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Università Telematica Pegaso Le fonti
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 LA FUNZIONE DI GARANZIA DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ ------------------------------------------------ 3
2 LA RISERVA DI LEGGE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.1. DECRETO-LEGGE, DECRETO LEGISLATIVO E NORMA PENALE ----------------------------------------------------------- 5
3 RISERVA DI LEGGE E ATTI DEL POTERE ESECUTIVO ------------------------------------------------------- 10
4 NORME PENALI IN BIANCO -------------------------------------------------------------------------------------------- 12
5 RISERVA DI LEGGE E POTERE GIUDIZIARIO ------------------------------------------------------------------- 13
6 IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ DELLE PENE ------------------------------------------------------------------------- 17
7 IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ E LE MISURE DI SICUREZZA -------------------------------------------------- 19
8 L’INTERPRETAZIONE DEL DIRITTO PENALE ------------------------------------------------------------------- 20
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La funzione di garanzia del principio di legalità
A questo punto dobbiamo prendere necessariamente in considerazione le esigenze di
garanzia sottese al principio di legalità.
Il principio di legalità o di riserva di legge in materia penale è frutto del pensiero
illuministico, nato con esigenze di garanzia per combattere l’atroce sistema sanzionatorio penale
settecentesco.
Si deve a Montesquieu l’enunciazione del principio della separazione dei poteri , ed in
questo quadro l’affermazione del primato della legge nella materia penale.
Beccaria sottolinea il principio di precisione della legge penale e Feuerbach conia la
formula “nullum crimen, nulla poena sine lege”, individuando due ulteriori corollari della riserva
di legge:
il divieto di analogia cioè il divieto di .applicare la legge penale a casi che il
legislatore non ha espressamente previsto
ed il principio di determinatezza, in base al quale il legislatore può reprimere con la
pena solo ciò che può essere provato nel processo.
Anche dopo l’avvento del Fascismo, l’eredità del pensiero liberale consente la
riaffermazione del principio di legalità nel codice penale del 1930.
La legalità dei reati e delle pene è sancita nell’art. 1c.p., il quale dispone che “nessuno può
essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con
pene che non siano da essa stabilite”.
Avendo poi previsto le misure di sicurezza, accanto alle pene,come ulteriore tipo di
sanzioni penali, il legislatore del 1930 ha esteso anche a questa sfera la garanzia del principio di
legalità; infatti sotto la rubrica “sottoposizione a misure di sicurezza: disposizione espressa di
legge” l’art. 199 c.p. stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non
siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”.
L’art. 14 delle Preleggi dispone che le leggi penali.. non si applicano oltre i casi e i tempi in
esse considerati.
La Costituzione repubblicana del 1948 recepisce il principio di legalità in tutti i suoi
significati. L’art. 25, co. 2 Cost. dispone che nessuno può essere punito se non in forza di una
legge, mentre il 25, co. 3 Cost., con una disposizione espressamente dedicata alle misure di
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sicurezza, stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge”.
Per comprendere e precisare la portata del principio di legalità, dobbiamo considerare la
matrice politico-istituzionale del suddetto principio. L’originaria matrice scaturisce dai principi
dello stato liberale di diritto, in particolare il principio della separazione dei poteri e quello di
democrazia rappresentativa.
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2 La riserva di legge
2.1. Decreto-legge, decreto legislativo e norma penale
Il fondamento della riserva di legge impone di interpretare la formula “legge” dell’art.25
co. 2 Cost. come legge formale, escludendo i decreti-legge e i decreti-legislativi dalle fonti del
diritto penale: solo il Parlamento, come espressione dell’intero popolo, è in grado di compiere le
scelte punitive.
La prassi ha un orientamento opposto, spesso il Governo ha fatto ricorso al decreto-legge in
materia penale e recentemente questa tesi è stata avvallata dalla Corte Costituzionale tramite la
sentenza del 1996, in cui ha dichiarato solo parzialmente illegittimo l’ultimo comma dell’art.2 c.p. :
ha decretato l’incostituzionalità della reiterazione dei decreti-legge di contenuto identico a quelli
non convertiti entro 60 gg, termine previsto dalla Costituzione e definito termine “invalicabile.
2.1.1 I decreti governativi in tempo di guerra
L’unica deroga alla riserva di legge formale ex art. 25 co. 2 Cost. è rappresentata dai decreti
governativi in tempo di guerra, che in base all’art. 78 Cost., possono essere fonte di norme penali.
2.1.2. Legge regionale e diritto penale
La legge regionale non può essere fonte di diritto penale. Ne consegue che sono illegittime
le leggi regionali che:
Creino un nuovo tipo di reato o abroghino una norma incriminatrice preesistente;
Ne modifichino la disciplina sanzionatoria;
Sostituiscano la sanzione penale con una sanzione amministrativa;
Configurino una nuova causa di estinzione della punibilità o amplino la portata di
una causa di estinzione preesistente.
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2.1.3. Diritto dell’Unione Europea e diritto penale
Sempre a proposito di fonti, prendiamo in esame il rapporto tra il Diritto dell’Unione
Europea e il diritto penale degli stati membri.
È necessario chiarire immediatamente che l’Unione Europea non ha una potestà
sanzionatoria penale, e anche qualora una legge statale rinviasse a un regolamento comunitario
l’individuazione in toto o in parte, di un precetto penale la riserva di legge sarebbe violata. In
definitiva, gli organi dell’unione europea possono tutelare direttamente gli interessi comunitari
soltanto con sanzioni amministrative.
L’Unione Europea può, però, imporre al legislatore degli stati membri, l’obbligo di emanare
norme penali a tutela di determinati interessi. È inoltre importante distinguere tra ciò che fa
riferimento al primo Pilastro (il diritto comunitario in senso stretto, cioè quello che nasce sulla base
del Trattato istitutivo della Comunità Europea e successive modificazioni) e quello che riguarda il
terzo Pilastro( che, sulla base del Trattato di Maastricht del 1992 e successive modificazioni ,
riguardano la cooperazione intergovernativa tra gli Stati membri in materia di “Giustizia e Affari
Interni”.
Per quanto riguarda il primo pilastro, il diritto comunitario può imporre obblighi di
criminalizzazione espliciti, esempio concreto è la norma comunitaria 2008/99/CE in tema di “tutela
penale dell’ambiente”. Obblighi di criminalizzazione esplicita sono presenti anche nel terzo pilastro
mirati all’armonizzazione delle legislazioni degli stati membri, allo scopo di promuovere la
cooperazione giudiziaria e di polizia nel contrasto alla criminalità.
Tutto ciò comporta una grande incidenza dell’Unione Europea e del suo diritto sul
legislatore italiano. Tuttavia gli stati membri tendono in larga misura a conformarsi alla fonte
comunitaria, anche per evitare le sanzioni specifiche.
Dal diritto dell’Unione discendono poi taluni vincoli per il giudice penale degli stati
membri.
In primis, e limitatamente al diritto comunitario in senso stretto (primo pilastro), vi è la
possibilità che norme comunitarie dotate di efficacia diretta contrastino con norme penali statali e
ne paralizzino, in tutto o in parte, l’applicabilità, in forza del principio della prevalenza del diritto
comunitario sul diritto nazionale.
L’incompatibilità della norma penale nazionale rispetto alla norma comunitaria può essere
totale o parziale.
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- Quando l’incompatibilità tra la norma comunitaria e la norma penale nazionale è totale,
la norma comunitaria rende inapplicabile la norma penale in tutta la sua estensione.
- Invece, quando l’incompatibilità tra la norma comunitaria e la norma penale nazionale è
parziale, il campo di applicazione della norma penale verrà limitato: saranno estromesse le ipotesi
regolate in modo diverso dalla norma comunitaria.
In tutti i casi di incompatibilità tra norma penale e diritto comunitario, se vi è stata sentenza
definitiva di condanna per un fatto preveduto dalla norma penale inapplicabile , cessa l’esecuzione
della condanna e ne vengono meno gli effetti penali.
Un altro vincolo molto importante è quello relativo all’obbligo di interpretazione
conforme alla normativa comunitaria: il giudice nazionale è tenuto, cioè, ad interpretare la
normativa nazionale che attua gli obblighi di fonte comunitaria in senso conforme alla lettera ed
alla ratio dello strumento comunitario.
In diritto penale, il limite invalicabile dei poteri interpretativi del giudice sarà pur sempre
costituito dal divieto di analogia : il giudice non potrà mai, nemmeno in via di interpretazione
conforme, attribuire alla norma penale nazionale un significato che vada oltre il suo tenore letterale.
2.1.4 Fonti internazionali e diritto penale
Un discorso a parte lo merita il rapporto tra il diritto internazionale pattizio ed in
particolare, la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), ed il diritto penale.
È opportuno specificare che da nessuna fonte internazionale può discendere direttamente
una responsabilità penale a carico di un individuo.
Il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’art25 co.2 Cost.; e il suo corollario
della riserva di legge in materia penale, impone infatti che sia soltanto la legge (statale) a
disciplinare i presupposti cui è subordinata l’inflizione di una pena da parte dei giudici italiani e a
stabilire specie ed entità della pena medesima.
Da numerose fonti internazionali discendono obblighi a carico sia del legislatore, sia del
giudice italiano.
Per quanto riguarda il legislatore, l’art. 117 co. 1 Cost. dispone che la potestà legislativa è
esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali.
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Il giudice invece è tenuto, anche in materia penale, a interpretare le leggi nazionali in
maniera conforme alla lettera e alla ratio degli obblighi internazionali. Ne caso di contrasto tra
legge interna ed obblighi internazionali, non superabile in via interpretativa, il giudice sarà tenuto a
sollevare questione di legittimità costituzionale della legge interna, rimettendo gli atti alla Corte
costituzionale affinchè ne sia eventualmente dichiarata l’ illegittimità costituzionale per contrasto
con il citato art 117 co.1 Cost.
Questi principi si applicano al anche alla CEDU. La Corte costituzionale ha recentemente
sciolto i dubbi circa la posizione della CEDU nel sistema delle fonti nell’ordinamento italiano,
chiarendo che le sue norme fondano altrettanti “obblighi internazionali” ai sensi dell’art 117 co. 1
Cost.
L’eventuale contrasto tra una legge interna e la CEDU non potrà essere rimosso
direttamente dal giudice ordinario disapplicando la legge interna , ma dovrà essere da questi
sottoposto alla Corte costituzionale , alla quale sola spetterà la sua risoluzione attraverso la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge medesima. Prima di sottoporre la questione
alla Corte costituzionale , il giudice ordinario sarà tenuto a verificare se il contrasto sospettato
possa essere risolto in via interpretativa , attraverso una interpretazione conforme alla CEDU della
legge in questione, la quale – se consentita dal tenore letterale della legge- renderebbe superfluo il
ricorso alla Corte. Tanto la Corte costituzionale quanto il giudice ordinario , infine, saranno
tenuti a confrontarsi non già con il mero dato testuale delle disposizioni della CEDU, bensi’ con la
lettura che di quelle disposizioni ha fornito la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a
Strasburgo.
I vincoli che discendono dagli obblighi internazionali in materia penale sono:
rispetto di diritti fondamentali
ed obblighi d’incriminazione.
Per ciò che concerne il rispetto dei diritti fondamentali, il giudice penale, per evitare di
esporre lo Stato italiano alla violazione degli obblighi pattizi , dovrà interpretare restrittivamente
le norme esimenti(cause di giustificazione, scusanti) che sottraggono classi di fatti alla sanzione
penale. I
Inoltre va sottolineato, che gli obblighi d’incriminazione derivanti da fonti internazionali
pattizie trovano un loro ostacolo nell’introduzione nel diritto interno a causa della presenza dell’art.
25 co. 2 Cost. : in questo caso né la Corte Costituzionale, né il giudice ordinario potranno far
riferimento alle norme internazionali, se queste non hanno un prescrizione specifica nel diritto
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interno. Talvolta, la corte costituzionale può anche, talvolta, dichiarare l’illegittimità costituzionale
di norme penali “di favore” in violazione di obblighi internazionali di incriminazione, sottraggono
determinare classi di fatti alla sanzione penale prevista in via generale da un’altra legge statale di
scusanti o di cause di non punibilità.
2.1.5 Consuetudine e diritto penale
Il principio della riserva di legge ex art 25 Cost. preclude :
- la creazione di norme incriminatrici da parte della consuetudine (c.d. consuetudine
incriminatrice);
- non trova spazio nemmeno la c.d. consuetudine integratrice, cioè quella che rinvia
dalla legge alla consuetudine per l’individuazione di un elemento del reato;
- la gerarchia delle fonti impedisce alla consuetudine di abrogare norme legislative
incriminatrici. (consuetudine abrogatrice),
Le consuetudini possono solo essere fonte di cause di giustificazione (c.d. consuetudine
scriminante) poiché la riserva di legge vale solo per le norme incriminatrici (es. la consuetudine di
lanciare razzi a capodanno giustifica il fatto penalmente rilevante di disturbare il riposo delle
persone mediante schiamazzi o rumori la creazione di norme incriminatrici da parte della
consuetudine(consuetudine incriminatrice). Inoltre il principio di gerarchia delle fonti impedisce
poi alla consuetudine di produrre l’abrogazione di norme legislative incriminatrici ma le norme
consuetudinarie possono invece essere fonte di cause di giustificazione(consuetudine scriminante).
2.1.6 Corte costituzionale e legge penale
La riserva di legge ex art 25.co.2 Cost esclude che, attraverso il sindacato sulle norme
incriminatrici, la Corte costituzionale possa ampliare la gamma dei comportamenti penalmente
rilevanti od inasprire il trattamento sanzionatorio di un reato; esclude anche che la Corte,
sindacando la legittimità di norme che aboliscano un reato o lo trasformino in illecito
amministrativo, faccia rivivere la figura di reato abolita o depenalizzata dal legislatore, a meno che
tale norma rappresenti l’attuazione di un obbligo costituzionale espresso di incriminazione
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3 Riserva di legge e atti del potere esecutivo
Individuata nella legge formale dello Stato l’unica fonte di norme incriminatrici, si pone il
problema di stabilire se l’esclusione degli atti del potere esecutivo sia totale o parziale: se la riserva
ex art 25. Co. .2 Cost sia da intendersi come riserva assoluta- nel senso che sarebbe riservata alla
legge l’individuazione di tutti gli elementi del reato e del relativo trattamento sanzionatorio-, come
riserva relativa- nel senso che la legge potrebbe rinviare ad una fonte di rango inferiore per
l’individuazione del precetto e delle sanzioni-, o tendenzialmente assoluta- nel senso che la legge
potrebbe rinviare alla fonte sublegislativa solo per la specificazione sul piano tecnico di singoli
elementi del reato già individuati dalla legge.
Il problema si pone in termini diversi a seconda che si tratti di atti normativi generali ed
astratti o di provvedimenti individuali e concreti del potere esecutivo
Diritto penale e atti normativi generali e astratti del potere esecutivo
Quanto ai rapporti fra legge ed atti normativi generali ed astratti del potere esecutivo,
un primo orientamento ritiene legittima ogni forma di rinvio da parte della legge ad una fonte
subordinata: considera legittima, ad esempio, una norma di fonte legislativa che si limiti a prevedere
una sanzione penale per la violazione di un precetto che verrà successivamente individuato da un
regolamento (es. chiunque viola quanto stabilito dal regolamento x verrà punito con la pena y) : ciò
che verrebbe punito è la “disobbedienza come tale “alle norme della Pubblica Amministrazione.
Un secondo orientamento riconosce che le norme generali ed astratte emanate da fonti
subordinate alla legge integrano il precetto, concorrendo a definire la figura del reato.
Una terza impostazione, che usa la formula “riserva tendenzialmente assoluta”, ritiene
legittimo il rinvio della legge ad atti generali ed astratti del potere esecutivo solo se quegli atti si
limitano a specificare sul piano tecnico elementi già descritti dal legislatore, un primo orientamento
ritiene legittima ogni forma di rinvio da parte della legge ad una fonte subordinata: considera
legittima una norma di fonte legislativa che si limiti a prevedere una sanzione penale per la
violazione di un precetto che verrà successivamente individuato da un regolamento (es. chiunque
viola quanto stabilito dal regolamento x verrà punito con la pena y) : ciò che verrebbe punito è la
disobbedienza come tale alle norme della Pubblica Amministrazione.
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Un secondo orientamento riconosce che le norme generali ed astratte emanate da fonti
subordinate alla legge integrano il precetto, concorrendo a definire la figura del reato.
Una terza impostazione, che usa la formula “riserva tendenzialmente assoluta”, ritiene
legittimo il rinvio della legge ad atti generali ed astratti del potere esecutivo solo se quegli atti si
limitano a specificare sul piano tecnico elementi già descritti dal legislatore.
Diritto penale e provvedimenti individuali e concreti del potere esecutivo
Quanto ai rapporti fra legge e provvedimenti individuali e concreti del potere esecutivo,
non violano la riserva di legge le norme penali che sanzionano l’inottemperanza a classi di
provvedimenti della pubblica amministrazione, centrale o periferica: il singolo provvedimento
amministrativo, del quale la legge punisce l’inottemperanza, è infatti estraneo al precetto penale,
perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa.
Compatibili con la riserva di legge sono anche le norme penali che sanzionano
l’inottemperanza a “classi “ di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
Le norme che puniscono l’inosservanza di classi di provvedimenti amministrativi (o
giudiziari) possono peraltro violare la riserva di legge sotto il profilo del principio di precisione :ciò
accade quando la classe di provvedimenti, la cui inottemperanza è penalmente sanzionata, sia
descritta dalla legge in modo impreciso
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4 Norme penali in bianco
Con il nome di norme penali in bianco s’intendono le norme penali il cui precetto è posto in
tutto o in parte da una norma di fonte inferiore alla legge: la legge lascia cioè in bianco il contenuto
del precetto, che si “colora” e prende forma solo ad opera della fonte sub legislativa.
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5 Riserva di legge e potere giudiziario
Per mettere un limite agli arbitri del potere giudiziario, la riserva di legge impone al
legislatore un triplice ordine di obblighi:
Principio di precisione;
Principio di determinatezza;
Principio di tassatività;
Il principio di precisione
Il fondamento del principio di precisione, va ricercato nel principio della divisione dei
poteri, infatti esso è garanzia per la libertà e la sicurezza del cittadino che solo in “leggi precise
e chiare “ può trovare, in ogni momento cosa gli è lecito e cosa gli è vietato”.
Il rispetto del principio di precisione è indispensabile per assicurare una serie di esigenze
proprie del sistema penale: è strumento di prevenzione generale, infatti, poiché la norma penale
possa orientare il comportamento dei suoi destinatari è necessario che sia formulata in modo
preciso, così da consentire al cittadino di sapere se il suo comportamento sarà lecito o illecito.
Inoltre leggi imprecise non consentono di muovere all’agente un rimprovero di colpevolezza: la
Corte costituzionale ha ritenuto che si possa invocare a propria scusa l’erronea interpretazione della
legge penale ,quando l’errore sia stato provocato dall’ <<assoluta oscurità del testo legislativo >>. E
poi solo norme incriminatrici precise, assicurano all’imputato il pieno esercizio del diritto di difesa,
che deve poter individuare con certezza l’oggetto dell’accusa per fornire elementi di prova a sua
discolpa.
Tra le tecniche di formulazione delle norme penali quella che assicura il più elevato grado di
precisione è la tecnica casistica, che permette la descrizione analitica di specifici comportamenti,
oggetti, situazioni. L’unico costo del ricorso indiscriminato alla tecnica casistica è l’elefantiasi della
legislazione penale.
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Es. l’ art. 583 co. 2 c.p. stabilisce che lesione personale è gravissima <<se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente gravissima o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la
perdita di un arto…etc.
Un rischio di imprecisione è invece connaturato al ricorso a clausole generali, cioè a
formule sintetiche comprensive di un gran numero di casi, che il legislatore rinuncia ad enumerare e
specificare.
Es. se la norma di lesioni gravissime le descrivesse con una clausola generale del tipo <<la
lesione è gravissima se la persona viene lesa molto seriamente nel corpo o nella mente>>.
L’adozione di questa tecnica è legittima solo a condizione che i termini usati consentano di
individuare in modo sufficientemente certo le ipotesi riconducibili sotto la norma incriminatrice.
Una tecnica coerente col principio di precisione è rappresentata dal ricorso a definizioni
legislative.
Es. nella parte generale quando si definisce il dolo(art 43 c.p.), la colpa (art43 c.p.), il
tentativo (art 56c.p.); o nella parte speciale all’utilizzo di termini quali “prossimi congiunti” (art 307
c.p.) o “pubblico ufficiale”(art 357 c.p.).
Il legislatore talora individua gli elementi del reato con termini e concetti descrittivi, che
fanno riferimento, descrivendoli, ad oggetti della realtà fisica o psichica, suscettibili di essere
accertati con i sensi o comunque attraverso l’esperienza: l’impiego di concetti descrittivi non
garantisce di per sé il rispetto del principio di precisione: alcuni concetti descrittivi presentano una
“zona grigia “che rende difficile l’esatta individuazione dei fatti ai quali il termine fa riferimento
(es. vilipendio).
Altre volte un elemento del reato è individuato dal legislatore attraverso un concetto
normativo, un concetto cioè che fa da riferimento ad un’altra norma, giuridica o extragiuridica:
questa tecnica risulta compatibile col principio di precisione ad una duplice condizione: il concetto
normativo non deve dare adito ad incertezze né in ordine all’individuazione della norma richiamata,
né in ordine all’ambito applicativo ed al contenuto di tale norma.
La Corte Costituzionale ha sempre visto il fondamento del principio di precisione nell’ art
25 Cost.; la recente legislazione sembra più attenta al rispetto del principio di precisione,
obbligando a questo scopo il legislatore a formulare norme chiare e precise.
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Anche la recente legislazione sembra più attenta al rispetto del principio di precisione, la
norma sull’usura del ’96 o la norma incriminatrice della riduzione o mantenimento in schiavitù o
servitù –art. 600 c.p. – del ’03, ne sono la conferma.
Il principio di determinatezza.
Tramite questo principio si esprime l’esigenza che le norme penali descrivano fatti
suscettibili di essere accertati e provati nel processo. Non basta che la norma abbia contenuto
intellegibile, ma occorre anche che essa rispecchi una fenomenologia empirica verificabile nel
corso del processo sulla base di massime d’esperienza o di leggi scientifiche.
Una delle prime sentenze della Corte Costituzionale in cui dichiarò incostituzionale una
norma fu proprio per contrasto con il principio di determinatezza. La norma in questione – plagio –
non poteva essere accertata e provata per com’era formulata.
Il principio di tassatività
Un ulteriore sbarramento frapposto dalla riserva di legge agli arbitri del giudice penale è il
divieto di analogia a sfavore del reo ( analogia in malam partem), altrimenti designabile come
principio di tassatività delle norme incriminatrici.
A norma dell’art. 1 c.p. il giudice non può punire fatti che non siano espressamente
preveduti come reato dalla legge; secondo quanto prescrive l’ art 14 Preleggi, non può applicare le
leggi penali oltre i casi e i tempi in esse considerati.
Si parla di interpretazione estensiva quando il giudice attribuisce alla norma un significato
tale da abbracciare tutti i casi che possono essere ricondotti al suo tenore letterale; fuoriesce invece
dall’interpretazione quando riferisce la norma a situazioni non riconducibili a nessuno dei suoi
possibili significati letterali, ed in particolare viola il divieto di analogia allorché estende la norma
a casi simili a quelli espressamente contemplati dalla legge, sulla base di una comune ratio di
disciplina.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione distingue costantemente, in linea di principio,
tra interpretazione – consentita – ed analogia – non consentita quando riguardi le norme
incriminatrici.
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Il divieto di analogia opera anche nei casi in cui si sanzioni penalmente la violazione di un
precetto contenuto in una disposizione extrapenale, appartenente ad un settore dell’ordinamento
che ammette il ricorso all’analogia.
L’analogia a favore del reo
Il divieto di analogia in materia penale opera solo quando l’applicazione analogica andrebbe
a sfavore dell’agente (analogia in malam partem): il divieto di analogia non si estende alle norme
che escludono o attenuano la responsabilità (analogia in bonam partem).
Il ricorso all’analogia va incontro a tre limiti:
- la norma non deve già ricomprendere il caso in esame, nemmeno se interpretata
estensivamente;
- la lacuna individuata dall’interprete non deve essere “intenzionale”, cioè frutto di
una precisa scelta del legislatore;
- la norma di favore non deve avere carattere eccezionale.
Il divieto sancito dal 14 Preleggi non abbraccia le norme che prevedono le cause di
giustificazione; non sono infatti norme penali, trattandosi di norme con finalità proprie, situate in
ogni luogo dell’ordinamento, né sono norme eccezionali, perché sono espressione di altrettanti
principi generali dell’ordinamento.
Le cause di esclusione della punibilità non sono applicabili per analogia per il loro
carattere di norme eccezionali.
Le norme che prevedono circostanze attenuanti non ammettono estensione analogica,
essendo il frutto della precisa scelta politico-criminale di attribuire rilevanza attenuante a ben
individuate situazioni, e solo a quelle.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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6 Il principio di legalità delle pene
La riserva di legge abbraccia non solo i reati, ma anche le relative sanzioni, nel senso che la
legge deve prevedere il tipo, i contenuti e la misura delle pene – di tutte le pene: pene principali
(17 c.p.), pene accessorie (19 c.p.), pene sostitutive delle pene detentive (art. 53 l. 689/1981),
misure alternative alla detenzione (art. 47 l. 354/1975), pene applicabili in caso di conversione della
pena pecuniaria (art. 102 l. 689/1981), effetti penali della condanna (art 20 c.p.).
Il principio di legalità delle pene vincola innanzitutto il giudice: infatti l’art. 1 c.p. dispone
che: “ nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato
dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” .
Il principio di legalità delle pene vincola anche il legislatore: l’art 25 co.2 Cost., disponendo
che : “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”, consacra in modo sintetico l’idea
che il tipo, i contenuti e la misura delle pene debbano trovare la loro fonte nella legge.
La Corte Costituzionale ha attribuito carattere assoluto alla riserva di legge in materia di
pene, escludendo l’intervento di fonti diverse dalla legislazione statale anche per la definizione di
aspetti marginali del trattamento sanzionatorio.
Deve essere la legge a determinare il tipo (o i tipi) delle pene applicabili dal giudice per
ciascuna figura di reato, e ciò può avvenire sia nella stessa norma incriminatrice, sia attraverso
clausole generali.
La legge deve inoltre determinare con precisione il contenuto delle sanzioni penali.
La legge deve infine determinare la misura delle sanzioni penali.
Vi sono nella Costituzione alcuni principi (eguaglianza, personalità della responsabilità
penale, rieducazione del condannato), che richiedono l’individualizzazione della pena da parte del
giudice.
Il punto di equilibrio fra legalità ed individualizzazione della pena risiede nella
predeterminazione legale, per ogni figura di reato, di una cornice di pena, cioè di un minimo e di un
massimo entro il quale il giudice, usando i criteri indicati dal 133 c.p., dovrà scegliere la pena
adeguata ad ogni singolo caso concreto.
Il principio di legalità si oppone alla previsione di pene indeterminate nel massimo; la
cornice edittale deve essere individuata con precisione; la cornice edittale non deve essere troppo
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ampia, ed il principio di legalità della pena esige che la legge detti criteri vincolanti per il giudice
nella commisurazione della pena.
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7 Il principio di legalità e le misure di sicurezza
Le misure di sicurezza (artt.199 ss. c.p.) sono sanzioni – personali (art 215 c.p.) o
patrimoniali (art. 236 c.p.) – applicabili in aggiunta alla pena nei confronti di soggetti imputabili o
semimputabili, ovvero in luogo della pena nei confronti di soggetti incapaci di intendere o di
volere.
Al pari delle pene, anche le misure di sicurezza soggiacciono al principio di legalità: tale
principio è enunciato nel codice penale all’art. 199 in virtu’ del quale : “nessuno può essere
sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi
dalla legge stessa preveduti”).
Il legislatore ordinario non può delegare a fonti subordinate, in particolar modo al potere
esecutivo, la disciplina delle misure di sicurezza, né può dettare una disciplina imprecisa od
indeterminata.
Il primo presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza è la commissione di un
fatto preveduto dalla legge come reato, o, in via di eccezione, di un” quasi reato”.
Il secondo presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza (con l’eccezione della
confisca) è la pericolosità sociale dell’agente, cioè la probabilità che egli commetta nuovi fatti
preveduti dalla legge come reati (art. 203 c.p.); la pericolosità sociale va sempre accertata in
concreto dal giudice.
La riserva di legge ex art. 25 co. 3 Cost. esige inoltre che il legislatore individui il tipo di
misura di sicurezza applicabile dal giudice.
A differenza di quanto si è detto per le pene, la riserva di legge tollera di per sé, misure di
sicurezza indeterminate nel massimo, trattandosi di un carattere connaturato a tale sanzione, in
ragione della sua dipendenza dalla pericolosità sociale dell’agente, cioè da uno stato personale che
si protrae nel tempo e del quale non è dato stabilire a priori sé e quando verrà meno.
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8 L’interpretazione del diritto penale
La fedeltà del giudice alla legge è, incarnata dal divieto di analogia in malam partem, che
vieta al giudice di ricondurre sotto la norma casi non riconducibili a nessuno dei suoi possibili
significati letterali. Un ulteriore criterio selettivo deriva, dall’appartenenza dell’Italia all’Unione
Europea: il giudice italiano ha l’obbligo di un’interpretazione conforme alla normativa
europea. Il diritto penale segue poi le restanti regole dell’attività interpretativa, dove primeggiano
l’interpretazione sistematica della norma con altre disposizioni della legge ordinaria, e,
l’interpretazione a fortiori (= a maggior ragione) che impone di chiarire i dubbi interpretativi
sollevati da una norma alla luce di un’altra norma di portata più ampia.
Solo norme chiare e precise consentono di appurare se il giudice faccia opera
d’interpretazione, muovendosi all’interno o al di fuori dei limiti segnati dai possibili significati
letterali. Quando la norma non sia inguaribilmente imprecisa, il significato va ricercato attingendo a
svariati linguaggi.
Alcuni termini vanno ricercati nel linguaggio comune, depositati dalle letture
giurisprudenziali e dottrinali. E’ il caso del termine violenza privata – art. 610 c.p. – accanto alla
minaccia, come mezzo impiegato dall’agente per costringere altri a fare, tollerare od omettere
qualche cosa.
Oltre al linguaggio giuridico sono gli elementi normativi giuridici cui il diritto penale dovrà
fare riferimento avvalendosi, tra l’altro, del diritto civile e amministrativo. Infatti il giudice dovrà
non solo constatare i fatti ma anche interpretare le regole giuridiche extrapenali e applicarle a quei
fatti.
La disciplina penale delle società commerciali impiega termini dal linguaggio economico-
aziendale come “situazione finanziaria della società”. La disciplina penale posta a tutela
dell’integrità fisica impiega un termine – malattia nel corpo – tratto dal linguaggio medico.
Ancora, la legge sulla procreazione assistita vieta “qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione
umano”, prendendo dal linguaggio biologico termini come “embrioni” e “cellule staminali”.
In alcuni casi è l’interpretazione sistematica nel consueto significato di coordinamento tra
più disposizioni di pari grado, che può venire in aiuto per individuare, tra più significati compatibili
con la lettera della legge, quello che va preferito.
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Si è poco sottolineato come gli atti preparatori di un delitto compiuti da più persone, sono
di regola penalmente irrilevanti e se sono irrilevanti per più persone a maggior ragione non lo
saranno quelli compiuti da una persona sola.
E’ il momento di affrontare le interpretazioni conformi alla Costituzione in funzione
selettiva:
Il principio di offensività impone all’interprete l’espulsione dalla fattispecie legale
di fatti che sono in concreto inoffensivi del bene giuridico.
Il principio di colpevolezza vincola l’interprete ad attribuire la responsabilità a
condizione che si possa muovere all’agente almeno un rimprovero di colpa.
Il principio di precisione preclude all’interprete di attribuire alla norma significati
compatibili con il tenore letterale, ma che conferirebbero contorni imprecisi al
divieto o al comando imposto della legge.
Il principio costituzionale d’imparzialità della pubblica amministrazione può
invece contribuire a individuare la portata di una causa di giustificazione di taluni
fatti.