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Inserto redazionale M.C. Maggio - Luglio 2015

Inserto redazionale M.C. Maggio - Luglio 2015giuseppeallamano.consolata.org/images/stories/DocumentazioniPDF/... · /Che bello!0 14 PAROLE NUOVE Fiducia nella Provvidenza 16 Delicatezza

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EDITORIALE 3

Irene: una figlia che scrive al padre 4

ATTUALITÀ

Brasile: con l’Allamano in Aparecida 6

164° compleanno dell’Allamano 8

L’Allamano e il suo successore 10

Un’agile biografia dell’Allamano 12

SPIRITUALITÀ

G. Allamano, un “devoto” dell’Addolorata 13

“Che bello!” 14

PAROLE NUOVE

Fiducia nella Provvidenza 16

Delicatezza con le persone 17

SULLA SCIA

I ricordi di un cugino 18

STUDI

Noi siamo dell’ultima ora 22

L’Allamano penitente e confessore 23

SANTI

San Bonaventura da Bagnoregio 26

L’Allamano e la Sindone 29

RICONOSCENZA 30

REDAZIONE e POSTULAZIONEIstituto Missioni ConsolataViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMATel. 06/393821Fax 06/3938.2255E-mail: [email protected] internet:giuseppeallamano.consolata.org

POSTULATOREP. GOTTARDO PASQUALETTI

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REDATTOREP. FRANCESCO PAVESE

[email protected]

Distribuzione gratuita.Il bollettino non ha quota d’abbonamento ma è sostenutocon offerte libere dei lettori.

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GRAFICAP. SERGIO FRASSETTO

ANNO LXXVIN. 2 - 2015

In coper tina - Dipinto che ritrae il beato Giuseppe Allamano all’età di 49 anni,

allorché, nella villa di Rivoli (To), prese la decisione di fondare l’Istituto.

Il quadro è opera di sr. Geltrude Mariani, delle Suore Francescane

Missionarie di Maria.

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Carissimi lettori,questo numero di “Giuseppe Allamano”

giunge alle vostre case nel mese di maggio.Il 23 di questo mese suor Irene Stefani verràproclamata “Beata”, nella diocesi di Nyeri(Kenya), sua terra di adozione.

Chi è sr. Irene Stefani? È una missiona-ria della Consolata, accolta dal beato Giu-seppe Allamano nel 1911, quando l’Istitutodelle missionarie muoveva i primi passi,dopo appena un anno dalla sua fondazione.

Nata ad Anfo (Bs), la giovane Mercede(così si chiamava prima di diventare suora)all’età di 14 anni conosce l’Istituto missio-nario, fondato dall’Allamano, grazie a unmissionario della Consolata della sua stessadiocesi, p. Angelo Bellani.

Il suo sogno, da quel momento in poisarà uno solo: diventare missionaria. Prov-videnzialmente nel 1910 l’Allamano avevainiziato il ramo femminile e così MercedeStefani è tra le prime giovani a bussare allaporta del nuovo Istituto. Due anni di pre-parazione e poi nel 1913 salpa per il Kenya,dove allora l’evangelizzazione è ancora agliinizi e le opere sociali come scuole e istitu-zioni sanitarie pressoché inesistenti.

In Africa sr. Irene ha un’unica preoccu-pazione: donare Cristo alla popolazioneKikuyu a cui è stata inviata. Essa però cono-sce bene l’insegnamento dell’Allamanosecondo cui il Vangelo sarà ben accetto sol-tanto se è accompagnato dalla cura per ilbenessere umano della gente. Gli africani

diventano subito la sua “gente” a cui dedicatutte le sue energie, particolarmente i pic-coli, i poveri, gli ammalati.

Un anno dopo, nel 1914, scoppia laprima guerra mondiale che farà sentireanche in Kenya conseguenze nefaste. Sr.Irene viene inviata negli ospedali militaricome infermiera dove trascorrerà sei lunghianni nella cura ai malati.

Le biografie della Serva di Dio dedicanomolte pagine nel descrivere le condizioniinumane degli ammalati africani, i “portato-ri” dell’esercito inglese. Con il sorriso sullelabbra, la giovane missionaria lava, medica,fascia ferite e piaghe, distribuisce cibo eimbocca i più deboli. Il tutto con ineffabileamore e delicatezza. Cerca perfino di impa-rare espressioni nelle varie lingue per con-solare e incoraggiare.

“Angelo di carità” viene definita da colo-ro che la conoscono da vicino. Non manca-no alla missionaria momenti di intima eprofonda gioia quando può impartire il bat-tesimo a coloro che sono in pericolo dimorte. Nel corso dei sei anni, annota ilnome di ben tremila di essi.

Terminata la guerra, sr. Irene ritorna trai confratelli e consorelle che lavorano nellaterra Kikuyu. È questa la seconda e ultimatappa della sua vita missionaria che trascor-re nella missione di Gikondi. Si dedicaall’insegnamento scolastico in un tempo incui la scuola non è ancora apprezzata evalorizzata dalla gente. Si porta allora di

Parole del Padre Generale

EDITORIALE

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casa in casa cercando di convincere i geni-tori a mandare i propri figli alla scuola e alcatechismo. Non manca, durante le sue fre-quenti visite, di curare i malati, assistere lepartorienti e salvare i bambini abbandonatinella brughiera. Un’altra attività caratteristi-ca del suo zelo missionario è l’aiuto che dàalle famiglie nella corrispondenza epistolarecon coloro che sono lontani.

Nelle sue giornate sempre tanto piene diattività non mancano momenti prolungatidi preghiera e ore serene con le consorelle.Nel 1930 scoppia la peste nei territoriKikuyu e sr. Irene è in prima linea nell’assi-stere gli ammalati. Incurante dei pericoli, sache la sua presenza è necessaria per distri-buire medicine e confortare i morenti. Lei

pure contrae il morbo e in pochi giorni,all’età di 39 anni, consegna la sua vita nellemani di quel Dio a cui ha consacrato tuttala sua esistenza. La gente piange colei a cuiha voluto dare il nome di “Nyaatha”, “latutta piena di misericordia e di bontà”.

Giuseppe Allamano, il Fondatore, haaccolto in Cielo una delle sue figlie chemeglio ha incarnato il suo ideale missiona-rio.

Il 23 maggio 2015 la Chiesa proclama“Beata” Sr. Irene e la addita a tutti qualemodello sublime di zelo missionario eattenzione ai più poveri. Possa benedirci dalCielo, assieme al beato Allamano.

P. Stefano Camerlengo, IMCPadre Generale

ATTU

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Limuru, 20-2-1918, Veneratissimo ed Amatissimo Padre,voglia, Veneratissimo Padre, perdonare la mia pigrizia, per il mio lungo silen-

zio di cui il dovere, anzi il bisogno dell’animo, mi rimproverava ognora, ma cheio purtroppo mi lasciai vincere da quella maledetta (pigrizia). Ne sono pentita, gliene chie-do scusa, e Le prometto per l’innanzi maggior impegno e docilità anche a questo miodovere di viva riconoscenza che a Lei devo per tutto ciò che Lei fece e fa ognora per me.Prestar assistenza a questi miseri ammalati, doppiamente infelici, è grande opportunità, edil Signore benedetto fa vedere i veri prodigi della Sua grazia anche nelle Anime di questi

Irene: una figlia che scrive al Padre

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Sr. Irene Stefaniindica GiuseppeAllamano di cui sidichiarava figliadevotissima.

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poveri derelitti. Vi sono Anime bramose e docili agli insegnamenti religiosi, che uniamoall’assidua assistenza che prestiamo loro, alcune ve ne sono avide, altre invece non nevogliono sapere; e di queste ne successero diverse a me. Oh, sì che in questi frangenti, midicevo, essere per me giunte le ore nere, che Lei Veneratissimo Padre ci prediceva costì!Rammentando i Suoi insegnamenti seguivo pure gli esempi della brava Sr. Cristina, unen-do alle preghiere qualche sacrifizietto ed entrambe pratichiamo sempre il consiglio datocidal Rev. Padre Panelatti: ricordiamoci sempre che il nostro Veneratissimo Padre Fondato-re a Torino è un vero Missionario di tutto il mondo, e non della sola Africa, come Egli dice-va, non dimentichiamoci dunque di unire la nostra intenzione all’opera Sua, vi troveremol’aiuto potente. Difatti in realtà ne constatiamo i salutari effetti, specie nella conversione diAnime ostinate.

Limuru, gennaio del 1919, Veneratissimo ed Amatissimo Padre,fui richiamata al Masari per la grazia incomparabile di fare 10 giorni di Santi

Esercizi Spirituali ed è proprio in questo sacro ritiro che ebbi la possibilità di sen-tire le preziose Sue conferenze che Lei tiene là a coteste fortunate Figlie, le quali, da veree buone Consorelle, vengono partecipando pure a noi che tanto siamo ansiose di così pre-ziosa manna, con il graditissimo e benefico Diario che ci inviano.

Mi sembra di ritornare ai beati tempi trascorsi costì, a godere della preziosa Sua com-pagnia e mi sento come infondere nuova energia a ben praticare quanto ci va additando.

In questo Sacro Ritiro feci i seguenti proponimenti.Di prediligere sempre le occupazioni che all’occhio umano sembrano piccole, e di farmi

violenza a mantenermi sempre uguale di carattere, per qualunque contrasto che trovassela mia debolezza, perciò riguardo alla pazienza nel trattare con questi poveri neri. Un solo(atto) contrario anche minimo li impressiona male, tanto che non lo scordano né col lungotempo, né in luogo lontano.

Alfine di poter essere una vera e Santa Missionaria quale mi desidera e ben praticarequesti miei propositi, prostrata in spirito ai Suoi piedi, mentre le bacio la sacra destra, sonoa pregarla d’una Santa Benedizione.

Sua Devotissima e Obbligatissima figlia Sr. Irene.

ATTUALITÀ

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Sr. Irene Stefaninell’ospedale diKilwa Kivinje in Tanzania,

mentre il medicoinglese visita gli

ammalati.

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L’anno 2014 ha visto la “Famiglia dellaConsolata” che vive in Brasile (missionari,missionarie, laici, giovani, amici e parenti)unita attorno alla persona del Fondatore, ilbeato Giuseppe Allamano, per ringraziareDio del dono della sua presenza anche inquesta grande nazione e per ravvivare il suospirito, quello che ha trasmesso ai suoi figlie figlie, perché lo vivessero e lo comunicas-sero anche alla gente che avrebbero incon-trato.

L’Anno dell’Allamano, che i due Istitutidella Consolata, assieme a quanti sono lorovicini, hanno celebrato durante il 2014, haavuto un momento forte anche in Brasile

domenica 15 febbraio, festa liturgica antici-pata del beato.

In quella circostanza abbiamo volutoconcludere idealmente il cammino percorsoassieme al Fondatore, durante i dodici mesipassati, e rilanciarlo con rinnovato entusia-smo per il 2015, incoraggiati dall’esperien-za molto positiva vissuta e dal comune gra-dimento. In più, il 23 maggio di quest’an-no, in Kenya, viene proclamata “beata” sr.Irene Stefani, una delle figlie primogenitedell’Allamano.

Una delle iniziative che abbiamo pro-grammato è stato un pellegrinaggio al san-tuario di Nostra Signora Aparecida, Patronadel Brasile. «Con l’Allamano in Aparecida»era lo slogan che ha caratterizzato l’iniziati-va e che ha percorso le lunghe distanze delpaese per raggiungere tutti i luoghi dovevivono e operano i nostri missionari e mis-sionarie. In questo modo tanta gente è stataincoraggiata a partecipare. Così, sabato 24gennaio 2015, un migliaio di persone pro-venienti da varie parti del paese, si sonoincontrate nella “Casa di Maria”, nomepopolare che viene dato al celebre santua-rio.

Il momento più significativo dell’eventoè stato la celebrazione Eucaristica presiedu-ta dal vescovo mons. Giovanni Crippa, mis-sionario della Consolata. Assieme a luihanno concelebrato il Rettore del santuarioe un folto gruppo di sacerdoti missionari.Come sempre, anche quel sabato il santua-rio era gremito di pellegrini appartenenti adiversi gruppi. Il tempio, che è il più gran-de santuario mariano del mondo, era lette-ralmente gremito di gente. La celebrazioneè stata incentrata sulla presenza della“Famiglia della Consolata” radunata ai piedi

Brasile: con l’Allamano in Aparecida

Il poster-invito a celebrare la festa dell’Allamano.

della Madonna in occasione dell’Anno delloro Padre e Fondatore.

Mons. Crippa, nella sua omelia, dopoavere tracciato un profilo del Fondatore, hasviluppato due punti: «Contemplare inMaria l’amore che Dio ha per noi» e, di con-seguenza, essere coscienti che noi «siamochiamati a uscire in Missione». Come l’a-more di Dio ha portato l’Allamano a tra-sformare il Santuario della Consolata in unairradiazione del Vangelo nel mondo, cosìnoi vogliamo uscire da questo santuario,riconfermati nella nostra missione di porta-re a tutti la vera “Consolazione di Maria”,che è Gesù Salvatore.

Dopo la celebrazione, ci siamo incontra-ti tutti in un grande auditorium. Anchequello è stato un momento importante peranimarci e per presentare i gruppi giunti dadiverse parti del Brasile. Abbiamo offertoun omaggio al Fondatore con canti e com-

ponimenti su temi che ci toccano da vicino. È stato particolarmente apprezzato l’o-

maggio dei “Giovani Missionari della Con-solata”, che ci hanno intrattenuti con gra-ziose coreografie e musiche. Abbiamofesteggiato anche i missionari e le missiona-rie che durante l’anno celebrano l’anniver-sario dei 25, 50 e 60 anni della professionereligiosa o del sacerdozio.

Come dono e ricordo del pellegrinaggioè stato distribuito a tutti un kit contenentela biografia dell’Allamano, la novena di pre-ghiere alla Consolata e quella per interces-sione dell’Allamano, la corona del Rosario ealtro materiale di carattere missionario.

La soddisfazione si leggeva sul volto ditutti, perché abbiamo vissuto insieme unagiornata speciale di grazie e benedizioni,come pure un’esperienza di Chiesa e difamiglia missionaria.

Sr. Anair Voltolini, MC

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ATTUALITÀ

«Un po’ d’amore risolve tutto»: sono parole che fluivano dal cuore dell’Allamano e che diventavano insegnamento per i suoi figli e figlie.

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ATTU

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Il 21 gennaio 2015, p. MichelangeloPiovano, superiore regionale, accompagna-to dal parroco di Castelnuovo e da tre con-fratelli, ha celebrato l’Eucaristia nella cap-pella della casa dove l’Allamano nacque 164anni fa. Alla cerimonia hanno pure parteci-pato alcune missionarie della Consolata eun gruppo di persone del paese. Con que-sta semplice celebrazione si è voluto ringra-ziare, ancora una volta, Dio per il dono diquesto grande sacerdote che, partendo daquesto piccolo e, allora, sconosciuto paese,ha saputo aprire il suo cuore di apostolo atutto il mondo.

Effettivamente l’Allamano gradiva gliauguri per il compleanno, che i suoi mis-sionari immancabilmente gli facevano ognianno. Egli viveva tutti i suoi anniversari inun clima di fede, scorgendo in ognuno diessi un segno speciale dell’amore di Dioverso di lui. Riguardo la sua nascita, rima-neva come rapito dall’idea che Dio lo aves-se amato da sempre al punto da donargli la

vita, senza che lui la meritasse. Diceva aisuoi giovani ringraziandoli degli auguri peril 62° compleanno: «Riguardo la nascita:nessuno pensava a noi, neanche nostropadre e nostra madre...; ma c’era uno chepensava a noi e ci amava... chi? Sì, NostroSignore che ci dice: “Ti ho amato da tuttal’eternità e perciò ti ho tratto dal nulla,avendo misericordia di te”. Da tutta l’eterni-tà il Signore pensava a ciascuno di noi comese fossimo soli su tutta la terra, e ci ha crea-ti».

Anni dopo, quando compiva 71 anni,ritornò sullo stesso pensiero: «Iddio hapensato a me con amore. Prima dei parenti,prima ancora che fosse il mondo Iddio giàpensava a me con amore. E pensava a crear-mi un essere ragionevole, capace di cono-scerlo, amarlo e servirlo. Poteva benissimocrearmi una pietra (un diamante): ed iosarei esistito! Poteva crearmi una pianta,una bestia: ed avrei già avuto una gran mis-sione, quella di narrare la gloria del Creato-re. Invece, senza nessun mio merito, senza

164° compleanno dell’Allamano

Padre Michelangelo Piovano, superiore regionale, presiede l’eucaristia nella casanatale del beato

Allamano.

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ATTUALITÀ

che avesse bisogno di me... m’ha creato unuomo. Poteva creare un altro al mio posto,che avrebbe corrisposto con più slancio,invece ha voluto fare proprio come a Davi-de, scegliendo il più piccolo, il più debole!È un atto di pura sua bontà!».

Ecco perché voleva trascorrere il giornodel suo compleanno in ritiro spirituale.Intendeva comprendere e vivere in profon-dità il dono della vita. Il primo sentimentoche gli scaturiva dal cuore era un grande“grazie” a Dio. Scrisse sr. Francesca Giusep-pina Tempo, una delle prime missionarie:«Ancora negli ultimi anni, all’ora della suanascita, alle 18 del pomeriggio, quandopoteva si recava in chiesa a recitare il TeDeum». Ed era talmente sincera questa per-cezione dell’amore gratuito di Dio, chespesso, parlandone, si commuoveva. Cosìtestimoniò p. Giovanni Piovano: «Un anno,nell’anniversario della sua nascita, dopoaver reso grazie a Dio, ci disse tante cosesoavi sulla nostra filiazione divina, ed era

commosso. Mi colpirono queste parole cheriferiva a se stesso: “Da tutta l’eternità Diopensò a me con amore!”. Nel pronunciarequeste parole si sentiva che la commozionepiù tenera aveva fatto presa sul suo cuorepieno di riconoscenza per Dio».

In genere l’Allamano mandava qualchesemplice dono ai suoi giovani in occasionedei suoi anniversari, perché facessero festa.Erano doni semplici, spesso riciclati daquelli che riceveva lui stesso, come cara-melle, biscotti, frutta. Lui non aspettavaregali, ma un giorno ebbe il coraggio dimanifestare il vero dono che desiderava.Parlando alle suore, allora compiva 71 annie percepiva che la sua vita si stava progres-sivamente indebolendo, così si espresse:«Vi ringrazio degli auguri, ma il miglioraugurio sia questo: che il Signore mi facciasanto, e quando mi abbia fatto santo, miprenda pure...». I santi hanno un loromodo di ragionare, che effettivamente è ilpiù giusto. ❏

Padre Francesco Pavese mentre porge l’omelia.

Padre Orazio Anselmi con una famiglia di amici che ha partecipato alla celebrazione.

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Il 16 febbraio scorso, festa liturgica delbeato Giuseppe Allamano, nella chiesa a luidedicata presso la Casa Madre in Corso Fer-rucci, è stata celebrata una solenne eucari-stia, con il concorso di numerosa gente, didiversi parroci di Torino e di molti missio-nari e missionarie. Ha presieduto la cele-brazione il Can. Michele Olivero, attualerettore del santuario della Consolata. Comeultimo successore dell’Allamano, DonMichele si è detto onorato di poter ringra-ziare Dio e la SS. Vergine del dono di que-sto grande sacerdote e tributare a lui un sin-cero omaggio nella sua festa.

Il Can. Olivero ha introdotto la sua ome-lia evidenziando il significato missionariodella Parola di Dio, soprattutto del manda-to universale di Gesù, come è espresso dal-l’evangelista Marco: «Andate in tutto ilmondo e predicate il vangelo ad ogni crea-tura». La sua riflessione al riguardo è statamolto significativa: «L’Allamano ha ascolta-

to queste parole prima di noi, ma più seria-mente di noi, perché da esse si è lasciatocoinvolgere in modo concreto fondando isuoi due istituti missionari».

Dopo questa introduzione sulla Paroladi Dio, l’omelia è stata un commento deitesti liturgici della S. Messa propria delbeato Allamano, con speciale attenzione aquesta preghiera della colletta: «O Padre,che nel beato Giuseppe Allamano hai susci-tato un ardente desiderio di cooperare altuo disegno universale di salvezza, e lo haireso formatore di sacerdoti e padre di fami-glie missionarie per l’annuncio del Vangeloa tutti i popoli, concedi a noi di crescerenello stesso zelo fino a dare la vita per i fra-telli».

Ed ecco, in breve, il commento ai singo-li punti: «In questa magnifica orazione sonoespresse tutte le virtù apostoliche dell’Alla-mano. Anzitutto, è evidente che è stato lo

L’Allamano

e il suo

ultimo

successore

Il Can. Michele Olivero, rettore del santuario della Consolata, mentre porge l’omelia.

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ATTUALITÀ

Spirito di Dio a suscitare in lui non solo unsemplice e vago desiderio, ma un desiderio“ardente”, cioè una “volontà decisa” dicooperare alla salvezza di tutta l’umanità».E qui il celebrante si è domandato: «Il miorespiro apostolico com’è? È asfittico, pocoattivo, o è infuocato come quello dell’Alla-mano?».

«Questo desiderio efficace ha contribui-to a rendere l’Allamano un riconosciutoeducatore di sacerdoti. Come tale è diventa-to un moltiplicatore di apostoli non chiusinei propri limitati confini, ma con lo spiri-to aperto sul mondo intero».

«L’identità dell’Allamano, in particolare,è caratterizzata dal senso di “paternità”. Lasua vocazione era di radunare attorno a ségiovani, uomini e donne, che condividesse-ro lo stesso spirito e che fossero pronti aessere mandati. Così ha dato vita a duefamiglie di missionari e missionarie, allequali, da diversi anni, si sono uniti moltilaici come collaboratori. Famiglie completeche ancora oggi sono accanto ai poveri, agli

emarginati, ai lontani, con il desiderioardente, ereditato dal loro Padre, di annun-ciare loro Gesù e di aiutarli anche a miglio-rare la loro condizione sociale con iniziativedi promozione umana».

«La preghiera della colletta si concludecon la richiesta a Dio di donare anche a noilo stesso zelo che ardeva nel cuore dell’Alla-mano. Lui stesso affermava che per essereveri apostoli “ci vuole fuoco”. Questo ardo-re apostolico è ciò che noi chiediamo peravere, come lui, “una marcia in più”».

Al termine della celebrazione è statodonato al Rettore del Santuario un quadrodell’Allamano che sarà esposto nel corri-doio del Convitto Ecclesiastico, sul quale siapre la porta del piccolo appartamento abi-tato dall’Allamano per 46 anni. Entrandonel corridoio dallo scalone, gli occhi siposano subito su un grande ritratto di S.Giuseppe Cafasso, accanto al quale, d’ora inpoi, figurerà anche il volto del nipote, ilbeato Giuseppe Allamano. ❏

Festa dell’Allamano: concelebrano sull’altare

p. Piero Trabucco, p. Jonah Makau,

il Can. Michele Olivero e p. Michelangelo Piovano.

Davanti all’altare troneggia

il nuovo quadro del beato

Giuseppe Allamano, donato dai missionari

al Santuario della Consolata.

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Anche il beato Giuseppe Allamano èentrato a far parte della collana editoriale“Messaggeri d’amore” che la casa editriceVelar di Bergamo pubblica da anni in colla-borazione con la Elledici, nota editrice sale-siana. Sono gli ormai famosi “libretti blu”,che raccolgono i profili di santi, beati, vene-rabili, servi di Dio, fondatori e fondatrici diordini e congregazioni religiose, testimonidi giustizia e di pace e illustri testimoni delVangelo, e che riassumono secoli di cristia-nità attraverso agili biografie destinate a unpubblico vasto ed eterogeneo. GiuseppeAllamano è il numero 423, e la collana nonaccenna a fermarsi.

Da tempo l’Istituto pensava di arricchirel’offerta di biografie del nostro Fondatorecon un testo che potesse entrare a far partedella collana della Velar. Alcune circostanzefavorevoli sono venute in soccorso. Primadi tutto la celebrazione dell’Anno del Fon-datore, che ha contribuito a risvegliare ildesiderio di divulgarne la conoscenza tra lagente.

A metterci però definitivamente nelladeterminazione di pubblicare quest’ulterio-re volumetto è stata una telefonata al Postu-latore da parte di p. Massimiliano Taroni,giovane frate francescano e stretto collabo-ratore dell’editrice per questa collana, che sioffriva di scrivere la biografia dell’Allamano.

Il lavoro preparato con cura di p. Taroniè stato rivisto e arricchito di qualche trattopiù tipico della spiritualità del nostro Fon-datore da alcuni missionari e particolar-mente da p. Sergio Frassetto, il quale hapure curato l’apparato grafico e fotografico,per rendere più interessante il volumettocon numerose immagini. Caratteristicadella collana è infatti quella di essere moltoricca di immagini e per questo motivoancora più accessibile. Ne è risultata un’o-pera di 48 pagine, completa pur nella suaconcisione, scorrevole e facile da leggere.

Pensiamo di avere fatto cosa gradita aquanti seguono la spiritualità dell’Allama-no, che hanno ora a disposizione un picco-lo, ma valido sussidio in più su una figuradavvero speciale come quella del Fondatoredei missionari e delle missionarie dellaConsolata. ❏

Un’agile biografia dell’Allamano

Chi desidera ricevere questo volumetto si rivolga a: Missioni Consolata,

Corso F. Ferrucci 14 – 10138 TorinoTel: 011/4400400

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Il 20 settembre 1873 ricorreva la festaliturgica di Maria Santissima Addolorata. Inquel giorno, Giuseppe Allamano venivaordinato sacerdote nella Cattedrale di Tori-no da Mons. Lorenzo Gastaldi. Il giornoseguente, nella Chiesa di Castelnuovo d’A-sti, il giovane prete saliva all’altare per cele-brare la sua prima Messa, attorniato dall’af-fetto dei parenti e in un clima reso festosodalla partecipazione di tutta la parrocchia.

Egli non considerò l’accostamento dellasua ordinazione sacerdotale alla festa diMaria Addolorata come una coincidenza,ma come una delicatezza della Divina Prov-videnza. La devozione all’Addolorata avràun posto particolare nel suo cuore sacerdo-tale per tutta la vita. Avanti negli anni, nelleconferenze agli aspiranti missionari eglispiegherà il perché di questa sua predilezio-ne per i dolori di Maria.

Fin da piccolo Giuseppe Allamanoaveva potuto famigliarizzarsi con l’im-magine di Maria Addolorata. Nellachiesa parrocchiale di Sant’Andrea inCastelnuovo, struttura barocca risalen-te ai primi anni del 1600, c’è un altarededicato a Lei, impreziosito da una sta-tua lignea dell’Addolorata, dono di S.Giuseppe Cafasso. Pregando e medi-tando di fronte questa immagine, ifedeli si formavano a vivere con fede,accanto a Maria, i dolori e le pene che

sempre accompagnano la vita umana. La fervorosa Compagnia dell’Addolorata

sapeva educare le giovani mamme, che lacomponevano, a vivere con fede e speranzala loro missione familiare, dove angosce epene non facevano difetto. Anche Marian-na, madre di Giuseppe Allamano, respiròquesto spirito che poi seppe trasmettere aipropri figli. Così la tratteggiò un contempo-raneo: «Donna di illibata virtù a somiglian-za del fratello Giuseppe Cafasso, fu madremodello, tutta dedita all’educazione deisuoi figli, caritatevole verso tutte le forme didolore e di sventura, generosa e sollecita delbene altrui».

Durante i primi anni di sacerdozio, Giu-seppe Allamano ebbe molteplici occasionidi avvicinarsi spiritualmente alla figura di

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SPIRITUALITÀ

Giuseppe Allamanoun “devoto” dell’Addolorata

Il mese di maggio era molto valorizzato dall’Allamano per educare i suoi missionari alla pietàmariana. Diceva: «Mancherei al mio dovere ed al bisogno del mio cuore se lasciassi passare ilmese di Maria senza dirvi qualche parola, per eccitarvi a stimare sempre più e ad amare sì buonamadre». Ogni anno, all’inizio di maggio, l’Allamano indicava qualche mistero mariano da medi-tare e qualche speciale virtù della Madonna da imitare. «Consolare» Maria Addolorata era unodei temi che gli erano particolarmente cari.

Cappella dell’Addolorata nella chiesa di sant’Andrea di Castelnuovo.

suo zio, san Giuseppe Cafasso. Da lui impa-rò a essere pastore d’anime, a solidarizzarecon ogni persona bisognosa di consiglio ed’incoraggiamento, e ad avere una specialepredilezione verso chi era nel bisogno. Col-tivando poi una tenera devozione a Maria“Consolata” e “Addolorata”, Giuseppe Alla-mano soleva ripetere sovente la preghieradel santo zio: «O Maria, Voi conoscetequanto costino a Dio le nostre anime: Voiche imparaste ai piedi della Croce che cosavoglia dire un’anima, deh! ottenete a noitanta grazia d’impegnarci tutti a salvarla».

Giuseppe Cafasso è descritto dalle bio-grafie del tempo come «padre dei poveri -consigliere dei dubbiosi - consolatore degliinfermi - conforto degli agonizzanti - sollie-vo dei carcerati - salute dei condannati al

patibolo». Emerge chiaramente, da questoelenco di “qualifiche”, che il Cafasso privi-legiò le persone più emarginate e infelici.Anche la sua spiritualità non potrà che esse-re eminentemente pratico-pastorale, por-tandolo a solidarizzare con tutti quelli chela società emarginava ma che il cuore di Dioprivilegiava.

Questo timbro pratico si può riscontrareanche nella devozione mariana del Cafasso.Egli ha mai scritto trattati e libri sulla Vergi-ne, ma solo prediche ed esortazioni, dallequali tuttavia è facile ricavare una luminosadottrina mariana che mostra la Madre diGesù vicina a tutti quelli che come lei spe-rimentano dolore e abbandono. Egli vedenella Madre del Dio sofferente l’immaginedella sofferenza umana.

P. Piero Trabucco, IMC

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Gesù modello. «E l’esempio di Nostro Signore che si fa povero per noi, come è bello!Pare che sia venuto su questa terra solo per insegnarci e farci stimare questa virtù, si è fattoper noi povero; pur essendo ricco, si è fatto povero per noi».

Confidenza in Gesù. «Il Ven. Cafasso diceva che non voleva andare dietro a tutte lebagatelle, e diceva che non è necessario di essere sempre lì a chiedere perdono per tutte leminuzie a Nostro Signore; il Signore lo sa che gli voglio bene, e fra amici si va alla buona,e non tutte le volte che l’ho toccato domando perdono. Vedete come è bello questo! Chebell’atto di confidenza in Dio!».

«CHE BELLO!»

SPIRITUALITÀ

Nelle conferenze domenicali dell’Allamano ho notato una simpatica espressione che ritornaspesso, composta da due parole e un punto esclamativo: “Che bello!”. I contesti nei quali egli ladice sono differenti, ma vengono uniti da un legame interiore di carattere spirituale ed emotivoinsieme, che consiste nella sua intensa partecipazione a quanto sta dicendo. Mentre esprime un’i-dea, manifesta pure il suo stato d’animo, quasi un entusiasmo interiore. Ed è anche questo cheintende trasmettere.

L’Allamano usa l’espressione “che bello”, con diverse varianti parlando di Gesù. Gesù è ilmodello per eccellenza di tutte le virtù, il missionario di cui seguiamo le orme, l’amico, il confor-to, la ragione della vita... Non è esagerato affermare che l’Allamano sia un “innamorato” di Gesù.I suoi modi di esprimersi lo dimostrano, come appare dalle espressioni che seguono.

S. Messa. «E la Santa Messa non è soloun’immagine, è lo stesso sacrificio dellaCroce. C’è la stessa Vittima, lo stesso scopo;là era un Sacrificio cruento, qui invece èincruento. Com’è bello pensare che ognivolta che assistiamo alla Santa Messa siamoproprio là ai piedi della croce, al Calvario!Vedete l’importanza!».

S. Comunione. «Vorrei che foste poten-ti da domandar questa grazia (che Gesùrimanga nell’anima da una Comunioneall’altra). Se si moltiplica, perché non puòanche fare il miracolo di rimanere in noi?“Ma, come mi tratterai?” dice Egli, “Nondimenticarmi delle ore: Adorazione,Amore, Ringraziamento”. Io voglio cheveniate, che preghiate tutto il giorno. Inquesta novena (della Pentecoste) special-mente: Veni dator munerum! (vieni datore didoni). È così bello! Fatene tante giaculato-rie. Desiderare e pregare».

«Le parole di Ester: Cras cum rege pran-surum sum! (Domani pranzerò con il re).Quel ministro era felice di pranzare col re,ed anch’io, il Signore ci fa realmente parte-cipi di se stesso, lui sarà nostro cibo, belloquesto pensiero! E noi serviamocene:Cras cum rege pransurum sum».

Visita al SS. Sacramento. «Inqualunque posto, in qualunqueoccupazione: uno sguardo, unpensiero, anche andando perla città, alla prima chiesa ches’incontra. In ricreazione,quando ci venisse la tentazio-ne di fare una sgarbatezza,pensiamo: È là... È così bello!È una visita continua. Egli cimanda le buone ispirazioni».

«Quando i nostri missiona-ri partivano da Torino e nonpotevano più fare la visita a GesùSacramentato, che facevano? Pen-savano: da quella parte lì c’è Malta,

e perciò c’è Gesù Sacramentato in qualchechiesa, e così facevano la visita. Questa nonè una cosa immaginaria, perché Gesù è real-mente presente nelle chiese, e la distanzaper lui non conta. Qualche volta è bello fareil giro di tutte le chiese di Torino... sonotante».

«È così bello nelle visite al SS. Sacra-mento dire: “Io son qui: Voi siete tutto quelche può esserci di grande, ed io che sonodavanti a Voi, sono un niente!”. Si potrebbefar la visita di ore ed ore con questi senti-menti e stare lì come S. Francesco Saverioche si legava mani e piedi e diceva: “Ecco-mi, son vostro schiavo, o Signore!”».

«Vi voglio Missionarie Sacramentine. Ècosì bello vivere unite a Gesù! Ed è anchefacile e consolante. Quando andate a far lavisita al SS. Sacramento, offrite a Dio tuttele opere del giorno, cioè dalla sera fino allasera dopo».

P. Francesco Pavese, IMC

SPIRITUALITÀ

Diceva: «La Provvidenza non è mai man-cata. Vi fu un solo momento assai critico;allora incominciai a spogliarmi io (diedetutto il suo patrimonio) e poi la Provvidenzavenne e continuò» (Mons. G. Nepote, II,738).

Diceva: «Il far rumore, l’andare avanti asuon di tamburo, non va per le opere diDio; non siamo noi che provvediamo imezzi; è la Divina Provvidenza che ce limanda, ed essa non ha bisogno della nostrareclame» (P. G. Gallea, III, 110).

Diceva: «Vorrei proprio che l’Istituto ingenere, e ciascuno in particolare, avessesempre questa grande fiducia in Dio» (P. L.Sales, III, 396).

Affermava convinto: «La confidenza inDio fortifica il nostro spirito, tempra lanostra coscienza, e ci rende idonei nell’eser-cizio delle virtù» (P. G. Barlassina, IV, 405).

Soleva dire: «Facciamo per parte nostratutto quello che possiamo, e il Signore faràil resto» (Don G. Lorenzatti, IV, 439).

Nei casi più rilevanti di carattere economi-co mi diceva: «Va a casa, preghiamo, e poivedremo quello che ci ispirerà il Signore»(P. G. Gallea, III, 74).

Ad una persona che gli chiedeva comefacesse a mantenere tante persone egli rispose:«Non sono io che metto loro il pane inbocca. È il Signore che lo provvede. Là c’ètutta brava gente, perché io non dico: daccioggi il nostro pane quotidiano, per quelliche sono indegni della vocazione e dellagrazia di essere nell’Istituto. Se ce ne fosse-ro di costoro che rubano il pane agli altri,verrebbe un giorno che mancherebbe affat-to ed essi dovrebbero uscire» (P. D. Ferrero,IV, 468).

Diceva: «Abbiamo dovuto pensare a

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Continuiamo a riportarele parole “nuove” dell’Allamano,quelle cioè poco conosciute, che nonsono contenute nelle conferenze onelle lettere e che sono state riferitedai testimoni durante il processo perla beatificazione, con la garanzia delgiuramento. In questo numero rife-riamo quelle che riguardano la fidu-cia nella Provvidenza e la delicatez-

za nel trattare con le persone.

Fiducia nella Provvidenza

provvedere mezzi di sussistenza per l’Istitu-to delle Missioni. Però non vi date mai pen-siero dei mezzi materiali e del denaro. Pur-ché vi manteniate fedeli ai vostri voti e con-serviate il buon spirito, nulla vi mancheràmai.

Io non ho mai cercato il denaro, e ildenaro mi corse sempre appresso, senzamai domandarlo a nessuno, mentre chesaprei da chi andare a chiederlo, sicuro cheme lo danno. Se una cosa è necessaria, l’a-vremo; il Signore deve mandarcela» (P. D.

Ferrero, IV, 478).

Al domestico quando gli faceva gli auguri diNatale, onomastico..., per incoraggiarlo dice-va: «Andiamo avanti in Domino; confidiamonel Signore; la Provvidenza non mancheràdi assisterci» (Sig. C. Scovero, II, 685).

Mandando in missione persone importantiper la Casa Madre, diceva: «Il Signore vede ilnostro sacrificio e ci aiuterà» (Sr. ChiaraStrapazzon, II, 855). ❏

Al nuovo parroco di S. Donato mons. E.Vacha, disse: «Venga Signor Prevosto, la suanomina a S. Donato (l’Immacolata Conce-zione) per me non è nuova. Io lo sapevo daoltre un mese che lei sarebbe stato il futurosuccessore del buon mons. Filippo Griva. IlCardinal Arcivescovo nel preparare le desti-nazioni con me dei futuri Viceparroci, alnome della parrocchia dell’Immacolata, persua bontà e tratto di confidenza grande midisse: “Siamo in faccia a S. Donato, bisognache pensi anche alla futura successione. Ilbuon mons. Griva è ammalato grave, è vec-chio, il Signore ce lo conservi pure questomodello di Sacerdote. Ma bisogna pensareche è vecchio e ammalato, ed io ho bisognodi provvedere per il suo successore”».

Dopo avergli detto che il Cardinale gliaveva fatto il suo nome, continuò: «Se ha biso-gno di qualche aiuto per le prime spese,venga pure, che non lo lascerò negli imbro-gli» (mons. E. Vacha, I, 143).

Incontrando mons. Vacha così parlò: «L’av-verto che ho ricevuto la donazione dei suoibeni fattami da mons. Ermanno Montaninia favore delle Missioni della Consolata.

Monsignore era illustre parrocchiano del-l’Immacolata Concezione, e Lei Sig. Curatonon l’avrà mica a male; penso che ha puremolto bisogno di mezzi, essendo in princi-pio della sua cura parrocchiale».

Mons. E. Vacha, che lo aveva tranquillizza-to, concluse: «Allora il Venerato Fondatoredelle Missioni mi rispose che le mie parolegli erano di grande sollievo e conforto»(mons. E. Vacha, I, 146).

«Parlando casualmente dei frati mi disse:“Pensa che penitenza fanno quei frati! Dor-mono sempre senza guanciale!” (siccome Sr.Emerenziana faceva lo stesso e, lavorando incucina usava il cuscino per scaldarsi le ginoc-chia, l’Allamano diede ordine di spostare lacucina in luogo più sano)» (Sr. EmerenzianaTealdi, II, 561).

«Non essendo andata con le altre alla pas-seggiata a Superga, mi disse: “Tu non seiandata, provvederò io”». Così la mandavaogni domenica fino al cimitero per farla muo-vere (Sr. Emerenziana Tealdi, II, 564).

A cura della redazione

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Delicatezza con le persone

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Don Cesare Matta (1881-1970) originario di Moriondo Torinese, fu pronipote di S. Giu-seppe Cafasso e cugino in secondo grado dell’Allamano. Ordinato sacerdote nel 1905, fu alun-no del Convitto Ecclesiastico nel biennio 1905-1907. In seguito esercitò il servizio pastoralecome vice curato in diverse parrocchie della diocesi. Fu Prevosto di Balangero (Torino) dal1931. Nel 1954 rinunziò alla prevostura e si ritirò a vita privata a Moriondo. Negli ultimitempi fu anche Rettore della chiesa di S. Croce in Torino.

In occasione del 50° di sacerdozio, da Brandizzo, ove era vice parroco, il 17 settembre1923, inviò all’Allamano una lettera di auguri, nella quale si nota una profonda stima per ilsuo illustre cugino. Tra l’altro scrisse: «Ricordando con diritto e con gioia i vincoli di parente-la che, grazie al Cielo, mi stringono tanto a Vostra Signoria Rev.ma quanto al Venerabile Zio(il Cafasso), vorrei anch’io ambire il privilegio di assistere alla Solenne Funzione che allieteràl’avvenimento in codesto Suo Santuario; ma poiché ne sono trattenuto forzatamente, promet-to fin d’ora di parteciparvi in spirito concorrendo, con le mie deboli forze, a che Dio e laMadonna Consolatrice, per intercessione di un tanto nostro Zio, abbia a colmarle il Calice diogni più soave consolazione e a conservare, per lunghi anni ancora, l’esistenza Sua preziosis-sima per tante Opere di cui fu Fattore, e ne è Guida così illuminata».

Qui pubblichiamo la sua interessante conversazione ai chierici del nostro seminario teolo-gico di Torino, tenuta il 16 febbraio 1964. Conserviamo intatti sia lo stile che i contenuti chesono molto semplici.

Fino ad oggi avevosempre resistito alvostro invito di venire aparlarvi per soddisfareal vostro desiderio filia-le di conoscere notizieparticolareggiate sul vo-stro Fondatore, e sullasua vita così ricca diinsegnamenti, parendo-mi di aver nulla daaggiungere a quanto ècontenuto nella suabiografia che è nellevostre mani e che prov-vede abbondantementeal bisogno. Ora final-mente, dopo tante insi-stenze da parte vostra, etante obbligazioni daparte mia, ho dovutocedere al vostro deside-rio, e cercherò di farequello che so e posso

per accontentarvi, man-tenendomi nelle esigen-ze del vero e della miacoscienza, e di lasciarviinsieme un concettoconciso e preciso suquanto può interessare lavostra sana curiosità.

Per riuscire nel miointento, seguendo latraccia che mi avete sug-gerito, ho pensato bene,non solo di esporre avoce, ma di tracciarebrevemente per scritto imiei punti principali, ecioè:a) darvi un breve cennosulla figura esteriore delvostro Fondatore;b) toccare di volo la suafigura morale;c) parlarvi della stima

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IA I ricordi di un cugino

Torino: chiesa della Santa Croce, ultimo luogo di ministero pastorale di don Cesare Matta.

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che ha incontrato nel pubblico; finalmentericordarvi un episodio particolare nei con-tatti che io ho avuto con lui.

La figura esteriore. La prima curiosità chenasce nella mente e nel cuore di un’animadesiderosa di conoscere da vicino la perso-na che ama e che non ha conosciuto perso-nalmente, è di sapere per quanto possibilequali erano i suoi lineamenti, la sua formaesteriore, il suo portamento, e simili parti-colari; quindi eccomi alla mia prima descri-zione. Il canonico Allamano, nelle sue fat-tezze esteriori si presentava così:

1. Statura superiore alla media, sebbeneall’età in cui l’abbiamo visto noi incomin-ciasse a curvare le spalle. Ritto però nellapersona per quanto gli era possibile, dimo-strava esteriormente di possedere una supe-riorità sia nel portamento che nel suo mododi fare; quando quindi era più giovane dianni, doveva, come si dice comunemente,fare una bella figura di sacerdote.

2. Le mani aveva piuttosto robuste e svilup-pate: per farvene una idea, giudicate daquelle della salma di S. Cafasso. Di solito leteneva coperte in parte dalle maniche delvestito, come usavano fare allora le personeecclesiastiche per bene. La fronte ampia, coronata da una fitta capi-gliatura; ravvivati e ordinati i capelli, senzamai dimostrare vanità. Aveva un occhio unpo’ difettoso, per cui lo teneva quasi sempresocchiuso, specialmente quando si fermavaa fissare qualche soggetto od oggetto inte-ressante: il che poteva dare soggezione acolui che non lo conosceva da vicino.La sua spalla destra era un po’ più alta del-l’altra, simile anche in ciò allo zio S. Cafas-so.Il colorito del viso era abitualmente pallido.Nelle solennità portava il bavero canonica-le, che gli dava un aspetto piuttosto signo-rile. La bocca bene sviluppata era legger-

mente composta ad un lieve sorriso.I difetti fisici accennati non menomavanoper nulla l’attrattiva e l’imponenza dell’uo-mo; anzi in certa qual maniera ne accresce-vano la grazia e la superiorità.Il suo passo era grave ma non lento, comequello di chi ha tante cose da fare.L’Allamano era così, e lo si conosceva adistanza.

Figura morale. Dall’esterno passiamoall’interno. Potremmo dire anche noi comesi usa dire di altre cose: «De internis nonjudicat praetor (il pretore non giudica dellecose interne)». Eppure da un fisico cosìfatto trapelava la personalità spiccata di cuiparla la biografia. Ne troviamo la prova piùchiara nelle mansioni insigni che tenne nel-l’archidiocesi di Torino.

Un giorno parlando egli con me confiden-zialmente della superiora delle Sacramenti-ne di allora, Suor Serafina di S. Michele,nostra parente, mi diceva: «Vedi, l’arcive-scovo Gastaldi che era tanto intelligenteebbe buon naso nella scelta della nostraSuperiora: l’ha fatta nominare nel monaste-ro per sei anni di seguito, sebbene fosse unacontadina, tanta era la stima che aveva dilei. Infatti in tutti i suoi lavori riusciva sem-pre meravigliosamente, anche nello stessoallevamento delle piante che fruttavanotanto per il monastero. Sfido io! Era statamandata direttamente da Don Cafasso chegliene aveva predetta l’entrata con questeparole: “A 21 anni entrerai nel monasterodelle Sacramentine; io non ci sarò più”».

Il giudizio dato dall’Allamano sulla ziaSacramentina si confaceva perfettamenteanche a lui. I primi incarichi importanti liebbe dall’arcivescovo Mons. Gastaldi. Glionori e gli oneri, in continuo progresso, glivenivano in parte da lui, in parte dal card.Richelmy. Dal Seminario maggiore passòalla Consolata; da semplice sacerdote al

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IA Capitolo della Metropolitana; da sempliceteologo al Collegio dei Dottori Collegiati,dimostrando dappertutto grande sapere ediscrezione.

In queste mansioni niente era in lui di bur-bero e altezzoso; anzi era voce comune chesia nelle dissertazioni come nei casi dimorale composti dall’Allamano non c’erache chiarezza e onestà. Ecco l’uomo santo,sapiente e modesto.

Il Can. Allamano non perdeva mai tempo,né in casa né fuori di casa. Ecco una prova.Un giorno io mi portai al Duomo con deiparenti per parlare con lui. Non era ancoral’ora dell’Ufficio. Ci presentammo in sacre-stia e là ci incontrammo con il Can. Sorosio.- Chi cercano?- Cerchiamo del Can. Allamano.- Oh, l’Allamano è sempre puntuale intutto, e lo sarà anche adesso; ma, si ricordi-no, non arriva mai che agli ultimi momentiper non perdere tempo.La puntualità e la stima del tempo sonosempre buone qualità, ed il Can. Allamanole possedeva. Anche questo va notato.

La stima del pubblico: clero e secolari.Tutto il Clero torinese aveva in sommavenerazione il Rettore della Consolata e delConvitto, cominciando dai suoi più vicini.

1. Il suo degnissimo coadiutore nella dire-zione del Convitto e delle Missioni dellaConsolata, il Can. prof. Camisassa, uomo divalore, pur così intimo con lui, ogni voltache lo accompagnava al S. Giovanni, si face-va sempre un dovere di dargli la destra e diusargli ogni attenzione. Tale era pure lastima che avevano i Canonici suoi colleghinei momenti che passava con loro alDuomo.2. Il Vice Rettore del Convitto, Can. Boc-cardo, vera stoffa di santo, gli usava le stes-se attenzioni; e noi convittori ci stupivamonel vedere il suddetto Vice Rettore, quandoalla porta interna del Convitto lo aspettavacon la berretta in mano (quando veniva apredicare ai sacerdoti) e gli porgeva l’asper-sorio dell’acqua benedetta come si fa ad unvescovo.3. Riguardo al pubblico laico basti dire que-sto: nella prima malattia in cui era cadutol’Allamano, tutto il popolo torinese pregavaper lui; e fu allora che ottenne dalla Madon-

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na la grazia segnalata della guarigione, edecise la fondazione delle Missioni.Quando si portava in sacrestia, tutti faceva-no ala al suo passaggio e sostavano in reli-gioso silenzio finché non c’era più.Questo era l’ambiente in cui si viveva quan-do si era sotto la direzione del Can. Allama-no; il quale però non causava un timore ser-vile, ma una semplice soggezione, mitigatada una comprensione paterna. Anche quivalga questo fatto: due Sacerdoti convittori,legati da un’antica fraterna amicizia, il Teol.Frigeris, vicecurato di S. Secondo e segreta-rio di Mons. Pinardi, ed il Can. Gambino,parroco di Testona, ambedue ora defunti,servendosi un giorno a vicenda la S. Messaper un caso fortuito, fecero il giro del San-tuario, senza trovare un altare disponibile.Cominciarono a mormorare qualche parolatra di loro, ciò che causò tra loro una comu-ne irresistibile risata a vista dei fedeli inmezzo ai quali passavano.Finita poi la celebrazione della Messa, tor-narono in sacrestia con le lacrime agliocchi, persuasi di aver provocato uno scan-dalo. Ci pensarono bene e di comuneaccordo decisero di portarsi in persona dalRettore ad accusarsi del fatto prima che lofacessero altri. Il Rettore Can. Allamanoascoltò con un senso di compatimentopaterno, e poi concluse dicendo: «È dacompatire, è stata un’esplosione nervosa.Andate tranquilli; cercate soltanto di evitar-vi perché non si ripeta la scena». I duerimasero stupiti di tanta indulgenza e com-presero il suo buon cuore di padre.

Ricordo personale. In parecchie circostan-ze ebbi occasione di trattare con il Can.Allamano e di avvicinarlo, sia durante glianni del Convitto, che fuori. Cito un fattoche mi lasciò una impressione profonda.Eravamo nel secondo anno scolastico e ungiorno il Can. Allamano improvvisamentemi mandò a chiamare e su due piedi midisse: «Senti, è bene che tu vada un poco a

casa: là resterai finché richiamato, e così tiristabilirai bene in salute». Fui stupito diquesta novità; ma feci volentieri il miofagotto e me ne andai, pensando: chissàperché questa vacanza speciale?Dopo la mia partenza, nel Convitto dellaConsolata si sviluppò la malattia del mor-billo con una violenza impressionante; e,strano, i colpiti quasi contemporaneamenteerano precisamente i miei tre compagni diserate: il Prof. Bertolo, il Teol. Casassa e ilTeol. Tessore.

Chiamato d’urgenza, il dottore dichiaròsenz’altro trattarsi di malattia infettiva, percui i colpiti furono trasportati all’ospedaleAmedeo di Savoia e isolati in camere sotto-poste a severa disinfezione. Le prescrizionisevere dei medici non fermarono il maleche andava crescendo. Il Convitto, mi pare,venne chiuso per qualche tempo. Tra l’o-spedale e la Consolata erano frequenti lecomunicazioni telefoniche per sapere noti-zie dei degenti.

I tre si aggravarono, ed uno di essi soccom-bette, il Teol. Casassa, il quale domandava,sovente mie notizie, mentre io, sano a casa,commentavo il fatto doloroso. A Torino sene faceva un gran parlare ed i superiorierano affranti. Dopo la morte del Casassa,gli altri due migliorarono, e dopo tantotempo riacquistarono la guarigione. Comespiegare il fatto del mio tempestivo invio acasa? Nessuno seppe dare una spiegazionedella ispirazione che lo indusse a darmi unavacanza che mi salvò dal pericolo dellagrave epidemia.

Non vi ho detto cose nuove; e neppure pre-tendo di avere la privativa di quello che hoesposto, ma unicamente ho voluto avvalo-rare con la mia testimonianza “de visu”quello che è già stato pubblicato a riguardodi questo uomo di Dio.

Don Cesare Matta

SULLA SCIA

Da uomo realista com’era, l’Allamanonon si illudeva circa l’entità e la forza apo-stolica della sua istituzione. Era contentodei suoi giovani che vedeva impegnati aprepararsi e felici di poter partire per lamissione.

Tuttavia sapeva che prima di lui, altrifondatori avevano dato vita a istituzionimissionarie, ormai molto sviluppate, cheoperavano con provata esperienza in tutto ilmondo.

Lo diceva chiaramente ai suoi giovani,senza timore di offenderli: «Siete appenaquattro gatti». E alle missionarie, dopo unviaggio nella capitale: «A Roma ci stimanotroppo; credono che siamo qualche cosa, edinvece siete... quattro fanfaluche».

Il suo principio era: non è il numero checonta, ma la qualità degli apostoli. Lo dissein più di un’occasione, adattando le paroleai temi che stava trattando. Sempre, però,conservava inalterato il suo principio.

Per esempio, ai missionari disse un gior-no: «I miei anni sono più pochi, ma fosseropur molti, voglio spenderli in fare il bene efarlo bene; io ho l’idea del Cafasso, che ilbene bisogna farlo bene e non rumorosa-mente; io non bado al numero. Talvoltasono costretto a contare quelli che sono inAfrica, perché devo renderne conto, altri-menti non si dovrebbero neppur contare;sono più di dodici, e dodici bastarono aconvenire tutto il mondo».

Ancora, in altra occasione: «Il SantoPadre Pio X, che tanto ci ama, ci affidò inquest’anno una nuova missione molto piùestesa della prima; come tutta l’Italia, ilKaffa. Come provvedere alla conversione ditanti milioni di anime? Il Signore, da noipregato, ci pensa ed ecco che aumenta ilnumero di chierici e coadiutori che si for-meranno per soddisfare ai voleri del Papa.Ma non basta il numero, è più necessario lospirito, cioè la corrispondenza alla vocazio-ne».

Anche per le missionarie il discorso noncambiava: «Che importa a me l’avere 500 o600 chierici, se non sono come li voglio io?Meglio averne pochi, ma come si deve».

Ci fu un’occasione propizia nella qualel’Allamano poté esprimere chiaramente ilproprio pensiero su questo aspetto. Era ladomenica 1° febbraio 1920 e le missionarieerano impegnate nel loro ritiro mensile. Dipomeriggio ci fu la solita conferenza nellaquale l’Allamano commentò la “Paraboladei lavoratori” (Mt 10,1-16) che la liturgiadella Messa aveva proposto. È conosciuto ilcontenuto di questa magnifica parabola:tutti i lavoratori ricevono la stessa paga,indipendentemente dalle ore lavorative: agliultimi il padrone dà lo stesso stipendio deiai primi.

Dopo avere riferito l’interpretazione fattada S. Gregorio Magno, l’Allamano continuòcon molta semplicità: «Io darei un’altraspiegazione. Gli Apostoli sono stati manda-ti fin dal principio. Nostro Signore ha dettoagli Apostoli: “Andate, predicate il Vangeloa tutto il mondo”. Più tardi ha mandato iDottori della Chiesa e questi sono dell’oraterza. Dopo questi vengono tanti santi anti-chi che sono dell’ora sesta. Più tardi ancoraS. Francesco Saverio, il B. Chanel e altrisanti più moderni, e sarebbero dell’oranona; e poi noi dell’ora undecima. Noisiamo gli ultimi. Il Signore si accontenta diun’ora da noi, ma bisogna che sia un’ora “inregola”.

Noi siamo missionari come i primi, soloche siamo arrivati un po’ tardi e questo nondipende da noi. Che cos’è la nostra vita:un’ora! Almeno in quest’ora in cui siamochiamati anche noi nella vigna del Signore,lavoriamo con tanta intensità, con tantospirito; lavoriamo unicamente per il Signo-re in modo che un’ora sola valga tutta lagiornata». ❏

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Noi siamo dell’ultima ora

Durante il ritiro spirituale in preparazio-ne all’ordinazione sacerdotale, l’Allamanoaveva annotato sul suo taccuino questopensiero: «Non sarà mai un buon confesso-re, chi non fu già un buon penitente». Chetipo di penitente e di confessore egli siastato risulta dalle testimonianze che quivengono riportate.

Come si confessava. Ecco che cosa nepensava p. L. Sales, uno dei primi missio-nari e suo biografo, che lo conosceva bene:«Aveva in grande stima il Sacramento dellaPenitenza. Nel suo Regolamento di vita pro-pone di confessarsi una volta alla settimana,e anche più sovente, occorrendo feste spe-ciali. Fra i suoi confessori, ricorderò: S. Gio-vanni Bosco, il p. Felice Carpignano dell’O-ratorio, e il p. Carlo Poletti superiore deiSacramentini, il quale mi diceva: “Che eracommovente ed edificante vedere ogni set-timana giungere l’Allamano e chiedere tuttoumile del confessore”».

Il p. G. Fissore riportò una testimonian-

za orale dello stesso p. Poletti con notiziepiù dettagliate: «Non sa dire il perché ilCan. Allamano avesse scelto lui a suo con-fessore. Pensa che non avesse altro motivoper la scelta che la stima grandissima chenutriva per gli Adoratori a motivo della lorovicinanza al SS. Sacramento dell’Eucaristia.

Per il Sacramento della Confessioneaveva esattezza, regolarità, pietà: era unmodello; non parlava né prima e né dopo laconfessione, tolti i convenevoli. Andava eveniva con quella serietà che merita ilSacramento. Era breve nella confessione,chiaro, nitido, semplice, non ebbe mai dif-ficoltà o scrupolo, né pene che non domi-nasse. Riceveva il Sacramento come dire laMessa, con quella devozione. Era consuma-to nel dominio di sé: era una meravigliavedere un uomo così carico di lavoro eaffanni così tranquillo, calmo; era forte dicarattere».

Dunque, l’Allamano era “un buon peni-tente”, anzi, a dire di p. Poletti, un “model-lo” di penitente.

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L’Allamano penitente e confessore

Come insegnava a confessarsi e a con-fessare. Su questo aspetto ecco tre testimo-nianze rilasciate durante il processo per labeatificazione dell’Allamano. Sr. Giuseppi-na Tempo, rispondendo alla domanda deigiudici sulla virtù della fiducia, affermò:«Non voleva che ritornassimo sul passato.Diceva a coloro che vogliono sempre ritor-nare sui peccati passati: “Il Signore avrebberagione a dir loro: Non avete altro piatto piùbello da offrirmi?”».

Sr. Chiara Strapazzon, riguardo la virtùdella prudenza dell’Allamano depose:«Anche nelle confessioni voleva che fossi-mo brevi e spicce. Diceva: “Non raccontan-te la storia del gatto e della gallina”. L’im-portante nella confessione non è dire molteparole, ma eccitarsi ad un vero dolore”».

Come insegnante di teologia morale aisacerdoti convittori, per prepararli ad esse-re ministri del Sacramento della Penitenza,l’Allamano seguiva l’insegnamento e lo spi-rito di S. Alfonso fatto proprio dal Cafasso.Al riguardo c’è la deposizione del can. G.Cappella: «Ricordo di aver sentito dire daisacerdoti anziani (cioè, da quelli che aveva-no seguito le lezioni di teologia morale del-l’Allamano) che, come insegnante, eramolto chiaro e pratico. Poneva lo stato dellaquestione; esponeva le varie sentenze, econcludeva esponendo quella in cui, comelui diceva, nostro Signore guadagnava dipiù, e che in pratica doveva seguirsi».

Apostolo della confessione. L’Allama-no non solo si era preoccupato di assicura-re confessori abbondanti nel santuario (suquesto punto le testimonianze sono nume-rosissime), ma amministrava in prima per-sona questo Sacramento, tanto da diventaremodello anche come confessore. Ci si puòdomandare: con tutto quello che aveva dafare, come mai l’Allamano fu sempre pre-sentato dai testimoni come un confessoreassediato da file di penitenti? A questadomanda rispondono quanti lo hanno visto

con i propri occhi.

Una testimonianza interessante per lasua semplicità è quella del suo domesticoCesare Scovero: «(L’Allamano) dispose per-ché non mancassero mai i confessori, ondei fedeli potessero fruire del loro ministero.Ed egli stesso, ogni mattina, passava lungheore in confessionale, tanto che io che dove-vo servirgli la colazione, rimanevo stizzitoperché tante volte alle 9,30 egli era ancorain confessionale. Anche nel pomeriggio eraassediato in camera da molti visitatori, siaecclesiastici che laici, i quali venivano dalui, o per le confessioni, o per consigli.Ricordo che una volta un signore uscendodalla sua camera tutto lieto, mi disse: “Sonovenuto con dei quintali sullo stomaco e neesco completamente sollevato e contento”».

Rispondendo alla domanda “ex officio”:«Se qualcuno dicesse che era assiduo alconfessionale, ma soltanto per i ricchi e perle persone di alta condizione sociale, checosa si dovrebbe rispondere?». «Che ciònon è vero, perché ho visto io personal-mente molti poveri recarsi da lui per con-fessione o per consiglio. Non rimandavamai alcuno; ma riceveva tutti con la stessabontà e carità».

La testimonianza del can. G. Cappella,che era il suo aiutante diretto al santuario,svela molti aspetti interessanti: «Al mattinoscendeva al santuario per la celebrazionedella Messa, e si tratteneva fino a tarda oraper le confessioni. Nel tempo pasqualescendeva anche alle quattro o alle cinquesecondo la stagione, per essere pronto aricevere i numerosi penitenti che già assie-pavano il suo confessionale».

«Lo zelo che dimostrò per il ministerodelle confessioni, conferma quanto egliaborrisse il peccato e si adoperasse per sal-vare il peccatore. Modellato alla scuola delCafasso, suo zio, per il quale il confessareera l’occupazione continua, e il ministeroche riteneva più utile per le anime, e perciòpiù meritorio, l’Allamano si prestava molto

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volentieri a confessare. Ancora negli ultimianni, non si lamentava mai di dovere fareripetutamente le scale quando era chiamatoa confessare. Confessava anche in camerasua, e nella sua cappella privata. Si sarebbedetto che quella del confessare era per luil’occupazione più gradita, tanto si dimo-strava contento nel sentirsi chiamare a que-sto ministero, e molto più soddisfatto, dopoche aveva mandato in pace qualche anima.Non faceva distinzione di sorta nell’acco-gliere i penitenti; solo qualche volta, veden-do uomini, che dall’aspetto dimostravanopremura, o ragazzi impazienti, li chiamavadavanti al confessionale, e li mandava inpace».

Mons. E. Vacha, che era stato suo assi-duo penitente, depose al processo: «Comeconfessore, il Can. Allamano si può dire siastato un vero apostolo. Negli anni 1895-1897, quando fui al Convitto ecclesiastico,si vide non soltanto assiduo al confessiona-le, ma passarvi ore ed ore, al mattino e nelpomeriggio. Mi formai la convinzione chenon fosse molto lungo nel confessare. Il suoconfessionale era sempre assiepato dasacerdoti e laici, da ricchi e poveri, insom-ma, da ogni sorta di persone. Io mi confes-sai più volte da lui, durante il Convitto, poida Vicecurato e da Parroco. Il mio cuore neprovò sempre le più salutari emozioni.Sono persuaso che avesse il dono di tran-quillizzare le coscienze, anche le più intri-cate e scrupolose».

Fa piacere leggere queste testimonianze.Non si può terminare senza riportare anchequalche espressione di mons. Filippo Perlo,che da giovane convittore vide l’Allamanonel pieno del suo ministero di confessore:«Egli stesso dava a questi (sacerdoti confes-sori) esempio continuo, passando lungheore ogni giorno al sacro tribunale di peni-tenza, nonostante che molte e certamentenon lievi fossero le occupazioni sue quoti-

diane. Quando poi veniva chiamato perconfessioni agli ammalati, il che accadevafrequentemente, con qualunque tempo, edin qualsiasi ora e stagione, vi accorrevaprontamente per essere strumento delladivina misericordia. Il suo confessionale eracontinuamente assiepato di penitenti diogni condizione sociale. Solamente quandosaremo in Paradiso, sapremo dei penitentidi eccezione che usufruirono del suo mini-stero. Ed anche quando noi insistevamoperché avesse qualche riguardo per la suasalute delicata, egli era irremovibile, e con-tinuava imperterrito il suo ufficio di carità emisericordia».

Quando celebrò il 45° anniversario disacerdozio, l’Allamano manifestò uno stu-pore colmo di riconoscenza di fronte allamagnificenza della sua vocazione: «QuanteMesse! E poi tutte le Confessioni, tutti iSacramenti che ho amministrato in questi45 anni. Vi so dire che stamattina nellameditazione mi sentivo vivamente ricono-scente al Signore per la vocazione che mi hadato».

A cura della Redazione

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Il Rettore, Allamano, dedicava molte ore al ministero della riconciliazione.

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L’Allamano, nelle sue conferenze, ricor-dò diverse volte di S. Bonaventura soprat-tutto come maestro. Quasi divertito, rac-contò più di una volta volentieri due famo-si episodi. Il primo è quello dell’incontrocon S. Tommaso d’Aquino per la composi-zione dell’Ufficio del “Corpus Domini”,dove si nota l’umiltà del Santo: «S. Tomma-so d’Aquino ebbe dal Papa l’incarico con S.Bonaventura di scrivere l’Ufficio del “Cor-pus Domini”, che in realtà è tutto di S.Tommaso. Ma ecco che S. Bonaventura èandato a trovare S. Tommaso e gli ha chie-sto di farglielo vedere... non avevano micainvidia... S. Tommaso glielo ha mostrato eS. Bonaventura per umiltà, vedendolo così

bello, stracciò il suo!».Il secondo episodio è quello della “vec-

chietta”: «C’era una buona vecchietta chequando incontrava S. Bonaventura gli dice-va: “Oh, Padre, come è fortunato a studiaretante belle cose del Signore! Io più che direquelle poche preghiere... del resto non soniente...”. E lui rispondeva: “Ne sapete piùdi Fra Bonaventura, perché sapete quel chevuole il Signore, e quel che non conoscetelo credete lo stesso. Voi in Paradiso saretesopra i Bonaventura”».

Alcuni punti della dottrina di S. Bona-ventura meritano un’attenzione particolare,perché collimano in modo sorprendente

Giovanni Fidanza nacque circa nel 1217 a Bagnorea (oggi Bagnoregio), cittadina pressoOrvieto, nell’antica Tuscia romana. Suo padre, Giovanni, era medico. Dopo aver compiuto iprimi studi nella città nativa, passò all’università di Parigi (1236-1238), per lo studio dellafilosofia, laureandosi in Arti. Uomo di cultura, fu attratto dalla semplicità dei discepoli di S.Francesco d’Assisi e a 25 anni abbracciò l’Ordine Francescano, cambiando il nome di Batte-simo con quello di Bonaventura. Studiò Teologia (1243-1248) sotto Alessandro di Hales, suo“maestro e padre” come disse lui stesso, e altri maestri nel convento francescano di Parigi. Nel1253 conseguì il magistero. Insegnò nello stesso studio parigino in qualità di baccelliere bibli-co e sentenziario (1248-1252), divenendo in seguito maestro reggente dello stesso studio(1253-1257). Nel febbraio del 1257 fu eletto, a soli 40 anni, ministro generale dell’Ordine,carica che conservò fino a pochi giorni prima della morte, ammirato per la sua sapienza eprudenza in un momento difficile di assestamento dell’Ordine, tanto da meritargli il titolo disecondo fondatore dell’Ordine Francescano. Pur non avendo potuto conoscere S. Francesco necontinuò con fedeltà lo spirito. Viaggiò molto per le necessità dell’Ordine e per incarichi pon-tifici e predicò ovunque.

Il 28 maggio 1273 da Papa Gregorio X Bonaventura fu nominato cardinale e vescovo diAlbano, avendo già declinato nel 1265 l’arcivescovado di York. Dal novembre 1273 attese ailavori preparatori e poi alla celebrazione del Concilio Ecumenico Lionese II, 7 maggio - 17luglio 1274. Il 19 maggio di quell’anno, nel Capitolo Generale celebrato a Lione, Bonaventu-ra si dimise da ministro generale dell’Ordine. Estenuato dalle fatiche, si ammalò gravementee il 15 luglio morì assistito personalmente dal Papa. Fu canonizzato da Sisto IV nel 1482, eda Sisto V, nel 1588, venne annoverato tra i Dottori della Chiesa, accanto a San Tommasod’Aquino.

SANTI

San Bonaventura da BagnoregioFai bene ciò che fai

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con lo spirito dell’Allamano e con quantoabitualmente proponeva. Essi sono: la“totalità” del dono di sé insita nella profes-sione religiosa; l’attenzione mentre si com-pie qualche azione, secondo il detto latino:“Age quod agis”.

“Totalità” del dono nella professionereligiosa. Per l’Allamano i voti religiosisono caratterizzati dalla “totalità” del donoche si fa a Dio. Le parole con le quali spie-gava questo concetto dipendevano dagliautori ai quali attingeva, ma il contenutoprofondo era suo.

Così l’Allamano spiegò ai missionari inche cosa consiste lo “stato religioso”, nel-l’incontro del 16 febbraio 1913: «(Lo statoreligioso, cioè di chi emette i voti) è di mag-gior merito per l’aggiunta del vincolo dellareligione; e si dà a Dio non solo ciò che sifa, ma più il non poter fare diversamente;cioè la libertà. Dice S. Bonaventura: non sidà solo l’uso, ma la cosa stessa; non solo ilfrutto ma l’albero».

Poi continuò con parole semplici: «Altromerito sta in questo: che non si dà al Signo-re solo il presente, ma anche il futuro. Nonsolo un desiderio, ma col voto resta fissoper sempre. S. Bonaventura dice che è lostesso come chi regala e chi dà solo l’uso;non solo i frutti ma l’albero; perché se nonsi fa il voto possiamo cambiare; col voto lavolontà resta molto più ferma, maggior gra-zia. La volontà è confermata nel bene. IlSignore conferma il suo aiuto, la sua gra-zia».

In un incontro del 19 ottobre 1919, rite-nuto importante perché spiegò i cinquemotivi della scelta per i missionari dello“stato religioso” con i voti, senza citarloesplicitamente, l’Allamano parafrasò S.Bonaventura con queste parole: «Chi è reli-gioso non dà a Dio soltanto l’opera, ma glidà l’albero, la radice di tutte queste opere».

Anche alle missionarie, spiegando in checosa consiste il cammino di perfezione, siriferì al pensiero di S. Bonaventura, senzacitarlo: «Chi fa il voto si obbliga a starefermo, permanente in quella virtù e nonpuò più cambiare; fa un atto di più di chinon fa il voto, perché offre al Signore nonsolo la povertà, castità ed obbedienza, maoffre ancora la libertà di fare diversamente;dà non solo il frutto, ma anche la pianta».

“Age quod agis”. Nell’incontro del 3settembre 1916, l’Allamano illustrò il meto-do suggerito dal Cafasso per “Passare benela giornata”. I suggerimenti sono quattro:

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Vittore Crivelli: san Bonaventura da Bagnoregio.

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- 1. Fare ogni cosa come la farebbe il Signo-re Gesù; - 2. Fare le azioni come vorremmoaverle fatte quando ce ne sarà domandatoconto al tribunale di Dio; - 3. Fare ogni cosacome se fosse l’ultima della vita; - 4. Fare lecose come se non avessimo altro da fare».

Riguardo al quarto suggerimento “Farele cose come se non ne avessimo altre dafare”, insistette sulla necessità di non dis-trarsi mentre si prega, o mentre si studia osi compie qualsiasi azione. È importantetenere l’attenzione ferma su ciò che si stacompiendo. Ecco il perché dell’uso dell’e-spressione latina: “Age quod agis”, che sitraduce correttamente in “Fà bene ciò chestai compiendo”.

Qui emerge la sua esperienza di vita esaggezza di educatore. Queste sono le sueparole: «Fare le cose in maniera, come senon ne avesse a far altra. Ecco, questo sì.Quando facciamo una cosa non pensare adaltra: disturbiamo solo la cosa che faccia-mo. Avviene sovente che quando facciamouna cosa pensiamo ad un’altra: quandosiamo in Chiesa pensiamo allo studio,quando siamo in studio si pensa alla ricrea-zione, e così disturbiamo sempre tutto.Invece no: “Fa bene ciò che stai facendo”:tieni la testa lì.

Avviene certe volte che quando siamo inchiesa si presenta alla mente lo scioglimen-to di qualche difficoltà, di qualche proble-ma che prima non sapevo sciogliere; peresempio avevo dimenticato questo nome,ed adesso me ne ricordo: e allora si tieneben lì fisso in testa, affinché non mi scappi,vorrei prendere il taccuino e scriverlo; men-tre è tempo di pregare, viene in mente loscioglimento di quella difficoltà e verrebbela voglia di prendere il fazzoletto e di fareun nodo. Invece no! È tentazione del demo-nio, non bisogna farlo. È il demonio chevuol disturbarci mentre preghiamo. E allo-ra si prega lì per metà. No! Bisogna man-darlo via, senza paura di non ricordarcene

più. Dice S. Bonaventura: quella cognizioneche si lascia, si disprezza per pregare bene,a causa della virtù, non si dimentica, anzi sivede poi ancor più chiaro dopo, perché ilSignore premia il sacrificio che abbiamofatto per pregare bene... Così quando uno èa studio pensa a qualche altra cosa. No, faattenzione a quello che fai adesso, senzapensare né a quello che ho fatto prima né aquello che farò dopo».

Anche alle missionarie l’Allamano pro-pose lo stesso metodo, con parole analoghe,senza però citare esplicitamente S. Bona-ventura. Al termine del suo discorso con-cluse: «Imitiamo Nostro Signore. Fare ildovere con buon fine, e allora si può direche si fa tutto bene. Ah! Il segreto di farcisanti non è mica di fare cose grosse, mira-coli ecc., ma di fare le cose bene».

Meditare la Passione di Gesù. Lameditazione della Passione è sicura fonte diprogresso spirituale: «S. Bonaventura affer-ma: “O uomo, se vuoi progredire di virtù invirtù, di grazia in grazia, medita ogni gior-no la Passione del Signore”». «S. Tommasoun giorno domandò a S. Bonaventura doveavesse imparato tante cose. S. Bonaventurarispose che le aveva imparate dal Crocifisso.Non dobbiamo stancarci di pensare allaPassione che Nostro Signore non si stancòdi sopportare per noi. Il Crocifisso l’avretesempre con voi, sarete distanti dalla cappel-la, ma il Crocifisso sarà sempre con voi. Ladevozione prima di tutti i santi è la devo-zione a Gesù Crocifisso, devozione che èpoi la stessa di Gesù Sacramentato».

Ricambiare il saluto con la Madonna.Un punto importante e delicato della dot-trina di S. Bonaventura è sapere vivere consemplicità la comunione con la Madonna,salutandola e accogliendo con gioia il salu-to che lei ci ricambia: «S. Alfonso affermache chi saluta Maria sarà da lei salutato. E

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Come canonico, l’Allamano andava tuttii giorni in Duomo per la recita dell’UfficioDivino. Non c’è dubbio che approfittassedell’occasione per onorare la Sindone, la cuiCappella è appunto sopra il coro canonica-le. Raccontava con ammirazione di unsacerdote che andava spesso a parteciparealla S. Messa solenne dei canonici e poi sali-va a pregare nella cappella della Sindone.

Durante il processo per la beatificazione,mons. E. Bosia depose che, dopo la celebra-zione della S. Messa, un giorno l’Allamanogli fece questa confidenza: «Presso la S. Sin-done si respira davvero un’aria di Cielo!». Èindubbio che abbia partecipato all’ostensio-ne del 1898. Per lui Torino era «la città delSS. Sacramento, la Città della Sindone edella Consolata».

Incoraggiò i suoi giovani a visitare la“Cappella della S. Sindone”, come risultadal Diario del seminario. Attribuì a S. CarloBorromeo il merito di avere influito perchéla Sindone fosse portata a Torino, comedisse alle missionarie il 4 novembre 1917:«Oggi è S. Carlo; mi piace tanto questoSanto: è energico, ardente. È stato più voltea Torino a visitare la Consolata e la Sindo-ne, ed è per lui che è stata trasportata aTorino».

Era contento che tanta gente andasse a

visitare la Sindone, ma insegnava a nonanteporla all’Eucaristia. Così disse ai giova-ni: «Certe volte in Duomo vengono deiforestieri. Dovrebbero cercare subito il San-tissimo, invece vanno in giro a vedere... Senon si guarda Nostro Signore, non c’è nien-te da vedere! Vanno a vedere la S. Sindone,e non si curano nemmeno di dare unosguardo a Nostro Signore. Pazienza se fos-sero solo secolari, ma ci sono anche deisacerdoti...».

Fu talmente felice quando l’avvocatoSecondo Pia fotografò la Sindone e lamostrò al positivo, che lo invitò subito afotografare anche l’icona della Consolata,dicendo: «Il fotografo della Sindone saràd’ora innanzi anche il fotografo della Con-solata». ❏

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ciò avvenne visibilmente a S. Bernardo, checosì salutandola in una statua, si sentìrispondere: Ave Bernarde. S. Alfonsoaggiunge che pare con questo saluto le sirinnovi il gaudio che provò quando fu cosìsalutata dall’Arcangelo Gabriele. Essa poi senon ci risponde sensibilmente, certamentelo fa spiritualmente con darci qualche gra-zia. Lo afferma S. Bonaventura: “A chi salu-ta di cuore la Madonna con un’Ave Maria,

Lei concede volentieri una grazia ognivolta”». Idea ripetuta dall’Allamano indiverse altre occasioni, come quando spie-gava la necessità di essere riconoscentiverso Dio e verso il prossimo per i beneficiricevuti: «S. Bonaventura dice che la SS.Vergine benediceva Dio in continuazione e,se uno la saluta, ella come risposta dice:“Deo gratias”».

P. Francesco Pavese, IMC

SANTI

L’Allamano e la Sindone

È un tipico bambino di due anni (nel2012): lieto, giocoso e curioso, ma timido eimbarazzato di fronte a estranei. Quando nonè con la nonna, è col papà che gli vuole unbene enorme.

Ma, dietro a questa lieta apparenza, c’èuna storia di dolore e di fede.

Il papà, David Walusimbi, un “manager”di una Compagnia petrolifera in Kampala,Uganda, considera questo bambino un mira-

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RICONOSCENZA

Testimonianza del 1934. «Nel mese diottobre 1926, fui per qualche giorno a Vigoneospite del parroco di S. Caterina, teol. Fiore.Un giorno, a pranzo, si venne a parlare delVenerato Fondatore, ed il teol. Fiore raccontòquesto fatterello: un sacerdote convittore datempo soffriva mal di capo e desiderava, pertale motivo, tornare per alcuni giorni in fami-glia. Dai compagni fu consigliato a presentar-si al Rettore per ottenere da lui il permesso di

lasciare il Convitto, o almeno di potersi pre-sentare al dottore per farsi rilasciare un certi-ficato medico che lo consigliasse di tornareper qualche tempo in famiglia. “Ben volentie-ri andrei dal Rettore - disse il convittore - matemo che lui mi dia una benedizione e mitolga il male di cui soffro, e così non mi siapiù possibile recarmi a casa, che è la cosaprincipale che desidero”».

P. Mario Chiabrera, IMC

Temo che mi dia una benedizione

Che la preghiera dell’Allamano, quando era ancora su questa terra, avesse un’efficacia spe-ciale era la convinzione di molti, anche di sacerdoti. Lui prometteva di pregare per le persone chegli confidavano le loro necessità. Pregava e insegnava a pregare con fiducia. Ora che l’Allamanoè vivo in Paradiso, non possiamo dubitare di avere un avvocato potente presso Dio e la SS. Con-solata. Ecco due testimonianze che confermano l’efficacia della preghiera dell’Allamano.

Un bambino chiamato Allamano

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RICONOSCENZA

colo. La moglie, Maria Goretti, morì esatta-mente 5 mesi dopo la nascita del piccolo Alla-mano.

David sposò Maria nel 1996. Erano la cop-pia di sposi che agiva da segretari dell’“Asso-ciazione Coppie di Sposi Missionari dellaConsolata Laici” in Uganda, di cui David èancora oggi segretario. Prima della nascita diAllamano, avevano già avuto 5 figli, maschi efemmine.

Le loro tribolazioni cominciarono nelmarzo 2010. Maria era incinta da 5 mesi. Uncontrollo medico diagnosticò un cancro alseno. I sette mesi seguenti furono un conti-nuo dentro e fuori l’ospedale. La situazionedivenne molto stressante, quasi insopportabi-le. Maria soffriva continuamente. Fu uno deipeggiori momenti per David: era scoraggiantevedere la sua amata moglie, incinta, soffrire inquel modo. I dottori consigliavano un tagliocesareo per far nascere il bambino (prematu-ro), ma Maria non voleva saperne.

La situazione peggiorò. Raggiunti i 7 mesidi gravidanza, i dottori scoprirono che illiquido amniotico si era quasi consumato eche, senza il taglio cesareo, una nascita nor-male poteva essere fatale: il bambino, o lamadre, o tutti e due avrebbero potuto morire.

I due genitori erano distrutti. Maria nonvoleva sottomettersi all’operazione: avevapaura che nella sua condizione di salutequalsiasi operazione potesse essere fatale peril bambino. David non sapeva cosa fare: seascoltare i dottori o la moglie…

Raggiunti gli 8 mesi di gravidanza, lasituazione di Maria diventò ancora peggiore:non poteva più muoversi; fortissimi dolorialla schiena le impedivano di camminare,poteva a mala pena trascinarsi in qualchemodo dal letto alla poltrona.

Una coppia di sposi, loro carissimi amici,parlarono a Maria e riuscirono a convincerladi accettare l’operazione. Il chirurgo disse chebisognava intervenire immediatamente: qual-siasi ritardo, anche minimo, avrebbe potutoessere fatale.

Ma Maria, prima di entrare nella sala ope-ratoria, voleva vedere un sacerdote. Durantetutto questo tempo, Maria si teneva stretto alseno il libriccino della Novena al beato Giu-

seppe Allamano, che avevano invocato conti-nuamente.

Dopo 45 minuti arrivò il sacerdote che leamministrò l’Unzione degli Infermi. Mariaentrò nella sala operatoria e vi rimase per 10ore. Finalmente alle 8 di sera, ne uscì sorri-dente, contenta di poter partecipare allaNovena e di aver dato alla luce un bel bambi-no.

Non ci fu alcun problema per la scelta delnome da dare al piccolo, nato il 5 luglio 2010:sarebbe stato chiamato Giuseppe Allamano,in riconoscenza al Beato che avevano conti-nuamente invocato con la Novena.

Ma le tribolazioni non erano finite. Il pic-colino era nato un mese prematuro e lamamma, a motivo del cancro al seno, nonpoteva allattarlo. Per di più, Maria dovevacontinuamente tornare all’ospedale per com-plicazioni post-operatorie.

Il 5 novembre, esattamente 5 mesi dopo lanascita del piccolo Allamano, Maria morì.David era distrutto: non poteva credere che lasua amatissima moglie fosse morta a 35 annidi età. Il bambino era troppo piccolo percomprendere quello che accadeva attorno alui.

Durante il funerale, p. Charles Jjagwe,Missionario della Consolata, che era il parro-co di Bweyogerere, alla periferia di Kampala,disse che Maria era stata uno strumento dipace nell’unificare la “sotto-parrocchia” diBukasa. Ella era l’animatrice della PiccolaComunità di Base locale.

Per David, la venuta al mondo del piccoloAllamano è un miracolo: egli è sopravvissutononostante tutto. David spera e prega che ungiorno si ritroveranno ancora tutti insiemecon Maria in cielo. Non ha alcuna intenzionedi risposarsi. Dice che la sua più granderesponsabilità è di curare la crescita umana ecristiana di Allamano e dei suoi fratelli esorelle.

La Novena al beato Giuseppe Allamano,pregata con fede e confidenza come ha fattoMaria in mezzo a tutte le sue tribolazioni, èstata un modo semplice ed efficiente per otte-nere grazie dal Buon Dio per intercessione delBeato Allamano.

Michael Kalunde