi normodotati, la cui produzione è realizzata nei laboratori di falegnameria, di cartotecnicae di informatica; la seconda fotografia indica la collaborazione tra l’allievo normodotato e l’allievodisabile durante lo svolgimento di una attività per la produzione del quaderno in questione, mentrenella terza fotografia indica una specifica fase di riflessione e di approfondimento del problemadella disabiltà, a partire dalle sensazioni/emozioni/pensieri generati dalla concreta esperienzarealizzata nei laboratori dei corsi Flada. La quarta fotografia indica invece l’allievo normodotatoche, in quanto tutor, a questo punto tutor consapevole e competente, avendo approfondito le sueconoscenze (pratico/teoriche) sui problemi della disabilità, supporta l’allievo diversamente abilenello svolgimento/apprendimento di un’attività tecnico-culinaria, preparandosi, in questo modo, afavorire e supportare, nella sua futura vita lavorativa, gli eventuali inserimenti lavorativi di personediversamente abili.

1 2 3 4

A proposito dell’educazione verso la pratica e la teoria dei valori sociali, ancora il Dewey affermache “…un giovane che si è pienamente reso conto attraverso ripetute esperienze (le “cose”) di che

51 Centro di Formazione Professionale di Bergamo: tutor di riferimento Erminio Salcuni e Patrizia Cortinovis.

“dal fare” “al riflettere sul fare”farefare…”

” di nuovo ad un fare,ma consapevole e solidale”

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cosa significhi essere gentili verso gli altri (i “segni”), sicchè tale tratto è diventato parte del suocomportamento, possiede la misura del valore della condotta generosa nei riguardi altrui. Senzaquesto apprezzamento vitale (le “cose” e i “segni”), il dovere e la virtù dell’altruismo, che egli avràimpresso su di lui come una norma (i “segni” - es: lo studio solo formale e nozionistico dell’art. 4della Costituzione), rimarrà puramente una questione di simboli (i “segni”) che non potrà tradurreadeguatamente in realtà (le “cose”)…”.Si considerino ora, a proposito dell’ipotesi classificatoria relativa ai Larsa, alcune riflessioni suquelli definiti come Larsa “destrutturati”.Il termine utilizzato per questa definizione, appunto “destrutturati”, appare sicuramente configurare,pur in modo implicito e sintetico, una formidabile critica alla rigida, prescrittiva ed autoritariastrutturazione organizzativa tipica della scolastica tradizionale, caratterizzata, come si è visto, dallacoerente alleanza tra il paradigma organizzativo del sistema chiuso (o sistema meccanico) e ilparadigma pedagogico comportamentista; ma il significato interpretativo implicito del temine“destrutturati” trova le sue plausibili ragioni sostantive, così come indicato nella figura di seguitoriportata, nel tipo di utenza a cui questo tipo di Larsa deve rivolgersi, cioè “…adolescenti di etàcompresa tra i 15 e i 18 anni che evidenziano percorsi evolutivi difficili, segnati da deprivazioniaffettive e culturali”.Ed è proprio il termine “destrutturati”, riferito a questo tipo di utenza, che rende immediatamente epalesemente evidente, per chi ovviamente ha avuto a che fare con i problemi generati da questautenza, l’assoluta inadeguatezza dei criteri organizzativi e pedagogici del punto di vistamonodisciplinare, il quale, nell’affermare l’autoreferenzialità delle singole discipline concepitecome fini in sé, porta a “perdere di vista”, con la sua strutturazione deterministica e parcellizzata del“tutto a priori”, l’interesse interpretativo verso i problemi delle persone in apprendimento.

Fig. 29

1.Recuperi

2.Approfondimenti

3.Passaggi

UNITA’ DI APPRENDIMENTO:

una distinzione:

UNITA’L’OGGETTO DI STUDIO:

La sua configurazione unitariagenerata dallo studio

della vita sociale

APPRENDIMENTOIL DISCENTE:

la sua intenzionalità, le suecaratteristiche, le sue

aspettative, ecc.

DI

abcd

abcd

abcd

abcd

• OGGETTO TRASFORMATO/

LA SUA NATURA UMANA:la trasformazione delle sue conoscenze possedute

in nuove conoscenze.

• MEZZO PER L’APPRENDIMENTO:le sue funzioni cognitive, percettive, motorie.

• OGGETTO DI STUDIO:in positivo o in negativo l’allievo costruisce la percezione

di sé.

• SOGGETTO DELL’APPRENDIMENTO:la sua intenzionalità – le sue decisioni ed azioni.

CONFIGURAZIONE ANALITICA

DEL SOGGETTO IN APPRENDIMENTO

Relazionedi mutuo

adattamento

La messa in campo di intenzionalitàper generare influenze educative

4.Destrutturati

Si tratta di una metodologia complessa di intervento in uno specifico territorio, rivolta specialmentead adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni che evidenziano percorsi evolutivi difficili, segnatida deprivazioni affettive e culturali.Sono percorsi che mirano a proporre un insieme di opportunità che si possono costruire in mododifferenziato in rapporto al punto di partenza dei giovani stessi ed in direzione del successo del loroprogetto formativo.

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La definizione classificatoria dei Larsa in questione indica, per il tipo di utenza “segnata dadeprivazioni affettive e culturali”, “una metodologia più complessa” la quale richiede, in alternativaalla logica tayloriana/comportamentista e alla sua semplificata, prescrittiva e parcellizzatastrutturazione in parallelo dei diversi insegnamenti disciplinari, una ben più articolata strutturazioneorganizzativa in grado di garantire, in una logica processuale, una relazione di mutuo adattamentotra l’intenzionalità degli educatori, orientata a generare influenze educative riguardanti i diversiambiti di vita sociale (le influenze educative di una scuola concepita come scuola di vita), el’intenzionalità delle giovani persone in apprendimento, orientata alla ricerca della propria identità(la scoperta di sé stessi) durante lo studio della vita sociale (l’azione educativa come mezzo perl’azione orientativa).Ciò che si intende evidenziare con la presente riflessione è il fatto che il criterio decisionale ed’azione del mutuo adattamento non sta ad indicare l’assenza di organizzazione, bensì la presenzadi una organizzazione che ammette, sulla base dell’esperienza del passato, accanto alla possibilità distrutturare azioni standard per il conseguimento di risultati previsti con ragionevole certezza, anchela possibilità di “incorporare” incertezza decisionale, allorquando le informazioni concernenti lavariabilità del campo d’azione possono essere reperite solo in “corso d’opera”, “cammin facendo”,“a posteriori”, ecc.Si consideri brevemente il criterio interpretativo bidimensionale di seguito proposto nel quale sonoincrociate, a proposito del processo decisionale, la dimensione della variabilità di specie (dauniformità/omogeneità a diversità/eterogeneità) e la dimensione della variabilità di tempi (dastabilità di tempi a mutevolezza di tempi).

Fig. 30 - Criterio interpretativo e progettuale bidimensionale

diversità/eterogeneità

incertezza

B D

stabilità mutevolezza

(variabilità di tempi)

A C

Certezza

uniformità/omogeneità(variabilità di specie)

I quattro riquadri A, B, C, D, indicano le diverse possibilità di incrocio; i riquadri A e B sidifferenziano riguardo alla variabilità di specie, omomegea/uniforme nel primo, diversa/eterogeneanel secondo, ma entrambi indicano una situazione di stabilità di tempi, e, quindi, per questa ragione,la possibilità di una strutturazione organizzativa stabile prevedibile a priori. Al riquadro Ccorrisponde un campo d’azione caratterizzato da bassa variabilità di specie ma che richiede, inrelazione alle caratteristiche di mutevolezza dei suoi tempi, l’esigenza della strutturazione, in corsod’opera, di continue e reiterate azioni di verifica e di regolazione del processo.

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Il riquadro D indica un campo d’azione il quale richiede, in considerazione della sua elevatavariabilità di specie e mutevolezza di tempi, la continua ricerca, in corso d’opera, delleinformazioni per la formulazione delle alternative di scelta riguardanti il governo, la verifica e laregolazione del processo organizzativo.E’ opportuno precisare che risulterebbe metodologicamente inadeguato l’esercizio di collocare unqualsiasi contesto organizzativo in uno dei riquadri concettuali proposti; ciò che invece si puòragionevolmente affermare è che ogni organizzazione contiene, in sé, ovviamente a diversi livelliappunto di variabilità strutturale, tutte e quattro le situazione configurate dai riquadri A, B, C, D.A questo proposito si possono qui formulare alcune ipotesi interpretative e progettuali relative allavariabiabilità di campo d’azione dell’azione educativa interdisciplinare, rivolta a persone in etàevolutiva, così come indicata, a proposito delle Unità di Apprendimento (UdA), nella fig. 29.A proposito degli aspetti configurati dal termine Unità dell’UdA, è plausibile sostenere che quantopiù è ricca ed articolata la progettazione a priori delle influenze educative che si intendonogenerare nei confronti di allievi, attraverso la configurazione di obiettivi formativi unitaririguardanti i diversi ambiti di vita sociale, tanto maggiori risulteranno, nella fase dell’attuazionedegli interventi formativi, le possibili alternantive decisionali e d’azione per favorire l’instaurarsidella relazione di mutuo adattamento tra l’intenzionalità dei docenti (“il metodo dell’insegnante” –De Bartolomeis) e l’intenzionalità degli allievi (“il metodo dell’allievo” – De Bartolomeis) e, conessa, la possibilità del conseguimento della “attitudine che più importa sia acquisita”, cioè “ ildesiderio di apprendere” (Dewey) da parte degli allievi. In tal senso tutto ciò può essereinterpretato come un campo d’azione le cui caratteristiche prevalenti sono quelle indicate nelriquadro B, in quanto appunto campo d’azione caratterizzato da una elevata diversità/eterogeneità dispecie, ma prevedibile nel tempo. In effetti si è già avuto modo di richiamare il detto popolaresecondo il quale una persona non può diventare maestro di vita se, della vita di cui intende diventaremaestro, non ha prodotto significativa e consapevole esperienza nel corso della sua vita passata.Per quanto concerne la parola Apprendimento della UdA, l’allievo appunto, la sua intenzionalità, lesue caratteristiche, le sue motivazioni ed aspettative, vi sono aspetti che sicuramente assumono,doverosamente, le medesime caratteristiche di prevedibilità del riquadro B, quali ad esempio leconoscenze teorico speculative riguardanti l’età evolutiva, le conoscenze già richiamate dal DeBartolomeis la cui mancata considerazione “a priori” nell’azione progettuale dell’azione educativafa permanere la scuola in “… una persistente situazione antigienica (…)”52 - (riferimento p. 16),ecc.Ma ciò che nessun docente può avere la pretesa e la presunzione di prevedere a priori, inconsiderazione appunto della natura umana dell’oggetto primario trasformato nell’azione educativa,un oggetto appunto da sé stesso trasformato, sono le concrete caratteristiche soggettive dei loroallievi, i loro problemi, le loro aspettative e motivazioni, i loro effettivi interessi, nonché,ovviamente, le influenze che tutto ciò genera sulla loro effettiva intenzionalità e disponibilità adapprendere.A tale proposito è plausibile sostenere che tutto ciò debba essere ritenuta una doverosa eproblematica “incertezza” la cui diversità/eterogeneità di specie e mutevolezza di tempi - l’effettivobisogno formativo della persona in apprendimento - può essere adeguatamente disvelata edaffrontata solo in corso d’opera.Ma se tutto ciò è coerente con una qualsiasi azione educativa che metta davvero al centro la personain apprendimento, a maggior ragione deve valere per i giovani studenti “segnati da deprivazioniaffettive e culturali”, quali appunto quelli prefigurati nei Larsa denominati con il termine“destrutturati”; ed è sempre più evidente, per le persone che da decenni nella formazioneprofessionale regionale hanno fatto da “croce rossa” agli “scarti” della scolastica monodisciplinare,come l’acutizzazione e l’aggravarsi di questi aspetti siano proprio generate nell’ambito delleprecedenti esperienze scolastiche, in conseguenza della negativa percezione di sé che tali allievi, inquanto appunto essi stessi oggetto di studio per sé stessi, hanno via via costruito proprio durante tali

52“Metodi e nuova cultura...”, op. cit., pagg. 68,69.

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negative e fallimentari precedenti esperienze, siano esse di scuola media inferiore o di scuola mediasuperiore. In tal senso, quindi, si può giustificare l’utilizzo interpretativo del termine “destrutturati”,proprio per indicare la urgente necessità di destrutturare una scuola che, oltre a far odiare lamatematica, la storia, la geografia, ecc., depriva, nella fase più delicata di giovani persone allaricerca della loro identità, proprio della fiducia e della stima in loro stesse, ma in vista, però, didiverse e ben più articolate e variegate forme di strutturazione organizzativa, in grado digarantire, “a priori” e “in corso d’opera”, l’attuazione “di una metodologia complessa in unospecifico territorio”, così come esplicitamente richiamato nella definizione del tipo di Larsa inquestione.Al fine però di evitare il possibile fraintendimento che per realizzare gli interventi formativi inquestione basti destrutturare la negativa e controproducente organizzazione della scolasticamonodisciplinare, incorrendo nell’eventuale rischio di avvalorare l’idea, purtroppo già ampiamentediffusa e praticata, che per questo tipo di utenza non si possa che ricorrere alla semplicestrutturazione di azioni di accompagnamento ad un precoce ed inevitabile inserimento lavorativo,viene qui proposto di togliere il termine “destrutturati” e di spostare la definizione di questo tipo diLarsa nell’ambito dei Larsa definiti, al punto 1, come “recuperi”, così come proposto nellaseguente tabella; termine, quello di “recuperi”, che almeno al livello del suo inequivocabilesignificato non nega la possibilità che per qualsiasi persona, a maggior ragione a quellemaggiormente “segnate da deprivazioni affettive e culturali”, possano essere ricercate e progettateadeguate modalità di strutturazione dell’azione educativa finalizzate al conseguimento del lorosuccesso formativo e, con esso, alla loro effettiva promozione sociale, sotto il profilo affettivo,culturale, professionale, ecc., (vedi principio proclamato dall’art. 3 della Costituzione).

Fig. 31

1.Recuperi

1.1 Recuperi di compensazione e di riequilibio culturaleAzioni personalizzate di compensazione e riequilibrio culturale (specie linguistiche e logico-matematiche)allo scopo di riallineare la preparazione dello studente ai livelli qualitativi richiesti per l’accesso.Essi sono rivolti a chi non possiede la preparazione iniziale necessaria, oppure a chi si trova in condizionedi difficoltà lungo il percorso di apprendimento.

1.2 Recuperi di deprivazioni affettive e culturali.Si tratta di una metodologia complessa di intervento in uno specifico territorio, rivolta specialmente

ad adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni che evidenziano percorsi evolutivi difficili, segnatida deprivazioni affettive e culturali.Sono percorsi che mirano a proporre un insieme di opportunità che si possono costruire in mododifferenziato in rapporto al punto di partenza dei giovani stessi ed in direzione del successo del loroprogetto formativo

2.Approfondimenti

3.Passaggi

4.Destrutturati

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Si considerino ora, a partire dalla loro definizione, alcune brevi riflessioni sui tipi di Larsa riportatial punto 3 della tabella di seguito riportata, e definiti appunto con il termine “passaggi”.

Fig. 32

1.Recuperi

1.1 …

1.2 …

2.Approfondimenti

3.Passaggi

Strumento che consente il passaggio da un sottosistema all'altro, mediante ladescrizione nel Portfolio degli apprendimenti (competenze, conoscenze e abilità)da confrontare con il percorso di destinazione al fine di individuare l’area dicompletamento.Ciò prevede un orientamento permanente, la registrazione di una volontàdell’allievo, l’analisi del punto di partenza e del punto di arrivo, il confronto dellesituazioni (attesa/reale), la definizione di un piano di formazione tramitelaboratorio.

Se si considera la definizione sopra riportata si possono cogliere, sia nel primo, che nel secondoparagrafo, pur in ordine sparso, gli elementi tipici del punto di vista interdisciplinare. Nel primoparagrafo il riferimento agli apprendimenti declinati in termini di “competenze, conoscenze eabilità”, è riconducibile, a proposito del linguaggio utilizzato nelle sperimentazioni dei corsitriennali di qualifica realizzate in Lombardia (sia nel sistema dell’istruzione statale che in quellodell’istruzione e della formazione professionale regionale), alla definizione di “progettazione percompetenze”, la quale presuppone la configurazione di oggetti di studio unitari, in coerenza appuntocon il termine Unità contenuto nella definizione più generale ed esaustiva di Unità diApprendimento; nel secondo paragrafo, a proposito ancora dell’oggetto di studio si parla del “puntodi arrivo” del percorso formativo, indicando, in questo modo, le influenze educative enucleate chesi intendono generare in vista del loro apprendimento da parte dei singoli allievi. Per quantoconcerne invece il termine Apprendimento, contenuto nella definizione più generale ed esaustiva diUnità di Apprendimento, cioè l’allievo, la sua intenzionalità, le sue caratteristiche, si fa riferimento,nel primo paragrafo al Portfolio (peraltro strumento abolito dalle misure legislative poste in esseredall’attuale governo per quanto concerne la scuola primaria) e, nel secondo paragrafo, si fa esplicitoriferimento ad un “orientamento permanente”, alla “volontà dell’allievo” e “al suo punto dipartenza” nel percorso formativo.Nella parte finale della definizione di questi Larsa si parla poi di un “piano di formazione tramitelaboratorio”, da progettare a seguito degli aspetti di diversità rilevati tra i piani di studio dellascuola di provenienza e quella di arrivo e l’effettivo patrimonio di “competenze, conoscenze edabilità” posseduto dal singolo allievo (il suo portfolio in uscita dalla scuola di provenienza).

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Ma si considerino ora, pur brevemente, avendo presene le caratteristiche del punto di vistamonodisciplinare e del punto di vista interdisciplinare e le possibili situazioni indicate nellaseguente figura (1, 2, 3, 4), alcuni aspetti critici e problematici che emergono in presenza di allieviche intendano passare da un indirizzo di studio ad un altro:

1 passaggi tra scuole nelle quali è praticato il punto di vista interdisciplinare;2 passaggi tra scuole nelle quali è praticato il punto di vista monodisciplinare verso scuole

nelle quali è praticato il punto di vista interdisciplinare;3 passaggi tra scuole nelle quali è praticato il punto di vista monodisciplinare;4 passaggi tra scuole nelle quali è praticato il punto di vista interdisciplinare verso scuole nelle

quali è praticato il punto di vista monodisciplinare.

Fig. 33

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abc

abc

abc

disciplina a

disciplina b

disciplina c

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINARE

Unità del sapere:Campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

Parcellizzazione del sapere:Campi d’azione monodisciplinari

Punti partenza percorso scolastico:

• inizio programmi disciplinari

Punti arrivo percorso scolastico:

•fine programmi disciplinari

Ipotesi punti partenza processo:

• il soggetto e la sua intenzionalità

Ipotesi punti arrivo processo:

•le influenze educative enucleate

Passaggi 2

Passaggi4P

as

sa

gg

i

Pa

ss

ag

gi

13

I passaggi da realizzarsi nelle situazioni contemplate dal punto 1, avendo presente la definizione deiLarsa in questione, la quale, come si è visto, nel prevedere tutti gli elementi dello strumentodell’UdA è senza dubbio riferibile al punto di vista metodologico della formazione interdisciplinare,non dovrebbero presentare alcun problema critico, come del resto lo dimostrano le esperienzerealizzate nei diversi Centri di Formazione Professionale eroganti i corsi triennali sperimentali diqualifica relativi a diversi settori produttivi (di beni o di servizi); in tali esperienze formative, lostrumento del portfolio, utilizzato per supportare l’allievo nel monitorare, in prima persona, le sueesperienze formative realizzate sia sulle “sulle cose” (il “fare professionale”), sia sui “segni” (la“riflessione sul fare professionale”) – la U della UdA - , deve consentire all’allievo di comprendere,appunto “in corso d’opera”, cioè durante il processo della “trasformazione formativa”,l’adeguatezza o meno di tale percorso rispetto a ciò che tale medesimo l’allievo, proprio grazie atale percorso, ha scoperto riguardo alle sue propensioni, attitudini, aspettative, ecc, riguardanti la

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sua vita sociale lavorativa futura (l’azione formativa come mezzo per l’azione orientativa). Ed èappunto il portfolio “in corso d’opera” (strumento intermedio tra quello “in entrata” e quello “inuscita”), 53 lo strumento che deve consentire una adeguata commisurazione dei “tempidell’eventuale passaggio”, della progettazione appunto di “un piano di formazione tramitelaboratorio” (Larsa di passaggio) e della sua successiva attuazione.La medesima situazione, a rigor di logica, vale per la situazione configurata dal punto 2, la quale,considerate le differenze tra l’impostazione monodisciplinare e l’impostazione interdisciplinare, sipotrebbe ironicamente definire, con una battuta che depurata dai suoi eccessi evocativi configura undato realtà, come un passaggio dall’ “inferno” al “paradiso”.In effetti, a parte la battuta volutamente provocatoria, in questi termini può essere spiegato egiustificato l’abbassamento della dispersione scolastica in Lombardia, conseguito proprio graziealla sperimentazione che, dal 2002 ad oggi, è stata realizzata attraverso i corsi triennali di qualifica;corsi nell’ambito dei quali, almeno nei primi anni di sperimentazione, vi è stata la massicciaconfluenza di allievi “deprivati affettivamente e culturalmente” dal loro “insuccesso scolastico”,conseguito a seguito della frequenza obbligatoria al primo anno della scuola superiore.Si consideri però, che questi passaggi sono di fatto considerati, nella “egemone” mentalità deglioperatori della scuola statale superiore, come un abbassamento del livello culturale. Del resto èquesta la “vecchia storia” che ha caratterizzato negli ultimi trent’anni, prima e dopo l’innalzamentodell’obbligo scolastico a 15 anni, i passaggi ai corsi biennali regionali di qualifica, concepiti econsiderati, dall’ “aristocrazia scolastica”, come “ultima spiaggia” per allievi considerati privi diattitudine allo studio. Si consideri però che la presenza massiccia in tali corsi biennali di qualifica diqualificati laboratori professionali dedicati alle “cose lavorative”, è la condizione che ha consentito,negli ultimi trent’anni, alla tradizionale formazione professionale consolidata in alcune regioniitaliane, di fare da “croce rossa” agli “scarti del lavoro educativo parcellizzato” della scuolasuperiore, cioè per quegli allievi che, non avendo alle spalle l’influenza di famiglie orientate all’usodel “titolo di studio” come strumento di affermazione sociale, non si sono adattati alle logichescolastiche monodisciplinari per l’apprendimento di saperi parcellizzati “non dotati di senso”. Ineffetti, bisogna ammettere che, per quanto concerne le discipline cosiddette di base e/o culturali, lacaratteristica di tali corsi biennali di qualifica per nulla si discostava dalle logiche scolasticheorientate ad uno studio nozionistico realizzato esclusivamente al livello dei “segni”, con l’unicadifferenza rappresentata da un monte ore ridotto da dedicare a tali discipline e alla conseguenteriduzione quantitativa dei relativi argomenti di studio.Ma forse è stato proprio per merito di questo presunto abbassamento del livello culturale, in terminidi minor tempo dedicato scolasticamente allo studio nozionistico della letteratura, della storia, dellamatematica, della geografia, ecc., la condizione che ha consentito, a molti allievi della formazioneprofessionale, nella minore sopportazione da dedicare ad una fatica per loro non dotata di senso, diportare a termine un percorso formativo e di affermarsi, in molti casi, come solidi e qualificatiprofessionisti imprenditori nei relativi settori produttivi. D’altro canto ci si può domandare se siacultura di “alto livello” quella erogata da una scuola nella quale, come già si è avuto modo diribadire, gran parte dei suoi docenti rischierebbe di conseguire “debiti formativi”, ma anche sicurebocciature, nelle discipline diverse da quelle insegnante, da anni, in modo mnemonico e ripetitivo.La situazione 3 configura passaggi che possono essere realizzati nell’ambito di scuole nelle qualivige i criterio della strutturazione organizzativa monodisciplinare. In questa situazione non si puòparlare di Larsa, bensì di passaggi che, inequivocabilmente, in considerazione della realtà dei fatti,sono sempre passaggi da scuole di “alto livello culturale” a scuole di “basso livello culturale”, dailicei all’istruzione tecnica, all’istruzione professionale e, appunto come ultima spiaggia, allaformazione professionale.

53 Nell’impostazione interdisciplinare il supporto fornito al discente per scoprire sé stesso, in rapporto ai diversi oggettidi studio riguardanti la vita sociale, è proprio lo strumento del portfolio, concepito, nella sua articolazione “in entrata”,“in corso d’opera” e “in uscita”, come strumento per il governo, la verifica e la regolazione dei processo formativo,quale mezzo, appunto, per il conseguimento delle finalità dell’azione orientativa.

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Sono da segnalare, a questo proposito, alcuni aspetti critici che si possono ingenerare, in assenza diuna consapevole conoscenza circa le differenza tra il punto di vista monodisciplinare e il punto divista interdisciplinare, allorquando, nell’ambito di un istituto di istruzione superiore, siano presentidiversi indirizzi di studio, come ad esempio la presenza di licei, di istituti tecnici e professionali,configurando nei fatti una sorta di “piccolo campus”; in tali situazioni, e i dati di realtà lodimostrano, l’efficienza d’azione posta in essere del dirigente scolastico e degli insegnanti,encomiabile se ci si colloca in una logica monodisciplinare, ma assolutamente contraria all’efficaciaformativa se ci si colloca in una logica interdisciplinare, si perviene ad una sorta di un precoce“riorientamento al ribasso”, facilitato dalla contemporanea presenza, nel medesimo “piccolocampus”, dell’istruzione liceale, dell’istruzione tecnica e professionale. Ed è una efficienza cheaccentua la velocità dei tempi delle scelte di riorientamento, utilizzando docimologicamente leprove in ingresso; cosicché, dopo le prime settimane di avvio dell’anno scolastico, a seguito della“evidenza” di riscontri negativi, sia delle prove di ingresso, sia delle prime interrogazioni e provescritte, si provvede appunto a dichiarare come inadeguate le scelte di orientamento compiutedall’allievo e dalla famiglia; è in questo modo che nella logica monodisciplinare, invece cheprovvedere alla strutturazione di Larsa di recupero (vedi punto 1 tabella Larsa – fig. 1) si provvedealla formulazione delle ipotesi di “passerella” per il passaggio, appunto, da una scuola “difficile”ad una scuola “meno difficile”. La controprova di questa evidenza a posteriori è l’azione posta inessere dal dirigente e insegnanti durante l’open day di presentazione dell’offerta formativa del“piccolo campus” in questione, laddove, con convincenti argomentazioni, è consigliata l’iscrizioneall’istruzione liceale solo agli allievi che abbiano concluso con la valutazione almeno di buono, mameglio se ottima, il percorso della scuola media inferiore, rendendo così possibile, quando ilconsiglio è accettato da famiglie e studenti, la concretizzazione di una deterministica efficienza tuttaa priori: il risparmio di costi generato dal criterio tayloriano della “persona giusta al posto giusto”.54

Ma in tale “piccolo campus” è possibile riscontrare anche una “efficienza a posteriori”, la qualeconsegue, in automatico, attraverso la bocciatura di fine anno scolastico, il passaggio dal percorsoliceale ai percorsi tecnici e professionali, con il risultato che, ad esempio,55 in ognuna delle primeclassi di un ITC o IPS, in conseguenza dei bocciati in arrivo dal liceo e dei bocciati della primaannualità della medesima sezione di studio, vi sia la presenza complessiva di n. 5/6 bocciati in ogniprima nuova classe, portando il numero degli allievi fino a n. 29 e 30 per ogni gruppo classe. Afronte però dell’incremento del numero di allievi nei gruppi classe di tali percorsi formativi “menodifficili”, si riscontra, negli esempi concreti considerati, una progressiva riduzione di tale numero diallievi nelle seconde, terze, quarte e quinte annualità dei percorsi liceali presenti in tale medesimo“piccolo campus” (max n. 22, 21, 20, 19,…). E’ in questo modo, cioè attraverso l’eliminazionedegli “scarti di produzione”, che si ottiene l’incremento di efficienza nei percorsi formativi di “piùalto livello” e, con essa, il conseguimento, in tali medesimi percorsi formativi, dell’efficacia per unnumero minore di allievi; ma in corrispondenza di ciò viene generato un decremento di efficienzanei percorsi formativi “di più basso livello” e, con essa, una riduzione di efficacia per un maggiornumero di allievi, in termini appunto di insuccessi e di abbandoni della scuola.

54 Si vedano le argomentazioni di Taylor per definire l’operaio di prima e di seconda categoria nella sua organizzazionescientifica del lavoro: “(…) consideriamo per esempio una stalla a Washington, che contenga 300 o 400 cavalli; inessa ve ne saranno una parte destinata a tirare carri di carbone; una seconda parte destinata a tirare carri dadroghiere; e vi sarà anche un certo numero di trottatori e un certo numero di cavalli da sella o da diporto; ed infine uncerto numero di ponies. Ebbene, ciò che io intendo per un cavallo di ‘prima categoria per trainare un carro di carbone,è una cosa molto semplice e facile: noi tutti saremo d’accordo nel dire che un cavallo di prima categoria per trainarecarichi di carbone deve essere un gran cavallone, robusto e massiccio (per esempio della razza Percheron). Se, d’altraparte, siano in una piccola città ed abbiamo una piccola stalla di cavalli, in molti casi non vi saranno sufficienti cavallida tiro pesanti per trainare i carri di carbone e bisognerà usare i cavalli ed i carri da droghiere per trasportare ilcarbone, e questo nonostante si sappia benissimo che un cavallo di tal genere non è di prima categoria per trasportareil carbone, (…)”.F. W. Taylor, “La deposizione di Taylor davanti alla commissione speciale della Camera dei Rappresentanti”, libroterzo, in “L’organizzazione scientifica del lavoro”, Etas/kompass, Mi, 1967, p. 346-350.55 L’esempio è relativo a situazioni effettivamente e concretamente riscontrate in alcune realtà della scuola superiore.

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Problema che, allorquando assuma come nei casi considerati dimensioni effettivamente rilevanti,potrebbe essere fatto oggetto di vertenza sindacale, in considerazione del fatto che, a parità diretribuzione, risultano effettivamente diversi i carichi di lavoro per gli insegnanti impegnanti neipercorsi formativi di “alto livello” da quelli impegnati nei percorsi formativi di “minore livello”,minori per i primi, ma considerevolmente maggiori per i secondi, tali da giustificare, appunto,l’eventuale introduzione di misure incentivanti della retribuzione. A meno che, per gli insegnanti,l’alternativa sia ricercata nella formula organizzativa della “job rotation”, utilizzata, nei primi annisettanta, nelle aziende industriali in cui erano praticate le logiche organizzative tayloriane efinalizzata ad incrementare la professionalità dei lavoratori alla catena, ma utilizzabile oggi, se nonaltro, per ripartire equamente la fatica tra gli insegnanti impegnanti nel “piccolo campus” inquestione.Le ultime considerazioni, pur nel loro senso ironico e polemico, non sono poi tanto distanti da unatendenza in corso in questi anni, cioè la fuga degli insegnanti dall’istruzione professionale e tecnicaverso l’istruzione liceale, e non solo per una questione di prestigio, ma molto probabilmente ancheper la minore fatica da sopportare nella propria azione lavorativa di “trasmissione del sapere” aduna utenza numericamente inferiore, di minore tasso di disomogeneità e di più “alto livello”.Ovviamente questi esempi non consentono, allo stato attuale, di formulare ipotesi digeneralizzazione dei fatti in questione, ma indicano però l’esigenza e l’urgenza di opportune econcrete verifiche sul campo da realizzarsi su larga scala.La situazione configurata dal punto 4, cioè il passaggio di allievi da percorsi di studiointerdisciplinari verso percorsi di studio mono disciplinari, può essere riferita ai passaggi realizzati,nei ultimi due anni, da un numero limitato di allievi che, a seguito della frequenza dei corsi triennalisperimentali regionali e del quarto anno sperimentale di specializzazione (realizzato in Lombardia)e del relativo conseguimento della qualifica regionale e del relativo attestato di frequenza e profitto,si sono cimentati, attraverso uno specifico monte ore aggiuntivo a quello annuale, al recupero disaperi mono disciplinari configurati come “debiti culturali” contratti durante la frequenza di unpercorso formativo ritenuto di “minore livello” rispetto a percorsi formativi di più “alto livello”dell’istruzione tecnica o professionale.Si consideri che taluni di tali passaggi sono stati realizzati da allievi la cui iscrizione alle primeannualità dei corsi triennali sperimentali, è stata preceduta da un insuccesso scolastico conseguito aseguito della frequenza di una prima annualità dell’istruzione liceale, tecnica o professionale,configurando, in questo modo, pur come scelta di ripiego “al ribasso”, il tipo di passaggio indicatoal punto 2 della fig. 33. Ed è in questi percorsi triennali e quadriennali che gli allievi in questione,proprio attraverso i criteri dell’approccio interdisciplinare, sono stati rimotivati verso “l’attitudineche più importa sia acquisita”, cioè “il desiderio di apprendere”.Ma la contraddizione delle positive esperienze configurate dai passaggi indicati al punto 4, alcunedelle quali si sono concluse con ottime e buone valutazioni all’esame di maturità, risiede nel fatto lasuccessiva frequenza ad un quarto o ad un quinto anno dell’istruzione tecnica o professionalestrutturati secondo una logica monodisciplinare, ha comportato, per questi studenti, la consapevolefatica di perseguire, nel loro percorso a ritroso “dal paradiso all’inferno”,56 non tanto “il desideriodi un apprendere competente”, bensì il ragionevole perseguimento dei possibili vantaggi, formali esostanziali, generati dal conseguimento di un titolo di studio e, con esso, e forse questo è l’elementonon contraddittorio circa il rapporto che si deve instaurare tra l’azione formativa intesa come mezzoper l’azione orientativa, il riscatto affettivo, psicologico e sociale della propria persona verso séstessa e verso gli altri (la persona come oggetto di studio per sé stessa e per gli altri), inconsiderazione, appunto, per alcuni di loro, dell’insuccesso scolastico conseguito all’avvio dellaloro età adolescenziale.

56 Pur nel suo carattere ironico e polemico il richiamo al percorso a ritroso “dal paradiso all’inferno”, contiene elementieffettivi di riscontro della realtà evidenziati dalle famiglie e dagli allievi che hanno concretamente sperimentato ipassaggi configurati dai punti 2 e 4 riportati nella fig. 33.

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A conclusione del presente contributo non può che essere ribadita l’idea che l’auspicato passaggioda una formazione mono disciplinare verso una formazione interdisciplinare può risultarevelleitario, oltre che ingenuo, se accanto al cambiamento del paradigma pedagogico non vieneconsiderato anche il cambiamento del paradigma organizzativo, che comporta, come si è visto, aseguito di una diversa configurazione degli oggetti studio - in quanto oggetti di studio unitaririferibili allo studio dei diversi ambiti di vita sociale (la scuola come scuola di vita) -, una diversaattribuzione delle azioni formative agli insegnanti, una diversa strutturazione di tempi e modi eluoghi di svolgimento delle azioni formative, una diversa preparazione (interdisciplinare appunto)degli operatori della scuola, ecc.In effetti, a fronte dei positivi risultati conseguiti nella sperimentazione di unità di apprendimentoper utenze cosiddette “utenze difficili” si sono rilevati, da parte dei docenti, giudizi molto positivi,sotto il profilo metodologico, dello strumento interdisciplinare in questione (l’UdA), nel contempoperò, è da tutti sottolineata l’impossibilità, stante gli attuali criteri organizzativi vigenti in qualsiasiordine di scuola (che portano all’attribuzione segmentata della trasmissione del sapere ai singoliinsegnanti), di generalizzare, nella progettazione e nell’attuazione dell’azione formativa, l’adozionedi questa preziosa ed efficace metodologia pedagogico/didattica; se a questo si aggiunge la mancatapreparazione degli insegnanti a progettare (la progettazione per competenze) e operare per obiettiviformativi unitari concernenti lo studio della dei diversi ambiti di vita sociale, siano essi lavorativi odextralavorativi, si può ben immaginare come sia effettivamente impossibile innovare la scuola seaccanto all’auspicato cambiamento del paradigma pedagogico non viene congiuntamente perseguitoil cambiamento del paradigma organizzativo.In considerazione del fatto che anche nell’ambito dell’innalzamento dell’obbligo scolastico si parladi “competenze chiave di cittadinanza attiva” (vedi successiva fig. 34), e quindi il riferimento è aduna “progettazione per competenze”, la quale richiede, non la rinuncia ai diversi saperi disciplinari,ma un loro diverso impiego, “collegiale” appunto, nello studio della vita sociale (a partire da quelladel presente per comprendere le influenze ricevute da quella passata, in vista della progettazionedella vita sociale futura), ma anche in considerazione della collaborazione in corso tra l’UfficioScolastico Regionale e la Regione Lombardia, per la prosecuzione delle sperimentazioni dei corsitriennali di qualifica nell’ambito di istituti statali e dei centri di formazione professionale, èpossibile ipotizzare la presenza di una consapevolezza culturale, ma anche delle pur minimecondizioni operative, circa l’urgente esigenza del superamento del punto di vistaeducativo/formativo monodisciplinare a favore dell’affermazione del punto di vistaeducativo/formativo interdisciplinare.Nella seguente fig. 34 sono infatti riportate le diapositive presentate dalla Prof.ssa D. Fermi (UfficioIntegrazione Politiche Formative USR Lombardia) nella giornata di formazione congiunta (Milano,12/10/2007) tra operatori dell’istruzione e operatori della formazione professionale regionaleimpegnati nel supportare, nei diversi istituti e centri di formazione professionale, la prosecuzionedella sperimentazione, in Regione Lombardia, dei corsi triennali di qualifica, i cui primi due anniconsentono, peraltro, di assolvere l’obbligo scolastico.

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Fig. 34

Decreto 22.08.2007-Regolamentorecante norme in materia diadempimento dell’obbligo di istruzione

Art 2-Acquisizione di saperi e competenze“… i saperi e le competenze, articolati inconoscenze e abilità, con l’indicazionedegli assi culturali di riferimento, sonodescritti nell’allegato documentotecnico…”

Documento Tecnico• Riferimento alla Raccomandazione delParlamento Europeo e del Consiglio18.12.2006 relativa alle competenzechiave per l’apprendimento permanente• I saperi sono articolati in abilità/capacitàe conoscenze, con riferimento al sistemadi descrizione previsto per l’adozione delQuadro Europeo dei Titoli e delleQualifiche (EQF)

Regolamento sul nuovoobbligo di istruzioneCompetenze chiave dicittadinanza da acquisire altermine dell’istruzioneobbligatoria:

1.Imparare ad imparare2.Progettare3.Comunicare4.Collaborare e partecipare5.Agire in modo autonomo eresponsabile6.Risolvere problemi7.Individuare collegamenti erelazioni8.Acquisire ed interpretarel’informazione

La lettura della seconda diapositiva, disposta sulla parte destra della figura 34, consente didimostrare quanto siano distanti gli elementi richiamati negli 8 punti concernenti le “competenzechiave di cittadinanza” da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria, dall’impostazioneprepotente ed autoreferenziale che ogni disciplina, concepita come fine in sé, assume e pretende diassumere quando sia collocata in una logica mono disciplinare; è evidente infatti come per impararead imparare (1), progettare (2), comunicare (3), collaborare e partecipare (4), (5) agire in modoautonomo e responsabile, (6) risolvere problemi, (7) individuare collegamenti e relazioni, (8)acquisire ed interpretare l’informazione, occorra, sotto il profilo metodologico, fare un uso“collegiale” dei diversi saperi disciplinari e, con esso appunto, operare il passaggio dal puntomonodisciplinare verso il punto di vista interdisciplinare.L’utilizzo del termine “collegiale”, per indicare la convergenza dei diversi saperi disciplinari versolo studio dei diversi ambiti d’azione sociale, in quanto appunto oggetti di studio interdisciplinari(ogni azione sociale è sempre il risultato della convergenza di eterogenei saperi disciplinari) èfinalizzato a chiarire il possibile fraintendimento che si può ingenerare quando si parla diprogettazione interdisciplinare. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’obiettivo formativoriguardante la costruzione di un “manuale sulla sicurezza alimentare” (Haccp) relativo ad unaspecifica azienda ristorativa nella quale alcuni allievi stiano realizzando una esperienza dialternanza formativa (azioni formative svolte nei luoghi della scuola e azioni formative svolte neiluoghi di lavoro); la costruzione del manuale in questione richiede la convergenza di conoscenze dichimica alimentare, di microbiologia, di conoscenze relative ai processi di trasformazionealimentare, di italiano, di informatica, di legislazione, ecc., ma soprattutto richiede l’esperienzaprofessionale di una persona competente nella sicurezza alimentare, la quale, nella sua esperienza divita professionale abbia più volte utilizzato, appunto in “modo collegiale”, le conoscenzedisciplinari prima richiamate per la costruzione dei manuali in questione, in ottemperanza allenorme vigenti in tema di “sicurezza alimentare” da parte di titolari di aziende alimentari che, a talepersona, si sono rivolti per ottenere, attraverso la sua competenza, la soluzione dei problemiconcernenti, appunto, le misure di prevenzione da adottare durante lo svolgimento delle loro attivitàorientate alla produzione di beni e di servizi alimentari.D’altro canto si è avuto modo di verificare come sia impossibile, appunto sotto il profiloorganizzativo, pensare che si possa generalizzare la progettazione delle UdA stante l’attuale

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attribuzione segmentata ai diversi insegnanti dei diversi saperi disciplinari, sia sotto il profilodell’efficienza, sia sotto il profilo dell’efficacia.In termini di efficienza, visto appunto le attribuzioni parcellizzate, diventerebbe impossibile mettereinsieme 4/5/6… persone per ogni UdA che si intenda progettare ed attuare, ciò richiederebbe undispendio eccessivo di tempi da dedicare alle numerose riunioni che si dovrebbero programmare perla loro progettazione e per la loro attuazione, verifica e regolazione; ma anche dal punto di vistadell’efficacia come si può pensare che il semplice accumulo di conoscenze disciplinari possedutedai diversi insegnanti, senza che essi, a proposito dell’esempio considerato, si siano mai cimentatiprofessionalmente nella concreta costruzione di un manuale, possa conseguire il risultato dellaconcreta costruzione dei manuali sulla sicurezza alimentare relativa alle aziende alimentari nellequali gli allievi abbiano svolto la loro esperienza di tirocinio formativo.A questo proposito può essere ripresa la proposta di D. Nicoli che propone, accanto allaprogettazione di Larsa a “strategia riparativa”, la progettazione di Larsa a “strategiainnovativa”.57

Si è già chiarito che la definizione di Larsa è di per sé una definizione innovativa rispetto aipresupposti metodologici del punto di vista monodisciplinare, quello che qui si intende proporre,come valore aggiunto generato da eventuali Larsa concepiti secondo una “strategia innovativa”, èappunto la possibilità di utilizzare i finanziamenti aggiuntivi per sperimentare il superamento dientrambi i paradigmi della logica monodisciplinare, sia quello pedagogico, sia quello organizzativo.Si tratterebbe allora, in presenza della disponibilità di risorse finanziare, di sperimentare una loroutilizzazione non finanziando monte ore aggiuntivi rispetto al monte ore annuale, tipici appunto deiLarsa a “strategia riparativa”, ma di finanziare la possibilità di utilizzare “esperti”, competenti indiversi ambiti, siano essi di vita lavorativa od extralavorativa, da affiancare ad un singolo docente, ilquale, a seguito di tale affiancamento, e magari dopo un periodo di tirocinio formativo da essosvolto in periodo estivo nell’ambito d’azione sociale oggetto di studio dell’UdA sperimenta inaffiancamento, possa, nel successivo anno formativo, magari dilatando anche il monte ore a suadisposizione, riprogettare ed attuare la medesima UdA su più gruppi classe.In questo modo è possibile, con la progettazione e l’attuazione di UdA su diversi oggetti di studioriguardanti le “competenze chiave di cittadinanza attiva” (riguardanti i diversi ambiti di vita sociale,siano essi lavorativi od extralavorativi), sperimentare, pur con la dovuta gradualità, modalità diattribuzione del lavoro docente non più per discipline, ma per obiettivi formativi unitari, avviando,in questo modo, oltre al superamento del paradigma pedagogico, anche il superamento delparadigma organizzativo del punto di vista monodisciplinare.

57 D. Nicoli, “I LARSA (laboratori di recupero e sviluppo degli apprendimenti): UNO STRUMENTO PER LA PERSONALIZZAZIONE”

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Fig. 35

DUE PUNTI DI VISTA A CONFRONTO

abc

abc

abc

disciplina a

disciplina b

disciplina c

IL PUNTO DI VISTAINTERDISCIPLINARE

Unità del sapere:Campi d’azione interdisciplinari

IL PUNTO DI VISTAMONODISCIPLINARE

Parcellizzazione del sapere:Campi d’azione monodisciplinari

Punti partenza percorso scolastico:

• inizio programmi disciplinari

Punti arrivo percorso scolastico:

•fine programmi disciplinari

Ipotesi punti partenza processo:

• il soggetto e la sua intenzionalità,

Ipotesi punti arrivo processo:

•le influenze educative enucleate

LARSA:Strategia innovativa

Strumenti per il superamentodel paradigma pedagogico ed organizzativo

del punto di vista monodisciplinare

Attribuzioni del lavoro docenteper discipline

Attribuzioni del lavoro docenteper obiettivi formativi unitari