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A08 321

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Andrea Atzeni

Regime e pRotezione dei LitoRaLi

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Copyright © MMXIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–3814–7

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: gennaio 2011

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INDICE

INTRODUZIONE IX CAPITOLO 1: MORFOLOGIE E MATERIALI COSTIERI

1.1. MORFOLOGIE COSTIERE 3 1.2. REGIME DELLE COSTE ROCCIOSE 8 1.3. MATERIALI LITORANEI COERENTI, CEMENTATI E INCOERENTI 9 1.3.1. DIMENSIONI E MORFOMETRIA DEI GRANULI 10 1.3.2. MINERALOGIA DEI GRANULI 11 1.4. IL MOVIMENTO DEI GRANULI NEI DOMINI FLUIDI 14

1.4.1. SEDIMENTAZIONE DEI GRANULI SFERICI 14 1.4.2. SEDIMENTAZIONE DEI GRANULI NATURALI 16 1.4.3. SEDIMENTAZIONE IN MUCCHIO 17

1.5. CAMPIONAMENTO DEI SEDIMENTI DI SPIAGGIA 17 1.6. ANALISI GRANULOMETRICHE 19

1.6.1. ANALISI PER SETACCIATURA O VIA SECCA 20 1.6.2. ANALISI CON LA PIPETTA O PER VIA UMIDA 20

1.7. PRESENTAZIONE DEI RISULTATI DELLE ANALISI 21 1.8. PARAMETRI STATISTICI E PARAMETRI EMPIRICI 25 1.8.1. MEDIA 25 1.8.2. RIPARTIZIONE O ASSORTIMENTO 25 1.8.3. ASIMMETRIA 26 1.8.4. CURTOSI 27 1.9. AGGREGAZIONE DEI GRANULI 28 Esercizio 1.1. Regime idraulico di un campione di sabbia e analisi delle sue caratteristiche

tessiturali 32 CAPITOLO 2: PROCESSO EVOLUTIVO DEI LITORALI

2.1. AZIONI FLUODINAMICHE SUI SEDIMENTI E SOLLECITAZIONI CRITICHE 39 2.2. LIMITI LATO MARE DEL TRASPORTO DEI SEDIMENTI 40 2.3. TRASPORTO TRASVERSALE 43 2.4. TRASPORTO LONGITUDINALE 46 2.5. FLUSSO LONGITUDINALE DI ENERGIA DEL MOTO ONDOSO 47 2.6. ONDE MORFOLOGICAMENTE EQUIVALENTI 52 2.7. EQUAZIONE DELLA LINEA DI RIVA 54 2.8. EVOLUZIONE DELLA LINEA DI RIVA 56 2.8.1. EFFETTI PRODOTTI DA UN PENNELLO SU UNA LINEA DI RIVA

ORIGINARIAMENTE RETTILINEA 57 2.8.2. EVOLUZIONE DI UNA LINEA DI RIVA INTERESSATA

LOCALMENTE DA UN RIPASCIMENTO 59 2.9. MODELLI A UNA E DUE LINEE 61 2.10. TRASPORTO EOLICO 62

2.10.1. IL VENTO 64 2.10.2. OSTACOLI AL VENTO NELLE SPIAGGE 64 2.10.3. VELOCITÀ CRITICA IN PRESENZA DI PRECIPITAZIONI 65 2.10.4. FUNZIONE DELLE DUNE 66 2.10.5. PROCESSO EVOLUTIVO DELLE DUNE 66

Esercizio 2.1. Calcolo delle onde morfologicamente equivalenti 69 Esercizio 2.2. Evoluzione di una linea di riva dopo la realizzazione di un pennello 70 Esercizio 2.3. Calcolo del volume dei sedimenti trasportato dal vento orario agente su una

Spiaggia asciutta 72 Esercizio 2.4. Calcolo del volume dei sedimenti accumulabili nella duna a bordo spiaggia 74 CAPITOLO 3: CAUSE IDRODINAMICHE DELLA MORFOLOGIA DELLE SPIAGGE

3.1. REGIME METEOMARINO E FORME DI EQUILIBRIO DELLE SPIAGGE 77

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INDICE VI

87 EHCIRTEMMIS EGGAIPS .1.1.3 87 ILOBMOT E ITNEILAS .21.3 87 EHCIRTEMMISA EGGAIPS .3.1.3 08 IENAROTIL INODROC .4.1.3 18 IREITSOC ITNEMIDES IED OTNEMIVOM E ENIGIRO .2.3 28 OIDUTS ID ISAC .3.3 68 EHCIFARGOISIF ÀTINU E ITNEMIDES IED OTROPSART .4.3

3.5. DETERMINAZIONE DELLA 68 OLLORTNOC ID AENIL

CAPITOLO 4: LE COSTE DELLA SARDEGNA

39 EDRAS ETSOC ELLED ENOISNETSE .1.4 49 ANGEDRAS ALLED ACIGOLOEG ENOIZULOVE .2.4 69 EDRAS ETSOC ELLED ELAUTTA ACIMANIDORDI .3.4 99 ÀTILIBIDORE OROL E EREITSOC EIGOLOTIL .4.4 001 EHCINOTULP ECCOR .1.4.4 001 EVISUFFE DE ILASSIBAOPI ECCOR .2.4.4 101 EIRATNEMIDES ECCOR .3.4.4 201 EHCIFROMATEM ECCOR .4.4.4 301 ANGEDRAS ID ELANAC LED ATSOC AL .5.4 301 ARROVAZ ATNUP A ENOREPS OPAC AD .1.5.4 401 ARANOBRAC OPAC A ARROVAZ ATNUP AD .2.5.4

4.6. LE COSTE DEL TIRRENO E DELLE BOCCHE DI BONIFACIO 106 4.6.1. DA CAPO CARBONARA 601 OZNEROL NAS OPAC A4.6.2. DA CAPO SAN LORENZO A CAPO SFERRACAVALLO 109 4.6.3. DA CAPO SFERRACAVALLO A CAPO MONTE SANTU 110

211 ONIMOC OPAC A UTNAS ETNOM OPAC AD .4.6.4 511 IRAGIF OPAC A ONIMOC OPAC AD .5.6.4 611 ENOCLAF ATNUP A IRAGIF OPAC AD .6.6.4

4.7. LE COSTE DELLE BOCCHE DI BONIFACIO E DEL GOLFO DELL’ASINARA 117 811 ODRASLETSAC A ENOCLAF ATNUP AD .1.7.4

4.7.2. DA CASTELSARDO A PUNTA SCORNO (ASINARA) 120 121 ANGEDRAS ID ERAM LED ETSOC AL .8.4 121 UIGRARRAM OPAC A ENOCLAF LED OPAC AD .1.8.4 321 UNNAM OPAC A UIGRARRAM OPAC AD .2.8.4 421 ACSARF OPAC A UNNAM OPAC AD .3.8.4 521 AROCEP OPAC A ACSARF OPAC AD .4.8.4 721 ENOREPS OPAC A AROCEP OPAC AD .5.8.4

CAPITOLO 5: MATERIALI DA COSTRUZIONENELLE OPERE DI PROTEZIONE DEI LITORALI

5.1. MATERIALI LAPIDEI 131 OGEIPMI OROL E5.1.1. CLASSIFICAZIONI E CARATTERISTICHE FISICHE DELLE ROCCE 131 5.1.2. RESISTENZA E CAUSE DI ROTTURA DEI SINGOLI MASSI 133 5.1.3. CAVE PER LA PRODUZIONE DI MASSI DI MANTELLATA 134 5.1.4. CAVE PER LA PRODUZIONE DI TUTTE LE PEZZATURE RICHIESTE

631 ATATTEG A AREPO’NU AD 631 ÀTILIBATTECCA ID ITISIUQER .5.1.5 731 EIZITNEMEC ETLAM E IZZURTSECLAC .2.5 731 OTNEMEC .1.2.5 831 dnaltroP otnemeC .1.1.2.5 931 ocinalozzoP otnemeC .2.1.2.5 931 onroF otlA’d otnemeC .3.1.2.5 041 osonimullA otnemeC .4.1.2.5 141 ITRENI .1.2.5 441 AUQCA .1.2.5 541 IVITIDDA .1.2.5 641 OZZURTSECLAC .1.2.5 741 acitsirettaraC aznetsiseR alled ehcifireV .1.5.2.5

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Regime e Protezione dei Litorali VII

841 ozzurtseclaC led arutamrA .2.5.2.5 841 IEUQCABUS ITTEG .6.2.5 051 OTAMRA OTNEMEC LED ÀTILIBARUD .7.2.5 151 ivisorroC e ivisserggA itnegA .1.7.2.5 351 ertuen euqcA .2.7.2.5

5.2.7.3. Acque Contenenti CO2 451 551 itafloS itnenetnoC euqcA .4.7.2.5 551 irurolC itnetnoC euqcA .5.7.2.5 651 eraM id euqcA .6.7.2.5 751 ASIHG E OIAICCA .3.5

5.3.1. LA CORROSIONE DEL FERRO E I MEZZI PER CONTRASTARLA 158 061 ITAGEL IAICCA .2.3.5 161 ILISSETOEG .4.5

CAPITOLO 6: OPERE DI DIFESA DEI LITORALI

961 ASEFID ID EREPO ELLED ENOIZACIFISSALC .1.6 071 ITNEDAR ESEFID .2.6 771 ITNEDAR ESEFID ELLED EHCIFIREV .3.6 971 ILELLARAP ITTULFIGNARF .4.6 081 ITNEGREME ITTULFIGNARF .1.4.6 381 ITNAROIFFA E ISREMMOS ITTULFIGNARF .2.4.6 481 )ILLENNEP( ILASREVSART ESEFID .5.6 681 ELASREVSART ASEFID ID AMETSIS NU ID OTTEGORP .1.5.6 981 EUQILBO ESEFID .6.6

6.7. LIMITI SUPERIORE E INFERIORE DI RISALITA DELL’ODA SU 191 ATALLETNAM ANU

6.8. FORMULA DI HUDSON PER IL DIMENSIONAMENTO DEGLI ELEMENTI 291 ATALLETNAM ID IEDIPAL

6.9. FORMULE DI VAN DER MEER PER IL DIMENSIONAMENTO 391 ATALLETNAM ID IEDIPAL ITNEMELE ILGED 691 REEM RED NAV ID ELUMROF ELLED OCITARP OSU .1.9.6 791 AIBBAS ALLED SSAP-YB ID ITNEVRETNI .01.6 102 EGGAIPS ID OTNEMICSAPIR .11.6

6.11.1. AVANZAMENTO DELLA 102 AVIR ID AENIL 102 AMREB ALLED ATOUQ .2.11.6 202 AIGITTAB ALLED AZNEDNEP .3.11.6 202 AVIR-OTTOS ELASREVSART OLIFORP .4.11.6 302 OTNEMIDES ID EMULOV LED ENOIZAROIGGAM .5.11.6 502 OTNEMICSAPIR LED ONITSIRPIR .6.11.6 702 )SENUDEROF( AIGGAIPS ODROB ID ENUD .21.6

6.12.1. IMPIANTO DI DUNE CON L’IMPIEGO DI SCHERMI ARTIFICIALI 207 6.12.2. IMPIANTO DI DUNE CON L’IMPIEGO DI VEGETAZIONE 208

012 illennep id areihcs anu id otnemanoisnemiD .1.6 oizicresEEsercizio 6.2. Determinazione del volume di sedimenti di un ripascimento 213

512 OTNEMIDNOFORPPA ID ITSETRIFERIMENTI BIBL 512 ICIFARGOI

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INTRODUZIONE Il Regime dei Litorali ha per argomento la conoscenza dei fenomeni fisici caratterizzanti l’evoluzione dei litorali sotto l’azione continua del moto ondoso e, più in generale, di tutti gli eventi meteo-marini. Questa disciplina ha lo scopo di preparare le basi per la risoluzione dei problemi progettuali e costruttivi riguardanti la protezione dei litorali.

La conoscenza del regime dei litorali si fonda su una disciplina di base nota come Idraulica marittima mediante la quale si affrontano i temi riguardanti le teorie del moto ondoso, delle correnti costiere e delle maree. Altre discipline di base, particolarmente importanti, sono la litologia, la morfologia e la sedimentologia da cui dipende la resistenza e l’evoluzione delle fasce costiere sottoposte all’azione fluodinamica degli eventi meteo-marini.

In questo volume l’idraulica marittima è considerata acquisita, mentre sono richiamati i principi di sedimentologia, di litologia e gli elementi di morfologia necessari alla comprensione del regime costiero. Per quanto riguarda le opere di difesa costiera, sono trattate le caratteristiche dei principali materiali impiegati per la costruzione delle opere di difesa e i criteri progettuali per la stabilizzazione, il ripristino e il riequilibrio dei litorali, con particolare riguardo per quelli sabbiosi.

Il volume è composto di sei capitoli il primo dei quali è dedicato alle morfologie delle coste, ai materiali costieri e alla sedimentologia; il secondo alla fluodinamica dei litorali sabbiosi, all’idrodinamica dei sedimenti sommersi e alla deflazione eolica delle spiagge emerse. Nel terzo capitolo si forniscono le cause idrodinamiche da cui dipendono le morfologie delle spiagge; nel quarto si passano in rassegna le litologie delle coste alte e delle spiagge della Sardegna. Infine il quinto e il sesto capitolo sono dedicati alla presentazione dei più diffusi materiali impiegati nelle opere marittime e alla progettazione delle tipologie di difesa costiera rigide e morbide. Ringraziamenti. Sento il dovere di porgere i miei ringraziamenti al dott. ing. Andrea Sulis del Dipartimento di Ingegneria del Territorio dell'Università di Cagliari per aver letto il manoscritto e per aver contribuito a migliorare la comprensione del testo.

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CAPITOLO 1

MORFOLOGIE E MATERIALI COSTIERI

Rappresentazione schematica della morfologia costiera

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Capitolo 1 3

1.1 MORFOLOGIE COSTIERE

L’intersezione della superficie libera del mare con la superficie terrestre è chiamata li-nea di riva (shoreline), mentre con il nome generico di riva (shore) s’intende la stretta fascia di terra alternativamente a contatto con l’atmosfera ed il mare. La riva è detta spiaggia (beach) se composta da materiale incoerente, qualunque sia la granulometria, Foto 1.1. La fascia di terra di larghezza indefinita che si può estendere verso l’entroterra, anche per alcuni chilometri dalla riva, fino alle zone ove sono più evidenti le differenze della morfologia dei terreni e della vegetazione, assume, in generale, il nome di costa. La fascia di terra e di mare che si estende dal limite entroterra della costa fino al limite più esterno dei frangenti prende il nome di fascia costiera. Come mostra la Fig. 1.1, la fascia costiera comprende tre zone: la costa, la riva o spiaggia e la fascia sot-toriva. Oltre il limite della fascia costiera, si ha la fascia fuoricosta (offshore) che as-sieme alla fascia sottoriva costituisce la fascia litoranea. Il limite tra la costa e la riva, per la sua frequente conformazione a scarpata, prende il nome di scarpata entroterra. La riva, a sua volta, si suddivide in una zona più arretrata, esposta all’azione del mare solo durante le tempeste, e una zona più avanzata, esposta alla continua oscillazione del-la superficie libera dell’acqua. La prima è detta retroriva (back shore) e la seconda a-vanriva o battigia (beach face o foreshore).

La zona di dissipazione del moto ondoso nella fascia sottoriva e nell’avanriva prende il nome di fascia di mareggiata (surf zone). Nella Fig. 1.2 sono riportate le trasforma-zioni tipiche del moto ondoso che si osservano nella fascia di mareggiata e la termino-logia del corrispondente fondale marino. Talvolta, tra la spiaggia e la scarpata entroter-ra, è presente un’area depressa (depressione di spiaggia) che è preceduta da una o più schiere di dune di cui quella adiacente alla retroriva, che è la più alta, prende il nome di cordone litoraneo (foredune). La depressione di spiaggia che giace sotto il livello del mare è sede di corpi idrici stagnali o lagunari, Fig. 1.3. Spesso nelle spiagge di origine eolica al posto, o accanto, della depressione di spiaggia, è presente una colmata di sab-bia strutturata a dune che forma il cosiddetto campo di dune. Talvolta la riva può ridursi a una fascia limitatissima, per cui la scarpata entroterra può essere a diretto contatto con il mare o molto vicina, si parla allora di falesia. In questo caso la scarpata è costituita in prevalenza da rocce compatte o fratturate. Con riferimen-to alla genesi, le rocce si distinguono in organogene e inorganiche e queste, a loro volta, possono essere ignee, sedimentarie o metamorfiche. Le rocce organogene che si

Fig. 1.1. Generico profilo trasversale di una fascia costiera e relativa terminologia.

Costa

Scarpata entroterra

Fascia costiera

Fascia sottoriva (inshore; shoreface)

Fascia litoranea (nearshore) (fascia delle correnti costiere)

Retroriva (back shore) Avanriva (battigia)

Riva o spiaggia

(Foreshore; beach face)

Frangenti

Cresta della berma

Scarpata

Berma di tempesta Berma ordinaria

Minimo livello ordinario

Punto di tuffoFondale

Zona delle correnti prodotte dal moto ondoso

Fuori costa (off shore)

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Morfologie e Materiali Costieri 4

Foto 1.1. Spiaggia a tasca di Capo Pecora (Sardegna Sud-occidentale) detta Spiaggia delle Uova

incontrano lungo le coste sono costituite da estesissime colonie di coralli o madrepore, le cui strutture, che si innalzano dal fondo del mare fino ad emergere oltre la sua super-ficie libera, possono assumere forme lineari (cordoni organogeni) oppure a banchi (bar-riere coralline; organic reefs). La fascia tropicale degli oceani Pacifico e Indiano è ca-ratterizzata da uno sviluppo massiccio di barriere coralline (circa 2000 km sulle coste orientali dell’Australia) e di atolli. Il nome delle Isole Maldive deriva dal termine locale maldiva che significa laguna-isola. Le scarpate entroterra di rocce ignee, siano esse di origine intrusiva o estrusiva, non sono attaccabili chimicamente dal mare, mentre lo so-no quelle sedimentarie e metamorfiche di natura calcarea.

Fig. 1.2. Evoluzione del moto ondoso nella fascia di mareggiata e corrispondenti forme del fondale.

Fascia di mareggiata (surf area / breaker zone)

Onde di traslazione Cresta a cuspide

Onda di traslazione

Onda ancora piatta

Cresta a cuspide Onda di oscillazio-ne ricostituitafrangente esterno Linea interna dei

frangenti

Barra interna Barra ester-

TruogoloTruogolo

Riflusso (back rush)

Afflusso (uprush)

l m m

Avanriva

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Capitolo 1 5

Può anche capitare di incontrare scarpate entroterra costituite da materiali alluvionali in parte cementati; in questo caso è però sempre presente una riva sabbiosa o ciottolosa, più o meno estesa. Come si è accennato, la scarpata entroterra, quando è a picco sul ma-re, prende il nome di falesia: falesia viva, quando è a contatto diretto con il mare che e-sercita una continua sollecitazione alla base e favorisce l’azione franosa; falesia morta, quando è presente una riva che crea un’azione protettiva al piede, favorendone la stabili-tà. Nel caso di rocce dure, siano esse graniti, basalti o calcari duri, la struttura a picco sul mare delle falesie può raggiungere dimensioni imponenti che possono superare i 300 m d’altezza sul l. m. m.

Infine, si deve segnalare un altro tipo di roccia che s’incontra nelle spiagge intorno alla quota del livello del mare. Si tratta delle rocce di spiaggia (rock beach) la cui for-mazione è dovuta all’evaporazione dell’acqua di mare a seguito della quale il carbonato di calcio esercita un’azione cementante dei granuli di sabbia. La forma di queste parti-colari rocce arenarie è piatta, di piccolo spessore ed ha una giacitura orizzontale.

Dal punto di vista planimetrico, si distinguono le coste a sviluppo continuo e lineare dalle coste frastagliate. Le prime sono formate da spiagge e si trovano specialmente al limitare di terre pianeggianti, Foto 1.2, le seconde sono caratterizzate da coste rocciose strutturate a falesia, specialmente falesie vive, Foto 1.3.

Fig. 1.3. Sezione trasversale di una generica spiaggia con depressione di spiaggia occu-

pata da un corpo idrico stagnale o lagunare.

Cordone litoraneo (duna di bordo spiaggia) (foredune)

Depressione di spiaggia (stagno/laguna)

Duna

Spiaggia l m m

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Morfologie e Materiali Costieri 6

Foto 1.2. La spiaggia rettilinea di Chesil (Gran Bretagna).

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Capitolo 1 7

Foto 1.3. Falesie di Su Cantaru ‘e su Tingiosu (Sinis), nella costa centro-occidentale della Sar-degna.

Si può incontrare anche una situazione intermedia composta da spiagge intercalate da coste rocciose. Si distinguono in questi casi le spiagge ad arco, delimitate da due o da un solo promontorio roccioso, le tasche di spiaggia (pocket beach), in cui il sedimento sabbioso ha una piccola estensione racchiusa da pronunciati promontori, Foto 1.4 e Foto 1.5, e le spiagge a freccia che spiccano da un promontorio o da una zona avanzata di spiaggia lasciando uno specchio di mare protetto tra la riva e la freccia. Di solito le spiagge a freccia sono alimentate da un corso d’acqua che trasporta sedimenti sabbiosi in continuo. Gli aspetti ingegneristici e le cause idrodinamiche della morfologia costiera saranno trattati nel Capitolo 3.

Foto 1.4. La spiaggia ad arco di Badesi, nella costa centro-orientale sarda.

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Morfologie e Materiali Costieri 8

Per la legislazione italiana, le spiagge e le lagune fanno parte dei “beni pubblici de-stinati alla navigazione” e come tali appartengono al demanio marittimo (Art. 28 del Codice della Navigazione) il cui patrimonio, in quanto facente parte di un demanio na-turale, non può essere alienato. Per quel che riguarda gli stagni costieri, la proprietà non ha un chiaro riferimento normativo, ma, nel caso in cui la limitata profondità impedisca la navigazione e quando non siano presenti le condizioni che consentano l’esercizio del-la pesca tipica del mare, lo stagno può essere di proprietà privata, ma la giurisprudenza, pur essendo ormai vastissima, non ha ancora fornito una chiara determinazione in meri-to.

Per scopi turistici e ricreativi in genere, le spiagge possono essere date in concessio-ne. Recentemente questa concessione è diventata di competenza regionale.

1.2 REGIME DELLE COSTE ROCCIOSE

Prima di entrare nel dettaglio del regime dei litorali sabbiosi, appare necessario fare al-meno un cenno al regime delle coste rocciose. Queste, in generale, specialmente se co-stituite da rocce dure, sono interessate da fenomeni molto lenti le cui caratteristiche vanno oltre l’interesse dell’ingegnere. La geologia fa una prima distinzione delle coste rocciose tra coste in litologie molto erodibili e coste in litologie poco erodibili. Anche per queste coste, occasionalmente e localmente, si può dunque porre il problema inge-gneristico di verificarne la stabilità. Si tratta allora di problemi che interessano la disci-plina della meccanica delle rocce, di competenza dell’ingegnere, ma non di questo spe-cifico corso in cui saranno esaminati brevemente solo i meccanismi attraverso i quali si esercita l’azione demolitrice del mare nei confronti delle falesie.

Innanzitutto si distingue l’azione di tipo meccanico, dovuta al moto ondoso, che il mare esercita nei confronti delle rocce ignee, da quella meccanica e chimica sulle for-mazioni rocciose di gesso e calcare. Le dure rocce ignee, strutturate a falesia viva, sono attaccate dal moto ondoso intorno alla linea di riva ove si viene a formare una incisione orizzontale che, con il trascorrere del tempo, penetra in profondità. All’interno di questa

Foto 1.5. Costa dell’isola di Mal di Ventre. Esempio di spiaggia a tasca (pocket beach).

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Capitolo 1 9

incisione l’azione del moto ondoso si esercita mediante la sovrappressione dinamica che, comprimendo l’aria imprigionata, può raggiungere valori di diverse atmosfere e penetrare così nelle fessure della roccia che per questo viene sottoposta a fatica. L’altra azione meccanica è esercitata dai ciottoli e dal pietrisco, generati dalla stessa demoli-zione, che dal moto ondoso sono scagliati contro la parete rocciosa esercitando su di es-sa un continuo martellamento. Strutturalmente, la roccia sovrastante l’incisione costitui-sce una mensola sottoposta a momento flettente e a taglio. Quando questi sforzi supera-no la resistenza a rottura, particolarmente ridotta in corrispondenza delle fratture, la roc-cia frana a blocchi (quarrying), Foto 1.6.

Le tenere rocce di gesso e quelle calcaree (calcareniti) subiscono anche un attacco chimico dall’acqua di mare che le scioglie, sia pure lentamente. Questo processo, in ag-giunta alla formazione dei solchi orizzontali attorno al livello del mare, analoghi a quelli descritti per le rocce ignee, produce cavità e grotte profonde nella roccia che è così at-taccata più facilmente dall’azione meccanica del moto ondoso. Anche le acque piovane, filtrando attraverso i terreni e nelle rocce calcaree, raggiungono le grotte sature di calci-te ove possono formare stalattiti e stalagmiti. Nelle rocce di gesso e calcaree il processo di frana non è diverso da quello descritto per le rocce ignee, ma a causa degli attacchi chimici è più rapido.

1.3 MATERIALI LITORANEI COERENTI, CEMENTATI E INCOERENTI

A differenza delle rocce, le cui molecole sono tenute mutuamente vincolate da forze che conservano nel tempo l’unitarietà dell’ammasso roccioso, i materiali incoerenti sono composti da particelle solide indipendenti (granuli), di dimensioni caratteristiche anche notevoli, soggette alla forza gravitazionale ed al reciproco attrito. Quando le dimensioni dei granuli si riducono oltre un certo limite, i nuclei delle molecole superficiali si pos-sono avvicinare al raggio d’azione degli elettroni dei granuli adiacenti determinando un’attrazione elettrica tra i granuli che rende il materiale nel suo insieme coerente (le

Foto 1.6. Vista di Cala Vinagra nella costa Nord-occidentale dell’isola di S. Pietro. Esempio di frana a blocchi (quarrying).

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Morfologie e Materiali Costieri 10

particelle aderiscono tra loro con forze superiori alla gravità). Dal punto di vista della geotecnica, le argille consolidate sono materiali coerenti che, a causa delle vicende di natura meccanica subite, hanno raggiunto lo stato stabile di roccia. Ma le argille e i limi molli, pur potendo avere una coesione, a causa della deformabilità dovuta alla presenza di acqua al loro interno, non sono materiali consolidati; per diventare consolidati è ne-cessario espellere l’acqua di imbibizione, ossia intraprendere un lavoro di consolidazio-ne.

1.3.1 DIMENSIONI E MORFOMETRIA DEI GRANULI I materiali coerenti e incoerenti sono classificati in base alla dimensione dei loro granu-li, genericamente chiamata diametro. Secondo l’American Geophysical Union (1947) si distinguono: il diametro del setaccio, che è il lato della maglia del setaccio attraverso il quale il granulo passa, il diametro di sedimentazione, che coincide con il diametro della sfera che nell’acqua sedimenta con la stessa velocità, e il diametro nominale, che coin-cide con il diametro della sfera avente lo stesso volume del granulo. La misura del dia-metro del setaccio può essere data in numero di maglie per pollice quadrato (es.: ASTM mesh), in mm o in unità φ. Tra quest’ultima e la misura lineare esiste la relazione

Dlog2−=φ , (1.1)

essendo D il diametro del granulo in mm. Dall’eq. (1.1) si ricava che la misura caratteri-stica del granulo in mm è data dalla relazione

φ−= 2D . (1.2)

Nella classificazione Wentworth, che sarà esaminata più avanti, i valori di φ interi, positivi o negativi, corrispondono alle dimensioni dei limiti di separazione tra i diversi tipi di granuli.

I granuli, essendo frammenti di rocce, di cristalli o anche schegge di minerali amorfi, non hanno una forma semplice, com’è quella di una sfera, misurabile con un solo para-metro. Solitamente e approssimativamente essi hanno la forma di un ellissoide triassiale con i diametri Da>Db>Dc. Volendosi ridurre la dimensione dei granuli a una sola si può pensare al diametro nominale Dn, definito come il diametro della sfera di uguale volume e peso del granulo. Nel caso dei granuli ellissoidali si ha ( ) 31

cban DDDD = e, con buo-na approssimazione, bn DD ≈ . La sfericità di un granulo ellissoidale può essere misura-ta mediante il fattore di forma S di Corey

ba

c

DDDS = , (1.3)

che vale uno nel caso della sfera. In maniera completa, la forma dei granuli può essere determinata in base alla sferici-

tà ed in base alla loro spigolosità. Per quanto questi parametri siano rigorosamente defi-niti, a causa della difficoltà pratica di applicare tali definizioni, si ricorre alla classifica-zione ottenuta paragonando visivamente la forma dei granuli con una carta standard tipo quella riportata nella Fig. 1.4 ove nelle colonne è riportato il grado di arrotondamento e nelle righe il grado di sfericità. La casella in basso a sinistra corrisponde a granuli spigo-losi di bassa sfericità, mentre quella in alto a destra corrisponde a granuli arrotondati e ad alta sfericità.

Esistono due fondamentali scale di classificazione dei materiali: la Unified Soil Clas-sification (USC), preferibilmente usata dagli ingegneri geotecnici e la Wentworth Clas-

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sification (1922), preferibilmente usata dai sedimentologi. Gli ingegneri civili idraulici preferiscono quest’ultima classificazione perché più coerente con il comportamento dei granuli nell’acqua. I due sistemi di classificazione sono riportati nella Tab. 1.I ove, nelle colonne centrali, sono indicate le dimensioni dei grani e alle estremità i loro nomi. Lun-go le coste si possono incontrare tutte le dimensioni dei granuli della Tab. 1.I, comprese anche quelle maggiori della massima considerata. Dal punto di vista qualitativo, se le dimensioni dei granuli del campione sono molto vicine tra loro, questo viene detto ben assortito, se invece esse sono molto varie il campione viene detto ben ripartito: un campione ben assortito è scarsamente ripartito e viceversa.

Per conoscere le dimensioni lineari che caratterizzano un campione di sedimenti, si ricorre all’analisi granulometrica. Anticipando quanto sarà descritto nel § 1.6, per anali-si granulometrica s’intende un metodo di indagine che permette di associare la quota parte di campione in peso con il diametro minimo del setaccio attraverso il quale i gra-nuli riescono a passare. Un dato caratteristico del campione è il diametro mediano D50 che rappresenta il diametro del setaccio attraverso il quale passa il 50% in peso del campione.

1.3.2 MINERALOGIA DEI GRANULI La determinazione delle caratteristiche fisiche (densità, durezza, resistenza a rottura, etc.) dei granuli, se il granulo è un minerale, è affidata all’analisi mineralogica, se il granulo è un frammento di roccia (clasto), all’analisi petrografica. La determinazione del minerale di appartenenza consente di avere un’idea abbastanza precisa delle caratte-ristiche fisiche dei granuli. In generale, i granuli più piccoli (argilla, limo, sabbia) sono costituiti da un solo minerale, ossia una sostanza naturale solida formatasi a seguito di processi fisici.

Com’è noto, l’elemento più abbondante in natura è il silicio (Si) e quindi i minerali di silicio sono presenti in grande quantità anche nei sedimenti. Tra questi si ricorda il quarzo (SiO2), un minerale particolarmente resistente e abbondante nei graniti e in altre rocce ignee che, a seguito della loro alterazione, da luogo a granuli cristallini di sabbia, di solito di dimensioni inferiori al mm. A causa della sua resistenza, il granulo di quarzo non cambia facilmente la sua forma, pertanto esso conserva la storia delle vicende subi-te nella sua lunga esistenza e con l’analisi al microscopio, si può evidenziare questo

Fig. 1.4. Carta di rotondità e di sfericità per granuli di sabbia e ghiaia.

ROTONDITÀ

0,1 Spigoloso

0,3 Subspigoloso

0,5 Subarrotondato

0,7 Arrotondato

0,9 Ben arrotondato

SFERICITA

0,9

0,7

0,5

0,3

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Morfologie e Materiali Costieri 12

Tab. 1.I. Classificazione dei granuli in base alle loro dimensioni caratteristiche.

Unified Soil Classifi-cation

ASTM Mesh

Diametro (mm)

Unità Φ Wentworth Classifica-tion

256.0 – 8.0 Piccoli massi (Boulder) Ciottoli

(Cobble)

256.0 – 8.0 64.0 – 6.0

Ciottoli (Cobble)

64.0 – 6.0 Ghiaie (Coarse gravel)

19.0 – 4.25 19.0 – 4.25 Ghiaie fini

(Fine gravel) 4 4.76 – 2.25

4 4.76 – 2.25 5 4.0 – 2.0

Piccoli ciottoli (Pebble)

5 4.0 – 2.0 Sabbie grossolane

10 2.0 – 1.0 Ghiaie (Gravel)

10 2.0 –1.0 1.0 0.0

Sabbie molto grosse 18

1.0 0.0 0.5 1.0

Sabbie grosse 25

0.5 1.0

Sabbie medie

40 0.42 1.25 40 0.42 1.25 60 0.25 2.0

Sabbie medie

60 0.25 2.0 120 0.125 3.0

Sabbie fini

120 0.125 3.0

Sabbie fini

200 0.074 3.75 200 0.074 3.75 230 0.0625 4.0

Sabbie molto fini

230 0.0625 4.0 Limi

0.0039 8.0 Limi

0.0039 8.0 0.0024 12.0

Argille

0.0024 12.0 Argille

<0.0024 <12.0 Colloidi

aspetto. Se il granulo è spigoloso, la sua storia è relativamente recente, se è arrotondato esso ha subito una elaborazione di tipo idraulico (fluviale o marina), se la sua superficie è picchettata l’elaborazione subita è di tipo eolico. Le forme non cristalline dei silicati sono note con una varietà di nomi dipendenti dal colore dovuto alla presenza di impuri-tà. Le sabbie delle fasce temperate possono contenere fin oltre il 90% di granuli di quar-zo, mentre il restante 10 % è in gran parte composto da feldspati. Tuttavia, se la sabbia proviene dal disfacimento di rocce ignee, la percentuale di feldspati nella miscela con il quarzo può superare, anche di molto, il 20%. Dal punto di vista chimico, nei feldspati una quota parte di atomi di silicio è occupata da alluminio (Al) che ha un raggio atomico molto simile. L’alluminio ha solo 3+ cariche, invece delle 4+ cariche del silicio e la ca-

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Capitolo 1 13

rica mancante è bilanciata dal potassio (K). A causa della relativa facilità con cui può avvenire lo scambio degli atomi che compensano l’equilibrio elettrochimico, i feldspati sono meno stabili del quarzo e sono anche fisicamente più deboli. Visivamente, mentre i quarzi sono brillanti e talvolta incolori, i feldspati sono opachi e colorati.

Un altro gruppo importante di minerali del silicio sono le argille ove il silicato tetra-edrico (SiO4), così detto perché il silicio occupa il baricentro di un tetraedro i cui vertici sono occupati dall’ossigeno, forma delle lamine piane con gli atomi di ossigeno alla ba-se del tetraedro legati a due atomi di silicio e un rapporto silicio/ossigeno di 4/10. Gli atomi di ossigeno che occupano il vertice superiore dei tetraedri componenti la lamina sono in generale legati ad una lamina formata da allumina (Al2O3), nella forma triidrata (idrossido di alluminio: Al(OH)3). Una terza lamina, sovrapposta alle due precedenti e composta ancora da silicato tetraedrico, può essere orientata come la prima per formare un’argilla che prende il nome di caolinite. Se la lamina superiore assume una posizione speculare rispetto all’idrossido di alluminio, si forma un pacchetto di tre strati che può unirsi ad un pacchetto analogo a mezzo di un atomo di un altro elemento, quali potassio (K), magnesio (Mg), o anche acqua. Si ottengono così le altre tre principali forme di ar-gilla, rispettivamente: illite, clorite e montmorillonite (Fig.1.6).

Tutte le argille possono subire modificazioni di vario grado mediante lo scambio dei propri ioni con quelli della soluzione e ciò avviene in particolare quando esse sono in-trodotte nell’acqua di mare ove sono presenti numerosi ioni in soluzione. I minerali di argilla possono essere facilmente frantumati in particelle molto piccole (<2 μm), tutta-via la loro mineralogia è di difficile determinazione e la loro sedimentazione è dominata dalla carica ionica della propria superficie.

Passando ai granuli più grandi (ghiaia, ciottoli, massi), in generale essi sono costituiti da frammenti o pezzi di roccia e quindi composti da diversi minerali. L’elaborazione marina di questi granuli produce delle forme arrotondate che assomigliano a ellissoidi triassiali, mentre l’elaborazione fluviale produce forme che si avvicinano di più all’ellissoide di rotazione o alla sfera.

OH Mg O Si K Al acqua Lamina di allumina Lamina di silicato tetraedrico

CAOLINITE ILLITE MONTMORILLONITE CLORITE

Fig. 1.5. Rappresentazione schematica della struttura dei minerali di argilla.

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Morfologie e Materiali Costieri 14

1.4 IL MOVIMENTO DEI GRANULI NEI DOMINI FLUIDI

Un modo semplice per esaminare il moto di un granulo immerso in un fluido consiste nel controllare la sua velocità di sedimentazione w: ossia la legge che fornisce, in fun-zione del diametro D e di altri parametri fisici, la velocità con la quale il granulo sferico isolato si muove nel fluido, ipotizzato in condizioni idrostatiche, per effetto della sua so-la forza di gravità. Questa legge non è la stessa per tutti i diametri ma varia secondo il numero di Reynolds del granulo. Tale numero è definito dalla relazione

ν

wDRe* = , (1.4)

essendo ν la viscosità cinematica del fluido.

1.4.1 SEDIMENTAZIONE DEI GRANULI SFERICI

L’equilibrio dinamico tra la resistenza al moto prodotta dal fluido e il peso della sfera è dato dalla relazione

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= 1g

6D

2w

4DC s

3s

22s

D ρρππ , (1.5)

ove CD è un coefficiente adimensionale noto col nome di coefficiente di trascinamento (Drag Coefficient), g è l’accelerazione di gravità, ρs la densità del materiale della sfera e ρ la densità del fluido. Dividendo primo e secondo membro dell’eq. (1.5) per il quadra-to della viscosità cinematica ν 2 e sostituendovi l’eq. (1.4) si ottiene la relazione

23

ss2*

D1D1gReC

43

νρρ

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= . (1.6)

Il secondo membro dell’eq. (1.6) è noto con il nome di indice di galleggiamento

2

3s

s 1D1gBνρ

ρ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= . (1.7)

Sostituendo l’eq. (1.7) nell’eq. (1.6) si ha

B34ReC 2*

D = . (1.8)

La Fig. 1.1 mostra la relazione sperimentale esistente tra il coefficiente di trascinamento CD e il numero di Reynolds Re*. Moltiplicando primo e secondo membro dell’eq. (1.8) per 8π si ha

B6

ReC8

2*D

ππ= . (1.9)

Il secondo membro dell’eq. (1.9), note le caratteristiche della sfera e del fluido, è calco-labile facilmente per cui, entrando nella scala ausiliaria della Fig. 1.6 si può calcolare immediatamente il coefficiente di trascinamento ed il numero di Reynolds a partire da

1006B ≥π . La Fig. 1.6 mostra che fino a valori di 1Re* ≤ il coefficiente di trascinamento CD è

inversamente proporzionale al numero di Reynolds secondo l’espressione:

*D Re24C = . (1.10)

Sostituendo questo valore di CD nell’eq. (1.8) si ottiene la relazione

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Capitolo 1 15

18BRe* = , (1.11)

valida per B < 18. Con riferimento ai granuli sferici, la Fig. 1.6 mostra un secondo intervallo del nume-

ro di Reynolds per il quale il coefficiente di trascinamento dei granuli sferici è pratica-mente costante: 5.0C;200000Re600 D

* =<< . (1.12) In questo intervallo la relazione tra il numero di Reynolds e l’indice di galleggiamento risulta quindi: 5.0* B6.1Re = . (1.13)

Anche per valori di Re* >200000 il coefficiente di trascinamento della sfera è costante, ma il suo valore si riduce a CD ≈ 0.2. In questo caso la relazione che lega il numero di Reynolds della sfera al coefficiente di galleggiamento risulta: 5.0* B6.2Re = . (1.14)

Sostituendo nelle eq. (1.11), (1.13) e (1.14) le espressioni di Re* e B si ottengono le velocità di sedimentazione delle sfere nei diversi campi di validità:

( )1Re;1g18Dw *s

2s <⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

ρρ

ν; (1.15)

( )200000Re600;16.1 *

5.0

<<⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

ρρs

S gDw ; (1.16)

Fig. 1.6. Coefficiente di trascinamento in funzione del numero di Reynolds.

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Morfologie e Materiali Costieri 16

( )200000Re;16.2 *

5.0

>⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

ρρs

S gDw . (1.17)

L’eq. (1.15) è nota come legge di Stockes. Nel caso particolare che interessa nello studio del regime dei litorali, in cui il mezzo di sedimentazione è acqua alla temperatura ambiente (ρ =1030 kg m–3; ν =1×10–6 m2s–1) e il materiale dei granuli sferici è quarzo (ρs = 2650 kg m–3), i valori limite di validità delle equazioni in questione espressi in funzione del diametro dei granuli sono:

105.0<sD mm corrispondente a Re* < 1 (Regime laminare);

2.06 <Ds <198 mm corrispondente a 600 < Re* < 200000 (Regime turbolento);

Ds> 198 mm corrispondente a Re* >200000 (Regime turbolento).

Dall’esame di questo breve elenco appare evidente che i diametri dei granuli sferici compresi nell’intervallo 0.105 < Ds < 2.06 mm, che nella classificazione Wentworth corrispondono alle sabbie, da quelle molto fini (in parte) a quelle più grossolane, sedi-mentano in un regime intermedio tra quello laminare e quello turbolento, detto regime di transizione. I granuli sferici più piccoli, dalle sabbie molto fini (in parte) fino alle argil-le, sedimentano nel regime laminare, mentre le ghiaie (Ds > 2 mm) e i granuli più grossi sedimentano in un regime turbolento. I granuli sferici di diametro superiore ai 198 mm sedimentano secondo la stessa legge dei granuli aventi D < 198 mm, ma con un fattore più grande, a causa della riduzione del coefficiente di trascinamento che si riduce bru-scamente da 0.5 a 0.2 quando il numero di Reynolds supera il valore critico Re* = 200000. La velocità di sedimentazione dei granuli sferici fino a Dmax = 10 mm può de-terminarsi mediante il diagramma della Fig. (1.7).

1.4.2 SEDIMENTAZIONE DEI GRANULI NATURALI

Anche i granuli naturali, il cui diametro sarà rappresentato dal D50, in regime di sedi-mentazione seguono la legge di Stokes fino a quando Re* < 1.

Nell’intervallo 135Re1 * << la velocità di sedimentazione vale

4.0

1.150

7.0g

6Dg1wνρ

ρ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−= ; (1.18)

Infine, per Re* >135 la velocità di sedimentazione è data dalla relazione

5.0

50g gD13.1w ⎥

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

ρρ

; (1.19)

Se si considera il caso dei granuli naturali di quarzo che sedimentano in acqua di ma-re il diametro limite dei granuli e il loro regime di sedimentazione risulta:

105.050 <D mm corrispondente a Re* < 1 (Regime laminare);

0.105 <D50 <1.06 mm corrispondente a 1 < Re* < 135 (Regime di transizione);

D50 > 1.06 mm corrispondente a Re* >135 (Regime turbolento).

Come mostra questo breve elenco, a differenza di quanto accade per le sfere, gli inter-valli granulometrici non corrispondono più ai limiti della classificazione della scala Wentworth. L’eq. (1.19) è formalmente identica alle eq. (1.16), (1.17) da cui si può de-

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Capitolo 1 17

durre che i granuli naturali aventi D50 > 1.06 mm sedimentano come i granuli sferici di diametro DS > 198 mm, ma con velocità maggiore a causa del fattore moltiplicativo (1.3) di cui l’eq. (1.19) è dotata, minore dei fattori delle eq. (1.16) e (1.17)

1.4.3. SEDIMENTAZIONE IN MUCCHIO

La velocità di sedimentazione di cui si è parlato fino ad ora riguarda una situazione ide-ale (fluido in condizioni idrostatiche e granuli isolati). In realtà, la sedimentazione av-viene frequentemente nel fluido in moto turbolento e i granuli sedimentano in mucchio. In entrambi i casi si ha una riduzione della velocità di sedimentazione rispetto a quella teorica. In generale l’effetto di rallentamento più apprezzabile è quello dovuto alla con-centrazione c dei granuli. Il coefficiente di riduzione della velocità di sedimentazione in funzione della concentrazione è dato dalla relazione

( )nr c1C −= . (1.20)

Nella Fig. 1.8 è riportato l’esponente dell’eq. (1.20) per i granuli sferici e per quelli na-turali in funzione dell’indice di galleggiamento B.

1.5 CAMPIONAMENTO DEI SEDIMENTI DI SPIAGGIA

Le spiagge sono sollecitate in modo vario dagli eventi di origine atmosferica e marina, tuttavia nelle diverse zone si scaricano prevalentemente e ripetutamente gli stessi tipi di sollecitazioni. Di conseguenza, i sedimenti tendono a distribuirsi in base alla loro granu-lometria e per questo, quando si vuole conoscere la granulometria di una spiaggia,

Fig. 1.7. Velocità di sedimentazione dei granuli sferici di quarzo in acqua e in aria.

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Morfologie e Materiali Costieri 18

occorre campionare le diverse zone emerse e sommerse. La zona emersa, solitamente asciutta (retroriva, Fig. 1.1), è prevalentemente sollecitata dall’azione dei venti di terra e di mare e, occasionalmente, dal moto ondoso delle tempeste più intense. La battigia è sollecitata dalla continua oscillazione del livello che mette i granuli in condizioni alter-nate di sommersione ed emersione. Infine, la fascia sottoriva ( Fig. 1.1), sempre som-mersa, è sollecitata dalla dissipazione dell’energia del moto ondoso che avviene con svi-luppo di turbolenza e correnti. Per caratterizzare i sedimenti di una spiaggia occorre dunque esaminare tutte queste zone prelevandone almeno un campione su ciascuna di esse. La quantità di sedimenti che costituisce un campione dipende dalla granulometria e può esser compresa tra qualche kg e una decina di kg, a seconda che si campioni sab-bia fine o ciottoli. Orientativamente, la quantità in peso può essere stabilita con l’ausilio della formula empirica

maxD2000M = , (1.21)

essendo M il peso del campione in grammi e Dmax il diametro massimo del sedimento in mm.

Le modalità di campionamento superficiale sono relativamente semplici nella zona emersa: una trincea di alcuni decimetri (fino ad un metro o poco più), per saggiare visi-vamente la ripartizione dei granuli, consente di effettuare con una certa obiettività il campionamento; nei casi dubbi conviene prelevare un campione provvisorio volumetri-camente abbondante e procedere al prelievo del campione da analizzare per successive quartature dopo adeguate omogeneizzazioni e suddivisioni in croce di ogni mucchio. Il numero di campioni da prelevare dipende dalla larghezza della retroriva, orientativa-mente si può prevedere un campione per ogni berma, più uno nella duna di bordo spiag-gia.

Il campionamento nell’avanriva (foreshore) deve essere eseguito con attenzione evi-tando che il campione sia alterato dal continuo flusso e riflusso del mare. Un campiona-tore valido può essere realizzato artigianalmente ricorrendo ad un telaio, tipo coppo da pesca, con una calza di nylon al posto della rete: la calza trattiene i sedimenti più fini, anche se si campiona durante l’oscillazione del livello. In questa zona può essere

2

2 .5

3

3 .5

4

4 .5

5

10 1 00 100 0 10 000 1 0000 0 1 0000 00B

n

g ranu li s fe ric ig ranu li na tu ra li

Fig. 1.8. Esponente n dell’eq. (1.20) in funzione dell’indice di galleggiamento B.

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Capitolo 1 19

sufficiente un solo campione, ma a causa delle variazioni dovute al flusso e riflusso dell’onda, sarebbe bene orientarsi su tre.

Nella fascia sottoriva (inshore) il campionamento può essere eseguito con l’ausilio del sommozzatore attrezzato di campionatore adatto per i prelievi nell’avanriva, oppure mediante benna Van Veen, operando direttamente dalla barca. Questo campionatore è composto da due valve che, quando la benna è armata, hanno i bordi aperti. In posizio-ne di campionamento, la proiezione dei bordi su un piano orizzontale ha una forma ret-tangolare la cui superficie costituisce l’area di campionamento. La benna, una volta ar-mata e sospesa a una corda, assume la posizione di campionamento con la relativa area affacciata al fondo, Foto 1.7. Quando la benna tocca il fondale marino, scatta il fermo che teneva aperte le valve e nel salpamento queste si chiudono “mordendo” il sedimen-to. La benna Van Veen più piccola, che ha una superficie di campionamento di 20×30 cm, può campionare qualche kg di sedimenti, Foto 1.6. Orientativamente, il numero di campioni da prelevare nella fascia sottoriva può essere in numero pari alle barre e ai truogoli, più uno nelle posizioni intermedie. Se non sono presenti barre e truogoli occor-rono individuare le posizioni dei frangenti del sito allo scopo di potervi eseguire i cam-pionamenti. Altri campioni dovranno essere prelevati nelle zone intermedie ove si rico-stituiscono le onde di oscillazione.

1.6 ANALISI GRANULOMETRICHE

Per conoscere le dimensioni caratteristiche del campione occorre eseguire l’analisi gra-nulometrica che, scelta una serie di diametri prestabiliti e appropriati, consiste nel de-terminare la quota parte in peso del campione che appartiene a ciascun intervallo di

Foto 1.7. Benna Van Veen armata per il campionamento di sedimenti sottomarini.

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Morfologie e Materiali Costieri 20

diametri della serie. In ogni caso, secondo le caratteristiche del campione e delle dimen-sioni dei suoi granuli, occorre eseguire un certo numero di operazioni preliminari e sce-gliere il tipo di analisi più appropriata. I metodi tradizionali di analisi sono due: il meto-do della setacciatura, detto anche per via secca, adatto per tutte le sabbie e le ghiaie, ed il metodo della pipetta, detto anche per via umida, adatto per i limi e le argille. Sono an-che in crescita le tecniche di apparecchiature elettroniche, come ad es. il Coulter Coun-ter che consente di eseguire con lo stesso strumento l’analisi granulometrica su campio-ni aventi granuli di dimensioni molto differenti da diametri dell’ordine di 1.2 μm a 0.4 μm.

Se il campione da analizzare è una terra, che in generale contiene una vasta gamma di dimensioni di grani (ghiaie, sabbie, fanghi, limi e/o argille), preliminarmente, occorre separare le frazioni più grossolane (ghiaie e sabbie) da quelle più fini (fanghi, limi e/o argille). Per fare ciò occorre lavare il campione con acqua dolce utilizzando un setaccio in acciaio inox con maglie di 4φ (0.0625 mm) L’acqua impiegata nel lavaggio e la fra-zione fine che passa attraverso il setaccio deve essere conservata in quanto su di essa dovrà essere eseguita l’analisi granulometrica per via umida. Sulla frazione trattenuta dal setaccio, adeguatamente essiccata, potrà essere eseguita l’analisi granulometrica per via secca. I campioni di sedimenti di spiaggia, anche se di sola sabbia, devono essere comunque lavati con l’acqua dolce per renderli assolutamente incoerenti e trattabili ai setacci.

1.6.1 ANALISI PER SETACCIATURA O VIA SECCA La tecnica di analisi consiste nel far passare il campione essiccato attraverso una pila di setacci standard aventi maglie decrescenti con intervallo di ½ φ o anche di ¼ φ. Occorre, poi, esaminare al microscopio la forma dei granuli trattenuti da ogni setaccio per verifi-care se la prevista setacciatura sia stata completata, infatti, può capitare che, a causa del-la forma quadrata delle maglie, la separazione avvenga sui diametri intermedi. Ogni fra-zione trattenuta, e quella passante al setaccio più fino (4φ ≡ 0.0625 mm ≡ 230 mesh), devono esser pesate. Operativamente, è molto importante controllare lo spessore di se-dimenti che può gravare sul setaccio poiché il peso della colonna, se supera un certo li-mite, può ostacolare la setacciatura per l’ostruzione delle maglie da parte dei granuli più grossi o anche da parte di due o più granuli che passerebbero se fossero isolati. L’ostruzione delle maglie, a causa del non completo passaggio dei granuli più fini, comporta, ovviamente, la distorsione dei risultati dell’analisi. Per evitare inconvenienti di questo genere si ritiene necessario limitare a 4÷6 diametri lo spessore di sedimenti nel setaccio (McManus, 1965). In pratica, per una serie completa di setacci (0φ ÷ 4φ), lo spessore massimo da sottoporre a setacciatura non deve superare i 20 cm. Qualora il campione disponibile sia sovrabbondante, occorre selezionarne una parte rappresentati-va, pari ad esempio a mezzo campione o ad un quarto (quartatura), dopo averlo adegua-tamente omogeneizzato.

1.6.2 ANALISI CON LA PIPETTA O PER VIA UMIDA L’analisi granulometrica sulla frazione più fina di 4φ è di solito eseguita per via umida con il metodo della pipetta. Dal residuo del lavaggio del campione originario, composto da acqua e sedimenti di diametro inferiore a 4φ, dopo una adeguata omogeneizzazione, si preleva un volume assegnato (di solito 1 litro) che viene introdotto nella pipetta e, dopo averlo agitato, viene lasciato sedimentare. Durante la sedimentazione, a intervalli di tempo prestabiliti, si preleva, sempre alla stessa distanza dal pelo libero, un campione

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di 20 ml. Ogni campione, dopo essiccazione, viene pesato. Il primo campione, prelevato sotto l’effetto dell’agitazione, possiede la massima concentrazione e il suo peso, dopo l’essiccazione, corrisponde al peso del campione setacciato. La differenza di peso tra un prelievo e il successivo corrisponde al passante. Il diametro è determinato in base al tempo che intercorre tra i singoli campionamenti utilizzando la legge di Stokes (eq. 1.15) e assumendo una densità dei granuli pari a 2.65 gr cm–3. Esplicitando rispetto al diametro l’eq. (1.15), si ottiene

( ) ( )( )min Tempo

cm ntocampioname Prof.FmD50 =μ . (1.22)

Il coefficiente F vale 12.99, se l’acqua è alla temperatura di 24 °C, 13.30 a 22 °C e 13.60 a 20 °C. Per la profondità di campionamento di 10 cm, la variazione del diametro con il tempo è data dal diagramma della Fig. 1.9. Il limite inferiore dell’analisi è di circa 0.5 μm (Dyer, 1986), infatti, al di sotto di tale limite il moto Browniano delle molecole d’acqua comincia a disturbare la sedimentazione. Il limite superiore è 62 μm (Vanoni 1975). Per i diametri compresi tra 62 e 31 μm è consigliato adottare una profondità di campionamento di 15 cm; per i diametri compresi tra 31 e 0.5 μm basta la profondità di 10 cm. La sedimentazione è disturbata se la concentrazione supera il 10% e se c’è floc-culazione per la presenza di argilla. La flocculazione può essere eliminata aggiungendo ad es. ossalato di sodio.

1.7 PRESENTAZIONE DEI RISULTATI DELLE ANALISI

Le analisi granulometriche forniscono i dati della ripartizione dei pesi percentuali delle frazioni del campione passanti ai diversi setacci della serie. Questi dati possono essere facilmente riportati su un diagramma per darne una immediata lettura e perché si possa-no eseguire alcune facili operazioni atte a determinare sinteticamente le caratteristiche del campione, note con il nome di caratteristiche tessiturali. In generale, dal punto di vista statistico, i sedimenti seguono una distribuzione log-normale che ha la forma

1

1 0

1 0 0

0 , 1 1 1 0 1 0 0 1 0 0 0T e m p o ( m in )

D 5 0 (m m ) 2 4 ° C ; p r o f . s e d . 1 0 c m2 0 ° C ; p r o f . s e d . 1 0 c m2 0 ° C ; p r o f . s e d . 1 5 c m2 4 ° C ; p r o f . s e d . 1 5 c m

Fig. 1.9. Tempo di campionamento in funzione del diametro dei granuli per analisi con la pipet-

ta con profondità di campionamento di 10 cm e di 15 cm.

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Morfologie e Materiali Costieri 22

( ) ( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ −−= 2

2

221

σμ

πσDlnexp

DDp , (1.23)

essendo μ la media dei logaritmi naturali dei diametri della serie dei setacci e σ la loro deviazione standard. Nella Fig. 1.10 sono riportate le distribuzioni log-normali per tre valori di μ e per σ =1. La stessa distribuzione è riportata nella Fig. 1.11 ove in ascisse è riportato, anziché il diametro D, la corrispondente unità φ in forza della quale il dia-gramma assume la tipica forma a campana della distribuzione normale.

La ragione per cui i sedimenti seguono una distribuzione log-normale non è nota no-nostante i molti tentativi fatti per spiegare il fenomeno, nessuno dei quali è risultato convincente. Si ipotizza che la causa possa essere attribuita al moto turbolento del fluido che investe i sedimenti e alla fluttuazione della tensione tangenziale nel fondo. Poiché gli eventi naturali sono interessati da sollecitazioni ordinarie più che da sollecitazioni in-tense, i granuli più piccoli sarebbero spostati più facilmente di quelli grossi, però, a que-sto si potrebbe obiettare che i granuli grossi offrono un riparo al movimento dei granuli più piccoli. D’altra parte, sono state proposte anche forme alternative alla distribuzione log-normale.

A livello planetario, osservando la distribuzione granulometrica dei sedimenti, si no-ta la carenza di alcuni diametri nelle zone 0÷2 φ e 3.5÷5 φ . La carenza di granuli ri-guardanti il primo intervallo sembra si debba attribuire alla modalità di sgretolamento delle rocce, quella riguardante il secondo intervallo, più probabilmente, è legato alla dif-ferente metodica di analisi granulometrica nel passaggio dalla setacciatura per via secca all’analisi con la pipetta.

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5

Diam etro x (m m )

dist

r log

n

m edia lnx=1

m edia lnx=0m edia lnx=-1

Fig. 1.10. Distribuzione log-normale della frazione sabbiosa di un ipotetico campione di sedimenti in funzione del diametro x in mm.

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Fig. 1.11. Distribuzione log-normale della frazione sabbiosa di un ipotetico campione di

sedimenti in funzione del diametro espresso in unità φ. Il modo più comune per rappresentare i risultati delle analisi granulometriche consi-

ste nel tracciare il diagramma delle frequenze cumulate. Nella Fig. 1.13 è riportato tale diagramma per la frazione sabbiosa di un sedimento nell’ipotetico caso che esso segua una distribuzione log-normale. Nella figura è evidenziato il diametro mediano che corri-sponde al 50% del passante.

Fig. 1.12. Frequenze cumulate della distribuzione log-normale della frazione sabbiosa di un ipo-

tetico campione di sedimenti in funzione del diametro espresso in unità φ.

0

0 ,2

0 ,4

0 ,6

0 ,8

1

1 ,2

1 ,4

1 ,6

1 ,8

-5-3-1135u n i tà F

disr

t. lo

gn.

m e d ia ln x = 1m e d ia ln x = 0m e d ia ln x = -1

Diametro (unità φ)

0

20

40

60

80

100

-101234

Diametro (unità F)

Pas

sant

e (%

)

1,5

Diametromediano

φ

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5040

30

20

10

5

60

70

80

90

95

Passante (%)

4 3 2 1 diametro (φ) -1

Fig. 1.13. Frequenze cumulate della distribuzione log-normale della frazione sabbiosa di un ipo-tetico campione di sedimenti riportate su una carta probabilistica normale.

Infine, riportando il grafico in una carta probabilistica, le frequenze cumulate di una distribuzione log-normale assumono la forma rettilinea della Fig. 1.14. Da questo risul-tato deriva la causa che ha portato alla scelta delle unità φ per la misura dei diametri dei granuli. Dovendosi rappresentare contemporaneamente ghiaia, sabbia e limo o argilla, si ricorre ai diagrammi triangolari. Mediante queste rappresentazioni si ha una indicazione utile per la caratterizzazione del campione. Nella Fig. 1.14 è riportato uno di questi dia-grammi per il caso di un sedimento contenente ghiaia, sabbia e fango, ma diagrammi analoghi possono tracciarsi anche per ghiaia, sabbia e argilla o altre miscele.

Fig. 1.14. Diagramma ternario per miscele di ghiaia, sabbia e fango.

Ghiaia Sabbia

Fango

100% Fango

Fango ghiaioso

Fango sabbioso

Ghiaia fangosa

Ghiaia fango-sabbiosa

Sabbia ghiaiosa

Ghiaia sabbiosa

100% Ghiaia

100% Sabbia 75% 50% 25%

75%

75%

50% 50%

25%

25%

Sabbia fangosa

Asse della ghiaia

Asse della sabbia

Asse del fango