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. MAURIZIOASSALTO TORINO «P ari , se nonsu- p erio- re, ad Apel- le»:co- sìAndreaMantegnasicelebra (inlatino)nellacapellafune- rariaall8internodellabasilica diSant8AndreaaMantova,in una lap ide marmorea posta sottoilbronzocheloritrae(o forseautoritrae)colcapocin- tod8alloroeilcontegnoauste- ro da senatore romano. Ma all8opostoèancheveroche «nil nisi divinum stabile est, caeterafumus»,«nullaèdure- voletranneildivino,ilrestoè fumo»,comel8artistaosserva nelcartiglioavvoltointornoa unacandelaaip iedidel SanSe- bastiano oggiconservatonella venezianaCa8d8Oro,unodei cinquedi p intirimastinelsuo studioquandomorì,a75anni. Tuttalapersonalitàartisti- caeumanadelmaestropado- vano(natonel1431aIsoladi Carturo)oscillatraquestidue estremi:l8orgoglioperilpro- p rio valore professionale («nonobstantelemolteper- suasioned8altriincontrario, diliberaitotalitervenireaser- virelaprefatavostraExcellen- ciaconanimodifarechequel- lasipotesevantaredihavere quellochenonhasignorede Italia»,scriveinunalettera del13maggio1478aLudovi- coGonzaga),conlaconnessa costantericercadionorionde elevarsiaunrangosignorile; edall8altrolatol8umiltà-un p o8dimaniera-dell8uomoti- moratodiDio,reverenteservi- toredellacasatamantovana. Cosadelrestocomprensibile p erilfigliodiunafamigliamo- destissima2ilpadre,riportò Bernardino Scardeone, ven- deva«panesetbozonos»nel- lepiazzediPadova-,chedi gradinoingradinoèriuscitoa salirenellascalasociale,svi- lupandounafittaretedirela- zioniconisignoridell8epoca, daiGonzagaagliEsteaiMedi- ci ,concardinali ,artistielette- rati,affinandolapropriacul- turanutritadipassioneper l8antichitàclassicaecosìpo- nendosialcentrodelRinasci- mentoitalianoeeuropeo. Rigoreprospettico Magliinteressiarcheologicie antiquarinonsirisolvonoper luiinunvagheggiamentono- stalgiconéinunameraquestio- nedigusto.«AndreaMante- gna.Riviverel8antico,costrui- reilmoderno»èsignificativa- menteintitolatalamostrache siapreoggiaPalazzoMadama (finoal4maggio),curatada Sandrina Bandera, Howard BurnseVincenzoFarinella,e chesegnal8attesoritornoaTo- rinodiunarassegnaartistica diprimariarilevanza.Mante- gnarileggeilpassatoeglicon- feriscenuovavitaperfarneun elementocostitutivodelpre- sente:èquantosipuòosserva- reneicirca150pezziinesposi- zione,tradi p inti ,disegni ,inci- sioni e sculture (dell8artista stesso e dei contemporanei , dal suo maestro Francesco SquarcioneaJacopoeGiovan- niBellini ,rispettivamentesuo- ceroecognato,aPaoloUccel- lo,Pollaiolo,Donatello,Anto- nellodaMessina,CosmèTura ealtriminori),oltreaunapre- ziosasceltadivolumid8epoca elettereautografe. Da iniziali reminiscenze fiamminghenelleoperegiova- nili ,quandoancorastavaaPa- dova(comenellalunettaper la porta centrale del Santo, 1452,con Sant8Antonioesan Bernardino che presentano il monogrammadiCristo , onella Sant8Eufemia del854perlacat- tedralelucanadiMontepelo- so,oggiIrsina),Mantegnasvi- luparap idamenteilproprio stile,giàmaturoquandonel 860vienechiamatoaMantova, qualep ittoredicorte,dalmar- cheseLudovicoGonzagacre- sciutoallascuolaumanistica diVittorinodaFeltre.L8artista (epoiarchitetto)studiaeap- p licalalezionediLeonBatti- staAlberti ,soprattuttodel De pictura , unateoriadellapro- spettivacheinsegnacometra- sporreconrigorematematico lefiguresulp ianobidimensio- naledandol8impressionedel- latridimensionalità.Tavoleco- mela MadonnaconilBambino esantiGerolamoeLudovicoda Tolosa (1454),conilneona apoggiatosuunabala chesporgeversol8os dandogli l8illusione dentroallascena,s ci pazione della tecnic graficadel closeup . Incisioniconcop Lefigureumaneveng riteentrograndiosico chitettonici ,comenegli schidellacapellaOve Eremitani di Padov (1448-57),antici pandole bientazionidiRaffael tridimensionalitàsiest la ritrattistica, a pa quadrocheraffigura le Ludovico Trevis (1459-60), definito da p e-Hennessy«ilprimoritr umanistico»,conquel scultoreaseverità stificareleparoledi gliAleottinelpoemet APALAZZOMADAMADITORINOUNGRANDEPROTAGONISTADELRINASCIMENTO:LEOPERE,ITORMENTI,LAPARABOLA Nullaèdurevole,seno Facendorivivere OperediAndrea Mantegnainmo- s traaTorino,Pa- lazoMadama,da oggial4maggio. 1. Sant8Antonio esanBernardino sorreggono ilmonogramma diCristo, affres co s tacato,1452. 2. Unasibillaeun profeta , teladipin- ta,1495.3. Ecce h omo , temperasu tela,1500-1502. 4. SacraFamiglia consanGiovanni , temperasutela 1500circa. 5. Madonnadei cherubini , tempe- ragrasasu tavola,1485circa 3 CINCINNATIARTMUSEUM,OHIO.BEQUESTOFMARYM.EMERY/BRIDGEMANIMAGES T M TEMPI MODERNI CULTURA,SOCIETÀ ESPETTACOLI 2 MUSEOANTONIANO,PADOVA MUSÉEJACQUEMART-ANDRÉ,PARIGI©STUDIOSÉBERTPHOTOGRAPHES NATIONALGALLERY,LONDRA 4 1 5 Polanskisi ;Vogliono inunmostro LEONARDOMARTINELLI 22 LA STAMPA GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019 T M

in un mostro CULTURA, SOCIETÀ E SPETTACOLI

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Page 1: in un mostro CULTURA, SOCIETÀ E SPETTACOLI

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MAURIZIO ASSALTOTORINO

«Pari, se non su-perio-re, ad Apel-le»: co-

sì Andrea Mantegna si celebra (in latino) nella cappella fune-raria all’interno della basilica di Sant’Andrea a Mantova, in una lapide marmorea posta sotto il bronzo che lo ritrae (o forse autoritrae) col capo cin-to d’alloro e il contegno auste-ro da senatore romano. Ma all’opposto è anche vero che «nil nisi divinum stabile est, caetera fumus», «nulla è dure-vole tranne il divino, il resto è fumo», come l’artista osserva nel cartiglio avvolto intorno a una candela ai piedi del San Se-bastiano oggi conservato nella veneziana Ca’ d’Oro, uno dei

cinque dipinti rimasti nel suo studio quando morì, a 75 anni.

Tutta la personalità artisti-ca e umana del maestro pado-vano (nato nel 1431 a Isola di Carturo) oscilla tra questi due estremi: l’orgoglio per il pro-prio valore professionale («nonobstante le molte per-suasione d’altri in contrario, diliberai totaliter venire a ser-vire la prefata vostra Excellen-cia con animo di fare che quel-la si potese vantare di havere quello che non ha signore de Italia», scrive in una lettera del 13 maggio 1478 a Ludovi-co Gonzaga), con la connessa costante ricerca di onori onde elevarsi a un rango signorile; e dall’altro lato l’umiltà - un po’ di maniera - dell’uomo ti-morato di Dio, reverente servi-tore della casata mantovana. Cosa del resto comprensibile per il figlio di una famiglia mo-

destissima – il padre, riportò Bernardino Scardeone, ven-deva «panes et bozonos» nel-le piazze di Padova -, che di gradino in gradino è riuscito a salire nella scala sociale, svi-luppando una fitta rete di rela-zioni con i signori dell’epoca, dai Gonzaga agli Este ai Medi-ci, con cardinali, artisti e lette-rati, affinando la propria cul-tura nutrita di passione per l’antichità classica e così po-nendosi al centro del Rinasci-mento italiano e europeo.

Rigore prospetticoMa gli interessi archeologici e antiquari non si risolvono per lui in un vagheggiamento no-stalgico né in una mera questio-ne di gusto. «Andrea Mante-gna. Rivivere l’antico, costrui-re il moderno» è significativa-mente intitolata la mostra che si apre oggi a Palazzo Madama

(fino al 4 maggio), curata da Sandrina Bandera, Howard Burns e Vincenzo Farinella, e che segna l’atteso ritorno a To-rino di una rassegna artistica di primaria rilevanza. Mante-gna rilegge il passato e gli con-ferisce nuova vita per farne un elemento costitutivo del pre-sente: è quanto si può osserva-re nei circa 150 pezzi in esposi-zione, tra dipinti, disegni, inci-sioni e sculture (dell’artista stesso e dei contemporanei, dal suo maestro Francesco Squarcione a Jacopo e Giovan-ni Bellini, rispettivamente suo-cero e cognato, a Paolo Uccel-lo, Pollaiolo, Donatello, Anto-nello da Messina, Cosmè Tura e altri minori), oltre a una pre-ziosa scelta di volumi d’epoca e lettere autografe.

Da iniziali reminiscenze fiamminghe nelle opere giova-nili, quando ancora stava a Pa-

dova (come nella lunetta per la porta centrale del Santo, 1452, con Sant’Antonio e san Bernardino che presentano il monogramma di Cristo, o nella Sant’Eufemia del ’54 per la cat-tedrale lucana di Montepelo-so, oggi Irsina), Mantegna svi-luppa rapidamente il proprio stile, già maturo quando nel ’60 viene chiamato a Mantova, quale pittore di corte, dal mar-chese Ludovico Gonzaga cre-sciuto alla scuola umanistica di Vittorino da Feltre. L’artista (e poi architetto) studia e ap-plica la lezione di Leon Batti-sta Alberti, soprattutto del De pictura, una teoria della pro-spettiva che insegna come tra-sporre con rigore matematico le figure sul piano bidimensio-nale dando l’impressione del-la tridimensionalità. Tavole co-me la Madonna con il Bambino e santi Gerolamo e Ludovico da

Tolosa (1454), con il neonato appoggiato su una balaustra che sporge verso l’osservatore, dandogli l’illusione di essere dentro alla scena, sono un’anti-cipazione della tecnica foto-grafica del close up.

Incisioni con copyrightLe figure umane vengono inse-rite entro grandiosi contesti ar-chitettonici, come negli affre-schi della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova (1448-57), anticipando le am-bientazioni di Raffaello. E la tridimensionalità si estende al-la ritrattistica, a partire dal quadro che raffigura il cardina-le Ludovico Trevisan (1459-60), definito da Po-pe-Hennessy «il primo ritratto umanistico», con quel volto di scultorea severità tale da giu-stificare le parole di Ulisse de-gli Aleotti nel poemetto dedi-

cato all’artista che «scolpì in pictura» (l’opposto speculare di Canova che oltre due secoli dopo sarà invece «pittore in scultura»). Un sorprendente effetto scultoreo affiora anche dalle stampe, su tutte la straor-dinaria Madonna con il Bambi-no del 1490. Mantegna fu tra i primi a mettere a punto la tec-nica dell’incisione, utilizzan-dola come strumento promo-zionale per diffondere le pro-prie «invenzioni» e arrivando (in un contratto stipulato nel 1475 con l’orafo Gian Marco Cavalli) a imporre un diritto di copyright sui disegni da ripor-tare su lastra.

L’artista viaggia - Ferrara, Fi-renze, Roma -, visita i siti ar-cheologici, studia i reperti anti-chi, qualcuno anche lo acqui-sta. I putti pagani scavati nei pressi di San Vitale, a Raven-na, di volta in volta diventano quelli celeberrimi che si affac-ciano dall’oculo della Camera picta nel Palazzo Ducale di Mantova, o si colorano di spiri-tualità cristiana trasformando-si nelle immagini del Bambi-no. La lettura di Plinio il Vec-chio lo guida nell’acribia natu-ralistica di tavole come la Ma-donna delle cave (1490), un’o-pera tutta da scoprire nei suoi dettagli. Tra gli altri capolavo-ri, notissimi, che qui basterà ci-tare, la Madonna dei cherubini (1485), Sacra famiglia con san Giovannino (1500), Resurre-

zione di Cristo (1492), Ecce ho-mo (1502), oltre alla monu-mentale Pala Trivulzio gremita di figure (1497), a un illusioni-stico monocromo con Sibilla e profeta (1495) che dà l’impres-sione di un gruppo bronzeo e a un Battesimo di Cristo (1504-1506, presente solo sul catalogo Marsilio) dove sem-bra quasi di presagire El Greco.

«La mia cara Faustina»Mantegna lavora fino alla fi-ne, scrive ripetutamente ai Gonzaga, i quali gli procurano da Venezia la speciale vernice orientale che regala ai suoi di-pinti una brillantezza quasi fiamminga. Batte cassa, la-menta ritardi e omissioni dei pagamenti, denuncia gravi dif-ficoltà economiche. Addirittu-ra è costretto a vendere i beni più preziosi, come il busto mar-moreo di Faustina, la moglie di Antonino Pio, acquistato du-rante il soggiorno romano del 1488-90. «La mia cara Fausti-na», la chiama nella commo-vente missiva che indirizza a Isabella d’Este, sposa di Fran-cesco II Gonzaga, offrendo-gliela per cento ducati «per-ché, dovendomene privare, harò più caro che quella l’ab-bia che signore né madonna sia al mondo».

La lettera è datata 13 lu-glio 1506. Due mesi esatti do-po Mantegna morirà. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL CASO

GIORGIO BALLARIOMILANO

In Italia il grande giornali-smo di cronaca è durato all'incirca mezzo secolo, dal secondo dopoguerra all'inizio del nuovo mil-lennio, e il quotidiano mi-

lanese La Notte è stato forse il giornale che meglio di altri ha saputo interpretare virtù, e soprattutto vizi, di un Paese che stava mutando pelle, tra ricostruzione, boom econo-mico, lotte sociali, terrori-smo, riflusso e immersione nell'edonismo reaganiano de-gli Anni Ottanta, per dirla al-la Roberto D'Agostino.

S'intitola Ultima edizione il libro fotografico appena pub-blicato da Milieu, editore mi-lanese specializzato nel varie-gato mondo del crimine: bio-grafie di rapinatori, memoir, saggi sulla vecchia «mala». Gli autori - i fotografi Alan Maglio e Luca Matarazzo e il cronista dell'Ansa Salvatore Garzillo - hanno saccheggia-to per anni gli archivi del quo-tidiano milanese, che cessò le pubblicazioni nel 1995, e con-sultato biblioteche e fondi pri-vati: il risultato è un sorpren-dente volume di 350 pagine (39 euro) che raccoglie cento-cinquanta scatti di «nera» usciti su La Notte nell'arco di un trentennio.

«Ultima edizione» è un viaggio per stomaci forti, per-ché nella cronaca nera di quei tempi le immagini veni-vano pubblicate senza filtri e con il dichiarato intento di catturare l'attenzione del lettore. Come dice Andrea Bellavita, docente e autore di saggi sul cinema, le foto di cronaca sono «il paradig-ma del voyeurismo, il piace-re morboso di guardare in faccia la morte. Quanto con-tassero le fotografie nel gior-nalismo di cronaca degli An-ni Sessanta/Settanta/Ot-tanta, lo racconta Maurizio Donelli, che fu cronista de La Notte, nonché l'ultimo di-rettore: «Per noi la fotogra-fia era fondamentale, non si poteva tornare in redazione senza una foto. Non ne vado fiero ma una volta ho ruba-to l'annuario di una scuola elementare per recuperare il ritratto del bambino prota-gonista della storia che mi avevano assegnato. Il diretto-re disse che se fossi tornato a

mani vuote mi avrebbe licen-ziato. E non scherzava».

Gli scatti dei fotoreporter de La Notte hanno cristallizza-to nel tempo una Milano e un'Italia che non esistono più. E senza volerlo hanno tra-mandato un pezzo della no-stra storia, documentando con l'occhio cinico del profes-sionista vicende di immigra-zione, disperazione, solitudi-ne e marginalità. Ma anche l'insorgere del terrorismo, il pozzo nero della tossicodi-pendenza, la violenza di una criminalità urbana che si è fat-ta via via più crudele e orga-nizzata. Le centocinquanta fo-to in bianco e nero ci regalano anche frammenti di un mon-do scomparso: l'intimità do-mestica violentata dal delit-to, stanze da letto, mobili del salotto e ninnoli in tinello che raccontano spesso di esisten-ze umili e sobrie.

Che cosa sia stata La Notte lo spiega Stenio Solinas, gior-nalista e scrittore, che ha lavo-rato nel quotidiano nei primi Anni Ottanta: «Era una mac-china da guerra che viaggia-va a un ritmo forsennato. Si entrava in redazione alle sei del mattino, alle sette e mez-za si chiudeva la prima edizio-ne e a mezzogiorno la secon-da. Poi di solito si cambiava turno, arrivavano altri giorna-listi e preparavano l'edizione pomeridiana con i listini della Borsa. Avevamo redazioni lo-

cali in ogni provincia lombar-da e oltre cento giornalisti, più tantissimi collaboratori. E poi avevamo dei fotografi ec-cezionali».

E dire che La Notte, fondata nel 1952 su iniziativa dell'in-dustriale Carlo Pesenti, avreb-be dovuto essere poco più di un giornaletto elettorale. Pe-senti, schierato su posizioni che oggi definiremmo di cen-trodestra, pensava a un quoti-diano in grado di contrastare a Milano gli organi d'informa-zione del pomeriggio (Mila-no Sera, Corriere Lombardo e Corriere d'Informazione) a suo avviso troppo schierati con la sinistra. In vista delle imminenti elezioni Pesenti pensò di affidare il nuovo gior-nale a una figura non troppo schierata e fuori dai giochi, che si occupasse della «mac-china» senza interferire sulle scelte politiche dell'editore.

La scelta cadde su Nino Nu-trizio, che all'epoca aveva 41 anni ed era un modesto cronista sportivo già redatto-

re del Corriere di Milano (chiuso nel 1950), caposer-vizio del Corriere Lombardo e in quel momento free-lan-ce ante litteram per mancan-za di un posto fisso. Nutrizio accettò e si circondò di una piccola redazione composta da giovani emergenti e alcu-ni collaudati professionisti.

Il primo numero de La Not-te uscì in edicola il 7 dicembre 1952 e fu un flop clamoroso: vendette appena mille copie. Ma ben presto il modello-Nu-trizio - notizie di cronaca «sparate» in prima pagina, molto sport, il listino pome-ridiano della Borsa, rubri-che di cinema e di spettaco-li, il «borsino» dei prezzi nei mercati rionali – riuscì ad af-fermarsi e in pochi mesi sor-passò gli altri giornali pomeri-diani, giungendo a vendere,

nei momenti di punta, oltre 200 mila copie.

Il giornale che avrebbe do-vuto restare in vita per pochi mesi ormai camminava sulle proprie gambe, anzi correva. Anche perché Nutrizio, che avrebbe dovuto essere solo un onesto uomo-macchina, si rivelò invece un direttore coi fiocchi. I suoi editoriali politi-ci, scritti con stile semplice e schietto, venivano attesi con impazienza dai lettori, che spesso a metà pomeriggio aspettavano fuori dalle edico-le l'arrivo dei furgoni con le co-pie de La Notte. «Nutrizio è stato tra i più importanti gior-nalisti italiani e anche un grande innovatore», ricorda Livio Caputo, che nel 1979 gli subentrò nella direzione del quotidiano. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

A PALAZZO MADAMA DI TORINO UN GRANDE PROTAGONISTA DEL RINASCIMENTO: LE OPERE, I TORMENTI, LA PARABOLA ARTISTICA E UMANA

Nulla è durevole, se non MantegnaFacendo rivivere l’antico costruì la modernità

Opere di Andrea Mantegna in mo-stra a Torino, Pa-lazzo Madama, da oggi al 4 maggio.1. Sant’Antonio e san Bernardinosorreggono il monogramma di Cristo, affresco staccato, 1452.2. Una sibilla e unprofeta, tela dipin-ta, 1495. 3. Ecce homo, tempera su tela, 1500-1502.4. Sacra Famigliacon san Giovanni,tempera su tela 1500 circa. 5. Madonna dei cherubini, tempe-ra grassa su tavola, 1485 circa

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PINACOTECA DI BRERA, MILANO

Nato nel 1952 comefoglio elettorale, decollò e arrivò

alle 200 mila copie

Un libro fotografico racconta lo storico giornale della sera milanese

Sbatti la cronaca nera in prima paginaLe immagini della “Notte” di Nutrizio

1. Milano, il delitto Guldohar Ome , febbraio 1985 2. Nino Nutrizio (1911 – 1988) control-la una copia della Notte appena uscita 3. Prima pagina con il delitto di un boss

CINCINNATI ART MUSEUM, OHIO. BEQUEST OF MARY M.EMERY/BRIDGEMAN IMAGES

Gli scatti ripropongono

una Milano grigiache non esiste più

TM TEMPIMODERNICULTURA, SOCIETÀE SPETTACOLI

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MUSEO ANTONIANO, PADOVA

MUSÉE JACQUEMART-ANDRÉ, PARIGI © STUDIO SÉBERT PHOTOGRAPHES NATIONAL GALLERY, LONDRA

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Polanski si difende“Vogliono trasformarmiin un mostro”LEONARDO MARTINELLI

«Stanno cercando di trasformarmi in un mostro»: Roman Polanski parla per la pri-ma volta dopo le accuse di stupro mosse a suo carico dalla fotografa francese Valenti-ne Monnier. «Questa storia è aberrante» dice Polanski a Paris-Match, in edicola do-mani. Come aveva già fatto attraverso il suo avvocato, l'ottantaseienne regista tor-

na a «negare totalmente» le accuse della Monnier, secondo cui Polanski l'avrebbe violentata nel 1975, quando lei aveva 18 anni, nel suo chalet in Svizzera. Il regista si ricorda «appena» della Monnier. «E non ho alcun ricordo di quel che racconta, per-ché è falso. Il suo viso, nelle foto pubblica-te, mi dice qualcosa, ma niente di più. Rac-

conta che una sua amica l’aveva invitata a passare qualche giorno a casa mia ma non ricorda più di chi fosse! È facile accusare qualcuno quando tutto è prescritto da de-cenni e si è sicuri che non mi sarà possibile discolparmi in giudizio. Racconta che le avrei chiesto, mentre eravamo in seggio-via: do you want to fuck? Ma perché lo

avrei fatto in inglese? Dice che ci sono tre testimoni dello stupro, tre miei amici, pre-senti nello chalet: ma due sono morti e una introvabile: è troppo facile. Io mi sono abituato alle calunnie - conclude - e le mia pelle si è indurita come una corazza. Ma per i miei figli e per Emmanuelle (Seigner, sua moglie) tutto questo è spaventoso».

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22 LASTAMPA GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019

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Page 2: in un mostro CULTURA, SOCIETÀ E SPETTACOLI

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MAURIZIO ASSALTOTORINO

«Pari, se non su-perio-re, ad Apel-le»: co-

sì Andrea Mantegna si celebra (in latino) nella cappella fune-raria all’interno della basilica di Sant’Andrea a Mantova, in una lapide marmorea posta sotto il bronzo che lo ritrae (o forse autoritrae) col capo cin-to d’alloro e il contegno auste-ro da senatore romano. Ma all’opposto è anche vero che «nil nisi divinum stabile est, caetera fumus», «nulla è dure-vole tranne il divino, il resto è fumo», come l’artista osserva nel cartiglio avvolto intorno a una candela ai piedi del San Se-bastiano oggi conservato nella veneziana Ca’ d’Oro, uno dei

cinque dipinti rimasti nel suo studio quando morì, a 75 anni.

Tutta la personalità artisti-ca e umana del maestro pado-vano (nato nel 1431 a Isola di Carturo) oscilla tra questi due estremi: l’orgoglio per il pro-prio valore professionale («nonobstante le molte per-suasione d’altri in contrario, diliberai totaliter venire a ser-vire la prefata vostra Excellen-cia con animo di fare che quel-la si potese vantare di havere quello che non ha signore de Italia», scrive in una lettera del 13 maggio 1478 a Ludovi-co Gonzaga), con la connessa costante ricerca di onori onde elevarsi a un rango signorile; e dall’altro lato l’umiltà - un po’ di maniera - dell’uomo ti-morato di Dio, reverente servi-tore della casata mantovana. Cosa del resto comprensibile per il figlio di una famiglia mo-

destissima – il padre, riportò Bernardino Scardeone, ven-deva «panes et bozonos» nel-le piazze di Padova -, che di gradino in gradino è riuscito a salire nella scala sociale, svi-luppando una fitta rete di rela-zioni con i signori dell’epoca, dai Gonzaga agli Este ai Medi-ci, con cardinali, artisti e lette-rati, affinando la propria cul-tura nutrita di passione per l’antichità classica e così po-nendosi al centro del Rinasci-mento italiano e europeo.

Rigore prospetticoMa gli interessi archeologici e antiquari non si risolvono per lui in un vagheggiamento no-stalgico né in una mera questio-ne di gusto. «Andrea Mante-gna. Rivivere l’antico, costrui-re il moderno» è significativa-mente intitolata la mostra che si apre oggi a Palazzo Madama

(fino al 4 maggio), curata da Sandrina Bandera, Howard Burns e Vincenzo Farinella, e che segna l’atteso ritorno a To-rino di una rassegna artistica di primaria rilevanza. Mante-gna rilegge il passato e gli con-ferisce nuova vita per farne un elemento costitutivo del pre-sente: è quanto si può osserva-re nei circa 150 pezzi in esposi-zione, tra dipinti, disegni, inci-sioni e sculture (dell’artista stesso e dei contemporanei, dal suo maestro Francesco Squarcione a Jacopo e Giovan-ni Bellini, rispettivamente suo-cero e cognato, a Paolo Uccel-lo, Pollaiolo, Donatello, Anto-nello da Messina, Cosmè Tura e altri minori), oltre a una pre-ziosa scelta di volumi d’epoca e lettere autografe.

Da iniziali reminiscenze fiamminghe nelle opere giova-nili, quando ancora stava a Pa-

dova (come nella lunetta per la porta centrale del Santo, 1452, con Sant’Antonio e san Bernardino che presentano il monogramma di Cristo, o nella Sant’Eufemia del ’54 per la cat-tedrale lucana di Montepelo-so, oggi Irsina), Mantegna svi-luppa rapidamente il proprio stile, già maturo quando nel ’60 viene chiamato a Mantova, quale pittore di corte, dal mar-chese Ludovico Gonzaga cre-sciuto alla scuola umanistica di Vittorino da Feltre. L’artista (e poi architetto) studia e ap-plica la lezione di Leon Batti-sta Alberti, soprattutto del De pictura, una teoria della pro-spettiva che insegna come tra-sporre con rigore matematico le figure sul piano bidimensio-nale dando l’impressione del-la tridimensionalità. Tavole co-me la Madonna con il Bambino e santi Gerolamo e Ludovico da

Tolosa (1454), con il neonato appoggiato su una balaustra che sporge verso l’osservatore, dandogli l’illusione di essere dentro alla scena, sono un’anti-cipazione della tecnica foto-grafica del close up.

Incisioni con copyrightLe figure umane vengono inse-rite entro grandiosi contesti ar-chitettonici, come negli affre-schi della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova (1448-57), anticipando le am-bientazioni di Raffaello. E la tridimensionalità si estende al-la ritrattistica, a partire dal quadro che raffigura il cardina-le Ludovico Trevisan (1459-60), definito da Po-pe-Hennessy «il primo ritratto umanistico», con quel volto di scultorea severità tale da giu-stificare le parole di Ulisse de-gli Aleotti nel poemetto dedi-

cato all’artista che «scolpì in pictura» (l’opposto speculare di Canova che oltre due secoli dopo sarà invece «pittore in scultura»). Un sorprendente effetto scultoreo affiora anche dalle stampe, su tutte la straor-dinaria Madonna con il Bambi-no del 1490. Mantegna fu tra i primi a mettere a punto la tec-nica dell’incisione, utilizzan-dola come strumento promo-zionale per diffondere le pro-prie «invenzioni» e arrivando (in un contratto stipulato nel 1475 con l’orafo Gian Marco Cavalli) a imporre un diritto di copyright sui disegni da ripor-tare su lastra.

L’artista viaggia - Ferrara, Fi-renze, Roma -, visita i siti ar-cheologici, studia i reperti anti-chi, qualcuno anche lo acqui-sta. I putti pagani scavati nei pressi di San Vitale, a Raven-na, di volta in volta diventano quelli celeberrimi che si affac-ciano dall’oculo della Camera picta nel Palazzo Ducale di Mantova, o si colorano di spiri-tualità cristiana trasformando-si nelle immagini del Bambi-no. La lettura di Plinio il Vec-chio lo guida nell’acribia natu-ralistica di tavole come la Ma-donna delle cave (1490), un’o-pera tutta da scoprire nei suoi dettagli. Tra gli altri capolavo-ri, notissimi, che qui basterà ci-tare, la Madonna dei cherubini (1485), Sacra famiglia con san Giovannino (1500), Resurre-

zione di Cristo (1492), Ecce ho-mo (1502), oltre alla monu-mentale Pala Trivulzio gremita di figure (1497), a un illusioni-stico monocromo con Sibilla e profeta (1495) che dà l’impres-sione di un gruppo bronzeo e a un Battesimo di Cristo (1504-1506, presente solo sul catalogo Marsilio) dove sem-bra quasi di presagire El Greco.

«La mia cara Faustina»Mantegna lavora fino alla fi-ne, scrive ripetutamente ai Gonzaga, i quali gli procurano da Venezia la speciale vernice orientale che regala ai suoi di-pinti una brillantezza quasi fiamminga. Batte cassa, la-menta ritardi e omissioni dei pagamenti, denuncia gravi dif-ficoltà economiche. Addirittu-ra è costretto a vendere i beni più preziosi, come il busto mar-moreo di Faustina, la moglie di Antonino Pio, acquistato du-rante il soggiorno romano del 1488-90. «La mia cara Fausti-na», la chiama nella commo-vente missiva che indirizza a Isabella d’Este, sposa di Fran-cesco II Gonzaga, offrendo-gliela per cento ducati «per-ché, dovendomene privare, harò più caro che quella l’ab-bia che signore né madonna sia al mondo».

La lettera è datata 13 lu-glio 1506. Due mesi esatti do-po Mantegna morirà. —

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IL CASO

GIORGIO BALLARIOMILANO

In Italia il grande giornali-smo di cronaca è durato all'incirca mezzo secolo, dal secondo dopoguerra all'inizio del nuovo mil-lennio, e il quotidiano mi-

lanese La Notte è stato forse il giornale che meglio di altri ha saputo interpretare virtù, e soprattutto vizi, di un Paese che stava mutando pelle, tra ricostruzione, boom econo-mico, lotte sociali, terrori-smo, riflusso e immersione nell'edonismo reaganiano de-gli Anni Ottanta, per dirla al-la Roberto D'Agostino.

S'intitola Ultima edizione il libro fotografico appena pub-blicato da Milieu, editore mi-lanese specializzato nel varie-gato mondo del crimine: bio-grafie di rapinatori, memoir, saggi sulla vecchia «mala». Gli autori - i fotografi Alan Maglio e Luca Matarazzo e il cronista dell'Ansa Salvatore Garzillo - hanno saccheggia-to per anni gli archivi del quo-tidiano milanese, che cessò le pubblicazioni nel 1995, e con-sultato biblioteche e fondi pri-vati: il risultato è un sorpren-dente volume di 350 pagine (39 euro) che raccoglie cento-cinquanta scatti di «nera» usciti su La Notte nell'arco di un trentennio.

«Ultima edizione» è un viaggio per stomaci forti, per-ché nella cronaca nera di quei tempi le immagini veni-vano pubblicate senza filtri e con il dichiarato intento di catturare l'attenzione del lettore. Come dice Andrea Bellavita, docente e autore di saggi sul cinema, le foto di cronaca sono «il paradig-ma del voyeurismo, il piace-re morboso di guardare in faccia la morte. Quanto con-tassero le fotografie nel gior-nalismo di cronaca degli An-ni Sessanta/Settanta/Ot-tanta, lo racconta Maurizio Donelli, che fu cronista de La Notte, nonché l'ultimo di-rettore: «Per noi la fotogra-fia era fondamentale, non si poteva tornare in redazione senza una foto. Non ne vado fiero ma una volta ho ruba-to l'annuario di una scuola elementare per recuperare il ritratto del bambino prota-gonista della storia che mi avevano assegnato. Il diretto-re disse che se fossi tornato a

mani vuote mi avrebbe licen-ziato. E non scherzava».

Gli scatti dei fotoreporter de La Notte hanno cristallizza-to nel tempo una Milano e un'Italia che non esistono più. E senza volerlo hanno tra-mandato un pezzo della no-stra storia, documentando con l'occhio cinico del profes-sionista vicende di immigra-zione, disperazione, solitudi-ne e marginalità. Ma anche l'insorgere del terrorismo, il pozzo nero della tossicodi-pendenza, la violenza di una criminalità urbana che si è fat-ta via via più crudele e orga-nizzata. Le centocinquanta fo-to in bianco e nero ci regalano anche frammenti di un mon-do scomparso: l'intimità do-mestica violentata dal delit-to, stanze da letto, mobili del salotto e ninnoli in tinello che raccontano spesso di esisten-ze umili e sobrie.

Che cosa sia stata La Notte lo spiega Stenio Solinas, gior-nalista e scrittore, che ha lavo-rato nel quotidiano nei primi Anni Ottanta: «Era una mac-china da guerra che viaggia-va a un ritmo forsennato. Si entrava in redazione alle sei del mattino, alle sette e mez-za si chiudeva la prima edizio-ne e a mezzogiorno la secon-da. Poi di solito si cambiava turno, arrivavano altri giorna-listi e preparavano l'edizione pomeridiana con i listini della Borsa. Avevamo redazioni lo-

cali in ogni provincia lombar-da e oltre cento giornalisti, più tantissimi collaboratori. E poi avevamo dei fotografi ec-cezionali».

E dire che La Notte, fondata nel 1952 su iniziativa dell'in-dustriale Carlo Pesenti, avreb-be dovuto essere poco più di un giornaletto elettorale. Pe-senti, schierato su posizioni che oggi definiremmo di cen-trodestra, pensava a un quoti-diano in grado di contrastare a Milano gli organi d'informa-zione del pomeriggio (Mila-no Sera, Corriere Lombardo e Corriere d'Informazione) a suo avviso troppo schierati con la sinistra. In vista delle imminenti elezioni Pesenti pensò di affidare il nuovo gior-nale a una figura non troppo schierata e fuori dai giochi, che si occupasse della «mac-china» senza interferire sulle scelte politiche dell'editore.

La scelta cadde su Nino Nu-trizio, che all'epoca aveva 41 anni ed era un modesto cronista sportivo già redatto-

re del Corriere di Milano (chiuso nel 1950), caposer-vizio del Corriere Lombardo e in quel momento free-lan-ce ante litteram per mancan-za di un posto fisso. Nutrizio accettò e si circondò di una piccola redazione composta da giovani emergenti e alcu-ni collaudati professionisti.

Il primo numero de La Not-te uscì in edicola il 7 dicembre 1952 e fu un flop clamoroso: vendette appena mille copie. Ma ben presto il modello-Nu-trizio - notizie di cronaca «sparate» in prima pagina, molto sport, il listino pome-ridiano della Borsa, rubri-che di cinema e di spettaco-li, il «borsino» dei prezzi nei mercati rionali – riuscì ad af-fermarsi e in pochi mesi sor-passò gli altri giornali pomeri-diani, giungendo a vendere,

nei momenti di punta, oltre 200 mila copie.

Il giornale che avrebbe do-vuto restare in vita per pochi mesi ormai camminava sulle proprie gambe, anzi correva. Anche perché Nutrizio, che avrebbe dovuto essere solo un onesto uomo-macchina, si rivelò invece un direttore coi fiocchi. I suoi editoriali politi-ci, scritti con stile semplice e schietto, venivano attesi con impazienza dai lettori, che spesso a metà pomeriggio aspettavano fuori dalle edico-le l'arrivo dei furgoni con le co-pie de La Notte. «Nutrizio è stato tra i più importanti gior-nalisti italiani e anche un grande innovatore», ricorda Livio Caputo, che nel 1979 gli subentrò nella direzione del quotidiano. —

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A PALAZZO MADAMA DI TORINO UN GRANDE PROTAGONISTA DEL RINASCIMENTO: LE OPERE, I TORMENTI, LA PARABOLA ARTISTICA E UMANA

Nulla è durevole, se non MantegnaFacendo rivivere l’antico costruì la modernità

Opere di Andrea Mantegna in mo-stra a Torino, Pa-lazzo Madama, da oggi al 4 maggio.1. Sant’Antonio e san Bernardinosorreggono il monogramma di Cristo, affresco staccato, 1452.2. Una sibilla e unprofeta, tela dipin-ta, 1495. 3. Ecce homo, tempera su tela, 1500-1502.4. Sacra Famigliacon san Giovanni,tempera su tela 1500 circa. 5. Madonna dei cherubini, tempe-ra grassa su tavola, 1485 circa

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PINACOTECA DI BRERA, MILANO

Nato nel 1952 comefoglio elettorale, decollò e arrivò

alle 200 mila copie

Un libro fotografico racconta lo storico giornale della sera milanese

Sbatti la cronaca nera in prima paginaLe immagini della “Notte” di Nutrizio

1. Milano, il delitto Guldohar Ome , febbraio 1985 2. Nino Nutrizio (1911 – 1988) control-la una copia della Notte appena uscita 3. Prima pagina con il delitto di un boss

CINCINNATI ART MUSEUM, OHIO. BEQUEST OF MARY M.EMERY/BRIDGEMAN IMAGES

Gli scatti ripropongono

una Milano grigiache non esiste più

TM TEMPIMODERNICULTURA, SOCIETÀE SPETTACOLI

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MUSEO ANTONIANO, PADOVA

MUSÉE JACQUEMART-ANDRÉ, PARIGI © STUDIO SÉBERT PHOTOGRAPHES NATIONAL GALLERY, LONDRA

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Polanski si difende“Vogliono trasformarmiin un mostro”LEONARDO MARTINELLI

«Stanno cercando di trasformarmi in un mostro»: Roman Polanski parla per la pri-ma volta dopo le accuse di stupro mosse a suo carico dalla fotografa francese Valenti-ne Monnier. «Questa storia è aberrante» dice Polanski a Paris-Match, in edicola do-mani. Come aveva già fatto attraverso il suo avvocato, l'ottantaseienne regista tor-

na a «negare totalmente» le accuse della Monnier, secondo cui Polanski l'avrebbe violentata nel 1975, quando lei aveva 18 anni, nel suo chalet in Svizzera. Il regista si ricorda «appena» della Monnier. «E non ho alcun ricordo di quel che racconta, per-ché è falso. Il suo viso, nelle foto pubblica-te, mi dice qualcosa, ma niente di più. Rac-

conta che una sua amica l’aveva invitata a passare qualche giorno a casa mia ma non ricorda più di chi fosse! È facile accusare qualcuno quando tutto è prescritto da de-cenni e si è sicuri che non mi sarà possibile discolparmi in giudizio. Racconta che le avrei chiesto, mentre eravamo in seggio-via: do you want to fuck? Ma perché lo

avrei fatto in inglese? Dice che ci sono tre testimoni dello stupro, tre miei amici, pre-senti nello chalet: ma due sono morti e una introvabile: è troppo facile. Io mi sono abituato alle calunnie - conclude - e le mia pelle si è indurita come una corazza. Ma per i miei figli e per Emmanuelle (Seigner, sua moglie) tutto questo è spaventoso».

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GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019 LASTAMPA 23