Upload
lisztbr
View
107
Download
1
Embed Size (px)
Citation preview
Un corso pratico di partimento
Giorgio Sanguinetti
Università di Roma - Tor Vergata
A.A. 2006/7
Partimenti del Sig. Leonardo Leo, c. 1r, ms. 1a metà sec. XVIII
(I-Nc 22.1.26/2)
Introduzione
Definizione
Il partimento è uno speciale sistema di notazione utilizzato prevalentemente
come strumento didattico finalizzato all'apprendimento della composizione,
inventato agli inizi del 18° secolo in Italia, e specialmente a Napoli, e in seguito
diffusosi in tutta Europa. Esso può essere considerato una specializzazione del
basso continuo: a differenza di quest'ultimo, la cui funzione è
l'accompagnamento di una o più parti melodiche, il partimento è
autosufficiente.
1
Nella sua forma più elementare, il partimento è un esercizio derivato dalla
pratica del basso continuo, da realizzare estemporaneamente alla tastiera.
Tuttavia, quella del basso cifrato è solo una delle forme sotto la quale si può
presentare il partimento. Nelle sue forme più evolute, la cifratura scompare e
al posto di una linea di basso, si alternano frammenti melodici appartenenti a
tutte le voci nelle chiavi relative a ciascuna di esse: in questo modo il
partimento prende l'aspetto, più che di un basso continuo, di un abbozzo di
composizione.1 Lo studente, avvalendosi di questa traccia, doveva completarla
realizzando una composizione per tastiera quale una toccata, un movimento di
sonata, o, nei casi più complessi, una fuga, sempre in forma non scritta, ma
estemporanea.
Il fatto che il loro utilizzo fosse prevalentemente in campo didattico non deve
far pensare ai partimenti come ad esercizi aridi e antimusicali. Prima di tutto,
nel Settecento non esisteva ancora la netta separazione, portata dall'Idealismo,
tra scuola e arte: ars ed exercitium, Kunst e Übung erano facce inseparabili
della creazione musicale (su questo vedi il paragrafo seguente). Poi, molte
raccolte di partimenti sono opere di celebri musicisti, come Leonardo Leo,
Francesco Durante, Pasquale Cafaro, Giovanni Paisiello e molti altri, i quali
mettevano nella composizione dei partimenti non meno cura di quella che
mettevano nelle loro opere non didattiche.
La durevole fortuna del partimento, e la sua diffusione universale (confermata
dalla dispersione delle raccolte manoscritte di partimenti nelle biblioteche di
tutta Europa) testimoniano l'enorme efficacia di questo strumento, sul quale si
formarono tutti i compositori italiani (e non solo) tra il Settecento e la prima
metà dell'Ottocento.
Il partimento tra arte ed esercizio
1La migliore definizione di partimento è di Friedrich Lippmann: «lo schema di un brano
polifonico indicato su una voce che, con frequenti cambiamenti di chiave, consista in
parte di elementi di basso cifrato, in parte di tratti tematici, e che possa servire da
base per un'esecuzione più o meno improvvisata del brano su uno strumento a
tastiera.» FRIEDRICH LIPPMANN, Sulle composizioni per cembalo di Gaetano Greco, in La
musica a Napoli durante il Seicento, a cura di Domenico Antonio D'Alessandro e
Agostino Ziino, Roma, La Torre d'Orfeo, 1987, pp. 285-306: 287.
2
I primi esempi di partimento che sono arrivati fino a noi risalgono ai primi anni
del Settecento, ad opera di Bernardo Pasquini, Alessandro Scarlatti, Gaetano e
Rocco Greco, e Pasquale Fago. Questi primi partimenti non erano
esplicitamente lavori didattici, ma erano rivolti ad utilizzi, funzioni e strumenti
diversi. Le sonate per cembalo o per due cembali di Pasquini, scritte come
partimenti, sono lavori troppo difficili per essere destinati ad allievi, e mancano
della tipica organizzazione graduata per difficoltà crescente che invece
troviamo in tutte le raccolte didattiche di partimenti. Allo stesso modo, i
versetti per organo dei fratelli Greco sono chiaramente destinati all'uso pratico
di accompagnamento delle funzioni liturgiche: una delle principali fonti di
questi lavori, il manoscritto A-400 della biblioteca di Santa Cecilia a Roma, è
infatti una silloge compilata per uso di un organista romano (probabilmente
l'organista di S.Luigi dei Francesi). I partimenti fugati di Pasquale Fago
presentano tracce di testo, il che fa pensare che si tratti in realtà di una
notazione in partimento di un mottetto o una fuga vocale.
All'epoca di Leo e Durante la funzione didattica del partimento era già
pienamente delineata: però è possibile che il partimento conservasse, almeno
in parte, una fruizione semi pubblica, come intrattenimento in un ambito
riservato. Da diverse testimonianze sappiamo infatti che Durante veniva
spesso richiesto di improvvisare nel corso di riunioni musicali, e non possiamo
escludere che i partimenti fossero usati come base per queste improvvisazioni.
In ogni caso, sappiamo troppo poco sulla prassi musicale privata per escludere
che questo accadesse.
Con Fenaroli, verso la fine del Settecento, il partimento diventa esclusivamente
esercizio didattico, anche se conserva dignità musicale.
Il contesto storico
Nel Settecento il consumo di musica, che prima era per lo più limitato alle
classi superiori della società, si diffuse ad ampi strati di popolazione. La
crescente popolarità dell’opera in musica, che necessitava d'un gran numero di
persone per la sua realizzazione – compositori, cantanti, orchestrali,
accompagnatori al cembalo ed altri – aumentò la richiesta di professionisti della
musica, spesso reclutati tra le classi più povere. In particolare, lo studio della
musica divenne la specializzazione primaria in alcuni di quegli istituti di
3
beneficienza che, nella seconda metà del secolo XVI, erano sorti allo scopo di
dare cibo, alloggio e istruzione ai numerosi orfani o infanti abbandonati che in
gran numero percorrevano le strade delle grandi città portuali come Venezia e
Napoli. Questi istituti – chiamati conservatori, perchè servivano a “conservare”
l’infanzia abbandonata – divennero così scuole musicali professionali.2 Mentre
quelli veneziani (chiamati ospedali) si specializzarono nell’insegnamento
strumentale e si estinsero alla fine del Settecento, quelli napoletani divennero
famosi in tutta Europa per l’eccellenza del loro insegnamento, specialmente
per il canto e la composizione. Il loro merito principale fu di aver sviluppato un
metodo originale ed efficacissimo per insegnare la composizione, basato
sull'approfondito studio del contrappunto, del canto e di uno strumento
specifico chiamato partimento.
A causa dell'accresciuta domanda, l’istruzione musicale non poteva più
essere soddisfatta dalla raffinata e aristocratica teoria musicale rinascimentale:
molti allievi, provenendo da classi povere, avevano un’istruzione di base molto
scarsa e, inoltre, lo studio della composizione doveva essere orientato molto
più sulla pratica che non sulla speculazione astratta. Erano dunque necessari
nuovi metodi d’istruzione che rispondessero a queste due esigenze: essere
trasmissibili attraverso la pratica, e facilitare la rapidità di composizione, una
abilità importante in un’epoca in cui i compositori erano spesso chiamati a
comporre un’opera in poche settimane, se non addirittura in pochi giorni. Il
partimento rispondeva a queste esigenze: era uno strumento eccezionalmente
versatile, pratico, piacevole, e permetteva di esercitarsi gradualmente in tutti
gli aspetti della composizione: basso continuo, armonia, contrappunto, forme e
stili, imitazione e fuga.
La caratteristica fondamentale del partimento era quella di essere basato
sull’improvvisazione. Il partimento infatti non era altro che una guida che il
maestro offriva al discepolo per aiutarlo a improvvisare alla tastiera una
composizione completa in tutti i suoi aspetti: armonia, melodia, imitazioni, stile
strumentale. Naturalmente i primi esercizi erano molto semplici, simili agli
2 Non tutti i conservatori erano scuole musicali. In particolare, nei conservatori
femminili la musica non costituiva oggetto di'insegnamento, perchè la professione
musicale era ritenuta controproducente rispetto al fine di accasare le "zitelle", cioè le
fanciulle (in genere figlie di prostitute) ospiti degli istituti.
4
odierni bassi d’armonia; ma ben presto i partimenti assumevano l’aspetto di
abbozzi di composizioni musicalmente compiute, fino a condurre l’allievo al più
alto grado di maestria: l’improvvisazione della fuga.
Dall’improvvisazione discendeva un’altra caratteristica del partimento: la
trasmissione della competenza musicale avveniva non a livello razionale, ma a
un livello più profondo, creando nel discepolo una sorta di istinto appreso. In
sostanza, si creava un sistema di risposte automatiche (o di default) a
determinati stimoli compositivi; risposte che il discepolo, una volta divenuto
compositore, poteva anche disattendere, ma che in ogni caso gli si offrivano
come soluzione “normale”.
Questo corso si propone di ripercorrere, dopo un oblio durato più di un secolo,
un percorso formativo che ha permesso a generazioni di compositori di
acquisire una leggendaria fluenza e facilità di immaginazione musicale. Non si
tratta di un compito facile. La scuola napoletana si basava in gran parte sulla
trasmissione orale dell'insegnamento, da maestro ad allievo: la straordinaria
fama che acquistò nel Settecento come la più importante scuola di
composizione di tutta Europa (che allora voleva dire di tutto il mondo) era
anche basata sulla fiducia nella continuità della sua tradizione, che esimeva i
maestri dal mettere dettagliatamente per iscritto i loro metodi d'insegnamento.
Una volta che la tradizione si esaurì, una parte importante dell'insegnamento
andò perduto, mentre sono sopravvissuti, spesso in forma manoscritta, i testi
su cui si esercitavano gli allievi.
I maestri: una genealogia
5
NB aggiungi Insanguine!
La successione dei maestri napoletani è stata oggetto di cure particolari da
parte degli storici, in particolare di Florimo che ne ha fatto una vera e propria
genealogia, indicando per ogni esponente il o i maestri e i discepoli. Non
sempre Florimo si è dimostrato affidabile, e i recenti studi basati sull’esame dei
documenti d’archivio hanno spesso corretto i suoi dati: tuttavia, anche tenendo
conto delle correzioni, l’immagine generale data da Florimo resta valida.
La cosiddetta “generazione dei capostipiti” comprende i maestri nati intorno
alla metà del XVII secolo: Bernardo Pasquini, Alessandro Scarlatti, Nicola Fago,
e Gaetano Greco. Di questi, Fago e Greco sono gli unici maestri autenticamente
napoletani, non nel senso che erano nati a Napoli (Fago era noto come il
“Tarantino”) ma perchè fecero parte integrante del sistema educativo
napoletano.3 Alessandro Scarlatti ha lasciato una raccolta di regole con qualche
3 Gran parte del maestri “napoletani” in realtà non erano nati a Napoli, ma in altre
città della Campania o in altre regioni italiane. In particolare vi era una forte
immigrazione musicale dalla Puglia.
6
partimento conservata in due manoscritti alla British Library e alla biblioteca
Estense di Modena; alla sua figura però si attribuisce tradizionalmente il ruolo
di fondatore della scuola. Quanto a Pasquini, la sua inclusione tra i capostipiti è
frutto di una decisione largamente congetturale. Il toscano Pasquini, il più
importante autore italiano di partimenti al di fuori dei napoletani, fu
probabilmente maestro di Durante nei quattro anni del suo soggiorno romano.
Inoltre, vi sono segni che indicano contatti tra Roma e jNapoli relativamente ai
partimenti: uno di questi è il manoscritto I-Rsc MS.A.400, di origine
probabilmente romana, che accanto a toccate di Frescobaldi e Ercole Pasquini,
all’unica toccata per cembalo di Stradella conosciuta, e a musica francese per
organo, riporta un gran numero di partimenti alcuni dei quali attribuiti a
Gaetano Greco (gli altri aspettano ancora un’attribuzione).
La seconda generazione comprende i maestri nati nella seconda metà del
secolo XVII: Francesco Durante e Leonardo Leo. Si tratta dei due massimi
compositori che operarono continuativamente all’interno della scuola (come
abbiamo visto, questo non è il caso di Alessandro Scarlatti), e la loro
produzione di partimenti è quantitativamente rilevante, oltre che di livello
musicale molto elevato. Con Durante e Leo il partimento napoletano acquistò la
sua fisionomia definitiva, distinguendosi dai modelli di Pasquini. Gli altri maestri
della scuola (e segnatamente Fenaroli) continuarono a lavorare sulla traccia
segnata da Durante e Leo.
Tavola 1
I maestri del partimento suddivisi per fasce di generazioni
1. La generazione dei capostipiti
Nati nella seconda metà del XVII sec.
Bernardo Pasquini (1637-1710), Alessandro Scarlatti (1660-1725), Nicola Fago (1677-
1745), Gaetano Greco (1657-1728), Rocco Greco (1650- prima del 1718)
2. La seconda generazione
Nati alla fine del XVII sec.
Francesco Durante (1684-1755), Leonardo Leo (1694-1744)
7
3. I maestri di mezzo
Nati all'inizio del sec. XVIII
Pasquale Cafaro (1715 ca. -1787) Carlo Cotumacci (1709-1785), Nicola Sala (1713-
1801)
4. La terza generazione
Nati intorno al 1730
Giacomo Insanguine (1728-1795), Fedele Fenaroli (1730-1818), Giacomo Tritto (1733-
1824), Giovanni Paisiello (1740-1816)
5. La quarta generazione
Nati intorno al 1750
Nicola Zingarelli (1752-1837), Pietro Raimondi, Giovanni Furno (1748-1837)
6. Gli ultimi maestri:
Carlo Conti (1796-1868), Placido Mandanici (1798-1852) Michele Ruta (1826-1896),
Lauro Rossi (1812-1885) Luigi Felice Rossi (1805-1863), Paolo Serrao (1830-1907)
Quelli che ho chiamato i “maestri di mezzo” sono vicini cronologicamente alla
generazione precedente, ma se ne distingono, oltre che per la (sia pur breve)
distanza generazionale, anche per il fatto di esserne stati allievi, così come
anche di essere stati allievi dei maestri della prima generazione, quella dei
capostipiti. Cafaro, per esempio, ha studiato con Durante (e con Fago); e
Cotumacci (maestro di Paisiello) era stato a sua volta allievo di Durante (e di
Scarlatti). Essi si situano perciò in una posizione intermedia tra la seconda
generazione e la successiva.
La terza generazione, quella nata intorno al 1730, comprende per intero il
triumvirato che resse la prima fase di vita del Real Collegio di musica: Paisiello,
Fenaroli e Tritto. Se per quanto riguarda Paisiello i partimenti hanno
rappresentato un segmento marginale della sua amplissima e acclamata
produzione, le carriere di Fenaroli e Tritto si possono quasi per intero
racchiudere nell’ambito dell’insegnamento. Entrambi furono insegnanti molto
influenti (furono loro allievi Bellini, Spontini, Raimondi, Mercadante) ma si deve
8
alle fortunatissima opere didattiche di Fenaroli se il partimento superò il secolo
18° e continuò ad essere praticato, in Italia, fino agli inizi del 20° secolo.
La quarta generazione include i maestri nati intorno al 1750: Nicola Zingarelli,
Pietro Raimondi, e Giovanni Furno. Zingarelli e Furno furono due autorevoli
continuatori della scuola, e si mossero sempre all’interno di una rigorosa
ortodossia. La figura di Raimondi è molto più complessa: romano di nascita,
dopo gli studi con Tritto tornò nella sua città dove fu considerato il continuatore
della tradizione polifonica romana, e divenne celebre come autore di
composizioni sperimentali incredibilmente complesse.
Infine, gli esponenti dell’ultima generazione vanno ricordati più per il loro
impegno di esegeti che per i contributi originali. Comune a questi tardivi
esponenti della scuola è la percezione della prossima scomparsa della scuola, e
il desiderio di preservarne la memoria. A loro va il merito di aver trasmesso
quanto era possibile dell’insegnamento orale della scuola, sia attraverso la
compilazione di edizioni commentate di Fenaroli (Luigi Felice Rossi, Placido
Mandanici, Michele Ruta, e Emanuele Guarnaccia) sia attraverso saggi,
memorie o libri.
La continuità della scuola napoletana
Una caratteristica unica della scuola napoletana è stata la sua continuità: non
soltanto la tradizione non si è mai interrotta, ma i metodi di insegnamento sono
rimasti sostanzialmente invariati per circa due secoli.
Nel più antico conservatorio napoletano, quello di S. Maria di Loreto (fondato
nel 1537), la musica è menzionata per la prima volta come materia
d’insegnamento nel 1585; al 1653 risalgono le prime notizie di un’ istruzione
musicale nel conservatorio di S. Onofrio in Capuana (fondato all’inizio del 17°
secolo), mentre i conservatorii di S. Maria della Pietà dei Turchini (fondato nel
1583) e dei Poveri di Gesù Cristo (fondato nel 1599) si dedicarono
all’insegnamento musicale agli inizi del 17° secolo.
L’insegnamento della musica, introdotto dapprima per supplire le necessità
delle chiese annesse ai conservatori, e per fornire un’entrata finanziaria
derivante dalla partecipazione degli allievi a processioni, funerali, e occasioni
simili, si sviluppò nel corso del 17° e, ancora di più, del 18° secolo, fino a
9
diventare l’insegnamento principale. Nel periodo di massimo splendore della
scuola tra la fine del 17° secolo e la prima netà del 18°, a Napoli erano attivi
quattro conservatori: oltre al già ricordato S. Maria di Loreto gli altri
conservatori erano S. Onofrio a Capuana, i Poveri di Gesù Cristo, e S. Maria
della Pietà dei Turchini. Come si intuisce dai nomi, si trattava inizialmente di
istituzioni religiose; col tempo esse però persero questo carattere, diventando
scuole di musica gestite da laici ed aperte a studenti paganti, a convitto o
anche residenti al di fuori degli istituti.
Verso la fine del 18° secolo iniziò la fase di decadenza dei conservatori, che
portò alla chiusura dei Poveri di Gesù Cristo (1743) e alla trasformazione di S.
Maria di Loreto in un ospedale militare (1797). Con l’occupazione di Napoli da
parte dei Francesi (1806) Giuseppe Bonaparte procedette ad una generale
riorganizzazione delle scuole di musica, e gli allievi rimasti nei due conservatori
superstiti furono riuniti nella sede di S. Maria dei Turchini che si fuse con S.
Onofrio dando origine al Real Collegio di Musica (1807). Nel 1826 il Real
collegio si spostò nell’attuale sede, e nel 1889 prese il nome attuale di
Conservatorio di S. Pietro a Majella.
Le scuole musicali di Napoli dunque hanno conosciuto un’ininterrotta continuità
tra il 1537, data della fondazione di S. Maria di Loreto, fino ad oggi; una
situazione unica in Italia, se si pensa che gli altri conservatori storici italiani
sono sorti molto più tardi, e gli unici che avrebbero potuto competere con
Napoli, quelli di Venezia, si sono estinti con le fine della Repubblica.4 Tale
continuità ha avuto un ruolo significativo nello sviluppo e poi nella
sopravvivenza dei metodi d’insegnamento, tra cui i partimenti.
Le fonti
I partimenti ci sono pervenuti in una considerevole varietà di fonti. Per la
maggior parte si tratta di fonti manoscritte. Nel 18° secolo la stampa musicale
era costosa e il modo più economico per riprodurre un'opera era di ricopiarla a
mano: il lavoro di copiatura era effettuato da copisterie professionali o
direttamente dall'interessato. Mentre il contenuto delle copie professionali era
4 L’attuale conservatorio di Venezia, intitolato a Benedetto Marcello, è lo sviluppo di un
liceo musicale istituito nel 1877.
10
in genere omogeneo, le copie realizzate da allievi erano spesso zibaldoni
contenenti partimenti di vari maestri, a volte privi di attribuzioni o con
attribuzioni casuali. Le fonti a stampa sono in genere tarde (19° secolo).
Tipologia della fonti
I. Fonti manoscritte
1. Raccolte di partimenti; 2. Regole; 3. Realizzazioni scritte; 4. Fonti correlate
1. Raccolte di partimenti
a) unica; b) canoniche; c) miscellanee; d) copie ms. di stampe
Gli unica sono codici che contentono gli unici esemplari conosciuti di una
raccolta. Le raccolte canoniche sono quelle che si trovano, più o meno
invariate, in molti esemplari e che quindi offono in corpus principale delle opere
di un autore. Le miscellanee contengono partimenti di vari autori. Le copie
manoscritte di stampe sono riproduzioni manoscritte di fonti a stampa
(realizzate per il minor costo rispetto all'acquisto della stampa).
Esempi: per a) I-Bc DD.219 (contiene gli unici partimenti conosciuti di Pasquale
Cafaro); per b) I-PESc Rari Ms.c.12 (contiene la collezione canonica di Leo, che
si ritrova in molte altre fonti); per c) I-Nc 45.1.4 (volume miscellaneo
contenente partimenti di Cotumacci, Paisiello, Durante e Mattei, compilato da
un allievo per proprio uso); d) copie di Fenaroli dalle stampe, frequenti
soprattutto a Napoli.
2. Regole
Sono istruzioni per la realizzazione dei partimenti. Le regole, che riguardano
principalmente la realizzazione accordale dei bassi senza numeri (vedi Unità 1),
ci sono pervenute attraverso questa tipologia di fonti, simile a quella dei
partimenti: a) unica ; b) canoniche; c) copie ms. di stampe. Per le regole
valgono le stesse osservazioni fatte a proposito delle raccolte ms. dei
partimenti.
Esempi: a) Giuseppe Arena, Principii di musica (I-Nc 32.1.3); b) Durante, Regole
di partimenti numerati e diminuiti (I-Nc 34.2.3, I-Mc Noseda Th.c.123, e altri);
c) Fenaroli, Regole musicali (Napoli 1775).
11
3. Realizzazioni scritte
L'idea stessa di realizzazione scritta è estranea alla natura del partimento, il cui
scopo è la trasmissione della competenza musicale attraverso
l'improvvisazione. Per questa ragione le realizzazioni scritte realizzate nel 18°
secolo (il periodo di fioritura) sono rarissime, mentre sono frequenti nel 19°
secolo: in quest'epoca, decadendo la scuola napoletana, il partimento si
trasformò in basso d'armonia, e quindi veniva realizzato in forma scritta.
La più antica in I-Nc 33.2.3: Intavolature per cembalo e partimenti di Rocco
Greco (1650- prima del 1718). Tra le più autorevoli: Catelani (I-MOe Mus. F.
370) e Bonamici (I-Nc 84.3.53/3)
4. Fonti correlate
Le disposizioni sono esercizi scritti che possono essere basati su partimenti
oppure composizioni libere (per esempio solfeggi). Molti trattati di
contrappunto contengono anche istruzioni di partimento; per ibridi intendo
composizioni per tastiera scritte per esteso (intavolature) con sezioni scritte in
notazione di partimento (per esempio, molte Toccate per cembalo di Leo
presentano notazione ibrida).
Disposizioni (Mercadante, Disposizione a quattro su un basso di Durante, I-Mc
Noseda M 16-15); trattati di contrappunto; ibridi (intavolature con tracce di
partimento: Leo, I-Nc 22.1.26/1 [Rari 5147])
II. Fonti a stampa
1. Partimenti; 2. Regole; 3. Edizioni commentate e/o realizzate; 4. Altra
tipologia
1. Partimenti
a) raccolte monografiche; b) antologie
Esempi: a) Fenaroli (1847-) Zingarelli (Ricordi, s.a), Tritto (1821; 1823),
Raimondi (1852; 1876), ecc; b) De Nardis (Milano, Ricordi 1933 - 1942)
Napoletano (1896);
12
2. Regole
Fenaroli (Napoli, 1775-); Paisiello (1782)
3. Edizioni commentate
FEDELE FENAROLI - LUIGI FELICE ROSSI, Partimento ossia bassi numerati del celebre
Maestro Fedele Fenaroli e trattato d'accompagnamento di Luigi Felice Rossi...
Milano, F. Lucca, s.a. (1a metà XIX sec.)
FEDELE FENAROLI - EMENUELE GUARNACCIA, Metodo nuovamente riformato di
partimenti… arricchito di schiarimenti e di una completa imitazione…[di]
Emanuele Guarnaccia…diviso in 2 parti, Milano, Gio. Ricordi s.a (prima metà
sec. XIX)
FEDELE FENAROLI - PLACIDO MANDANICI, Partimenti e regole musicali per quelli che
vogliono suonare coi numeri e per i principianti di contrappunto. Nuova
edizione corretta e illustrata con annotazioni ed esempj dimostrativi da P.
Mandanici, Milano Ricordi s.a (metà XIX sec.)
4. Altra tipologia
LUIGI PICCHIANTI, Saggio di composizione musicale, Passerai, Firenze 1852.
Si tratta di esempi di composizioni per diverso organico, dal solfeggio per voce
e basso al quartetto e al pezzo per grande orchestra, tutte basate sopra
partimenti di Fenaroli.
13