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Verso l’infinito, ma con calma zar http://proooof.blogspot.com 8 novembre 2008

Infinito (Zar)

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Concetti Matematici di infinito

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Verso l’infinito, ma con calma

zarhttp://proooof.blogspot.com

8 novembre 2008

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Indice

1 le relazioni 1

2 le funzioni 3

3 contare 7

4 classi di equivalenza 11

5 i numeri cardinali 15

6 crisi dei fondamenti 19

7 i numeri naturali e i loro assiomi 21

8 i numeri naturali e il vuoto 25

9 numeri transfiniti 27

10 alef 29

11 i paradossi dell’infinito 31

12 operazioni con gli alef 33

13 cominciamo dal basso 37

14 l’insieme delle parti 41

15 la cardinalità dell’insieme delle parti 43

16 esistono cardinalità grandi 47

17 infinite lampadine 51

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iv INDICE

18 i numeri reali 55

19 lampadine e numeri reali 59

20 immersioni di lampadine 61

21 facciamo ordine 63

22 rette e segmenti 67

23 le dimensioni non contano 71

24 l’ipotesi del continuo 75

25 numeri ordinali 77

26 omega 81

27 ordinali in ordine 83

28 somme di ordinali 87

29 somme non commutative 91

30 Telegraph Road 93

31 torri di potenze 97

32 forma normale di Cantor 101

33 così tanto da dire, così poco per dire 103

34 epilogo 107

A Come farebbe il maestro 111

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Capitolo 1

le relazioni

Tutto comincia dalle relazioni.Se domandate a un matematico cosa sia una relazione, lui vi risponderà che unarelazione tra due insiemi A e B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano A×B.Con questo il matematico se la cava, il non matematico non capisce niente.In questi casi non bisogna partire da una definizione rigorosa, ma da qualcosadi molto più intuitivo: potremmo dire che una relazione tra due insiemi è unalegge che lega gli elementi del primo insieme a quelli del secondo. Una cosa così,per esempio:

Questa è una relazione: il primo elemento dell’insieme A è legato al primo del-l’insieme B, il secondo dell’insieme A è legato al secondo e al terzo dell’insiemeB e così via. In questo modo dovrebbe essere più chiaro. Potremmo ancheprendere il concetto di relazione come concetto primitivo , e finirla qua (in ma-tematica i concetti primitivi sono quelli che non si possono definire a partireda altri concetti più semplici: sono cioè i mattoni con cui si costruisce tutto ilresto).I Veri Matematici , però, basano tutto sul concetto di insieme, e quindi anchela relazione è definita a partire dagli insiemi. Dire sottoinsieme del prodotto

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2 CAPITOLO 1. LE RELAZIONI

cartesiano è un modo pomposo per dire insieme di coppie ordinate composteda un elemento di A e uno di B (anche il concetto di coppia ordinata non èprimitivo, ma può essere definito utilizzando esclusivamente gli insiemi; i VeriMatematici danno per scontato che tutti lo sappiano e fanno finta di niente).Esempietto: abbiamo gli insiemi A = {1, 2, 3} e B = {a, b, c, d}.Ecco una relazione: R = {(1, a), (1, b), (2, a), (2, c)}.“Ehi, ma a 3 non è associato niente!”.“Non importa”.“E come la mettiamo col fatto che a 1 sono associati due elementi?”.“Va bene, non c’è problema”.“E il prodotto cartesiano cosa sarebbe?”.“L’insieme di tutte le possibili coppie ordinate . Nel nostro esempio quante cene sono?”.“Dodici?”.“Esatto”.“Ok. E come fai a definire una coppia ordinata (a, b) utilizzando solo il concettodi insieme?”.“Faccio così: (a, b) è, per definizione, l’insieme {{a}, {a, b}}”.“Ma è una cosa orribile!”.“Già. E non sto a dirti come si definisce una terna (a, b, c). È per questo che iVeri Matematici fanno finta di niente”.

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Capitolo 2

le funzioni

Tutti, a scuola, hanno sentito parlare di funzioni. Anche gli studenti.

Ma se domandi: “allora, che cosa è esattamente una funzione?”, tutti mostranodi essere intensamente impegnati a fare altro.

Bene, una volta capito cosa sia una relazione, è molto semplice passare allefunzioni: infatti una funzione è un particolare tipo di relazione. Una funzioneè una relazione per la quale ad ogni elemento del primo insieme corrisponde ununico elemento del secondo insieme. La differenza è tutta qua, nel sottolineareche il corrispondente deve essere uno solo.

In pratica, non ci sono elementi del primo insieme dai quali possano partire dueo più frecce: da ogni elemento ne parte una sola.

Ecco un disegnino:

Come si vede, da ogni elemento di A parte una sola freccia, mentre non esistenessuna regola che riguarda gli elementi di B: ci sono elementi sui quali arrivauna sola freccia, elementi sui quali ne arrivano due, elementi sui quali non nearriva nemmeno una.

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4 CAPITOLO 2. LE FUNZIONI

“E non vogliamo specificare niente sugli elementi di B? Ai matematici va benetutto?”.“Certo che no. I matematici fanno alcune distinzioni. Per esempio, osservaquesto disegno”.

“Ah, vedo che qua non ci sono elementi di B sui quali arrivano due o più frecce”.“Bene, giusto. Anche se esistono elementi di B sui quali non arriva nulla, cioèelementi che non hanno un corrispondente in A”.“Vedo. Diciamo che al massimo arriva una freccia. Queste funzioni hanno unnome particolare?”.“Sì. Si chiamano funzioni iniettive”.“Ok. E una funzione fatta così, ha un nome anche lei?”.

“Vuoi dire una funzione che ricopre tutto il secondo insieme? Cioè una funzionetale che su ogni elemento di B arriva almeno una freccia?”.“Esatto. Prima hai fatto l’esempio delle funzioni con al massimo una frecciasu ogni elemento di B, pensavo che magari potesse esistere una definizione perfunzioni con al minimo una freccia su ogni elemento di B”.

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“Sì, in questo caso si parla di funzione suriettiva”.“E magari si possono combinare le due richieste? Al massimo una freccia e alminimo una freccia? So che i matematici dicono una e una sola freccia”.“Esattamente. Una funzione che è sia iniettiva che suriettiva si dice biunivoca(o anche biiettiva, qualcuno addirittura scrive bijettiva). Ecco un disegnino”.

“Ok, ho capito. Delle corrispondenze biunivoche me ne avevano parlato anchealle elementari. Ma i matematici parlano davvero di frecce?”.“Beh, no, quasi mai. Invece di dire che la funzione f collega con una freccial’elemento a con l’elemento b, scrivono semplicemente f(a) = b”.“Questo mi ricorda qualcosa. . . ”.“Già. Tieni presente che spesso si dimentica che per definire una funzione nonserve solo la legge (cioè il modo in cui le frecce collegano gli elementi), ma serveanche conoscere quali sono gli insiemi A e B”.“Perché?”.“Prendi per esempio la funzione f(x) = x2, cioè la funzione che prende unelemento e lo eleva al quadrato. È chiara la legge? Sapresti trovare il corrispon-dente di un qualunque numero?”.“Direi di sì, non è difficile”.“Bene. Allora, questa funzione è iniettiva?”.“Mh, direi di sì. Sì. Se per esempio elevo 3 al quadrato, ottengo 9. Se elevo unaltro numero al quadrato non ottengo 9”.“Che mi dici di -3 al quadrato?”.“Oh oh, non avevo pensato ai numeri negativi”.“Vedi dunque l’importanza di conoscere l’insieme A. Se A contiene solo numerimaggiori o uguali a zero, la funzione è iniettiva. Se A contiene anche numerinegativi, allora non lo è”.“Ho capito. E per quanto riguarda l’insieme B?”.“Dimmi tu. La funzione che eleva al quadrato è suriettiva? Cioè, ricopre tuttol’insieme di arrivo?”.

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6 CAPITOLO 2. LE FUNZIONI

“Ah, ho capito! Dipende da come è fatto l’insieme di arrivo! Se contiene solonumeri maggiori o uguali a zero, la funzione lo ricopre tutto. Se contiene anchei numeri negativi, no. Non esiste nessun numero che elevato al quadrato mi dia-4, per esempio”.“Se non prendiamo numeri immaginari nell’insieme di partenza, è vero”.“Numeri immaginari?”.“Vabbè, questa è un’altra storia”.

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Capitolo 3

contare

Anche l’atto del contare quanti sono ha una definizione matematica. Ora, ci sipotrebbe domandare se c’è proprio bisogno di dare una definizione a un’attivitàche si impara intorno ai due anni, ma i Veri Matematici son tipi molto precisi.Quindi, cosa significa contare? Dice il De Mauro: numerare progressivamentepersone, animali o cose per determinarne la quantità. Numerare. Cioè segnarecon numeri progressivi.Eccoci al punto: per contare si associano dei numeri progressivi agli oggetti. Esiamo anche in grado di formalizzare questa frase in termini matematici.“E come si fa?”.“Beh, abbiamo già parlato di oggetti che permettono di fare associazioni, cioèpermettono di mettere in relazione elementi appartenenti a due diversi insiemi”.“Ah, certo, le relazioni, appunto”.“Sì. Però una relazione non va bene, in generale, per contare. Immagina diavere un insieme composto da quattro elementi. Per esempio, le prime quattrolettere dell’alfabeto: {a, b, c, d}”.“Ok. Ora serve una relazione che leghi dei numeri a queste quattro lettere”.“Sì. Te ne propongo una: 1 7→ a, 2 7→ b, 1 7→ c”.“Cosa significa?”.“Ho associato 1 alla a. Poi 2 alla b, e di nuovo 1 alla c”.“Non mi sembra un gran bel modo di contare, questo”.“No, infatti. Riesci a scoprire quali sono i problemi?”.“Vediamo. . . Prima di tutto, hai ripetuto 1 due volte. Non si può contare inquesto modo. A 1 deve corrispondere un solo elemento”.“Giusto. Ma una relazione mi permette di associare 1 a quanti elementi voglio”.“Ho capito! Non va bene usare una relazione. Serve una funzione”.“Perfetto. Poi, noti altri problemi?”.“Sì. Non hai associato nessun numero a d”.

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8 CAPITOLO 3. CONTARE

“Esattamente. Ma è possibile che una funzione non prenda in considerazionetutti gli elementi dell’insieme di arrivo”.“Ok, ci sono: serve una funzione suriettiva”.“Bene. Nient’altro? Può, questa funzione, non essere iniettiva?”.“Mh, vediamo. Basta provare, forse. Una funzione non iniettiva ma suriettivapotrebbe essere 1 7→ a, 2 7→ b, 3 7→ a, 4 7→ c, 5 7→ d. No, non va bene: Hocontato a due volte. Ok, ci sono. Per contare serve una funzione sia iniettivache suriettiva, cioè biunivoca!”.“Molto bene. Contare, allora, significa mettere in corrispondenza biunivoca uninsieme numerico con l’insieme di cui vogliamo contare gli elementi”.“Ho capito. Eh, però bisogna essere precisi”.“Vedo che stai entrando nella mentalità del Vero Matematico. Cosa dovremmoprecisare?”.“Qual è l’insieme numerico”.“Bravo. Non possiamo contare un insieme di tre elementi partendo, che so, dalcinque. Se al primo elemento associamo 5, al secondo 6 e al terzo 7, arriveremmoa concludere che l’insieme è composto da 7 elementi”.“Dobbiamo dire, allora, che l’insieme numerico è quello dei primi n numerinaturali. Si parte da 1, e si va avanti fino a che ci sono elementi nell’altroinsieme”.“Ottimo”.“I Veri Matematici fanno proprio così?”.“Ehm”.“Cosa, ehm?”.“Non proprio”.“Ma come? Prima mi spieghi tutte queste cose, dici che bisogna contare, chenon si può partire da cinque, io dico che bisogna partire da uno, tu dici ottimo,e poi dici che i matematici fanno in un altro modo? E come fanno, di grazia?”.“Ecco, hai presente quell’insieme che abbiamo preso come esempio all’inizio?”.“Quale? L’insieme {a, b, c, d}?”.“Quello. I Veri Matematici contano così: zero, uno, due, tre”.“. . . ”.“Il numero di elementi dell’insieme è il primo numero non nominato, cioè quat-tro”.“Sono Pazzi Questi Matematici”.“E non è tutto qua”.“Cosa c’è ancora?”.“Eh, in effetti ci sono due modi di contare, anche nella vita normale”.“Hai fatto bene a dire normale, vedo che qua si stanno complicando a dismisuracose semplici, non mi sembra mica tanto normale questa cosa. Quali sarebberoquesti due modi?”.

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“Allora, se io ti dico che l’insieme {a, b, c, d} ha quattro elementi, intendodescrivere una proprietà dell’insieme che potremmo chiamare grandezza”.“Non oso chiedere come la chiamano i Veri Matematici”.“Cardinalità. Questo è il primo modo di contare”.“Ok, pensavo peggio”.“I numeri usati per contare in questo modo li chiamo numeri cardinali”.“E l’altro modo?”“Ecco, con l’altro modo voglio anche tener conto dell’ordine con cui compaionogli elementi che sto contando. Non mi accontento di dire che {a, b, c, d} haquattro elementi, ma li conto e li ordino uno per uno. In questo caso, dico chesto utilizzando dei numeri ordinali”.“Credo di aver capito. In pratica diresti che a è il primo elemento, b il secondo,c il terzo, e d il quarto?”.“Ecco, quasi”.“Uffa. Cosa ho sbagliato?”.“Direi che a è il zeresimo elemento, b il primo, c il secondo, d il terzo. Totale,quattro elementi”.“Roba da matti. E poi non esiste la parola zeresimo”.“Invece sì”.

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10 CAPITOLO 3. CONTARE

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Capitolo 4

classi di equivalenza

Di nuovo si mise a insegnare alla cattedra, e si riunì intorno a lui una folla distudenti.

C’era un uomo, disse loro, che aveva un figlio. Al figlio piaceva molto giocare coni Lego, che teneva tutti raccolti in una valigetta. L’uomo entrò nella camera delfiglio, e vide che sul pavimento della stanza erano sparse centinaia di mattoncini,di ogni forma e colore.

Il figlio era disperato. “Perché piangi?”, gli domandò il padre. “Perché stodiventando matto a trovare i pezzi che mi servono, sono tutti mescolati! Percostruire questo piccolo pezzo di muro ho sprecato tutto il pomeriggio!”. Nellavaligetta il figlio teneva tutti i suoi Lego: ne aveva veramente tanti, e sarebbestato impensabile conservare tutte le scatole originali. Al figlio, poi, piacevaanche inventare nuove costruzioni, prendendo a prestito dei pezzi dalle variescatole.

“Ti aiuto”, gli disse il padre, e, dopo essersi procurato alcuni piccoli contenitori,si inginocchiò vicino a lui. Rovesciò la valigetta sul pavimento e iniziò a cata-logare i piccoli pezzi colorati. In un contenitore ripose tutti i pezzi da uno, diqualunque colore. In un altro, quelli di dimensione 2× 1, poi quelli quadrati, ecosì via.

Non importava la loro provenienza: alcuni pezzi erano, in origine, nella scatoladella casetta, altri in quella dell’aereo, altri ancora facevano parte della Ferrari,o del Nottetempo di Harry Potter. Alcuni erano bianchi, altri rossi, blu, grigi,viola: non faceva differenza. Ciò che contava, per la catalogazione, era soltantola forma.

Alla fine, della montagna di pezzi colorati rimase un piccolo gruppo di scatolette.Il figlio sorrise, felice.

“Noto evidenti segni di megalomania”.

“Perché?”.

“Non so, fare lezione per paraboleindexparabola?”.

“Ehm”.

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12 CAPITOLO 4. CLASSI DI EQUIVALENZA

“Non stavi per fare una battuta sul prof di matematica che racconta parabole,vero?”.“Assolutamente no!”.“Mh. E cosa vorrebbe dire, questa parabola?”.“In verità ti dico. . . ”.“Allora ho ragione!”.“Ok, scherzavo. L’esempio dei mattoncini dei Lego divisi per forma mi serveper parlare di classi di equivalenza”.“Un’altra roba per Veri Matematici?”.“Eh, sì. Ricordi le relazioni?”.“Certo. Associazioni di coppie di elementi”.“Bene. Gli elementi delle coppie venivano da due diversi insiemi, giusto?”.“Sì, avevamo un insieme di partenza, che avevi chiamato A, e uno di arrivo, cheavevi chiamato B”.“Perfetto. Questa volta invece abbiamo un insieme solo”.“E come facciamo ad accoppiare gli elementi? Da dove li prendiamo?”.“Da due copie dello stesso insieme”.“Oh mamma. Vorrei un esempio”.“Eccolo qua: prendi l’insieme {a, b, c}. Ora associa gli elementi in questo modo:(a, a), (a, b), (b, c). Si dice anche, relativamente alla prima coppia, che a è inrelazione con a. Per la seconda, che a è in relazione con b. Per la terza, che b èin relazione con c”.“Comincio a capire. In effetti, hai definito una relazione. Avevi detto che unarelazione è un insieme di coppie”.“E infatti quello che ti ho elencato è un insieme di coppie. Solo che gli elementiprovengono dallo stesso insieme. In effetti, non avevamo mai detto che A e Bdovessero essere diversi”.“Mh, sottigliezze da Vero Matematico. E adesso cosa ce ne facciamo di questaroba?”.“Ci sono delle relazioni speciali che si chiamano relazioni di equivalenza”.“Se dici che sono speciali, vorrà dire che hanno delle particolari caratteristiche”.“Sì. Soddisfano a tre proprietà. Te le elenco?”.“Vai”.“La prima si chiama proprietà riflessiva. Dice che ogni elemento è in relazionecon sé stesso”.“Ok. Vorrebbe dire, per esempio, che esiste la coppia (a, a) dentro alla relazione.In effetti, nell’esempio che hai fatto c’è. Però mancano le coppie (b, b) e (c, c)”.“Esatto. La seconda proprietà si chiama proprietà simmetrica. Dice che se unelemento a è in relazione con b, allora anche b deve essere in relazione con a”.“Traducendo nel linguaggio delle coppie dovrebbe essere così: se la relazionecontiene la coppia (a, b), allora deve contenere anche la coppia (b, a)”.

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“Benissimo. La terza proprietà si chiama proprietà transitiva. Dice che se a èin relazione con b, e se b è in relazione con c, allora a è in relazione con c. Provaa tradurre questa”.“Dunque: se (a, b) e (b, c) fanno parte della relazione, allora ne fa parte anche(a, c)”.“Bene”.“E cosa c’entrano i Lego?”.“Allora: l’insieme A sul quale costruiamo la nostra relazione è la valigetta con-tenente tutti i pezzi. La relazione che consideriamo è definita così: due pezzisono in relazione se si possono incastrare perfettamente uno sull’altro, senzalasciare buchi vuoti”.“Ok. Dici che è una relazione di equivalenza?”.“Prova tu a vedere se sono soddisfatte le tre proprietà. La prima è vera?”.“Un elemento è in relazione con sé stesso, cioè un pezzo di Lego si può incastraresu sé stesso. Forse è meglio dire su un altro pezzo identico. Sì, è giusto”.“La seconda?”.“Se un pezzo a si può incastrare con b, anche b si può incastrare con a. Certo,è vero”.“La terza?”.“Se posso incastrare a con b, e se posso incastrare b con c, allora posso incastrarea con c direttamente. Certo, hanno la stessa forma”.“Bravo, hai colto il punto”.“Quale?”.“La forma. Tutti gli elementi aventi la stessa forma si possono incastrareinsieme”.“E quindi sono tutti in relazione tra di loro, ho capito!”.“E li mettiamo tutti nella stessa scatola. Le scatole rappresentano una proprietàcomune a tutti i pezzi contenuti, in questo caso la loro forma. Ogni volta che titrovi di fronte a una relazione di equivalenza, riesci a mettere in evidenza unaparticolare proprietà. E riesci a suddividere l’insieme in scatole”.“Ho capito. E quindi i matematici fanno queste scatole di equivalenza”.“Già. Naturalmente non le chiamano così”.“Capirai. Come si chiamano?”.“Classi di equivalenza”.“Ah, l’avevi detto all’inizio. E a cosa ci servono?”.“Stai pronto, con le lampade accese, e attendi”.“Argh!”.

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14 CAPITOLO 4. CLASSI DI EQUIVALENZA

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Capitolo 5

i numeri cardinali

Abbiamo detto che contare gli elementi di un insieme significa creare una corri-spondenza biunivoca tra un insieme di numeri e l’insieme dato. Abbiamo anchedetto che la logica vorrebbe cominciare a contare partendo da 1, mentre i VeriMatematici partono da 0.

Poi abbiamo accennato velocemente al concetto di cardinalità. Riprendiamolo,perché è importante. Si dice che due insiemi hanno la stessa cardinalità seesiste una corrispondenza biunivoca tra i due insiemi. Non è importante saperequale sia questa corrispondenza: può essere una qualunque funzione, purché siabiunivoca.

La definizione è sottile: non dico quanto vale la cardinalità di un insieme, dicosolo che due insiemi hanno la stessa cardinalità, ma non specifico quanto sia.

Esempio: gli insiemi {a, b, c} e {Pippo, Pluto, Paperino} hanno la stessa cardi-nalità. Per dimostrarlo mi serve far vedere che esiste una funzione biunivocatra i due. Eccola qua: a 7→ Pippo, b 7→ Pluto, c 7→ Paperino. Facile. Notate chenon ho mai detto che gli insiemi hanno 3 elementi.

Per parlare di numero cardinale, e quindi per associare un valore alla cardinalità,entrano in ballo le classi di equivalenza. E qui possono succedere Cose Brutte.

“Quanto brutte?”.

“Eh, molto”.

“Paradossi?”.

“Peggio”.

“Buchi neri super. . . ”.

“Non dirlo, ti prego”.

“Va bene. Cosa, allora?”.

“Antinomie”.

“Wow! Racconta”.

“Ricordi la parabola dei Lego?”.

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16 CAPITOLO 5. I NUMERI CARDINALI

“Come potrei dimenticarla? Avevi spiegato che le relazioni di equivalenza estrag-gono, in qualche modo, una proprietà da un insieme di oggetti, e ci permettonodi raggruppare quegli oggetti in base alla proprietà”.“Bene, nell’esempio fatto, la proprietà era la forma dei Lego. Ogni scatolinaconteneva un certo tipo di mattoncino, c’era la scatolina dei pezzi da uno, quelladei quadrati, eccetera. Ogni scatolina è una classe di equivalenza”.“Bene, e adesso, con la cardinalità, come facciamo?”.“Possiamo fare anche qui una relazione di equivalenza. Anzi, la relazione èproprio quella che abbiamo già definito: due insiemi sono in relazione se hannola stessa cardinalità, cioè se esiste una corrispondenza biunivoca tra di loro”.“E questa è una relazione di equivalenza?”.“Certo. Prova a verificare le tre proprietà. Quella riflessiva è valida?”.“Dunque, dovrebbe essere questa: un insieme ha la stessa cardinalità di sé stesso.Mi sembra stupida”.“Se vuoi, possiamo dire che esiste una corrispondenza biunivoca tra un insiemee sé stesso”.Bè, è vero. La corrispondenza è facile da trovare: ad ogni elemento associo séstesso“”.“Giusto. Vediamo la seconda proprietà, quella simmetrica”.“Se esiste una corrispondenza biunivoca tra A e B, allora esiste una corri-spondenza biunivoca tra B e A. Facile, è vero. Basta invertire il senso dellefrecce”.“Bene. E la proprietà transitiva?”.“Se posso costruire una corrispondenza biunivoca tra A e B, e una secondacorrispondenza biunivoca tra B e C, allora ne posso fare una direttamente traA e C. Vero anche questo, ci sarà una freccia che parte da un elemento di A eva a finire su un elemento di B, da cui parte una seconda freccia che parte dalì e va su un elemento di C. Mi basta collegare le due frecce e sono a posto”.“Perfetto. Hai fatto un’operazione che i Veri Matematici chiamano composizionedi funzioni”.“Va bene. E adesso?”.“Adesso abbiamo delle classi di equivalenza, che raggruppano tra di loro gliinsiemi aventi la stessa cardinalità. Per esempio, assieme a {a, b, c} ci sarà{Pippo, Pluto, Paperino}, ma anche {Emy, Ely, Evy}, oppure {Spennacchiotto,Filo Sganga, Dinamite Bla}”.“Certo che potevi usare degli esempi migliori. . . ”.“Allora ti dico che ci sarà anche l’insieme {0, 1, 2}”.“Ho capito! Se come rappresentante della classe di equivalenza prendo {Pippo,Pluto, Paperino}, ottengo poco. Ma se prendo {0, 1, 2} posso parlare di numeriassociati alla cardinalità”.“Esatto. La cardinalità di {Pippo, Pluto, Paperino} è 3 perché quell’insieme sitrova nella stessa classe di equivalenza di {0, 1, 2}”.“Bene, mi sembra tutto a posto. Dove salta fuori l’antinomia?”.

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“Eh, salta fuori proprio qua. Ricordi la scatola dei Lego?”.“Certo. Era il nostro insieme da suddividere in classi”.“E adesso qual è il nostro insieme?”.“Eh. Ehm. La cardinalità si calcola su un insieme, quindi devo avere uncontenitore di insiemi”.“Sì. Un insieme di insiemi. Quali insiemi?”.“Boh, non hai detto nulla sul tipo di insiemi sui quali si può calcolare lacardinalità, quindi direi tutti”.“Perfetto: l’insieme di tutti gli insiemi”.“Cosa c’è che non va nell’insieme di tutti gli insiemi?”.“Il solo nominarlo fa crollare le basi di tutta la matematica”.

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18 CAPITOLO 5. I NUMERI CARDINALI

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Capitolo 6

crisi dei fondamenti

L’ultima frase di questo capitolo è falsa.Cosa succede a considerare l’insieme di tutti gli insiemi? Un tale insieme con-tiene tutti gli insiemi, nessuno escluso. Quindi contiene anche sé stesso. Nontutti gli insiemi hanno questa caratteristica: per esempio, {a, b, c} non contienesé stesso, ma solo i tre elementi a, b e c. Avremo quindi due categorie di insiemi:quelli che contengono sé stessi e quelli che non contengono sé stessi. Raggruppia-moli, costruendo due insiemi: A è l’insieme degli insiemi che non contengono séstessi, mentre B è l’insieme degli insiemi che contengono sé stessi. La domandaè: in quale dei due insiemi sta A?Bisogna capire se A contiene o no sé stesso; visto che ci sono solo due possibilità,l’analisi sembra semplice.Primo caso, se A contiene sé stesso, cadremmo in contraddizione, perché Acontiene solo insiemi che non contengono sé stessi. Bene, quindi il primo caso èimpossibile.Rimane il secondo caso: A non contiene sé stesso. Ma allora, essendo un insiemeche non contiene sé stesso, dovrebbe appartenere ad A. Quindi A conterrebbesé stesso, e questa è una contraddizione.“E quindi?”.“Quindi c’è una contraddizione irrisolvibile”.“E questo è grave?”.“Direi. Vuol dire che c’è una contraddizione nel concetto di insieme. Se pen-siamo che il concetto di insieme è ciò che sta alla base di tutta la matematica,questo significa che la matematica è basata su concetti sbagliati”.“Gulp. Bisogna dire però che la formulazione di questo problema è un po’complicata”.“Ne vuoi una più semplice? Eccola: non apparterrò mai a un club che mi accettatra i suoi membri, Groucho Marx”.“Ah, è una battuta che conosco. Non avevo mai pensato che fosse un paradosso”.“In effetti viene spesso chiamata paradosso, ma è una antinomia, cioè una veracontraddizione”.

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20 CAPITOLO 6. CRISI DEI FONDAMENTI

“Ma quindi è proprio una Cosa Brutta, come avevi detto”.“Già. Ci sono anche altre formulazioni, da quella semplice come questa frase èfalsa, a quelle più complicate come il paradosso del barbiere”.“Che sarebbe?”.“Questa: in un paese il barbiere fa la barba solo alle persone che non se la fannoda sé”.“E allora?”.“Il barbiere è rasato. Chi gli fa la barba?”.“Eh, se la fa da solo. No, non può, perché la fa solo a quelli che non se la fannoda soli. Gliela farà qualcun altro? No, non è possibile, è il barbiere che fa labarba a quelli che non se la fanno da soli. Ho capito! C’è una contraddizioneanche qui”.“Qui, in effetti, ci sarebbe una soluzione: il barbiere è una donna”.“Ah, ma non vale!”.“In realtà è quello che fanno i Veri Matematici per risolvere i problemi creatidall’idea di insieme di tutti gli insiemi. Usano due tipi diversi di insiemi, quellinormali, e quelli che chiamano classi proprie. Le classi proprie non possonoessere a loro volta elementi. L’insieme di tutti gli insiemi è una classe propria,non può contenere sé stesso, e il problema è sistemato. Spesso si riferiscono aquesti strategemmi denominandoli Trucchi Ignobili”.“Uhm, mi pare che questo metodo di risolvere il problema si possa tradurre con:facciamo finta di niente”.“Già. Ma è così: una volta visto che la costruzione delle basi della matematicanon è una cosa così semplice, molti matematici vanno avanti e lasciano ad altriil compito di creare le definizioni giuste”.“E quindi possono continuare a parlare di numeri cardinali senza preoccuparsidell’insieme di tutti gli insiemi”.“Esatto. Ora, per farti ragionare ancora un po’ sui problemi degli enti che siriferiscono a sé stessi, ti lascio con un paio di esercizi”.“Uh, va bene”.“Due frasi da analizzare. La prima è questa: se questa frase è vera, allora BabboNatale esiste”.“Oh mamma. E la seconda?”.“Questa frase non è un teorema dimostrabile dell’aritmetica”.La prima frase di questo capitolo è vera.

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Capitolo 7

i numeri naturali e i loroassiomi

Abbiamo citato e usato più volte i numeri naturali, ma non ci siamo mai fermatiun momento per definirli. Qualunque persona normale non avrebbe bisogno didefinire un concetto che usa da quando aveva due anni, ma i Veri Matematicivogliono essere molto precisi, e vogliono anche risparmiare sulle fondamenta:meno concetti primitivi esistono, meglio è.Un primo modo per definire i naturali consiste nel proporre un elenco di assiomi:in pratica non ti dico cosa sono i numeri, ma ti dico quali proprietà devono avere.Lo so, non è onesto.Gli assiomi in questione si chiamano assiomi di Peano. Eccoli qua:Primo: esiste un numero naturale, 0 (oppure 1).“Ma dai, già col primo assioma ci sono degli oppure?”.“Hai ragione, ma il fatto è che quando si parla di numeri naturali non si capiscemai se si deve partire da zero oppure da uno”.“E su una cosa così semplice i matematici non sono ancora riusciti a mettersid’accordo?”.“No, non si mettono d’accordo perché a volte è conveniente avere a disposizionelo zero, altre volte no”.“E quindi ogni volta che un Vero Matematico usa i numeri naturali, deve direse ha intenzione di considerare lo zero?”.“Sì. Oppure parla di numeri interi positivi, se vuole partire da uno”.“E se vuole partire da zero?”.“Numeri interi non negativi”.“L’avevo già detto che questi matematici sono pazzi?”.“Eh, sì. Comunque questo primo assioma serve per avere un punto di partenza.Dentro all’insieme dei numeri naturali c’è un elemento, chiamiamolo zero, uno,Pippo, non importa”.“Va bene, andiamo avanti”.

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22 CAPITOLO 7. I NUMERI NATURALI E I LORO ASSIOMI

Secondo: ogni numero naturale n ha un numero naturale successore, chechiamiamo S(n).“Quindi se c’è zero, c’è anche uno”.“Giusto. Da nessuna parte sta scritto che il successore di zero si chiama uno,però”.“E come si chiama?”.“Semplicemente S(0)”.“E se c’è uno, c’è anche due”.“Che sarebbe, poi S(S(0))”.“E possiamo andare avanti quanto vogliamo con questa delirante sequenza di Suna dentro all’altra”.Terzo: numeri diversi hanno successori diversi.“Va bene, è vero, ma è proprio necessario sottolinearlo?”.“Eh sì. Pensa all’insieme {Pippo, Pluto}, in cui S(Pippo) = Pluto e S(Pluto) =Pluto”.“Uhm, non assomiglia molto ai numeri naturali. Sarebbe come se io mi mettessia contare in questo modo: zero, uno, uno, uno, eccetera. Non vado moltoavanti”.Quarto: 0 (oppure 1) non è successore di nessun numero naturale.“Sarebbe come dire che 0 è il primo elemento? Che prima di lui non c’ènessuno?”.“Perfetto”.Quinto: ogni insieme di numeri naturali che contenga lo zero (o l’uno) e ilsuccessore di ogni proprio elemento coincide con l’insieme dei numeri naturali.“Eeh?”.“Questo è difficile. Significa che ti puoi immaginare i numeri naturali in un solomodo, non ci sono interpretazioni differenti. Ti basta una sorta di seme inizialee la regola del successore per averli tutti”.“Ed è importante?”.“Sì, ma un modo migliore per capire questo assioma è questa seconda formula-zione:”.Quinto: indichiamo con P (x) una proprietà valida per il numero x. Se P èvera per 0 (oppure 1) e se la verità di P (n) implica la verità di P (n + 1), alloraP è vera per tutti i numeri naturali.“Continua a rimanere oscuro”.“Ti faccio un esempio. Osserva questa serie di pezzi di domino.“Bella!”.“Ora la proprietà P : P (n) significa che il pezzo n cade. Naturalmente immagi-niamo di identificare ogni pezzo in modo unico. Inoltre, con n + 1 indicherò ilpezzo successivo a n nella catena”.“Ok, tutto chiaro”.

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“Ora voglio dimostrare che tutti i pezzi cadranno. Prima di tutto, sei d’accordosul fatto che se è vero P (n) allora è vero anche P (n + 1)? Prova a tradurrequesta mia affermazione”.“Vediamo... significa che se il pezzo n cade, allora anche il pezzo n + 1 cade.Mi pare giusto, il pezzo n cade sopra al pezzo n + 1, e lo spinge”.“Ottimo. Ora ti dico che tra un attimo anche P (0) sarà vera”.“Stai per dare una spinta al primo pezzo?”.“Sì. Ti ho fornito due ipotesi: è vera P (0), ed è vero che P (n) implica P (n+1).Cosa puoi dedurre?”.“Beh, che cadranno tutti i pezzi”.“Giusto. Infatti il primo pezzo, anzi, il pezzo numero 0 cade, quindi P (0) èvera. Se è vera P (0), allora è vera anche P (0 + 1) = P (1). Quindi cade anche ilpezzo numero 1. Ma se è vero P (1), allora è vero anche P (1+1) = P (2), quindicade anche il pezzo numero 2. Ma se è vero P (2). . . ”.“Ho capito, ho capito. Cadranno tutti. Hai dimostrato tutto in una volta,utilizzando l’effetto domino”.“Sarebbe un bel nome per questo metodo di dimostrazione. I Veri Matematicidicono che hanno usato il principio di induzione”.

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24 CAPITOLO 7. I NUMERI NATURALI E I LORO ASSIOMI

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Capitolo 8

i numeri naturali e il vuoto

Esiste un modo molto suggestivo di definire i numeri naturali, e questa volta sitratta di una vera definizione, non di un insieme di assiomi.Tutto è basato su un concetto, quello di insieme vuoto. L’esistenza di un insiemeche non contiene nulla può far parlare i filosofi per ore — noi diamo per scontatoche esista e non ci pensiamo più. Diciamo che è un concetto primitivo, e andiamoavanti.Indichiamo con {} l’insieme vuoto (spesso si usa anche il simbolo ∅).Definiamo lo zero: 0 è l’insieme vuoto; in formule 0 = {}.Ora costruiamo il numero uno: 1 è l’insieme che contiene 0; in formule 1 ={0} = {{}}.Proseguiamo: 2 = {0, 1} = {0, {0}} = {{}, {{}}}.E così via: 3 = {0, 1, 2} = {0, {0}, {0, {0}}} = {{}, {{}}, {{}, {{}}}}.“Sembra una specie di effetto domino: ogni numero è l’insieme dei numeriprecedenti”.“Sì, in pratica il principio di induzione è contenuto in questa definizione. Si puòanche vedere che il successore di un numero S(n) è uguale all’unione di n con{n}”.“Sembra che la funzione successore sia molto importante”.“È così. Con l’induzione puoi definire anche la somma di due numeri”.“Immagino che sia una cosa incomprensibile”.“Abbastanza. Come punto di partenza, si stabilisce che a + 0 = a”.“E fin qua ci siamo”.“Poi si definisce a + S(b) = S(a + b)”.“Non riesco davvero a capire se questa è davvero la somma di due numeri”.“Anche qua c’è un effetto domino. Vogliamo calcolare, per esempio, 3+2”.“Ok. a = 3, quindi”.“E S(b) = 2”.

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26 CAPITOLO 8. I NUMERI NATURALI E IL VUOTO

“Quindi, se il successivo di b è 2, allora b = 1”.“Bene, quindi 3+2 diventa 3+S(1), cioè, secondo la definizione, S(3 + 1)”.“E 3 + 1 fa 4”.“No, ancora non lo sai, devi calcolarlo”.“Uffa. Allora 3 + 1 = 3 + S(0) = S(3 + 0)”.“Bene”.“E adesso devo calcolare 3 + 0?”.“Sì, ma secondo la definizione questo puoi calcolarlo subito. È il tuo punto dipartenza”.“Ah, è vero, 3 + 0 = 3”.“Quindi, tornando indietro, 3 + 1 = S(3 + 0) = S(3) = 4”.“Ho capito. Adesso posso calcolare 3 + 2 = 3 + S(1) = S(3 + 1) = S(4) = 5.Finalmente! Mi pare un procedimento complicato”.“Complicato nei calcoli, ma essenziale nella definizione. Come vedi, puoi definirela somma a partire da concetti già noti. I Veri Matematici dicono che questomodo di procedere è molto elegante”.“E cosa dicono riguardo al fatto che tutta la loro matematica è basata sulvuoto?”.“Su quello fanno finta di niente”.

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Capitolo 9

numeri transfiniti

Torniamo a parlare di cardinalità, ma questa volta di insiemi un pochino piùgrossi.Così come esiste la classe di equivalenza che contiene i soliti {a, b, c} e {Pippo,Pluto, Paperino}, e che raggruppa tutti gli insiemi che hanno cardinalità ugualea 3, esisterà anche una classe che contiene l’insieme dei numeri naturali.Il fatto è che l’insieme dei numeri naturali non contiene un numero finito dielementi, e quindi il numero cardinale corrispondente non sarà un numero nor-male (qualunque cosa ciò significhi, tanto i Veri Matematici sanno bene che nonesistono numeri normali).Bene, Georg Ferdinand Ludwig Phillip Cantor non si spaventò di fronte al-la grandezza dell’insieme dei numeri naturali, e sviluppò una teoria dedicataproprio ai numeri grossi.“Ma non li avrà chiamati grossi, spero?”.“No, certo. Si narra un aneddoto, forse leggendario, a riguardo. Cantor nonvoleva utilizzare il termine infinito, che per lui aveva anche una connotazionereligiosa. Chiese consiglio a un cardinale, il quale lo tranquillizzò, ma gli con-sigliò comunque di utilizzare un termine equivalente. Cantor, allora, scelse iltermine transfinito”.“Quindi ora parliamo di numeri cardinali transfiniti?”.“Proprio così”.“Sembra bello. Ma il fatto che si chiamino cardinali ha qualcosa a che fare colcardinale di Cantor?”.“Probabilmente no, ma chissà? Comunque, nel numero 62 della rivista RudiMathematici è celebrato il compleanno di Cantor, ti consiglio di leggerlo”.“Uh, va bene. Mi sembra un po’ lungo, però”.“Lungo, impegnativo, ma interessante. Anzi, per permetterti di leggerlo, nonandrò avanti oggi a parlare di cardinali”.“Ok, lo farò. Ma, stavo pensando, questo mese il Carnevale della Matematica èospitato proprio dai Rudi Mathematici. Il fatto che ora tu li citi e che, poi, lorociteranno te, mi ricorda uno di quei paradossi di cui hai parlato poco tempo fa”.

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28 CAPITOLO 9. NUMERI TRANSFINITI

“Fai finta di niente, e speriamo che nessuno clicchi due volte”.

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Capitolo 10

alef

E finalmente arriviamo a parlare di infinito. Qual è la cardinalità dell’insiemedei numeri naturali? Dato che questo insieme è infinito, la sua cardinalità nonsarà un numero, quindi non esiste, fine della storia.Per fortuna le cose non sono andate così: Cantor è andato avanti, definendo(scoprendo?) nuovi numeri. Alla cardinalità dei numeri naturali ha associato ilcardinale transfinito ℵ0 (si legge alef zero, e a volte si trova scritto aleph. Perrendere le cose semplici Cantor ha scelto la prima lettera dell’alfabeto ebraico).Insomma, tutti gli elementi in corrispondenza biunivoca coi numeri naturalihanno cardinalità uguale a ℵ0: sono cioè infiniti.“Ma possiamo confrontare questo alef zero con gli altri numeri? Voglio dire,quando si parla di infinito si vorrebbe intendere qualcosa di più grande di tuttoil resto. Possiamo dire che alef zero è maggiore di 42, per dire?”.“Certo che si può: tra i cardinali (di tutti i tipi) si possono fare confronti”.“Come si fa?”.“Qui saltano fuori di nuovo le funzioni. Ricordi che avere la stessa cardinalitàsignifica essere in corrispondenza biunivoca?”.“Sì, una freccia per ogni elemento, nessuno escluso”.“Perfetto. Ora pensa a una funzione iniettiva da A a B. Iniettiva, ma nonsuriettiva”.“Mh, vediamo. Da ogni elemento di A parte una sola freccia”.“Bene, poi?”.“Frecce diverse vanno a finire su elementi diversi di B, non si possono congiun-gere”.“Ok”.“Ma non tutti gli elementi di B sono raggiunti”.“Benissimo. Intuitivamente, B ha più elementi di A”.“Ok, certo. Tutti gli elementi di A sono associati a B, ma in B ne avanzaqualcuno”.

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30 CAPITOLO 10. ALEF

“Bene, questa è la nostra definizione: diciamo che la cardinalità di A è minoredella cardinalità di B se esiste una funzione iniettiva ma non suriettiva che vada A a B. In pratica possiamo immergere A dentro a B”.“Tutto chiaro, bene”.“Se, poi, sappiamo che la funzione è certamente iniettiva, ma non sappiamo seè anche suriettiva, allora diciamo che la cardinalità di A è minore o uguale aquella di B”.“D’accordo, se non abbiamo la certezza che avanzino dei termini in B, dobbiamousare questa formulazione debole”.“Un modo alternativo per dire che la cardinalità di A è minore di quella diB è questo: le due cardinalità devono essere diverse, e l’insieme A deve esserestrettamente contenuto in B”.“Ma è necessario specificare che le due cardinalità devono essere diverse? Se A èstrettamente contenuto in B, allora la cardinalità di A sarà certamente diversada quella di B”.“Ecco, ehm, no”.“No? Ma come è possibile?”.“Ecco, ci sono concetti che, quando si ha a che fare con l’infinito, sono un po’diversi da quelli che ci aspetteremmo”.“Paradossi?”.“Paradossi. Questa volta sono veri paradossi, non antinomie. Se li nominiamonon succede nulla”.(Esercizio: dimostrare che 42 è minore di ℵ0)

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Capitolo 11

i paradossi dell’infinito

L’albergo Hilbert è un albergo molto particolare: ha infinite stanze, tutte belle,arieggiate, con bagno e con un’ottima vista. Siamo all’inizio dell’alta stagione,e le stanze sono già tutte occupate.Un giorno arriva un turista, parcheggia la sua auto nell’ampio parcheggio afianco dell’albergo, e domanda una stanza. Il portiere controlla per un momentoil suo registro, poi attiva il microfono che gli permette di parlare con tutte lestanze, e dice:“Avvertiamo i nostri gentili ospiti che è necessario un cambio di stanza. Chi sitrova nella stanza numero n dovrà spostarsi nella numero n + 1”.Poi, rivolgendosi al nuovo cliente, continua:“Ecco a lei, signore, la chiave della sua stanza. È la numero 0”.Il giorno dopo arriva, in corriera, una comitiva numerosa. Il capo gita scendevelocemente e va dall’albergatore, per chiedere se c’è posto per tutti.“Quanti siete?”.“Infiniti”.“Ah, però. Un momento solo“, e, parlando di nuovo al microfono, si rivolge aisuoi clienti: “si comunica ai gentili ospiti che è necessario un cambio di stanza.Chi si trova alla stanza numero n deve recarsi alla numero 2n, grazie”. Poi,rivolto al capo gita: “Ecco a lei, queste sono le chiavi delle stanze dispari, lepuò distribuire come crede ai suoi”.“Molte grazie, avreste ancora un po’ di posto per altri ospiti? Dovrebberoarrivare la prossima settimana”.“Non c’è problema”.Dopo una settimana, infatti, arriva una lunga serie di corriere. Il responsabiledella comitiva scende e va a parlare col portiere, un po’ preoccupato alla vistadi tanta gente.“Buongiorno, avete posto per un po’ di persone?”.“Quanti siete?”.“Bè, in ogni corriera ci sono infinite persone”.

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32 CAPITOLO 11. I PARADOSSI DELL’INFINITO

“E quante corriere avete?”.“Infinite”.“Pensavo peggio. Certo, certo, c’è posto. Un attimo solo che devo comunicarequalche cambiamento di stanza”. E, nuovamente parlando al microfono: “Ciscusiamo con i gentili ospiti, ma è necessario un cambio di stanza. Chi si trovaalla stanza numero n deve recarsi alla numero 2n, grazie”. Poi, consegnandoun piccolo visore con alcuni bottoni al responsabile della comitiva: “ecco alei, tenga. Questo è un generatore di numeri primi. Gli occupanti della primacorriera andranno alle stanze del tipo 3n, quelli della seconda corriera alle stanzedel tipo 5n, poi 7n, e così via. Mi raccomando non si sbagli, controlli sempre sulgeneratore. Una volta è venuta una gita sociale della facoltà di ingegneria e mihanno occupato tutte le 9n, non le dico le discussioni che ci sono state dopo”.

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Capitolo 12

operazioni con gli alef

Il paradosso dell’albergo di Hilbert ci fa capire che il senso comune non ci aiutapiù, quando si tratta di fare operazioni che coinvolgono i cardinali transfiniti.Nel primo esempio (l’albergo è pieno, arriva un nuovo ospite) abbiamo pratica-mente visto che ℵ0 + 1 = ℵ0. Non è difficile generalizzare al caso in cui arrivaun numero finito n di ospiti. Otterremo sempre che

ℵ0 + n = ℵ0.

Nel caso dell’unico nuovo arrivato, abbiamo messo in corrispondenza biunivocal’insieme degli infiniti ospiti (cioè i numeri naturali) con l’insieme degli infinitiospiti più uno (cioè i naturali con l’aggiunta di un nuovo elemento). La funzionebiunivoca è f(n) = n + 1. Esercizio facile: scrivere la funzione biunivoca nelcaso in cui arrivi un numero x finito di ospiti.E fin qua il senso comune potrebbe essere ancora d’accordo: dire che infinitopiù uno è uguale a infinito non è sconvolgente più di tanto.Quando arrivano infiniti nuovi ospiti le cose sembrano complicarsi, in realtàl’albergatore se l’è cavata con poco: ha utilizzato la funzione f(n) = 2n perliberare infiniti posti. Esercizio facile: scrivere la funzione biunivoca che mettein corrispondenza i due insiemi. In questo caso, allora, abbiamo verificato laformula:

ℵ0 + ℵ0 = ℵ0.

Nell’ultimo caso arriva un’infinità di infiniti, ma l’albergatore trova posto pertutti (lasciando anche qualche posto vuoto, per eventuali nuovi ospiti. Esercizio:trovare qualche posto vuoto). Abbiamo visto dunque che

ℵ0 · ℵ0 = ℵ0.

“Insomma, con l’infinito puoi farci quello che vuoi, ma rimane sempre infinito”.“Eh, no. Non è così, Cantor ha scoperto che ci sono diversi livelli di infinito”.“Ah. E come ha fatto?”.“Ha cominciato a mettere in corrispondenza biunivoca insiemi diversi, e hainiziato a capire come stavano le cose. Per esempio, ha visto che i numerinaturali e i numeri interi sono in corrispondenza biunivoca”.

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34 CAPITOLO 12. OPERAZIONI CON GLI ALEF

“Uhm, com’è possibile?”.“Si può fare così: ai numeri pari puoi associare n/2, ai numeri dispari invece−(n + 1)/2”.“Mh, devo provare. Allora, a 0 associo 0, e fin qua siamo a posto. A 1, cheè dispari, associo −1. A 2 associo 1. A 3 associo −2. Ah, vedo. È come seelencassi i numeri interi in questo modo: 0, −1, 1, −2, 2, −3, 3, e così via”.“Proprio così. Cantor ha visto che i numeri interi, pur sembrando il doppio deinumeri naturali, in realtà sono caratterizzati dallo stesso tipo di infinito”.“Allora avrà preso i numeri razionali e si sarà accorto che quelli sono di più,giusto?”.“No, ti sbagli. I numeri razionali, cioè le frazioni, possono essere messi incorrispondenza biunivoca con i naturali”.“Anche loro? Non riesco a capire come”.“Cantor ha usato un procedimento ingegnoso. Prima di tutto, ha scritto irazionali come coppie di numeri: numeratore/denominatore. Ha consideratosolo quelle positive, ma non è difficile estendere il procedimento anche a quellenegative. Si può sempre usare il metodo dell’albergatore, che ha spostato tuttigli ospiti nelle camere pari”.“Ok”.“Poi le ha messe in un tabella, in questo modo”.

1/1 1/2 1/3 . . .2/1 2/2 2/3 . . .3/1 3/2 3/3 . . .

......

.... . .

“In questo modo ci sono alcuni numeri che si ripetono, però: 1/2 è uguale a 2/2,a 3/3, eccetera”.“Non importa, perché questi numeri sono di più delle frazioni, e Cantor hadimostrato che comunque la loro cardinalità è ℵ0”.“Ah, va bene. Come ha fatto, allora, a dimostrarlo?”.“Ha fatto vedere un modo per contare le frazioni. Eccolo qua”.

“Geniale! Ha seguito le diagonali! Ma, allora, esistono insiemi con cardinalitàmaggiore di quella dei numeri naturali?”.

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“Questo dubbio è venuto anche a Cantor, in effetti. Si può salire, creando unasorta di graduatoria di numeri transfiniti?”.“E si può?”.“Sì, finché vuoi. Ma c’è un’altra domanda non meno importante: si puòscendere?”.“Intendi dire se esistono infiniti, anzi, transfiniti, più piccoli di ℵ0?”.“Esattamente, ma in questo caso la risposta è no”.“Oh, bene, una certezza”.“Se consideri valido l’assioma della scelta”.“Come?”.“Niente, niente”.

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36 CAPITOLO 12. OPERAZIONI CON GLI ALEF

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Capitolo 13

cominciamo dal basso

Abbiamo capito che ℵ0 è il cardinale associato ai numeri naturali. Ora ladomanda è questa: esistono cardinali transfiniti più piccoli?Prendiamo un insieme A, infinito. Da esso scegliamo un elemento, e associamoloal numero 1. Poi ne prendiamo un secondo, e lo associamo al numero 2. Poiun terzo, che associamo a 3, un quarto, e così via. Non c’è mai il pericolo dinon trovare un altro elemento, perché A è infinito, e quindi possiamo procederequanto vogliamo.In pratica abbiamo costruito una funzione che immerge tutti i numeri naturaliall’interno del nostro insieme A (facciamo attenzione perché a una prima letturapotrebbe sembrare il contrario: tutti i numeri naturali vengono associati a infi-niti elementi di A, ma non è detto che tutti gli elementi di A vengano presi inconsiderazione): questo significa che la cardinalità di A sarà maggiore o ugualealla cardinalità dei numeri naturali.Dunque ℵ0 è il più piccolo cardinale transfinito.“Bè, questa mi sembra semplice, l’ho capita subito”.“Purtroppo non è così semplice”.“Ma come? Una volta che avevo capito!”.“Il grosso problema è la frase da esso scegliamo un elemento”.“Oh bella, e perché?”.“Perché scegliere un elemento tra infiniti non è immediato”.“Ma va? Ce ne sono tanti, potrò pur sceglierne uno!”.“Mettiamola così: scegliere un elemento tra tanti significa definire una funzioneche i Veri Matematici chiamano funzione di scelta. Dato un insieme, la funzionemi dice quale elemento estrarre”.“Va bene, se ti vuoi complicare la vita, ok”.“Il problema è che questa funzione non sempre puoi definirla, magari puoi direche esiste, ma se io ti domando come funziona, quale elemento restituisce, tunon puoi saperlo”.“Boh?”.

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38 CAPITOLO 13. COMINCIAMO DAL BASSO

“Ti faccio un esempio: hai presente la corriera con infiniti posti che è arrivataall’albergo di Hilbert?”.“Sì, me la ricordo”.“Ok. I passeggeri, stanchi per il viaggio, si sono tolti le scarpe”.“Che puzza!”.“E le calze. E hanno appoggiato tutto sopra al loro seggiolino”.“Bleah”.“Ora tu devi fare una corsa sulla corriera e portarmi una scarpa per ognipasseggero. Ce la fai?”.“Mah, sì, tempo permettendo. Ci sono due scarpe, ne prendo una”.“Quale prendi? Serve una regola”.“No so, prendo la destra, va bene?”.“Va bene, avresti potuto prendere la sinistra, oppure stabilire una regola piùcomplicata. Che so, nei seggiolini di posto pari prendo la destra, in quelli diposto dispari la sinistra. Va bene qualunque regola”.“Mah. Quindi la scelta posso farla”.“Certo. Ora devi fare un altro giro e prendere una calza per ogni passeggero.Ricordati che le calze possono essere indifferentemente portate nel piede destrooppure nel piede sinistro”.“Vabbè, ne prendo una”.“Ma quale?”.“Ma non lo so, una delle due! Ce ne sono due, una a caso. Sarò ben capace diprenderne una?”.“Sarai anche capace, ma non sei capace di dirmi una regola. Se non sei capacedi fare una scelta esplicita, come faccio io a sapere che hai ottenuto tutte lecalze che dovevi raccogliere?”.“Uhm, questi mi sembrano sofismi da filosofi”.“Allora ti propongo un patto: io mi fido di te, e dico che tu in un qualchemodo che non conosco riuscirai a prendere una calza per ogni persona, e tu mipermetti di esplicitare questa possibilità mediante un assioma. Voglio che siachiaro che hai bisogno di questo assioma (chiamiamolo atto di fiducia) per poterfare la tua scelta”.“Va bene”.“Ecco l’assioma, che i Veri Matematici chiamano assioma della scelta: da-ta una famiglia di scatole, ognuna delle quali contenenti almeno un oggetto, èpossibile selezionare esattamente un oggetto da ogni scatola, anche se le scatolesono infinite e non esiste nessuna regola per selezionare gli oggetti”.“Mah, evidentemente i Veri Matematici ci tengono a sottolineare l’ovvio. Mipare una cosa inutile”.“Quindi tu lo prenderesti per vero senza pensarci un momento”.“Certo”.

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“Senti, allora che mi dici di quest’altro, che i veri matematici chiamano princi-pio del buon ordinamento: ogni insieme è ordinabile in modo tale che ognisuo sottoinsieme abbia minimo”.“Mh, non è chiaro”.“Pensa ai numeri naturali ordinati. Prendi un qualunque sottoinsieme, unoqualsiasi”.“Boh, vediamo: {5, 42, 314, 2718}”.“Perfetto. È vero che ha minimo?”.“Certo, è 5”.“Bene, hai capito. Questa operazione la puoi fare sempre: prendi un insie-me qualunque, lo riordini opportunamente, e ottieni questa proprietà. Ognisottoinsieme ha minimo. Ti pare un teorema accettabile?”.“Certo che no. Se prendo i numeri reali, come faccio a riordinarli in modo taleche ogni sottoinsieme abbia minimo?”.“Devo dire che hai scelto un ottimo esempio. Nessuno, finora, è riuscito a trovareun ordinamento dei numeri reali con quella proprietà”.“Dunque il tuo principio del buon ordinamento è falso!”.“Invece no, è vero”.“Eh?”.“Anzi, si dimostra che è equivalente all’assioma della scelta, quello che tuconsideravi tanto ovvio”.“Equivalente?”.“Sì, se è vero uno, è vero l’altro. Se è falso uno, è falso l’altro. Vanno via inparallelo”.“Ohi ohi”.“Oppure prendi quest’altro esempio: è possibile prendere una sfera piena, spez-zettarla in piccole parti e poi ricomporle fino ad ottenere due copie identichedella sfera iniziale”.“Ma va, via, non è possibile”.“Si chiama paradosso di Banach-Tarski, è tutto vero, e dipende anche questodal tuo assioma della scelta”.“Mi gira la testa. . . Ma i Veri Matematici come prendono queste cose parados-sali?”.“Dipende. Alcuni prima cercano conseguenze dell’assioma della scelta, o enun-ciati equivalenti tipo il lemma di Zorn, che non sto nemmeno a raccontartiperché dice cose abbastanza incomprensibili”.“E poi?”.“Poi ci scherzano sopra, con frasi del tipo l’assioma della scelta è ovviamentevero, il principio del buon ordinamento è ovviamente falso e, circa il lemma diZorn, chi è capace di capirci qualcosa? Oppure fanno battute sul fatto che treenunciati equivalenti sono chiamati uno assioma, il secondo principio, il terzolemma”.

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40 CAPITOLO 13. COMINCIAMO DAL BASSO

“Carini. E gli altri matematici cosa fanno?”.“Devo proprio dirtelo?”.“Ah, ok, ho capito”.

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Capitolo 14

l’insieme delle parti

Per salire verso cardinalità sempre più grandi dobbiamo introdurre un nuovooggetto: l’insieme delle parti. La definizione è semplice: si chiama insieme delleparti di un insieme A l’insieme che contiene tutti i sottoinsiemi di A. Il suosimbolo è P(A) .“Facciamo qualche esempio?”.“Ok, partiamo dall’insieme più semplice: l’insieme vuoto. L’insieme delle partiè. . . ”.“Vuoto pure lui”.“No. L’insieme delle parti contiene un elemento, l’insieme vuoto”.“Eeeh?”.“Prova a pensare a cosa significa sottoinsieme”.“Un sottoinsieme S di A contiene alcuni elementi dell’insieme A”.“Circa. La definizione corretta è: se x appartiene a S, allora x appartiene anchead A”.“Va bene. Possiamo dire che tutti gli elementi di S sono contenuti in A?”.“Certo. Allora vedi che l’insieme vuoto è sottoinsieme dell’insieme vuoto”.“Veramente non vedo un bel niente”.“È vero o no che tutti gli elementi dell’insieme vuoto sono contenuti nell’insiemevuoto, o in qualunque altro insieme?”.“Ma l’insieme vuoto non ha elementi!”.“Appunto. Esiste forse qualche elemento dell’insieme vuoto che non è contenutoin qualche insieme?”.“No, certo, non esistono proprio elementi”.“Dunque è vero il contrario, tutti gli elementi dell’insieme vuoto sono contenutiin qualunque insieme”.“Mamma mia, che sofismi. Va bene, ho capito: se A = ∅, allora P(A) = {∅}”.“Perfetto. Parlando di cardinalità, Card(∅) = 0, Card(P(∅)) = 1”.

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42 CAPITOLO 14. L’INSIEME DELLE PARTI

“Ok. Possiamo prendere un insieme un pochino più grosso?”.“Prendiamo A = {a}. Quali sono i suoi sottoinsiemi?”.“Allora, ho capito che c’è l’insieme vuoto, quello è dappertutto”.“Poi?”.“Ce ne sono ancora?”.“Sì”.“Forse A stesso?”.“Molto bene: ogni insieme è sottoinsieme di sé stesso. È un concetto ana-logo a quello di essere minore o uguale tra due numeri. Accettiamo anchel’uguaglianza”.“Ho capito. Quindi, se A = {a}, P(A) = {∅, {a}}”.“Parlando di cardinalità: Card(A) = 1, Card(P(A)) = 2”.“Ok, ora provo con un insieme di due elementi: A = {a, b}. Se non sbaglio,P(A) = {∅, {a}, {b}, {a, b}}. Card(A) = 2, Card(P(A)) = 4”.“Bene. Facciamo un ultimo esempio con tre elementi: A = {a, b, c}. L’insiemedelle parti è fatto in questo modo:

P(A) = {∅, {a}, {b}, {c}, {a, b}, {a, c}, {b, c}, {a, b, c}}.

Quindi Card(A) = 3, mentre Card(P(A)) = 8”.“Uhm, mi pare che ci sia una regola sotto”.“Quale?”.“Se la cardinalità di A è uguale a n, la cardinalità di P(A) è uguale a 2n”.“È vero”.“E si dimostra?”.“Certo. Per gli insiemi finiti è semplice, per quelli infiniti più complicato, ma laformula vale sempre”.“Cioè, mi stai dicendo che si può calcolare 2ℵ0?”.“Già”.“E immagino che faccia sempre ℵ0?”.“No. Questa volta fa di più”.“Ah, quanto?”.“c gotico”.“Eh?”.“I Veri Matematici scrivono una lettera c minuscola in caratteri gotici”.“Cioè, mi stai dicendo che prima vanno a scomodare l’alfabeto ebraico, prendonola prima lettera e ci aggiungono un indice, come a dire state a vedere quantinumeri tiriamo fuori, poi per un po’ temono che quella sia l’unica lettera che maiuseranno, e alla fine, quando scoprono che ne possono usare un’altra, scrivonoc gotico?”.“Ehm”.

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Capitolo 15

la cardinalità dell’insiemedelle parti

Ora andiamo sul difficile, vogliamo dimostrare che se la cardinalità di un insiemeA è uguale a α, allora la cardinalità del suo insieme delle parti P(A) è uguale a2α.La dimostrazione segue questa strada: si vuole far vedere che l’insieme dellefunzioni che vanno da A nell’insieme {0, 1} è in corrispondenza biunivoca conP(A).“Insieme di funzioni? Ma le funzioni sono particolari relazioni, cioè a loro voltasono insiemi. Mi sa che stiamo astraendo troppo”.“L’avevo detto che era difficile. Proviamo a ragionare con un esempio: immaginadi avere davanti a te tutti gli oggetti che fanno parte di A”.“Va bene. Finiti o infiniti?”.“Per adesso non importa. Per comodità, pensa che siano finiti, ma non èindispensabile”.“Ok. Ora che faccio?”.“Ora immagina che a ogni oggetto sia associata una lampadina, che tu puoiaccendere o spegnere a tuo piacimento”.“Bene, fin qua è facile”.“Ora pensa di accendere qualche lampadina, quelle che vuoi tu, come vuoi tu”.“Fatto”.“Perfetto. Hai associato a ogni elemento di A una lampadina, accesa o spenta”.“Vero”.“Se la lampadina accesa rappresenta un 1, e la lampadina spenta rappresentauno 0, hai associato a ogni elemento di A uno 0 oppure un 1”.“Ho capito! Ho costruito una funzione che va da A all’insieme {0, 1}”.“Bene. Ora ascolta: in quanti modi puoi creare una sequenza di lampadineaccese o spente associate agli elementi di A? Supponiamo per ora che A siafinito”.

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44 CAPITOLO 15. LA CARDINALITÀ DELL’INSIEME DELLE PARTI

“Questa è difficile”.“No, ragiona in questo modo: per quanto riguarda la prima lampadina, quantepossibilità hai?”.“Beh, 2, o è accesa o spenta”.“Per quanto riguarda la seconda?”.“Ancora 2”.“Quindi, se metti insieme la prima e la seconda lampadina, hai 2 possibilità perla prima, e per ognuna di queste 2 possibilità ne hai altre 2 per la seconda”.“Totale 4?”.“Certo. Se vuoi te le elenco: 00, 01, 10, 11”.“Mh, mi ricorda la numerazione binaria. Se aggiungo una terza lampadina,allora, potrei avere uno 0 da associare a queste quattro possibilità, oppure un1. Otterrei 000, 001, 010, 011 e poi 100, 101, 110, 111. Totale 8. Ogni volta cheaggiungo una lampadina moltiplico per 2!”.“Bene, quindi se in A ci sono α elementi, hai 2α modi di accendere le lampadine.E cioè, hai 2α funzioni che vanno da A a {0, 1}”.“Ok, ho capito, detto così non è difficile”.“La matematica non è mai difficile quando la capisci”.“Permettimi di non commentare e andiamo avanti”.“Ora vogliamo dimostrare che questo insieme di funzioni è in corrispondenzabiunivoca con P(A)”.“E come facciamo?”.“Facciamo così: ad ogni successione di lampadine (cioè ad ogni funzione) as-sociamo l’insieme che contiene solo gli elementi per le quali le lampadine sonoaccese”.“Credo di aver capito, ma se ci fosse un esempio sarebbe meglio”.“Va bene. Prendiamo un insieme facile: {a, b}. Ora costruisci tu tutte le funzioniche vanno da questo insieme a {0, 1}”.“Allora, posso associare a a 0 e b a 0. Oppure a a 0 e b a 1. Forse è meglio sefaccio uno schema. Eccolo qua, ho numerato le quattro funzioni”.

f1 ={

a 7→ 0b 7→ 0 f2 =

{a 7→ 0b 7→ 1

f3 ={

a 7→ 1b 7→ 0 f4 =

{a 7→ 1b 7→ 1

“Perfetto. Ora scegline una”.“La numero 2. Era il voto preferito del mio prof di matematica”.“Va bene. La funzione f2 accende solo una lampadina, quella di b. Quindi adessa associamo l’insieme {b}”.

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“Mh. Forse ho capito. La funzione f1 è associata all’insieme vuoto, perché nonaccende lampadine?”.“Giusto. Provi a fare uno schema anche per questa corrispondenza tra funzionie insiemi?”.“Ok, ecco qua:”.

f1 7→ {}f2 7→ {b}f3 7→ {a}f4 7→ {a, b}

“Molto bene. Hai notato che hai elencato tutti i sottoinsiemi dell’insieme da cuisiamo partiti, cioé {a, b}?”.“Vedo. Ma siamo sicuri che non sia un caso?”.“No, è vero in generale: se prendi due modi diversi di accendere le lampadine,troverai certamente due insiemi diversi. Viceversa, se prendi due insiemi diversi,essi ti daranno modi diversi di accendere le lampadine. Insomma, le lampadi-ne accese corrispondono agli elementi: stesse lampadine, stessi elementi; stessielementi, stesse lampadine”.“Va bene”.“E tieni presente che questa dimostrazione vale anche per il caso infinito. Cioè,puoi mettere in corrispondenza biunivoca i due insiemi delle funzioni da A in{0, 1} e P(A) anche se A è infinito. Chiaramente non potrai calcolare 2α inquesto caso. Però si può dimostrare che il cardinale transfinito α è minore delcardinale transfinito 2α”.“Non me lo lasci come esercizio, vero?”.“No, questo è difficile. Lo vediamo la prossima volta”.

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46 CAPITOLO 15. LA CARDINALITÀ DELL’INSIEME DELLE PARTI

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Capitolo 16

esistono cardinalità grandi

So che qui perderò la metà dei miei 102 lettori, perché questa dimostrazione èdifficile. Ma se uno prova a seguirla, magari con carta, matita, gomma, troveràche è affascinante. Chiaramente, affascinante per un Vero Matematico.

Abbiamo visto che se la cardinalità dell’insieme A è α allora la cardinalitàdell’insieme delle parti P(A) è 2α. Nel caso in cui α sia transfinito, la scrittura2α è soltanto un simbolo. Ora vogliamo dimostrare che 2α è effettivamentemaggiore di α anche nel caso transfinito.

Supponiamo per assurdo che esista una funzione biunivoca µ tra A e P(A).

“Ehm, per assurdo?”.

“Sì, è una tecnica di dimostrazione”.

“Uhm”.

“Funziona così: tu supponi che quello che vuoi dimostrare non sia vero, e provia vedere cosa succede. Se arrivi a una contraddizione, vuol dire che la tuasupposizione iniziale è sbagliata, e quindi quello che vuoi dimostrare è propriovero”.

“Ah. Un metodo un po’ strano, ma credo di aver capito. Prova ad andareavanti”.

“Allora, questa fantomatica corrispondenza biunivoca µ dovrebbe far corrispon-dere elementi di A a sottoinsiemi di A”.

“Giusto: parte da A (che contiene elementi di A, evidentemente) e arriva a P(A)(che contiene sottoinsiemi di A)”.

“Allora, prendiamo un generico elemento di A e chiamiamolo (con grande fan-tasia) a”.

“I Veri Matematici sono noti per la loro fantasia”.

“È vero. Un mio prof all’università un giorno ci fece una dimostrazione in cuisi mise a usare un sacco di lettere strane. Scoprimmo solo alla fine che volevaarrivare a usare la variabile ηβ”.

“Mi avvalgo della facoltà di non commentare”.

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48 CAPITOLO 16. ESISTONO CARDINALITÀ GRANDI

“Comunque dicevamo dell’elemento a. Questo corrisponderà a un sottoinsiemedi A”.“Sì, certo”.“Questo sottoinsieme di A potrebbe contenere l’elemento a oppure no”.“Uhm. Ok. Magari, un esempietto?”.“Immagina che l’insieme A sia {Pippo, Pluto, Paperino}, e prendiamo un ele-mento di questo insieme, per esempio Pippo. A questo elemento corrisponde unsottoinsieme di A, diciamo che sia {Pluto, Paperino}”.“Ok. In questo caso a non appartiene al corrispondente insieme”.“Esatto. Se invece prendo Pluto, e immagino che sia associato a {Pippo, Pluto},allora vedo che a appartiene al corrispondente insieme”.“Ok, ci sono, ho capito. Tutti gli elementi di A saranno associati a insiemi, eabbiamo due possibilità: o questi insiemi contengono i corrispondenti elementi,oppure non li contengono”.“Perfetto. Allora possiamo considerare l’insieme di tutti gli elementi di Ache non appartengono al corrispondente insieme, come il Pippo dell’esempioprecedente”.“Ok. Immagino che un Vero Matematico lo chiamerebbe B”.“Vedo che sei sulla buona strada. Ora, attento: anche B è un sottoinsieme diA, vero?”.“Certo. Contiene solo elementi di A”.“E quindi questo B, nella nostra fantomatica corrispondenza biunivoca, provieneda un qualche elemento di A”.“Sì, se immaginiamo che questa corrispondenza biunivoca esista, come hai dettotu, allora B proviene da. . . possiamo chiamarlo b?”.“Certo, un’ottima scelta. L’elemento b è associato a B. Ora arriva la domanda:b appartiene a B?”.“Vediamo: B contiene solo elementi che non appartengono all’insieme al qualecorrispondono. Siccome b corrisponde a B, b non può stare in B. Perfetto, hola risposta: b non appartiene a B”.“Ma l’insieme B non dovrebbe contenere tutti gli elementi che non appartengonoall’insieme a cui sono associati?”.“Certo”.“E b non è associato a B?”.“Certo”.“Allora b appartiene a B”.“Certo. No, un momento, ho appena detto che b non appartiene a B. Ora tumi dici che proprio perché b non appartiene a B allora deve appartenere a B!Mi sembra il paradosso del barbiere”.“È lui. Osserva che puoi anche partire dalla supposizione contraria: se b ap-partiene a B significa che b non appartiene all’insieme a cui corrisponde, che èsempre B. Da qualunque parte tu la guardi, è una contraddizione. Se supponi

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che esista una corrispondenza biunivoca tra A e P(A) arrivi al paradosso, anzi,all’antinomia, del barbiere. E questo non può succedere”.“Quindi?”.“Quindi la nostra fantomatica µ non esiste”.“Wow”.“E quindi A e P(A) non hanno la stessa cardinalità”.“Vero”.“E siccome P(A) contiene A, la cardinalità di P(A) è maggiore di quella di A”.“Come dicono i giovani d’oggi, il barbiere spakka”.“Guai a te se scrivi un’altra volta con le k”.“Ehm”.

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50 CAPITOLO 16. ESISTONO CARDINALITÀ GRANDI

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Capitolo 17

infinite lampadine

Una successione è una funzione che ha, come insieme di partenza, l’insieme deinumeri naturali. In altre parole, è uno strumento che conta. Ogni volta checontiamo un insieme di oggetti associamo un numero naturale a ogni oggetto,in ordine: in pratica stiamo costruendo una successione; con la differenza chenoi, a un certo punto, ci fermiamo, mentre le successioni matematiche vannoavanti sempre.

Bene, ora consideriamo una successione per la quale l’insieme di arrivo sia 0, 1.Come è fatta?

Ad ogni numero naturale sarà associato uno 0 oppure un 1, non ci sono altrepossibilità. Ecco un esempio:

0 7→ 01 7→ 12 7→ 03 7→ 14 7→ 05 7→ 1...

In questa successione 0 è associato a 0, 1 a 1, poi 2 è associato nuovamente a 0,3 a 1, e così via. Siccome l’insieme di partenza di ogni successione è prefissato,possiamo anche ometterlo (tanto sappiamo contare, basta che teniamo in menteche partiamo da zero). In questo caso, la successione di prima diventa piùsemplice da scrivere:

01010101 . . .

Si tratta di una stringa infinita composta solo da cifre 0 e 1: la chiamiamosuccessione binaria (infinita).

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52 CAPITOLO 17. INFINITE LAMPADINE

Se utilizziamo l’esempio delle lampadine accese e spente, una successione binariainfinita diventa una fila infinita di lampadine, ognuna delle quali può essereaccesa o spenta.Ora, di queste successioni binarie ce ne sono tante.“Quante?”.“Tante quanti sono gli elementi di P (N)”.“L’insieme dei sottoinsiemi dei numeri naturali?”.“Giusto”.“Quindi dovrebbe essere 2ℵ0 , dato che abbiamo visto che la cardinalità del-l’insieme dei naturali è ℵ0, e che se la cardinalità di un insieme è α, allora lacardinalità dell’insieme delle parti è 2α. Giusto?”.“Proprio così”.“Ed è difficile da dimostrare?”.“No, è abbastanza semplice. Usiamo la tecnica che abbiamo già usato per dimo-strare che la cardinalità dell’insieme delle parti di un insieme dato è maggioredi quella dell’insieme”.“Anche allora avevamo parlato di lampadine, se ben ricordo”.“Infatti è così. Le nostre successioni binarie associano i numeri naturali a 0oppure a 1, cioè a una lampadina spenta oppure accesa. Bene, allora a una datasuccessione associamo il sottoinsieme dei numeri naturali che contiene tutti inumeri per i quali sono accese le lampadine”.“Uhm. Un esempio?”.“Prendi la successione 01010101 . . . ”.“Ok. A 0 è associato il primo numero, che è 0, quindi lampadina spenta. Nonci interessa. A 1 è associato 1, lampadina accesa, bene. A 2 è associato 0. Hocapito, questa successione accende lampadine solo per i numeri dispari”.“E quindi ad essa sarà associato l’insieme di tutti i numeri dispari, sottoinsiemedi N”.“Ok, chiaro, ho capito”.“Prova a scrivere la successione che sarà associata ai numeri pari”.“Facile: 10101010 . . . ”.“Quindi a ogni successione è associato un sottoinsieme, e se due successioni sonodiverse, sarà diverso anche l’insieme corrispondente”.“Ok”.“Ora vediamo il contrario: a ogni sottoinsieme A di N è associata una succes-sione binaria”.“Ah, sì, è facile anche questo: basta cominciare a contare da 0 e accendere unalampadina quando si incontra un numero che sta in A”.“Molto bene. Per esempio, quale successione è associata a {1, 2, 3}?”.“Dovrebbe essere 111”.

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“No, non va bene, ricordati che i Veri Matematici non cominciano a contare da1”.“Ah, già, si parte da 0. Allora è questa: 0111”.“Quasi. Questa, in effetti, non è una successione infinita”.“Ah. Ma dopo non ci sono più numeri, mi hai dato un insieme finito. . . Bé,posso continuare con una successione di 0”.“E quindi, quale successione è associata a {1, 2, 3}?”.“Questa: 011100000 . . . ”.“Ottimo. Riassumendo: esiste una corrispondenza biunivoca tra le successionibinarie (infinite) e l’insieme delle parti dei numeri naturali”.“E quindi i due insiemi hanno la stessa cardinalità, che è maggiore di quella deinumeri naturali e che abbiamo indicato con 2ℵ0 . Ma perché abbiamo dimostratoquesto teorema?”.“Perché ci sarà utile nello studio della cardinalità dei numeri reali”.

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54 CAPITOLO 17. INFINITE LAMPADINE

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Capitolo 18

i numeri reali

Siamo arrivati al punto in cui ci tocca parlare dei numeri reali, cosa che ogniVero Matematico preferirebbe non fare, perché la loro definizione è complicatae tutti comunque li conoscono.Per prima cosa, i numeri reali possono essere costruiti o definiti. Il vantaggio delprimo approccio è la sua intrinseca eleganza: i reali si costruiscono a partire dairazionali, i razionali dagli interi, gli interi dai naturali, i naturali dall’insiemevuoto. Basta quindi il solo concetto di insieme vuoto per ottenere tutto. Losvantaggio è che la costruzione è strana e complicata. Anzi, di costruzioni ce nesono più di una.Si possono usare le successioni di Cauchy, che sono successioni i cui termini siavvicinano sempre di più fra loro. Parlando molto a braccio e intuitivamente, inumeri reali sono l’insieme in cui tutte le successioni di Cauchy convergono. Nel-l’insieme dei numeri razionali potrebbero esserci invece problemi di convergenza.Prendiamo per esempio la seguente successione:

1, 1.4, 1.41, 1.414, 1.4142, 1.41421, 1.414213, . . .

Essa è composta solo da frazioni, è di Cauchy, ma non converge a una frazione(perché converge a radice di due, che non è razionale).Oppure si potrebbero usare le sezioni di Dedekind, che sono un concetto ancorapiù complicato da descrivere. Parlando in maniera sempre meno rigorosa, le se-zioni di Dedekind ci fanno capire che l’insieme dei numeri razionali, pur essendodenso, ha dei buchi. Denso significa che comunque scelgo due numeri, tra diessi ne trovo almeno un altro. I buchi corrispondono ai numeri irrazionali. Peresempio, se consideriamo i due seguenti insiemi:

A = {1, 1.4, 1.41, 1.414, 1.4142, 1.41421, 1.414213, . . . }B = {2, 1.5, 1.42, 1.415, 1.4143, 1.41422, 1.414214, . . . }

ci accorgiamo che gli elementi contenuti in essi si avvicinano sempre di più traloro e si addensano attorno a un buco: il posto occupato dalla radice di due.

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56 CAPITOLO 18. I NUMERI REALI

Se noi allora chiamiamo numeri reali tutti gli oggetti individuati dalle sezio-ni di Dedekind, in un certo senso riempiamo i buchi sulla retta dei numeri ecompletiamo l’insieme dei numeri razionali, ottenendo i reali.

I numeri reali possono anche essere definiti come numeri decimali (illimitatioppure no). Dopodiché si definiscono le operazioni in modo formale, e da lì ci siricollega agli altri numeri, mostrando che questa definizione comprende anche inumeri naturali, interi e razionali.

Oppure si può partire dai numeri iperrazionali (che sarebbero i razionali dell’a-nalisi non standard). Oppure ancora dai numeri surreali (e questa è la parte chemi affascina di più, che mi piacerebbe approfondire e sulla quale vorrei scriverequalcosa).

Insomma, le costruzioni dei numeri reali sono tante, tutte complicate. Compli-cate anche dal fatto che non solo occorre definire i numeri, ma poi è necessariofare vedere come funzionano le operazioni tra di essi, e mostrare che questenuove definizioni sono in accordo con le vecchie. Perciò è necessario fare vedereche uno più uno fa ancora due. Ecco perché i matematici preferirebbero noncostruire i numeri reali.

Esiste un’altra strada, alternativa a quella delle costruzioni: è la strada dellaassiomatizzazione. Cioè, noi non costruiamo niente, ma diciamo semplicementeche i numeri reali sono l’unico campo ordinato archimedeo completo.

“Ah, certo, semplicemente”.

“Eh, hai ragione, non è semplice nemmeno questo”.

“Anche se, in fondo, ci sono solo quattro parole che mi devi spiegare”.

“Sì, e tieni presente che queste quattro parole implicano una serie di proprietàsovrabbondanti, nel senso che alcune dipendono da altre. Le si potrebbe re-stringere ulteriormente, come ha fatto Tarski, ma si perde un po’ in chiarezza.Non posso però fare a meno di citarti l’ultimo assioma di Tarski”.

“Perché? È incomprensibile? Complicato? Astruso?”.

“Giudica tu. Dice che 1 è minore di 1+1”.

“Forse è meglio se torniamo a quelle quattro parole da spiegare: cominciamo dacampo?”.

“Ok. Campo è una struttura algebrica composta da un insieme e due operazio-ni”.

“Va bene. Suppongo che l’insieme sia quello dei numeri, e le due operazionisiano operazioni su quei numeri?”.

“Certamente. La prima operazione la indichiamo con + e la seconda con ·”.

“Va bene. Tutto qua?”.

“No, le operazioni devono soddisfare a certe proprietà. L’operazione +, chechiamiamo somma, deve essere associativa e commutativa. Poi deve esisterel’elemento neutro, che indichiamo con 0, e deve esistere l’inverso”.

“Va bene, questi sono concetti che si imparano anche alle elementari. Ci sonoproprietà anche per il · (posso chiamarlo prodotto)?”.

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“Sì, il prodotto deve essere associativo, commutativo, deve esistere l’elementoneutro che indichiamo con 1, e ogni elemento diverso dallo 0 deve possedere ilreciproco”.“Stai ripetendo le proprietà della somma e del prodotto delle normali operazioni,in effetti”.“Certo. Attento però che sto assiomatizzando, cioè non sto dicendo che uncerto insieme e una certa operazione godono di certe proprietà, ma sto facendoil contrario: sto caratterizzando un insieme dicendoti quali sono le proprietà chedeve avere”.“In pratica tu mi dai le proprietà, e io devo immaginarmi l’insieme”.“Sì, esatto. I filosofi si divertono molto su questo punto, perché ora non stiamoparlando di una cosa in sé, di cui studiamo le proprietà, ma di un oggetto cheesiste solo in quanto possiede certe proprietà. Ti dirò anche che personalmentequesto secondo aspetto mi piace di meno”.“Cioè per te gli oggetti matematici esistono, in un qualche modo?”.“Eh, sì”.“Sei proprio un Vero Matematico”.“Grazie”.“. . . ”.“O forse non intendevi farmi un complimento?”.“Ehm, dicevamo delle proprietà dei numeri reali?”.“Eh, andiamo avanti che è meglio, va. . . Dunque, deve essere anche vera la pro-prietà distributiva del prodotto rispetto alla somma. E con queste proprietàabbiamo definito il concetto di campo”.“Ok, passiamo alla prossima parola: ordinato”.“Ordinato è facile: esiste un ordine tra tutti gli elementi. Cioè, comunque tuscegli due elementi, puoi dire se sono uguali o se uno è minore (o maggiore)dell’altro”.“Va bene. Archimedeo?”.“Archimedeo significa che non ci sono numeri piccoli e numeri grandi in assoluto.Non puoi fare una cosa come scegliere un numero talmente grande e uno talmentepiccolo che, moltiplicando il piccolo tante volte quante vuoi, non riesci mai asuperare il grande. Lo spiega bene .mau. quando dice che 0.(9) è uguale a1. E mostra anche un esempio di insieme numerico in cui manca la proprietàarchimedea, quando dice che 0.(9) non è uguale a 1”.“Ah, questo è più complicato rispetto alle altre proprietà. Comunque ho capito,non esistono quelle cose strane come gli infinitesimi”.“Perfetto. Completo invece significa che ogni sottoinsieme non vuoto e supe-riormente limitato ammette estremo superiore”.“Questo è meno chiaro”.“Significa questo: prendi un sottoinsieme dei numeri, che non sia l’insiemevuoto”.

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58 CAPITOLO 18. I NUMERI REALI

“Ok”.“Questo insieme deve essere superiormente limitato, cioè tutti i suoi elementidevono essere più piccoli di un qualche elemento prefissato”.“Bene”.“Ti faccio notare che se, per esempio, tutti gli elementi sono minori di 10, essisono minori anche di 15, di 20, oppure di 42”.“Certo, è chiaro. Se non vado oltre un certo ostacolo, non vado nemmeno oltreun ostacolo più grande”.“Bene. Questi ostacoli si chiamano maggioranti. Prendi il più piccolo di tuttigli ostacoli: questo si chiama estremo superiore”.“E secondo la tua definizione, l’estremo superiore deve appartenere all’insieme?”.“Sì”.“E non appartiene sempre all’insieme?”.“Solo se l’insieme è quello dei numeri reali. Prendi questa nostra vecchiaconoscenza:”.

{1, 1.4, 1.41, 1.414, 1.4142, 1.41421, 1.414213, . . . }

“Ah, sempre lui! Ho capito: gli elementi non superano mai radice di due, maradice di due non appartiene all’insieme perché non è una frazione. E quindilascia un buco”.“Certo. Il concetto di completezza è proprio legato a questa faccenda dei buchi”.“Insomma, alla fine l’assiomatizzazione non è così complicata”.“Ecco, vedi, tu avevi detto che c’erano quattro parole da spiegare”.“Campo. Ordinato. Archimedeo. Completo. Non sono quattro?”.“Hai dimenticato unico”.“Ohi ohi.”.“Si tratterebbe di dimostrare che questa serie di assiomi ha un unico modello”.“Ed è difficile?”.“Sì”.“Lungo?”.“Sì”.“Lo facciamo?”.“No. A noi dei reali interessa solo questa piccola cosa: sono numeri decimalifiniti oppure infiniti”.“E non potevi dirlo subito?”.“Per risparmiarti quel senso di frustrazione che hanno i Veri Matematici tuttele volte che devono definire i numeri reali? No, la strada per diventare un VeroMatematico è lunga e piena di ostacoli”.

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Capitolo 19

lampadine e numeri reali

Abbiamo detto che dei numeri reali ci interessa una sola cosa: possono essereespressi come numeri decimali finiti oppure infiniti. Ora prendiamo solo unaparte dei numeri reali, l’intervallo [0, 1). In pratica, stiamo considerando tutti inumeri che si possono scrivere come zero virgola qualcosa.“Come mai prendi solo un intervallo, invece di prendere tutti i numeri reali?”.“Per comodità, tanto poi si dimostra che un intervallo e l’intera retta hanno lastessa cardinalità”.“Ma come è possibile? Un altro paradosso dell’infinito?”.“Già. Però lo vediamo più avanti. Adesso ci concentriamo sull’intervallo [0, 1)e le successioni binarie infinite”.“Ah, torniamo a parlare di lampadine?”.“Sì, però questa volta consideriamo soltanto le successioni binarie che non sonodefinitivamente uguali a 1”.“Eh?”.“Definitivamente significa da un certo punto in poi. Insomma, non vogliamo lesuccessioni binarie che terminano con infinite cifre uguali a 1”.“Ah, ok. Non capisco però il perché di questa limitazione”.“Te lo spiego tra un attimo. Prima ti dico che le successioni binarie infinitepossono essere interpretate come la parte dopo la virgola di un numero compresotra 0 e 1, purché lo trasformiamo in binario”.“Ah! La numerazione binaria. Ma si possono trasformare in binario anchenumeri decimali?”.“Certo, così come 0.110 significa 10−1, 0.12 significa 2−1”.“Bene, ogni giorno si impara una cosa nuova”.“Ora si spiega anche il motivo per cui non prendiamo le successioni definitiva-mente uguali a 1. Così come in base 10 non esiste il periodo 9, in base 2 nonesiste il periodo 1”.“Va bene. Cosa vogliamo dimostrare, allora?”.

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60 CAPITOLO 19. LAMPADINE E NUMERI REALI

“Praticamente l’abbiamo già fatto: esiste una corrispondenza biunivoca tra lesuccessioni binarie infinite non definitivamente uguali a 1 e i numeri appartenentiall’intervallo [0, 1)”.“Ah, già, è vero”.“E quindi, se indichiamo con c (che sarebbe poi il famoso c gotico) la cardinalitàdi [0, 1), abbiamo che c è minore o uguale di 2ℵ0 ”.“Com’è che dici minore o uguale?”.“Perché le successioni binarie non definitivamente uguali a 1 sono un sottoinsie-me di tutte le successioni binarie, che hanno cardinalità 2ℵ0”.“E allora, visto che sono di meno, non dovresti dire minore invece di minore ouguale?”.“Dimentichi l’albergo di Hilbert ”.“Uhm, cosa c’entra?”.“Era un paradosso che ti faceva capire che un insieme infinito e un suo sottoin-sieme proprio possono avere la stessa cardinalità”.“Ah, è vero! Avevi spostato gli infiniti ospiti nelle camere pari”.“Dimostrando che l’insieme dei numeri pari e quello dei numeri naturali hannola stessa cardinalità”.“Ecco spiegato il minore o uguale: è possibile che le successioni binarie e il sot-toinsieme di quelle non definitivamente uguali a 1 abbiano la stessa cardinalità”.“Proprio così”.“E come facciamo a sapere se è vero il minore oppure l’uguale?”.“Non è semplice: servono un’altra funzione e un teorema dal nome altisonante”.

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Capitolo 20

immersioni di lampadine

Abbiamo visto che esiste una corrispondenza biunivoca tra le successioni binarieinfinite non definitivamente uguali e 1 e i numeri appartenenti all’intervallo [0, 1).Siccome queste successioni binarie costituiscono un sottoinsieme dell’insieme ditutte le successioni binarie (che ha cardinalità 2ℵ0), abbiamo concluso che c èminore o uguale di 2ℵ0 .Ora facciamo il contrario, cioè immergiamo l’insieme di tutte le successionibinarie nell’insieme delle successioni binarie non definitivamente uguali a zero.“Ma come, prima dici che un insieme è contenuto in un altro, e poi dici che ilsecondo è contenuto nel primo?”.“Non ho proprio detto così. Ho detto che immergiamo un insieme grande dentroa un insieme piccolo. Cioè facciamo vedere che esiste una funzione iniettiva cheva da uno all’altro. Così come esiste una funzione iniettiva che va dall’insiemedei numeri naturali a quello dei numeri pari”.“Uffa, un altro dei soliti paradossi?”.“Un altro, o forse sempre lo stesso visto da punti di vista differenti”.“Va bene, ormai mi ci hai abituato. Vediamo come si fa”.“È molto semplice, questa volta. Si fa come ha fatto l’albergatore dell’albergodi Hilbert”.“Sposti la gente?”.“In un certo senso, sì. Supponi di avere una successione binaria qualunque,come questa: a0, a1, a2, . . . ”.“Ok. Immagino che tutti i vari ai possano essere 0 oppure 1, senza alcunalimitazione?”.“Proprio così. Per costruire la corrispondenza, facciamo così. Ad ogni succes-sione binaria come quella di prima associamo questa successione:”.

a0, 0, a1, 0, a2, 0, . . .

“Geniale! Assomiglia proprio all’albergo di Hilbert. Queste successioni non sonodefinitivamente uguali a 1, perché hai alternato tutti gli elementi con uno zero!”.

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62 CAPITOLO 20. IMMERSIONI DI LAMPADINE

“Quindi abbiamo definito una corrispondenza iniettiva tra tutte le successionibinarie e un loro sottoinsieme proprio”.“È vero. Parlando di cardinalità, cosa abbiamo ottenuto?”.“Che 2ℵ0 è minore o uguale di c”.“Ma avevamo appena ottenuto un risultato contrario!”.“Bè, non proprio contrario. Avevamo detto che c è minore o uguale a 2ℵ0”.“Ah, già, c’è l’uguale che ci salva. Quindi possiamo concludere subito che c e2ℵ0 sono uguali”.“Ecco, non è così ovvio”.“A me pare ovvio, scusa. Se prima dici che un numero è minore uguale di unsecondo numero, poi dici che il secondo è minore o uguale del primo, allora idue numeri sono uguali, no?”.“I due numeri, sì. I due cardinali transfiniti sono forse numeri?”.“Ehm, non sono proprio numeri naturali, no”.“E dunque bisogna dimostrare la tua affermazione”.“Uffa”.“Che si chiama proprietà di tricotomia”.“L’arte di tagliare il capello? Mi sembra un nome molto azzeccato, deve esserestato uno dei tuoi Veri Matematici Spiritosi a trovarlo. Certo, io avrei usatotetratricotomia”.“Ehm, no, sarebbe semplicemente il verificarsi di una sola proprietà tra treesistenti”.

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Capitolo 21

facciamo ordine

Una relazione d’ordine è una relazione che gode di tre proprietà:

riflessiva ogni elemento è in relazione con sé stesso, cioè a ≤ a

antisimmetrica se a è in relazione con b e b in relazione con a, allora a èuguale a b; in formule: se a ≤ b e b ≤ a, allora a = b

transitiva se a è in relazione con b e b in relazione con c, allora a è in relazionecon c; in formule: se a ≤ b e b ≤ c, allora a ≤ c

Se esistesse una relazione d’ordine anche tra i numeri cardinali, allora da c ≤ 2ℵ0

e 2ℵ0 ≤ c potremmo dedurre che c = 2ℵ0 .La relazione d’ordine, effettivamente, esiste, ed è definita così: Card(A) è minoreo uguale di Card(B) se esiste una funzione iniettiva da A verso B.Dimostrare la proprietà riflessiva è semplice: esiste certamente una funzioneiniettiva da A verso A, è l’identità (cioè la funzione che a ogni elemento associasé stesso. Funzione che è biunivoca, quindi certamente iniettiva).Anche per quanto riguarda la proprietà transitiva non ci sono problemi: seesistono una funzione f iniettiva da A verso B e una g iniettiva da B verso C,ne esiste una da A direttamente verso C, basta comporre le due.È la proprietà antisimmetrica quella che dà più problemi. Per dimostrarlaimmaginiamo una partita di ping pong.“Ping pong?”.“Lo so che si dice tennis tavolo, ma mi piaceva di più dire ping pong”.“Vabbè, ma cosa c’entra il ping pong?”.“Le nostre ipotesi sono queste: esiste una funzione f iniettiva da A a B, edesiste una funzione g iniettiva da B a A”.“Ok, e la tesi è che esiste una funzione biunivoca da A a B. Ma il ping pong?”.“Un momento che arrivo. Immagina di prendere un elemento di A qualsiasi”.“Bene. Lo chiamiamo a?”.“Chiamiamolo pallina”.

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64 CAPITOLO 21. FACCIAMO ORDINE

“Non starai esagerando con i nomi esotici?”.“Questa pallina viene mandata da f in B, giusto?”.“Giusto. Volendo, potremmo anche dire che viene rimandata da g in A”.“Perfetto, ecco la tua partita di ping pong. La pallina si trova in A, poi conf(pallina) la mandiamo in B, poi con g(f(pallina)) di nuovo in A, e così via”.“Non cade mai questa pallina?”.“Mai”.“La partita allora è un po’ noiosa”.“Già. Ma invece di seguire la pallina in avanti, vediamo il suo percorso all’in-dietro”.“In che senso?”.“Nel senso che se la pallina ora si trova in A, può darsi che prima si trovasse inB”.“Come può darsi? Certamente viene da B, no?”.“Non è detto. Chi l’avrebbe mandata da B verso A?”.“La funzione g”.“Vuoi dire che ogni elemento che si trova in A proviene da qualche elemento diB tramite la funzione g?”.“Eh, sì”.“Quindi vuoi dire che la funzione g è suriettiva”.“Sì. Ah, non l’abbiamo detto nelle ipotesi. Abbiamo detto solo che g è iniettiva”.“Dunque tutti gli elementi di B sono mandati in A, ma non è detto che ognielemento di A provenga da qualche elemento di B”.“Ho capito. Immagino che questo valga anche per la funzione f?”.“Certo. Tornando alla nostra pallina, e seguendo il suo percorso all’indietro,potremmo dire che è partita dall’insieme A, oppure che è partita da B, oppureche non ha avuto un punto di partenza”.“Quest’ultimo caso non mi è chiaro”.“Vuol dire che, andando all’indietro, potresti non trovare mai un’origine. Lapallina è sempre stata in gioco. Cioè puoi sempre andare indietro nella catenadi funzioni f e g”.“Uhm, una partita eterna”.“Non solo: una partita eterna senza inizio, mentre gli altri due tipi un inizio cel’avevano”.“Va bene”.“Allora abbiamo diviso l’insieme A in tre parti: A′ è l’insieme degli elementi chefanno parte di una partita senza inizio, AA è l’insieme degli elementi che fannoparte di una partita che ha avuto inizio in A, e analogamente AB è l’insiemedegli elementi che fanno parte di una partita che ha avuto inizio in B”.“Mamma mia. Credo di esserci: tre tipi di partite, tre parti di un insieme”.

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“Sì. E osserva che sono tre parti che non hanno nulla in comune: un elementopuò appartenere solo a una delle tre”.“Ok, se fai parte di una partita che è iniziata in A non puoi far parte anche diuna partita senza inizio o con inizio in B”.“Bene. Ora suddividiamo allo stesso modo anche B, ottenendo i tre insiemi B′,BA e BB”.“Perfetto. Mi pare infatti che non ci sia un ruolo privilegiato tra A e B,dovrebbero essere interscambiabili”.“Giusto. Infatti la proprietà che stiamo dimostrando, pur chiamandosi antisim-metrica, è simmetrica”.“E non potevamo chiamarla simmetrica?”.“No, la proprietà simmetrica è un’altra, ricordi le relazioni di equivalenza”.“Va bene. Ora cosa facciamo con questi insiemi divisi in tre?”.“Ora definiamo la corrispondenza biunivoca tra i due. E lo facciamo in tre passi,uno per ogni parte in cui abbiamo diviso i due insiemi”.“Va bene. Cominciamo da A′?”.“Sì. Diamo anche un nome alla corrispondenza biunivoca che stiamo definendo:la chiamiamo φ. Allora, se a è un elemento di A, definiamo φ(a) = f(a)”.“Cioè la nuova funzione biunivoca è uguale alla vecchia f , che era iniettiva?”.“Sull’insieme A′, è così. L’elemento a appartiene a una partita senza inizio, eviene mandato in B′, che contiene elementi che fanno anch’essi parte di unapartita senza inizio. Siccome non c’è inizio, si può sempre tornare indietropartendo da B′, e quindi in questo insieme la funzione f è biunivoca”.“Va bene, quindi un pezzo è fatto, hai definito una funzione biunivoca tra A′ eB′”.“Ora prendiamo un elemento a appartenente a AA”.“Quindi un elemento che fa parte di una partita che ha avuto inizio in A”.“Sì. Anche in questo caso φ(a) = f(a)”.“Come prima?”.“Già. Mediante f(a) lo mandiamo in B, anzi, in BA, dato che la sua partita èiniziata in A, e invertendo f possiamo riportarlo indietro. Non c’è il pericoloche da B non si possa tornare indietro, dato che le partite di tutti gli elementiche fanno parte di BA sono iniziate in A”.“Ho capito, se da BA possiamo sempre tornare indietro, allora f è biunivocaanche qui”.“Sì, quindi la funzione φ che stiamo definendo è biunivoca anche tra AA e BA”.“Immagino che il problema salti fuori con AB e BB”.“Sì, perché in questo caso da BB non è detto che si possa tornare indietro:qualche suo elemento potrebbe costituire l’inizio di una nuova partita”.“E allora come facciamo?”.“In questo caso ribaltiamo il problema: se prima abbiamo usato f per andareda A verso B, ora usiamo g”.

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66 CAPITOLO 21. FACCIAMO ORDINE

“Uhm, in che modo?”.“Per quanto riguarda l’insieme AB , definiamo φ(a) = g−1(a)”.“Cosa intendi con quell’esponente −1?”.“Intendo la funzione inversa di g: se g va da B verso A, g−1 va da A verso B”.“Ehi, però non sappiamo se g è biunivoca. Anzi, se lo fosse il teorema sarebbegià dimostrato”.“Giustissimo, infatti non è detto che sia biunivoca. Ma tieni presente che orastiamo ragionando solo sugli insiemi AB e BB . In questo caso calcolare g−1(a)significa prendere un elemento a di AB e tornare indietro verso BB , e questo sipuò sempre fare perché la partita di cui fa parte a ha avuto origine in B”.“Ah! E quindi non c’è pericolo che a si blocchi in AB”.“Esattamente. Se noti, c’è una simmetria in questa dimostrazione: uso f perAA e BA, uso g per AB e BB . Per A′ e B′ ho usato ancora f , ma avrei potutousare indifferentemente anche g, dato che in questo caso non c’è mai pericolo dinon tornare indietro”.“Ah, bello. Comincio a capire il concetto di eleganza in matematica”.“E alla fine abbiamo dimostrato anche la proprietà antisimmetrica”.“Era questo il teorema dal nome altisonante di cui mi avevi parlato?”.“Sì, si chiama teorema di Cantor-Bernstein-Schröder. Inizialmente Cantor neaveva data una dimostrazione che faceva uso dell’assioma della scelta, e cheaveva anche una tesi più forte”.“In che senso?”.“Nel senso che dimostrava anche qualcosa di più, e cioè che l’ordinamento tra icardinali è totale. Significa che due cardinali sono sempre confrontabili, cosa cheora non abbiamo invece dimostrato. Sarebbe la famosa proprietà di tricotomia”.“Che a me sembrava tanto ovvia”.“E che invece è equivalente all’assioma della scelta. Se è ovvia quella, allora èovvio anche il paradosso di Banach-Tarski”.“Povero me. Penso che farò come fanno i Veri Matematici”.“Già. A volte far finta di niente è comodo”.

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Capitolo 22

rette e segmenti

“Cos’è ’sta roba?”.“Una costruzione geometrica”.“E cosa costruisce?”.“Una corrispondenza biunivoca”.“Cominciamo da capo?”.“Ok. In rosso c’è il segmento AB, sul quale è stato scelto un punto a caso, P”.“Bene, fin qua ci sono”.“Poi ho costruito la perpendicolare al segmento AB passante per P”.“Bene. Vedo che passa per un punto che hai chiamato E, che sta su unasemicirconferenza”.“Esatto. La semicirconferenza è costruita in modo tale da essere tangente alsegmento AB nel punto medio”.“Ok. Immagino che C sia il centro, giusto?”.“Giusto. Dal centro parte una semiretta che passa per E e continua fino adincontrare la retta che contiene AB”.“E questa semiretta incontra la retta che contiene AB in D”.

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68 CAPITOLO 22. RETTE E SEGMENTI

“Perfetto, questa è la costruzione”.

“E la corrispondenza biunivoca qual è?”.

“Il procedimento che abbiamo appena enunciato è la corrispondenza biunivoca.Mette in corrispondenza i punti del segmento AB ai punti della retta”.

“Ah. Immagino che sia uno dei soliti paradossi dell’infinito?”.

“Già. Ogni punto del segmento può essere portato sulla semicirconferenza, eda lì sulla retta. Viceversa, ogni punto della retta può essere portato sullasemicirconferenza e, da lì, sul segmento”.

“Uhm, e per quanto riguarda i punti A e B?”.

“Niente, quelli li lasciamo da parte. La corrispondenza biunivoca è tra i puntiinterni a AB e la retta”.

“Ok”.

“Quindi il segmento AB e la retta, visti ora come insiemi di numeri, hanno lastessa cardinalità”.

“Ah, ok. Ho capito dove vuoi arrivare: avevi analizzato la cardinalità di [0, 1),e ora vuoi dire che ha la stessa cardinalità della retta”.

“Esatto”.

“Ma [0, 1) contiene lo zero, mentre nel tuo esempio gli estremi non sono conte-nuti”.

“Sì, è vero. Per questo dobbiamo fare qualche passaggio in più. Abbiamoappena detto che (0, 1) è in corrispondenza biunivoca con i numeri reali, quindi(0, 1) e R hanno la stessa cardinalità”.

“E fin qua siamo d’accordo”.

“Ora, puoi immergere facilmente (0, 1) in [0, 1)”.

“Sì, è ovvio, a ogni elemento di (0, 1) associo sé stesso, e sono a posto. Hocostruito una funzione iniettiva, ma non suriettiva, perché nel secondo insiemelo 0 rimane fuori”.

“E altrettanto facilmente puoi immergere [0, 1) nella retta”.

“Certo. Ah, ho capito. La cardinalità di (0, 1) è minore o uguale di quella di[0, 1), che è minore o uguale di quella della retta, che è uguale a quella di (0, 1)”.

“E mettendo insieme queste disuguaglianze col teorema di Cantor-Bernstein-Schröder cosa puoi concludere?”.

“Che le cardinalità sono tutte uguali! E sono uguali al tuo famoso c gotico”.

“Esatto. Quindi, ricapitolando tutto, 2ℵ0 = c”.

“Fiuu. Finalmente ci siamo arrivati. Immagino che poi prenderai il piano, edirai che ha cardinalità maggiore di c, poi lo spazio che avrà cardinalità anco-ra più grande, poi ti divertirai ad aumentare le dimensioni come fanno i VeriMatematici”.

“No”.

“No? Perché”.

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“Ti mostrerò che il piano ha la stessa cardinalità della retta. E dalla dimostra-zione capirai che anche lo spazio ha la stessa cardinalità, così come tutti queglispazi a n dimensioni che non ti piacciono tanto”.“Oh, no, ancora paradossi”.

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70 CAPITOLO 22. RETTE E SEGMENTI

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Capitolo 23

le dimensioni non contano

Abbiamo chiamato con c (c gotico) la cardinalità dell’insieme dei numeri reali, eabbiamo visto che è maggiore di quella dei numeri naturali. Dato che i numerireali sono in corrispondenza biunivoca con i punti di una retta, che ha dimen-sione uguale a 1, si potrebbe pensare che la cardinalità del piano sia maggioredi c, visto che il piano ha dimensione 2. E invece no.“Puoi naturalmente dimostrare questa affermazione, vero?”.“Certo”.“E sarà una cosa complicatissima”.“No, questa è facile. Per prima cosa, invece di confrontare la retta con il piano,confrontiamo il segmento [0, 1) con il quadrato [0, 1)× [0, 1)”.“Quello sarebbe un quadrato?”.“I Veri Matematici lo chiamano prodotto cartesiano, ma è semplice: è l’insiemedelle coppie i cui elementi appartengono a [0, 1). In pratica è un quadrato, i cuipunti hanno coordinate comprese tra 0 e 1, 0 incluso e 1 no”.“Va bene. Ora costruirai una corrispondenza biunivoca tra il segmento e ilquadrato?”.“No, prima costruisco una funzione iniettiva che immerge il segmento nel qua-drato, poi un’altra funzione iniettiva che immerge il quadrato nel segmento”.“Ok. Il primo caso è semplice, non è difficile immergere un segmento in unquadrato”.“Bene, come faresti?”.“Ad ogni punto del segmento associo un punto sulla base del quadrato, peresempio”.“Bravo. A x associ (x, 0), ed è fatta. La funzione è iniettiva, a due x diversicorrispondono due coppie diverse”.“Sì. Non riesco invece a immaginare come fare per l’operazione contraria”.“Si fa così: prendi un punto del quadrato, e indicalo con (x, y)”.“Bene, sia x che y sono compresi tra 0 e 1, 0 incluso e 1 no”.

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72 CAPITOLO 23. LE DIMENSIONI NON CONTANO

“Ora scrivili sotto forma di numeri decimali, così:”.

x = 0.x1x2x3 . . .

y = 0.y1y2y3 . . .

“Uhm, e se i numeri sono decimali finiti?”.“Vorrà dire che da un certo punto in poi la successione delle cifre decimali saràsempre uguale a 0”.“Va bene. Accettiamo il periodo 9?”.“No, quello no”.“Ci sono. Ora che facciamo?”.“Ora costruiamo questo numero: 0.x1y1x2y2x3y3 . . . ”.“Alterni le cifre decimali?”.“Già. Hai visto che abbiamo ottenuto un punto del segmento [0, 1)?”.“Vedo. Mi pare di aver capito, però, che la funzione debba essere iniettiva,altrimenti non funziona”.“Giusto. Hai capito perché non funziona?”.“Perché se non uso una funzione iniettiva, potrei far corrispondere a tutti i puntidel quadrato anche un solo punto, chessò, 42”.“Bravo. La funzione f(x, y) = 42 comprime il quadrato in un punto, ma non èiniettiva e non può essere usata per i calcoli di cardinalità, naturalmente”.“Ho capito. E questa funzione che alterna le cifre decimali è iniettiva?”.“Sì, perché se prendi due punti diversi nel piano questi differiranno in almenouna coordinata, e quindi almeno una delle due espansioni decimali cambierà”.“Ah, giusto, e allora cambierà anche il numero che otterrai alternando le cifredecimali. Quindi la tua funzione è iniettiva dal quadrato al segmento”.“Sì, addirittura qualche punto del segmento viene lasciato fuori”.“Uh? Quali punti?”.“Per esempio, il punto che corrisponde a 0.190919091909 . . . ”.“Fammi capire, questo punto sarebbe generato da 0.101010 . . . e da 0.999999 . . . .Ah, ho capito, avevamo detto di non considerare il periodo 9. Bè, ancora meglio,siamo riusciti a immergere il quadrato in un sottoinsieme del segmento”.“Proprio così. Allora, applicando il teorema di Cantor-Bernstein-Schröder, pos-siamo dire che quadrato e segmento hanno la stessa cardinalità. E quindi ancheretta e piano, naturalmente”.“Bello. E quindi esistono solo due cardinalità, ℵ0 e c?”.“Oh, no. Ricordati che abbiamo dimostrato che 2α è sempre maggiore di α, edunque puoi costruire una sequenza di cardinali sempre più grandi così comeabbiamo fatto quando siamo passati da ℵ0 a 2ℵ0”.“Facendo l’insieme delle parti, quindi?”.

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“Certo. Se consideri l’insieme delle parti dei numeri reali, questo avrà cardinalità2c, cioè 22ℵ0 ”.“Ah, quindi possiamo salire sempre di più, quanto vogliamo”.“Già”.“Un po’ come contare gli infiniti con i numeri naturali”.“Ecco. . . ”.“Un momento!”.“Ahia”.“E se non fosse come con i numeri naturali?”.“Ahi ahi”.“Magari c’è qualcosa in mezzo tra ℵ0 e 2ℵ0”.“Ohi ohi”.“Ti sei fatto male?”.

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74 CAPITOLO 23. LE DIMENSIONI NON CONTANO

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Capitolo 24

l’ipotesi del continuo

Esistono insiemi più infiniti dei numeri naturali e meno infiniti dei numeri reali?Usando termini un po’ più rigorosi, esistono cardinali maggiori di ℵ0 e minoridi 2ℵ0? Cantor era convinto che la risposta fosse no, ma non riuscì a dimostrarequesta sua affermazione, che diventò nota con il nome di ipotesi del continuo.Il giorno 8 agosto 1900 il matematico David Hilbert tenne una conferenza alcongresso internazionale dei matematici, svoltasi quell’anno a Parigi. In quelsuo discorso di inizio secolo, Hilbert propose alla comunità matematica una listadi problemi che riteneva fondamentali.Il primo della lista era l’ipotesi del continuo.“E dopo tutto questo tempo è stato risolto?”.“Ecco, non esattamente”.“Quindi non si sa ancora se l’ipotesi del continuo è vera oppure no?”.“No, no, si sa tutto, ma la risposta non risolve il problema”.“Come è possibile?”.“Il primo ad occuparsi della dimostrazione fu Kurt Gödel, che nel 1940 riuscì adimostrare che non si può dimostrare che l’ipotesi del continuo sia falsa”.“Oh povero me. Ha dimostrato che non si può fare una dimostrazione?”.“Sì, Gödel era un maestro della metamatematica”.“Mamma mia. Quindi se non si può dimostrare che è falsa, sarà vera?”.“Eh, no. Il fatto che non si possa dimostrare che l’ipotesi del continuo siafalsa significa che gli assiomi della teoria degli insiemi sono compatibili con essa.Immaginare che sia vera non produce contraddizioni, ma ancora non abbiamodimostrato che lo è davvero”.“Va bene. Ma visto che una affermazione può essere vera o falsa, se non è falsaallora è vera”.“Ecco, il fatto è che nel 1963 Paul Cohen dimostrò che non si può dimostrarenemmeno che l’ipotesi del continuo sia vera”.“Eh?”.

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76 CAPITOLO 24. L’IPOTESI DEL CONTINUO

“Sì, hai capito bene. Se immagini che sia vera, non hai contraddizioni. Seimmagini che sia falsa, non hai contraddizioni”.“Quindi può essere sia vera che falsa? Non ha senso!”.“Invece un senso c’è. Queste due dimostrazioni fanno vedere che l’ipotesi delcontinuo è indecidibile, cioè gli assiomi non sono sufficienti per dimostrarla oper negarla”.“E quindi gli assiomi sono incompleti?”.“Esattamente. Puoi farti una teoria degli insiemi in cui l’ipotesi del continuo èvera, e un’altra teoria in cui è falsa. Tutte e due stanno in piedi”.“Ma ce ne sarà una più giusta dell’altra”.“Questa volta sono io che mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.“Perché?”.“Cantor pensava che fosse vera, provò a dimostrarla ma non ci riuscì. Gödel eraconvinto che fosse falsa, invece”.“E però avevano ragione tutti e due”.“Sì, ma Gödel era una testa dura, e pensava che l’impossibilità di dimostrare lasua tesi fosse colpa soltanto del sistema di assiomi, che non era stato scelto inmodo corretto”.“Bella forza! Modifichi le regole e poi dimostri quello che vuoi”.“Bè, non puoi proprio dimostrare quello che vuoi, perché le regole devono esse-re comunque consistenti. Comunque Gödel credeva nell’esistenza degli oggettimatematici in modo indipendente dalla loro dimostrazione. Insomma, l’ipotesidel continuo per lui era falsa perché secondo lui la matematica è fatta così. Senon è riuscito a dimostrarlo vuol dire che non ha usato gli strumenti giusti perosservare una realtà che comunque è lì ed esiste, prima ancora che tu la scopra”.“Wow, ma questa è matematica o teologia?”.“C’è chi dice che, a questi livelli, non ci sia molta differenza”.“Comincio a rendermene conto. . . ”.“C’è una frase emblematica a riguardo, pronunciata da Hilbert. Dice: Nessunopotrà cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato”.“Bella”.“Nello stesso periodo Leopold Kronecker, un matematico al quale non piacevanole idee di Cantor, pronunciò questa: Dio fece i numeri naturali; tutto il resto èopera dell’uomo”.“Ah, ma litigavano pure?”.“Eh sì. E, per concludere, ti ricordi dell’insieme di tutti gli insiemi?”.“Quello innominabile?”.“Quello. Cantor lo chiamava Infinito Assoluto”.“E allora?”.“Bé, per lui l’Infinito Assoluto era Dio”.

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Capitolo 25

numeri ordinali

Avevamo accennato a due modi di contare: i numeri cardinali tengono contodella grandezza di un insieme, mentre i numeri ordinali tengono conto dell’ordinecon cui compaiono gli elementi che voglio contare.La cardinalità, abbiamo visto, è una proprietà degli insiemi. Con i numeriordinali, invece, vogliamo tenere conto anche delle relazioni d’ordine che sonodefinite sugli insiemi che stiamo considerando.È necessaria, ed importante, una prima definizione: un insieme si dice beneordinato se ogni suo sottoinsieme ammette un primo elemento.“Cominciamo con gli esempi?”.“Ok. Prendi l’insieme dei numeri naturali, con l’ordinamento usuale”.“Bene. Poi?”.“Poi prendi un qualunque suo sottoinsieme, finito o infinito, non importa”.“Ok. Prendiamo {42, 272, 314}”.“Domanda: è vero che ammette un primo elemento? Cioè, è vero che haminimo?”.“Certo: 42”.“Ed è vero che questa proprietà è valida per ogni sottoinsieme, anche se infini-to?”.“Direi di sì, se è infinito contiene elementi sempre più grandi, ma un minimoc’è”.“Perfetto. Quindi diciamo che l’insieme dei numeri naturali, dotato dell’ordina-mento usuale, è bene ordinato”.“Ok. E se cambio insieme?”.“Se ricordi, ne avevamo già parlato. Se ammettiamo come vero l’assioma dellascelta, ogni insieme è bene ordinabile”.“Mh, è vero. Avevi anche detto che nessuno è riuscito a trovare un buonordinamento per i numeri reali”.“Esatto”.

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78 CAPITOLO 25. NUMERI ORDINALI

“Però nemmeno i numeri interi sono bene ordinabili. Se prendo un insieme checontiene infiniti numeri negativi, questo non ha minimo”.“Vero, ma questo non significa che gli interi non sono bene ordinabili, ma soloche l’ordinamento che stai considerando non è un buon ordinamento”.“In che senso? Potrei cambiarlo?”.“Certo. Prova a considerare questo nuovo ordinamento degli interi:”

{0, 1,−1, 2,−2, 3,−3, . . . }

.“Ah! Vedo, questo è un buon ordinamento, a sinistra mi fermo”.“Perfetto. Ora facciamo un passo avanti. Ricordi le funzioni biunivoche?”.“Certo, allora la matematica mi sembrava più semplice”.“Bene, quando parliamo di insiemi ordinati, potremmo desiderare che una fun-zione biunivoca tra due insiemi preservi l’ordine”.“Uhm, servirebbe un altro esempio”.“Prendiamo due insiemi ordinati, per esempio 1, 2, 3 e {Qua, Paperino, Papero-ne}”.“Ehm, capisco l’ordinamento del primo insieme, ma non capisco bene quello delsecondo. . . ”.“Diciamo che è quello dell’età. I tre personaggi sono ordinati in base alla loroetà”.“Va bene. Secondo quanto ho imparato, sono due insiemi di cardinalità 3, edesiste una corrispondenza biunivoca tra uno e l’altro”.“Ottimo. Ora ti propongo questa corrispondenza:”.

1 7→ Qua2 7→ Paperone3 7→ Paperino

“Certamente è biunivoca”.“Infatti. Però non preserva l’ordine. Puoi vedere che 2 è minore di 3, ma f(2),cioè Paperone, non è minore di f(3), cioè Paperino”.“Ho capito, ora è chiaro. Se vuoi fare una corrispondenza biunivoca che conserval’ordine devi scrivere questo:”.

1 7→ Qua2 7→ Paperino3 7→ Paperone

“Bene. Ora, se ricordi, avevamo definito i numeri cardinali con le relazioni diequivalenza”.

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“È vero. In un delirio di onnipotenza avevi anche raccontato la parabola deiLego, per spiegare il concetto di classe di equivalenza”.“Perfetto. Ora facciamo la stessa cosa: definiamo numero ordinale una classe diequivalenza di una relazione molto simile a quella usata per i numeri cardinali”.“Allora avevamo detto che due insiemi erano in relazione se esiste una corri-spondenza biunivoca tra loro”.“Giusto. Ora modifichiamo la relazione leggermente: due insiemi bene ordinatisono in relazione se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l’ordinetra loro”.“Ah. Quindi abbiamo una informazione in più, l’ordinamento tra gli elementidi un insieme. Anzi, ne avremmo due in più: gli insiemi devono essere anchebene ordinati”.“Sì, ma ammettendo l’assioma della scelta, tutti lo sono”.“E quindi, ora abbiamo preso gli insiemi bene ordinati e li abbiamo raggruppatisecondo il loro ordinamento?”.“No, li abbiamo raggruppati secondo la loro cardinalità e il loro ordinamento”.“Ah, già, devono avere la stessa cardinalità, perché comunque abbiamo unafunzione biunivoca tra uno e l’altro”.“Esattamente. Ora, ogni classe di equivalenza contiene infiniti insiemi: sarebbebene trovare un modo per scegliere, in maniera standard, un rappresentante”.“E questo modo esiste?”.“Certo, e l’abbiamo anche già visto, quando abbiamo definito i numeri naturalia partire dall’insieme vuoto”.“Uhm, come funzionerebbe?”.“L’insieme vuoto è il rappresentante della classe degli insiemi con zero elemen-ti (l’unica classe che contiene solo un elemento, cioè l’insieme vuoto stesso).Insomma, di insiemi vuoti ce n’è uno solo”.“D’accordo”.“Diciamo allora che l’insieme vuoto è l’ordinale che chiamiamo zero: {} = 0”.“Ah, ora ricordo qualcosa”.“Il secondo ordinale, quello che corrisponde agli insiemi con un elemento, èl’insieme che contiene l’insieme vuoto, cioè l’insieme che contiene lo zero. Lochiamiamo 1: {{}} = {0} = 1”.“Ho capito. Poi indichiamo con 2 l’insieme che contiene 0 e 1: {0, 1} = 2”.“Sì, volendo espandere tutti i simboli dovremmo scrivere così:”.

{{}, {{}}} = {0, {0}} = {0, 1} = 2.

“Va bene, ho capito. In pratica ogni nuovo numero è l’insieme di tutti i vecchinumeri”.“Giustissimo, è proprio così”.“Ma quindi tutti i numeri naturali sono ordinali?”.

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80 CAPITOLO 25. NUMERI ORDINALI

“Già”.“E sono anche cardinali, però”.“Vero”.“Quindi, se non c’è differenza tra ordinali e cardinali, perché li abbiamo defini-ti?”.“Perché la differenza ci sarà, ma più avanti”.“Quanto più avanti?”.“Tanto”.

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Capitolo 26

omega

Ogni ordinale è dunque l’insieme che contiene tutti gli ordinali minori di esso,e questo insieme è bene ordinato. Inoltre gli ordinali finiti corrispondono ainumeri naturali. Poi ci sono gli ordinali transfiniti.“Esistono anche quelli?”.“Certo. Dato che esistono insiemi infiniti e dato che ogni insieme è bene ordina-bile, a ogni insieme dotato di ordinamento puoi associare un ordinale, così comeabbiamo fatto con i cardinali”.“Ah. E quindi anche in questo caso dovremo usare simboli che non sononumeri?”.“Eh sì. Ora definiamo un ordinale transfinito, il più semplice. Associatoall’insieme infinito più semplice, quello dei numeri naturali”.“Sono pronto”.“Ricorderai questa serie di definizioni:”.

0 = {}1 = {0}2 = {0, 1}3 = {0, 1, 2}...

“Sì, certo. Ogni ordinale è l’insieme di tutti gli ordinali che lo precedono”.“Bene. Ora, l’insieme dei numeri naturali può essere visto come un insieme diordinali”.“Sì, direi l’insieme di tutti gli ordinali finiti”.“Ok. Allora definiamo l’ordinale ω in questo modo: ω = {0, 1, 2, 3, . . . }”.“Bé, mi pare di capire che questo ordinale sia l’insieme dei numeri naturali”.“È così, come l’ordinale 4 è l’insieme {0, 1, 2, 3}”.

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82 CAPITOLO 26. OMEGA

“Va bene, ma non lo avevamo chiamato ℵ0?”.“Oh, no. Con ℵ0 avevamo indicato solo la cardinalità dell’insieme dei naturali,non abbiamo mai parlato dell’ordinamento. Esistono insiemi di cardinalità ℵ0

che però corrispondono a un ordinale diverso da ω”.“Uh? Vorrei un esempio”.“Va bene, ma prima ti farò un esempio di un insieme diverso da quello deinaturali che corrisponde sempre allo stesso numero ordinale”.“Va bene, vai”.“Considera questo insieme: {Piccolino, 0, 1, 2, . . . }”.“Carino, è l’insieme dei numeri naturali ai quali hai aggiunto Piccolino. Ma hasempre cardinalità ℵ0, come insegna il paradosso dell’albergo di Hilbert”.“Giusto. Devi però osservare che ho aggiunto un elemento all’interno di uninsieme ordinato, e quindi ho specificato anche come funziona l’ordinamento perquesto nuovo elemento: in pratica, Piccolino è minore di tutti gli altri numeri”.“Va bene, avresti potuto chiamarlo −1, però”.“Certo, ma preferisco così per analogia con l’esempio che ti farò dopo”.“Allora ok, chiamiamolo Piccolino”.“Questo insieme, allora, è in corrispondenza biunivoca con quello dei naturali?”.“Sì, certo, come con l’albergo di Hilbert. Basta spostare tutti i numeri diuna posizione per fare posto a Piccolino. In questo modo mantengo anchel’ordinamento”.“E quindi, anche questo insieme corrisponde al numero ordinale ω”“Sì, giusto”.“Ora considera quest’altro insieme: {0, 1, 2, . . . , Gigante}”.“Uhm, cosa c’è al posto di quei puntini?”.“L’elenco di tutti i numeri naturali. Prevengo la tua obiezione: avere scrittoGigante dopo infiniti numeri significa che Gigante, nell’ordinamento dei naturali,è maggiore di qualunque altro numero”.“Uhm, mi pare di capire. Anche questo insieme ha cardinalità ℵ0, però. . . ”.“Però?”.“Però non riesco più a fare una corrispondenza biunivoca che mantiene l’ordine”.“Perché no?”.“Perché non so dove sistemare quel Gigante. Se devo mantenere l’ordine, dovreifarlo corrispondere con un numero naturale maggiore di tutti gli altri. Solo chequesto numero non esiste”.“Bravo. Hai capito che questo insieme non corrisponde all’ordinale ω”.“E a quale ordinale corrisponde?”.“Te lo dico dopo che avremo imparato a fare le operazioni”.

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Capitolo 27

ordinali in ordine

Sembra un gioco di parole, ma è possibile stabilire un ordinamento tra gli or-dinali. Per farlo, occorre una definizione preliminare: dato un insieme beneordinato A, si chiama segmento iniziale di un elemento x appartenente ad Al’insieme di tutti gli elementi che precedono x nell’ordinamento stabilito su A,e lo si indica con s(x).

Per esempio, se A è l’insieme dei numeri naturali, s(3) = {0, 1, 2}.

A questo punto possiamo definire l’ordinamento tra gli ordinali. Dati i dueordinali α e β, se esiste una corrispondenza biunivoca che conserva l’ordine traα e un segmento iniziale di β, diciamo che α è minore di β. Viceversa, se esisteuna corrispondenza biunivoca che conserva l’ordine tra un segmento iniziale diα e β, allora diciamo che β è minore di α. Se poi esiste una corrispondenzabiunivoca che conserva l’ordine tra α e β, allora α è uguale a β.

“Non ci ho mica capito molto, sai?”.

“Esempio facile: sono dati i due ordinali 3 e 5. Ricordi che sono insiemi, vero?”.

“Sì, 3 è uguale a {0, 1, 2} mentre 5 è uguale a {0, 1, 2, 3, 4}”.

“Ottimo. È vero che esiste una corrispondenza biunivoca tra i due?”.

“No”.

“Ed è vero che puoi mettere in corrispondenza biunivoca uno dei due con unsegmento dell’altro?”.

“Sì: in pratica il primo insieme è un segmento del secondo. Metto in corrispon-denza lo 0 del primo insieme con lo 0 del secondo, poi 1 del primo insieme con1 del secondo, poi 2 del primo col 2 del secondo. Rimangono fuori, dal secondo,3 e 4”.

“Bene, secondo la definizione allora 3 è minore di 5”.

“Ah, certo. Non è che prima non lo sapessi, eh”.

“Lo so, ma questo era un esempio semplice, per capire. Ora prendi questi dueinsiemi:”.

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84 CAPITOLO 27. ORDINALI IN ORDINE

{0, 1, 2, . . . }{0, 1, 2, . . . , Gigante}

“Ah, me li ricordo. Avevamo detto che non si riesce a metterli in corrispondenzabiunivoca se si vuole mantenere l’ordine”.“Esatto. Ma prova a considerare questo segmento iniziale del secondo insieme:s(Gigante)”.“Uhm, è formato da tutti gli elementi minori di Gigante”.“Giusto, quindi?”.“Quindi è l’insieme dei naturali. Ah! Ci sono: esiste una corrispondenzabiunivoca che mantiene l’ordine tra il primo insieme e un segmento del secondo”.“Allora, se li vediamo come ordinali, il primo è minore del secondo”.“Il primo l’abbiamo chiamato ω, ma il secondo?”.“Daremo un nome al secondo quando impareremo a fare le operazioni”.“Uffa”.“Per adesso, ragiona su questo tipo di ordinamento”.“Che ragionamenti devo fare?”.“Per prima cosa, dato un ordinale, possiamo dire che esiste sempre il successivo”.“Uhm, con i numeri naturali è ovvio, ma con gli ordinali transfiniti come si fa?”.“Devi tener presente che ogni ordinale è l’insieme di tutti gli ordinali che loprecedono. Ad esempio, 4 = {0, 1, 2, 3}. Ma il successivo di 4 è 5, e 5 è ugualea {0, 1, 2, 3, 4}. Dunque potresti scrivere che 5 = 4 ∪ {4}”.“Aspetta, aspetta: qui stai facendo operazioni tra insiemi?”.“Esatto, non pensare a 4 come a un numero, ma come all’insieme {0, 1, 2, 3}”.“Ah, allora vuoi dire che 5 è uguale all’unione di {0, 1, 2, 3} con {4}. Ok, cosìtorna”.“Bene, allora per ogni numero ordinale possiamo fare questo giochetto: il suc-cessivo di α è α ∪ {α}”.“Mh, allora il successivo di ω cosa sarebbe? ω unito con {ω}?”.“Esatto. Il successivo di ω è uguale a ω ∪ {ω}, cioè {0, 1, 2, . . . , ω}”.“Questo mi ricorda l’insieme di prima, {0, 1, 2, . . . , Gigante}”.“Effettivamente è lui. Ma prima che ti torni in mente di chiedermi come sichiama, ti faccio notare che sebbene ogni ordinale ammetta un successore, nonè vero il contrario”.“Cioè?”.“Cioè non tutti gli ordinali sono successori di qualche altro ordinale”.“Non è possibile! Se il successore di 4 è 5, allora 5 è successore di 4, no?”.“Senza dubbio. Ma puoi dirmi di quale ordinale è successore ω?”.

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“. . . ”.“Di nessuno, vero?”.“Già”.“E allora lo chiamiamo ordinale limite. Vedi, gli ordinali sono insiemi beneordinati, e quindi hanno sempre un minimo. Ma non è detto che abbiano unmassimo. Se ce l’hanno, allora sono successori di qualche ordinale. Per esempio,4 = {0, 1, 2, 3}. Il massimo è 3, dunque 4 è successore di 3. Ma ω = {0, 1, 2, . . . }non ha massimo, e quindi non è successore di nessun ordinale”.“Ok, va bene. Mi è venuto in mente che anche 0 non è successore di nessunordinale”.“Giusto, però lo escludiamo dalla definizione di ordinale limite. L’insieme vuotoè sempre un po’ speciale”.

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86 CAPITOLO 27. ORDINALI IN ORDINE

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Capitolo 28

somme di ordinali

Per poter parlare di somme di ordinali serve una semplice definizione: diciamoche C è il concatenamento dei due insiemi bene ordinati A e B se C è ottenutounendo A e B in modo tale che all’interno di A e di B sia mantenuto l’ordina-mento che già avevano prima, che tutti gli elementi di A siano minori di tuttigli elementi di B, e che gli elementi di A e di B vengano considerati distinti.“Mamma mia, questa è una definizione da Vero Matematico”.“Ma no, è semplice, con un esempio si capisce subito”.“Sarà. Vediamo l’esempio”.“Cominciamo da due insiemi finiti: A = {1, 2, 3} e B = {a, b, c, d}. L’insieme Cè semplicemente {1, 2, 3, a, b, c, d}”.“Tutto qua?”.“Ti avevo pur detto che è semplice. Nota che tutti gli elementi di A e di Bhanno mantenuto il loro ordine iniziale, in più ogni elemento di A è minore diogni elemento di B”.“Va bene, è facile. Noi però vogliamo parlare di somme di ordinali”.“Vero. Prendiamo allora due ordinali finiti, per esempio 3 = {0, 1, 2} e 4 ={0, 1, 2, 3}”.“Mh, questa volta se facciamo l’unione otteniamo {0, 1, 2, 0, 1, 2, 3}, che peròsarebbe uguale a {0, 1, 2, 3}”.“Infatti così non va bene. Devi ragionare immaginando un’operazione preli-minare: bisogna cambiare nome agli elementi di B, anche solo mettendo unsegno ad ognuno. Per esempio, prova con questi due insiemi: 3 = {0, 1, 2} e4 = {0′, 1′, 2′, 3′}”.“Ah, ok, in questo modo ottengo {0, 1, 2, 0′, 1′, 2′, 3′}. Assomiglia all’esempioche hai fatto prima con {1, 2, 3} e {a, b, c, d}”.“Infatti è lo stesso esempio, in cui abbiamo cambiato nome agli elementi dell’in-sieme. Noterai anche che l’insieme che abbiamo ottenuto è bene ordinato, ed èquindi in corrispondenza con un ordinale”.“Ma i Veri Matematici fanno così? Perché non mi sembra una definizione daVero Matematico, questa”.

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88 CAPITOLO 28. SOMME DI ORDINALI

“Bé, non fanno proprio così. Volendo essere più rigorosi, invece di rinominare glielementi del secondo insieme quando sono uguali a quelli del primo, consideranodue nuovi insiemi: il primo formato da coppie del tipo (a, 0), dove a è unelemento di A. Il secondo formato da coppie del tipo (b, 1), dove b è in B. Inquesto modo tutti gli elementi del primo tipo sono certamente diversi da quellidel secondo tipo”.“Ho capito. In questo caso otterremmo un insieme fatto così:

{(0, 0), (1, 0), (2, 0), (0, 1), (1, 1), (2, 1), (3, 1)}.

È vero che è bene ordinato, come dicevi prima, ma non è un ordinale nella suaforma standard”.“Puoi convertirlo nella forma standard rinominando i suoi elementi ancora unavolta, partendo da 0 e andando avanti. In questo modo ottieni {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6}”.“Che sarebbe l’ordinale 7”.“Perfetto, questa è la somma: hai dimostrato che 3 + 4 = 7”.“Va bene, ma questi giochini funzionano con gli ordinali finiti. Se invece liprendiamo infiniti?”.“Se invece li prendiamo infiniti le cose si complicano un po”’.“Capirai”.“Per esempio, proviamo a calcolare 1 + ω. Concordiamo di non rinominare glielementi, in questo modo la scrittura è più semplice, va bene?”.“Ok, se vedo qualche numero che si ripete so che va considerato come unelemento diverso dai precedenti”.“Bene. Allora, 1 = {0}, mentre ω = {0, 1, 2, . . . }. Quindi come risulterebbel’insieme somma?”.“Facile: {0, 0, 1, 2, . . . }”.“Bene. Con quale insieme è in corrispondenza biunivoca? Attenzione che deveessere una corrispondenza che conserva l’ordine”.“Facile anche questo, perché è l’esempio dell’albergo di Hilbert. Se riconto tutto,è in corrispondenza con {0, 1, 2, . . . }”.“Perfetto. Dunque 1 + ω = ω”.“Come con i cardinali?”.“Esatto: 1 + ℵ0 = ℵ0. Ma prova ora a calcolare ω + 1”.“Non l’abbiamo appena fatto?”.“No, abbiamo fatto 1 + ω, e sai che i Veri Matematici sono molto pignoli suqueste cose. Se c’è scritto ω + 1, calcola ω + 1 secondo la definizione”.“Vabbé, anche se non capisco l’utilità. Mi risulta {0, 1, 2, . . . , 0}. Uhm. . . ”.“Cominci a capire?”.“Già. Mi ricorda l’esempio che avevi fatto con {0, 1, 2, . . . , Gigante}”.“Esatto. Ricordi che non si riesce a fare una corrispondenza biunivoca traquell’insieme e {0, 1, 2, . . . }? O meglio, non si riesce a fare una corrispondenzabiunivoca che conserva l’ordine”.

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“È vero. Il secondo 0 dovrebbe essere un elemento maggiore di tutti gli altri,ma non riesco a metterlo in corrispondenza biunivoca con nessun elemento di{0, 1, 2, . . . }, perché quest’ultimo insieme non contiene un elemento con quellacaratteristica”.“E dunque ω + 1 è diverso da ω”.“Già”.“Volendo essere più precisi, ω + 1 è maggiore di ω: lo avevamo notato quandoabbiamo parlato dell’ordinamento degli ordinali”.“Giusto. E quindi. . . oh oh”.“Che succede?”.“Stavo pensando. . . ma allora possiamo fare anche ω + 2, ω + 3, e possiamoandare avanti sempre. . . ”.“Vedo che ti si è accesa una lampadina”.“E allora potremmo anche scrivere ω + ω!”.“Fattoriale?”.“No, stupore!”.

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90 CAPITOLO 28. SOMME DI ORDINALI

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Capitolo 29

somme non commutative

Con i numeri ordinali la proprietà commutativa non vale più. Abbiamo visto che1+ω è uguale ancora a ω, mentre ω+1 è un numero diverso. Più precisamente,ω + 1 è il successore di ω: avevamo infatti detto che ogni ordinale è l’insieme ditutti gli ordinali che lo precedono, e che quindi il successore di ogni ordinale αè α ∪ {α}. Come 3 è uguale a 2 ∪ {2}, cioè {0, 1} ∪ {2} = {0, 1, 2}, così ω + 1 èuguale a ω ∪ {ω}, cioè {1, 2, . . . , ω}.“Ma allora come dobbiamo fare se vogliamo calcolare una somma un po’ piùcomplicata di ω + 1?”.“Ci aiutiamo con le parentesi, e stiamo attenti all’ordine. Per esempio, suppo-niamo di voler calcolare la somma tra ω + ω + 1 e ω + 4”.“Ok. La facciamo nei due modi possibili?”.“Sì. Cominciamo da (ω + ω + 1) + (ω + 4)”.“Va bene. Allora, io scriverei una cosa del genere:”.

{0, 1, . . . , 0, 1, . . . , 0}+ {0, 1, . . . , 0, 1, 2, 3}

“E quanto fa?”.“Boh? Come faccio a saperlo?”.“Devi ricontare tutto, per vedere se puoi semplificare qualcosa”.“Allora forse è meglio se prima metto tutto in fila, togliendo le parentesi inter-medie”.

{0, 1, . . . , 0, 1, . . . , 0, 0, 1, . . . , 0, 1, 2, 3}

“Perfetto. Ricordati che i simboli uguali devono essere sempre consideratidiversi, e che al posto dei puntini ci sono infiniti numeri. Ora prova a ricontare”.“Dunque, vediamo: il primo pezzo 0, 1, . . . corrisponde a ω”.“Giusto”.“Anche il secondo pezzo 0, 1, . . . corrisponde a un altro ω”.“Bene”.

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92 CAPITOLO 29. SOMME NON COMMUTATIVE

“Poi c’è 0, 0, 1, . . . . Però, se riconto, anche questo corrisponde a ω. È analogoall’albergo di Hilbert: ho aggiunto un elemento all’inizio, spostando di un postotutti gli altri”.“Perfetto”.“Rimane 0, 1, 2, 3. Bé, questo è facile, è uguale a 4”.“Giusto. Riassumendo?”.“Riassumendo: (ω + ω + 1) + (ω + 4) = ω + ω + ω + 4”.“Ottimo. Ora prova a calcolare (ω + 4) + (ω + ω + 1)”.“Ok, vado. Il risultato si dovrebbe scrivere così”.

{1, 2, . . . , 0, 1, 2, 3, 0, 1, . . . , 0, 1, . . . , 0}

“Giusto. Ricontando come diventa?”.“Allora, abbiamo un ω all’inizio, poi la sequenza 0, 1, 2, 3, 0, 1, . . . è un altro ω,poi un terzo ω e infine un 1. Se ho fatto bene i conti, risulta ω + ω + ω + 1.Diverso dal risultato precedente”.“Proprio così. In generale, due numeri ordinali possono essere sommati in duemodi diversi”.“Ho capito. Tre ordinali potranno essere sommati in sei modi diversi, quattroin ventiquattro, eccetera”.“Invece no”.“Ho sbagliato i calcoli? Eppure, non mi sembra. . . ”.“No, i calcoli in sé vanno bene. Il fatto è che con gli ordinali alcuni risultaticoincidono. Per esempio, quando sommi tre ordinali non hai sei possibilità, masolo cinque, perché due di queste possibilità coincideranno sempre”.“Uhm”.“La dimostrazione del caso generale è complicata, sta in un articolo di 13 paginepubblicato dalla rivista scientifica Fundamenta Mathematicæ”.“Wow. Cosa dice il caso generale?”.“Dice che il numero più grande possibile di somme distinte di n numeri ordinali,per n che va da 1 in poi, segue questa successione:”.

1, 2, 5, 13, 33,

81, 193, 449, 332, 33× 81,

812, 81× 193, 1932, 332 × 81, 33× 812,

813, 812 × 193, 81× 1932, 1933, 33× 813,

e da qui in poi moltiplichi per 81 la riga precedente:

814, 813 × 193, 812 × 1932, 81× 1933, 33× 814,

. . .

“Posso permettermi un commento?”.“Lo so, è una schifezza”.

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Capitolo 30

Telegraph Road

Come moltiplicare i numeri ordinali? Partiamo da ordinali finiti: che significala scrittura 3×2? Dobbiamo leggerla in questo modo: tre per due volte. E cioè,dobbiamo mettere due copie di 3 una di fianco all’altra:

{0, 1, 2}+ {0, 1, 2} = {0, 1, 2, 0, 1, 2}.

Se ricontiamo, otteniamo {0, 1, 2, 3, 4, 5}, cioè 6.Se invece calcoliamo 2×3, dobbiamo mettere tre copie di 2 una di fianco all’altra:

{0, 1}+ {0, 1}+ {0, 1} = {0, 1, 0, 1, 0, 1}.

Anche in questo caso, dopo aver ricontato, si ottiene 6.“Sembra commutativa”.“Certo, con gli ordinali finiti tutto è normale.”.“Vuoi dire che con quelli infiniti le cose cambiano?”.“Sì. Prova a calcolare 2× ω”.“Uhm, 2 per ω volte. Vediamo, dovrei scrivere una cosa del genere:”.

{0, 1, 0, 1, 0, 1, . . . }

“Giusto. Se riconti, ti accorgi subito che ottieni ω”.“È vero. Dici che se provo a calcolare ω × 2 ottengo un risultato diverso?”.“Prova”.“Allora, in questo caso ho due copie di ω, quindi posso scrivere così:”.

{0, 1, 2, . . . , 0, 1, 2, . . . }

“Giusto. Ti sembra ancora uguale a ω?”.“Eh, no, qui ci sono due numeri che non sono successori di nessun numero, cioèi due zeri. Questo è ω + ω”.

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94 CAPITOLO 30. TELEGRAPH ROAD

“Ottimo. Quindi ω × 2 = ω + ω”.“Ho capito. Allora potrei calcolare anche ω × 3, poi ω × 4, e così via. Possocalcolare anche ω × ω?”.“Sì. Prova a scriverlo”.“Uh, qui servono tanti puntini. Vediamo, posso scrivere così:”.

{0, 1, 2, . . . , 0, 1, 2, . . . , 0, 1, 2, . . . , . . . }

“Non sono tanto belli quei puntini finali”.“Lo so, ma se non li scrivo non si capisce che l’insieme è diverso da ω × 3”.“Hai ragione. Ti mostro un sistema alternativo per rappresentare questo nume-ro:”.

“Wow, ma che roba è?”.“Immagina che il primo segmento verticale sia lo 0 iniziale”.“Bene”.“Il secondo è il primo 1”.“Vedo che è un po’ più corto del primo”.“Sì, è una specie di rappresentazione in prospettiva. Se noti, ogni segmento èpiù corto del precedente. I vari segmenti si rimpiccioliscono e si infittiscono,come se andassero verso l’infinito”.“Ah, ora vedo! Come i pali del telegrafo che corrono a fianco di una strada”.“Proprio così. E in questa figura sono rappresentate ω linee del telegrafo, semprepiù lontane. Questo è ω × ω, cioè ω2”.“E dopo avremo anche ω3, suppongo?”.“Supponi bene. Poi ω4, ω5, e così via”.“Fino a ωω?”.“Fino a quello, e oltre”.“Fermiamoci un attimo a quello, che mi sembra già abbastanza grande. Comepotremmo rappresentarlo?”.“È ancora più difficile, perché comprende troppi livelli di infinito per poterlorappresentare ancora come un insieme di pali del telegrafo. Un modo è quello

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di rappresentare una spirale. Ad ogni giro hai una potenza di ω, quindi ad ognigiro i segmenti si avvicinano sempre più in fretta”.“Mamma mia”.“Sì, fa girare la testa. . . ωω si ottiene affiancando tutti gli schemi per 1, ω, ω2,ω3, . . . ”.“Basta, basta, fa girare la testa davvero. Mi piacerebbe vedere la figura”.“Eccola”.

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96 CAPITOLO 30. TELEGRAPH ROAD

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Capitolo 31

torri di potenze

Abbiamo visto un esempio di potenza tra numeri ordinali: ωω. In generalela potenza di numeri ordinali può essere definita per induzione, ma dobbiamoricordarci che si sta parlando di induzione transfinita, cioè di un procedimentotra numeri ordinali, e non “semplici” naturali.“Poveri naturali, ridotti al rango di numeri semplici. . . ”.“Hai ragione, anche se la struttura degli ordinali è certamente più ricca ecomplessa”.“Anche questo è vero. Ma cosa sarebbe questa induzione transfinita?”.“Ricordi che abbiamo già parlato dell’induzione?”.“Sì. Dicevamo che se una proprietà è vera per 0, e che se l’essere vera per uncerto n implica che sia vera anche per n + 1, allora la proprietà è vera sempre.Una specie di effetto domino”.“Proprio così. Si basava sul concetto di successore di un numero: la proprietàvalida per n si trasferisce su n+1, e così via. Possiamo formulare una proprietàanaloga per gli ordinali”.“Sì, in effetti anche per gli ordinali abbiamo il concetto di successore”.“Giusto, ma ricordati che non tutti gli ordinali sono successori di qualche ordi-nale”.“Ah, è vero. Mi avevi già fatto l’esempio di ω: non è successore di nessunnumero”.“Bravo. L’avevamo chiamato ordinale limite”.“E come facciamo in questo caso?”.“Dobbiamo formulare il principio di induzione in modo un po’ diverso: per ogniordinale b, se la proprietà P (a) vale per tutti gli ordinali a minori di b, alloravale anche P (b)”.“Uhm”.“Pensa a ω. Ricordi che ω è uguale a {0, 1, 2, . . . }?”.“Sì, è la definizione”.

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98 CAPITOLO 31. TORRI DI POTENZE

“E quali sono tutti gli ordinali minori di ω?”.

“Sono tutti i numeri naturali”.

“Bene. Dunque, se dimostri che una certa proprietà è vera per tutti i naturali,allora puoi dire che è vera anche per ω. Poi puoi continuare normalmente conω + 1, ω + 2, e così via. Ogni volta che vuoi passare a un ordinale limite, deviconsiderare tutti gli ordinali minori”.

“Ok, ho capito”.

“Bene, ora possiamo parlare della definizione di potenza. Prima di tutto,diciamo che α0 = 1”.

“Ok, questo mi pare ragionevole”.

“Poi, sistemiamo tutti i successori: αβ+1 = αβα”.

“Ok. Per quanto riguarda i numeri naturali, questa è la solita regola”.

“Giusto. Ora il passo riguardante gli ordinali limite: se δ è un ordinale limite,allora αδ è l’ordinale limite che si ottiene prendendo tutti gli αβ per tutti i βminori di δ”.

“Credo di aver capito. Come diventa, nel caso di ωω?”.

“Siccome ω è un ordinale limite, devi considerare tutti gli ωβ per tutti i β minoridi ω, cioè per tutti i β naturali”.

“E quindi dovrei considerare l’ordinale limite che si ottiene prendendo tutte lepotenze di ω una dopo l’altra?”.

“Sì: ωω = 1 + ω + ω2 + ω3 + . . . ”.

“Ah, ora capisco meglio quella figura a spirale che mi hai fatto vedere. E adessoche abbiamo definito la potenza, possiamo naturalmente andare avanti quantovogliamo?”.

“Certo. Ormai dovresti aver capito che con gli ordinali si può sempre andareavanti. Ecco una prima sequenza di ordinali:”.

ωω + 1, ωω + 2, ωω + 3, . . . , ωω + ω.

“Ah, l’ultimo è un nuovo ordinale limite”.

“Poi saliamo ancora:”.

ωω + ω × 2, ωω + ω × 3, . . . , ωω + ω2.

“Hai passato un altro limite”.

“E poi ancora:”.

ωω + ω2 + 1, . . . , ωω + ω2 + ω.

“Sempre più grande”.

“Ora vado un po’ più in fretta:”.

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ωω + ω3, . . . , ωω + ωω = ωω × 2,

ωω × 2 + 1, . . . , ωω × 3, . . . , ωω × 4, . . . , ωω × ω = ωω+1.

“Wow, sei andato decisamente in fretta”.“E poi ancora:”.

ωω+1 + 1, . . . , ωω+1 + ω, . . . ωω+1 + ω2, . . . , ωω+1 + ωω, . . . ,

ωω+2, . . . , ωω+3, . . . , ωω×2, . . . , ωω×3, . . . , ωω2.

“Anche le doppie potenze?”.“Non solo doppie:”.

ωω2, . . . , ωω3

, . . . , ωω4, . . . , ωωω

, . . . , ωωω+1, . . . , ωωωω

, . . . , ωωωωω

.

“Mamma mia, e io che pensavo che ω fosse già abbastanza grande. . . ”.

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100 CAPITOLO 31. TORRI DI POTENZE

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Capitolo 32

forma normale di Cantor

Le operazioni di somma, prodotto e potenza di ordinali ci permettono di co-struire numeri sempre più grandi. Esiste un modo standard per esprimerli, chepotremmo considerare come una specie di numerazione posizionale in base ω.

“Eh?”.

“Sai cos’è un sistema di numerazione posizionale?”.

“Ehm. . . ”.

“Allora prova a calcolare XXIII×XLII”.

“Roba da matti, adesso scrivi in numeri romani. Questi li conosco, sai? Devocalcolare 23× 42. Posso usare la calcolatrice?”.

“Non se ne parla neanche. Non puoi usare la calcolatrice, puoi usare carta epenna, non puoi usare cifre arabe”.

“Come sarebbe? E allora come faccio?”.

“Preferiresti usare le cifre arabe?”.

“Certo”.

“Perché?”.

“Perché se non mi lasci usare la calcolatrice mi metto a fare i conti a mano. Lemoltiplicazioni in colonna dovrei ricordarmele ancora”.

“E non puoi usare i numeri romani?”.

“Eh, no. Non funziona, non si riesce a incolonnare, non si fanno i riporti”.

“Perfetto. Per incolonnare e fare i riporti serve un sistema di numerazioneposizionale”.

“Mmh. . . ”.

“Un sistema che ti permetta di usare pochi simboli (noi ne usiamo dieci), didistinguere tra unità, decine, centinaia, e così via. E di fare quindi i riporti”.

“Ah, ho capito”.

“Quando noi scriviamo 42 intendiamo 4 decine e 2 unità. Cioè 4× 10 + 2”.

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102 CAPITOLO 32. FORMA NORMALE DI CANTOR

“Ah, ok, questo lo sapevo. Avevamo parlato anche della numerazione binaria,tempo fa. In quel caso è tutto basato sulle potenze di 2. Bene, ora ricordo tutto.E con gli ordinali dici che si fa un sistema in base ω?”.“Sì. Se ripensi a tutti i calcoli che abbiamo fatto, noterai che un numero ordinalepuò contenere una parte finita, poi una parte che contiene ω, una parte checontiene ω2, e così via. Puoi andare avanti quanto vuoi e costruire una torre dipotenze di ω. Eccoti un esempio di un numero ordinale abbastanza complicatoda scrivere:”.

ωωω×7+42×272+ω3+84 × 4 + ωωω

× 6 + 3141.

“Ok, ci sono. Sommando, moltiplicando e facendo potenze possiamo otteneretutti gli ordinali, e li possiamo scrivere in questo modo”.“No, non è così, non tutti gli ordinali”.“No? Eppure. . . se facendo qualunque operazione otteniamo un ordinale di queltipo, cosa non riusciamo a scrivere?”.“Noi riusciamo a scrivere in quel modo, che si chiama forma normale di Cantor,solo gli ordinali che si ottengono facendo un numero finito di somme, prodottie potenze”.“Ah, perché, possiamo farne anche un numero infinito?”.“Stiamo o non stiamo parlando di infinito?”.

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Capitolo 33

così tanto da dire, così pocoper dire

Utilizzando un numero finito di somme, moltiplicazioni e potenze di ordinali,possiamo esprimere “solo” ordinali nella forma normale di Cantor. La potenza,che è l’operazione che ci permette di esprimere in modo conciso gli ordinali piùgrandi, ci ha condotti alla scrittura di una torre di potenze di ω:

ω, ωω, ωωω

, ωωωω

, . . . , ωωωω...

.

Ora la domanda è: possiamo continuare all’infinito? E, se sì (ed è certamentesì, i passaggi all’infinito ormai non ci spaventano più), cosa otteniamo?Partiamo dall’inizio, definendo una successione di potenze:

a1 = 1,

an+1 = ωan .

“Uhm, vediamo. . . a2 dovrebbe essere ω, giusto?”.“Giusto”.“Poi a3 dovrebbe essere ωω”.“Giusto anche questo”.“Ok, ci sono, ogni volta che aumenta n aumenta di un piano la torre di potenze”.“Perfetto. Ora indichiamo con x l’estremo superiore dell’insieme di tutti gli ai.In formule: x = sup{ai i < ω}”.“Ok, fin qua ci sono, ma non esagerare con le formule”.“Va bene, ormai ci siamo. Ora calcoliamo ωx”.“Uhm, come si fa?”.“Ricordi la definizione? Dobbiamo prendere ωα per tutti gli ordinali α minoridi x”.

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104 CAPITOLO 33. COSÌ TANTO DA DIRE, COSÌ POCO PER DIRE

“Quindi dovrei prendere. . . un momento! Tutti gli ordinali minori di x sono tuttiquelli che abbiamo considerato finora, perché x è l’estremo superiore dell’insiemeche contiene tutte le potenze di base ω. In pratica dobbiamo prendere di nuovox”.“Giusto. Detto in termini poco rigorosi ma più chiari, se hai una torre infinitadi potenze di ω e aggiungi un altro esponente ω, non cambia nulla”.“E quindi cosa abbiamo ottenuto?”.“Abbiamo ottenuto un x tanto grande che ωx = x”.“Sembra un’equazione”.“È un’equazione. Noi abbiamo ottenuto il più piccolo x che la soddisfa, cheCantor ha chiamato ε0. Oltre a indicarlo con una torre di potenze infinita,possiamo anche indicarlo in questo modo:”.

ε0 = 1 + ω + ωω + ωωω

+ · · ·

“Ohi ohi”.“Che c’è?”.“Quell’indice 0. . . ”.“Sì?”.“Vuol forse dire che ce ne sono altri?”.“Naturalmente. Sempre soluzioni di ωx = x. Il prossimo si chiama ε1”.“Ci avrei scommesso”.“Eccolo qua:”.

ε1 = (ε0 + 1) + ωε0+1 + ωωε0+1+ · · ·

“Gulp”.“Poi ci sono ε2, ε3, . . . , εω”.“Argh”.“Poi εω2 , . . . , εωω ”.“Ma no, si ricomincia!”.“E guarda questa sequenza:”.

εε0 , εεε0, . . . , εεεε...

.

“Ma non si finisce mai!”.“Mai. Osserva che l’ultimo numero è la prima soluzione di εx = x”.“Non oso pensare a quello che viene dopo”.“Il fatto è che possiamo giusto solo pensarci”.“Perché?”.“Perché possiamo andare avanti quanto vogliamo, all’infinito, e definire nuovinumeri. Ma non avremo mai abbastanza parole per farlo”.

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“In che senso?”.“Nel senso che con le lettere dell’alfabeto possiamo formare soltanto un insiemefinito di parole. Al limite possiamo immaginare un dizionario infinito di parole,anche se non potremo mai leggerle tutte. Ma se anche le usassimo tutte perdare un nome ai nuovi numeri che definiremo, avremo comunque un’infinitànumerabile di nomi a disposizione. Cioè ne avremo ℵ0”.“Ah”.“Mentre di ordinali ne possiamo definire molti di più. Ma anche se ci limitiamoai soli numeri reali, non avremo mai parole a sufficienza per dare un nome adognuno. Figuriamoci dare un nome a tutti gli ordinali”.“E quindi?”.“E quindi ci fermiamo qui, immaginando tutto il resto solo con il pensiero, senzausare altre parole”.“Peccato, mi dispiace che il cammino verso l’infinito finisca qua. Avrei peròun’ultima domanda”.“Quale?”.“Il fatto che questo post venga pubblicato l’otto ottobre duemilaeotto alle ottoe otto è un caso?”.“Questo te lo lascio come esercizio”.

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106 CAPITOLO 33. COSÌ TANTO DA DIRE, COSÌ POCO PER DIRE

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Capitolo 34

epilogo

È finita, eh. Grazie per essere arrivati fino in fondo. . .

Questa saga è nata grazie a vari stimoli che ho ricevuto nel corso dei miei studimatematici, che pian piano si sono accumulati in un angolino della mia testa ehanno prodotto tutto ciò.

La prima volta in cui ho sentito parlare di cardinali transfiniti è stata duranteil primo anno di matematica, nel corso di algebra. Il prof (buonanima) eraun vero barone universitario, uno che prima di ogni lezione si faceva lavaredai bidelli la lavagna (cosa che piacerebbe tantissimo anche a me — ma se lochiedo ai bidelli della mia scuola come minimo mi sparano), uno che scrivevauna formula ogni cinque minuti, e per il resto del tempo parlava, e noi dovevamoarrangiarci con gli appunti. Uno che una volta si è fermato nel mezzo di unalezione per sgridare una ragazza che era di fianco a me perché aveva sbadigliatosenza mettersi la mano davanti alla bocca, per dire. Uno sul quale si narravanoleggende metropolitane, come quella che raccontava che lui scrivesse anche ivoti minori di 18 sul libretto. Nonostante il terrore misto a odio che provavo neisuoi confronti e nei confronti dell’algebra, sono rimasto affascinato dai numericardinali.

Lo stile a dialogo è nato un po’ per caso. Inizialmente avevo pensato di inserirequalche dialogo qua e là, ma poi ho visto che quella forma mi permetteva dicapire meglio gli argomenti di cui parlavo. . . e quindi l’ho adottata. Gran partedelle definizioni e dei teoremi di cui ho scritto mi sono diventati più chiarimentre cercavo di far sì che il Vero Matematico rispondesse in modo semplice.Tanti grandi scrittori hanno usato questo stile, ma l’ispirazione maggiore mi èvenuta dai dialoghi del professor Apotema: si trovano sul mensile il Leonardo,pubblicato dall’ITI Vinci di Carpi, leggeteli perché sono bellissimi (può darsi cheil link cambi nel tempo, comunque dalla home page del sito ci si arriva sempre).Invece di due interlocutori, in quei dialoghi c’è una classe intera.

Poi c’è la parte sugli ordinali. Avrete visto che è meno rigorosa, senza teoremi.Quella non l’ho studiata per l’esame di algebra, e non ho nemmeno un librodi testo con le dimostrazioni. Me la sono guardata per conto mio, utilizzandolibri più o meno divulgativi sull’argomento, e traducendo dall’inglese l’omonimapagina di wikipedia. . .

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108 CAPITOLO 34. EPILOGO

Tutto questo è rimasto a lievitare in silenzio per un po’ di tempo, fino a quandoun amico (un filosofo appassionato di Cantor) non mi ha chiesto: “ma come sidimostra che la cardinalità dei reali è maggiore di ℵ0?”. La risposta che diedi alui stava su due o tre pagine. Qui ho ampliato un po’. . .

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*

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110 CAPITOLO 34. EPILOGO

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Appendice A

Come farebbe il maestro

Parecchi lettori hanno scritto per chiedere se fosse disponibile una raccolta ditutti i post della saga Verso l’infinito, ma con calma: eccola qua. Ho cercatodi mantenere tutti i link presenti nella versione on-line, e ho aggiunto anche unindice analitico.Il signor .mau., da Milano, ha scritto domandando un esempio di ordinale dicardinalità diversa da ℵ0. Lo accontento subito: si tratta dell’insieme di tuttigli ordinali numerabili.“Uhm, non ho capito bene”.“Ma sei ancora qua?”.“Certo, anche io sono curioso di leggere l’appendice”.“Mh. Devo spiegare di più, allora?”.“Sarebbe meglio”.“Va bene. Prendiamo l’insieme che contiene tutti gli ordinali numerabili”.“Mi sfugge il senso della frase. Che significa ordinale numerabile?”.“Ricordi che gli ordinali sono insiemi bene ordinati, vero?”.“Sì, certo”.“E ricordi cosa è la cardinalità di un insieme”.“Naturalmente. Ah, ora capisco: un ordinale numerabile è un ordinale che,considerato come insieme, ha cardinalità ℵ0”.“Bene. Allora raggruppiamo tutti gli ordinali numerabili, e supponiamo perassurdo che la cardinalità dell’insieme che abbiamo ottenuto sia ancora ℵ0”.“Ok, ci sono. Immaginiamo che quell’insieme sia in corrispondenza biunivocacon i naturali, giusto?”.“Esatto. Questo significa che possiamo costruire una successione degli ordinalinumerabili. Immaginiamo che sia fatta così:”.

γ1, γ2, . . . , γν , . . .

“Va bene, per ora ci sono. Abbiamo messo in ordine questi ordinali”.

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112 APPENDICE A. COME FAREBBE IL MAESTRO

“Sì, anche se non abbiamo detto come deve essere fatto questo ordine: non ciinteressa. Probabilmente non sarà quello esistente tra gli ordinali. Comunqueci basta che esista una corrispondenza biunivoca tra N e questo insieme”.“Ok. Poi che si fa?”.“Ora si fa questo: consideriamo il primo ordinale, γ1. Poi andiamo a cercare,nella successione, il primo ordinale maggiore di γ1, e lo chiamiamo γρ2”.“Uhm, ok. Strana notazione, però”.“Eh, hai ragione, ma ci serve tra poco”.“Va bene, andiamo avanti.“Ora consideriamo γρ2 e andiamo a cercare, nella successione di ordinali, ilprimo ordinale maggiore di γρ2 . Questo lo chiamiamo γρ3 . Andiamo avanticosì, e otteniamo una nuova successione:”.

γ1, γρ2 , γρ3 , . . . , γρν , . . .

“Va bene, ci sono, abbiamo riordinato in un modo un po’ strano”.“Molto bene. Ora ti riassumo quello che abbiamo ottenuto. Prima di tutto, unasuccessione di indici:

1 < ρ2 < ρ3 . . . < ρν < ρν+1 < . . . ,

poi una successione di ordinali:

γ1 < γρ2 < γρ3 < . . . < γρν < γρν+1 ,

con la proprietà che γν ≤ γρν ”.“Ecco, se potessimo fare un esempietto. . . ”.“Ok, facciamolo con ordinali finiti, per semplificare le cose, giusto per capire ilprocedimento”.“Va bene, mi piace semplificare”.“Allora prendiamo questa lista di ordinali:

3, 1, 2, 5, 7, 4, 9, 10, . . .

Quale sarà γ1?”.“Vabbé, questo è facile, il primo elemento! Il punto di partenza l’avevo capito:γ1 = 3”.“Bene. Ora scorriamo la lista fino a che non troviamo il primo numero maggioredi γ1”.“Ok. Scartiamo 1, scartiamo 2, troviamo 5. Questo è il primo numero maggioredi 3”.“Giusto. Lo chiamiamo γρ2 . Quindi γρ2 = γ4 = 5”.“Ho capito. Ora cerco, nella lista, il primo ordinale maggiore di 5. Questo nonsi troverà prima di 5, perché i numeri che precedono 5 sono minori dell’ordinale

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precedente, che era 3. E infatti il primo ordinale maggiore di 5 è 7, che si trovanella quinta posizione”.“Bravo. Quindi γρ3 = γ5 = 7”.“Andando avanti, trovo γρ4 = γ7 = 9. . . ”.“Giusto”.“Poi γρ5 = γ8 = 10”.“Molto bene. Ora ci fermiamo perché non conosciamo i prossimi elementi dellalista, ma in realtà si può andare avanti quanto si vuole. Hai notato che la sequen-za degli indici è 1, 4, 5, 7, 8, crescente, e la sequenza degli ordinali è 3, 5, 7, 9, 10,crescente pure questa. Inoltre vale anche la terza relazione”.“Vedo. Ok, e adesso?”.“Adesso prendiamo l’ordinale limite della successione dei γρν

, chiamiamolo δ”.“Va bene, ricordo gli ordinali limite. Sono maggiori di tutti gli ordinali dellasuccessione”.“Bravo. Quindi dovremmo avere che δ > γν per ogni ν”.“Giusto. Qual è il problema?”.“Prova a pensare a cosa è δ. É un ordinale pure lui, è un ordinale limite, equindi ha la stessa cardinalità degli ordinali precedenti, cioè ℵ0”.“Va bene, è successo così anche per tutti gli altri ordinali che abbiamo conside-rato, non vedo dove sia l’assurdo”.“Se δ è un ordinale numerabile, appartiene anche lui alla successione dei γν?”.“Eh? Ah, sì, quella successione era quella di tutti gli ordinali numerabili”.“E quindi δ è uguale a un qualche γν”.“Già”.“Però abbiamo detto che δ è maggiore di tutti i γν”.“Già”.“E quindi?”.“E quindi non va bene, abbiamo una contraddizione”.“Bene, quindi l’insieme di tutti gli ordinali numerabili è un ordinale non nume-rabile”.E qui, a meno di nuove richieste da parte dei lettori, ci fermiamo davvero.

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Indice analitico

0, 792, 442ℵ0 , 52, 53, 6042, 29, 30, 72

albergo di Hilbert, 31, 33, 38, 60, 61,82, 92

ℵ0, 29, 30, 33, 34, 37, 82analisi non standard, 56antinomia, vedi Cosa Bruttaassioma

della scelta, 35, 38, 66, 77di Tarski, 56

assiomi di Peano, 21

buon ordinamento, 77, 83

c, 42, 60, 61, 63, 68, 71campo, 56Cantor, Georg Ferdinand Ludwig Phil-

lip, 27cardinalità, 9, 15, 16, 27, 29, 30, 77classe di equivalenza, 13, 16, 27classe propria, 20Cohen, Paul, 75completezza, 56concatenamento, 87concetto primitivo, 1, 21contare, 7, 8, 15coppia ordinata, 2Cosa Brutta, 15, 16, 19, 20, 30

dimostrazione per assurdo, 47domino, 22

eleganza, 26ε0, 104estremo superiore, 58Eta Beta, 47

Ferrari, 11forma normale di Cantor, 102, 103

frasi celebri, 44funzione, 3, 5, 7, 29, 43

biunivoca, 5, 8, 15, 33iniettiva, 4, 5, 8, 30suriettiva, 5, 8, 30

Gödel, Kurt, 75

Hilbert, David, 75problemi di, 75

infinitesimo, 57Infinito Assoluto, 76ingegneri, 32insieme, 19

delle parti, 41, 42, 52, 72cardinalità, 43, 44, 47, 49

denso, 55vuoto, 25, 79, 85

proprietà, 41insieme di tutti gli insiemi, 17, 19, 20ipotesi del continuo, 73, 75

Kronecker, Leopold, 76

lampadine, 43–45, 52, 59Lego, 11, 13, 15, 79lemma di Zorn, 39

maggiorante, 58Marx, Groucho, 19.mau., 57, 111metamatematica, 75

niente, far finta di, 2, 20, 40, 66Nottetempo, 11numerazione posizionale, 101numero

binario, 44, 59, 102cardinale, 9, 20, 29immaginario, 6intero, 21, 33, 56

114

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INDICE ANALITICO 115

non negativo, 21iperrazionale, 56naturale, 8, 21, 25, 27, 29, 33, 51,

56, 77, 79, 82, 97normale, 27ordinale, 9, 77, 81razionale, 34, 55, 56reale, 53, 55, 56, 105

assiomatizzazione di Tarski, 56cardinalità, 59

romano, 101surreale, 56transfinito, 27

ω, 81, 82, 84, 88ordinale

limite, 85, 97numerabile, 111successore, 84

ordinamento, 56

parabola, 11paradosso

del barbiere, 20, 48di Banach-Tarski, 39, 66

pensiero laterale, 20ping pong, 63platonismo, 57, 76Potter, Harry, 11principio

del buon ordinamento, 39, 77di induzione, 22, 23, 25

transfinita, 97procedimento diagonale di Cantor, 34prodotto cartesiano, 1, 2, 71professor Apotema, 107proprietà archimedea, 56, 57

relazione, 1, 3, 7, 12, 43d’ordine, 63, 77di equivalenza, 12, 13, 16, 78

proprietà riflessiva, 12proprietà simmetrica, 12proprietà transitiva, 13

schifezza, 92segmento iniziale, 83sezione di Dedekind, 55somme di ordinali, 92sottoinsieme, 41

stupore, 89successione, 51

binaria, 51, 52, 59, 61di Cauchy, 55

successore, 22, 25

telegrafo, 94teorema

di Cantor-Bernstein-Schröder, 66,68, 72

di Gödel, 20tetratricotomia, 62torri di potenze, 99, 102, 103tricotomia, 62, 66trucco ignobile, 20

Vero Matematico, 1, 7, 8, 12, 15, 16,20, 21, 26, 42, 47, 48, 53, 55,57, 58, 66, 71, 87

zeresimo, 9