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IRS89_SPOSA D'AUTUNNO

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SPOSA D'AUTUNNO C ATHERINE A RCHER Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Questo volume è stato stampato nel settembre 2011 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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CATHERINE ARCHER

SPOSA D'AUTUNNO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Autumn's Bride

Harlequin Historical © 2001 Catherine J. Archibald

Traduzione di Pier Paolo Rinaldi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici novembre 2002

Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori ottobre 2011

Questo volume è stato stampato nel settembre 2011

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660

Periodico mensile n. 89 del 12/10/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/03/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Inghilterra, 1472 Annaliese Stanhope lanciò uno sguardo cauto intorno a sé mentre spingeva Hinge, il pigro castrone di suo padre, ad accelerare l'andatura. Sapeva che non avreb-be dovuto trattenersi così a lungo dalla vedova Swift, ma l'anziana donna era sola e amava tanto che legges-se per lei... Tornò a scrutare la foresta tenebrosa che la circon-dava. Splendida alla luce del giorno, di notte si faceva cupa e minacciosa. Ma non era tanto la foresta in sé a metterla a disagio quanto la minaccia rappresentata da chi vi poteva incontrare. Il suo cane, Max, sembrava condividere gli stessi ti-mori, perché fece un verso basso e gutturale. Annalie-se si disse che questo avrebbe dovuto rassicurarla, vi-sto che le ricordava la sua vigile e protettiva presenza. Un'altra parte della sua mente, però, le diceva che un cane non sarebbe bastato a difenderla dalle belve che infestavano la foresta. Belve a due zampe, dotate di armi che assicuravano loro il dominio su uomini e animali. Lo sapeva, così come sapeva che il pericolo era rea-

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le, ma non era la sua sicurezza personale a preoccu-parla di più. Era il pensiero di ciò che suo padre a-vrebbe congetturato mentre aspettava di vederla torna-re. Dopo che aveva perso la moglie a causa dell'impre-vedibile brutalità di un uomo o di più uomini rimasti ancora impuniti, era più preoccupato che mai per la sua sicurezza e per la sua incolumità. Al ricordo di sua madre provò una fitta di dolore, che però si affrettò a scacciare. Non doveva pensarci in quel momento, doveva concentrarsi sul tornare a casa il più in fretta possibile. Suo padre era protettivo, ma Annaliese faceva fati-ca ad accettare simili restrizioni della sua libertà. O-diava vivere nella paura degli uomini che predavano la loro foresta e le strade solitarie. Uomini che faceva-no tremare di terrore gli abitanti di tutti i villaggi dei dintorni. Solo qualche giorno prima il vecchio John, che vi-veva dall'altra parte del villaggio, era partito per il mercato con il carro pieno dei frutti del suo raccolto. Aveva sperato di evitare quel genere di problemi par-tendo nelle ore che precedevano l'alba, visto che la maggior parte degli attacchi avvenivano di notte. E in-vece era stato assalito. Il suo carro, ciò che trasportava e persino l'asino gli erano stati requisiti da un gruppo di uomini a cavallo con il volto nascosto da una ma-schera. Un nuovo brontolio gutturale di Max, questa volta certamente un avvertimento, non fece che aumentare i suoi timori. Annaliese spronò senza indugio il cavallo e cercò di scorgere qualcosa nell'oscurità con il cuore che le bat-teva forte. Ma non vedeva né sentiva nulla. Max sede-

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va alle sue spalle e guardava davanti a lei, verso de-stra. Gli posò una mano tremante sulla grossa testa e si sforzò di intravedere qualcosa nell'oscurità ancora più fitta, là dove gli alberi rendevano tutto più buio. «Che c'è, Max?» gli disse, e la sua voce suonò come un mormorio roco. Un mormorio che tradiva l'apprensio-ne che cercava a fatica di ignorare. Il cane ringhiò e, prima che potesse fermarlo, balzò a terra. «Max, torna qui!» fece lei, tirando le redini. Ma questa volta Max, di solito molto obbediente, non le diede retta. Annusò il sottobosco stando sul ci-glio della strada e si voltò a guardarla. Un guaito fu la sua unica risposta. Lei si schiarì la voce. «Vieni» gli disse, più decisa. Il cane guaì di nuovo, in modo più lamentoso. Sem-brava combattuto tra il desiderio di obbedire alla sua padrona e ciò che lo aveva attirato lì. Annaliese guar-dò meglio, cercando di penetrare l'oscurità con lo sguardo. Finalmente vide la causa dello strano comporta-mento del suo cane. La forma immobile di un essere umano. Per un lungo momento la paura s'impossessò di An-naliese e lei rimase impietrita dove si trovava. Poi pre-se una decisione. Se quell'uomo, chiunque fosse, aves-se avuto intenzione di farle del male, di certo glielo a-vrebbe già fatto. Eppure non poté fare a meno di scendere dal carro con ogni cautela. Si avvicinò lentamente al grosso ca-ne, una sagoma scura nel buio. Max le venne incontro a metà strada e le leccò una guancia, meno turbato quando lei gli posò una mano sul dorso.

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«Chi è, Max? Chi hai trovato?» Max uggiolò di nuovo, tornando a voltarsi verso quel corpo quasi invisibile. Un corpo immobile, eppu-re Annaliese era ancora incerta sul da farsi. Max la guardò, come per incitarla. E Max era il suo più caro amico, si disse Annaliese, non doveva fare altro che fidarsi di lui. Max avrebbe fatto lo stesso per lei, e la seguiva ciecamente ovun-que andasse. «Devo dare un'occhiata?» Max sembrò aver capito perché, uggiolando di nuovo, tornò fra gli alberi a lato della strada. Annaliese lo seguì. Quando Max si fermò e abbassò la testa ad annusare, lei si chinò e cercò a tastoni nel buio la testa dell'uomo. Sentì la mano bagnarsi di un liquido vischioso. San-to cielo, era sangue senza alcun dubbio! Ritrasse la mano di scatto. Poi si disse che quel povero sventurato poteva esse-re stato vittima degli stessi uomini che avevano già ar-recato tanta sofferenza a Lundy. Colpire e fuggire era tipico del loro comportamento. Si fece forza e tese di nuovo la mano sulla testa e sulle spalle ampie e nude dell'uomo disteso. L'aria era fredda e di sicuro non gli avrebbe fatto bene. Certo, se fosse stato ancora vivo. Si affrettò a farlo rotolare sulla schiena, rendendosi conto della sua statura imponente. Dalla gola dell'uo-mo sfuggì un suono. Un suono basso, neppure un ge-mito, ma che bastò a provarle senza ombra di dubbio che lo sconosciuto era ancora in vita. Ma anche che era così debole da avere bisogno di aiuto immediato. Spostarlo era stato faticoso, si disse, e metterlo sul

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carro sarebbe stato difficile. Eppure che altro poteva fare? Andare a chiamare suo padre? No, avrebbe perso troppo tempo. Corse a prendere il carro. Max rimase accanto al-l'uomo privo di sensi e, quando la vide tornare alla guida del castrone, abbaiò felice. Annaliese fermò il carro accanto al punto in cui si trovava l'uomo, balzò a terra e, con un po' di fatica, riuscì ad appoggiarlo contro il fondo aperto del veico-lo. Poi vi salì. Come capendo ciò che lei stava tentan-do di fare, Max si unì ai suoi sforzi. Strinse con le sue potenti mascelle il tessuto della calzamaglia dell'uomo e tirò con tutte le sue forze. Annaliese tirò e sollevò al tempo stesso. La paura, insieme al timore che la vita di quell'uomo stesse sci-volando via col passare degli istanti, sembrò darle più forza di quella che avesse mai creduto di possedere. Proprio non poteva lasciarlo morire lì, sul bordo della strada! Il pensiero che potesse essere una vittima degli stessi uomini crudeli e senza cuore che avevano di-strutto la pace della sua famiglia la spinse ad andare a-vanti. Compiuta quell'impresa apparentemente impossibi-le, Annaliese balzò di nuovo a cassetta e scosse le re-dini, spronando il castrone. «Ora va', Hinge!» Anche il cavallo sembrò intuire la gravità di quel momento, perché si mise in moto con più brio del so-lito. Ma anche così le sembrò che fosse passata un'e-ternità, prima di riuscire a raggiungere l'entrata del cottage di pietra in cui aveva abitato per tutta la vita. Balzò a terra e corse alla porta. Questa si aprì di scatto. Suo padre apparve sulla soglia, la sua sagoma ampia e scura che risaltava contro il chiarore della

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stanza illuminata dalle candele. «Annaliese!» gridò con voce angosciata. «Dove sei stata? Stavo quasi im-pazzendo per...» «Vi prego, padre» gli rispose, interrompendolo. Il senso di colpa e il dispiacere per le preoccupazioni che gli aveva dato le stringevano il petto, ma la vita dell'uomo sul carro aveva la precedenza. «Max e io abbiamo trovato un uomo ferito nella foresta.» Suo padre s'immobilizzò, e su quel caro volto si di-segnarono sconcerto e confusione. «Un uomo ferito?» Annaliese gli prese una mano nella propria e lo ac-compagnò verso il carro. «Sì. Dobbiamo aiutarlo.» «Ma come...» «Possiamo solo fare supposizioni» gli rispose, ag-grottando la fronte. Il silenzio che seguì quelle parole fu pesante e penoso da sopportare. Suo padre stava certo pensando a tutto il dolore che il loro villaggio stava conoscendo, alla morte di sua moglie, al mo-mento in cui l'aveva trovata priva di vita... Annaliese sentì la zia Jane arrivare alle loro spalle. «Cosa...» cominciò a dire, sorpresa proprio come suo padre. «Max e io» provò a spiegarle Annaliese con tutta la pazienza che riuscì a trovare, indicando il carro con un cenno, «abbiamo trovato quell'uomo nel bosco. È feri-to, anche se non so quanto gravemente. Nel buio non si riusciva a capire. Tutto ciò che ho potuto fare è sta-to portarlo qui.» La zia Jane non aveva bisogno di altre spiegazioni. «Dobbiamo portarlo subito dentro ed esaminargli la ferita.» «Sì» rispose Annaliese, perché era proprio ciò che aveva desiderato fare sin dall'inizio.

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Suo padre si voltò, e alla luce che veniva dalla so-glia lei poté leggere la preoccupazione che gli incupi-va lo sguardo. «Per favore, Annaliese, va' a prendere un lume.» Si voltò per obbedirgli. Da un lato era un sollievo sapere che suo padre aveva preso in mano la situazio-ne. Dall'altro, invece, Annaliese credeva di essersela cavata piuttosto bene, nel portare quell'uomo fin lì. L'idea di essere mandata a prendere un lume mentre suo padre e zia Jane s'occupavano dello sconosciuto le fece provare una improvvisa voglia di ribellarsi. Ma si affrettò a scacciarla. Sapeva perché suo padre era così protettivo nei suoi confronti. Aveva imparato quale cupo destino poteva toccare le persone che ama-va. Quando tornò sulla soglia con una lanterna, suo pa-dre e zia Jane stavano già facendo scendere l'uomo dal carro. Si avvicinò loro per fare luce e li vide faticare sotto il peso del corpo che trasportavano. Li seguì, tenendo alta la lanterna e dando una trepi-da occhiata allo sconosciuto. La sua testa penzolava all'indietro, senza segno di vita. Il cuore le si strinse e la paura le fece trattenere il fiato. Non era riuscita a portarlo a casa in tempo? Poi notò un debole muoversi delle palpebre e si sforzò di riprendere a respirare. Tornò a guardarlo e il timore fu sostituito dalla pie-tà. Era coperto di fango e sangue. Il suo unico indu-mento era la calzamaglia, sporca e macchiata di san-gue come tutto il resto. Sangue che sembrava proveni-re non solo dalla sua nuca ma anche da una ferita al petto. Nei suoi capelli scuri erano impigliati aghi di pino e foglie. Il suo volto coperto da un inizio di barba era così sporco da impedirle di vedere bene i suoi li-

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neamenti. Sembrava giovane, ma non avrebbe saputo dargli un'età precisa. Poi, prima che avesse l'opportunità di guardarlo meglio, suo padre e la zia si rimisero in moto. Suo pa-dre era un mobiliere, dunque un uomo molto forte. A dire la verità, era l'uomo più forte che conoscesse, ep-pure sotto il peso dello sconosciuto sembrava vacilla-re. Anche la zia Jane era forte, come era dimostrato da tutto il lavoro che faceva lì al cottage, ma per evitare di lasciar cadere a terra i piedi dell'uomo doveva fati-care parecchio. Li guardò imboccare la stretta scala che portava al piano superiore, sentendosi inadeguata, ferma lì con la lanterna in mano. Ma a parte tenere il lume il più in al-to possibile, per il momento non c'era altro che potes-se fare. A un tratto domande senza risposta presero ad af-follarle la mente. Chi era quell'uomo? E da dove veni-va? Che cosa aveva portato quello sfortunato scono-sciuto fino ai bordi del loro piccolo villaggio? Era possibile che gli scagnozzi di Kramon fossero i re-sponsabili delle sue ferite, come sospettava? In cima alle scale suo padre si voltò verso la propria camera. Zia Jane lo fermò. «No, Joseph. Lo porteremo nella mia.» Suo padre annuì e si diresse verso la piccola stanza in cui dormiva sua cognata. Annaliese li seguì, illumi-nando i pochi mobili e il soffitto spiovente. Il pavi-mento di legno cigolò sotto il loro peso. Una volta che ebbero sistemato l'uomo sul letto, suo

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padre si voltò verso di lei e le prese la lanterna dalle mani. «Grazie, Annaliese, ora puoi andare, Jane si oc-cuperà di lui.» «Chi pensate che possa essere?» gli chiese, igno-rando quell'ordine velato. L'uomo si agitò, gemendo, e Annaliese si voltò a guardarlo, sperando che stesse riprendendo conoscen-za. Ma, delusa, non vide alcun segno di coscienza su quel volto sporco. Suo padre la prese per un braccio e la portò nello stretto corridoio, chiudendosi la porta alle spalle. «Verrà il momento per questa e altre domande, se e quando si riprenderà. Ora Jane deve badare alle ferite di quel poveretto, non dobbiamo farle perdere tempo.» Annaliese aggrottò la fronte. «Padre, io posso aiu-tarla! Sono io, quella che è riuscita a portarlo qui!» Suo padre scosse la testa. «E sei stata molto brava a farlo. Ma non ti lascerò badare a uno sconosciuto, An-naliese.» «Non sono una bambina, padre» ribatté lei, incu-pendosi. «Vi siete dimenticato che il mio diciottesimo compleanno è già passato da tempo?» «No, non l'ho dimenticato» le rispose con un sorriso rassicurante, «e so che non sei una bambina bensì ciò che di più caro io abbia al mondo. Ma finché non sa-premo qualcosa di più sul conto di quel poveretto, do-vrai restargli lontana.» Annaliese non poteva portargli rancore, quando la guardava con quei suoi occhi tristi. Non ne avevano parlato, ma sapeva che entrambi stavano pensando al-la stessa cosa. A sua madre e al modo terribile in cui era morta. Proprio come facevano ogni giorno da quel tragico evento.

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Non poteva insistere. Almeno per il momento, ag-giunse fra sé. Suo padre annuì, sollevato nel vederla obbedire senza altre discussioni. Erano vissuti bene, lì, lei e i suoi genitori. E zia Ja-ne, dopo che le era morto il marito. Suo padre era un mobiliere molto abile e rinomato, e malgrado non a-masse vantarsene, la sua reputazione negli anni non a-veva fatto che crescere. La sua modestia era solo una delle sue tante qualità. «Non c'era nessun segno che potesse lasciar capire cos'è accaduto?» le chiese ancora, aggrottando la fron-te. «O chi ne sia il responsabile?» Annaliese scosse la testa. «No, non che io potessi vedere. La notte è molto scura. Forse sarà possibile con la luce del giorno.» Lo vide fare una smorfia. «Domattina andrò a vede-re se riesco a scoprire qualche traccia, anche se non so a cosa ci potrà servire.» Dal tono della sua voce, An-naliese poteva capire quanto fosse preoccupato e ama-reggiato. «Possiamo solo immaginare chi sia il re-sponsabile. Quest'uomo potrebbe essere un'altra vitti-ma dei banditi che infestano la nostra zona. E se il po-veretto è stato attaccato da loro, temo che non si potrà fare molto per aiutarlo.» Strinse le labbra, scuro in volto. «Ah, come vorrei che si potesse rovesciare que-sto stato di cose! Ma in quest'angolo d'Inghilterra non c'è giustizia né fine alle angherie che dobbiamo sop-portare per tener piene le tasche del Barone di Kramon e dei suoi protetti.» Annaliese non seppe cosa rispondere. Si voltò, mentre sua zia usciva dalla stanza, e si sforzò di mettere da parte il dolore che provava nel di-

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scutere di quell'argomento. Zia Jane sospirò. «La ferita al petto non è profonda, ma si è infettata. Quella alla testa si è gonfiata in un modo che mi pre-occupa. Quel povero ragazzo deve essere rimasto là disteso piuttosto a lungo, prima che tu lo trovassi.» «Con cosa pensi che sia stato ferito?» chiese suo padre. La zia si strinse nelle spalle. «La ferita al capo è stata provocata da un oggetto pesante. Quella al petto, invece, da un lungo coltello. Un coltello che ha man-cato il cuore di poco.» Suo padre aggrottò la fronte. «Quindi è stato aggre-dito. E da qualcuno che aveva l'intenzione di uccide-re.» «Ma per fortuna» aggiunse Annaliese, «sono passa-ta da quelle parti. E non sarebbe accaduto, se non fossi partita in ritardo dal cottage della vedova Swift, per-ché altrimenti non avrei preso quella strada.» «E non dovrai farlo mai più, altrimenti ti proibirò di uscire da casa» aggiunse suo padre. Annaliese sapeva a cosa fossero dovute quelle parole dure. Poteva esse-re lei, quella stesa nel letto, ferita e priva di conoscen-za. Zia Jane sospirò. «Hai ragione a parlare così, Jo-seph. Anche se, grazie al cielo, Annaliese è passata di là. Perché altrimenti quell'uomo sarebbe potuto essere morto, domattina. Una vera perdita, soprattutto perché credo che lo sconosciuto non conti neppure trenta pri-mavere.» Aggrottò la fronte, pensosa. «Anche se è quasi nudo e senza soldi, è sano e ben nutrito e questo può far sì che si riprenda. Di certo non è un mendican-te.» Annaliese sentì crescere la sua curiosità sul conto

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dell'uomo che aveva salvato. Lo aveva salvato e que-sto glielo faceva sentire, in qualche modo, suo. Si scoprì a fare la domanda di cui tanto temeva la risposta. «Sopravvivrà?» La zia scosse la testa. «Questo non lo so, solo il tempo potrà dirlo. Ah, se solo riprendesse conoscenza, almeno potremmo chiedergli chi è e da dove viene! Qualcosa mi dice che ha delle persone care, da qual-che parte, che si preoccupano per la sua assenza.» Annaliese si passò le mani sulle braccia, come per confortarsi. Poteva solo immaginare quanto sarebbe stata preoccupata se suo padre fosse sparito senza una spiegazione. All'improvviso si scoprì a dirsi che l'uomo ferito non doveva morire. Se non per se stesso, almeno per il bene di chi poteva aspettarlo a casa. E questo non fece che accrescere la sua curiosità sul conto dello sconosciuto. Del suo sconosciuto. Annaliese si fermò davanti alla porta dietro la quale si trovava l'uomo che aveva salvato. Tese l'orecchio, in ascolto. Non udì alcun suono, a parte quelli che ve-nivano dal laboratorio sul retro della casa, i rumori fatti da suo padre e dall'apprendista, Walter, al lavoro. Se tutto fosse andato come al solito, suo padre non sa-rebbe rientrato in casa fino all'ora di pranzo. Zia Jane era andata a fare compere al villaggio e sa-rebbe rimasta assente almeno per un'ora. Era trascorso un giorno, e a causa della costante sorveglianza di suo padre non era riuscita a posare lo sguardo sul loro inaspettato ospite. Di lui sapeva poco, oltre al fatto che la sua febbre non era scesa, che non aveva ripreso conoscenza, e che la zia Jane lo aveva

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dichiarato più attraente di quanto lo stato in cui lo ave-vano trovato avrebbe lasciato supporre. Quest'ultimo commento era riuscito a dare un motivo in più alla sua curiosità nei confronti dell'uomo che aveva salvato. Stava quasi diventando matta. La dichiarazione del-la zia e i suoi continui sospiri erano troppo da soppor-tare. Annaliese era decisa a vedere con i suoi occhi. E, con la zia fuori di casa, ne aveva finalmente l'opportu-nità. Tornò a voltarsi verso la porta, mordendosi le lab-bra. La zia le aveva detto di restare in ascolto mentre lei usciva a comprare gli ingredienti per preparare un brodo nutriente al loro ospite. Di certo, si disse Anna-liese, poteva fare di meglio che restare a portata d'o-rechio. Avrebbe controllato di persona. Sarebbe en-trata solo per un momento. Lentamente girò la maniglia. La porta si aprì sui cardini ben oliati. In silenzio Annaliese scivolò nella stanzetta. Il sole del pomeriggio filtrava dalla finestra a illuminare le assi ben lucidate del pavimento. La luce era sufficien-te a lasciarle vedere la lunga forma maschile sotto la coperta. L'uomo era immobile. Che l'inferno si prendesse Kramon e i suoi, se erano implicati in quella faccenda! Annaliese si sforzò di allontanare quel pensiero. Era lì per dare un'occhiata allo sconosciuto, dopo tut-to. Si avvicinò con cautela. L'unico suono era il respi-ro dell'uomo, debole e irregolare. Il poveretto, si disse, doveva essere ancora in preda alla febbre che tanto preoccupava zia Jane, si disse spostandosi verso i pie-di del letto.

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Chaterine Archer Sposa d'autunno

Deborah Hale Una inutile scommessa

Inghilterra, 1472 - Quando soccorre un forestiero rimasto vit-tima di un'imboscata, Annaliese non immagina che da quel momento la sua vita cambierà. Al villaggio spadroneggia Kra-mon, un crudele barone i cui crimini dovrebbero essere sma-scherati da un uomo rude e coraggioso, e lo sconosciuto che lei ha salvato sembra troppo raffinato e aristocratico per po-tersene occupare! In effetti, come Annaliese scopre più tardi, si tratta del fratello minore di Lord Brackenmoore, e lei ha ogni ragione per temere la nobiltà. Come farà il giovane a convince-re quella fanciulla meravigliosa che il suo è vero amore?

Inghilterra, 1812 - Profondamente convinta che sia l'educa-zione e non la nascita a produrre un vero gentiluomo, Leonora Freemantle si impegna in un'originale scommessa con lo zio: in tre mesi di lezioni trasformerà il rude soldato Morse Archer in un perfetto gentiluomo in grado di incantare la buona socie-tà di Bath. Se vincerà la scommessa, otterrà i fondi per aprire una scuola per giovinette, altrimenti si rassegnerà a sposare l'uomo che lo zio sceglierà per lei. Le sue lezioni, però, avran-no un esito imprevedibile e assolutamente romantico...

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Jacqueline Navin Cuore vichingo

Elizabeth Rolls Partita a quattro

Inghilterra, 1185 - 1191 - Perseguitata dal ricordo della tragica morte della madre e oppressa dalla rigida educazione che il crudele patrigno le ha impartito, Rosamund Clavier ha terrore del matrimonio e degli uomini ed è determinata a sottrarsi al dovere di sposare il potente e attempato barone che il patrigno ha scelto per lei. Ma il destino le fa incontrare Agravar, un prode e generoso guerriero di origine vichinga, che la salverà dai suoi persecutori, dalle sue paure e da se stessa. E che le fa-rà conoscere la gioia di amare e di essere amata.

Inghilterra, 1816 - Fare da chaperon alla cugina Milly affinché la ragazza abbia modo di conoscere meglio il futuro sposo, è per Tilda un'impresa più ardua del previsto. Quando infatti ar-riva alla lussuosa residenza del Duca di St Ormond, scopre che lui è Crispin Malvern, l'uomo di cui si era follemente innamo-rata sette anni prima e che l'aveva fatta soffrire. Rimasta vedo-va di recente, Tilda apprezza l'indipendenza che il nuovo sta-tus le concede e così, quando tra lei e Cris torna a vibrare una certa attrazione, cerca in ogni modo di favorire la relazione tra il gentiluomo e la cugina, che però nel frattempo...

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