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Simona Ferlini In spirito e carità. Lo spirito di Dio in Spinoza. (In : Bori, P.C., In spirito e verità. Letture di Giovanni 4, 23-24, EDB, 9788810402306, pagine 336, 1996 ) quare hoc aeternum foedus, Dei cognitionis, et amoris, universale est Il passo del vangelo di Giovanni in cui si dice che “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” si è situato sin da principio al crocevia dei difficili rapporti tra fede cristiana e filosofia, l'una che si richiama a una “singola, storica economia di salvezza” 1 , l'altra che afferma l'universalità di una verità che prescinde dalle circostanze storiche, e dunque non solo dalla rivelazione, ma anche dal dono dello spirito, che per coloro i quali ritengono la verità eterna ed universale non può essere evento salvifico che segna una frattura nella storia umana. Questa alternativa emerge, come mostra Lettieri nel suo intervento su In spirito e/o verità, nell'opposta lettura che di questo passo danno Origene e Agostino, il primo riducendo di fatto lo spirito alla verità unica e universale, il secondo relativizzando la "veritas" e “subordinandola del tutto allo "Spiritus" inteso come atto eterno della "caritas"” 2 . Senza il dono dello Spirito Santo, nell'interpretazione di Agostino, la verità non è verità, ma superba pretesa dell'uomo di salvarsi con la sua sola sapienza. Agostino, come nota ancora Lettieri, inaugura anche una certa tradizionale diffidenza verso questo passo, in cui l'interiorizzazione del culto sostenuta da Giovanni può condurre troppo facilmente ad una svalutazione del culto esterno cristiano, se non addirittura ad una identificazione dello spirito con il lume naturale che fa perdere al culto cristiano la sua specificità. Questa stessa diffidenza sembra essere mostrata da Calvino nella sua Institutio 3 . Il problema del rapporto tra spirito e verità riguarda per Calvino soprattutto l'interpretazione della Sacra Scrittura: la conoscenza di Dio, creatore e reggitore del mondo, deriva dalla natura, ma data la perversità della natura umana, l'uomo non può riconoscerlo se non grazie alla Sacra Scrittura 4 , che va letta sotto la guida dello Spirito Santo: “la scrittura ci deve essere confermata dalla testimonianza dello Spirito Santo, affinché ne teniamo per certa l'autorità” 5 . Ma è la Sacra Scrittura, a sua volta, a dare garanzia dell'autenticità dell'ispirazione dello Spirito Santo: “affinché

In spirito e carità: lo spirito di Dio per Spinoza

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In: In spirito e verità. Letture di Giovanni 4, 23-24 Curato da: Bori P. C. Editore: EDB Collana: Epifania della parola Data di Pubblicazione: 1996 ISBN: 8810402308 ISBN-13: 9788810402306 Pagine: 336 Reparto: Religione > Cristianesimo > Teologia cristiana

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  • Simona Ferlini

    In spirito e carit.Lo spirito di Dio in Spinoza.(In : Bori, P.C., In spirito e verit. Letture di Giovanni 4, 23-24, EDB, 9788810402306, pagine 336, 1996 )

    quare hoc aeternum foedus, Dei cognitionis, et amoris, universale est

    Il passo del vangelo di Giovanni in cui si dice che Dio spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verit si situato sin da principio al crocevia dei difficili rapporti tra fede cristiana e filosofia, l'una che si richiama a una singola, storica economia di salvezza1, l'altra che afferma l'universalit di una verit che prescinde dalle circostanze storiche, e dunque non solo dalla rivelazione, ma anche dal dono dello spirito, che per coloro i quali ritengono la verit eterna ed universale non pu essere evento salvifico che segna una frattura nella storia umana. Questa alternativa emerge, come mostra Lettieri nel suo intervento su In spirito e/o verit, nell'opposta lettura che di questo passo danno Origene e Agostino, il primo riducendo di fatto lo spirito alla verit unica e universale, il secondo relativizzando la "veritas" e subordinandola del tutto allo "Spiritus" inteso come atto eterno della "caritas"2. Senza il dono dello Spirito Santo, nell'interpretazione di Agostino, la verit non verit, ma superba pretesa dell'uomo di salvarsi con la sua sola sapienza.

    Agostino, come nota ancora Lettieri, inaugura anche una certa tradizionale diffidenza verso questo passo, in cui l'interiorizzazione del culto sostenuta da Giovanni pu condurre troppo facilmente ad una svalutazione del culto esterno cristiano, se non addirittura ad una identificazione dello spirito con il lume naturale che fa perdere al culto cristiano la sua specificit. Questa stessa diffidenza sembra essere mostrata da Calvino nella sua Institutio3. Il problema del rapporto tra spirito e verit riguarda per Calvino soprattutto l'interpretazione della Sacra Scrittura: la conoscenza di Dio, creatore e reggitore del mondo, deriva dalla natura, ma data la perversit della natura umana, l'uomo non pu riconoscerlo se non grazie alla Sacra Scrittura4, che va letta sotto la guida dello Spirito Santo: la scrittura ci deve essere confermata dalla testimonianza dello Spirito Santo, affinch ne teniamo per certa l'autorit5. Ma la Sacra Scrittura, a sua volta, a dare garanzia dell'autenticit dell'ispirazione dello Spirito Santo: affinch

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    dietro la sua ombra non entri lo spirito di Satana, [lo Spirito Santo] vuole essere riconosciuto da noi nella immagine che stata impressa nelle Scritture, e lo Spirito di Dio talmente congiunto e legato alla verit, quale egli l'ha espressa nella sua scrittura, da manifestare in modo pieno la sua potenza quando la Parola ricevuta con la dovuta venerazione6. Lo spirito non pu essere separato dal suo oggetto, l'interpretazione della scrittura, e messo in relazione immediata con la verit, perch la corruzione della natura umana fa s che la verit, ossia la conoscenza di Dio, possa essere tratta solo dalla scrittura; e viceversa, la vera interpretazione della scrittura dipende dal dono dello spirito e non pu prescindere da esso. La verit subordinata allo spirito, ma a condizione che esso sia applicato all'interpretazione della scrittura, e non senza la decisiva mediazione di questa.

    Mi sono soffermata brevemente su Calvino perch il referente immediato del Trattato Teologico Politico di Spinoza l'Olanda calvinista del XVII secolo, e perch anche per Spinoza, sia pure per ragioni opposte, il rapporto fra spirito e verit va trattato con estrema cautela. Spinoza non cita direttamente il passo di cui ci occupiamo, bench Giovanni sia fra tutti l'evangelista che ha maggior peso nella sua opera, e spesso, come vedremo, venga ripreso proprio in contesti significativi quanto al rapporto tra spirito e verit. Forse non lo fa semplicemente perch non ha motivo di farlo, perch gli altri passi di Giovanni da lui ripresi, come vedremo, sono pienamente sufficienti a mostrare quello che egli vuole mostrare del suo modo di intendere lo spirito; o forse Spinoza preferisce non avventurarsi su un testo che, nella sua apparente semplicit, potrebbe condurre ad una subordinazione della verit al dono dello spirito, oppure a un'identificazione dello spirito con la verit. Nel primo caso, si tratterebbe di riconoscere allo spirito una funzione di mediazione che Spinoza rifiuta, ma nel secondo egli si priverebbe degli strumenti per riflettere sulla religione in quanto essa ha di specifico. Il rapporto tra spirito e verit dunque per Spinoza una questione complessa, la cui analisi deve necessariamente percorrere tutta la parte teologica del Trattato.

    LA RUH E L'ISPIRAZIONE PROFETICA

    Il primo passaggio di quest'analisi quello che concerne l'ispirazione profetica, questione cruciale per quanto riguarda l'interpretazione della scrittura. E' su questo punto, secondo Leo Strauss, che la critica spinoziana della religione calvinista si rivela

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    inefficace. Spinoza con la sua analisi non riuscirebbe a dimostrare altro che quello che Calvino gi sosteneva: che sulla base di una scienza sprovvista del dono dello spirito non possibile riconoscere nella Scrittura il volto di Dio creatore e reggitore del mondo; perci non ci sarebbe alcun terreno comune su cui la religione rivelata e la filosofia di Spinoza possano confrontarsi7. In realt Spinoza sembra perfettamente consapevole di questo ruolo dello spirito nella teologia dei suoi interlocutori ed avversari, ed proprio per questo che tratta con estrema cautela tale nozione. Per poterla maneggiare egli deve innanzitutto, per cos dire, disinnescarla, e lo fa attraverso l'analisi del termine ebraico ruh, dimostrando che il concetto di ispirazione profetica cos com' inteso dalla teologia non ha un vero fondamento scritturale:

    Per profetizzare non necessaria una mente pi perfetta, ma un'immaginazione pi viva, come dimostrer nel capitolo seguente. Qui intanto d'uopo ricercare che cosa intenda la Sacra Scrittura per Spirito di Dio infuso nei profeti, e cio in che senso i profeti parlassero secondo lo Spirito di Dio; e a questo proposito bisogna vedere prima di tutto che cosa significhi la parola ebraica ruagh, volgarmente tradotta col termine "Spirito"8.

    Ruh, spiega Spinoza, significa alito, animo, animosit e forza, capacit o attitudine, intenzione, mente o anima, mentre una cosa si riferisce a Dio o si dice che di Dio o perch appartiene alla sua natura e quasi ne parte, o perch dipende da Dio, come la Legge di Dio, o perch dedicata a Dio, o perch trasmessa per mezzo dei profeti e non rivelata per lume naturale, oppure infine per esprimere il grado superlativo. Spirito di Dio dunque non significa, a volte, che "un vento violentissimo", oppure "grandezza d'animo", "valore o forza superiore al comune", alito di Dio, a lui impropriamente attribuito nella Scrittura insieme con la mente, l'animo e il corpo9, disposizione dell'animo divino, oppure mente di Dio rivelata nella Legge.

    Da tutto ci - per ritornare infine al nostro proposito - risultano spiegate le seguenti frasi della Scrittura: "il profeta ebbe lo Spirito di Dio", "Dio infuse agli uomini il suo Spirito", "gli uomini furono ripieni di Spirito di Dio e di Spirito Santo", ecc. Esse non significano altro, se non che i profeti erano dotati di virt singolare e non comune, e che coltivavano la piet con esimia

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    perseveranza. Inoltre, che percepivano la mente, ossia il giudizio di Dio. Abbiamo infatti dimostrato che Spirito in ebraico significa sia la mente sia l'intenzione, e che perci la stessa Legge, in quanto esprime la natura di Dio, si chiama Spirito o mente di Dio; per la qual cosa con pari diritto l'immaginazione dei profeti, in quanto per essa si rivelavano i decreti di Dio, si poteva chiamare mente di Dio e si poteva dire dei profeti che essi avevano la mente di Dio []. Infine si diceva che i profeti possedevano lo Spirito di Dio perch gli uomini ignoravano le cause della conoscenza profetica e pertanto la ammiravano; di conseguenza, la riferivano a Dio come tutti gli altri miracoli e solevano chiamarla conoscenza divina10.

    Spinoza mette dunque in risalto due aspetti dello "Spirito di Dio infuso nei profeti": da un lato il fatto che esso ha un valore eminentemente pratico, ossia che i profeti avevano lo Spirito di Dio nel senso che la loro volont obbediva ai suoi ordini ("coltivavano la piet con esimia perseveranza"), e che ne percepivano la mente o l'intenzione, e dall'altro il fatto che "di Dio" non che un superlativo, che non sta ad indicare il carattere ispirato o sovrarazionale della profezia, ma semplicemente l'ammirazione che il volgo tributava a una percezione della volont divina ritenuta non comune11.

    In tutti i casi, che lo Spirito di Dio fosse infuso nei profeti non significa che Dio parlasse per bocca loro, n dunque comporta che essi insegnassero la verit. Diventa allora possibile affermare, che i profeti non percepirono la rivelazione di Dio se non con l'aiuto dell'immaginazione, e cio con parole e immagini, vere o immaginarie12. Di pi, riportando in questo modo lo Spirito di Dio a una dimensione naturale, Spinoza si oppone alla relazione fra Spirito, Sacra Scrittura e verit sostenuta da Calvino. In nessuno di questi significati infatti lo Spirito Santo qualcosa che possa testimoniare della Sacra Scrittura o della sua vera interpretazione: chi afferma il contrario sovrappone al significato testuale dell'espressione "Spirito Santo" nient'altro che la propria volont o i propri desideri13. L'ispirazione dei profeti non fa della scrittura la Parola di Dio, quindi non comporta che tutto quanto detto nella scrittura sia vero, n rende possibile richiamarsi allo Spirito di Dio per interpretarla. Ne deriva che la verit non si ricava dalla vera interpretazione della Scrittura, e per lo stesso motivo la vera interpretazione della Scrittura non si ricava dalla verit14. La Sacra Scrittura deve allora essere interpretata come ogni altro libro: adoperando in primo luogo gli strumenti della filologia, che ci

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    permettano.di cogliere il senso dei discorsi che essa contiene, senza lasciarci sedurre n dai nostri desideri scambiati per ispirazione divina, n dal nostro raziocinio (per non dire dai nostri pregudizi), in quanto esso fondato sui principi della conoscenza naturale15.

    IN SPIRITO E CARIT

    La conoscenza profetica dipende dunque dall'immaginazione e non necessariamente conoscenza vera, anzi essa varia a seconda delle opinioni e della costituzione fisica del profeta16. D'altra parte in fondo irrilevante che essa sia vera in senso scientifico: un'assurdit, dice Spinoza, pretendere che un soldato come Giosu conoscesse l'astronomia copernicana; nell'interpretare ci che vide egli deve averne dato semplicemente la spiegazione che poteva, non necessariamente quella vera17. Ci non toglie che in un altro senso la Scrittura e gli insegnamenti dei profeti siano veri. La profezia, come abbiamo gi visto, ha carattere pratico, ed questo, in effetti, il suo carattere distintivo: il fatto che i profeti siano dotati di una conoscenza soprannaturale si capisce soprattutto da questo, che essi enunciano puri decreti o massime, mentre quanto pi i profeti si impegnano in una regolare argomentazione, tanto pi la conoscenza che essi hanno di una verit rivelata si approssima ad una conoscenza naturale18.

    Proprio per questo suo carattere pratico, dalle sue conseguenze che la profezia va giudicata. Se lo Spirito di Dio la mente o l'intenzione di Dio, e quindi la stessa legge di Dio, ogni profezia in particolare, e in generale tutta la Scrittura, esprimono lo Spirito di Dio solo se ne riflettono realmente la volont. Il carattere ispirato e la divinit stessa della Scrittura allora non sono pi il presupposto di ogni interpretazione, ma al contrario vanno provati, e possono esserlo soltanto se si dimostra che i suoi insegnamenti morali sono veri19; Parola di Dio significa propriamente legge divina, [] che consiste nella carit e nella retta intenzione20, e solo in questo senso la Scrittura contiene la parola di Dio. Allo stesso modo, la certezza dei profeti solo morale, e deve essere confermata da segni; il pi importante fra tutti il fatto che il profeta abbia l'animo inclinato soprattutto all'equit e al bene21. Questa inclinazione, o meglio la pratica dell'equit e del bene che la dimostra, in effetti pi che un segno: precisamente in essa che consiste lo Spirito di Dio, al punto che gli stessi apostoli, quando nelle lettere fanno

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    riferimento alla propria vocazione e allo Spirito Santo e divino che li ispira, lo fanno per dichiarare di essere appunto quelli che tutti i fedeli conoscevano per la loro predicazione e che con chiare testimonianze avevano dimostrato di insegnare la vera religione e la via della salvezza22.

    E' su questo piano che Spinoza riprende la teologia giovannea: essa costituisce uno dei principali punti di appoggio per sostenere che la sola conoscenza di Dio richiesta dalla Scrittura quella della divina giustizia e della carit23. In questo senso Spinoza si sofferma a lungo sulla prima epistola di Giovanni, di cui riporta anche un passo in exergo al Trattato: per hoc cognoscimus quod in Deo manemus, et Deus manet in nobis, quod de Spiritu suo dedit nobis24. Lo Spirito di Dio che rimane in noi, afferma Spinoza, la carit, perch come dice Giovanni chiunque ama [il prossimo] nato da Dio e conosce Dio; chi non ama non conosce Dio; infatti Dio carit. La fede, dunque, si esprime esclusivamente nella pratica della carit,

    Donde segue anche che noi non possiamo giudicare alcuno come fedele o infedele, se non dalle opere, e cio, se le opere sono buone, l'uomo fedele, sebbene dissenta nei dogmi dagli altri fedeli, mentre invece, se le opere sono cattive, egli infedele, ancorch sia d'accordo, a parole, con gli altri fedeli. Posta l'obbedienza, infatti, si pone necessariamente la fede, mentre la fede senza le opere morta. E questo espressamente insegnato anche da Giovanni nel verso 13 del medesimo capitolo, dove dice: "Noi conosciamo che rimaniamo in lui e che egli rimane in noi, da ci che egli ci ha dato il suo Spirito", cio la carit. Infatti egli aveva affermato in precedenza che Dio carit, onde conclude (in base ai suoi principi, e cio in base ai principi allora seguiti) che effettivamente possiede lo Spirito di Dio colui che possiede la carit. Anzi, poich nessuno ha mai visto Dio, ne conclude che nessuno percepisce o avverte Dio, se non nella carit verso il prossimo, e che perci nessun altro divino attributo possibile conoscere all'infuori di questa carit, in quanto di essa siamo partecipi.

    Soltanto in forza dell'amore del prossimo dunque, conclude Spinoza con Giovanni, ognuno in Dio e Dio in ognuno25.

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    SPIRITO E VERIT

    Lo spirito, per quanto abbiamo visto fin qui, si identifica con la verit morale riconosciuta dai profeti, e ne condivide il carattere pratico, consistente essenzialmente nella norma dell'amore del prossimo. Da questo punto di vista esso si situa su di un piano diverso da quello della verit: il piano della rivelazione e della certezza morale in cui per Spinoza sta la specificit della religione. La distinzione fra spirito e verit serve appunto al nostro autore per poter ragionare sulla religione in quanto essa ha di specifico: se la presenza dello Spirito di Dio nei profeti significa essenzialmente che costoro esprimevano e compivano con eccezionale virt la volont o legge di Dio, e Dio carit, la religione deve essere valutata in base all'attuazione concreta di tale volont, ossia dell'amore del prossimo.

    Sotto questo aspetto, la distinzione tra spirito e verit sembra molto netta. Tuttavia, se proseguiamo la lettura del Trattato, incontriamo un passo che ci fa pensare che in realt lo Spirito Santo quale Spinoza lo concepisce abbia anche un'altra valenza, che di riflesso rende duplice anche la sua relazione con la verit:

    Da quanto abbiamo detto nel capitolo precedente segue in maniera evidentissima che lo Spirito Santo non rende testimonianza se non alle buone azioni. E Paolo, nell'Epistola ai Galati, 5, 22, chiama anzi queste frutto dello Spirito Santo; e lo Spirito Santo stesso non niente altro, in realt, se non quell'acquiescenza che nella mente nasce dalle buone azioni. Intorno alla verit e alla certezza delle cose che sono oggetto di pura speculazione, lo Spirito non rende invece alcuna testimonianza, all'infuori di quella della ragione, la quale sola, come abbiamo gi dimostrato, rivendica a s il regno della verit26.

    Questo passo senz'altro un ulteriore critica al calvinismo: la testimonianza interiore dello Spirito Santo non riguarda l'intepretazione della Scrittura, ma la pratica concreta della carit. Quello che pi ci interessa ora, per, il fatto che esso pu venir letto in due modi, a seconda di come si interpreta l'affermazione secondo cui lo spirito non rende alcuna testimonianza alla verit all'infuori di quella della ragione. O questo significa che

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    fra spirito e verit non esiste alcun terreno comune, perch l'uno appartiene esclusivamente al campo della fede e della rivelazione, e l'altra a quello della ragione, oppure, e questa mi sembra l'interpretazione pi plausibile, questo significa invece che lo spirito ha due facce: da un lato esso, come sentimento di interna felicit, rende testimoniaza alla fede come obbedienza concreta alla norma dell'amore reciproco, dall'altro esso si identifica con la ragione, e sotto questo aspetto rende testimonianza alla verit.

    In effetti, se ritorniamo alle prime pagine del Trattato, troviamo che lungi dal contrapporre ragione e rivelazione Spinoza ne afferma anzi la sostanziale identit: profezia o rivelazione la conoscenza certa di una cosa rivelata da Dio agli uomini, ma in questo senso la stessa conoscenza naturale si pu chiamare profezia, e anzi si pu chiamare divina allo stesso titolo di qualunque altra, perch essa ci viene dettata dalla natura di Dio in quanto noi ne siamo partecipi27. Questa natura di Dio di cui noi siamo partecipi quello che poi nel resto del Trattato verr chiamato Spirito Santo, o Spirito di Dio, o anche, e vedremo subito perch, Spirito di Cristo. La differenza fra rivelazione e conoscenza naturale non sta nel loro diverso rapporto con lo Spirito di Dio, ma nel fatto che mentre ci che insegnano i divulgatori della scienza naturale pu essere appreso e compreso dagli altri umini con uguale certezza e capacit, il profeta (secondo l'etimologia del termine nabi) interprete per altri di una conoscenza dalla quale essi restano comunque esclusi. Il primo comunica direttamente agli altri lo Spirito di Dio, il secondo ne fornisce un'interpretazione per accettare la quale ci si pu fondare soltanto sull'autorit del profeta stesso. Questa la ragione profonda del carattere pratico attribuito da Spinoza alla rivelazione profetica: essa ha costitutivamente la struttura del comando. E' lo stesso Spinoza a sottolinearlo, accostando l'autorit profetica a quella politica: cos come il profeta interprete di Dio, e i suoi uditori si appoggiano sulla sua testimonianza e sull'autorit del profeta stesso, cos, le somme potest sono interpreti del proprio diritto d'imperio, perch le leggi da esse emanate sono garantite dalla sola autorit delle supreme potest e si fondano esclusivamente sulla loro testimonianza28.

    Lo spirito perde dunque qualsiasi funzione di mediazione, perch esso in realt si identifica con la natura di Dio in quanto ne siamo partecipi, e questa natura di Dio totalmente immanente. Se una mediazione rimane, essa non che quella compiuta dai profeti fra la rivelazione divina e il linguaggio umano dell'immaginazione e del comando, ma ci che cos tradotto dai profeti rimane pur sempre una verit universale. In realt,

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    poi, non si tratta neppure di una vera e propria traduzione, perch gli stessi profeti non colgono questa verit universale che nella forma stessa in cui la esprimono. Da qui l'importanza della figura di Cristo, nel quale questa attivit di traduzione diviene chiara: nel Trattato Teologico Politico Cristo rappresenta colui che forse per primo ha saputo cogliere come verit eterna ed universale quello che fino allora era stato espresso nella forma del comando: egli fu il solo al quale i precetti di Dio, che conducono alla salvezza degli uomini, furono rivelati non a parole o per visioni, ma immediatamente29. In questo senso lo Spirito di Cristo si identifica con lo Spirito Santo o Spirito di Dio, poich Cristo ha colto in modo vero e adeguato l'idea di Dio che nella rivelazione appresa e comunicata sotto forma di racconto e di legge da parte dei profeti si rifletteva solo inadeguatamente. Cristo dunque libera gli uomini dalla schiavit della legge perch rivela ci che all'interno della legge verit comune e universale, anzich presentarla, e prima di tutto percepirla, nella forma del comando di un Dio re e legislatore. La venuta di Cristo segna s una rottura nella storia, ma soltanto nel senso che egli per primo porta alla luce il significato profondo di quello che Dio ordin ad Adamo, e dunque libera dalla servit della legge rivelando la differenza la differenza fra servit e libert:

    Dio ordin ad Adamo di fare e di cercare il bene in quanto bene, e non in quanto contrario al male, ossia di cercare il bene per amore del bene, e non per timore del male. Colui infatti che, come abbiamo gi spiegato, fa il bene in base alla vera conoscenza e all'amore di esso, agisce liberamente e con animo costante; mentre chi lo fa per timore del male agisce servilmente e per costrizione del male stesso, vivendo cos sotto il potere altrui30.

    LO SPIRITO DI CRISTO

    E' in questo senso che lo Spirito di Cristo viene ripreso nelle lettere, dove ormai viene identificato immediatamente con la verit, ossia con l'idea di Dio, e qui ritroviamo la teologia giovannea reinterpretata molto pi apertamente nei termini dell'identificazione dello spirito con la verit. Conoscere Cristo secondo lo spirito, dice ora Spinoza conoscere quell'eterno figlio di Dio che la sapienza eterna di Dio, la quale si manifestata in tutte le cose e massimamente nella mente umana e in modo del tutto particolare in Ges Cristo, conoscerlo secondo la carne rimanere fermi ai racconti

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    della Sacra Scrittura nei quali questa sapienza espressa in modo confuso ed inadeguato31. E' su questa base che Spinoza reinterpreta anche il tema giovanneo del tempio: Cristo disse di se stesso di essere il tempio di Dio, nel senso che Dio si manifest massimamente, e cio nel modo pi chiaro e pi potente, in lui32. Cos Spinoza non si limita a riprendere la dislocazione giovannea del cultoin interiore homine, ma ne d una lettura che identifica direttamente questo culto con il culto della verit, che si trova all'interno di tutti gli uomini in quanto essi partecipano della natura di Dio e quindi ne hanno l'idea.

    Nell'Etica Spinoza parla ancora pi esplicitamente: la conoscenza adeguata dell'essenza eterna ed infinita di Dio comune a tutti gli uomini, anzi, essa in assoluto ci che vi di pi comune e di condivisibile33. Proprio la possibilit di condividere questa conoscenza e l'amore intellettuale di Dio che ne consegue il fondamento pi puro dell'amore fra gli uomini34, ma anche quando questa condivisione resta solo potenziale, essa si esprime ugualmente nell'amore e nella carit, come percezione confusa della similitudine degli uoini fra loro, e dunque come compassione35. E' questa percezione confusa ad essere narrata nella profezia, che per questo esprime lo spirito e la verit quando comanda agli uomini l'amore reciproco. Adorare Dio in spirito e verit significa dunque obbedire all'amore per gli altri uomini che la presenza dell'idea di Dio dentro di noi ci fa sentire, e che comandato nella Scrittura, e ancora di pi, per chi cerca la conoscenza, godere della sua condivisione, che la realizzazione ultima dell'amore di Dio e degli uomini:

    Questo amore verso Dio non pu essere contaminato n da un affetto di Invidia, n da un affetto di Gelosia; ma tanto pi alimentato, quanto pi numerosi sono gli uomini che immaginiamo essere uniti a Dio dal medesimo vincolo d'Amore36.

  • 1 Gaetano Lettieri, In spirito e/o verit, da Origene a Tommaso d'Acquino, Annali di storia dell'esegesi 1 (1995), 29.2 Ibidem, p 41.3 Calvino, Christianae Religionis Institutio (1536 e 1560), trad. it. Istituzione della religione cristiana, a cura di Giorgio Tourn, Torino, Utet, 1971. Calvino parla del passo di Giovanni sia nell'ambito della teologia trinitaria (p. 258), che a proposito dell'adorazione in spirito e verit. Essa per Calvino significa liberazione dalla tutela della legge, cio adorazione in semplicit (p. 1062), ma questo non toglie che, nonostante l'interiorit del culto, Dio ordini pur sempre di pregare in comune (p.1395). Com' noto, Calvino autore anche di un commento al vangelo di Giovanni, ma si voluto qui fare riferimento all'opera maggiore e pi nota di questo autore perch il nostro obiettivo qui non tanto esporre compiutamete il pensiero di Calvino, quanto chiarire il contesto culturale a cui fa riferimento Spinoza.4 Calvino, Istituzione della religione cristian, cit., I, 1 - 6, pp. 137-174.5 Ibidem, I, 7, p. 174. Qui Calvino polemizza soprattutto con chi vuole fondare tale autorit sulla tradizione di una chiesa depositaria dello spirito. Cfr. anche I, 7, 1 (p. 174), 4 (p. 178) e 5 (p. 180).6 Ibidem, I, 9, 2-3, pp. 196-7.7 Leo Strauss, Die Religionskritik Spinozas als Grundlage seinen Bibelwissenschaft. Untersuchungen zu Spinozas Theologisch-Politischen Traktat. (1930), trad. inglese Spinoza's Critique of Religion, New York, Schocken Book, 1965, pp. 193-200. Per la sua teologia Spinoza fa appello al "lume naturale", laddove Calvino fa appello per la sua teologia alla Scrittura in quanto garantita e resa accessibile dalla "testimonianza dello spirito santo" (p. 195 dell'ed. inglese, mia traduzione). In realt, se si pone la questione in questi termini, non semplicemente possibile la critica teorica di alcuna teologia; in questo caso la testimonianza dello spirito santo pu essere tutt'al pi discussa dal punto di vista delle sue conseguenze pratiche, e come vedremo questo appunto quello che fa Spinoza. Che la fede escluda la conoscenza dimostrativa, d'altronde, cosa che Spinoza dispostissimo a riconoscere, e anzi in questo sta la sua critica a Maimonide; questo non vuol dire, come osserva Silvayn Zac (Philosophie, thologie, politique dans l'uvre de Spinoza, Paris, Vrin,1979, pp. 92-94) che non richieda la ragione in quanto preoccupazione di coerenza e come funzione critica nella lettura della sacra scrittura.8 Spinoza, Tractatus Theologico-Politicus, trad. it. Trattato Teologico Politico, a cura di A. Droetto ed E. Giancotti, Torino, Einaudi, 1972 (d'ora in avanti citato con la sigla "TTP"), cap. I, p. 26, corrispondente a C. Gebhardt, Spinoza, Opera quotquot reperta sunt, Heidelberg, C. Winters Universittsverlag, 1924 (d'ora in avanti, "G"), vol. III, p. 21.9 TTP, cap. I, p. 31 (G III, 26)10 TTP, cap. I , p. 32 (G III, 27).11 Cfr. TTP, cap. I, pp. 19-20 (G III, 15-16).12 TTP, cap. I, p. 33 (G III, 28)13 TTP, cap. VII, p. 185: i teologi non pensarono per lo pi che al modo di estorcere alle Sacre Lettere e di accreditare con l'autorit divina i propri artificiosi pareri (G III, 97).14 Su questo Spinoza si oppone tanto a Maimonide quanto al proprio contemporaneo e amico L. Meyer, autore della Philosophiae Sacrae Scripturae Interpres, ora disonibile in trad. francese: La philosophie interprte de l'criture sainte, trad. du latin, notes et prsentation par Jacqueline Lagre et Pierre Franois Moreau, Intertextes, 1988. Cfr. J. Lagre - P.F. Moreau, La lecture de la bible dans le cercle de Spinoza, in AAVV Bible de tous les temps, sous la direction de Jean-Robert Armogate, Paris, Beauchesne, 1989, vol. VI, pp. 103 ss. Su Meyer sempre utile vedere K. O. Meinsma, Spinoza en zijn Kring (1896), traduzione francese con molti utili aggiornamenti Spinoza et son cercle, a cura di H. Mchoulan e P. F. Moreau, Paris, Vrin, 1983.15 TTP, cap. VII, p. 189 (G III, 100).16 Ci che d'altra parte precisamente il carattere specifico del primo livello di conoscenza, l'immaginazione. Essa non necessariamente falsit, ma piuttosto esperienza non ancora ordinata secondo

  • leggi universali; la capacit ordinarla in questo modo, ossia la comprensione del contenuto dell'esperienza, e la ricchezza stessa di questa comprensione, dipendono anche dalla potenza o virt della costituzione fisica a cui legata l'immaginazione: cos, ad esempio, il profeta Daniele non comprese la propria stessa profezia a causa dello stato di prostrazione in cui si trovava il suo corpo, e dunque la sua stessa immaginazione: cfr. Daniela Bostrenghi, Immaginazione e profezia nel Trattato Teologico Politico, Annali di storia dell'esegesi, 1 (1993), pp. 61-70. Sul tema dell'esperienza in Spinoza si veda il bel lavoro di Pierre-Franois Moreau, Spinoza. L'exprience et l'ternit, Paris, PUF, 1994.17 TTP, cap. II, p. 54 (G III, 35-36).18 TTP, cap. XI, p. 310 (l'ordine dei passi citati invertito) (G III, 153).19 TTP, cap. VII, p. 187 (G III, 99).20 TTP, cap. XII, p. 324 (G III, 162).21 TTP, cap. II, p. 49 (G III, 31).22 TTP, cap. XI, p. 313 (G III, 155).23 TTP, cap. XIII, pp. 337-8 (G III, 170-171).24 Giovanni, Epistola I, cap. IV, v. 13.25 TTP, cap. XIV, pp. 347-8 (G III, 175).26 TTP, cap. XV, 368 (G III, 187).27 TTP, cap. I, pp. 19 e 20 (G III, 15 e 16).28 TTP, cap. I, annotazione p. 20 (G III, 251, Adn. II).29 TTP, cap. I, p. 26 (G III, 21), all'opposto di Mos che comunic ai suoi concittadini non come filosofo, e in maniera che dalla libert dell'animo fossero spinti a vivere bene, ma come legislatore, in maniera da costringerli a vivere bene con la forza della legge, TTP II, p. 59 (G III, 41).30 TTP, cap. IV, p. 112 (G III, 66). Su questo punto non posso essere d'accordo con Enrico Maria Forni, che mi insegn il vitam colere spinoziano, e del quale ho tentato di continuare il progetto con amore di discepolo. InVerso una filosofia della storia: una possibile interpretazione della Provvidenza nel TTP di Spinoza "Annali di storia dell'esegesi" 7/1 (1990), pp. 29-43, Forni sosteneva che la possibilit della salvezza di tutti quello che la religione ha in pi rispetto alla filosofia, e che il fatto di intravedere nella religione e nel suo sviluppo storico l'evoluzione di questa possibilit fa s che in Spinoza emergano i primi germi di quella che sar un giorno la filosofia della storia. Ma se Spinoza riconosce un limite alla conoscenza razionale, questo limite riguarda esclusivamente l'esigenza di dimostrazione che vi connessa. Ragione e rivelazione non dicono necessariamente cose diverse, ma la seconda pi estesa perch non tutto quello che contenuto nell'esperienza o nell'immaginazione dimostrabile. La rivelazione esprime quella che una verit universale ed eterna, l'amore di Dio e del prossimo, sotto la forma del comando, e sostiene che questo comando sufficiente alla salvezza: questo che ne fa una verit che solo la pratica pu dimostrare.

    Quanto alla filosofia della storia, occorre tenere presente che in Spinoza assente qualsiasi forma di teleologia, e dunque anche l'idea di una possibile direzione della storia. Se dunque in Spinoza possibile trovare una filosofia della storia, questa non pu tuttavia contenere nessuna idea o garanzia di progresso. Quella che emerge dal Trattato Teologico Politico piuttosto l'idea di processi causali che sviluppano ci che sin dall'inizio implicito nella "natura" di una situazione e in ci che interviene a mutarla, e che possono andare tanto in direzione del bene di chi vi coinvolto quanto in direzione del male, tanto del 'progresso' che del 'regresso'. 31 Epistola 73, trad. it. a cura di A. Droetto, Torino, Einaudi, 1974, pp. 291-2 (G IV, 308).32 Epistola 75, p. 297 (G IV, 318)33 Etica, II, 47 (G II, 128).34 Etica, II, 37 (G II, 118)35 Etica, III, 27 e IV, 18 scolio (G II, 160 e 222-223).36 Etica, V, 20, trad. it. G. Durante, Firenze, Sansoni, 1984 (G II, 292).