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1 Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato “Carlo Cattaneo” "Ricerca-azione triennale sugli OBIETTIVI di SVILUPPO del MILLENNIO condotta attraverso le ICT nella scuola secondaria di II grado" realizzato in collaborazione con il dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università degli studi di Roma Tre e con l'Agenzia Nazionale per lo sviluppo dell'Autonomia Scolastica. Classi: I B OMT, I D OMT, II D OT e III D OT A.S. 2009/2010 OBIETTIVO DEL MILLENNIO N° 7 : ASSICURARE LA SOSTENIBILITA' AMBIENTALE • Integrare i principi dello sviluppo sostenibile all’interno delle politiche e dei programmi dei paesi e invertire la tendenza alla perdita di risorse ambientali Inquinamento atmosferico Obiettivo: Riflettere sulle misure per contrastare l’inquinamento atmosferico, sulla ricerca nell'ambito dell'energia rinnovabile e sulle nuove soluzioni tecnologiche riguardante la mobilità .

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato

“Carlo Cattaneo”

"Ricerca-azione triennale sugli OBIETTIVI di SVILUP PO del MILLENNIO condotta attraverso le ICT nella scuola secondaria di II grado" realizzato in collaborazione con il

dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università degli studi di Roma Tre e con l'Agenzia Nazionale per lo sviluppo dell'Autonomia Scolastica.

Classi: I B OMT, I D OMT, II D OT e III D OT

A.S. 2009/2010

OBIETTIVO DEL MILLENNIO N° 7 : ASSICURARE LA SOSTENIBILITA' AMBIENTALE

• Integrare i principi dello sviluppo sostenibile all’interno delle politiche e dei programmi dei paesi e invertire la tendenza alla perdita di risorse ambientali

Inquinamento atmosferico

Obiettivo: Riflettere sulle misure per contrastare l’inquinamento atmosferico, sulla ricerca nell'ambito dell'energia rinnovabile e sulle nuove soluzioni tecnologiche riguardante la

mobilità .

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INDICE

pag.

I- L’inquinamento atmosferico 3

II- Il petrolio 4

III- Energia rinovabili 6 III. 1- L’energia solare 6

III.1.1- Tecnologia Solare termica : Gli impianti solari a concentrazione (CSP)

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III.1.2- Tecnologia fotovoltaica 7 III. 2 L’energia eolica 8

IV. La sostenibilità ambientale 9

V. Catalizzatori 13

VI. Biocombustibili 14 Bioetanolo 15

VII. Le nuove tecnologie per la mobilità 19

VII.1. Macchine ibride 19 VII.2. Macchine elettriche 23 VII.3. Macchine a metano 29 VII.4. Macchine a gpl 31 VII.5. Macchine a idrogeno 33

N.B.:

Il materiale riportato è il prodotto delle ricerche Internet realizzate dagli studenti delle classi I B OMT, I D OMT, II D OT e III D OT.

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I- L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO

L'aria è una miscela eterogenea formata da gas e particelle di varia natura e dimensioni. La sua composizione si modifica nello spazio e nel tempo per cause naturali e non, cosi ché risulta arduo definirne le caratteristiche di qualità.

L'impossibilità di individuare le proprietà di un ambiente incontaminato di riferimento induce a introdurre il concetto di inquinamento atmosferico stabilendo uno standard convenzionale per la qualità dell'aria.

L’inquinamento atmosferico è un termine che indica tutti gli agenti fisici, chimici e biologici che modificano le caratteristiche naturali dell'atmosfera

Si ritiene quindi inquinata l'aria la cui composizione eccede limiti stabiliti per legge allo scopo di evitare effetti nocivi sull'uomo, sugli animali, sulla vegetazione, sui materiali o sugli ecosistemi in generale.

L’ambiente è un obiettivo strategico, è difficile definire quando si possa parlare di inquinamento atmosferico. L'inquinante, per essere considerato tale, deve essere un contaminante responsabile di causare effetti nocivi all'ambiente.

Questo è uno dei problemi maggiormente sentiti dalle popolazioni dei grandi agglomerati urbani, di cui ci si è iniziati a preoccupare solamente negli ultimi 30 anni. Dagli anni '70 infatti sono state adottate delle politiche per la riduzione degli agenti chimici e di numerose altre sostanze particolari presenti nell'aria. Queste politiche per una maggior salvaguardia dell'ambiente hanno dato dei risultati per alcuni inquinanti come ad esempio il biossido di zolfo, il piombo e il monossido di carbonio; per altri come ad esempio il biossido di azoto, l'ozono e le PM10 non hanno portato i risultati sperati, dei quali si è scoperto solo recentemente la loro criticità per quanto riguarda la salute. PRINCIPALI COMPOSTI

• composti dello zolfo: i principali composti che contengono zolfo in atmosfera sono: il biossido di zolfo (SO2), il solfuro di carbonile (COS), il solfuro di carbonio (CS2), il solfuro di idrogeno (H2S), il dimetil sulfato (CH3)2SO4. Le loro sorgenti principali sono la decomposizione biologica, la combustione dei combustibili fossili e di materia organica e le eruzioni vulcaniche. Il biossido di zolfo, che costituisce il 95% del totale delle emissioni antropiche di zolfo, deriva da processi di combustione, in dipendenza dal contenuto di zolfo del combustibile usato. Esso è altamente solubile in acqua ed ha quindi un tempo di residenza in atmosfera relativamente breve (da 12 ore a 7 giorni) in quanto viene rimosso dalle precipitazioni

• composti dell'azoto: i principali composti che contengono azoto sono: N2O, NO, NO2,

NH3, HNO3, HONO, N2O5 ed i sali di NO3, NO2, NH4. Sono considerati inquinanti il

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monossido e il biossodo di azoto (No e NO2) Il primo viene prodotto da sorgenti sia naturali che antropiche, ed in particolare in tutti i processi di combustione

• composti del carbonio: In questa categoria i principali composti inorganici sono il

monossido di carbonio (CO) e il biossido o anidride carbonica (CO2). L'anidride carbonica prodotta dalle attività umane deriva dai processi di combustione, il brusco aumento delle emissioni (causato dall'ampio uso di combustibili fossili) ha portato all'aumento delle concentrazioni provocando modificazioni climatiche su scala planetaria. Il monossido di carbonio invece è considerato altamente tossico in quanto avendo affinità con l'emoglobina impedisce l'ossigenazione dei tessuti. La sua sorgente primaria sono i fumi di scarico delle auto e in parte minore le centrali termoelettriche e gli impianti di riscaldamento

• composti alogenati (HCl, HF, HBr, CFC);

Liberati – IB OMT - Rizza Francesco 1D

II- IL PETROLIO

Il petrolio è una miscela naturale di idrocarburi (soprattutto carbonio e idrogeno) estratta dai giacimenti che si trovano nella crosta terrestre, a una profondità generalmente compresa tra decine e migliaia di metri.

• Come si forma il petrolio

Si forma sotto la superficie terrestre per decomposizione di organismi marini e di piante che crescono sui fondali oceanici.

La formazione del petrolio è un fenomeno iniziato molti milioni di anni fa, quando esisteva un'abbondante fauna marina, e che continua ancora oggi. I sedimenti depositati sul fondo degli oceani, accrescendo il loro spessore e dunque il loro peso, sprofondano nel fondale marino; a mano a mano che altri sedimenti si accumulano, la pressione su quelli sottostanti aumenta considerevolmente e la temperatura si alza di diverse centinaia di gradi. Il fango e la sabbia si induriscono

trasformandosi in argillite e arenaria, il carbonio precipita, le conchiglie si induriscono trasformandosi in calcare, mentre i resti degli organismi morti si trasformano in sostanze più semplici composte da carbonio e idrogeno, gli idrocarburi appunto, per dare origine al petrolio greggio e al gas naturale. Il petrolio ha densità minore dell'acqua salmastra che riempie gli interstizi dell'argillite, della sabbia e delle rocce di carbonati che costituiscono la crosta terrestre: tende dunque a risalire verso la superficie, passando dai microscopici pori dei più grossi sedimenti sovrastanti. E' così che sbocca spontaneamente dalla superficie terrestre.

Viene portato alla superficie dalla pressione dei gas sotterranei o mediante pompe; viene poi raccolto in serbatoi e trasportato per mezzo di oleodotti o petroliere nei luoghi di lavorazione.

Dalla sua raffinazione si ottengono prodotti molto importanti come benzina, cherosene, oli per motori diesel, oli per riscaldamento, lubrificanti, oltre ad una serie di prodotti destinati alle industrie petrolchimiche.

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Il nome petrolio deriva dalla parola latina petroleum, cioè "olio di roccia".

Per la sua importanza nell’economia mondiale, il petrolio viene detto anche "oro nero".

L’importanza del petrolio La civiltà industriale dipende in larga misura dai derivati del petrolio. Solo negli anni Settanta (con la crisi derivante dai conflitti in Medio Oriente) la riduzione delle forniture petrolifere (e il conseguente rialzo dei prezzi) costringe i paesi industrializzati a cercare prodotti alternativi al petrolio, sia nel settore della produzione di energia, sia in quello industriale.

Il petrolio greggio viene introdotto in un forno e portato alla temperatura di circa che cambia il suo stato fisico da liquido in vapore. I vapori di petrolio vengono quindi iniettati nella, o torre di raffinazione. Nella torre di raffinazione i gas, passando attraverso una serie di piatti forati, salgono verso l'alto, raffreddandosi. Alle diverse temperature si condensano, ritornando allo stato liquido. Ricadendo si depositano sui piatti, dando così luogo alla separazione delle diverse frazioni di idrocarburi. In una raffineria, oltre alla distillazione frazionata, si svolgono altri processi, per ricavare ulteriori quantità di prodotti pregiati o per migliorare la qualità dei prodotti ed adeguarli alle richieste del mercato. Ad esempio, in impianti, denominati di "Cracking", è possibile spezzare le catene idrocarburiche più lunghe. Questo procedimento permette di trasformare prodotti poco pregiati in benzine e gasoli. Attraverso il "Reforming catalitico", viene aumentato il numero di ottani nelle benzine, con la "Desolforazione" si riduce quasi totalmente il contenuto di zolfo nei gasoli.

Alla fine dell’ottocento la spinta dell’evoluzione tecnologica mutò gli equilibri petroliferi mondiali. Le automobili come mezzo di trasporto privato alternativo alle carrozze. Il motore a combustione interna delle automobili usa come carburante la benzina, un derivato del petrolio che fino ad allora era d’importanza secondaria. Questo sotto prodotto era usato come solvente o per alimentare piccoli fornelli, con l’arrivo delle macchine fece l’ingresso sui mercati mondiali acquisendo un crescente valore aggiuntivo.

- Il mercato dei carburanti non si limito soltanto alle automobili. Dopo oltre cento anni il motore a vapore delle navi, dei treni e delle caldaie fu sostituito con il motore a gasolio contribuendo a dare una notevole spinta alla domanda dei carburanti.

Albasi Riccardo 2D

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III- ENERGIA RINNOVABILI

III. 1- L’energia solare

III.1.1- Tecnologia Solare termica : Gli impianti solari a concentrazione (CSP) Gli impianti solari a concentrazione(CSP) permettono di produrre energia elettrica e fornire acqua calda attraverso una primaria fonte rinnovabile: il sole. I paesi più adattati per sfruttare questa riserva di energia sono quelli caratterizzati da elevate insolazioni:la regione del Medio-Oriente, del Mediterraneo e del Nord Africa, con piogge scarse e rara copertura nuvolosa. La tecnologia CSP può fornire una quantità significativa di energia pulita, riducendo così il consumo di combustibile fossile, minimizzando l’impatto ambientale della produzione di energia e contribuendo alla stabilizzazione del clima. La parabola converte l’energia solare in calore ad alta temperatura, utilizzando varie configurazione di specchi. Il calore viene poi immesso all’interno di un circuito di generazione tradizionale. Gli impianti sono costituiti di due sezioni: una raccoglie l’energia solare e la converte in calore, l’altra converte l’energia termina in elettricità.

I sistemi CSP possono essere progettati per piccole applicazioni da 10 kilowatt fino a grandi taglie dell’ordine di 100 Megawatt. Durante i periodi in cui la presenza di nubi rende l’irraggiamento solare insufficiente o durante la notte, alcuni sistemi sfruttano sistemi di stoccaggio termico grazie ai quali sono capaci di produrre energia elettrica con continuità. La quantità di energia generata da un impianto solare a concentrazione dipende dalla quantità di radiazione diretta, in quanto queste tecnologie utilizzano solo i raggi solari diretti e non la radiazione solare diffusa.

Al momento l’elevato costo di installazione degli impianti solari termodinamici ne ha limitato la diffusione, ma si spera che il progresso tecnologico possa renderli presto competitivi. Il progetto Archimede Un modulo sperimentale di collettori solari è in funzione presso il centro ricerche “Casaccia”(ENEA).

Perché dobbiamo puntare all’utilizzo dell’energia solare:

� il sole è una fonte di energia inesauribile, almeno per le nostre prospettive temporali;

� il sole è l’unica fonte di energia “esterna” rispetto alle risorse disponibili sul nostro pianeta, fatta eccezione per l’energia delle maree che però è incomparabilmente di minore entità ad attualmente ancora di difficile sfruttamento;

� l’energia solare è distribuita in maniera molto più uniforme sul pianeta rispetto a tutte le altre attuali fonti energetiche;

� l’energia solare che investe la terra è 15.000 volte superiore al fabbisogno energetico mondiale;

Sebastiani Edoardo- ID OMT

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Il primo impianto da 5 MW sarà operativo nel 2010 in Sicilia, dove un avanzato impianto solare termodinamico sarà integrato con una centrale a gas tradizionale. III.1.2- Tecnologia fotovoltaica La tecnologia fotovoltaica permette di trasformare direttamente l’energia solare, incidente sulla superficie terrestre in energia elettrica, sfruttando le proprietà del silicio, un elemento semiconduttore molto usato in tutti i dispositivi elettronici.

MODULI FOTOVOLTAICI: Costituiscono l’ elemento principale dell’ impianto in quanto la loro esposizione alla radiazione solare determina la produzione di energia elettrica (in corrente continua). ll’ interno del modulo ci sono le celle fotovoltaiche, generalmente costituite da

sottilissime “fette” di siliciche, opportunatamente trattate, danno luogo alla conversione diretta dell’ energia luminosa in energia elettrica. Sulla base delle caratteristiche della cella si parla di celle a silicio monocristallino (la cella è ricavata da un lingotto in cui gli atomi di silicio sono disposti a costituire un unico cristallo), celle a silicio policristallino (analoghe alle monocristallino, con gli atomi di silicio comunque ordinati ma a costituire molti cristalli uniti tra loro) e celle a film sottile o “thin film” (utilizzano materiali semiconduttori “sottili” deposti direttamente su materiali vari di supporto come il vetro o il metallo). Queste 3 tipologie di celle, e conseguentemente i moduli da esse ricavate, si differenziano per svariate ragioniera le quali l’ aspetto esteriore e l’ efficienza, quest’ ultima via via decrescente passando dalla tecnologia monocristallino a quelle a film sottile. Ciò significa che a parità di potenza dell’ impianto foto voltaico, lo spazio occupato da un’ impianto a film sottile è superiore rispetto a quello in silicio policristallino. Il 28 Luglio 2005 e 6 Febbraio 2006 sono entrati in vigore i Decreti Legge che permettono di produrre e RIVENDERE ENERGIA ELETTRICA sviluppata da pannelli fotovoltaici, che sfruttano l'energia solare. La nuova legge "conto energia" e sua modifica col "Nuovo Decreto del Febbraio 2007" permette, a chiunque abbia la possibilità di installare un impianto fotovoltaico, di ricevere un incentivo sulla produzione di energia elettrica. É anche possibile vendere questa energia all'Enel, l'incentivo è garantito per 20 anni per legge e l'impianto ha una garanzia sul funzionamento per 25 anni.

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Le capacità produttive dipendono da diversi fattori, quali ad esempio la posizione geografica, le dimensioni dell’impianto e di conseguenza la potenza dello stesso. Le principali applicazioni dei sistemi fotovoltaici sono:

• Piccoli e medi impianti collegati alla rete in bassa tensione o media tensione. • Centrali fotovoltaiche, generalmente collegate alla rete in media tensione o alta tensione; • Impianti per utenze isolate dalla rete che prevedono l’utilizzo di batterie

(rifugi,pozzi,sistemi di segnalazione stradale e navale ecc…); • Piccole reti isolate per l’alimentazione di villaggi di limitata estensione non raggiunti dalla

rete elettrica.

Tommaso Epifano – IB OMT

III. 2 L’energia eolica

Un impianto eolico è un impianto che permette di trasformare l’energia cinetica del vento in energia meccanica e da questa, attraverso un generatore elettrico, in energia elettrica.

I principali vantaggi degli impianti eolici: � Assenza di qualsiasi tipo

d’emissione inquinante � Risparmio dei combustibili fossili � Costi manutenzione ridotta � Basso impatto ambientale

L’effettiva produzione di energia elettrica è fortemente dipendente dal sito scelto, dall’altezza dal suolo del generatore e dalle caratteristiche del generatore stesso.

Rodriguez Aneudys – ID OMT

Perché dobbiamo puntare all’utilizzo dell’energia eolica:

� Il vento è una forte di energia pulita e

inesauribile � Fa uso di una tecnologia consolidata,

affidabile e competitiva � Si adatta perfettamente ad attuare i

principi della generazione distribuita con tutta i benefici conseguenti alla vicinanza del punto di produzione dell’energia a quello del consumo

� Ha impatto limitato sia in termini di altezze necessarie per i generatori che di rispetto necessario attorno ad essi. Anche le emissioni sonore sono in genere ridottissime

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Energia e mobilità sono elementi vitali per lo sviluppo economico ed il benessere della società umana. Si possono trovare equilibri un tempo impensabile, l’uomo può alimentare i suoi sogni e le sue aspirazioni in modo compatibile con la vita naturale del pianeta terra e nel pieno rispetto della salute umana. In questo scenario le strade tecnologiche per realizzare l’obbiettivo finale sono: - favorire lo scambio di idee ed

opinioni tra ricerca indipendente , industria, istruzioni

- il coinvolgimento continuo del mondo scolastico e dei più giovani

- le attività scientifiche di eccellenza

Federico Scoccia – ID OMT

IV. LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE La sostenibilità ambientale è la sfida più importante che la nostra industria e la nostra società debbono affrontare in questo secolo. Una visione precisa, in cui ci sia un bilanciamento tra crescita economica e protezione dell’ambiente, deve:

• ridurre l’impatto ambientale di tutte le nostre attività • minimizzare l’utilizzo di risorse naturali nella

produzione e massimizzare il riciclo e il riutilizzo • lavorare con le comunità locali per migliorare la

qualità dell’ ambiente. • sviluppare tecnologie innovative a basso impatto

ambientale come l’ibrido (benzina/elettrico) e le celle a combustibile (idrogeno)

• sviluppare un’ampia gamma di veicoli equipaggiati con propulsori a benzina efficienti e diesel a basse emissioni

Islam Asmiqul – ID OMT

La mobilita sostenibile Il concetto di mobilità fa riferimento a tutto ciò che è in relazione ai movimenti nel territorio di persone e merci, con qualsiasi mezzo di trasporto si verifichino. La mobilità è quindi un sistema complesso, formato dalle infrastrutture viarie, ferroviarie, aeroportuali, dai parcheggi e centri di interscambio, dai trasporti pubblici e privati, dalla piste ciclabili e dalla zone pedonali. Questo sistema influenza il funzionamento delle aree urbane e le condizioni di vita dei suoi abitanti ed ha una forte incidenza sulla qualità ambientale. L’organizzazione attuale dei trasporti è caratterizzata dalla predominanza del traffico su strada, con l’uso principalmente di automezzi privati, ed ha forti conseguenze negative sul piano economico sociale ed ambientale, quali ad esempio:

- congestione delle città; - disagi e difficoltà per ciclisti e pedoni; - rischi di incidenti, a cui sono connessi costi economici e sociali; - elevato inquinamento acustico ed atmosferico; - consumo di fonti energetiche non rinnovabili; - sottrazione di suolo.

Per risolvere questi problemi, negli ultimi anni sono stati introdotti modelli di mobilità sostenibile, ispirati al principio dell’uso efficiente del territorio e delle risorse naturali e finalizzati a garantire il rispetto e l’integrità dell’ambiente. I nuovi sistemi di mobilità si basano sulle seguenti proposte:

- investire sul trasporto pubblico di merci e persone, utilizzando i sistemi meno inquinanti (es. trasporto su rotaia, autoveicoli a metano) ;

- incrementare sistemi di mobilità intermodale, aumentando la disponibilità di parcheggi-scambio nei quali è possibile lasciare la macchina per proseguire il tragitto mediante mezzi pubblici;

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- introdurre il mobility management e il piano del traffico; - introdurre servizi di car sharing, che consiste nell’uso collettivo di un parco di

autoveicoli, noleggiati temporaneamente; - incentivare il car pooling o uso collettivo dei mezzi privati, da parte di soggetti che

devono compiere lo stesso tragitto; - realizzare direzionali di smistamento, per migliorare l’organizzazione logistica del

trasporto di merci; - mettere in sicurezza e razionalizzare l'attuale rete viaria; - realizzare interventi di riqualificazione urbana; - introdurre limitazione dei movimenti e della velocità dei veicoli; - promuovere la mobilità alternativa (ciclabile e pedonale); - promuovere iniziative di educazione stradale e campagne di sensibilizzazione per

indirizzare i cittadini ad un uso sempre più limitato del mezzo privato

Fabene Simone – IB MOT

L’introduzione di soluzioni ambientalmente preferibili consente di migliorare la situazione ambientale relativa alla qualità dell’aria, rumore ed emissione di gas serra, e di conseguenza ha effetti positivi sulla qualità della vita dei cittadini. La mobilità sostenibile rappresenta un fattore di qualificazione sociale perché l’istaurarsi di processi virtuosi porta alla riduzione del traffico e all’aumento della sicurezza stradale. Per questi motivi, nel corso degli ultimi anni, il legislatore pubblico è intervenuto con provvedimenti volti di incentivazione della mobilità sostenibile.

CAR POOLING CAR SHARING La proposta del car pooling prevede che gli spostamenti su mezzo privato possano essere effettuati da equipaggi che condividono uno stesso veicolo, contribuendo di conseguenza ad una riduzione del traffico stradale. Il car pooling ha avuto un’ampia e positiva sperimentazione negli USA. Pertanto l'obiettivo di diminuire il numero delle vetture circolanti e di conseguenza ottenere vantaggi ambientali notevoli può essere conseguito anche attraverso questa soluzione alternativa alla mobilità tradizionale, utilizzando cioè una sola autovettura, con più persone a bordo, per compiere un medesimo tragitto-itinerario. L’uso collettivo dell’automobile può essere incentivato specialmente nelle aziende, tra coloro che lavorano in uno stesso luogo ed abitano in zone vicine o molto prossime. Il car pooling può infatti essere organizzato attraverso una centrale operativa dotata di uno specifico software che gestisca la banca dati e organizzi gli equipaggi anche attraverso bacheche virtuali ( i cosiddetti newsgroup).

Il Car Sharing può essere definito come uso collettivo di un parco di autoveicoli, per il noleggio temporaneo. È’ un servizio di mobilità che consente di accedere su richiesta a una flotta comune di veicoli posizionati in prossimità di importanti nodi della rete di trasporto pubblico. L’uso del veicolo da parte dell’utente avviene in modo autonomo ed è consentito anche per periodi limitati di un’ora. Il sistema del Car Sharing è particolarmente vantaggioso per gli automobilisti che utilizzano occasionalmente l’auto, in quanto si può disporre nei momenti di necessità, di un mezzo individuale senza dover sostenere gli alti costi fissi di esercizio legati al possesso dell’auto che alle basse percorrenze hanno un’incidenza rilevante sul costo complessivo.

Vantaggi per un’amministrazione comunale che promuove il car pooling:

· Riduzione dell’inquinamento atmosferico · Riduzione della congestione stradale · Riduzione dei tempi di trasporto · Maggiore efficienza del trasporto pubblico

Vantaggi per gli utenti: · Risparmio di tempo: l’utente usa il mezzo

quando ne ha la necessità eliminando anche la ricerca di un parcheggio dopo l’uso.

· Eliminazione dei costi di manutenzione. · Risparmio economico tanto maggiore

quanto minori sono i chilometri annui

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Vantaggi per l’utente: · Minori costi di trasporto e diminuzione del

rischio di incidenti · Contribuire alla la tutela dell’ambiente e

della salute umana · Socializzazione tra colleghi o nuovi

compagni di viaggio

percorsi. Il valore al di sotto del quale risulta vantaggioso usufruire di questo servizio è stimato intorno agli 8000-10.000 km/anno.

· Scelta della vettura più adatta alle finalità del singolo spostamento.

A questi vantaggi per il singolo utente sono da aggiungere i benefici legati al risparmio energetico e al contenimento delle emissioni, nonché alla riduzione della richiesta di parcheggi per la sosta.

LIMITAZIONE DEI MOVIMENTI E DELLA VELOCITÀ DEI VEIC OLI

Il traffico lento, oltre che con piste e percorsi ciclabili, o con percorsi pedonali, può esprimersi secondo un’altra modalità che è quella della moderazione del traffico. Questa può essere attuata in diversi modi:

· isole Ambientali (in Europa Zone30). Le isole ambientali sono quelle aree con ridotti movimenti veicolari, da cui è escluso il traffico di attraversamento e che sono “finalizzate al recupero della vivibilità degli spazi urbani”. Sono state istituite nel 1995 dalle Direttive per la redazione dei PUT e nel 1996 è stato introdotto il segnale stradale

specifico (zone a limitazione di velocità).

· zone a traffico limitato ZTL . In generale quindi le zone a traffico controllato (ZTL, aree pedonali,ZTM) corrispondono ad aree urbane contrassegnate da specifici segnali fisici e normativi di ingresso e di uscita, all'interno delle quali si persegue l’obiettivo di integrare le diverse componenti del traffico e di riqualificare le peculiarità funzionali, architettoniche, storiche e culturali del luogo.

L'impiego di zone per la moderazione e di limitazione del traffico consente di raggiungere i seguenti obiettivi:

· creare zone libere dal traffico (ZTL) o eliminare il traffico di attraversamento (ZTM) · favorire la condivisione dello spazio stradale tra le diverse utenze della strada · utilizzare interventi di limitato impatto economico e visivo · riorganizzare la classificazione stradale · regolamentare la sosta · riqualificare i luoghi liberando aree prima assegnate al traffico di attraversamento o alla

sosta · garantire una maggiore sicurezza, soprattutto per le utenze deboli.

Con l'istituzione delle zone a traffico moderato, gli automobilisti tendono ad adeguarsi alla nuova situazione che non viene più considerata come un accidente puntuale e sporadico da subire, ma come la norma, alla quale adattare il proprio stile di guida. Inoltre, la necessità di liberare queste zone dal traffico di attraversamento, convogliandolo su determinate strade esterne ad esse, è il principio fondamentale che conduce alla riorganizzazione della gerarchia stradale.

Aldo Coen – III D OT

I problemi dell’inquinamento atmosferico, che si sovrappongono a quello di un sempre più alto costo dei carburanti tradizionali ed ad un’inevitabile caratteristica di “esauribilità” delle materie prime, saranno i temi centrali che occuperanno sempre più spazio nelle problematiche sociali, nel dibattito politico e non ultimo nella ricerca scientifica.

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Le nuove immatricolazioni concorrono a ridurre le emissioni di CO2 Di mese in mese, secondo una valutazione calcolata dagli analisti dell’Unrae, la media ponderata delle emissione di biossido di carbonio delle vetture di nuova immatricolazione continua a diminuire in modo costante, dimostrando in maniera tangibile un effettivo contribuito nella lotta all’inquinamento. Da tempo i costruttori di automobili stanno lavorando per abbattere la CO2 , la indagine statistica dimostra quanto sia importante lo svecchiamento del parco circolante a favore dell’ambiente. “in 12 mesi abbiamo fatto un percorso migliore degli ultimi 6 anni e questo ci colloca a metà strada del nostro obbiettivo di 130 g/km di CO2 che è quello richiesto alle Case. Questi dati confermano quanto diciamo da sempre, ovvero che nulla più efficiente è meno costoso del rinnovamento del parco, nessun blocco del traffico o provvedimento di targhe alterne raggiunge risultati migliori”.

Di Curzio – ID OM

Diversi quindi saranno i protagonisti nell’ambito del trasporto sostenibile (pubblico e privato): la politica e le istituzioni con le conseguenti normative, gli utenti-consumatori, le multinazionali dei combustibili, le case costruttrici di autoveicoli e la ricerca che dovrà trovare e proporre soluzioni alternative, dai propulsori dalle emissioni con un impatto ambientale sempre minore, alle materie prime per i carburanti ricavate da fonti rinnovabili.

Gli attori quindi di questo futuro scenario non sono certo pochi e, spesso, in conflitto tra loro. Già da oggi assistiamo a

conflitti economici tra

lobby industriali che cercano d’imporre i loro interessi, istituzioni che devono proteggere la salute dei cittadini (ma chiamate anche ad assicurare regole per un mercato che veda aziende e dipendenti cui siano assicurate libertà d’impresa e sicurezza del posto di lavoro), consumatori che con le proprie associazioni reclamano carburanti a costi inferiori, ambientalisti che non smettono di lanciare allarmi sui danni ambientali irreversibili che, il perpetrarsi dell’attuale situazione, finiranno inevitabilmente per provocare.

Gli Stati Uniti d’America, il Canada, il Giappone, la Corea, la Cina e l’Australia hanno già avviato degli approcci a carattere regolamentare o su base volontaria, alcuni dei quali sono ora soggetti a revisione allo scopo di ottenere ulteriori miglioramenti nell’efficienza del processo di combustione dei carburanti e nelle riduzioni delle emissioni di CO2.

L’obiettivo della Ue di 120 g di CO2/km e gli standard giapponesi sono in termini assoluti i più ambiziosi al mondo. Difficile fare una comparazione precisa per via delle differenze del parco auto circolante e delle metodologie applicate ai test. Il Giappone ha di recentemente dichiarato che entro il 2015 intende aumentare ulteriormente, fino al 20 per cento, l’efficienza del processo di combustione dei carburanti per autotrazione.

Insomma, quello delle emissioni degli autoveicoli è un problema che affligge tutti gli stati .

Paul Petica – IIID OT

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V. CATALIZZATORI Si parla sempre più spesso di veicoli euro4, euro5 oppure dei più datati euro 0; ma cosa differenzia queste categorie? La Comunità Europea stabilisce i limiti di emissioni inquinanti e ogni vettura appartiene ad una categoria in base alla quantità di composti nocivi che emette allo scarico. Ogni vettura rilascia in atmosfera, oltre ai normali prodotti di combustione come biossido di carbonio e vapore acqueo anche ossidi di azoto, ossidi di zolfo, monossido di carbonio, articolato e idrocarburi incombusti. Nel caso di un motore a benzina si avranno maggiori quantità di incombusti e di monossido di carbonio e minori di ossido di azoto e ossidi di zolfo rispetto ad un motore diesel. Questo è dovuto al diverso processo di accensione della miscela. Nel motore a benzina una candela produce la scintilla che innesca la combustione della miscela di carburante e aria in rapporto stechiometrico, ma nonostante questo possono rimanere CO (monossido di carbonio) e incombusti. Nei motori diesel invece si opera in condizioni di eccesso di ossigeno quindi la presenza di CO è pressoché nulla. Nella camera di combustione dove l’aria è compressa viene iniettato un dardo di combustibile che si autoaccende spontaneamente. Si raggiungono temperature elevate nel cuore del dardo del combustibile dove l’ossigeno non riesce ad arrivare producendo così il particolato. Per eliminare o almeno limitare questi composti si ricorre a pretrattamenti del combustibile, a catalizzatori e a trappole per il articolato e metodi quali l’EGR e la multi iniezione.

Convertitore catalitico ossidativi (occ) per hc,co Il convertitore catalitico ossidativi (OCC) è composto da un monolito ceramico con canali a nido d’ape su cui viene deposto il principio catalitico. Questo tipo di catalizzatore permette l’ossidazione degli idrocarburi incombusti (HC) e del monossido di carbonio (CO). In teoria durante la combustione si producono Co2 e H2o ma nel caso in cui ci sia una quantità d’aria non sufficiente o se avviene un raffreddamento dei fumi prima che sia avvenuta la totale combustione i gas non riusciranno a formare questi prodotti rimanendo incombusti o parzialmente ossidati. Questo catalizzatore corre il rischio di essere intasato dallo zolfo è necessario quindi che questa sostanza non venga mai a contatto con l’OCC, lo zolfo deve essere rimosso tramite pretrattamenti dei combustibili poiché oltre ad intasare il catalizzatore genera emissioni nocive come Sox.

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Gli ossidi di azoto sono prodotti dalla reazione tra l’ossigeno e l’azoto presenti nell’aria. Sono molti i metodi impiegati per la rimozione degli ossidi di azoto. L’EGR è un metodo adottato solitamente nei motori diesel che si basa sul ricircolo dei fumi che escono dalla camera di combustione. Questi vengono re-immessi nella camera di combustione per assorbire parte del calore prodotto dalla combustione stessa, questo processo riduce la formazione degli Nox. Un altro metodo è la riduzione catalitica selettiva SCR che permette di ridurre gli ossidi di azoto sfruttando l’azione dell’ammoniaca. Solitamente si utilizza il cosiddetto AdBlue al posto dell’ammoniaca,poiché è più facile da stoccare. Dalla reazione catalitica dell’ammoniaca con gli ossidi di azoto si ottiene azoto e acqua, l’unico inconveniente è dato dalla tossicità dell’ammoniaca che non può essere dispersa nell’ambiente. Trappole per il Particolato, Dpf, e Fap Il articolato è il principale problema dei motori Diesel e si compone di un nucleo carbonioso sul quale si depositano composti organici volatili. Nel motore Diesel si ricorre a un metodo per diminuire la quantità di articolato prodotto (Multijet). Invece di iniettare un solo dardo di combustibile vengono effettuate più iniezioni, in questo modo si migliora la combustione e l’efficienza del motore. La minore dimensione del dardo aumenta la superficie di contatto tra il carburante e l’ossigeno dell’aria,riducendo cosi il fenomeno della pirolisi,generato dall’assenza di ossigeno nel cuore del dardo durante la combustione.

Danilo Stanisci – II D OT VI. BIOCOMBUSTIBILI

Per biomassa si intendono tutti quei materiali di origine organica, animale o vegetale, che non hanno subito alcun processo di fossilizzazione, quindi il petrolio, il carbone e gli altri combustibili fossili, pur essendo di origine organica non possono essere definiti biomassa. Il contenuto energetico dei diversi materiali può infatti essere sfruttato per produrre energia, costituendo un valido sostituto ai combustibili fossili, ottenendo emissioni di anidride carbonica molto inferiori e ambientalmente sostenibili. Alcuni materiali possono essere utilizzati quasi tal quali (es:lega) altri hanno bisogno di trattamenti più o meno complessi. Dalla fermentazione dei vegetali ricchi di zuccheri, come canna da zucchero, barbabietole e mais, spesso prodotti in quantità maggiori al fabbisogno, si può ricavare l'etanolo o alcool etilico, che può essere utilizzato come combustibile per i motori endotermici, in sostituzione della benzina. Dalle oleaginose (quali girasole, colza, soia) si può ricavare per spremitura il cosiddetto biodiesel. Tramite opportuno procedimento è inoltre possibile trasformare le biomasse di qualsiasi natura in BTL (Biomass to liquid), un biodiesel, ottenuto appunto da materiale organico di scarto o prodotto appositamente con colture dedicate. Nello sfruttamento di queste fonti bisogna valutare il rapporto tra energia ottenuta ed energia impiegata nella produzione.Esistono diversi biocombustibili: il bioetanolo; il biodiesel; il biometanolo; il biodimetiletere; gli idrocarburi sintetici; il bioidrogeno gli olii vegetali.

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Lo sfruttamento delle biomasse, il cui unico problema a livello tecnico sarebbe il potere calorifico moderato (circa la metà del carbone), è in realtà limitato da determinati fattori strettamente legati alla loro natura:

• Disponibilità : Le biomasse non sono disponibili in ogni momento dell'anno. Basta pensare ad esempio a tutte quelle che derivano da colture stagionali, la cui raccolta avviene in un determinato periodo dell'anno. Anche il legno, che in via teorica potrebbe essere disponibile tutto l'anno, di fatto viene tagliato prevalentemente d'inverno, poiché durante questa stagione esso contiene meno umidità. Per questo motivo impianti di potenza alimentati a biomasse richiedono grandi zone per lo stoccaggio del materiale, che viene di fatto reso disponibile solo una volta l'anno.

• Resa per ettaro: Al contrario dei combustibili tradizionali, che si trovano generalmente in giacimenti di grandi dimensioni, la produzione di biomasse avviene generalmente su aree molto elevate. Questo è forse il principale limite allo sfruttamento delle biomasse.

• Inquinamento locale: La combustione del materiale, soprattutto se legnoso (quindi allo stato solido), pur contribuendo in maniera minimale all'emissione di CO2, emette quantità significative di ossidi d'azoto, ossidi di zolfo e metalli pesanti che la pianta ha assorbito. Essendo il cloro presente un po' ovunque in natura, dalla combustione di biomasse si hanno quantità significative di cloruri e diossine.

Piperno – IIID OT

BIOETANOLO L'uso di carburanti per autotrazione di origine vegetale - in particolare di etanolo - risale ai primi del '900 quando lo stesso Henry Ford ne promosse l'utilizzo, tanto che nel 1938 gli impianti del Kansas producevano già 18 milioni di galloni/anno di etanolo (circa 54.000 t/anno). L'interesse americano per l'etanolo scemò dopo la seconda guerra mondiale in conseguenza dell'enorme disponibilità di olio e gas, ma negli anni '70, a seguito del primo shock petrolifero, si ricominciò a parlare di etanolo e, alla fine del decennio, diverse compagnie petrolifere misero in commercio benzina contenente il 10% di etanolo, il cosiddetto gasohol, avvantaggiandosi del cospicuo sussidio fiscale concesso all'etanolo stesso. Più recentemente, si pensò che i programmi di sviluppo per l'etanolo potessero ricevere una buona spinta dall'approvazione, da parte del Congresso Americano, degli emendamenti al Clean Air Act (1990) che imponevano un contenuto minimo di ossigeno nelle benzine destinate alle aree metropolitane più inquinate. Ma le cose non andarono nel senso voluto dagli "etanolisti" per la contemporanea presenza sul mercato di un competitor più forte sia dal punto di vista economico che prestazionale, l'MTBE.

Oggi però, per una controversa questione ambientale nata da casi di contaminazione delle falde acquifere, il mercato americano sta cercando di mettere fuori legge l'MTBE (MetilTerButilEtere) e così l'etanolo ripropone la sua candidatura, spinto anche dalla necessità sempre più pressante per la politica mondiale di ridurre le emissioni di CO 2 . Ma, è bene ricordarlo, spinto soprattutto dalle lobby "etanoliste" e dagli agricoltori che oggi si avvantaggiano di un mercato statunitense di circa 6 milioni di tonnellate all'anno di bioetanolo, favoriti da interessantissime agevolazioni fiscali, sia federali (53 cents per gallone, vale a dire 180 $/t) sia statali (dai 20 ai 60 cents per gallone aggiuntivi).

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Cos'è il bioetanolo e come si produce

Il bioetanolo è un alcool (etanolo o alcool etilico) ottenuto mediante un processo di fermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali i cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), le colture zuccherine (bietola e canna da zucchero), frutta, patata e vinacce.

In campo energetico, il bioetanolo può essere utilizzato direttamente come componente per benzine o per la preparazione dell'ETBE (EtilTerButilEtere), un derivato alto-ottanico alternativo all'MTBE (MetilTerButilEtere). Nonostante l'elevato costo di produzione, pari a circa due volte quello della benzina, il bioetanolo può risultare ancora fonte di profitto quando si considerino le attuali agevolazioni fiscali e finanziamenti di origine governativa legate alla caratteristica "rinnovabile" di questa fonte energetica. Inoltre, finalmente anche in italia, le associazioni dei coltivatori hanno siglato degli accordi per aumentare in maniera siglificativa la produzione di bioetanolo aiutando anche l'agricoltura.

Mastouri – II D OT

Il Bioetanolo può essere aggiunto nelle benzine per una percentuale che può arrivare fino al 30% senza dover modificare in nessun modo il motore o, adottando alcuni accorgimenti tecnici anche al 100% come in Brasile dove, per ragioni di politica energetica locale, l'etanolo è stato utilizzato per diversi anni anche come carburante "unico" in sostituzione della benzina. Oggi viene molto utilizzato anche in Svezia, la nazione europea dove più si sta sviluppando il mercato del bioetanolo.

Quando si fermentano cereali per ottenere il bioetanolo, i sottoprodotti della lavorazione possono essere utilizzati nella mangimistica. Nella produzione da canna da zucchero si ottiene un sottoprodotto, denominato bagassa, che può essere destinato alla coproduzione di energia elettrica e calore (cogenerazione). Orientativamente, si può stimare che il rendimento di bioetanolo, a partire da cereali, si aggiri intorno al 30% (30 kg di etanolo da 100 kg di cereali fermentati).

Per i mangimi ottenuti come sottoprodotto si può stimare una resa più o meno analoga. In alternativa, il bioetanolo può essere prodotto a partire da biomasse di tipo cellulosico, ovvero dalla gran parte dei prodotti o sottoprodotti delle coltivazioni. In questo caso la biomassa viene idrolizzata per trattamento con acido solforico per produrre zuccheri che successivamente vengono inviati alla fermentazione utilizzando flore batteriche modificate geneticamente. Anche se impiega materie prime meno pregiate, questa seconda via è ancora molto costosa (30-40% in più rispetto alla fermentazione classica).

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Le materie prime sono costituite soprattutto da cereali, canna da zucchero e barbabietole, prodotti la cui destinazione per eccellenza è il settore alimentare e la cui ricollocazione ad altri usi è condizionata non solo da aspetti di tipo etico, ma anche economico, laddove i nuovi utilizzi non siano altrettanto remunerativi di quelli alimentari. In altre parole, la politica di gestione

delle eccedenze agricole, come proposta in Europa nel 1986, non è sufficiente per una politica energetica basata sulle fonti rinnovabili. Poiché la sicurezza della disponibilità di energia è fondamentale per un paese, la produzione agricola a essa destinata deve poter essere garantita con continuità.

In campo energetico il bioetanolo può essere utilizzato come componente per benzine o per la preparazione dell'ETBE (etere etilbutilico), un derivato ad alto numero di ottano. Può essere utilizzato nelle benzine in percentuali fino al 20% senza modificare il motore, o anche puro nel Motore Flex. Il bioetanolo ha un potere calorifico inferiore a quello della benzina ed è un vettore energetico che ha un rendimento termodinamico del 30% inferiore rispetto al normale combustibile. Il numero di ottano dell'etanolo puro è di 113, infatti viene usato per alzare il numero di ottano delle benzine di distillazione. Questo compensa in parte il ridotto potere calorico.

Il bioetanolo da cereali ha in media, un EROEI, Energy Ratio (energia ottenuta dal biofuel/energia consumata per produrlo), pari a circa 1 cioè per produrlo verrebbe bruciata una quantità (energetica) di combustibile fossile che è pari alla quantità (energetica) di etanolo prodotta. Perciò una vettura alimentata a bioetanolo produrrebbe inquinamento e CO2 al pari di una vettura alimentata ad altro combustibile fossile. Altri studi hanno trovato un EROEI maggiore.

Il bioetanolo da cellulosa ha attualmente costi tripli rispetto a quello da canna da zucchero. Quest'ultimo è prodotto solo in una zona limitata del pianeta (Brasile) e in piccola quantità rispetto alle esigenze mondiali.

Ciononostante, gli impianti di seconda generazione (ormai in piena diffusione) permetteranno di utilizzare scarti di lavorazione dei prodotti agricoli con maggior resa. Questo significa che in futuro non sarà necessario coltivare ettari di cereali per la sola produzione di bioetanolo ma sarà sufficiente utilizzare ciò che resta della pianta come fonte di glucosio. Questo comporta ovviamente l'eliminazione delle spese di smaltimento dei prodotti di scarto (molto importante in termini economici ed ecologici).

Recenti studi (2007) rilevano che sebbene l'utilizzo di etanolo riduca la concentrazione di sostanza cancerogene come il benzene e il butadiene nel contempo innalzano i livelli di formaldeide e acetaldeide. Secondo questi studi il rischio complessivo è simile anche se un uso esteso potrebbe innalzare anche i livelli di ozono in alcune zone del pianeta.

Negli Stati Uniti l'Energy Policy Act del 2005 prevede forti sovvenzioni federali agli agricoltori per aumentare la produzione di bioetanolo dai 4 miliardi di galloni del 2006 ai 7,5 miliardi nel 2012.

Il Brasile prevede di raddoppiare la produzione di bietanolo entro la fine 2010 diventando così uno dei maggiori esportatori raggiungendo la cifra di 5 miliardi di litri sufficienti ad alimentare circa 5 milioni di veicoli (in Italia il parco veicoli è di 34 milioni).

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La Svezia, grazie ad un programma che prevede anche un uso massiccio di bioetanolo per i trasporti, intende diventare il primo paese al mondo indipendente dal petrolio entro il 2020.

Progetto BEST

Il progetto Bioethanol for Sustainable Transport (BEST) ha l'obiettivo di dimostrare la fattibilità della sostituzione di benzina e diesel con il bioetanolo. BEST è supportato dalla commissione europea e coinvolge 6 paesi europei con la partecipazione di Brasile e Cina.

Il bioetanolo può essere utilizzato, come sostituto della benzina nelle auto cosiddette “flessibili” (circa 400,000 vetture/anno sono attualmente vendute in Brasile), come miscela 10%-85% nelle benzine per motori a scoppio, come additivo, 5%-10%, al gasolio per motori diesel, come sostituto del gasolio nell’alimentazione di motori diesel (con opportune modifiche alle motorizzazioni). Già oggi, oltre che in Brasile, anche negli Stati Uniti circolano oltre 1.000.000 di auto alimentate ad etanolo. In Svezia poi, oltre a 15,000 auto private, l’intera flotta di autobus di Stoccolma è alimentata a bioetanolo (con piccole percentuali di autobus alimentati a biogas e a idrogeno).

Nel complesso gli obiettivi del progetto sono l'introduzione di 10.500 auto flex e 160 autobus a bioetanolo. Inoltre il progetto prevede la costruzione di 148 stazioni di rifornimento, 135 delle quali per l'E85 e 13 per l'E95.

Le città in cui il progetto è operativo sono: Stoccolma (Svezia), Rotterdam (Olanda), Somerset (Regno Unito), Dublino (Irlanda), Madrid (Spagna) e La Spezia per l'Italia.

Per la città di La Spezia il progetto prevede la costruzione di 3 stazioni di rifornimento (due per E85, una per E95, le prime in Italia) e l'introduzione di 100 auto flex (10 a carico del comune e 90 di piccole e medie imprese).

Gheatau II D OMT

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- IBRIDA In commercio

- COMBUSTIBILI RINNOVABILI

In commercio

- AUTO IDROGENO MCI: In via di commercio FC: Prototipi e flotte dimostrative

Alessandro Picano – II D OT

VII. LE NUOVE TECNOLOGIE PER LA MOBILITA’ In questi tempi abbiamo bisogno di veicoli che inquinano poco e per questo motivo stanno mettendo in commercio vari tipi di veicoli. Questi veicoli sono ad esempio le auto elettriche, biocombustibili, idrogeno, ibrido, gpl L’automobile ecologica del futuro Il petrolio è una risorsa limitata e inquinante quindi dobbiamo continuare a sviluppare veicoli alimentati da biocarburanti, energia elettrica o celle a combustibile. Se si proseguirà in modo costante la ricerca e lo sviluppo di questi elementi potremo ottenere una riduzione dell’impatto ambientale creando un automobile ecologica con zero emissioni e nessun impatto negativo sull’ambiente. Si stanno esplorando nuove tecnologie, entro un ampio raggio, per ottenere innovazioni più verdi e pulite. Si deve continuare a sostenere con impegno lo sviluppo di sistemi ibridi e nuove tecnologie ecologiche, in modo da combinare varie fonti di potenza per massimizzare i vantaggi.

Summa Simone – IID OT

VII.1. - Il veicoli ibridi-elettrici sono veicoli che integrano un motore a combustione interna (alimentato a benzina, gasolio o etanolo) con un motore elettrico Il propulsore a combustione interna ha due compiti: quello principale è lo stesso di quello delle normali auto, ovvero trasformare l’energia chimica in energia cinetica per far girare la ruote e spingere la vettura. La seconda funzione è di caricare la batteria del motor elettrico. Per ottenere questa seconda funzione, un computer più tosto sofisticato gestisce, istante per istante, l’utilizzo del motore termico in maniera di evitare che venga sprecato carburante e che, allo stesso tempo, che l’accumulatore faccia scendere la sua carica al di sotto di una soglia limite. Per migliorare la sua funzione di carica, spesso il tipo di propulsore è differente rispetto a quelli delle comuni vetture, ad esempio il ciclo Atkinson invece di quello otto. La differenza consiste che nel primo la fase di espansione ha una durata maggiore di quella del secondo. L’intervento primario del motore elettrico è quello di aiutare il propulsore a combustione interna a spingere il veicolo, ma non solo: recuperare energia in rilascio e in frenata. La funzione di rallentamento della vettura è affidata, infatti, al motore elettrico che opponendosi alla rotazione delle ruote, trasforma l’energia cinetica in energia elettrica che viene immagazzinata a una apposita

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batteria. A basse velocità e nelle partenze da fermo questa energia viene sfruttata per spingere l’auto senza fare intervenire il propulsore termico; il momento dello spunto infatti; è quello in qui il motore a combustione interna consuma di più, perché a bassi regimi è in grado di generare poca coppia. Quello elettrico invece, ovvia a questo inconveniente, poiché non ha una curva di coppia (ovvero non c’è variazione del numero di giri del motore), avendo un funzionamento del tipo on \ off. Ma è proprio questo tipo di comportamento che genera sempre la stessa quantità di spinta, che rende importante la presenza del motore termico: ai medi e alti regimi, infatti, è in grado di sprigionare molta più energia di quello elettrico consentendo di aggiungere maggiori prestazione. Questa soluzione termica piuttosto complessa fa far funzionare al meglio, consente di completare due motori efficaci, posizionati uno in alto e uno in basso. Di conseguenza sono consumi contenuti e prestazioni migliori.

Federico Fraioli – III D OT

Vantaggi

Un’auto ibridia-elettrica inquina meno: in particolare nel traffico cittadino le emissioni possono essere abbattute dell’80% rispetto a un’auto a benzina o diesel, specie per via del fatto che il motore a combustione interna rimane spento durante le soste.

Sempre in relazione al traffico cittadino, la soluzione ibrida può risultare vincente nel settore del trasporto pubblico: alcuni dei famosi ‘double-decker’ londinesi utilizzano questa soluzione, che consente di installare un motore diesel da soli 1.9 litri invece del tradizionale da 7.0 litri: in questo modo si è registrata una riduzione delle emissioni di CO2 del 20% e un taglio dei consumi del 40%.

Gli svantaggi Un primo svantaggio degli ibridi elettrici è legato al fatto che si tratta di automobili estremamente sofisticate, in cui un computer e un complesso software devono gestire l’interazione fra i due motori e le funzioni di bordo: una complessità che può portare a guasti e malfunzionamenti. Inoltre, per loro impostazione, le auto di questo tipo sembrano comportasi al meglio in città, mentre nelle tratte autostradali possono in alcuni casi finire per consumare di più che nel ciclo urbano. Gli ibridi-elettrici sono ancora costosi: per via della loro complessità. Infine c’è un fattore moda: si tratta di auto attualmente molto in voga, e forse i produttori non stanno facendo del loro meglio per renderle davvero ecologiche. In alcuni modelli le percorrenze sono appena migliori rispetto alle auto normali, segno che il motore elettrico viene sfruttato più per avere un extra di potenza che per aumentare l’efficienza del veicolo.

Patrick Castillo – IID OT

Il rispetto per l'ambiente è legato all'impiego combinato di due propulsori, prodotti entrambi da Honda, che garantiscono l'avviamento e le accelerazioni, mentre a basse velocità di crociera (da 20 a 49 km/h) la vettura può funzionare con il solo motore elettrico,

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Esistono tre diversi tipi di sistemi per l’integrazione di un motore termico ed una macchina elettrica: ibrido serie, ibrido parallelo e ibrido misto.

IBRIDO SERIE

Schema di un motore ibrido serie

IBRIDO PARALLELO

Schema di un motore ibrido parallelo

Il motore termico non è collegato alle ruote, ma ha il compito di generare la corrente per alimentare il motore elettrico che la trasforma in moto, mentre l’energia superflua viene usata per ricaricare le batterie.

Nei momenti in cui viene richiesta una grande quantità di energia, essa viene attinta sia dal motore termico che dalle batterie. Poiché i motori sono in grado di operare su di una grande vastità di regimi di rotazione, questa struttura permette di rimuovere o ridurre la necessità di una trasmissione complessa. L’efficienza dei motori a combustione interna cambia al variare del numero di giri, nei sistemi ibrido serie i giri del motore termico vengono impostati per ottenere sempre la massima efficienza non dovendo subire né accelerazioni né decelerazioni.

In alcuni prototipi sono installati piccoli motori elettrici per ogni ruota. Il notevole vantaggio di questa configurazione è di poter controllare la potenza che ogni ruota eroga.

Il maggiore svantaggio degli ibridi serie consiste nella seria riduzione di efficienza rispetto ai motori solo termici in condizioni di elevata e costante velocità (come superare i 110 Km/h). Questo è causato dal fatto che nella conversione termico-elettrico-moto parte dell’energia viene persa mentre non accadrebbe con una trasmissione diretta. Questo inconveniente non è presente negli ibrido parallelo. Gli ibridi serie sono i più efficienti per i veicoli che necessitano di continue frenate e �ncorché�e come le auto ad uso urbano, e mezzi pubblici(autobus, taxi)

Molti modelli di ibridi serie hanno, in dotazione, un pulsante per spegnere il motore termico. La

È il più usato nelle auto ibride. Entrambi i motori (sia elettrico che termico) forniscono coppia alle ruote. Il motore termico può anche essere utilizzato per ricaricare le batterie in caso di necessità. Gli ibridi parallelo potrebbero essere suddivisi ulteriormente in classi, a seconda del bilanciamento dei due motori nel fornire forza motrice. Nella maggior parte dei casi, per esempio, il motore a combustione interna è la parte fondamentale e il motore elettrico ha la semplice funzione di fornire maggior potenza nei momenti di necessità (di solito in partenza, in accelerazione, ed alla velocità massima).

La maggior parte dei progetti combinano un grande generatore elettrico e un motore in una singola unità, spesso situata tra il motore a combustione interna e la trasmissione, nel posto del volano sostituendo sia il motorino di avviamento che l’alternatore. Solitamente il cambio è automatico.

Il vantaggio sta nell’eliminazione delle marce basse (che consumano più carburante) e del consumo a ruote ferme o a passo d’uomo. Inoltre permette cilindrate più basse in quanto alla massima velocità il motore termico può essere supportato da quello elettrico (anche se solo per qualche chilometro). Questo ne fa dei veicoli adatti ai ritmi cittadini piuttosto che lunghi tratti stradali.

La Toyota Prius, ad esempio, adotta un sistema di questo tipo, che le permette di muoversi con il solo motore elettrico, oppure di decidere autonomamente la migliore “miscela” per utilizzare uno dei 2 motori oppure entrambi. Ad esempio partendo fa ferma userà il solo motore elettrico che garantisce spunti e ripresa

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funzione viene utilizzata specialmente per la circolazione nelle zone a traffico limitato. L’autonomia del motore dipende dalla carica delle batterie; il motore termico, comunque, può essere riattivato premendo di nuovo il pulsante usato per spegnerlo. Il motore termico viene inoltre spento automaticamente durante le soste.

notevolmente migliori rispetto al motore termico, per poi far entrare in funzione quest’ultimo nel momento in cui è necessario una spinta aggiuntiva o per raggiungere le velocità più elevate.

IBRIDO MISTO

Schema di un motore ibrido misto

Negli ibridi misti il motore è estremamente versatile e permette di passare dal sistema serie a parallelo e viceversa.

Paul Petica III D OT

AUTO IBRIDA “PLUG-IN”

L’ Auto ibrida elettrica plug-in o ibrida plug-in (PHEV: plug-in hybrid electric vehicle) è una categoria di auto a motore ibrido, con batterie per il motore elettrico che possono essere ricaricate con una spina tramite una fonte di energia elettrica, in modo da evitare la ricarica attraverso il motore a combustione interna. Comprende le caratteristiche di entrambi i veicoli elettrici ibridi tradizionali: ha un motore a combustione interna e un motore elettrico. Oggi ci sono auto commerciali, camion, scuolabus, moto, scooter e veicoli militari con questa tipologia di motori.

I veicoli PHEV possono essere sia della tipologia in serie che di quella in parallelo. Adottano inoltre batterie agli ioni di litio, ad alta capacità. La riduzione delle emissioni inquinanti dipende, come nel caso dei veicoli elettrici puri, da come è stata generata l’energia elettrica utilizzata per la ricarica (es. se per mezzo di fonti fossili o attraverso energie rinnovabili). I veicoli PHEV, soprattutto le auto, sono attrattivi per l’utenza in quanto permettono inoltre di conseguire un notevole risparmio economico.

Flavio D’Amico – IIID OT

La cautela di Toyota sulle Plug-In

Facendo la sua apparizione al Motor Show di Detroit, il Presidente della Toyota Katsuaki Watanabe ha annunciato che le auto “ricaricabili” saranno disponibili per clienti selezionati nei prossimi due anni, avvertendo tuttavia che questo non significa che la tecnologia sia pronta per essere lanciata. L’azienda giapponese sta, infatti, realizzando con la Panasonic degli studi di fattibilità sulle batterie al litio, per verificarne la performance in condizioni reali.

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Sulle batterie al litio, essenziali per la riuscita delle auto plug-in, Watanabe afferma che: “Siamo determinati a a conoscere le possibilità delle batterie agli ioni di litio, ma non lo sapremo fino a quando non ne avremo costruite un buon numero, usandole nelle diverse situazioni possibili. Solo dopo che avremo fatto questo potremo misurare la resa rispetto a degli standard prefissati e, quindi, valutare se sono pronte per il mercato ed i clienti Toyota.”

In aggiunta ai problemi relativi all’automobile, la ricarica alla presa di corrente pone delle questioni tecniche in merito alla capacità della rete di assicurare una richiesta supplementare di energia, da effettuarsi, verosimilmente, nelle ore notturne. Idealmente, i proprietari di un’auto plug-in potranno anche alimentare la rete elettrica mediante le batterie della loro auto, secondo necessità e convenienza economica del momento, tuttavia, in merito a questa possibilità la posizione aziendale è abbastanza chiara: “La nostra competenza riguarda la costruzioni di auto a motore, non la generazione di elettricità, almeno non ancora.”

VII.2. - L’auto elettrica è un’automobile con motore elettrico che utilizza l’energia chimica che viene immagazzinata in un “serbatoio” energetico costituito da una o più batterie ricaricabili. I veicoli elettrici hanno complessivamente una maggiore efficienza energetica rispetto a quasi tutti i motori a combustione interna. Un motore a benzina ha una efficienza energetica del 25-28%, un diesel si avvicina al 40%, mentre un motore elettrico a induzione in corrente alternata ha un’efficienza del 90%. Non producono fumi di scarico né vapor d’acqua) e, complessivamente, producono un inquinamento praticamente nullo se riforniti con energia prodotta da fonti rinnovabili. Grazie alla elevata coppia prodotta dai motori elettrici, i veicoli elettrici hanno buone prestazioni in accelerazione, tali da superare i veicoli convenzionali alimentati a benzina. I nuovi modelli possono viaggiare per centinaia di chilometri con una sola carica, anche dopo 160.000 km di impiego delle stesse batterie. I veicoli elettrici, riducendo la dipendenza dal petrolio, potrebbero rallentare il riscaldamento globale (attenuando l’effetto serra), sono più silenziosi rispetto ai motori a combustione interna e non producono fumi nocivi. Come svantaggi si ha una limitata autonomia tra le ricariche, il tempo di ricarica, e la scarsa durata delle carica delle batterie, anche se nuovi tipi di batteria ricaricabile e nuove tecnologie di carica (e di scarica) ne hanno incrementato l’autonomia e la vita utile, riducendone contemporaneamente il tempo di carica. Anche se alcuni modelli vengono ancora prodotti in quantità limitate, alcuni BEV (Battery electric vehicle) che si sono rivelati adatti alle strade (e molto popolari come il GM EV1) sono stati ritirati dal mercato e sono stati rottamati dai loro costruttori. I maggiori costruttori di automobili USA sono stati accusati di aver deliberatamente sabotato i loro sforzi per la produzione di veicoli elettrici.

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Le compagnie petrolifere hanno registrato ed acquistato i brevetti di molti tipi di batteria, ed hanno utilizzato la “patent protection” per impedire che la più moderna tecnologia delle batterie ricaricabili venisse utilizzata nelle auto elettriche. Lucani Francesco – III D Il costo principale del possesso dei BEV moderni dipende principalmente dal costo delle batterie, il tipo e la capacità di esse è fondamentale nel determinare molti fattori come l’autonomia di viaggio, la velocità massima, il tempo di vita utile della batteria ed il tempo di ricarica; esistono alcuni svantaggi e vantaggi dei vari tipi Il costo delle batterie, per la mancanza di una produzione di serie, va dal 80 % del totale (di 50.000 euro per veicoli potenti, a lungo raggio con costose batterie NiMH) fino al 50% (di 16.000 euro per veicoli di uso cittadino con batterie nichel-cadmio, zinco-aria o al magnesio, ed autonomie inferiori ai 160 km). All’inizio della loro produzione le automobili elettriche costeranno circa il 50-100% in più rispetto a quelle a combustione interna (a causa delle batterie), ma, con il passare degli anni i costi sono diminuiti. Le vetture elettriche di serie o convertite tipicamente consumano da 0,11 a 0,23 kWh/km. Considerando un consumo di 5 litri di benzina per 100 km, una vettura a combustione interna consuma circa 0,51 kWh/km. Si tenga poi presente che circa 1/3 del consumo della vettura elettrica è dovuto a dispersioni ed al basso rendimento nella ricarica delle batterie, e quindi non è impensabile un consumo chilometrico inferiore a 0,1 kWh in un futuro molto prossimo, consumo neppure ipotizzabile nelle vetture a combustione interna. Le batterie delle vetture elettriche devono essere ricaricate periodicamente. Le VE solitamente vengono caricate dalla rete elettrica. In questo caso l’energia è generata da una varietà di risorse come il carbone, l’energia idroelettrica, l’olio combustibile, il gas naturale, altre fonti rinnovabili o, infine, nei paesi in cui è previsto l’uso, l’energia nucleare. Le batterie possono essere ricaricate mentre il veicolo viene guidato grazie al freno rigenerativo. Sono anche state sperimentate alcune fonti di energia ausiliarie, come la cella fotovoltaica sul tetto della vettura. Nell’auto ibrida l’elettricità può essere prodotta da un generatore mosso da un motore a combustione interna. Anche se non si tratta in senso stretto di una BEV, la �ncorch car Ford Reflex dispone di celle fotovoltaiche all’esterno per aiutare ad alimentare il suo sistema di potenza ibrido. Il tempo di ricarica viene determinato principalmente dalla corrente trasmissibile da parte della connessione alla rete elettrica. La potenza normalmente disponibile in una presa di corrente domestica va da 1.5 kW (negli USA, Canada, Giappone, e paesi con tensione 110 V) fino a 3-6 kW (in paesi con corrente a 240 V). In Italia è abbastanza comune il contratto 6kW di connessione alla rete, ma si potrebbero evidentemente utilizzare correnti più alte. Si pensi che i carrelli elevatori, la cui maggioranza è azionata da un motore elettrico, ricaricano batterie da 6-700 Ah in pochissime ore con connessioni a prese dell’ordine di 10 – 12 kW. Le singole batterie sono di solito raggruppate in grandi gruppi a vario voltaggio e capacità per ottenere l’energia richiesta. La durata delle batterie dovrebbe essere considerata quando si calcola il costo di investimento, dato che le batterie si consumano e devono essere sostituite. Il decadimento

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delle batterie dipende da numerosi fattori, anche se si stanno progettando batterie che durano di più dello stesso veicolo. Nell’utilizzo quotidiano in strade di città e campagna, alcuni dei veicoli Toyota RAV4 EV, utilizzanti batterie NiMH, hanno avuto durate operative eccedenti i 160.000 km, con poca o nessuna degradazione della capacità di carica e del voltaggio fornito nell’ambito del loro tragitto quotidiano.

Da Ponte – IB OMT

Nissan Nuvu: la nuova city car della casa giapponese dotata di pannelli fotovoltaici che assorbono energia solare per ricaricare le batterie.

Forme arrotondate per la nuova cittadina della casa giapponese Nissan. Si chiama Nuvu ed è stata presentata al Salone di Parigi 2008. L’abitacolo flessibile permette di accogliere uno o due passeggeri secondo necessità. Ma l’innovazione della Nuvu è rappresentata essenzialmente dai pannelli fotovoltaici posizionati sul tetto. Questi assorbono l’energia solare che viene convogliata nel tronco sottile e utilizzata per ricaricare la batteria e alimentare il motore elettrico con una dose di potenza extra. Le batterie sono di tipo laminato agli ioni di litio, di ultima generazione, con una capacità di 140 Wh/kg (watt/ore per chilogrammo).

Riccardo Lodoli – IB OMT

Toyota Prius : I tentativi di alimentare automobili ibride con pannelli solari è una ricerca che va avanti da tempo. La Solar Electrical Vehicles, un’azienda californiana, ha creato l’opzione di un grande pannello solare da piazzare sul tetto della Toyota Prius. L’opzione è costituita da celle fotovoltaiche monocristalline collegate in moduli da 200-300 Watt; l’energia ricavata dall’irraggiamento solare viene accumulata in una apposita batteria da 3 kW, in grado di garantire fino a 32 chilometri di mobilità elettrica ogni giorno.

Così, grazie ad un risparmio energetico di circa un 29%, la spesa iniziale d’installazione di 2.000/4.000 dollari può essere recuperata nel giro di 2/3 anni. La SEV sta sviluppando, inoltre, una batteria ad alta capacità che potrà aggiungere altri 16 km di autonomia.

Riccardo Lodoli – IB OMT

Gli studiosi hanno inventato da qualche anno, auto elettriche cosi da non inquinare l’ambiente, e, invece di attaccarle a caricare attraverso la spina elettrica hanno montato su queste auto dei pannelli fotovoltaici eliminando cosi il problema della ricarica della batteria.

Dalle auto normali…..

…..a quelle dal design futuristico

Epifani – IB OMT

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Le Batterie a Litio

Le batterie agli ioni di litio possono essere costruite in una vasta gamma di forme e dimensioni, in modo da riempire efficientemente gli spazi disponibili nei dispositivi che le utilizzano.

Tali batterie sono più leggere delle equivalenti fabbricate con altri componenti chimici e non soffrono dell’effetto memoria. Uno svantaggio della batteria al Li-Ion è che presenta un degrado progressivo anche se non viene utilizzata (ha una durata di conservazione fissa, in inglese shelf life, a partire dal momento della fabbricazione, indipendentemente dal numero di cicli di carica/scarica). Questo svantaggio non è molto pubblicizzato. Ad un livello di carica del 100%, una tipica batteria Li-Ion per calcolatore portatile caricata al 25% e conservata a 25° C perderà irreversibilmente circa il 20% della sua capacità all’anno. Tuttavia la batteria di un computer portatile poco ventilato potrebbe venire esposta a temperature più alte, abbreviandone ulteriormente la durata. Questo tipo di degrado peggiora con l’aumento della temperatura di conservazione e dello stato di carica.

Per questo gli accumulatori Li-Ion non sono adatti ad essere usati come fonte secondaria di energia: per questa applicazione sono più indicati gli accumulatori al piombo, o anche le batterie al Ni-MH.

La chimica delle batterie Li-Ion non è sicura come le altre: una batteria Li-Ion può esplodere se surriscaldata o caricata eccessivamente. Un accumulatore agli ioni di litio richiede diversi sistemi di sicurezza obbligatori al suo interno, prima che si possa considerare sicuro per l’uso comune. Questi includono un interruttore termico (per prevenire il surriscaldamento in caso di sovraccarico) e una linguetta di sicurezza con valvola di sfiato (per controllare la pressione interna). Nonostante queste caratteristiche di sicurezza, le batterie Li-Ion sono soggette a frequenti richiami in fabbrica; inoltre, i sistemi di controllo occupano spazio utile all’interno delle pile, oltre ad aggiungere ulteriori possibilità di guasto. Di solito, in caso di problemi a questi sistemi, la pila è resa inutilizzabile permanentemente e irreversibilmente.

Le vecchie batterie agli ioni di litio non potevano essere caricate velocemente e necessitavano tipicamente di almeno 2 ore per ricaricarsi completamente. Le pile della generazione attuale si ricaricano completamente in 45 minuti o meno; alcune raggiungono il 90% di carica in appena 10 minuti.

Il design interno delle pile a ione di litio è come segue. L’anodo è fatto con carbonio, il catodo è un ossido metallico, e l’elettrolita è un sale di litio in solvente organico. Poiché il metallo di litio, che potrebbe essere prodotto in condizioni irregolari di ricarica, è molto reattivo e può causare esplosioni, le pile agli ioni di litio solitamente hanno incorporati circuiti elettronici protettivi e/o fusibili per evitare l’inversione di polarità, sovraccarichi di tensione e surriscaldamento.

Le batterie agli ioni di litio si possono facilmente rompere, prendere fuoco o esplodere quando sono esposte alle alte temperature, o alla luce diretta del sole. Non dovrebbero essere tenute in macchina durante il periodo caldo. Cortocircuitare una batteria al litio può causare incendi ed esplosioni.

Il contenitore di una batteria al Li-Ion non va mai aperto per nessun motivo, esse contengono dispositivi di sicurezza che proteggono le pile, se danneggiati, queste possono anche causare l’incendio o l’esplosione della batteria.

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Nuove tecnologie

Il prototipo della batteria al litio di dimensioni nanoscopiche della Ancorc NanoTechnology, una piccola marca di Reno, ha tre volte la potenza delle attuali batterie e può essere pienamente ricaricato in 6 minuti. La Toshiba ha prodotto un’altra batteria al litio a ricarica veloce, basata su una nuova tecnologia di nanomateriali, che procurano una ricarica ancora più veloce, una capacità più grande e un ciclo di vita più lungo, da utilizzare primariamente in settori industriali o negli autotrasporti.

Dal 2006 è in produzione la A123Systems una nuova batteria ancora più potente e ricaricabile più velocemente basata su di una ricerca autorizzata dal MIT, usata negli attrezzi di potenza e in conversioni Hybrids Plus Prius (anche se la conversione costa più del prezzo dell’auto, soprattutto a causa del costo delle batterie).

Tutte queste formulazioni coinvolgono nuovi elettrodi. Aumentando l’area effettiva dell’elettrodo – diminuendo la resistenza interna della batteria – la corrente può essere aumentata sia durante l’uso che la ricarica. Questo è simile agli sviluppi ottenuti con il supercondensatore. Di conseguenza la batteria è capace di rilasciare più potenza (in watt); tuttavia, la capacità della batteria (amperora) è aumentata solo di poco.

Nel 2009 la nuova Mercedes-Benz S 400 BlueHYBRID ha inserito delle batterie agli ioni di litio all’interno del circuito di climatizzazione dell’auto, con il vantaggio di far funzionare sempre la batteria ad una temperatura

ottimale (15-35 °C) e di aumentare la durata ed il rendimento di esercizio. La Daimler, casa costruttrice dell’auto in questione, è inoltre in fase avanzata di realizzazione di una speciale tipologia di cella piatta per ospitare la batteria che offre alta densità di energia in un ingombro ridotto e con elevati livelli di sicurezza.

Simone Summa – IID OT

In Giappone Hitachi, che dal 2010 fornirà batterie agli ioni di litio a General Motors, ha dichiarato di aver sviluppato batterie al litio di quarta generazione, del 50% più potenti rispetto alle attuali, con densità di energia pari a 4.500 watt/kg e forma rettangolare (non più cilindrica). Le nuove batterie sviluppano una volta e mezza l’energia delle attuali grazie alla riduzione della resistenza interna, con elettrodi più sottili e catodi in manganese. Questa nuova tecnologia permette a Hitachi di realizzare prodotti più piccoli e di maggior potenza, da utilizzare sia su auto ibride sia su auto completamente elettriche. Secondo i piani di Hitachi, le batterie dovrebbero entrare in produzione verso l’inizio della prossima estate. Dall’altra parte del Pacifico, l’americana “International Battery” ha sviluppato un formato standard di moduli per le proprie batterie al litio da installare su diversi tipi di auto, così da impostare uno standard nel settore. Tali moduli creano un unità di stoccaggio di energia che può ospitare 8 batterie connesse tra di loro, ognuna delle quali dispone di un Battery Management System (BMS, sistema di gestione delle batterie). I moduli possono essere connessi in serie o in parello, a seconda delle necessità e il voltaggio massimo che può essere raggiunto è di 760 V.

Cristian De Masi –I B OMT

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VII.3. -

CHE COS’E IL METANO?

Il metano è un idrocarburo semplice (alcano) formato da un atomo di carbonio e 4 di idrogeno; la sua formula chimica è CH4, e si trova in natura sotto forma di gas. Il metano è il più semplice idrocarburo presente in molti gas naturali. Si ottiene dalla decomposizione di sostanze organiche o sintesi. E’ considerato un combustibile pregiato per gli usi domestici e industriali. È un ottimo carburante per autotrazione, soprattutto dal punto di vista dall’impatto ambientale. Infatti, data la totale assenza di zolfo, di composti di piombo e di idrocarburi policiclici aromatici, il metano è uno dei carburanti più ecologici oggi in uso. Inoltre non richiede impianti di raffinazione o aggiunte di additivi e può essere utilizzato già allo stato dell’estrazione dopo i normali trattamenti di disidratazione e di filtrazione di inerti. Il trasporto avviene principalmente attraverso una rete di metanodotti ed è quindi disponibile senza accumulo nei depositi e senza intasare il traffico in superficie.

NELLE AUTOMOBILI

Il metano come carburante non è una scoperta recente. Negli anni ‘50 le automobili a metano erano il 3% del parco circolante italiano ed erano operative ben 1.300 stazioni di rifornimento a metano. L’Agip pubblicizzava il metano come un carburante del futuro. La situazione cominciò a cambiare radicalmente negli anni ‘60 con l’arrivo delle benzine a basso costo. In pochi anni chiusero il 90% dei distributori e rimasero attive sul territorio nazionale soltanto 95 stazioni di servizio. Le crisi petrolifere degli anni ‘70

rilanciarono il metano come carburante alternativo e gli investimenti privati nel settore triplicarono rapidamente. Purtroppo, questa crescita naturale del mercato venne immediatamente bloccata da un intervento del governo italiano che introdusse nel 1976 una tassazione tale da far aumentare in una sola settimana il prezzo del metano come carburante da 67 a 200 lire. Una situazione destinata a durare per quasi 20 anni Soltanto negli anni ‘90 venne rimossa questa dura penalizzazione delle tariffe e il settore riprese a crescere seguendo la naturale spinta di mercato. Oggi sono in funzione 470 impianti di rifornimento a metano. Altri 40 impianti sono in costruzione o di imminente apertura, alcuni dei quali anche sulla rete autostradale e nelle regioni meridionali, fino ad oggi penalizzate dalla scarsa presenza delle stazioni di rifornimento. Le automobili a metano tornano ad apparire con evidenza nei listini delle case automobilistiche. Lo dimostra la grande crescita della domanda di automobili a gas riscontrata negli ultimi anni. Quali sono i vantaggi del metano come carburante? In primo luogo per il suo basso impatto ambientale. Il metano non è prodotto dai processi di raffinazione ed è già pronto all’uso in natura

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come carburante ecologico. L’utilizzo del metano riduce radicalmente le emissioni inquinanti delle automobili ed il livello di smog urbano. Un’automobile a metano non scarica polveri sottili (PM) e riduce del 14% le emissioni di CO2 rispetto alla benzina e del 18% rispetto al diesel. Le case automobilistiche da un paio di anni lanciano novità ma solo sui media: auto elettriche e auto a idrogeno per ora sono ben lontane dai mercati; a essere apprezzate, per ora le auto a metano e le auto a GPL.

Gianluca Pizzo – IB OMT

Il metano è un ottimo carburante per i motori ad accensione comandata, in abbinamento alla appropriata tecnologia di alimentazione e controllo motore, la sua capacita’ di miscelarsi facilmente con l’aria nella camera di scoppio porta a considerevoli benefici: ottima distribuzione della miscela aria/combustibile; in buona sostanza, tutto questo significa un’ottima combustione, che consente di raggiungere ottime prestazioni, bassi consumi, ridottissime emissioni ed assenza quasi completa di residui carboniosi all’interno del motore �ncorché ridotta rumorosità complessiva del motore.

Il rifornimento di un autoveicolo a metano avviene attraverso la connessione della manichetta del distributore con la valvola di carico posta sul veicolo, generalmente all’interno del vano motore o nelle vicinanze del bocchettone della benzina ed un condotto che adduce il metano in pressione al serbatoio (generalmente ubicato nel vano bagagli). In una moderna stazione di servizio dotata di erogatori a peso, il tempo per questa operazione si può indicare in 2-3 minuti, per un veicolo di medie dimensioni (serbatoio da 80 -100 litri).

Il calcolo della autonomia va eseguito caso per caso partendo dalla dimensione delle bombole (la loro capacità in litri è stampigliata sulle stesse e può essere facilmente rilevata anche dalla targhetta di identificazione applicata dall’officina di trasformazione ). La capacità totale delle bombole installate (espressa in litri), se divisa per quattro (con buona approssimazione), dà i metri cubi equivalenti di metano contenuti nel serbatoio. Ad esempio in una bombola da ottanta litri si hanno circa 20 metri cubi equivalenti di metano. Se si ipotizza per esempio di percorrere mediamente 14 km con un metro cubo di metano (equivalente alla percorrenza di circa 12,5 km/1 a,benzina), l’autonomia sarà intorno ai 280 km. Sono disponibili sistemi di alimentazione a metano compatibili con tutte le tipologie di motorizzazioni che equipaggiano le vetture presentati sul mercato. Si possono di conseguenza trasformare a metano, senza alcuna complicazione di natura tecnica, tutte le auto alimentate originariamente a benzina siano queste a carburatore, ad iniezione non catalizzata ed ad iniezione catalizzata. Nelle prestazioni del veicolo rivestono importanza fondamentale il corretto abbinamento tra il carburante e l’appropriata tecnologia motoristica. Nel caso di motori a doppia alimentazione (metano e benzina) l’ottimizzazione del motore non può essere completa e quindi non si sfrutteranno appieno le caratteristiche del carburante metano. In ogni caso gli impianti più moderni (iniezione di gas multipoint sequenziale fasato BRC SEQUENT) la differenza di prestazioni nell’uso pratico dell’autoveicolo è quasi inavvertibile, mentre diviene più sensibile nel caso degli impianti meno evoluti (impianti tradizionali a miscelazione), in particolare se non dotati dei sistemi elettronici di variazione dell’anticipo.

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Grazie alle bassissime emissioni inquinanti, i veicoli a metano possono circolare liberamente nei centri storici anche nei periodi di restrizione del traffico, salva diversa indicazione. Il metano, essendo un gas più leggero dell’aria, non dà luogo ad accumuli ma si disperde nell’aria; pertanto è possibile parcheggiare in box, garage sotterranei e trasportare in traghetto gli autoveicoli alimentati anche a metano. Non esistono inoltre divieti di transito in gallerie, trafori e viadotti. Le bombole di metano devono essere sottoposte ogni cinque anni al collaudo presso la G.F.B.M. (Gestione Fondo Bombole Metano), l’operazione è completamente gratuita ed è finalizzata alla verifica dello stato di efficienza e conservazione delle bombole, in modo da assicurare la massima sicurezza di esercizio dell’impianto a metano sull’autoveicolo. (Legge 7 giugno 1990 N. 145, D.P.R. 9 novembre 1991, n. 404). I serbatoi per il gas compresso sono in grado di fornire le più ampie garanzie di sicurezza. Le bombole sono infatti sottoposte a severi collaudi, sia in sede di omologazione sia nel corso della loro vita.

Riccardo Muraca – IID OT

Gli svantaggi del gas naturale come combustibile per autotrazione sono di diversa natura. In primo luogo, le prestazioni del motore sono in genere meno brillanti che con altri carburanti. Tipicamente la potenza di un motore di piccola-media cilindrata, è del 10% inferiore quando alimentato a gas naturale rispetto a quando è alimentato a benzina, tuttavia la velocità massima raggiungibile resta quasi invariata anche se diventa più difficile e lento raggiungerla. Il secondo problema è l’ingombro del serbatoio di gas naturale. Questo porta, su vetture di medie dimensioni, a una consistente limitazione dello spazio del bagagliaio rispetto ai serbatoi per combustibili liquidi, senza tuttavia ottenere quantità immagazzinabili di gas naturale che consentano autonomie equivalenti. Uno dei limiti rimane di conseguenza l’autonomia, che va dai 200 ai 450 km a seconda del tipo di vettura

Per quanto riguarda la tipologia più classica e diffusa di auto bifuel metano-benzina, l’installazione dell’impianto in aftermarket consente di avere un’auto ibrida che si muove a benzina, oppure a metano (attivando un apposito pulsante). Il metano è commercializzato allo stato gassoso e viene erogato compresso alla pressione di 216 bar nominali con cui vengono riempite le bombole installate sulla vettura (solitamente nel baule per le vetture trasformate successivamente alla costruzione, sotto il pianale per le vetture già concepite per il funzionamento a metano). Il sistema misura la massa del gas che viene erogato e per questo il prezzo del carburante è espresso in funzione non del volume ma della massa. Attualmente (luglio 2009) il prezzo medio al distributore è di circa 84 centesimi di euro al kg. Un kg di metano equivale all’incirca ad 1,5 litri di benzina.

Teoricamente il metano potrebbe dare prestazioni migliori della benzina poiché è maggiore il suo numero di ottano (che è pari a 120), e dunque ha un maggior rendimento, come accade anche nelle centrali elettriche alimentate a metano (turbogas); ciò richiederebbe però motori con un rapporto di compressione maggiore di quello dei motori attuali, predisposti con un rapporto di compressione adatto alla benzina. Questo non avviene ovviamente per i motori che sono già pensati per il funzionamento a gas naturale, il cui rapporto di compressione è più alto. Questi motori hanno prestazioni maggiori nel funzionamento a gas naturale rispetto a quello a benzina.

Piccirillo – III D OT

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VII.4.-

CHE COS’E IL GPL?

Il Gpl deriva dall’elaborazione naturale del gas e dalla raffinazione del petrolio greggio; sul mercato è venduto come miscela (propano/butano) e come propano o butano commerciale. Del gas naturale, il Gpl, come miscela di propano e butano, costituisce una percentuale che arriva fino al 5%: esso viene normalmente separato subito dopo l’estrazione del gas grezzo, che è composto essenzialmente da metano. Il Gpl che proviene dalla raffinazione del petrolio si ottiene dalla prima distillazione del greggio e dal processo di reforming, mentre una quota

minoritaria proviene dai processi di conversione (cracking catalitico, hydrocracking, visbreaking). Come il gas naturale, il GPL è una fonte energetica “a basso impatto ambientale” impiegata principalmente nel settore residenziale ed in quello dei trasporti. Si tratta di un combustibile ecocompatibile in quanto il contenuto di sostanze inquinanti e di gas ad effetto serra immesse in atmosfera durante la combustione – sia nell’uso residenziale che in quello autotrazione – è percentualmente inferiore rispetto a quello dei combustibili liquidi tradizionali. Sotto forma di liquidi, i GPL possono essere facilmente immagazzinati, manipolati e trasportati in recipienti a pressione quali cisterne ferroviarie o stradali e resi fruibili con modalità economicamente convenienti nei luoghi di utilizzo domestici e industriali o per l’alimentazione delle auto. Nel settore residenziale queste caratteristiche consentono di stoccare importanti quantità di energia in recipienti di piccole dimensioni e questo rende il combustibile facilmente disponibile al domicilio dell’utente, anche in località disagiate, dove condizioni logistiche e geografiche rendono non realizzabili altre modalità per il soddisfacimento della domanda energetica.

Michael Demusca – IB OMT

NELLE AUTOMOBILI

Il GPL è vantaggiosamente utilizzato, oltre che per il riscaldamento domestico, anche per l’alimentazione di autovetture a benzina grazie ad una semplice trasformazione del motore. Tutte le vetture alimentate a benzina possono essere facilmente adattate alla doppia alimentazione benzina/GPL (carburatore, iniezione, turbo, catalizzate).

Nel campo dell’autotrazione, il GPL costituisce la soluzione ideale per conciliare sicurezza, risparmio, prestazioni, energia pulita e ampia rete di rifornimento. Il suo successo nel campo dell’autotrazione è dovuto alle sue naturali caratteristiche chimico-fisiche, ideali per conferire all’autovettura ottime prestazioni in termini di potenza, elasticità, buon funzionamento del motore, riducendo notevolmente le emissioni inquinanti.

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L’elevata tecnologia raggiunta conferisce ai sistemi di alimentazione a GPL per autotrazione la massima affidabilità e sicurezza in tutte le condizioni d’uso più critiche. Questa ragione, unita al basso costo del rifornimento e alle scarsissime emissioni inquinanti, rispetto a benzina e diesel, ha fatto del GPL il carburante ecologico alternativo scelto in sempre più numerosi paesi europei e mondiali (Italia, Austria, Francia, Olanda, USA, Giappone, …) per l’alimentazione dei mezzi pubblici quali autobus, taxi e scuolabus. La maggior parte delle case automobilistiche propone sul mercato europeo vetture a doppia alimentazione benzina/GPL di serie, delle quali una parte è commercializzata in Italia. Attualmente in Europa ci sono circa 2 milioni di veicoli circolanti, fra cui auto private, taxi, flotte aziendali di veicoli leggeri per la distribuzione merci, veicoli di servizio e mezzi delle amministrazioni locali. Questi valori sono in continuo aumento, anche grazie alla progressiva sensibilizzazione dei Comuni ai problemi di inquinamento urbano, e alla promozione di finanziamenti statali e provinciali per la trasformazione a GPL della propria vettura o per l’acquisto di una vettura nuova a GPL L’Italia è al primo posto in Europa per consumi e numero di veicoli a GPL circolanti, ed è storicamente il Paese-leader per quanto riguarda la produzione e la commercializzazione di apparecchiature per l’alimentazione a GPL. Ci sono state e ci sono tuttora diverse iniziative in numerosi paesi nel mondo per incentivare la trasformazione di mezzi pubblici all’alimentazione a GPL. L’elemento scatenante è sempre l’elevato inquinamento presente nelle metropoli. E’ provato infatti che la sostituzione del parco macchine circolante con macchine alimentate a GPL abbassa notevolmente i valori di inquinamento urbano Tra le esperienze di rilievo ricordiamo quella di Vienna, con oltre 500 autobus a GPL dedicati al trasporto pubblico circolanti da più di 15 anni, quella di Copenhagen, con oltre 180 city bus a GPL, e quelle di altre metropoli quali Amsterdam, Groeningen, Madrid, Barcellona, Montpellier. In Giappone inoltre, 250.000 taxi sono alimentati a GPL, così come molti mezzi in dotazione alla Polizia USA. Oggi in Italia ci sono quasi 2.000 punti di rifornimento ben segnalati e soprattutto lungo le arterie autostradali. Comunque in Italia i punti di rifornimenti GPL sono in aumento. In Europa i punti di rifornimento GPL sono più di 5.000.

Gianluca Eboli – IID OT

Installare un impianto a gas GPL sulla propria auto abbatte notevolmente i costi di carburante (benzina o diesel) con un risparmio che può arrivare anche al 50-60% con gli stessi chilometri percorsi. Negli impianti GPL un po’ più vecchi si verificava una leggera perdita di potenza di circa il 5% rispetto al funzionamento a benzina, ma ormai gli impianti di ultima generazione danno degli standard di prestazioni e affidabilità sostanzialmente identici all’alimentazione a benzina, infatti ripresa, accelerazione e velocità di punta, sono praticamente restano praticamente invariati passando al GPL. I consumi di carburante sono leggermente superiori nell’impianto GPL, in quanto il potenziale calorico è inferiore rispetto alla benzina. Questo leggero aumento dei consumi (circa il 5%) è comunque ampiamente compensato dai minori costi del carburante alla pompa.

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Per anni si è pensato che un’auto alimentata a GPL fosse più pericolosa e insicura rispetto alle auto alimentate a benzina. Questo non è più vero in quanto gli standard di sicurezza e le procedure da

rispettare, sono tali e tante che addirittura si può pensare che sia più sicura un’auto alimentata a GPL. Infatti ogni componente utilizzato (serbatoio, tubazioni) sono decisamente più sicuri in un impianto gpl. Basti pensare che i normali serbatoi della benzina sono in materiali plastici e i tubi in plastica o gomma, invece il serbatoio GPL e in

acciaio (di uno spessore decisamente superiore a quello necessario alla pressione sopportata) e i tubi in materiali metallici. Anche i test vengono effettuati per resistere a tutte le situazioni più pericolose: tamponamento, incendio, calore, ecc. Addirittura il livello di sicurezza ottenuto con gli impianti a GPL di ultima generazione è talmente elevato che in alcuni Paesi le compagnie di assicurazione prevedono degli sconti per le auto con alimentazione a GPL. L’utilizzo di contenitori a pressione consente di avere dimensioni tutto sommato limitate. Per dare un esempio, una bombola da 40 dm³ di metano contiene circa 6 kg di gas, compresso a oltre 20 Mpa (200 bar); una bombola di pari volume di GPL ne contiene circa 20; di conseguenza l’energia fornibile è circa 3 volte superiore. Il GPL ha assunto una rilevante valenza economica con moltissimi addetti impiegati nelle fasi a valle della raffinazione – imbottigliamento, distribuzione, produzione di serbatoi e valvole. Per la sicurezza il GPL, una volta ridivenuto gas, ha una densità superiore a quella dell’aria e ciò gli impedisce di diffondersi nell’atmosfera; in caso di fuoriuscite accidentali tende quindi a concentrarsi ristagnando al suolo e nelle cavità, causando situazioni molto pericolose, a rischio di incendio. Per questo, in passato, agli autoveicoli con bombole di GPL era vietato il parcheggio sotterraneo o al chiuso (nelle navi, per esempio).

Tiziano Murtas – III D OT

VII.5.-

CHE COS’E IL IDROGENO?

L’idrogeno (dal greco hydor che significa acqua) è il primo elemento chimico della tavola periodica degli elementi. Ha un solo protone e di conseguenza un solo elettrone, quindi è in un certo senso l’elemento più piccolo e semplice che ci sia. In oltre questo significa anche che è l’elemento più leggero. Come elemento è molto instabile, ciò vuol dire che si ricombina facilmente con altri elementi. In natura esiste sotto forma di molecola diatomica H2; questo vuol dire che due atomi di idrogeno si combinano tra loro.

La molecola H2 a temperatura ambiente è un gas incolore e inodore altamente infiammabile, l’idrogeno è anche l’elemento più abbondante sulla terra, malauguratamente però tende ricombinarsi con qualsiasi altro elemento, questo significa che è difficilissimo trovare molecole di

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H2 singole in natura, ma la si può trovare all’interno di tantissime cose, come per esempio l’acqua (H2O per l’appunto; l’idrogeno compone 11,19% di tutte le acque sulla terra), è presente nella maggior parte dei composto organici e negli organismi viventi. L’idrogeno non è solo abbondante sulla terra, ma anche nello spazio: le stelle sono costituite in prevalenza da idrogeno allo stato di plasma. Questo elemento gioca un ruolo vitale nel fornire energia all’universo.

NELLE AUTOMOBILI

Al momento esistono due tecnologie alternative per realizzare un'auto a idrogeno: - Fuel Cell ed è basata sulle celle di combustione da cui scaturisce l'energia elettrica

per muovere i veicoli dotati a loro volta di motore elettrico. - combustione diretta di idrogeno, in questo caso le automobili mantengono il

tradizionale motore a combustione ma sono alimentate dall'idrogeno anziché da benzina o diesel.

Quest'ultima strada viene seguita in particolar modo da BMW. Le auto a idrogeno non rilasciano emissioni inquinanti ma soltanto vapore acqueo. Se l'intero parco circolante fosse composto da auto a idrogeno scomparirebbe il problema delle polveri sottili e dello smog urbano, inoltre si abbatterebbe sensibilmente l'emissione di gas serra nell'atmosfera. Va comunque precisato che l'inquinamento da delocalizzato (auto) diverrebbe accentrato nei luoghi di produzione dell'idrogeno. Quest'ultimo punto è di fondamentale importanza per valutare l'impatto ambientale finale della auto a idrogeno. L'idrogeno è un buon vettore di energia. E' però necessario produrlo poiché sulla Terra non esiste allo stato "libero" ma soltanto in quello combinato con altri elementi. Per ottenerlo dobbiamo trasformare i legami di idrogeno in molecole. Attualmente può essere prodotto da tutte le fonti d'energia conosciute. L'impatto ambientale è però diverso. Ad esempio, l'idrogeno può essere prodotto tramite il reforming dagli stessi combustibili fossili. In questo caso però l'inquinamento evitato dalle auto a idrogeno viene spostato alla ciminiera della fabbrica che lo produce, pertanto l'impatto finale sull'effetto serra è uguale. L'altra strada per produrre idrogeno è il processo di elettrolisi per scindere l'acqua in atomi di idrogeno e di ossigeno. Questa seconda strada ha il vantaggio di non essere inquinante ma richiede una grande quantità di energia per funzionare che potrebbe essere fornita dalle centrali nucleari e dalle energie rinnovabili in modo pulito. In questi ultimi due casi si riducono le emissioni di gas serra in atmosfera e l'impatto finale sull'effetto serra è positivo. Va comunque precisato che l'energia prodotta e accumulata nel vettore idrogeno è inferiore a quella necessaria per produrlo, sarà quindi necessaria una maggiore quantità di energia su scala planetaria per trasformare le auto tradizionali in auto a idrogeno. In altre parole, è importante capire come sarà prodotto l'idrogeno.

Zarrad IB OMT

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Sono diversi i produttori che stanno progettando veicoli commerciali ad idrogeno. Oltre alle giapponesi Honda e Toyota, sempre in prima linea sul fronte delle auto ecologiche, in Europa è la BMW a credere più fermamente nel progetto. Il problema più serio è però quello dell'infrastruttura della rete distributiva: non solo è molto costoso installare un distributore di idrogeno ma ancora non è chiaro esattamente in che forma andrebbe stoccato (se liquido, compresso o solido) e trasportato fino ai distributori: date le precauzioni da prendere in fase di spostamento e le quantità esigue che è possibile muovere in sicurezza, anche quello del trasporto diventa infatti un fattore ambientale critico. Non avrebbe senso, infatti, che per veicolare l'idrogeno alle stazioni di servizio si bruciasse una quantità corrispondente di combustibili fossili. La corsa verso l'idrogeno coinvolge le case automobilistiche alla ricerca dell'innovazione tecnologica appropriata per contenere i costi produttivi e nello stesso tempo riuscire ad offrire performance e sicurezza. L’idrogeno non rilascia sostanze inquinanti dal tubo di scappamento ma soltanto vapore acqueo, è comprensibile che l'attesa da parte della società civile per l'idrogeno sia ormai improrogabile, spingendo le case ad un'accelerazione sulla ricerca e sviluppo. In questi anni non sono però mancate criticità tecnologiche da superare per la ecomobilità H, in particolare sulle modalità di stoccaggio dell'idrogeno nel serbatoio dell'automobile. La soluzione definitiva al problema potrebbe arrivare dalle soluzioni che consentono di assorbire e stoccare l'idrogeno sfruttando il principio dei composti chimici "spugna" in grado di rilasciare gradualmente l'idrogeno al propulsore. La nuova tecnologia proposta evita così la presenza sul veicolo del costoso serbatoio necessario per stoccare sotto pressione l'idrogeno liquido alla notevole temperatura di -253°C. La soluzione chimica permette invece lo stoccaggio dell'idrogeno molecola per molecola senza nessun pericolo. Secondo molti osservatori l'introduzione di questa recente innovazione rappresenterà la vera spinta alla diffusione dell'idrogeno come carburante e soluzione di mobilità pulita. I costi della tecnologia sono ancora molto elevati ma sono molti gli osservatori pronti a scommettere che lo stoccaggio chimico sia la strada giusta per la produzione su scala delle prime automobili a idrogeno.

Mentre Bmw ha gettato la spugna Toyota si lancia nel sogno ecologico delle auto a idrogeno. Tutti i progetti avviati vengono minati dall’incertezza del ritorno dell’investimento. E’ normale. I costi di progettazione, produzione e collaudo sono elevati e il mercato non è ancora pronto per questa tecnologia. La domanda si sta affacciando solo adesso sull’universo delle elettriche e delle ibride, con uno slancio anabolizzato dagli aiutini fiscali dei governi di tutto il mondo. L’auto ad idrogeno, il sogno di tanti, la speranza per un ambiente finalmente rispettato e l’affrancamento dal petrolio. Secondo gli studiosi, l’auto alimentata ad idrogeno, è un dato di fatto, ma non proprio dietro l’angolo, poiché, affinché il tutto si concretizzi al meglio, occorreranno non meno di 10 anni per realizzarlo. La sperimentazione su larga scala, interamente Made in Italy, per quanto ci riguarda,inizierà, infatti, con la nuova Panda ad idrogeno che, grazie alla nuova tecnologia delle fuell-cell, godrà di un’autonomia di esercizio di oltre 200Km e una velocità massima di 130 Km/h. Ma i problemi sono ancora tanti da risolvere prima di trovare anche noi utenti, la nostra auto ad idrogeno in concessionaria e, nel frattempo, non ci resta che seguire gli sviluppi dell’importante scoperta.

Vito Contessa – IID OT

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Stoccaggio dell'idrogeno allo stato gassoso in bombole ad alta pressione

Tecnologia Fuel Cell Le celle a combustibile o pile a combustibile sono dei dispositivi che attraverso un fenomeno chimico, tra idrogeno e ossigeno, permette di ottenere calore, acqua e corrente elettrica. La sua struttura è costituita da due elettrodi e da un elettrolito che permette il passaggio di ioni tra i due elettrodi. A differenza degli accumulatori che grazie al fenomeno chimico restituiscono l’energia immagazzinata in fase di carica, le pile invece traggono l’energia dalla combustione e la erogano fino a quando l’ossigeno e l’idrogeno l’alimentano.

Fazioli Oliviero IID OT

Negli ultimi anni si è grandemente intensificato l’interesse internazionale allo sviluppo di tecnologie legate all’idrogeno come vettore energetico ed in particolare al

settore dei veicoli con motori elettrici dotati di celle a combustibile. A ciò hanno contribuito da un lato i sempre più allarmanti rapporti sui cambiamenti climatici imputati all’uso dei combustibili fossili e dall’altro il progresso nella tecnologia delle celle a combustibile, in particolare di quelle denominate PEMFC (polymeric electrolyte membrane fuel cells). In una cella a combustibile l'idrogeno reagisce con l'ossigeno producendo elettricità (e calore). L'efficienza del processo che avviene all'interno della cella può raggiungere il 50-60% e il prodotto di scarico è semplicemente acqua. L’idrogeno può essere impiegato come combustibile anche in un normale motore a scoppio, dove brucia rapidamente a contatto con l’ossigeno dell’aria. Tuttavia, l’efficienza di questa trasformazione termica d’energia da chimica a meccanica è limitata dall’efficienza propria di un motore termico e non supera il 25%. Vi sono ancora numerosi problemi da risolvere prima di poter assistere ad una commercializzazione su larga scala di queste tecnologie.

Oltre alla mancanza di infrastrutture per l’idrogeno (produzione, distribuzione, rifornimento, ecc.) è di grande importanza il problema dello stoccaggio a bordo di un veicolo. L’idrogeno può essere immagazzinato come gas compresso in bombole ad alta pressione, come idrogeno liquido in adatti contenitori criogenici, oppure allo stato solido in idruri metallici o in altri materiali in grado di assorbirlo in quantità apprezzabile, come carbonio macinato o alanati. Anche se semplice ed economico,

Basta con la sperimentazione sui motori a idrogeno. La notizia viene direttamente da Klaus Draeger, boss della Divisione Ricerca della BMW e ha lasciato di stucco molti addetti ai lavori. La Casa di Monaco ha infatti investito molto sui propulsori alimentati a idrogeno e lo “stop” autoimposto suona come una sorta di sconfitta. Il perché di tale decisione è da ricercarsi molto probabilmente dallo svantaggioso rapporto costi/profitti. La tecnologia per sviluppare motori a scoppio alimentati a idrogeno è molto costosa e per ora solo in pochi hanno investito in tal senso, specialmente nelle infrastrutture necessarie. In Europa, infatti, dove da quasi 2 anni circolano 100 Serie 7 a idrogeno, i punti di rifornimento sono pochissimi (solo 30 in Germania, per esempio) e non si vedono possibilità di crescita in un prossimo futuro. BMW si concentrerà quindi sulla più classica propulsione elettrica e sullo sviluppo di vetture ibride, come X6 e Serie 7 ActiveHybrid, oltre alla futuristica Vision Efficient Dynamics, per arrivare poi al 2015 con un’auto a propulsione interamente elettrica, che si chiamerà probabilmente Megacity Vehicle. A gioire per l’annuncio è l’associazione ambientalista Greenpeace, che ha dichiarato “Finalmente un'impresa capisce che la mobilità di massa non potrà dipendere dall'idrogeno e smette di investire somme enormi per risultati incerti.” Il concetto della propulsione a idrogeno non sarà però del tutto cancellato dal vocabolario BMW: lo sviluppo di celle a combustibile dovrebbe infatti continuare, seguendo la politica di Mercedes esemplificata dalla Classe B Fuel Cell

Longo – III D OT

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l’uso di bombole ad alta pressione presenta seri problemi di sicurezza, di ingombro e di peso. Un serbatoio di idrogeno liquido concentra una maggiore capacità di idrogeno nell'unità di volume, ma comporta problemi di costi per la refrigerazione, di sicurezza, di manipolazione e di perdita per evaporazione. L’uso di assorbitori solidi come gli idruri metallici consente densità volumetriche paragonabili o superiori all’idrogeno liquido e non presenta particolari pericoli d’uso. Tuttavia il peso del mezzo assorbitore e quindi del serbatoio può risultare troppo elevato rispetto al peso dell’idrogeno immagazzinato. Inoltre è necessario disporre di materiali facilmente caricabili con l’idrogeno e che lo rilascino in modo controllato e in condizioni di temperatura e di pressione accettabili nelle applicazioni pratiche. Sono questi pertanto i problemi ai quali si è recentemente rivolta molta attenzione, con il conseguente avvio di ricerche da parte di enti di ricerca, produttori di veicoli, industrie petrolifere, industrie produttrici e distributrici di energia, industrie produttrici e trasportatrici di gas tecnici. Queste ricerche sono spesso svolte in collaborazione nell'ambito di progetti nazionali ed internazionali.

Longo – IIID OT SUL BRENNERO SI VA A IDROGENO L'AUTOSTRADA A22 SARA LA PRIMA ARTERIA EUROPEA DOTATA DI DISTRIBUTORI DI IDROGENO PRODOTTO DA FONTI RINNOVABILI Nel 2030 si prevedono,in Europa, oltre 16 milioni di auto ad idrogeno, ma la diffusione di questa tecnologia richiede, inevitabilmente,la creazione di una rete capillare di distribuzione e approvvigionamento. Per fronteggiare questa esigenza,l'autostrada del Brennero allestirà ben cinque aree di servizio per la produzione ed erogazione di idrogeno. L'impianto pilota di Bolzano sud, dove lo scorso 21 Settembre e stata posata la prima pietra, sarà inaugurato entro la prima meta 2011:una volta a regime,produrrà 240 metri cubi di idrogeno all'ora per un totale annuo di oltre 2 milioni di metri cubi di combustibile pulito. All'avvio dell'impianto,l'idrogeno verrà utilizzato come combustibile per l'autotrasporto allo stato puro, o miscelato con metano per il rifornimento degli autobus pubblici. L'idrogeno prodotto verrà poi utilizzato sperimentalmente per la produzione di energia in sistemi a celle combustibili,alimentando pannelli a messaggio variabile posti lungo A22. I prossimi impianti sorgeranno a Rovereto e al Brennero,tra il 2011 e il 2012. Il settore autostrade scende cosi in campo contro l'insostenibilità del sistema energetico attuale, basato sul prevalente uso di risorse non rinnovabile e sul conseguenze, elevato rilascio di sostanze inquinanti nell'ambiente. L'idrogeno come noto, non é presente in natura allo stato libero: deve essere prodotto a partire da idrocarburi (come il metano) e da combustibili fossili attraverso un processo chimico o, come per gli impianti lungo l'Autobrennero da fonti rinnovabili. La regia del progetto é dell'Istituto per le Tecnologie innovative (IIT), società creata dalla provincia di Bolzano assieme all'Autobrennero e altri partner, L'investimento, di oltre 9 milioni di euro,rappresenta il primo passo di un più ampio progetto,mirato ad attrezzare la direttrice autostradale Monaco-Brennero-Modena (650km) per il rifornimento di idrogeno, con benefici sull'intero ecosistema alpino.

Berardi – ID OMT