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1 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, Milano | www.fondazionefeltrinelli.it Lezione | Kit didattico “Natale 1914, pace in tempo di guerra” Materiale: Scheda PDF Introduzione Immaginate di essere dei giovani studenti, operai, panettieri, contadini. Immaginate di dover abbandonare da un giorno all’altro la vostra famiglia, il vostro lavoro, tutto ciò che avete di caro. Immaginate di essere costretti a mettere da parte la fede, le convinzioni, qualsiasi umano comportamento che non sia compatibile con una rigida disciplina militare. Immaginate infine di essere solo soldati, di fare della morte un’esperienza quotidiana e che la vostra vita importi a qualcuno solo nel conteggio della potenza di fuoco. 1914. Questa fu la situazione che soldati britannici, francesi e tedeschi si trovarono a sopportare, sin dai primi giorni del primo conflitto mondiale. La storia Nel giugno 1914 alcuni colpi di pistola spazzarono via un mondo che, come scrisse il romanziere S. Zweig, sembrava “ordinato e sicuro”. Infatti il 28 di quel mese, Gavrilo Princip, uno studente bosniaco affiliato una società segreta serba, sparò all'erede al trono austroungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, e a sua moglie Sofia, uccidendoli mentre su un'auto scoperta attraversavano le vie di Sarajevo 1 , capitale della Bosnia. L'arciduca manifestava la volontà di allargare l'impero verso l'area balcanica, e il suo progetto avrebbe vanificato le speranze dei serbi di unire le popolazioni slave sotto la loro guida. In un contesto di crescente tensione il singolo episodio finì per influenzare il corso della storia accelerando lo scoppio del conflitto. Il primo passo lo fece l'Austria, inviando alla Serbia un ultimatum che, col pretesto di colpire i complici dell'attentatore, ne limitava la sovranità. 1 Episodio rappresentato in prima pagina de “La Domenica del Corriere”, 12 luglio 1914. Archivio storico de “Il corriere della sera”.

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Lezione | Kit didattico “Natale 1914, pace in tempo di guerra” Materiale: Scheda PDF

Introduzione Immaginate di essere dei giovani studenti, operai, panettieri, contadini. Immaginate di dover abbandonare da un giorno all’altro la vostra famiglia, il vostro lavoro, tutto ciò che avete di caro. Immaginate di essere costretti a mettere da parte la fede, le convinzioni, qualsiasi umano comportamento che non sia compatibile con una rigida disciplina militare. Immaginate infine di essere solo soldati, di fare della morte un’esperienza quotidiana e che la vostra vita importi a qualcuno solo nel conteggio della potenza di fuoco. 1914. Questa fu la situazione che soldati britannici, francesi e tedeschi si trovarono a sopportare, sin dai primi giorni del primo conflitto mondiale.

La storia Nel giugno 1914 alcuni colpi di pistola spazzarono via un mondo che, come scrisse il romanziere S. Zweig, sembrava “ordinato e sicuro”. Infatti il 28 di quel mese, Gavrilo Princip, uno studente bosniaco affiliato una società segreta serba, sparò all'erede al trono austroungarico, l'arciduca Francesco Ferdinando, e a sua moglie Sofia, uccidendoli mentre su un'auto scoperta attraversavano le vie di Sarajevo1, capitale della Bosnia. L'arciduca manifestava la volontà di allargare l'impero verso l'area balcanica, e il suo progetto avrebbe vanificato le speranze dei serbi di unire le popolazioni slave sotto la loro guida. In un contesto di crescente tensione il singolo episodio finì per influenzare il corso della storia accelerando lo scoppio del conflitto. Il primo passo lo fece l'Austria, inviando alla Serbia un ultimatum che, col pretesto di colpire i complici dell'attentatore, ne limitava la sovranità.

1 Episodio rappresentato in prima pagina de “La Domenica del Corriere”, 12 luglio 1914. Archivio storico de “Il corriere della sera”.

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Di fronte a un rifiuto l'Austria, il 28 luglio, dichiarò guerra alla Serbia che nel frattempo aveva ricevuto la solidarietà della Russia, dove lo zar aveva ordinato la mobilitazione delle forze armate. Quest'ultima decisione venne presa come un atto ostile da parte del governo tedesco, che chiese a Mosca di sospendere i preparativi militari (31 luglio): dopo ventiquattro ore seguì la dichiarazione di guerra. Quest’ultima finì per coinvolgere anche la Francia, alleata dei russi, che ricevette anch'essa un ultimatum proveniente da

Berlino. Il 3 agosto la Germania dichiarò contro la Francia, alleata della Russia; l'Italia, pur essendo alleata nella Triplice Alleanza di Germania e Austria, persiste nella scelta della neutralità. Il 4 agosto anche la Gran Bretagna, alleata della Francia, dichiarò guerra alla Germania. Dal 6 al 13 agosto le reciproche dichiarazioni di guerra (della Serbia e della Francia contro l'impero austro-ungarico e dell'Austria-Ungheria contro la Gran Bretagna) definirono il confronto tra le forze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Impero russo) e della Triplice Alleanza (Austria-Ungheria, Germania e l'Italia per ora neutrale). Il 23 agosto il Giappone dichiarerà guerra agli Imperi centrali, ampliando la dimensione "mondiale" del conflitto. Iniziata la guerra, venne il momento dei generali; i comandi militari tedeschi ritenevano fondamentale la sorpresa e la rapidità di movimento delle truppe (piano von Schlieffen) per poter ottenere un veloce successo sulla Francia, e avevano preparato un progetto che prevedeva il transito dei soldati attraverso il Belgio, paese che però si era dichiarato neutrale. I governi dei paesi coinvolti sbagliarono le previsioni sulla durata del conflitto che pensavano sarebbe stato breve di un anno al massimo (blitzkrieg). Invece si prolungò a causa della guerra di trincea e dello sviluppo di nuovi armamenti (mitragliatrici, lanciafiamme, carri armati e gas) che lo resero più distruttivo, ma anche più equilibrato e difficile da risolvere con le vecchie strategie ottocentesche, incentrate sull'impiego della cavalleria. Inoltre le previsioni non tenevano conto della disponibilità di quasi tutti governi europei a sacrificare vite umane praticamente senza alcun limite. I generali tedeschi speravano di piegare in poche settimane la Francia, in modo da spostare le truppe sul fronte orientale per fronteggiare le armate russe. Le avanguardie tedesche giunsero a 40 km da Parigi, ma la loro avanzata fu fermata in settembre dal generale francese Joseph Joffre che fece requisire tutti mezzi di trasporto disponibili, per portare i suoi reparti lungo il fiume Marna e organizzarvi una linea difensiva. Riuscì ad arrestare i nemici e il fronte si stabilizzò lungo una linea che correva per 800 km, dalle coste del Mare del Nord fino ai confini con la Svizzera. A est i tedeschi si rifecero battendo la Russa nelle grandi battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri; tuttavia la sconfitta degli austriaci in Galizia ridiede fiato e Rossi e fece svanire le speranze di una rapida fine della guerra. Nel frattempo reparti austriaci e tedeschi invasero la Serbia. Su entrambi i fronti, occidentale e orientale, iniziarono battaglie durissime che causarono centinaia di migliaia di morti, lasciando però sostanzialmente inalterate le posizioni dei contendenti: si avviò la

Alleanze, fronti e prime azioni militari all’inizio del conflitto

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cosiddetta guerra di logoramento; protagonista ne fu la trincea, ovvero un fossato scavato nel terreno che veniva rinforzato con pali di legno e sacchi di sabbia, così da offrire un riparo contro i colpi di artiglieria. Protette da reticolati di filo spinato e da "nidi", cioè postazioni di mitragliatrici, le trincee diventavano pressoché inespugnabili per i soldati che cercavano di conquistarle con assalti disperati, che il più delle volte si fermavano nel lembo di terra tra le opposte postazioni, detto terra di nessuno, mentre le mitragliatrici falciavano i fanti rimasti senza difese.

L’evento Dopo cinque mesi di inferno, la notte della vigilia di Natale, i soldati nelle trincee scavate lungo il fronte

occidentale2, in Francia e in Belgio, si ricordarono di essere uomini, uomini eccezionali prima ancora che

soldati.

Qualcuno intonò Silent Night, che per gli austriaci è Stille Nacht, conosciuto dai combattenti di ogni nazionalità. Si trattò di una eccezionale circostanza dettata dalla spontaneità di un sentimento di fratellanza universale, più forte del rombo dei cannoni. In maniera contagiosa la melodia si propagò da un lato all’altro del fronte. Qualcuno ebbe il coraggio di mettere la testa fuori dalle feritoie e fare un cenno di pace. La “terra di nessuno” diventò spazio di pace. Fu così stabilita tra britannici e tedeschi una tregua che sarebbe dovuta durare per tutta la giornata del 25 dicembre. I tedeschi portavano stampata sui loro cinturoni la scrittta Gott mit uns -Dio è con noi- ma quella notte apparvero tutti cristiani e fratelli.

2 Immagini tratte dagli archivi educational della rivista web centoannigrandeguerra.it

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I soldati di entrambe le fazioni uscirono allo scoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono insieme, si scambiarono doni e organizzarono persino delle estemporanee partite di calcio3.

Gli stessi soldati si resero conto di aver assistito a qualcosa di unico e lo scrissero alle famiglie e alle fidanzate. Qualcuna delle lettere fu intercettata dalla censura o qualche ufficiale troppo ligio fece scrupolosamente rapporto dei fatti ai ranghi superiori. Ma questa tregua non la ordinarono i comandi supremi che, di contro, la condannarono, accertandosi che mai più si ripetesse in futuro. Infatti, gli Stati Maggiori, fecero di tutto anche per nascondere l'accaduto e cancellarne tracce e memorie - recentemente però emerse dagli archivi militari di tutta Europa, sottoforma di lettere, diari e persino fotografie - che sancirono inequivocabilmente che la tregua, anche se non ufficiale, avvenne realmente nel periodo Natalizio del 1914. Ai soldati però spettava soltanto di obbedire, e poche ore dopo ritornarono alle loro trincee e impugnarono nuovamente le armi. Non vi fu spazio per altri sentimentalismi in una guerra anzitutto psicologica e dai vertiginosi numeri che portò con sé. L’episodio, rimasto per sempre nella storia come “la tregua di Natale del 1914″, fu una grande parentesi di umanità in quello che già allora era diventato il più crudele e sanguinoso conflitto nella storia dell’uomo. La grande trasformazione inaugurata dalla Prima guerra mondiale non poteva risparmiare il linguaggio. Contrariamente al luogo comune per il quale la guerra sarebbe l’opposto della comunicazione, il linguaggio permea l’intera esperienza bellica dal momento in cui la guerra deve essere legittimata, al momento in cui, giorno per giorno, deve essere raccontata, fino al “dopo” in cui sarà ricordata (tanto nelle memorie individuali quanto nella memoria collettiva). Non solo: contrariamente all’idea che il linguaggio della guerra e quello della pace restino almeno irriducibili l’uno all’altro, proprio il trauma della Prima guerra mondiale ha inaugurato un processo di progressiva confusione o persino ibridazione tra i due linguaggi – retoriche della pace in tempo di guerra, retoriche della guerra in tempo di pace, retoriche stesse dell’indistinzione fra pace e guerra (“guerra fredda”, “guerra infinita”, “guerra globale”). Il Natale 1914 è solo una prima testimonianza, sebbene di altissimo valore simbolico, di questo intreccio destinato a permeare tutto l’ultimo secolo.

3 Dalle lettere dei soldati è emersa questa curiosa partita di calcio che una catena di supermercati britannica, Sainsbury’s, in collaborazione con la Royal British Legion, ha sfruttato per rendere omaggio ai cento anni dal primo natale di guerra con uno spot emozionale (http://www.theguardian.com/media/2014/nov/13/sainsburys-christmas-advert-recreates-first-world-war-truce); anche l’organizzazione sportiva Uefa ha rimarcato questa estemporaneità dalla guerra con una serie di iniziative online (http://it.uefa.com/uefachampionsleague/video/videoid=2196383.html). A Liverpool è stata inaugurata, il 15 dicembre 2014, una statua che commemora quell’episodio (http://www.bbc.com/news/uk-england-merseyside-30479608)

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L’ANALISI

Quali effetti propagandistici ebbe l’arrivo del Natale durante una guerra di così

ampia portata? Natale, nonostante tutto. Così titola la sua riflessione M. Panarari in merito alla tregua del Natale che si andava verificando quell’anno. Alla famosa frase del pontefice Benedetto XV, quella de “l’inutile strage” che si andava via via affermando sui fronti di guerra fanno eco due differenti prese di posizione. Da una parte la propaganda bellica ha rinserrato le fila, sperando che “passasse la nottata” natalizia per tornare a far tuonare i cannoni. Ma dall’altra, la contropropaganda ne è uscita vincitrice. Il New York Times, in data 30 dicembre 1914, esce con un’edizione che, raccontando i fatti accaduti lungo il fronte occidentale, svilisce e in qualche modo zittisce, l’eco dei cannoni. Quello stesso giornale che si incamminerà, grazie alla sua diffusione, verso una grande trasformazione su scala globale, partendo proprio dalle corrispondenze di guerra sul territorio europeo.

Cosa scrissero poeti e letterati nelle condizioni emotive dell’Avvento cristiano? Pascoli, “la notte di Natale”, 1911. Il poeta romagnolo anticipò di qualche anno, ma sempre in clima di guerra, la riflessione poetica sul Natale. Durante gli anni delle guerre coloniali (preludio alle difficoltose relazioni internazionali e agli scricchiolii delle alleanze) dedicò ai marinai e ai soldati in Tripolitania questa poesia e ne propose un’interpretazione univoca: il soldato lontano da casa è un martire in croce che però trova riparo emotivo tra le palme e gli ulivi nordafricani, reali simboli evangelici. La guerra è espressa in termini epici e la realtà della morte viene in un primo momento rimossa per poi diventare, appunto, martirio. Comincia così una nuova trasformazione della Letteratura, che trasforma nel mito l’esperienza della guerra. Nel 1914, a Natale, saranno gli stessi soldati a rendere epica quella tregua di cui stiamo discutendo: “Un armistizio chiesto dal nemico per seppellire i morti fu da noi accordato”. E’ un bollettino tedesco a riportare queste parole, il riconoscimento di una tregua da parte dei comandi superiori, che l’”Illustrazione Italiana” riporta in quei giorni di fine dicembre. E sempre sulla stessa rivista appare un'altra lettura che rende l’idea della dinamica di formazione del significato degli eventi. P. Lombroso racconta l’episodio di un capitano francese che torna al focolare domestico. Lo fa portando con sé la tradizione del rito, la cultura patriarcale, l’amore per la casa, rimuovendo per due giorni, l’essenza cruda della guerra. Fanno da contraltare a queste interpretazioni univoche altre letterature, che S. Ballerio, riporta nella sua analisi sottolineandone l’ambivalenza dei sentimenti descritti nell’autobiografia di Bairnsfather e in un racconto di Graves. Qui sarà il lettore a dover interpretare gli entusiasmi suscitati da un’ipotetica pace che si scontra con la volontà di guerreggiare e portare a termine la guerra.

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Cosa videro in quel Natale del 1914 gli intellettuali che discorrevano sui temi di

pace e guerra? Lo spirito della guerra presente e le condizioni di pace per l’Europa futura. Nel recente film Toneranno i prati, 2014, il regista Ermanno Olmi sottolinea il periodo natalizio affidando ad un soldato questa frase: “La tregua di Natale per noi non è altro che un lento proseguire della guerra”. Una nota che sottolinea le contraddizioni della società, capace di nascondersi nel rito religioso creando ambiguità tra la parola e il fatto. Come il regista oggi, cento anni fa fu il giornale del Partito Socialista, L’Avanti, a presentare il Natale 1914, evidenziando questa contraddizione fra leggenda e realtà, con un editoriale antimilitarista. In occasione del primo Natale s’impantana, come esprime Erica Grossi nella sua scheda-evento, la distinzione tra vita civile e vita militare al fronte, e allo stesso tempo vien meno la distinzione tra combattenti e civili. Una confusione di ruoli che porta pian piano a comprendere il concetto di guerra totale, impensabile a pochi giorni e durante, il Natale. Ed anche qui è evidente il nascere di un’altra trasformazione, più moderna, legata alle condizioni materiali, alle strategie politiche, alla percezione e alla rappresentazione collettiva dell’ordine naturale del mondo: “dove alla guerra succede una pace e a una pace, una guerra ancora”. L’immagine della Sacra famiglia prende vita in una visione laica degli eventi: il santuario diventa un bivacco, o un ospedale; la madre e il bambino sono violati dalla furia degli eventi stessi e il padre è esiliato, se non già cadavere, sul fronte di guerra. Un presepe distrutto, in cui i pezzi diventano macerie calpestate da norme emanate dalle nazioni, affinché non si ripetano episodi di fraternizzazione tra avversari.

Come si comportò la grande economia internazionale in quell’inverno del 1914? La fine dell’età dell’oro. Anche l’economia risente della guerra e subisce una grande trasformazione destinata a durare trent’anni: saranno infatti gli accordi di Bretton Woods, del 1944, a porre fine ad una trasformazione iniziata nell’estate del 1914 e culminata nella Grande Depressione del ’29. C’è un prima e c’è un dopo. Prima c’è la lunga ed aurea dipendenza dall’equilibrio creato dalla sterlina britannica. Un prima molto lungo, iniziato dalla caduta napoleonica fino all’internazionalizzazione delle monete e alla convertibilità dei loro scambi con l’oro. Dopo c’è il crollo di Wall Street, i totalitarismi e un’altra guerra mondiale che porteranno alla stabilità economica mondiale di nuovo dipendente da un nuovo bilanciere, stavolta sostenuto dal dollaro. In mezzo c’è una frattura enorme, una ferita che si forma nell’estate del 1914 e che appare chiara, profonda e sanguinante intorno al Natale 1914: è in fatti l’”Illustrazione Italiana” ad aprire un dibattito che avrebbe rischiato di far scivolare l’economia sotto il peso dei fatti ingombranti del conflitto. E. Belloni trova in un’affermazione di Bachi, l’esatta definizione della fine di un’epoca: proprio in quei giorni del 1914 “… era scomparsa l’economia internazionale: quel meccanismo meraviglioso e delicatissimo […] forgiato per la pace e, come tale, “al primo rumore delle armi” era andato in frantumi. …” Se ne accorgeranno pure gli italiani, quando con un Decreto Regio emanato il 16 dicembre di quell’anno, si troveranno di fronte al “primo prestito di guerra”. Anche l’Italia, ancora neutrale, precipitava dentro la ferita della Grande guerra.