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Introduzione a d’Annunzio

Introduzione a d’Annunzio - UniBG Il piacere.pdf · - del desiderio di costruire la sua esistenza ... vampa. Aveva l’abitudine ... leggenda cristiana in cui fosse descritta la

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• Il romanzo dannunziano ha una grandissima importanzanon solo sul piano letterario, perché impone in Italia lostile e i temi del decadentismo europeo, ma anche suquello del costume. In sostanza è un romanzo che FAMODA, divenendo oggetto di culto per molti lettori e perlunghi anni.

• Con la figura di Andrea Sperelli, d’Annunzio introduce inItalia la figura dell’eroe decadente, calibrata sulpersonaggio di Des Esseintes (protagonista del romanzodi Huysmans) e anticipatrice del personaggio di DorianGray (protagonista de Il ritratto di Dorian Gray di OscarWilde del 1890)

• Caratteristiche dell’eroe decadente:

a) raffinato e gelido

b) cultore solo di quel bello che attraversol’artificio si è distaccato dalla piatta dimensionenaturale: estetismo

c) aristocratico e spregiatore della democraziaparlamentare e delle masse popolari chediventando sempre più protagoniste della storiasommergono con la loro ‘brutalità’ tante cosebelle e raffinate

d) protagonista di relazioni sentimentalicomplesse, travagliate, denotate da forticonnotazioni passionali

• Quindi, la carica vitalistica e sensuale ol’attenzione al barbarico o alla naturaevidenziate per le prime opere si è modificataprofondamente:

a) il sensualismo e il vitalismo si trasformano inpropensione alla lussuria

b) l’attenzione alla natura si trasforma in ricercadell’artificio.

• Il modello creato con il personaggio di AndreaSperelli rimarrà nei romanzi di d’Annunzio unacostante destinata a trasformarsi in mito e adarricchirsi di nuovi elementi, legati all’ideologiapolitica e al concetto di superuomo (Nietzsche).

Personaggi

• Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta

• Elena Muti duchessa di Scerni

• Maria Ferres y Capdevila

Struttura e vicenda:

L’opera è composta di 4 libri

Libro primo, diviso in 5 capitoli:

• presentazione del protagonista nel momento incui incontra Elena dopo quasi due anni diseparazione;

• lungo flashback sulla vicenda d’amore;

• dopo essere stato lasciato da Elena, Andrea sidà a una lunga serie di altre relazioni nelle qualicerca di rievocare l’antica amante attraverso ilcorpo di altre donne;

• tentando di sedurre donna Ippolita Albonico,Andrea entra in contrasto con Giannetto Rùtolo;duello con Rùtolo: Andrea viene ferito.

Struttura e vicenda

Libro secondo, diviso in 4 capitoli:

• la convalescenza di Andrea a villa Schifanoja,residenza immaginaria sulla costa dell’Adriatico,ospite della cugina marchesa d’Ateleta;

• Incontro con Maria Ferres, di cui Andreas’innamora ricambiato;

• lunghe descrizioni paesaggistiche dedicate almare e alla spiaggia: questi due ambientinaturali sono presenti in diversi romanzi diD’Annunzio (Il trionfo della morte) erappresentano il tentativo di molti protagonisti dirinnovarsi interiormente e di riconciliarsi con sestessi in uno spazio incontaminato e lontanodalle mistificazioni della civiltà urbana.

Struttura e vicenda

Libro terzo, diviso in 4 capitoli:

• Rientro di Andrea a Roma e ricaduta nel mondomondano intriso di raffinatezza estetica e dicorruzione morale;

• questo ambiente soverchia il sentimentod’amore di Andrea per Maria e lo trasforma inpuro desiderio fisico e in mero istinto dipossesso;

• a peggiorare le cose viene il ritorno di Elena aRoma in compagnia dal marito Lord HumphreyHeathfield;

• Andrea è dilaniato tra due amori e due donnecompletamente diverse: Elena e Maria.

Struttura e vicenda

Libro quarto, diviso in 3 capitoli:

• Andrea sovrappone sempre di più le immagini

delle due donne e alla fine, dilaniato

internamente dal fatto che Elena continua la sua

vita ignorandolo, ne invoca il nome mentre si

trova tra le braccia di Maria;

• il romanzo si conclude con la vendita all’asta dei

mobili del palazzo di Maria Ferres, causata dal

fallimento del marito, e con Andrea che si aggira

smarrito per le stanze oramai vuote.

Tecnica della narrazione

• Nonostante le dichiarazioni inserite nella dedica aFrancesco Paolo Michetti, dove si parla di “osservazionedella vita”, la tecnica narrativa usata da D’Annunzio èlontanissima dall’oggettività naturalistica;

• il narratore interviene spessissimo a spiegare la vicenda,a sentenziare, a unire o tagliare parti della storia conpassaggi forzati di una modernità sorprendente;

• Il Piacere può essere definito un romanzo “simbolista”.

• Il lavoro di d’Annunzio e sempre sistemazione “amosaico” di più materiali, fino a usare anche le lettereprivate a Barbara Leoni, sua grande amante dal 1887 emodello almeno parziale di Elena.

Tecnica della narrazione

• Fonti letterarie: scuola realista (Maupassant, Flaubert, i

due Goncourt); scuola decadente-estetizzante (Joséphin

Péladan, L’initiation sentimentale, 1887 o lo Huysmans

del già citato À rebours); scuola psicologica (Paul

Bourget); influsso filosofico (Schopenhauer) e di un

saggista “simbolista” come Henri-Frédéric Amiel.

• Effetti di tipo ritmico e musicale: ripetizioni, ripresa di

sequenze estese o minute, opposizioni o affinità messe

in luce per creare legami.

• Lo stile è ricco e prezioso.

I tratti della personalità di Andrea Sperelli

• Sperelli è vittima:

- di una costante esaltazione della sensualitàinnalzata ad erotismo, ossia ad arte di amare;

- del desiderio di costruire la sua esistenzacome se fosse un’opera d’arte; a lungo andarequesta coazione si trasforma da gioia incondanna, privando il protagonista di una qualitàessenziale: l’autenticità e la sincerità;

- di una menzogna costante che pervade tutta lasua esistenza: Sperelli mente agli altri, masoprattutto a se stesso e il tratto più tipico dellasua vita è l’artificio.

I tratti della personalità di Andrea

Sperelli

• forza sensitiva (istintualità): molta;

• forza morale: poca;

• potenza volitiva: debolissima;

• attitudine al sofisma;

• Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che moltebelle cose e rare sommerge miseramente, va anche apoco a poco scomparendo quella special classe di anticanobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione ingenerazione una certa tradizione familiare d’elettacultura, d’eleganza e di arte. (Libro I, cap. II)

• Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La suaadolescenza, nutrita di studi varii e profondi, parveprodigiosa. Egli alternò, fino a’ vent’anni, le lungheletture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e potécompiere la sua straordinaria educazione estetica sottola cura paterna, senza restrizioni e costrizioni dipedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cosed’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossaledisprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. (Libro I,cap. II)

• Tutto penetrato e imbevuto di arte, non avevaancora prodotto nessuna opera notevole. (LibroI,cap. II)

• Nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie egliaveva smarrito ogni volontà ed ogni moralità. Lavolontà abdicando, aveva ceduto lo scettro agliistinti; il senso estetico aveva sostituito il sensomorale. Ma codesto senso estetico appunto,sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, glimanteneva nello spirito un certo equilibrio; cosìche si poteva dire che la sua vita fosse unacontinua lotta di forze contrarie chiusa ne’ limitidi un certo equilibrio. (Libro I, cap. II)

L’immagine femminile nel Piacere

• L’immagine femminile è quella che forse conmaggiore frequenza subisce un processoambiguo di nobilitazione o degradazione allostesso tempo;

• non esistono mezze misure, le donne si dividonoin solo due categorie: prostitute o sante;

• le due categorie femminili sono esemplificateanche attraverso la simbologia onomastica:

- Elena Muti = Elena di Troia, la donna per cui siè scatenata la più famosa guerra dell’antichità;

- Maria Ferres = Maria madre di Dio, simbolo dispiritualità e purezza.

Allora sorse nello spirito dell'aspettante un ricordo. Proprio innanzi a quel

caminetto Elena un tempo amava indugiare, prima di rivestirsi, dopo un'ora

di intimità. Ella aveva molt’arte nell’accumulare gran pezzi di legno su gli

alari. Prendeva le molle pesanti con ambo le mani e rovesciava un po’

indietro il capo ad evitar le faville. Il suo corpo sul tappeto, nell’atto un po’

faticoso, per i movimenti de’ muscoli e per l'ondeggiar delle ombre pareva

sorridere da tutte le giunture, e da tutte le pieghe, da tutti i cavi, soffuso d’un

pallor d'ambra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ella

aveva appunto le estremità un p’ correggesche, le mani e i piedi piccoli e

pieghevoli, quasi direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principio

primissimo della metamorfosi favoleggiata. Appena ella aveva compiuta

l’opera, le legna conflagravano e rendevano un sùbito bagliore. Nella stanza

quel caldo lume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe’ vetri lottavano

qualche tempo. L’odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento

leggero. Elena pareva presa da una specie di follia infantile, alla vista della

vampa. Aveva l’abitudine, un po’ crudele, di sfogliar sul tappeto tutti i fiori

ch’eran ne' vasi, alla fine d’ogni convegno d'amore. Quando tornava nella

stanza, dopo essersi vestita, mettendo i guanti o chiudendo un fermaglio

sorrideva in mezzo a quella devastazione; e nulla eguagliava la grazia

dell’atto che ogni volta ella faceva sollevando un poco la gonna ed

avanzando prima un piede e poi l'altro perché l’amante chino legasse i nastri

delle scarpe ancóra disciolti.

Gustav Klimt (1862-1918): Giuditta

I e Ritratto di Adele Bloch Bauer

Donna Maria discese con un atto rapido ed agile; e con un gesto pieno di grazia

sollevò il velo fitto scoprendosi la bocca per baciare l’amica. Sùbito, per Andrea

quella signora alta e ondulante sotto il mantello di viaggio e velata, di cui egli non

vedeva che la bocca e il mento, ebbe una profonda seduzione. Tutto il suo essere,

illuso in quei giorni da una parvenza di liberazione, era disposto ad accogliere il

fascino dell’«eterno feminino». Appena smosse da un soffio di donna, le ceneri

davano faville.

[…]

Andrea non s’era ingannato: nella voce di lei sonavano alcuni accenti della voce di

Elena Muti, perfetti. Una curiosità impaziente l’invase, di vedere il volto nascosto,

l’espressione, il colore.

[…]

Aveva un volto ovale, forse un poco troppo allungato, ma appena appena un

poco, di quell'aristocratico allungamento che nel XV secolo gli artisti ricercatori

d’eleganza esageravano. Ne’ lineamenti delicati era quell’espressione tenue di

sofferenza e di stanchezza, che forma l’umano incanto delle Vergini ne’ tondi

fiorentini del tempo di Cosimo. Un’ombra morbida, tenera, simile alla fusione di

due tinte diafane, d’un violetto e d’un azzurro ideali, le circondava gli occhi che

volgevan l’iride lionata degli angeli bruni. I capelli le ingombravano la fronte e le

tempie, come una corona pesante; si accumulavano e si attortigliavano su la

nuca. Le ciocche, d’innanzi, avevan la densità e la forma di quelle che coprono a

guisa d’un casco la testa dell’Antinoo Farnese. Nulla superava la grazia della

finissima testa che pareva esser travagliata dalla profonda massa, come da un

divino castigo.

Donna Maria sorrideva, d’un certo sorriso malinconico e quasi direi

incantato come quel d’una persona che sogni. Nella sua bocca socchiusa

il labbro di sopra avanzava un poco quel di sotto, ma così poco che

appena pareva, e gli angoli si chinavano in giù dolenti e nel loro incavo

lieve accoglievano un’ombra. Queste cose creavano un’espressione di

tristezza e di bontà, ma temperata da quella fierezza che rivela l’elevazion

morale di chi ha molto sofferto e saputo soffrire. Andrea pensò che in

nessuna delle sue amiche egli aveva posseduta una tal capigliatura, una

così vasta selva e così tenebrosa, ove smarrirsi. La storia di tutte quelle

fanciulle innamorate d’una treccia, accese di passione e di gelosia,

smanianti di mettere il pettine e le dita nel vivo tesoro, gli parve un gentile

e poetico episodio di vita claustrale; e la chiomata nell’imaginazione gli

s’illuminò vagamente come l’eroina d'una favola, come l’eroina d'una

leggenda cristiana in cui fosse descritta la puerizia d’una santa destinata

a un martirio e a una glorificazione futura. Nel tempo medesimo, gli

sorgeva nello spirito una finzione d’arte. Quanta ricchezza e varietà di

linee avrebbe potuto dare al disegno d’una figura muliebre quella volubile

e divisibile massa di capelli neri!

Dante Gabriel Rossetti (1828-1882): Beata

Beatrix (1863); Persephona (1873-77)

Roma nel Piacere

• D’Annunzio vuole rappresentare una sola

classe sociale tra quelle che compongono

il panorama urbano: l’aristocrazia;

• in base a ciò anche la descrizione dello

spazio urbano rimane sostanzialmente

limitata agli ambienti che fanno da sfondo

alla vita mondana e di questa classe

sociale: le vie e le piazze più alla moda, i

palazzi e le residenze nobiliari.

La Roma di Andrea SperelliRoma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma deiPapi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fori, ma la Roma delle Ville,delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la VillaMedici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per laFontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, deiDoria, dei Barberini l’attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale. Eil suo gran sogno era di possedere un palazzo incoronato da Michelangeloe istoriato dai Carracci, come quello Farnese; una galleria piena di Raffaelli,di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese; una villa, come quellad’Alessandro Albani, dove i bussi profondi, il granito rosso d’Oriente, ilmarmo bianco di Luni, le statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, lememorie stesse del luogo componessero un incanto intorno a qualche suosuperbo amore. In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albodi confessioni mondane, accanto alla domanda «Che cosa vorreste voiessere?» egli aveva scritto «principe romano». Giunto a Roma in sul finiredi settembre del 1884, stabilì il suo home nel Palazzo Zuccari alla Trinità de’Monti, su quel dilettoso tepidario cattolico dove l’ombra dell’obelisco di PioVI segna la fuga delle Ore. Passò tutto il mese di ottobre tra le cure degliaddobbi; poi, quando le stanze furono ornate e pronte, ebbe nella nuovacasa alcuni giorni d’indicibile tristezza. Era una estate di San Martino, unaprimavera de’ morti grave e soave, in cui Roma adagiatasi, tutta quantad’oro come una città dell’Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo, diafanocome i cieli che si specchiano ne’ mari australi. (Libro I, cap. II)

Roma nel Piacere

• La Roma dell’amore;

• la Roma delle ville nobiliari;

• la Roma del dissidio interiore e della

morte;

• la Roma fantastica e indeterminata,

trasfigurata in dimensione onirica

dell’esistenza;

• la Roma degli altri: il popolo;

• la Roma della speculazione.

La Roma dell’amore

Essi comprendevano l’alto grido del poeta:

«Eine Welt zwar bist Du, o Rom! Tu sei un

mondo, o Roma! Ma senza l’amore il

mondo non sarebbe il mondo, Roma

stessa non sarebbe Roma». E la scala

della Trinità de’ Monti glorificata dalla lenta

ascensione del Giorno, era la scala della

Felicità, per l’ascensione della bellissima

Elena Muti. (Libro I, cap. IV)

La Roma delle ville nobiliari

Per essi Roma s’illuminava d’una voce novella. Ovunquepassavano, lasciavano una memoria d’amore. […] Le ville deicardinali e dei principi: la Villa Pamphily, che si rimira nelle sue fontie nel suo lago tutta graziata e molle, ove ogni boschetto par chiudaun nobile idillio ed ove i balaustri lapidei e i fusti arborei gareggian difrequenza; la villa Albani, fredda e muta come un chiostro, selva dimarmi effigiati e museo di bussi centenarii, ove dai vestiboli e daiportici, per mezzo alle colonne di granito, le cariatidi e le erme,simboli d’immobilità, contemplano l’immutabile simmetria del verde;e la Villa Medici che pare una foresta di smeraldo ramificante in unaluce soprannaturale; e la Villa Ludovisi, un po’ selvaggia, profumatadi viole, consacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgangadorò, ove in quel tempo i platani d’Oriente e i cipressi dell’Aurora,che parvero immortali, rabbrividivano nel presentimento del mercatoe della morte; tutte le ville gentilizie, sovrana gloria di Roma,conoscevano il loro amore. (Libro I, cap. IV)

la Roma del dissidio interiorePioveva. Per qualche tempo, egli rimase con la fronte contro i vetridella finestra a guardare la sua Roma, la grande città diletta, cheappariva in fondo cinerea e qua e là argentea tra le rapidealternative della pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento inun’atmosfera tutta egualmente grigia, ove ad intervalli si diffondevaun chiarore, subito dopo spegnendosi, come un sorridere fugace.La Piazza della Trinità de’ Monti era deserta, contemplatadall’obelisco solitario. Gli alberi del viale lungo il muro checongiungeva la chiesa alla Villa Medici, si agitavano già seminudi,nerastri e rossastri al vento e alla pioggia. Il Pincio ancoraverdeggiava, come un’isola in un lago nebbioso. Egli, guardando,non aveva un pensiero determinato, ma un confuso viluppo dipensieri; e gli occupava l’anima un sentimento soverchiante ognialtro: il pieno e vivace risveglio del suo vecchio amore per Roma,per la dolcissima Roma, per l’immensa augusta unica Roma, per lacittà delle città, per quella ch’è sempre giovine e sempre novella esempre misteriosa, come il mare. Pioveva, pioveva. Sul MonteMario il cielo si oscurava, le nuvole si addensavano, diventavanod’un color ceruleo cupo d’acqua raccolta, si dilatavano verso ilGianicolo, si abbassavano sul Vaticano. La cupola di San Pietrotoccava con la sommità quell’enorme adunazione e parevasostenerla, simile a una gigantesca pila di piombo. (Libro III, cap. I)

la Roma della morte

La città giaceva estinta, come sepolta

dalla cenere d’un vulcano invisibile,

silenziosa e funerea come una città

disfatta da una pestilenza, enorme,

informe, dominata dalla Cupola che le

sorgeva dal grembo come una nube.

(Libro IV, cap. I)

la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in

dimensione onirica dell’esistenza

• Era una notte di gennaio fredda e serena, una di

quelle prodigiose notte iemali che fanno di

Roma una città d’argento chiusa in una sfera di

diamante. La luna piena, a mezzo del cielo,

versava la triplice purezza della luce, del gelo e

del silenzio. (Libro III, cap. II)

• La Trinità de’ Monti splendeva nell’azzurro con

lineamenti netti, come intagliata in un marmo

appena roseo. Roma, sotto, aveva un luccicor

cristallino, come una città scavata in un

ghiacciaio. (idem)

la Roma degli altri: il popoloCome i due entrarono, nella gente dell’osteria nonavvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uominifebricitanti stavano intorno a un braciere quadrato,taciturni e giallastri. Un bovaro, di pel rosso,sonnecchiava in un angolo, tenendo ancora fra i denti lapipa spenta. Due giovinastri, scarni e biechi, giocavano acarte, fissandosi negli intervalli con uno sguardo pienod’ardor bestiale. E l’ostessa, una femmina pingue,teneva fra le braccia un bambino, cullandolopesantemente. Mentre Elena beveva l’acqua nelbicchiere di vetro, la femmina le mostrava il bambino,lamentandosi. «Guardate, signora mia! Guardate,signora mia!» Tutte le membra della povera creaturaerano di una magrezza miserevole; le labbra violaceeerano coperte come di grumi lattosi. Pareva quasi che lavita fosse di già fuggita da quel piccolo corpo, lasciandouna materia su cui ora le muffe vegetavano. (Libro I,cap. I)

la Roma degli altri: il popolo• Essere là, con lei, in quella intimità così raccolta, in quel

tepore fatto del suo alito, nel profumo delle violetteappassite, intravedendo appena da’ cristalli appannati levie coperte di fango, le case grigie, la gente oscura.(Libro I, cap. III)

• Veniva su per la strada una compagnia d’uomini con unabara, seguitata da una carrozza publica, piena di parentiche piangevano. Il morto andava al cimitero degliIsraeliti. Era un funerale muto e freddo. Tutti quegliuomini, dal naso adunco e dagli occhi rapaci, sisomigliavan tra loro come consanguinei. Affinché lacompagnia passasse, i due cavalli si divisero, prendendociascuno un lato, rasente il muro; e gli amanti siguardarono, al di sopra del morto, sentendo crescere latristezza. (Libro I, cap. IV)

La Roma della speculazione• Roma splendeva, nel mattino di maggio, abbracciata dal

sole. Lungo la corsa, una fontana illustrava del suo risoargenteo una piazzetta ancor nell’ombra; il portone d’unpalazzo mostrava il fondo d’un cortile ornato di portici estatue; dall’architrave barocco d’una chiesa di travertinopendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponteapparve il Tevere lucido fuggente tra le case verdastre,verso l’isola di San Bartolomeo. Dopo un tratto di salita,apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta dicampanili, di colonne e d’obelischi, incoronata di cupolee di rotonde, nettamente intagliata, come un’acropoli, nelpieno azzurro. «Ave, Roma. Morituri te salutant» disseAndrea Sperelli, gittando il residuo della sigaretta versol’Urbe. […] Erano nella villa Sciarra, già per metàdisonorata dai fabbricanti di case nuove; e passavano inun viale di lauri alti e snelli, tra due spalliere di rose.(Libro I, cap. V)