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1,8 milioni I BAMBINI, SECONDO LE AGENZIE ONU, CHE SOFFRONO DI GRAVE MALNUTRIZIONE 2.400 I MINORI UCCISI DAL 2015 AD OGGI PER CAUSE LEGATE ALLA GUERRA, 3.600 I FERITI L’agonia della piccola Amal squarcia il velo sullo Yemen Uccisa dalla fame a 7 anni. Come lei tanti figli della guerra Il dramma e il silenzio La storia della piccola ha commosso il mondo ed è stata raccontata con le immagini sul «New York Times» da Tyler Hicks, Premio Pulitzer. La cruda realtà delle vittime civili, di tre anni di bombardamenti e massacri tra sauditi e ribelli filo-iraniani Appello di Guterres alla tregua FEDERICA ZOJA mal Hussain, la bambina di 7 anni simbolo del- le sofferenze che la guerra sta infliggendo alla popolazione yemenita, è morta. Una settima- na fa, una foto che la ritraeva consumata dalla fame, ridotta a poco più di uno scheletro, adagiata sul letto di un ospedale – una delle poche strutture sanitarie ancora operative nel Paese – , è stata pubblicata dal New York Times, che con essa ha voluto rompere il si- lenzio (cui Avvenire nel suo piccolo non si è mai ras- segnato) in cui si consuma questa tragedia del nostro tempo. Lo scatto che ha sottratto Amal all’anonimato in cui vivono, soffrono e muoiono migliaia di minori yemeniti è stato realizzato dal Premio Pulitzer Tyler Hicks. La medesima testata giornalistica, ieri, ha reso nota la drammatica notizia, comunicata dalla fami- glia, ospite di un campo profughi nel Nord delloYemen. Nel più misero dei Paesi del vicino Oriente, Arabia Sau- dita e Iran si contendono il controllo del quadrante geografico, conducendo una guerra per procura. Dal- la primavera del 2015, Riad guida una coalizione di na- zioni sunnite a sostegno del presidente legittimo, Abd Rabbo Mansour el-Hadi, sunnita, mentre Teheran of- fre supporto logistico e militare ai ribelli Houthi, scii- ti. Oltre agli scontri, colera e carestia hanno trasfor- mato lo Yemen in un girone dell’inferno. Due terzi del- la popolazione, circa 18 milioni di persone, non sa che cosa mangerà domani. Più di 8,4 milioni di loro sono alla fame a causa del conflitto. Il numero di coloro che non hanno cibo a sufficienza aumenta di giorno in giorno, tanto che nelle prossime settimane divente- ranno 14 milioni gli yemeniti alla fame. Amaro il com- mento di Andrea Iacomini di Unicef Italia: «Amal è morta di fame. Di lei ci resta solo una terribile foto. U- na foto che aveva scosso il mondo intero ma, come spesso capita, non ha prodotto alcun cambiamento nella sua vita e in quella di oltre 11 milioni di bambini che necessitano di assistenza immediata». «La mancanza di cibo, lo spostarsi per sfuggire alla fa- me e alle violenze, le epidemie e la mancanza di assi- stenza sanitaria stanno mettendo a rischio la salute di 1,1 milioni di donne incinte o in fase di allattamento, causando numerose nascite di bambini prematuri o a basso peso», ha riferito il direttore del Fondo delle Na- zioni Unite per la popolazione, Luay Shabaneh. «La peggiore crisi umanitaria nel mondo e non è un disa- stro naturale, è fatta dall’uomo: il Paese si trova sul- l’orlo di un precipizio», ha avvertito invece il segreta- rio generale dell’Onu, Antonio Guterres che ha invo- cato «una tregua immediata nelle zone popolate». Il segretario americano alla Difesa, Jim Mattis, e il ca- po della diplomazia statunitense, Mike Pompeo, han- no recentemente chiesto – per la prima volta con fer- mezza, dal 2015 a oggi – l’apertura di negoziati di pa- ce tra le parti. La diplomazia internazionale ha finora assistito impotente: il laborioso tavolo negoziale te- nutosi in Kuwait nel 2016 non ha sortito alcun risulta- to, mentre quello che si sarebbe dovuto aprire a Gine- vra all’inizio di settembre non ha mai preso piede. I costi umani della guerra condotta dalla coalizione saudita, che vede coinvolti non solo i “pesi massimi” Egitto ed Emirati arabi uniti, ma pure nazioni meno in- fluenti quali la Mauritania, sono di recente saliti al- l’attenzione del mondo in seguito all’uccisione del gior- nalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, nel con- solato di Istanbul. Da allora, Stati Uniti e Gran Breta- gna, i maggiori fornitori di armi all’Arabia, hanno chie- sto un cessate il fuoco in Yemen. Aprendo un fronte di discussione politica sulla legittimità dell’azione di Riad. © RIPRODUZIONE RISERVATA A INNOCENTE SIMBOLO DELL’INDIFFERENZA Il fotografo premio Pulitzer, Tyler Hicks, nei giorni scorsi aveva spiegato come fosse stato «difficile» ma anche «importante» fotografare Amal. L’immagine qui a fianco, che è diventata il simbolo delle piccole vittime di una guerra nascosta, ritrae la bimba di 7 anni ridotta a poco più di uno scheletro, adagiata su un letto di ospedale nel Nord dello Yemen con la testa reclinata da un lato e negli occhi un’espressione di rassegnazione. È stata pubblicata la settimana scorsa dal “New York Times”, e ha commosso il mondo. Ieri, il giornale ha reso noto che purtroppo Amal non ce l’ha fatta (Tyler Hicks, New York Times) Il dolore dei bimbi denutriti negli scatti di Hani Mohammed che ha visitato la struttura medica dell’Aslam Health Center a Hajjah, sull’altopiano del nordovest dello Yemen: i piccoli denutriti spesso sono anche colpiti dal colera che da due anni sta mietendo vittime ovunque nel Paese (Ansa/Ap) Quante fotografie choc serviranno ancora per scuotere il mondo? MARINA CORRADI l 26 ottobre il New York Times aveva pubblica- to con grande risalto la foto di una bambina ye- menita di sette anni, ischeletrita dalla carestia in quel paese, lacerato da una guerra di cui quasi non si parla. Ieri quella bambina, Amal Hussain, è morta. La foto di Amal, scattata dal Premio Pulit- zer Tyler Hick, era stata accompagnata da queste pa- role: «Abbiamo pensato che avremmo fatto un tor- to alle vittime di questa guerra, se avessimo pub- blicato immagini sterilizzate che non riflettono pie- namente la loro sofferenza». La logica del Nyt è condivisibile da chi si sia trova- to testimone di guerre o insostenibile miseria, o ca- restie. Il giornalista, il fotografo che vedono le bam- bine come Amal, le madri senza più latte al seno, i profughi in disperata fuga, sono spesso traversati da un pensiero: se l’Occidente, se la nostra gente ve- desse, farebbe qualcosa. Qualcosa interverrebbe, a fermare questo scempio. In effetti, la bambina ri- dotta a un mucchietto di ossa, i suoi grandi occhi scuri dolci e pazienti, hanno scosso i lettori del Nyt, che hanno scritto, inviato messaggi e denaro. Ma non è bastato, non basta. Lo Yemen è dentro u- na guerra oscura che vede affrontarsi, seppure non direttamente, due colossi come Arabia Saudita e I- ran. Un conflitto invisibile, forse perché lontano da- gli interessi occidentali. La tragedia é imponente: 400mila bambini yemeniti rischiano ogni giorno la morte per fame, secondo Unicef Italia. La piccola A- mal purtroppo è solo un simbolo: migliaia come lei agonizzano in Paesi bombardati e campi pro- fughi. La diplomazia internazionale balbetta: c’è stato un appello del segretario americano alla Di- fesa, Jim Mattis, per l’apertura di negoziati di pace (gli ultimi sono miseramente falliti) e si parla di un cessate il fuoco che dovrebbe entrare in vigore entro 30 giorni. Forse. Sono lenti e incerti i passi della pace, sui morbidi tappeti delle organizzazioni internazionali e delle ambasciate. Sono ferini e rapidi quelli della care- stia e della guerra che incalza lo Yemen. Cadono le Amal, le bambine con occhi di cerbiatto e corpi an- nientati. La pace – forse, chissà – è così lontana. La fame è una predatrice veloce. Quante Amal in pri- ma pagina occorreranno ancora per scuotere la co- scienza del mondo? Con il loro grido afono, som- merso fra mille inutili parole. © RIPRODUZIONE RISERVATA I LUCIA CAPUZZI giudicare dal lungo disinteresse mediati- co, è una “guerra lon- tana”. Eppure il conflitto in Ye- men chiama in causa diretta- mente l’Occidente. Perché le forniture militari statuniten- si e britanniche all’Arabia Saudita sono cruciali per mandarlo avanti. Interrom- perlo, dunque, avrebbe im- posto uno stop alle operazio- ni. «Ma non c’è mai stata nes- suna intenzione seria di “chiudere i rubinetti”. Né prime né dopo il caso Kha- shoggi, nonostante le minac- ce di molti esponenti del Con- gresso Usa in tv. Il business è di tale rilevanza che nessuno A pensa seriamente di rinun- ciarci», afferma Cinzia Bianco, analista di politica medio- rientale e collaboratrice del King’s College. Al giro d’affa- ri, seppure in misura ridotta, partecipa anche l’Italia, con esportazioni per un centinaio di milioni di euro. Provenien- ti da una minuscola cittadina del sud della Sardegna, Do- musnovas, dove si trova lo sta- bilimento produttivo di Rwm. I codici identificativi delle componenti per ordigni che vi si fabbricano sono state tro- vate sul territorio yemenita, come più volte documentato dalle inchieste di Avvenire ne- gli ultimi anni. «Il nostro Pae- se è entrato in gioco ai tempi dell’Amministrazione Oba- ma. In seguito alla stretta di quest’ultima, Riad s’è rivolta ai piccoli produttori, dall’Ita- lia ai Paesi Baltici. Con la svol- ta di Trump, i sauditi si stan- no riorientando verso il mer- cato Usa». Proprio il presidente Trump ha più volte sottolineato che un passo indietro degli Stati Uniti non risolverebbe co- munque il problema poiché Riad si rivolgerebbe a cinesi e russi. È così? Tale affermazione è vera solo nel lungo periodo. Nel breve e medio termine, la “sostitu- zione degli armamenti” non è possibile, per questione di in- compatibilità di tecnologie. Non si può passare, di colpo, da una tipologia Nato a una non Nato. Il punto è un altro: si tratta di un business irri- nunciabile. Di che giro d’affari stiamo parlando? Washington e Riad hanno di- scusso impegni per un totale di 110 miliardi di dollari, an- che se alcune forniture vanno ancora confermate. Per quan- to riguarda il Regno Unito, sia- mo in un momento di transi- zione in cui non è possibile fare stime attendibili. I bri- tannici stanno cercando di far firmare ai sauditi nuovi con- tratti, ma è tutto da definire. Se la comunità internazio- nale non vuole davvero fer- mare la guerra che dira da tre anni, perché tanti proclami e la pressione del Pentagono per un cessate il fuoco? Il braccio di ferro non è, ne è mai stato, lo stop del conflit- to ma sul come combatterlo. Ovvero sul come limitare i co- siddetti “danni collaterali”, le morti di civili. A tal fine, sta impiegando il caso Khashog- gi come un grimaldello per ot- tenere concessioni, cioè per forzare Riad ad “ammorbidi- re” alcune delle sue politiche più controverse. Riad è disposta a negoziare? Deve farlo. Dal 2013, quando in seguito all’arretramento U- sa in Medioriente, Riad ha av- viato una politica regionale aggressiva, non si era mai tro- vata di fronte a una simile rea- zione dell’opinione pubblica. © RIPRODUZIONE RISERVATA Cinzia Bianco, del King’s College di Londra: le armi di Gran Bretagna e Stati Uniti sono cruciali. «Ma nessuno vuole perdere un business miliardario» E dall’Italia continuano a partire le bombe 4 Sabato 3 Novembre 2018 PRIMO PIANO IL CONFLITTO DIMENTICATO Le cifre dell’orrore Intervista. «Queste stragi si potevano fermare da tempo» Da anni “Avvenire” sta denunciando e documentando la produzione, nella fabbrica tedesca Rwm di Domusnovas in Sardegna, di bombe destinate all’Arabia Saudita: gli ordigni sono impiegati nei bombardamenti in Yemen venire

in Yemen MALNUTRIZIONE GUERRA, 3.600 I FERITI L’agonia ......rio generale dell’Onu, Antonio Guterres che ha invo-cato «una tregua immediata nelle zone popolate». Il segretario

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  • 1,8 milioniI BAMBINI, SECONDO LE AGENZIE ONU, CHESOFFRONO DI GRAVEMALNUTRIZIONE

    2.400 I MINORI UCCISI DAL 2015 AD OGGI PERCAUSE LEGATE ALLAGUERRA, 3.600 I FERITI

    L’agonia della piccola Amalsquarcia il velo sullo YemenUccisa dalla fame a 7 anni. Come lei tanti figli della guerraIl dramma e il silenzioLa storia della piccola hacommosso il mondo ed è stataraccontata con le immagini sul«New York Times» da Tyler Hicks,Premio Pulitzer. La cruda realtàdelle vittime civili, di tre anni di bombardamenti e massacri tra sauditi e ribelli filo-iranianiAppello di Guterres alla tregua

    FEDERICA ZOJA

    mal Hussain, la bambina di 7 anni simbolo del-le sofferenze che la guerra sta infliggendo allapopolazione yemenita, è morta. Una settima-

    na fa, una foto che la ritraeva consumata dalla fame,ridotta a poco più di uno scheletro, adagiata sul lettodi un ospedale – una delle poche strutture sanitarieancora operative nel Paese – , è stata pubblicata dalNew York Times, che con essa ha voluto rompere il si-lenzio (cui Avvenire nel suo piccolo non si è mai ras-segnato) in cui si consuma questa tragedia del nostrotempo. Lo scatto che ha sottratto Amal all’anonimatoin cui vivono, soffrono e muoiono migliaia di minoriyemeniti è stato realizzato dal Premio Pulitzer TylerHicks. La medesima testata giornalistica, ieri, ha resonota la drammatica notizia, comunicata dalla fami-glia, ospite di un campo profughi nel Nord dello Yemen.Nel più misero dei Paesi del vicino Oriente, Arabia Sau-dita e Iran si contendono il controllo del quadrantegeografico, conducendo una guerra per procura. Dal-la primavera del 2015, Riad guida una coalizione di na-zioni sunnite a sostegno del presidente legittimo, AbdRabbo Mansour el-Hadi, sunnita, mentre Teheran of-fre supporto logistico e militare ai ribelli Houthi, scii-ti. Oltre agli scontri, colera e carestia hanno trasfor-mato lo Yemen in un girone dell’inferno. Due terzi del-la popolazione, circa 18 milioni di persone, non sa checosa mangerà domani. Più di 8,4 milioni di loro sonoalla fame a causa del conflitto. Il numero di coloro chenon hanno cibo a sufficienza aumenta di giorno ingiorno, tanto che nelle prossime settimane divente-ranno 14 milioni gli yemeniti alla fame. Amaro il com-mento di Andrea Iacomini di Unicef Italia: «Amal èmorta di fame. Di lei ci resta solo una terribile foto. U-na foto che aveva scosso il mondo intero ma, comespesso capita, non ha prodotto alcun cambiamentonella sua vita e in quella di oltre 11 milioni di bambiniche necessitano di assistenza immediata». «La mancanza di cibo, lo spostarsi per sfuggire alla fa-me e alle violenze, le epidemie e la mancanza di assi-stenza sanitaria stanno mettendo a rischio la salute di1,1 milioni di donne incinte o in fase di allattamento,causando numerose nascite di bambini prematuri o abasso peso», ha riferito il direttore del Fondo delle Na-zioni Unite per la popolazione, Luay Shabaneh. «Lapeggiore crisi umanitaria nel mondo e non è un disa-stro naturale, è fatta dall’uomo: il Paese si trova sul-l’orlo di un precipizio», ha avvertito invece il segreta-rio generale dell’Onu, Antonio Guterres che ha invo-cato «una tregua immediata nelle zone popolate».Il segretario americano alla Difesa, Jim Mattis, e il ca-po della diplomazia statunitense, Mike Pompeo, han-no recentemente chiesto – per la prima volta con fer-mezza, dal 2015 a oggi – l’apertura di negoziati di pa-ce tra le parti. La diplomazia internazionale ha finoraassistito impotente: il laborioso tavolo negoziale te-nutosi in Kuwait nel 2016 non ha sortito alcun risulta-to, mentre quello che si sarebbe dovuto aprire a Gine-vra all’inizio di settembre non ha mai preso piede. I costi umani della guerra condotta dalla coalizionesaudita, che vede coinvolti non solo i “pesi massimi”Egitto ed Emirati arabi uniti, ma pure nazioni meno in-fluenti quali la Mauritania, sono di recente saliti al-l’attenzione del mondo in seguito all’uccisione del gior-nalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, nel con-solato di Istanbul. Da allora, Stati Uniti e Gran Breta-gna, i maggiori fornitori di armi all’Arabia, hanno chie-sto un cessate il fuoco in Yemen. Aprendo un fronte didiscussione politica sulla legittimità dell’azione di Riad.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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    INNOCENTE SIMBOLODELL’INDIFFERENZAIl fotografo premio Pulitzer, TylerHicks, nei giorni scorsi avevaspiegato come fosse stato«difficile» ma anche «importante»fotografare Amal. L’immagine quia fianco, che è diventata ilsimbolo delle piccole vittime diuna guerra nascosta, ritrae labimba di 7 anni ridotta a pocopiù di uno scheletro, adagiata suun letto di ospedale nel Norddello Yemen con la testa reclinatada un lato e negli occhiun’espressione di rassegnazione.È stata pubblicata la settimanascorsa dal “New York Times”, eha commosso il mondo. Ieri, ilgiornale ha reso noto chepurtroppo Amal non ce l’ha fatta(Tyler Hicks, New York Times)

    Il dolore dei bimbi denutritinegli scatti di Hani

    Mohammed che havisitato la strutturamedica dell’Aslam

    Health Center aHajjah, sull’altopiano

    del nordovest delloYemen: i piccolidenutriti spesso

    sono anche colpitidal colera che da

    due anni stamietendo vittime

    ovunque nel Paese(Ansa/Ap)

    Quante fotografie chocserviranno ancora per scuotere il mondo?

    MARINA CORRADI

    l 26 ottobre il New York Times aveva pubblica-to con grande risalto la foto di una bambina ye-menita di sette anni, ischeletrita dalla carestia

    in quel paese, lacerato da una guerra di cui quasinon si parla. Ieri quella bambina, Amal Hussain, èmorta. La foto di Amal, scattata dal Premio Pulit-zer Tyler Hick, era stata accompagnata da queste pa-role: «Abbiamo pensato che avremmo fatto un tor-to alle vittime di questa guerra, se avessimo pub-blicato immagini sterilizzate che non riflettono pie-namente la loro sofferenza». La logica del Nyt è condivisibile da chi si sia trova-to testimone di guerre o insostenibile miseria, o ca-restie. Il giornalista, il fotografo che vedono le bam-bine come Amal, le madri senza più latte al seno, iprofughi in disperata fuga, sono spesso traversati daun pensiero: se l’Occidente, se la nostra gente ve-desse, farebbe qualcosa. Qualcosa interverrebbe, afermare questo scempio. In effetti, la bambina ri-dotta a un mucchietto di ossa, i suoi grandi occhiscuri dolci e pazienti, hanno scosso i lettori del Nyt,che hanno scritto, inviato messaggi e denaro.Ma non è bastato, non basta. Lo Yemen è dentro u-na guerra oscura che vede affrontarsi, seppure nondirettamente, due colossi come Arabia Saudita e I-ran. Un conflitto invisibile, forse perché lontano da-gli interessi occidentali. La tragedia é imponente:400mila bambini yemeniti rischiano ogni giorno lamorte per fame, secondo Unicef Italia. La piccola A-mal purtroppo è solo un simbolo: migliaia comelei agonizzano in Paesi bombardati e campi pro-fughi. La diplomazia internazionale balbetta: c’èstato un appello del segretario americano alla Di-fesa, Jim Mattis, per l’apertura di negoziati di pace(gli ultimi sono miseramente falliti) e si parla di uncessate il fuoco che dovrebbe entrare in vigore entro30 giorni. Forse. Sono lenti e incerti i passi della pace, sui morbiditappeti delle organizzazioni internazionali e delleambasciate. Sono ferini e rapidi quelli della care-stia e della guerra che incalza lo Yemen. Cadono leAmal, le bambine con occhi di cerbiatto e corpi an-nientati. La pace – forse, chissà – è così lontana. Lafame è una predatrice veloce. Quante Amal in pri-ma pagina occorreranno ancora per scuotere la co-scienza del mondo? Con il loro grido afono, som-merso fra mille inutili parole.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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    LUCIA CAPUZZI

    giudicare dal lungodisinteresse mediati-co, è una “guerra lon-

    tana”. Eppure il conflitto in Ye-men chiama in causa diretta-mente l’Occidente. Perché leforniture militari statuniten-si e britanniche all’ArabiaSaudita sono cruciali permandarlo avanti. Interrom-perlo, dunque, avrebbe im-posto uno stop alle operazio-ni. «Ma non c’è mai stata nes-suna intenzione seria di“chiudere i rubinetti”. Né prime né dopo il caso Kha-shoggi, nonostante le minac-ce di molti esponenti del Con-gresso Usa in tv. Il business èdi tale rilevanza che nessuno

    Apensa seriamente di rinun-ciarci», afferma Cinzia Bianco,analista di politica medio-rientale e collaboratrice delKing’s College. Al giro d’affa-ri, seppure in misura ridotta,partecipa anche l’Italia, conesportazioni per un centinaiodi milioni di euro. Provenien-ti da una minuscola cittadinadel sud della Sardegna, Do-musnovas, dove si trova lo sta-bilimento produttivo di Rwm.I codici identificativi dellecomponenti per ordigni chevi si fabbricano sono state tro-vate sul territorio yemenita,come più volte documentatodalle inchieste di Avvenirene-gli ultimi anni. «Il nostro Pae-se è entrato in gioco ai tempidell’Amministrazione Oba-

    ma. In seguito alla stretta diquest’ultima, Riad s’è rivoltaai piccoli produttori, dall’Ita-lia ai Paesi Baltici. Con la svol-ta di Trump, i sauditi si stan-no riorientando verso il mer-cato Usa».Proprio il presidente Trumpha più volte sottolineato cheun passo indietro degli StatiUniti non risolverebbe co-munque il problema poichéRiad si rivolgerebbe a cinesie russi. È così?Tale affermazione è vera solonel lungo periodo. Nel brevee medio termine, la “sostitu-zione degli armamenti” non èpossibile, per questione di in-compatibilità di tecnologie.Non si può passare, di colpo,da una tipologia Nato a una

    non Nato. Il punto è un altro:si tratta di un business irri-nunciabile.Di che giro d’affari stiamoparlando?Washington e Riad hanno di-scusso impegni per un totaledi 110 miliardi di dollari, an-che se alcune forniture vannoancora confermate. Per quan-to riguarda il Regno Unito, sia-mo in un momento di transi-zione in cui non è possibilefare stime attendibili. I bri-tannici stanno cercando di farfirmare ai sauditi nuovi con-tratti, ma è tutto da definire.Se la comunità internazio-nale non vuole davvero fer-mare la guerra che dira da treanni, perché tanti proclamie la pressione del Pentagono

    per un cessate il fuoco?Il braccio di ferro non è, ne èmai stato, lo stop del conflit-to ma sul come combatterlo.Ovvero sul come limitare i co-siddetti “danni collaterali”, lemorti di civili. A tal fine, staimpiegando il caso Khashog-gi come un grimaldello per ot-tenere concessioni, cioè perforzare Riad ad “ammorbidi-re” alcune delle sue politichepiù controverse. Riad è disposta a negoziare?Deve farlo. Dal 2013, quandoin seguito all’arretramento U-sa in Medioriente, Riad ha av-viato una politica regionaleaggressiva, non si era mai tro-vata di fronte a una simile rea-zione dell’opinione pubblica.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    Cinzia Bianco, del King’sCollege di Londra: learmi di Gran Bretagna e Stati Uniti sonocruciali. «Ma nessunovuole perdere unbusiness miliardario»E dall’Italia continuano a partire le bombe

    4 Sabato3 Novembre 2018P R I M O P I A N O IL CONFLITTODIMENTICATOLe

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    Intervista. «Queste stragi si potevano fermare da tempo»

    Da anni “Avvenire”sta denunciando edocumentando laproduzione, nellafabbrica tedesca

    Rwm diDomusnovas in

    Sardegna, dibombe destinate

    all’Arabia Saudita:gli ordigni sono

    impiegati neibombardamenti

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