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Indice-Sommario Presentazione 7 Introduzione. Una scuola in movimento e una didattica che si rinnova di Lafranco Rosati 9 PARTE PRIMA. LA QUALITÀ DELLINTEGRAZIONE SCOLASTICA Lucio Cottini [cap. 1] Verso un’integrazione scolastica di qualità: punti di forza e di debolezza dopo trent’anni di esperienze 15 Laura Arcangeli [cap. 2] Diversità e differenze. La razionalità pedagogica 47 PARTE SECONDA. LA CONOSCENZA DEL DEFICIT Annalisa Morganti [cap. 3] La disabilità mentale 65 Lucio Cottini [cap. 4] Il deficit visivo 75 Lucio Cottini [cap. 5] Il deficit uditivo 95 Vincenzo Biancalana [cap. 6] La disabilità motoria 115 Benedetta Bonci [cap. 7] L’autismo 135

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Indice-Sommario

Presentazione 7

Introduzione. Una scuola in movimento e una didattica che si rinnova di Lafranco Rosati 9

pArte priMA.la qualità dell’integrazione scolastica

Lucio Cottini [cap. 1]

Verso un’integrazione scolastica di qualità: punti di forza e di debolezza dopo trent’anni di esperienze 15

Laura Arcangeli [cap. 2]

Diversità e differenze. La razionalità pedagogica 47

pArte seconDA.la conoscenza del deficit

Annalisa Morganti [cap. 3]

La disabilità mentale 65

Lucio Cottini [cap. 4]

Il deficit visivo 75

Lucio Cottini [cap. 5]

Il deficit uditivo 95

Vincenzo Biancalana [cap. 6]

La disabilità motoria 115

Benedetta Bonci [cap. 7]

L’autismo 135

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Daniele Fedeli [cap. 8]

Il deficit d’attenzione con iperattività 173

Annalisa Morganti [cap. 9]

I disturbi specifici di apprendimento 195

Daniele Fedeli [cap. 10]

I problemi di comportamento 213

pArte terzA.le nuove frontiere della didattica speciale

Annalisa Morganti [cap. 11]

L’educazione motoria: ruolo e funzioni 243

Donatella Tamburri [cap. 12]

L’intervento nei disturbi dell’apprendimento 255

Ornella Bovi [cap. 13]

Arte e terapia 283

Bruna Lani [cap. 14]

Intervenire a scuola sui problemi comunicativi gravi: il caso dell’allievo con autismo 297

Daniele Fedeli [cap. 15]

Le risposte della scuola alle situazioni di gravità 325

Lucio Cottini [cap. 16]

Come affrontare i problemi comportamentali a scuola 351

Conclusione. Quale insegnante per una integrazione di qualità? di Lucio Cottini 377

Bibliografia 383

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Presentazione

Sono oltre trent’anni che all’interno delle nostre scuole ci si deve confron-tare con i bisogni molto particolari di allievi in situazioni di disabilità. I

sentimenti di timore e di sostanziale rifiuto dell’inizio hanno in seguito lasciato il posto a quelli di delega del problema a particolari figure (gli insegnanti di sostegno), per evolvere poi in forme più mature di ricerca di soluzioni e di condivisione delle responsabilità. Certamente il percorso è ben lungi dall’esse-re completato, ma molta strada è stata fatta e di questo se ne è potuta giovare l’intera istituzione educativa, sviluppando una riflessione pedagogica e delle metodologie didattiche che ha certamente contribuito a innalzare la qualità delle risposte. Sono sempre più numerose, infatti, le documentazioni di “buone prassi” che vengono sviluppate nelle nostre classi, anche se le stesse non pos-sono ancora dirsi diffuse in maniera capillare in ogni contesto. In concreto, la nostra scuola – “in movimento” come viene definita nell’introduzione – cerca di caratterizzarsi sempre più come integrante e inclusiva per tutti e di attribuire una valenza positiva alla diversità che ampiamente la contraddistingue.

Il volume prende in considerazione, con un taglio eminentemente operati-vo, le procedure metodologiche utili per promuovere un’integrazione di qua-lità per allievi che presentano situazioni di disabilità. A questo fine è articolato in tre parti, che analizzano rispettivamente: 1. il concetto di qualità dell’integrazione che, di fatto, costituisce un indica-

tore fondamentale della qualità dell’intera istituzione scolastica; 2. le diverse tipologie di deficit con le quali l’insegnante viene sovente a

contatto; 3. una serie di procedure didattiche, in grado di facilitare apprendimenti

significativi in contesti integrati.

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presentAzione

Molti capitoli sono stati sviluppati da Colleghi che afferiscono alle Univer-sità di Udine, Perugia e Urbino, con i quali da tempo collaboriamo. A Laura Arcangeli, Vincenzo Biancalana, Benedetta Bonci, Ornella Bovi, Daniele Fe-deli, Bruna Lani, Annalisa Morganti e Donatella Tamburri va il nostro apprez-zamento per la qualità dei loro contributi, che affrontano tematiche assoluta-mente centrali nel contesto della didattica speciale. L’auspicio è che il volume possa rappresentare un riferimento interessante e utile sia per gli studenti delle Facoltà di Scienze della Formazione, che per gli insegnanti già in servizio, chia-mati a trasformare il loro incontro quotidiano con la diversità da problema in opportunità di crescita.

Lucio Cottini-Lanfranco Rosati Perugia, luglio 2008.

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Introduzione

Una scuola in movimento e una didattica che si rinnova

La crisi generalizzata dell’istituzione scolastica, con la richiesta sempre pres-sante di educazione che sia capace di porre un limite ai fenomeni di super-

ficialità e, non infrequentemente, di violenza, contribuisce, se si assume una ottica positiva piuttosto che uno scoramento distruttivo, a rendere effettive le condizioni di superamento di una ingessatura forzata per fare largo a un’idea, a mio avviso vincente, di movimentismo, cioè di maturazione progressiva e di razionale flessibilità. Che, malgrado le incertezze determinate più spesso da una carente politica e da visioni particolaristiche, la scuola si muova è scontato, anche perché essa riflette le pressioni dell’ambiente culturale e delle sempre crescenti necessità della popolazione la quale, peraltro, può, come è giusto che sia, far conto anche sull’impiego delle tecnologie che assicurano una istruzione a distanza, per raggiungere le più remote periferie e le genti che vivono nella miseria e nell’ignoranza. Ed è proprio tenendo presenti le sollecitazioni al cam-biamento che la natura flessibile dell’istituzione scolastica assicura le possibilità di una evoluzione che tuttavia deve essere orientata dall’intelligenza dell’uomo. I traguardi da raggiungere allora si chiariscono e si definiscono in modo sensi-bile: le potenzialità individuali debbono essere liberate, così come sollecitava Dewey per evitare manomissioni e sperperi; l’ambiente educativo dovrà essere il più possibile accogliente e si dovrà caratterizzare per le sollecitazioni, secon-do una filosofia gestaltista, tali da autorizzare lo sviluppo; la presenza di limiti e impedimenti materiali dovranno essere abbattuti per garantire anche a coloro che presentano forme di disabilità di raggiungere il massimo della loro realiz-zazione. In sintesi, insomma, davanti a una scuola ingessata, nei programmi come anche nelle strutture, una scuola in movimento assicurerà le condizioni

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LAnFrAnco rosAti

di sviluppo a tutti i soggetti che vivono in essa. E questo sviluppo non è soltan-to intellettuale, come nel passato intendeva tutelare l’istruzione scolastica, ma sarà anche fisico e spirituale, facilitando l’espressione della creatività personale che si realizza in molteplici dimensioni, anche manuali oltre che fantastiche e immaginative. Di qui la necessità di una didattica, intesa come ricerca dell’iti-nerario più agile e sicuro per facilitare l’accesso delle persone al mondo della cultura umana, che non avrà mai carattere semplicemente esercitativo, ma si connoterà come produzione divergente di pensiero applicato e applicabile nel-la produzione linguistica, se la lingua assume un carattere funzionale destinato a comunicare ed esprimersi, in quella scientifica, se favorisce la comprensione dell’ordine e del rigore che si rifletteranno poi nell’azione personale davanti al mondo della realtà e quindi all’universo fenomenico, in quella di esercizio della memoria che aiuta a recuperare le esperienze pregresse e le testimonianze del passato, in quella globalizzante e capace di trascendere i limiti del finito, in quella, infine, che aiuta a comprendere e contemplare la bellezza che è nella natura e nelle opere d’arte che la rappresentano. Ma è possibile tutto ciò in una struttura rigida che si preoccupa soltanto di perpetuarsi in riti e forme sempre uguali e ripetitive? O non piuttosto dovrà preoccuparsi di accogliere con una apertura totale ogni persona, qualunque sia la sua origine e qualunque sia la sua condizione, anche nel caso di allontanamento dal modello fisico e biologi-co normale? Già perché quando si parla di normalità e di riflesso di anormalità occorre richiamare la testimonianza di Maria Montessori la quale insisteva nel ricordare che il confine tra l’una e l’altra è più apparente che reale. Difatti una persona che pure presenta una qualche forma di disabilità può riuscire piena-mente in un’attività in cui realizza ogni sua potenzialità, mentre un’altra che viene incasellata nella normalità non riesce, quantunque a fatica, a liberare se stessa nel compimento di un’azione nella quale impegna ogni sua energia. La scuola, come luogo in cui si compiono quotidianamente sia le valutazioni delle persone, anche attraverso una metodologia osservativa quando non anche con l’applicazione di prove più o meno standardizzate, sia si cerca di aiutare le stes-se a ritrovare la propria forma – ed è perciò che si parla di formazione in ma-niera più circoscritta e funzionale di educazione tout court – non può rimanere neutra davanti alle esigenze crescenti delle persone che la frequentano: ha da farsi flessibile, pronta a dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno in termini di cul-

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unA scuoLA in MoViMento e unA DiDAtticA che si rinnoVA

tura, di abilità e competenze; deve abituare all’ordine e alla chiarezza espres-siva e comunicativa; deve, allo stesso modo, condurre ognuno a riscoprire il proprio passato con l’esercizio di una memoria, breve o lunga che sia, che il cervello, attraverso la combinazione di neuroni e sinapsi, rende possibile; deve infine alimentare nella coscienza individuale il senso del limite, del provviso-rio e del cangiante per abbracciare in uno slancio contemplativo ciò che può essere colto nell’oltremondano, al di là insomma di ogni barriera posta dalla condizione esistenziale, grazie alle intuizioni dell’intelligenza e dello spirito. Questa è la scuola movimentista che non soltanto vorremmo disegnare, ma anche che sta configurandosi nella prospettiva di una pedagogia della libertà in cui ogni persona possa realizzare se stessa in piena autonomia e gioia. È da chiederci, in realtà, se questo tipo di scuola esiste di fatto o attende ancora di potersi costruire con la collaborazione dei docenti, in primo luogo, ma anche delle famiglie e delle istituzioni in senso lato. C’è là dove lo sforzo congiunto degli insegnanti teorici – per restare alla triplice denominazione classica di Ga-ston Mialaret – e degli insegnanti pratici si coniuga assieme nella prospettiva di riversare sugli alunni quell’amore che nutre le anime, non soltanto ipotizzate dalla pedagogia idealista di Giovanni Gentile o dalle indicazioni didattiche di Giuseppe Lombardo-Radice, soprattutto descritte in maniera efficace dalla ri-cerca neuro scientifica che è alla base di una progettazione di attività educative che conferiscono, sul piano innovativo, delle concrete spinte al cambiamento che è e rimane il traguardo formativo dell’istruzione scolastica nella stagione che stiamo vivendo. Conviene, perciò, richiamare ancora una volta l’elemento che sta alla base della scuola che si rinnova: cioè il movimento. Se c’è movimen-to è possibile rendere effettivo il cambiamento, delle persone e della società, quella società costantemente, come denuncia Zygmunt Bauman, posta “sotto assedio” e comunque tale, sempre per restare con l’interprete di una realtà del mondo che definisce “liquida”, da ingenerare nei singoli una “paura liquida” che segnala l’impotenza e ci perseguita senza che mai si mostri chiaramente. Che la didattica contribuisca a rendere “movimentista” l’istituzione scolastica è non soltanto possibile, ma auspicabile, perché le azioni ipotizzate e progetta-te, quindi eseguite nella realtà delle classi siano sempre condotte in nome della flessibilità degli animi e degli impegni intellettuali che segnalano, essi stessi, non traguardi rigidi e fissati una volta per sempre, ma che tengono conto delle

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LAnFrAnco rosAti

risorse umane, delle conoscenze che ne riscattano il compimento e che le pres-sioni dell’ambiente, come pure il peso della tradizione, non le comprimano irretendole in una ragnatela senza scampo, ma facilitino il raggiungimento di obiettivi sempre mobili e sempre più adeguati alle necessità delle persone che si differenziano l’una dall’altra sia sul piano genetico sia su quello culturale.

Lanfranco Rosati

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PARTE PRIMA

La qualità dell’integrazione scolastica

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Lucio Cottini

Verso un’integrazione scolastica di qualità:punti di forza e di debolezza dopo trent’anni di esperienze

Sono passati oltre trent’anni da quando il nostro paese, con una scelta co-raggiosa fino al limite della temerarietà, decise di svoltare radicalmente e di

sostituire alla rassicurante logica della separazione, rappresentata dall’inseri-mento degli allievi con disabilità all’interno di istituzioni speciali, quella com-plessa e foriera di tensioni e conflitti che prevedeva la frequenza della scuola di tutti. Tale orientamento, adottato sulla spinta di tensioni ideologiche che tendevano a evitare ogni forma di discriminazione, creò sicuramente molto scompiglio in quanto non preparata adeguatamente, ma, nello stesso tempo, costrinse la scuola cercare soluzioni, elaborare strategie, ripensarsi nelle sue finalità, sviluppare collaborazioni.

Le esperienze iniziali sono state caratterizzate da una presenza non sem-pre significativa dell’allievo in situazione di disabilità nella scuola, arrivando a giustificare l’appellativo di inserimento selvaggio. Grazie al lavoro quotidiano degli operatori scolastici, unito a un affinamento della riflessione pedagogica e alla predisposizione di strumenti didattici e di programmazioni personalizzate, la situazione è progressivamente migliorata, prima nella scuola dell’infanzia e primaria, poi nella scuola media e in questi ultimi anni anche negli istituti su-periori, in particolare nelle scuole a indirizzo tecnico e artistico.

L’integrazione costituisce ormai una scelta irreversibile della scuola e sta sempre più generalizzandosi all’intera società. Se oggi vediamo persone con disabilità coinvolte nelle iniziative della propria comunità di riferimento, che fanno sport, si muovono autonomamente, lavorano, questo si deve anche alla

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Lucio cottini

possibilità che hanno avuto di sperimentare situazioni di integrazione a livello scolastico.

Attualmente si sta assistendo a una sorta di ridefinizione del concetto di integrazione in quello più articolato di inclusione, cercando, in sostanza, di am-pliarne la valenza sia per quanto riguarda i contesti, che le persone interessate. In riferimento ai contesti, l’inclusione rappresenta il tentativo di ricollocare l’idea di integrazione, saldando fra loro i vari processi formativi e scolastici, quelli sociali e delle politiche relative ai servizi: in questa direzione l’integra-zione scolastica assume una nuova prospettiva in quanto viene assunta come parte di un più ampio intervento sull’integrazione sociale (Medeghini, 2006). Anche per quanto riguarda le persone coinvolte si assiste a un ampliamen-to dei riferimenti: infatti, se il processo di integrazione si indirizza ai bisogni delle persone con disabilità o, in una visione più ampia, a quelle con bisogni speciali, l’inclusione rivolge la sua attenzione a tutti quelli che partecipano alla vita sociale. In ambito scolastico, quindi, viene preso in carico l’insieme delle differenze, comprendendo gli alunni a sviluppo tipico, quelli con svantaggi so-cio-culturali, quelli dotati, ecc. In tale dimensione il concetto normativo legato, ad esempio, alle certificazioni viene superato, per recuperare l’insieme delle espressioni e delle potenzialità di tutti gli allievi.

Certamente il percorso verso l’inclusione effettiva e totale è ben lungi dal-l’essere completato, ma un tragitto consistente è sicuramente stato sviluppato grazie ai processi di integrazione scolastica, i quali, di fatto, stanno rappresen-tando una sorta di volano per favorire la generalizzazione anche nel contesto sociale. In questo capitolo iniziale viene fatto il punto su tale percorso e sulle prospettive che si aprono, prendendo in considerazione i seguenti aspetti: 1. l’evoluzione storica del processo di integrazione attraverso l’analisi della

normativa; 2. i punti di forza e di debolezza che attualmente caratterizzano l’integra-

zione scolastica; 3. gli indicatori per una valutazione della qualità dell’integrazione.

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1. Verso un’integrazione scolastica di qualità

1. Normativa e integrazione

L’integrazione scolastica dell’allievo in situazione di disabilità è oggi rego-lata dalla legge quadro n. 104/92 e dalle disposizioni applicative di tale legge che, di fatto, assicura a tutti gli allievi, anche a quelli più gravi, la possibilità di frequentare le scuole di ogni ordine e grado.

Credo sia importante ripercorrere succintamente l’evoluzione della norma-tiva nell’ultimo trentennio, in quanto il susseguirsi delle diverse disposizioni ri-guardanti il tema dell’integrazione consente anche di seguire l’evoluzione della riflessione pedagogica.

Prenderò in considerazione in questo excursus: – il periodo dell’istruzione separata; – le prime esperienze di inserimento; – il cammino dall’inserimento all’integrazione; – la legge quadro 104/92; – le disposizioni applicative della legge quadro; – le recenti evoluzioni della normativa.

1.1. Il periodo dell’istruzione separata

L’inserimento scolastico del bambino disabile è stato caratterizzato, fino alla fine degli anni ’60, da un approccio prevalentemente medico, in una si-tuazione di diffusa emarginazione e istituzionalizzazione. Erano stati emanati, infatti, provvedimenti legislativi e circolari ministeriali che, pur occupandosi specificamente dei problemi degli alunni con disabilità, non prevedevano però ancora la frequenza nella scuola comune. La convinzione comune era che l’al-lievo in situazione di disabilità potesse essere aiutato con la massima incisività quando si trovava inserito in gruppi di coetanei con deficit simili. Non sfugge a tale orientamento la legge sulla scuola media unica (Legge n. 1859 del 1962), che prevedeva l’istituzione di classi d’aggiornamento e differenziali e quella successiva sulla scuola materna statale (Legge n. 444 del 1968), che all’articolo 3 recitava: “per i bambini dai tre ai sei anni affetti da disturbi dell’intelligen-za o del carattere o del comportamento o portatori di menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato istituisce sezioni speciali presso le scuole materne statali e,

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Lucio cottini

per i casi più gravi, scuole materne speciali”. A seconda della tipologia e della gravità del deficit, quindi, gli allievi venivano avviati alla scuola speciale o alle classi differenziali.

Malgrado una certa attenzione a non creare artificiosamente bambini con disabilità, la costituzione di strutture speciali parallele a quelle comuni ha giu-stificato e stimolato un intervento di tipo prettamente tecnico-sanitario sul de-ficit organico, senza la necessaria considerazione pedagogica per l’allievo in quanto persona.

1.2. Le prime esperienze di inserimento

La constatazione di quanto limitati fossero stati i risultati ottenuti con l’in-serimento in classi differenziali e in scuole speciali, unita al clamore della con-testazione che sul finire degli anni ’60 aveva investito l’intero sistema scolastico (l’opposizione riguardava la questione della selettività e dell’emarginazione), hanno portato alla crisi delle istituzioni separate e hanno autorizzato le prime esperienze di inserimento degli allievi in situazione di disabilità nelle scuole comuni.

A livello normativo lo spunto è stato fornito inizialmente dalla Legge n. 118 del 1971, che, all’articolo 28, riconosceva agli allievi in situazione di disabilità il diritto all’educazione in classe normale, escludendo però “i soggetti affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire e/o rendere difficoltoso l’apprendimento e l’inserimento nelle classi normali”. Questa legge, che a prima vista non sembrava dover apportare modificazio-ni sostanziali all’organizzazione scolastica, ha finito invece per rappresentare un’autentica chiave di volta quando, intorno al 1975, gli specialisti hanno co-minciato a rifiutarsi di attestare la gravità delle disabilità.

Sul finire del 1974, sulla scorta di una crescente sensibilizzazione al pro-blema che ormai aveva contagiato anche l’ambiente politico, venne costituita una commissione di esperti presieduta dalla senatrice Falcucci, per studiare la questione dell’inserimento dei bambini in situazione di disabilità nella scuola comune. Tale commissione elaborò, nel febbraio del 1975, un documento giu-stamente famoso nel quale veniva ribadito il principio che “il superamento di qualsiasi forma di emarginazione passa attraverso un nuovo modo di concepire

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1. Verso un’integrAzione scoLAsticA Di quALità

e attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino e ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale”. Veniva inoltre precisato che la frequenza di scuole comuni da parte di bambini in situazione di disabilità “non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni”.

Il documento Falcucci era accompagnato da una circolare, la 227/75, la quale proponeva l’inserimento graduale di alunni problematici nella scuola co-mune come sperimentazione didattica, ma metteva in risalto, allo stesso tempo, “la complessità e la gravità dei problemi di natura strutturale e organizzativa”, da risolvere per conseguire “risultati apprezzabili nell’azione volta all’integra-zione scolastica e sociale dei suddetti alunni”.

Le indicazioni contenute nel documento e nella circolare si dimostrano, an-che a una lettura attuale, complessivamente innovative, sobrie e lungimiranti. Come si dirà anche in seguito, sono state per vari anni del tutto disattese e scalcavate dalla corsa dissennata all’inserimento che, non senza ragione, è stato definito “selvaggio”.

1.3. Il cammino dall’inserimento all’integrazione

Nel 1977, con la Legge n. 517, si veniva a delineare un quadro normativo chiaro e preciso relativamente all’inserimento degli allievi in situazione di disa-bilità nella scuola comune (per quel che concerne la scuola dell’obbligo). Tale legge ha rappresentato, dal punto di vista giuridico, un momento di svolta della scuola italiana, sia perché ha reso obbligatoria la presenza di alunni in situazio-ne di disabilità nella scuola comune (con la conseguente abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali), sia perché ha offerto notevolissime possi-bilità per favorire un passaggio dal semplice inserimento all’integrazione.

L’articolo 2 e l’articolo 7, dedicati rispettivamente alla scuola elementare e alla scuola media, autorizzavano la programmazione di attività integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse allo sco-po di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. “Nell’ambito di tali attività, la scuola attua forme di integrazione con la prestazione di insegnanti specializzati”.

Non stava solo nell’apertura obbligatoria agli alunni in situazione di disa-bilità la valenza innovativa della legge n. 517. Essa offriva opportunità per il

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Lucio cottini

passaggio dall’inserimento all’integrazione anche perché aboliva il voto nella scuola di base. L’attenuazione del potere selettivo insindacabile del docente, che da quel momento doveva giustificare i suoi giudizi, e la subordinazione di tali giudizi sia a una programmazione decontestualizzante e promozionale, che alla valutazione delle capacità e attitudini, faceva sì che la questione dell’am-missione alla classe successiva degli alunni in situazione di disabilità venisse fortemente sdrammatizzata (Comassi, 1984).

Dopo il 1977 una serie di leggi e di circolari del Ministero della Pubblica Istruzione hanno dettato le regole di interpretazione e di applicazione della legge 517/77 e hanno cercato di colmare alcune lacune al fine di rendere effet-tivo il processo integrativo. Di particolare interesse sono: – la circolare ministeriale n. 168/78 sulla programmazione educativa; – la circolare ministeriale n. 199/79 che evidenziava nella collaborazione

fra scuola e servizi assistenziali e sanitari del territorio le condizioni ne-cessarie per la piena realizzazione del processo di integrazione;

– la legge 270/82 che ha istituito il sostegno anche nella scuola materna; – la circolare ministeriale n. 258/83 e 250/85 che ribadivano la necessità di

interventi coordinati da parte della scuola e degli Enti Locali; – la circolare ministeriale n. 1/88 che dettava norme per favorire il naturale

passaggio dell’allievo in situazione di disabilità da un ordine di scuola a un altro.

Gli anni ’80 si sono chiusi con un’importante sentenza della Corte Costi-tuzionale, la n. 215 del 1987, che ha spalancato, finalmente in modo pieno, le porte della scuola media superiore a tutti i disabili, dichiarando illegittima la parte dell’articolo 28 della legge n. 118/72, la quale sosteneva necessario “facilitare”, ma non “assicurare” la loro frequenza. Tale sentenza, che oppor-tunamente è stata definita come “Magna Charta” dell’integrazione scolastica (Nocera, 1987), ha dato luogo all’emanazione della circolare ministeriale n. 262/88 che rendeva possibile l’iscrizione e la frequenza della scuola secondaria di secondo grado a tutti gli allievi in situazione di disabilità, sia fisico che psi-chico che sensoriale, senza limitazione per quanto concerne la gravità.

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1. Verso un’integrAzione scoLAsticA Di quALità

1.4. La legge quadro 104/92

La legge quadro n. 104 “per l’assistenza, l’integrazione e i diritti” delle per-sone con disabilità, emanata nel 1992, costituisce un’ulteriore tappa nell’evolu-zione della normativa in materia di diritto allo studio dei disabili. Il testo da un lato raccoglie e ricompone varie disposizioni precedenti in un quadro organico e dall’altro tende a riempire vuoti legislativi che si erano venuti a verificare nei diversi ambiti: il sostegno alla famiglia, la scuola, il lavoro, la salute, il tempo libero, l’integrazione sociale.

Per quanto riguarda l’integrazione scolastica, gli articoli dal 12 al 17 hanno fissato le basi per la costruzione di un progetto globale e individualizzato al tempo stesso, in grado di coinvolgere il singolo individuo e tutte le realtà del territorio. Una vera integrazione, infatti, si può realizzare unicamente ponendo in primo piano non soltanto i bisogni particolari della persona disabile, ma anche i suoi desideri, le sue risorse e le potenzialità nell’ambito dell’apprendi-mento, della comunicazione e delle relazioni. L’integrazione, cioè, deve basarsi sul rispetto e la valorizzazione della “diversità” della persona, portatrice non solo di bisogni, ma anche di risorse positive (Tortello, 1999). In quest’ottica assume particolare rilevanza la costruzione del progetto educativo basato sul confronto di tutte le istituzioni e sulla messa in rete delle risorse umane e stru-mentali offerte dal territorio. Per tale finalità viene prevista l’istituzione di vari Gruppi di Lavoro a livello provinciale e locale.

Un ruolo sempre più attivo viene attribuito alle famiglie, sia nella formula-zione del Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F.) che del Piano Educativo Indivi-dualizzato (P.E.I.). In particolare la legge, al fine di assicurare la piena collabo-razione tra scuola ed enti territoriali, ha introdotto esplicitamente il principio della programmazione coordinata tra i servizi scolastici, quelli sanitari, quelli socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, anche se tale coordinamento, in molte realtà, è a tutt’oggi più enunciato che realizzato concretamente.

Un ambito di grande rilevanza preso in considerazione dalla legge quadro è quello della valutazione degli allievi, la quale era già stata oggetto di diversi atti amministrativi precedenti, ma che solo a questo livello viene specificata precisamente e collegata al piano educativo individualizzato. In concreto, nella

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scuola dell’obbligo sono predisposte prove d’esame corrispondenti agli inse-gnamenti impartiti e idonee a valutare il progresso dell’allievo in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali; nella scuola secondaria di secondo grado, invece, sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l’effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione.

1.5. Le disposizioni applicative della legge quadro

All’emanazione della legge quadro sono seguiti una serie decreti di esecu-zione, finalizzati a specificare in maniera più puntuale gli strumenti dell’inte-grazione. Fra questi atti, due appaiono particolarmente significativi: – il decreto interministeriale del 9 luglio 1992 che fissa i criteri per la sti-

pula degli accordi di programma da sottoscrivere fra le istituzioni scolasti-che, le amministrazioni comunali e provinciali e le aziende sanitarie locali (ASL). La finalità di tali intese è quella di favorire, attraverso il coordina-mento delle varie agenzie, il miglioramento dell’integrazione scolastica e una più efficace e ampia azione riabilitativa a favore della persona disabi-le. L’integrazione scolastica, pertanto, non è più un compito affidato solo alla scuola, ma a tutta la comunità locale che deve mettere a disposizione le proprie risorse concertandole con quelle delle altre istituzioni;

– il decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1994 che fissa in maniera precisa i “compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni in situazione di disabilità”. Tali compiti prevedono inizialmente l’individuazione della disabilità, cui provvede lo psicologo esperto del-l’età evolutiva in servizio presso le ASL (come vedremo in seguito questa funzione viene ora esercitata da apposite commissioni cliniche). L’atte-stazione di tale condizione deve essere corredata successivamente dalla Diagnosi Funzionale (D.F.), che insieme al successivo Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F), costituisce la documentazione fondamentale richie-sta dall’amministrazione scolastica. La D.F., di esclusiva competenza dei servizi specialistici delle ASL, è definita come “una descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno in situazione di disabilità”. È il risultato dell’acquisizione di elementi cli-

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nici e psicosociali e “non si limita ad accertare il tipo e la gravità del deficit di cui è portatore l’alunno, ma ne pone in evidenza le aree di potenzialità dal punto di vista funzionale”. Proprio perché la D.F. non deve limitarsi ad accertare il tipo e la gravità del deficit, ritengo che sia poco “funzionale” escludere dalla sua delineazione il personale educati-vo e i genitori, i quali potrebbero portare, invece, elementi di conoscenza molto importanti. In altre parole, il processo di integrazione scolastica dipende sostanzialmente dalle certificazioni e dalla diagnosi funzionale, atti fondamentali esclusivamente riservati alle ASL. Nocera (2007) mette in evidenza come questo fatto abbia determinato due grosse distorsioni di cui oggi ci rendiamo conto. La prima è che l’esercizio del diritto allo studio dipende totalmente da una certificazione sanitaria. La seconda è che la normativa scolastica non offre risorse e percorsi per contrastare le difficoltà di apprendimento non riconducibili a certificazioni sanitarie, pur essendo esse statisticamente circa dieci volte maggiori di quelle cau-sate da motivi sanitari.

I riscontri della D.F. costituiscono il necessario presupposto per la compi-lazione del P.D.F., a cui partecipano i docenti curricolari e specializzati della scuola, l’unità multidisciplinare della ASL e la famiglia. Il P.D.F. fissa le linee dello sviluppo potenziale del bambino a medio e breve termine e consente pertanto di individuare obiettivi, attività e modalità del progetto di integrazio-ne scolastica, che trova la sua definizione nel Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.).

1.6. Evoluzioni della normativa e ripercussioni sul processo di integrazione sco-lastica

Alcuni provvedimenti normativi che hanno cominciato a vedere la luce alla fine degli anni ’90 hanno portato a una modifica molto consistente dell’orga-nizzazione scolastica, che sta determinando importanti ripercussioni anche sul processo di integrazione degli alunni in situazione di disabilità.

Ci si riferisce in particolare all’avvio dell’autonomia, alla formazione degli insegnanti, all’organizzazione del sostegno scolastico.

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In base all’articolo 21 delle legge n. 59/1997, le scuole acquisiscono auto-nomia in termini giuridici, finanziari, amministrativi, didattici, di ricerca, di sperimentazione e organizzativi. Il sistema scolastico italiano è diventato poli-centrico grazie a questa disposizione normativa, dal momento che si è abban-donata la tradizionale configurazione verticistica che aveva nel ministero della Pubblica Istruzione il suo apice e, al suo interno, una relazione gerarchica mol-to forte fra direzioni generali, provveditorati, scuole e si è dato vita a un sistema nel quale agiscono, con distinte competenze e responsabilità, diversi centri (re-gioni, enti locali, istituzioni scolastiche). Il cambiamento ha significato anche la scomparsa dei programmi nazionali e maggiore responsabilità progettuale alle scuole, esercitata attraverso un nuovo strumento, il Piano dell’Offerta For-mativa (POF). Il POF comprende il curricolo didattico, ma non si limita alla didattica, occupandosi del progetto complessivo, comprese le questioni di or-ganizzazione interna, di uso delle risorse, di relazioni con il territorio (Fiorin, 2007). Rispetto all’integrazione degli alunni con disabilità la legge sull’auto-nomia contiene principi sicuramente positivi, i quali, se trovano la necessaria condivisione all’interno della scuola e la collaborazione da parte delle altre agenzie, possono contribuire a innalzare la qualità del processo integrativo.

Nel decreto applicativo della legge sull’autonomia (DPR 275/99) sono espressamente richiamati i principi della legge quadro n. 104/92, contro il ri-schio che una scorretta interpretazione delle modalità di attuazione dell’auto-nomia possa essere pretesto per giustificare pericolosi ritorni a forme di emar-ginazione. L’integrazione degli alunni in situazione di disabilità è affrontata ribadendo il principio della “individualizzazione” degli interventi didattici, che fa particolare riferimento processi formativi adeguati alle caratteristiche dei soggetti; sono previsti, infatti, i corsi di recupero, di orientamento e la con-tinuità didattica. È presente, inoltre, il riferimento alla flessibilità degli orari, all’integrazione fra i diversi sistemi formativi, alla possibilità di aggiungere ai curricoli delle discipline liberamente scelte dalle istituzioni scolastiche. Come sostiene Tortello (1999) a questo proposito, è proprio sull’autonomia didatti-ca che le singole istituzioni scolastiche giocano gran parte del loro potenziale creativo, potendo ricercare una maggiore individualizzazione nei percorsi. In-fatti, le scuole autonome (art. 4):

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– promuovono percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni;

– riconoscono e valorizzano la diversità; – promuovono le potenzialità di ciascuno; – adottano tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo; – regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole di-

scipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni;

– adottano forme di flessibilità dell’organizzazione educativa e didattica; – assicurano iniziative di recupero e sostegno, continuità, orientamento.

In sintesi, l’autonomia offre opportunità di una maggiore individualizzazio-ne dei processi di insegnamento e apprendimento, che può portare rimedio a uno dei limiti principali dell’ultima stagione di riforme della scuola: l’interesse quasi esclusivo per le prestazioni degli alunni e per la loro valutazione, la scarsa considerazione per il superamento della lezione frontale e per l’introduzione di nuove metodologie.

Per quanto concerne la formazione dei docenti, dai quali fortemente dipen-de la qualità del processo di integrazione scolastica, va sottolineato che all’in-terno dei corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria, per insegnanti di scuola materna e primaria (DPR 471/96) e delle scuole di specializzazione per i docenti di scuola secondaria (DPR 470/96) sono previsti approfondimen-ti nell’area dell’integrazione scolastica per tutti gli insegnanti e non solo per quelli di sostegno. Questa disposizione è estremamente importante per uscire dalla negativa condizione di delega all’insegnante specializzato del carico e del-la responsabilità del processo di integrazione. Sono previsti percorsi aggiuntivi di 400 ore per il conseguimento della specializzazione per il sostegno, che non possono essere considerati completamente soddisfacenti. L’auspicio è che la riforma della formazione degli insegnati, che si spera possa vedere presto la luce, porti alla definizione di percorsi unitari quinquennali (per quanto con-cerne il corso di Scienze della Formazione Primaria), all’interno dei quali siano comprese tutti gli insegnamenti attualmente previsti nelle 400 ore aggiuntive. In questo modo si verrebbe a delineare una figura di insegnante curricolare

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fortemente orientato sui temi dell’integrazione. Oltre a questo, sono da preve-dersi percorsi aggiuntivi annuali (dei master) per la formazione dell’insegnante specializzato su ambiti specifici e particolari patologie.

Relativamente all’attribuzione di insegnanti di sostegno alle singole scuo-le va citata inizialmente la legge 449/97 (funzionalmente collegata alla legge finanziaria 1998), che ha fissato la dotazione con modalità di conteggio (un insegnante ogni 138 alunni) riferite all’intera popolazione scolastica e non solo agli alunni in situazione di disabilità come avveniva in precedenza. Inol-tre per la prima volta è fissato a priori un tetto (nazionale e provinciale) di posti di sostegno. Questo modifica organizzativa ha determinato non poche resistenze e proteste e, di fatto, non ha soddisfatto l’esigenza che si prefigge-va di portare a una maggiore stabilità dei docenti, i quali dovevano venire a configurarsi come risorse dell’organico funzionale di circolo e di istituto, con un collegamento meno rigido con i singoli alunni. Opportunamente la Leg-ge finanziaria 2007 (Legge 296 del 27 dicembre 2006, art. 605) ha innovato la materia, sostituendo il criterio ragionieristico di un posto in organico di diritto riservato a ogni 138 alunni, con quello molto più pedagogicamente accettabile “dell’individuazione delle effettive esigenze” (Nocera, 2007). In altre parole, gli organici di sostegno vengono ora definiti sulla base delle esi-genze rilevate attraverso certificazioni idonee a definire appropriati interventi formativi. Tali certificazioni sono rilasciate non da singoli specialisti, ma da apposite commissioni (definite dal DPCM 185/06), le quali hanno dato luogo a varie situazioni nelle quali, stando soprattutto alle segnalazioni delle fami-glie, le “effettive esigenze” sono sacrificate sull’altare del contenimento delle spese.

Va messo in evidenza che sempre la Legge finanziaria 196/06, ha abbattuto i paletti del numero massimo degli alunni nelle classi frequentate da allievi con disabilità fissati dal DM 141/99, il quale stabiliva che le classi frequentate da bambini disabili non dovevano avere più di venti alunni, nel momento in cui veniva predisposto, da parte dell’intero consiglio di classe, un progetto di inte-grazione che giustificava tale riduzione a fini didattici.

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