52
Istituto Superiore Formazione Insegnanti ISFIY di Milano corso 2004/2008 di Yoga Titolo della tesi Relatore Candidato CARLO CHESSA DORALICE LUCCHINA LO YOGA E LA PERCEZIONE DEL CORPO

Istituto Superiore di Yoga Formazione Insegnanti Chessa - Percezione del corpo... · Lowen riprende l'argomento in varie sue pubblicazioni. Vi dedica un testo, dal titolo “Il narcisismo”,

  • Upload
    leliem

  • View
    219

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Istituto SuperioreFormazione Insegnanti

ISFIY di Milanocorso 2004/2008

di Yoga

Titolo della tesi

RelatoreCandidato

CARLO CHESSA DORALICE LUCCHINA

LO YOGA E LA PERCEZIONE DEL CORPO

1

indice:

Argomenti: paginaPrefazione 5Gli Yama e Niyama 12Il Krya Yoga 19Le purificazioni 27Il Sankalpa e lo Yoga Nidra 37La pratica proposta agli altri 43Bibliografia 50

2

3

PREFAZIONEIl 21 aprile del 2006 ho fumato la mia ultima sigaretta. Prima ne fumavo una ventina al giorno e, da quel giorno, più nessuna. Si è trattato dell'ennesimo tentativo ma fino ad allora non avevo ottenuto risultati cosìduraturi. Premesso che ci pensavo da molto tempo, che passata la quarantina ho modificato le mieabitudini e che ho nuove aspettative (non mi soffermo a sottolineare che, la mia, è un'etàdi bilanci: cerco di guardare al passato e mi interrogo sul futuro), riconduco, un po'grossolanamente, la spinta decisiva a due episodi legati ad attività, complementari fra loro,che hanno fortemente caratterizzato i miei ultimi tempi: le attività che riguardano il mioruolo di allievo all'Isfiy e quello di insegnante di yoga.Riporto gli episodi specifici che, anticipo, sono fatti minimi, senza un particolare significatodi per sé. In veste di allievo dell'Isfiy, cito una lezione di Doralice, durante la quale lei sconsigliavavivamente ai fumatori di dedicarsi alla pratica del pranayama in quanto, così facendo, letossine del tabacco si sarebbero insediate, sempre più profondamente e irrimediabilmente,negli alveoli polmonari. Siccome mi dedico al pranayama da poco, mi piace e mi sembra di poter toccare conmano i benefici (condizione fondamentale perché, dello yoga, una sua particolarità miappassioni), l'associazione del pranayama ad una pratica pericolosa mi ha parecchioinfastidito. In qualità di insegnante, capitò invece che , parlando con i corsisti, dissi un giorno che eroun fumatore e che, proprio, non riuscivo a smettere di fumare. Jenny, una corsista, in tonosecco, mi fece notare che smettere di fumare era possibile e che io, secondo lei, trovavodelle scuse per non voler rinunciare al fumo. Avvertii l'incoerenza e l'inadeguatezza dellamia asserzione in contrapposizione al ruolo che stavo rivestendo.

La tecnica è semplice e non c'è molto da dire: ci si astiene dal fumare e si cerca ditamponare l'ansia. I benefici sono molteplici. Primi fra tutti: maggiore lucidità mentale e maggiore forzaintellettuale nell'affrontare le cose di tutti i giorni. Lo svantaggio: tendo ad ingrassare e a poco valgono i miei tentativi di frenare questatendenza. Ciò avviene secondo me per due motivi: un po' per conseguenza del metabolismo checambia, ma soprattutto per la cattiva gestione dell'ansia che mi spinge ad ingurgitare piùcibo di prima.Su questo ultimo aspetto mi interrogo molto.

Conscio del fatto che affrancarsi dal tabagismo sia un risultatoeccezionale, non posso fare a meno di considerare, mutuando un concetto basedell'omeopatia (la quale scinde chiaramente ciò che è causa da ciò che è effetto) cheforse mi sono sforzato più di curare l'effetto e meno la causa. E questa, viva e attiva

4

dentro me, continua a generare conseguenze apparentemente diverse nellemanifestazioni. In realtà è facile trovare un filo conduttore che lega questi effetti: fumare o mangiaretroppo, per lunghi periodi, non curandosi degli sviluppi, significa innescare meccanismigravemente nocivi per il corpo e temo che forse, inconsciamente, dietro talicomportamenti, si nasconde autolesionismo.

Un'altra cosa che mi fa riflettere è constatare come queste tendenze non siano unproblema di pochi, ma una condizione fortemente diffusa. Per fare un esempio banalelegato all'alimentazione, è facile capire che, da cinquant'anni a questa parte, in Italia, idisturbi alimentari non sono più disturbi da carenza ma disturbi derivanti dall'eccesso dicibo (obesità, bulimia e anoressia non sono mai esistiti in una società povera); essi nondipendono direttamente dall'ambiente circostante ma dalla nostra fragilità come specie,derivante dalla consapevolezza della nostra 'finitudine', fragilità che in certi periodi -durecondizioni di vita, lotta per la sopravvivenza, contesto di fede in valori trascendenti erassicuranti- è più mascherata, mentre oggi è più disvelata.

Prendo spunto da internet per fare un altro esempio: "... negli Stati Uniti aumentano coloro che pensano che il sonno sia un’inutile e costosa (intermini di mancato guadagno) perdita di tempo. L’industria farmaceutica, come semprequando si tratta di tendenze di consumo, ha fiutato l’affare ed è venuta subito incontro aipotenziali clienti lanciando sul mercato una pillola contro il sonno. Basata sul principioattivo del “modafinil” che in medicina si usa per curare i pazienti affetti da narcolessia, lapillola ha avuto in America un successo clamoroso, aumentando gli introiti per la casafarmaceutica dai 25 milioni di dollari del 1999 ai 575 milioni del 2005. Il perché lo hannospiegato i sociologi che chiamano queste pillole “lifestyle drugs”, sostanze che modificanolo stile di vita, (la più famosa di queste è il Viagra), molto ricercate da consumatori deipaesi occidentali, sempre alle prese con problemi di maggior tempo da dedicare al lavoro,alle relazioni, a qualsiasi altro impegno. Tanto che togliere ore al tempo dedicato al sonnoè parsa un’ottima idea, con buona pace dei medici che invano hanno affermato che è unapazzia ”.1 Non mi addentro nella questione dell'inquinamento ambientale e neanche sull'aspetto(poco) etico di non considerare i popoli che, grazie alla nostra propensione al consumo,vivono in condizioni di estrema povertà. E' però ovvio che ci deve essere qualchesassolino nell'ingranaggio perché, di sicuro, questo quadretto non è fatto di impeccabilearmonia.

Sempre da internet riporto ad esempio il riferimento a degli studi di psicologiasull'argomento: “... Nel suo ultimo libro “Affluenza, how to be Successfull and stay sane” (“Affluenza, comeavere successo restando sani”), il professore Oliver James indica una precisa tendenzadel mondo occidentale attraverso un neologismo “affluenza” (che in inglese non esiste ederiva dall’unione di due parole: “affluence”, abbondanza, opulenza e “influenza”, initaliano lo stesso significato). Per “Affluenza” James descrive una malattia contagiosa checolpisce soprattutto le classi alte e medie delle società industrializzate, «affette – scrive –dall’ossessione: di avere più soldi, case, macchine, televisori, un seno perfetto, un penepiù lungo», in generale prestazioni sempre più elevate. «Ci definiscono e ci definiamo perquanto guadagniamo - spiega James - e questo crea ossessioni da cui cerchiamo di

1

http://www.ilmeridiano.info/articolo.php?Rif=10834 , autore:Gianni Franchini, 26.04.2007

5

venire fuori attraverso alcol, droghe, violenza, psicofarmaci». Un cane che si morde lacoda...”.2 Se Il bisogno di evasione dalle nostre ossessioni crea le dipendenze, cosa assaifrequente, esse si trasformano velocemente in pericolose schiavitù; non faccio riferimentosolo alle forme di dipendenza maggiormente stigmatizzate dalla nostra cultura, maestendo questo concetto a tante altri aspetti facilmente identificabili: oltre ad alcool,droghe, psicofarmaci ecc., si può essere schiavi del gioco, dello shopping, del sesso, dellatelevisione, del caffè, del cibo, della lettura... la lista è interminabile e vale per molti di noi.

Non basta però individuare gli effetti di questi squilibri. Bisogna invece sforzarsi di capire lecause e tentare di proporre qualche soluzione. Cito ancora del materiale trovato sul web che mi ha aiutato a focalizzare l'argomento:riguarda il legame che può esserci tra lo yoga e la possibilità di dimagrire; si riferisce adun'indagine condotta dai ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center, incollaborazione con il National Cancer Institute statunitense. Ne riporto uno stralcio “... Essi hanno analizzato 15.500 uomini e donne sani di mezza età ai quali è stato chiestodi rispondere ad un dettagliato questionario riguardante la loro attività fisica e l’andamentodel loro peso corporeo tra i 45 e i 55 anni. Scopo dello studio: misurare l’impatto dellapratica dello yoga sul cambiamento di peso, isolandolo dall’influenza di altri fattori come ladieta e altri tipi di attività fisiche. Per pratica ‘regolare’ di yoga si è inteso un impegno diminimo 30 minuti una volta a settimana.È emerso che tra i 45 e i 55 anni la maggior parte delle persone ingrassa in media di 500grammi all’anno. Questa tendenza è dovuta al mancato adeguamento delle abitudinialimentari all’età: alla naturale diminuzione delle necessità energetiche dovrebbe infatticorrispondere una diminuzione dell’apporto calorico. “Gli uomini e le donne che a 45 anniavevano un peso normale e hanno continuato a praticare yoga regolarmente anche neldecennio preso in esame sono aumentate in media di 1,5 chili in meno durante il decenniorispetto a chi non ha praticato yoga”, spiega Alan R. Kristal, leader del team di ricercatori.Ma gli effetti più spettacolari ed inattesi dello yoga si sono avuti nelle persone sovrappeso:“Uomini e donne sovrappeso hanno perso grazie allo yoga circa 2,5 chili durante i 10 annipresi in esame, mentre tra coloro che non praticavano yoga si è registrato un aumento dipeso di 7 chilogrammi”, nota Kristal, professore di Epidemiologia alla University ofWashington School of Public Health....I ricercatori sospettano che la chiave non risieda tanto nell’attività fisica in sé quantonella aumentata consapevolezza del proprio corpo. “Durante una seduta molto vigorosa diyoga si possono bruciare abbastanza calorie da indurre una diminuzione del peso, ma lamaggior parte delle persone non pratica quel tipo di yoga”, spiega Kristal. “La miaesperienza di praticante yoga mi suggerisce che la causa sia l’aumento di auto-consapevolezza. Quando si mangia abbastanza da riempire lo stomaco, la maggioresensibilità ci fa sentire con chiarezza che è il momento di fermarci, e ci permette diriuscirci invece di ingozzarci...”. 3

Il tema della perdita di percezione del corpo (e delle possibili strade da percorrere per ilsuo “ritrovamento”) non è certo da poco dibattuto; tant'è che è stato diffusamentesviscerato nei decenni scorsi ed è ancora di grande attualità. Il rapido processo di industrializzazione fa certamente da sfondo a questo tipo di squilibrio.

2 http://www.ilmeridiano.info/articolo.php?Rif=10834, autore:Gianni Franchini, 26.04.20073http://www.beautys-magazine.com/alimentazione_diete/yoga_per_dimagrire.htm

25/08/08

6

Appartenere ad una civiltà dei consumi ci sradica dalla nostra essenza naturale. Se primadel '700 il contatto con la natura scandiva le fasi della nostra vita, ora a dettare il ritmosono le regole della produttività professionale.

Alexander Lowen, padre della Bioenergetica, ci sottopone delle chiavi di lettura moltointeressanti. Egli prende in esame quali possono essere le cause di tali disturbi del comportamento edevidenzia alcuni tratti di carattere socio-culturale: “...La perdita della percezione dell'identità ha radici nella situazione familiare. Educatosecondo criteri di successo, popolarità, sex appeal, snobismo intellettuale e culturale,status, sacrificio di sé e così via, l'individuo vede gli altri come immagini, invece diguardarli come persone. Circondato da immagini, si sente isolato. Dato che reagisce adimmagini, non si sente in rapporto con nessuno. Quando tenta di tradurre in realtà la suaimmagine, si sente frustrato e defraudato di soddisfazione emotiva. L'immagine è unaastrazione, un ideale, e un idolo che esige il sacrificio dei sentimenti personali. L'immagineè una concezione mentale che, sovrapposta all'essere fisico, riduce l'esistenza corporea aruolo sussidiario. Il corpo diventa uno strumento della volontà al servizio dell'immagine.L'individuo è alienato dalla realtà del suo corpo. Individui alienati creano unasocietà alienata...”.4Lowen riprende l'argomento in varie sue pubblicazioni.Vi dedica un testo, dal titolo “Il narcisismo”, nel quale dà una precisa definizione delfenomeno: “...I narcisisti sono assorbiti dalla propria immagine. In realtà non sono in grado didistinguere tra l'immagine di chi credono di essere e l'immagine di chi effettivamentesono... Ciò che accade è che il narcisista si identifica con l'immagine idealizzata...”.5 Rispetto alle cause, egli dà particolare risalto a quelle riconducibili alla sfera familiare. E' incontesti dove si proiettano troppe aspettative sul bambino, che il carattere narcisistaprende forma. Ma qui sono costretto ad arrestarmi: rischio di impantanarmi tra saperi cheesigono seria preparazione e precise conoscenze che purtroppo io non possiedo.Cito, però, quelle che lui individua come cause “sociali” perché, mi sembra, possono dareun interessante contributo alla trattazione: “...La crisi della struttura sociale, evidente nella disgregazione della vita familiare, nellamancanza di rispetto per l'autorità e nel crollo dei principi morali riconosciuti, abbatte iconfini, rimuove i limiti e conduce alla negazione dei sentimenti e alla perdita del senso disé. Al posto del sé ci si crea un'immagine per procurarsi una qualche identità. Nellacultura odierna, quest'immagine viene definita stile di vita. Ci viene detto che siamo liberidi crearci un nostro stile di vita, e dunque un'identità. Ovviamente ci possono essere tantistili di vita quante sono le immagini. Ma basare la propria identità su uno stile di vita nonequivale a confondere il manufatto con chi l'ha creato, la casa con chi ci abita, la facciatacon le emozioni e i sentimenti veri? Una casa senza nessuno che ci vive non è una casa,uno stile di vita senza un sé non è una persona...”.6

Ma ancor più a monte, è forte elemento di disturbo il sovraccarico di stimolazioni: “...L'eccesso di stimolazioni è una condizione generale nelle città del mondo occidentale.C'è troppo rumore, troppo movimento, troppa attività, troppe stimolazioni insolite... Paghiamo un prezzo per questo adattamento allo stress della vita moderna, perché siamocostretti ad erigere delle barriere per proteggerci dall'eccesso di stimolazioni, perfunzionare al ritmo di una macchina dobbiamo diventare noi stessi delle macchine...”7

4 Alexander Lowen, “Il tradimento del corpo”, Ed. Mediterranee, 1982, pag. 135 Alexander Lowen, “Il narcisismo”, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 1992, Pag. 176 Ibidem pag. 1797 Alexander Lowen, “Il narcisismo”, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 1992, pag. 154

7

Tra gli effetti che Lowen, in qualità di psicoterapeuta, riscontra nella casistica dei suoipazienti dal carattere narcisista, ne individua uno ricorrente: la negazione dei sentimenti. Egli a proposito scrive: “...Cosa significa non sentire? ... Tutti i nevrotici, compresi i narcisisti, utilizzano ilmeccanismo di anestetizzare alcune parti del corpo per reprimere i sentimenti. Perbloccare l'impulso di gridare si possono serrare le mascelle. Se si continua a farlo per untempo indefinito, le mascelle si bloccano in quella posizione e piangere diventaimpossibile. Si può reprimere la rabbia irrigidendo i muscoli della parte superiore dellaschiena e delle spalle con una tensione cronica. Anche i narcisisti usano un meccanismoanalogo, ma c'è un'altra più importante difesa tipica di questo disturbo: la negazione deisentimenti... tramite il blocco della funzione di percezione... La necessità di proiettare e mantenere un'immagine costringe a impedire che qualsiasisentimento contrario a essa raggiunga la coscienza. Il comportamento che potrebbecontraddire l'immagine viene razionalizzato secondo le regole di quest'ultima...”.8

E le regole che la cultura impone all'immagine, sono dettate dal bisogno di efficienza: “...Uno dei modi in cui la nostra cultura alimenta la personalità narcisistica è quello di daretroppa importanza alla vittoria. Uno slogan molto diffuso dice: vincere è la sola cosa checonta. Un atteggiamento del genere minimizza i valori umani e subordina i sentimenti deglialtri all'unico vero scopo, quello di vincere, di arrivare in vetta, di essere il numero uno. Mala dedizione a questo obiettivo richiede il sacrificio, la negazione dei sentimenti, perchénessun ostacolo deve intralciare il cammino verso il successo...Essere superiori vuol dire stare al di sopra - al di sopra del corpo e della sua “bassa”natura. Le energie della persona, il suo sé, sono nella testa più che nel corpo... “Sentirsi”speciali o superiori, pensarsi al di sopra del corpo, ripudiare o negare i propri sentimenti:ecco l'atteggiamento del carattere narcisistico...”.9

E' in questo magma, quindi, il fermento da cui vorrei partire per sviluppare la mia tesi finaledel corso dell'Isfiy. Focalizzando il tema centrale, vorrei prendere in esame la percezione del corpo e metterlain relazione con lo yoga nelle sue possibilità più disparate, Faccio questa scelta per due motivi molto pratici: il primo è che mi viene chiesto di trattareun argomento e quindi mi viene più facile sceglierne uno che mi permetta di partire dal miovissuto.Il secondo motivo è che spero, così facendo, di conservare la spinta a non fumare più(metto le mani avanti: almeno fino alla discussione di questi argomenti), di trovare quellache mi faccia perdere qualche chilo di troppo e, magari, di sperimentare una nuova formadi equilibrio che mi affranchi, anche poco, dall'ansia.

8 Ibidem pag.499 Ibidem pag. 51

8

9

Yama, Niyama.

Riprendendo i temi dibattuti nelle pagine precedenti, l'uomo contemporaneo vive con unasorta di torpore le proprie sensazioni fisiche; o meglio, il corpo cerca di inviare leinformazioni alla mente, ma quest'ultima tende ad escluderle dalle sue elaborazionimentali. In altre parole corpo e mente smettono di cooperare, si scindono, non si riconoscono in un“tutt'uno” e si genera una situazione di forte squilibrio. La mente ha la meglio sul corpo il quale è relegato a ruolo di involucro insensibile.Si tratta di un meccanismo di difesa; lo scopo è creare una barriera contro la sofferenzache può essere causata da qualche fattore specifico (molto spesso di natura familiare oambientale) oppure, più diffusamente, dall'incapacità socio-culturale di adattamento amodelli di vita della civiltà dei consumi, lontani dall'ideale del corpo. Le conseguenze sono nefaste: se siamo insensibili ai messaggi dei nostri organi di senso,non tarderemo a diventare insensibili anche ai nostri sentimenti (“...intesi come sensazioniintermedie tra lo psichico e il fisico nate in seguito a un stimolo sensoriale o aun’elaborazione mentale...”)10 che confonderemo con ciò che in realtà sono le nostreemozioni. E questo, come effetto a catena, comprometterà anche la nostra affettività,ovvero la capacità di provare sentimenti nei confronti degli altri. Ci parrà di vivere una vitavuota, isolata; la situazione ci farà provare dolore al quale reagiremo annullando un'altrafetta di noi e proseguiremo così, col gioco del cane che si morde la coda.Può essere una spinta ad invertire la tendenza il cercare di capire cosa c'è alla radice diquesto comportamento dannoso, ma un approccio puramente intellettuale non porteràlontani. Ho inserito Yama e Niyama in questo studio, e cercherò di argomentarlo via via, perché misembra abbiano la capacità di frenare la nostra tendenza alla frammentazione e alladispersione. Gli Yama ci metteranno sulla lunghezza d'onda delle altre persone, vissutenon più come “altre” ma come “la parte di noi” negli altri, e i Niyama ci aiuteranno asganciarci dalle nostre impressioni di inadeguatezza alla vita, sfrondando le molteplicidannifiche sovrastrutture della mente.

Yama e Niyama sono i primi due gradini di un percorso progressivo, ovvero le primetappe del “metodo” che Patanjali ci trasmette attraverso lo “Yoga Sutra (Aforismi sulloyoga)”. L'origine dell'autore non è certa e si colloca la sua opera tra l'800 a. C. e il 300 a. C. A lui si deve una delle più complete e prima, in ordine di tempo, opere scritte, interamentededicate allo yoga, sintesi di millenni di insegnamenti tramandati oralmente.Yama e Niyama sono indicazioni etiche, norme di comportamento le quali andrannoosservate nei confronti degli altri uomini (Yama) e nei confronti di noi stessi (Niyama).

Posto che i gradini sono complessivamente otto (Yama-disciplina, Niyama-autodisciplina,Asana-posizioni, Pranayama,-controllo del respiro, Pratyahara-ritiro dei sensi, Dharana-concentrazione, Dhyana-meditazione e Samadhi-contemplazione11; Yama e Niyama,

10Dizionario delle lingua italiana, De Mauro Paravia11confronta: Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, aforisma: 2,29

10

dovranno accompagnare costantemente la pratica dello yogin, per tutta la vita: ciòdimostra l'importanza di tali precetti. In realtà sarebbe sbagliato fare una classifica di importanza: tutto il “metodo” con le suetappe concorre al successo finale12. E ciò è in netto contrasto con chi crede che lo yoga siidentifichi unicamente con le posture, possibilmente mirabolanti e contorte; le quali,praticate isolatamente, non farebbero altro che alimentare l'autocompiacimento, e quindil'ego, del praticante, con la svantaggiosa conseguenza di allontanarlo dallo scopo finaledello yoga.

Il senso di tutto questo faticoso iter è far sì che il praticante raggiunga la condizione diimmobilità fisica e, soprattutto, mentale (cioè si realizzi ciò che Patanjali definisce comestato di “yoga”: l' arresto del vortice dei pensieri, in uno stato di purezza e perfettoequilibrio).13

In tale condizione, si vivrà da illuminati e sarà possibile discriminare ciò che è l'apparenzadall'esistenza nella sua vera sostanza.14

Nella quotidianità, invece, gli elementi di disturbo ci impediscono una chiara visione dellecose, tanto che si vive in uno stato di inganno paragonabile a ciò che si prova durante unincubo, quando si sperimenta una sensazione di sofferenza, di per sé illusoria quantoconcretamente dolorosa.15

Gli elementi inquinanti sono quindi le nostre afflizioni; essi possono essere distrutti,annientati, resi inoffensivi, seguendo il percorso tracciato da Patanjali, attraverso i suoigradini.16

Ciò che genera maggiori sofferenze è l'ignoranza; da qui, le altre afflizioni traggonoorigine17; essa è intesa come la nostra incapacità di vedere la vera natura delle cose.Questa falsa prospettiva nella visione si manifesta in vari modi: alcune cose ci possonosembrare infinite (concetti come il mare, per esempio, oppure i nostri sentimenti di amore,odio ecc) e non lo sono affatto (talvolta, paradosso estremo, neanche agli occhi dellanostra parte razionale).18

Altra forma di manifestazione dell'ignoranza sta nel vedere purezza in ciò che, invece, èimpuro (l'esempio classico è sentirci sedotti dal corpo altrui considerandolo come qualcosadi puro; si compie un vero e proprio processo di rimozione non considerando che anche ilcorpo più bello e attraente necessita, per esempio, di pratiche di pulizia continue, proprioin quanto è impuro). Oppure si confonde ciò che sembra renderci felici con ciò che invece ci provoca dolore.“...Ciò che si desidera, in quanto ritenuto fonte di felicità, lo si ottiene quasi sempre consacrificio, lo si conserva con apprensione e lo si perde soffrendo: se osserviamo il nostrorapporto con ciò che ci dovrebbe rendere felici, vediamo come si tratti invece di unadipendenza che, nelle diverse circostanze, è sempre causa di sofferenza...”19.

A proposito della sovrapposizione finito\infinito, riprendendo il tema di questo studio, miviene di pensare a tutte quelle abitudini dannose per il nostro fisico, come ad esempio il

12confronta: Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, aforisma: 2,2813Ibidem aforisma:1,2 14Ibidem aforisma: 2,2815Ibidem aforisma: 2,316Ibidem aforisma: 2,317Ibidem aforisma: 2,418Ibidem aforisma:2,519commento di Scarabelli-Vinti; Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, pag. 74

11

vizio di fumare, che vanno avanti nel tempo con l'incoscienza “sentimentale” di chi nonpensa che il proprio corpo sarà mai vulnerabile. Rispetto al puro\impuro mi rifaccio al tema che ho esposto nell'introduzione di questostudio, cioè al mito di Narciso che, innamorandosi, della propria immagine, “esce” dalproprio corpo e si venera dall'esterno, perdendo la consapevolezza dell'equilibrio (ovveroperdendo la capacità di sentirsi per quello che in realtà è), cioè perdendo ciò che glipermetterebbe di non affogare.Anche confondere la gioia col dolore, è un'afflizione che pesa su chi ha una scarsapercezione del corpo: nel suo caso, utilizzando il corpo come immagine, proietta le suesensazioni sugli spettatori (primo dei quali è la sua mente, che osserva dall'esterno),costretto così a vivere una vita che non è mai totale.

Gli Yama sono quindi indicati da Patanjali come il primo gradino del percorso verso laliberazione dalla sofferenza. Si possono così definire: “... Gli Yama (o astensioni, divieti) sviluppano l'auto dominio cheimplica la giustizia nelle relazioni umane...”20.Sono cinque (benché in altri testi se ne riportino dieci o dodici)21 e sono i seguenti: nonviolenza, verità, continenza, assenza di desiderio e assenza di avarizia. Anche se tutti concorrono a distoglierci da una visione materialistica della vita, a farciapprezzare di più gli altri e a sentirli parte di noi, cercare di conquistare alcuni Yama, più dialtri, credo ci avvicini maggiormente allo scopo di questo studio. Pertanto nella trattazioneche segue prenderò in esame solo i primi due.

Vinti e Scartabelli scrivono a proposito del primo Yama, la non violenza: “... Questoprecetto mira a purificare l'ego dal desiderio di prevalere sugli altri, ed è tanto importanteche gli altri quattro Yama si basano su di esso e hanno lo scopo di realizzarlo...”.22

Pensando alla non violenza, viene subito da considerare quanto sia difficile (se nonaddirittura impossibile), applicare questo precetto alla vita di tutti i giorni. Camminaresenza calpestare e uccidere formiche, per esempio, ci limiterebbe a tal punto che tutta lanostra vita sociale dovrebbe essere messa in discussione. Patanjali ci viene in aiuto:l'osservanza di questi precetti dovrà sempre tenere conto delle circostanze; ci sonosituazioni in cui l'inosservanza è inevitabile23.Ciò non toglie che gli ambiti di applicazione della non violenza siano numerosissimi. Sideve subito precisare che le violenze possibili non sono soltanto quelle chepresuppongono un' azione concreta, ma si può essere violenti anche con le parole e coipensieri. Quindi la non violenza è un atteggiamento che coinvolge non solo l'apparenza,l'esteriorità, ma anche l'intimità della persona; pertanto non prevede (solo) che si faccianocambiamenti eclatanti ma, piuttosto, un radicale adattamento del proprio modo di pensare.Non sentire il corpo, come dicevamo prima, significa conoscerlo “dallo specchio”, sentirlocome fosse “un altro”. Ciò spinge ad avere innumerevoli disattenzioni nei suoi confronti,sacrificando le sue esigenze e i suoi equilibri, per costruire, al suo posto, un'immagine chenon corrisponde all'essenza della persona. La nostra società ci offre mille esempi: il culturista che si inietta anabolizzanti peraumentare la massa muscolare ha un atteggiamento violento nei confronti del suo corpo.

20Cinzia Picchioni, “Le regole per la vita quotidiana”, Ed. Magnanelli. 2002, pag. 13

21Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 402

22commento di Scarabelli-Vinti; Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, pag. 9823confronta: Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, aforisma: 2,31

12

Viene da sé che essere insensibili al dolore che ci si cagiona, si traduce nell'inevitabilemodo di comportarsi con gli altri in maniera altrettanto violenta.Si può cominciare a osservare questo precetto, tentando di fare una vita sana,migliorando la propria dieta, stando all'aria aperta, non sacrificando le ore di sonno,facendo esercizio fisico, mettendo in moto, insomma, tutti quei meccanismi chegarantiscono maggiore equilibrio psico-fisico.

Il secondo yama, satya, cioè essere veritieri equivale a mettere in sintonia la parola con ipensieri e con le azioni. Un cattivo modo di comportarsi si traduce, sicuramente, nel dare di se stessi un'immaginefalsata, vicina a ciò che socialmente si ritiene più conveniente. Un buon modo di comportarsi, quindi, può consistere nel cercare la forza per mettersi unpo' a nudo, demolendo giorno dopo giorno le sovrastrutture che ci separano da chi ci staintorno. In altre parole, essere veritieri può significare abbattere le sofisticazioni, sentirsi sempliciuomini e, come tali, sentirsi uguali e vicini agli altri. Come percorso pratico, si potranno sostituire gli atteggiamenti o i pensieri di biasimo neiconfronti altrui, con la considerazione (non intellettuale o teorica, ma ricercata e verificata)che tutti i peggiori difetti umani sono presenti anche in noi stessi.

“... I Niyama (o discipline) riguardano l'osservanza del doveri religiosi, sviluppano lapurezza interiore; sono regole di condotta che si riferiscono alla disciplina individuale...”.24

Essi sono: la purezza, l'appagamento, l'ascesi, lo studio di sé, l'abbandono all'ideale. Siriferiscono, a differenza degli Yama che vanno perseguiti assieme ed in ogni momentodella vita, a momenti determinati.

La purezza è da intendersi in senso esteriore ed interiore: “...La purezza esteriore consistenel lavarsi, nel nutrirsi di alimenti puri, nell'osservare tutte le regole tipiche di una vitaequilibrata, nell'agire senza egoismo... La purezza interiore è frutto dei beni spirituali, chesono il controllo dei sensi, l'assenza di paura, la contentezza dello spirito, l'elemosina, isacrifici rituali, la lettura delle sacre scritture, la penitenza, la semplicità, la dolcezza,l'amore per la verità, la sopportazione, il perdono, l'astenersi da ogni affermazione dell'io,da ogni possesso, attaccamento, inimicizia, invidia, cupidigia, sensualità, collera eagitazione...” 25.L'appagamento, l'accontentarsi di ciò che si ha, cercando di semplificare il proprio stile divita, significa sentirsi soddisfatti della vita anche quando si convive con situazionisfavorevoli.“...L'ascesi si fonda sulla capacità di sopportare le condizioni estreme, come la fame e lasete, il caldo e il freddo, lo stare a lungo in piedi o seduti ecc. comprende anchel'osservanza del silenzio e la pratica del digiuno nella misura in cui sono necessari allapropria purificazione...”.26

Lo studio di sé sta a significare lo studio e l'analisi di se stessi, lo studio dei testi sacri e laripetizione del mantra OM.L'abbandono all'ideale invita a lasciarsi andare, a non sentirsi al centro dell'universo, amettere in secondo piano le proprie aspettative, ma riconoscere che esiste un disegno piùgrande di noi stessi del quale si è parte integrante.

24Cinzia Picchioni, “Le regole per la vita quotidiana”, Ed. Magnanelli. 2002, pag. 1325Stefano Piano “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 23126commento di Scarabelli-Vinti; Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, pag. 100

13

Tutti i Niyama concorrono a migliorare la percezione del corpo: la purezza esteriore (di cuitratterò in seguito) significa prendersi cura del corpo, sentirne le esigenze edassecondarle. L'atteggiamento di purezza interiore, come descritto da Piano27 è,assolutamente, una forza contraria alla tendenza a mistificare la realtà.L'ascesi, la capacità di sopportare le sensazioni spiacevoli o dolorose (prendiamo adesempio il digiuno), non è il risultato di un'auto-anestesia, ma è il frutto di chi sperimentasulla propria pelle e riesce a esercitare il controllo della mente su sensazioni che prova“realmente”.Lo studio di sé è fondamentale per migliorare la percezione del proprio corpo; puòconsistere semplicemente nell'osservarsi. Infine, abbandonarsi all'ideale sarà il giustoatteggiamento di chi non si dà un'importanza ingiustificata, ma si colloca con pertinenzanel mondo come piccola parte di esso.

Patanjali prosegue con un aforisma nel quale ci suggerisce una condotta molto efficace:“Quando si è tormentati da inclinazioni contrarie si sviluppino i loro opposti”28.Le inclinazioni contrarie sono l'opposto di Yama e Niyama: violenza, falsità, lussuria,invidia, avarizia, impurità ecc. “...Il praticante tormentato da queste inclinazioni negativecome da una febbre ardente, deve coltivare pensieri che vi si oppongono come unantidoto, avendo natura contraria a simili veleni della mente; se non lo facesse, questiimpulsi incontrollati lo spingerebbero verso la violenza e altre azioni malvagie...”.29

. Patanjali aggiunge, inoltre, che si avrebbero effetti negativi anche se a coltivare taliinclinazioni fossero gli altri, senza fare nulla per ostacolare tali tendenze.

27Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 313

28confronta: Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, aforisma: 2,3329commento di Scarabelli-Vinti; Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, pag. 101

14

15

Il krya yoga

Ne “L'enciclopedia dello yoga” di Stefano Piano, alla voce Kriya yoga si legge “...Diversimaestri moderni si sono richiamati a questa forma di yoga... Nell'esposizione degli 'Yogapratici' fatta da Vivekananda, la kriya, intesa come adempimento dei propri doveri ritualiattraverso l'esecuzione dei cinque sacrifici quotidiani (studio delle scritture, adorazione...)è uno degli strumenti del bhakti yoga..30.”.Leggendo il testo “Kundalini Tantra” di Swami Satyananda Saraswati, quando egli tratta ilkriya yoga, ne percepisco invece significati ed applicazioni differenti; in ciò colgo ancheaspetti che ritengo possano proficuamente applicarsi al presente studio.Questa forma di yoga, nata dalla tradizione tantrica, si prefigge di risvegliare i chakra(centri energetici), purificare le nadi (i condotti dell’energia) e, infine, risvegliare kundalinishakti (l’energia evolutiva) in modo graduale; il fine è consentire al praticante di gestirequesti difficile effetti, in maniera dolce e senza rischi31.

Tra le prime cose che l’autore sottolinea, trovo con sorpresa che ve n'è unaparticolarmente adatta a contrastare le difficoltà di persone troppo legate alla sferamentale e quindi, squilibrate nel rapporto col corpo. Egli insiste nel dire che non è fruttuosopreoccuparsi troppo della mente e della sua predisposizione a perdere la concentrazione.“... Quando ci si apre ad una religione, si iniziano alcune pratiche spirituali o si va da unguru, la prima cosa che ci viene detta è di controllare la mente. ''Dovreste pensare inquesto modo, non pensate in questo modo, dovreste agire così, non fate quello, questo èbene, quello è male, quello è peccato, non commettete peccati” e così via...”32. Il risultatosarà ancora più destabilizzante. Nella migliore delle ipotesi, lo scoramento, derivante dalprobabile insuccesso, ci allontanerà lentamente dalla strada che stiamo cercando dipercorrere; ne consegue che dovremo fare i conti con il sentimento di sconfitta. Nellapeggiore delle ipotesi, soprattutto se le circostanze ci spingono ad insistere, si puòincappare nel pericolo di seri squilibri psichici, tipici di menti dissipate. “...La gente pensache la mente sia l'ostacolo maggiore nella vita spirituale, ma questo è un concetto errato epericoloso. La mente è un ponte tra questo e quello, perciò come può essere un ostacolo?Uno stupido può pensare che sia un ostacolo e tentare di distruggere quel ponte. Poi, unavolta che l'ha distrutto, si domanda come passare dall'altra parte...”33.

Il kriya yoga è composto da varie pratiche. Il testo schematizza, dividendo le pratiche aseconda che inducano il pratyahara, il dharana e, infine, il dhyana. Nel testo se ne evidenziano venti, più importanti e potenti delle altre; a tal proposito ilmaestro scrive: “le varie pratiche di kriya yoga, in particolare viparita karani mudra, amritpan, khecari mudra, mula bandha, maha mudra, maha bheda mudra ecc., regolano ilsistema nervoso, armonizzano le forze praniche nel corpo, rendono equilibrata la quantitàe gli effetti degli ioni positivi e negativi, ma soprattutto vi aiutano a raggiungere uno stato

30 Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 166

31 cfr, Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 120

32 Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 12133 Ibidem pag 121

16

di pace e tranquillità senza prendere la mente a bastonate, a calci o comunque con laviolenza. Tutto ciò è il risultato della circolazione di certe sostanze chimiche naturali nonutilizzate nel corpo...”34.

Molti di questi esercizi sono fatti assumendo specifiche posture: viparita karani mudra, ilgesto del capovolgersi, ad esempio, avviene nella omonima postura.

Le indicazioni per la pratica sono le seguenti: mantenendo un costante e dolce respiroujjayi, all'inspiro portare la consapevolezza progressivamente da Manipura (cioè dall’areadel plesso solare, dietro l’ombelico) a Vishuddhi chakra (all’area della gola); mantenereuna breve pausa di ritenzione del respiro con la consapevolezza in quest'ultimo chakra e,espirando, proseguire nella percezione del percorso da Vishuddhi ad Ajna (punto interno,in corrispondenza del centro fra le sopraciglia), Bindu (al centro della nuca), fino aSahasrara chakra (oltre il capo). E riprendere dal punto di partenza.35

L'Hatha Yoga Pradipika così ci spiega il senso di questo esercizio:“Qualsiasi fluido scorradalla luna dal divino aspetto, tutto questo viene divorato dal sole: per questo motivo ilcorpo invecchia. Esiste un eccelso sistema che inganna la bocca del sole... Per colui cheha l'ombelico in posizione superiore e il palato in quella inferiore, il sole è in alto e la luna

34 Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 127

35 Ibidem, pag 321

17

in basso. Questa, chiamata posizione inversa (Viparita Karani), è appresa grazieall'insegnamento del maestro...”36 .Qui il testo, affrontando l’argomento da un punto di vista esoterico, si riferisce al fatto chein questa posizione i chakra saranno capovolti rispetto al loro normale allineamento.Sahasrara, il chakra posto di solito alla sommità, nel quale si trova il centro lunare chesecerne il nettare dell'immortalità, non disperderà più quest'ultimo nel fuoco del chakrasolare, Manipura. Secondo Satyananda, con questo ed altri esercizi si modificano il flussi delle secrezionifisiche nonché le loro proporzioni chimiche ed energetiche, tanto da creare un effettopacificatore sulla mente. “...Questo significa che, anche quando la mente è totalmente indisciplinata e non riuscitea tenerla ferma nemmeno per un secondo, se avete la capacità di creare la proporzionecorretta di secrezioni nelle diverse aree del corpo-mente, allora si può raggiungere unostato superiore...”37.Ciò torna utile alla mia causa, in quanto una mente pacata, in un organismo nel qualetutto fluisce con maggiore facilità, darà più possibilità al corpo di riconquistare le suefisiologiche sensazioni.

Satyananda dedica poi molto spazio all'illustrazione del risveglio dei chakra. Fa un'ampiadescrizione dei vari centri energetici ed indica modalità per capire da quale punto lapersonale ascesa possa cominciare, considerando che ognuno si trova ad un propriostadio dell'evoluzione. Un metodo che facilita la percezione del corpo, tra gli esercizi da lui proposti, consiste nelsoffermarsi quotidianamente, per un tempo che varia dai quindici ai trenta minuti, su unchakra. L'effetto sarà duplice: si diviene consapevoli di quale chakra è più attivo, attraente epotente (ciò risulterà fondamentale per il passo successivo che consisterà nel lavoro perrisvegliare i chakra); inoltre sarà un'importante occasione per stimolare la nostra capacitàdi ascoltare le sensazioni ed il linguaggio del corpo.

Nella sua esposizione, Satyananda prosegue con la descrizione delle caratteristiche deivari chakra per poi indicare come risvegliarli. A differenza di molte altre testimonianze, in questo testo si affronta, prima degli altri, ladescrizione di ajna chakra e non di muladhara chakra, primo centro nonché sede dikundalini shakti: è anomalo non occuparsi del primo chakra da cui principia il risveglio e larisalita dell'energia verso gli altri centri. Così ci viene spiegata tale scelta. Ajna chakra, “il centro del controllo”, merita un lavoro a priori, rispetto agli altri chakra.In questo centro si fondono le forze delle tre nadi, ida, pingala e sushumna in un unicoflusso di consapevolezza. Armonizzare quest'area rappresenta, quindi, una efficace formadi purificazione imprescindibile per il successivo passo da affrontare, il risveglio deichakra, da muladhara a sahasrara. Infatti questa pratica può scongiurare la possibilemanifestazione delle nostre latenze che, invece, se non sono private della loro energia,rischiano di esplodere nel percorso del risveglio dei chakra38,Quindi, una mente purificata in questo punto di confluenza è in grado di affrontare efronteggiare le espressioni di tali esplosioni.

36 Svatmarama, “La lucerna dello Hatha-Yoga (Hatha-yoga Pradipika)”, a cura di G. Spera, Ed.Magnanelli, 2006, pag.72, versi 2\77-78-79

37 . Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 12638 . Ibidem, pag 155

18

E' interessante notare che la localizzazione di ajna chakra corrisponde all'area diconnessione fra cervello e cervelletto e a quella in cui si trovano due ghiandole delsistema endocrino molto importanti: ipofisi ed epifisi (Satyananda, a tal proposito, collegal'epifisi ad ajna chakra e l'ipofisi a sahasrara. Dato che sahasrara è posto fuori dal corpo,altri testi riconducono le due ghandole al penultimo chakra, ajna). Rispetto al ruolo del cervelletto traggo da internet le seguenti informazioni:“Recentemente, molte ricerche internazionali hanno dimostrato che il cervelletto nonpresiede solo all'attività motoria, ma gioca un ruolo importante anche per l'areaemozionale. Intervenire su di esso dunque, affermano gli esperti, è la via giusta perarrivare a fare tabula rasa dei ricordi collegati a sentimenti di paura. Ciò era stato possibileevidenziarlo perché pazienti con lesioni al cervelletto presentano disturbi non di naturamotoria, bensì legati alla sfera emozionale-cognitiva. "Il cervelletto, dunque è legato ancheall' area delle emozioni'' affermava dunque due anni fa neurofisiologo Piergiorgio Strata,dell'Università di Torino e della Fondazione Santa Lucia”39.Partendo dall'assioma che “dove va il pensiero, lì va l'energia”, vien da sé che, lavorandosu questa parte del corpo con esercizi che prevedono l'ascolto delle sensazioni corporee,essa ne beneficerà: l'area motoria comunicherà più intensamente con la nostra mente el'area emozionale sarà più in linea con la realtà che viviamo.Vi è di più: ipofisi ed epifisi hanno attività sottilmente collegate (pertanto poco importa se itesti le riconducono entrambe ad ajna oppure affermano che l'epifisi si collega con ajna el'ipofisi con sahasrara). L'ipofisi, che produce vari ormoni e controlla l'attività di altre ghiandole, riveste un ruolomolto importante nella relazione tra sistema nervoso e sistema endocrino. L'epifisi, per effetto della melatonina da lei secreta, regola i ritmi circadiani, cioè gli effettiche l'alternarsi del giorno e della notte hanno sul nostro organismo. Si può tranquillamente affermare che, a mettere in relazione la mente col corpo, èpreposta questa zona, pertanto una giusta stimolazione porterà benefici effetti all'armoniadell'insieme.

Inoltre, regolare i ritmi circadiani corrisponde ad equilibrare il nostro rapporto col sonno eciò, sembrerebbe, da uno studio in corso dell'Università di Chicago e di Bruxelles guidatida Karine Spiegel, interessante per quanto riguarda il mantenimento del proprio pesocorporeo. Infatti la ricerca sta svelando che la mancanza di sonno si associa all'aumentodella produzione di un ormone che stimola l'appetito (la grelina, secreta dallo stomaco) e ilcalo di un altro che, invece, lo fa diminuire (la leptina, secreta dalle cellule adipose).Commenta la notizia il Dott. Enrico Molinari, professore di Psicologia clinica all'Universitàcattolica di Milano: “...Il legame tra obesità e alterazione del ritmo sonno-veglia è peraltroormai accertato... Infatti molti obesi soffrono di apnee notturne che provocano una cattivaqualità del sonno, che a sua volta può generare comportamenti alimentari scorretti versol'eccesso, che causano ulteriore aumento del peso corporeo, in un circolo vizioso senzafine...” 40.

Ma torniamo ad ajna chakra ed alle parole di Satyananda: “...Inizialmente è molto difficilepercepire il punto esatto in cui si trova ajna, per cui ci concentriamo su ajna kshetram, alcentro tra le due sopracciglia, in bhrumadhya. Questi due centri sono direttamenteconnessi (per mezzo del nervo che mette in relazione bhrumadhya ed il midollo allongato.n.d.r.)...”41.

39 http://psicolinea.blogspot.com/2006/09/le-funzioni-del-cervelletto.html, autore Giuliana Poretti, 12/09/0740 http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2005/03_Marzo/29/ART_insonnia-obesita.shtml, Autore Danilo

Di Disonoro, 24/06/0541 Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 158

19

Tra le tecniche che Satyananda propone per purificare, stimolare ed armonizzare questosingolo chakra ricordo: trataka (tecnica di purificazione che consiste nel fissare lo sguardosu un punto), anuloma viloma (respirazione alternata mentalmente attraverso le narici),shambavi mudra (fissare il centro fra le sopracciglia) e altre tecniche preparatorie quali jalae sutra neti (pulizia delle narici con acqua in un caso, e spago nell'altro)42.

Anuloma viloma mi pare una tecnica particolarmente adatta per migliorare la percezionedel corpo. Quanto si trova nel testo di Satyananda non corrisponde, però, con quanto inveceaffermano altri autori. Egli dice a proposito “...in una comoda posizione meditativa.Accertatevi che la colonna vertebrale sia eretta e il corpo rilassato... Quando inspirate,tutta la consapevolezza dovrebbe fluire con il respiro dalla punta del naso, attraverso lenarici, fino al centro fra le sopracciglia (il contrario quando espirate. Ndr)...Iniziatecoscientemente a modificare il flusso del respiro nelle due narici, come nella pratica dinadi shodana, solo che in questo caso il movimento avverrà a livello psichico (consapevolidi inspirare da ida, fino a bhrumadhya, e espirare da pingala; poi consapevoli di inspirareda pingala fino a bhrumadhya ed espirare da ida. Ndr). Questo è un ciclo. Dopo avercompletato quattro cicli, inspirate ed espirate attraverso entrambe le naricisimultaneamente, visualizzando il passaggio del respiro che forma una V capovolta...”43.Egli prosegue, dando indicazioni sulla quantità di cicli da effettuare; suggerisce, inoltre, dicontare i cicli da 100 a 0, insistendo molto sull'importanza di mantenere la mente occupatanel calcolo a ritroso, per non permetterle di disperdersi.

A proposito di anuloma viloma, André Van Lysebeth, invece, afferma che questo esercizioè ottimo per familiarizzare con la ritenzione del respiro. Lo descrive esattamente comel'esercizio di Nadi Shodana con la differenza che, dopo la fase di inspiro, si pratichi ilkumbhaka a polmoni pieni44. Anche Stefano Piano, ne “L'enciclopedia dello yoga” dà una spiegazione analoga45.Trovo che entrambe le proposte siano eccellenti per migliorare la comunicazione dellamente col corpo, grazie alla loro capacità di allineare l'attività mentale con le sensazioniche registriamo nell'atto di respirare.

Altri spunti che ho trovato interessanti al fine di questo studio, nel testo di Satyananda,riguardano una serie di pratiche che egli propone per la consapevolezza integrata deichakra. A tal proposito afferma: “le tecniche per ogni specifico chakra influiscono anchesu tutti gli altri, ma le seguenti tecniche aiutano sistematicamente ad attivare tutti i chakrainsieme e a portare l'equilibrio sull'intero asse corpo – mente – chakra.”46.Le pratiche che elenca sono le seguenti:

• meditazione sui chakra (un complesso esercizio che abbina la percezione di ognichakra a particolari ascolti: per esempio ajna chakra e aswini mudra, swadhistana evajroli mudra ecc);

42 cfr. Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 24243 Ibidem pag 24444 André Van Lysebeth, “Pranayama, la dinamica del respiro”, Ed. Astrolabio, 1973, pag. 103

45 Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 30

46 Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 1994, pag 295

20

• meditazione musicale sui chakra ( che prevede di concentrarsi sulla sequenza deichakra a salire e, poi, a scendere, cantando le note del setticlavio, abbinando il doal primo chakra e così via),;

• chaturtha pranayama (l'esercizio consiste nell'abbinare il respiro, la recitazione delmantra Om e la percezione dei chakra; inspirando si canta “OOOOO” e sipercepisce dal muladhara a sahsrara ed espirando si canta “MMMM” percependo ilcircuito contrario);

• yoga nidra con i chakra ( rilassamento che include la visualizzazione e la rotazionedella consapevolezza attraverso i centri energetici) ecc.

Sempre seguendo il testo, per concludere, si elencano le indicazioni per gli esercizi veri epropri di kriya yoga. Come si diceva all'inizio, se ne selezionano venti e si dividono ingruppi a seconda che servano ad indurre il pratyahara, il dharana ed il dhyana. Si tratta di difficili pratiche, che Satyananda insiste nel proporre solo a persone esperte eche abbiano seguito le sue indicazioni preliminari che ho cercato di sintetizzare. A tal proposito è doverosa una personale precisazione: ben conscio del fatto che questepratiche hanno lo scopo preciso di risvegliare la kundalini (e che, pertanto non vannoprese con approssimazione ma vanno affrontate con ponderata gradualità, se e quando siperseguirà tale scopo), non ho intenzione di suggerirne l'applicazione tout court al soloscopo di migliorare la percezione del corpo. Mi sembra, e lo dico con estrema cautela, chealcune di queste pratiche, le più semplici ed abbordabili anche dai praticanti nonespertissimi, possano essere estrapolate per andare a completare la pratica di chi haesigenze simili alle mie.

Tra le varie pratiche che Satyananda propone, ne seleziono due che ritengo di piùsemplice esecuzione: Viparita karani mudra e Chakra anusandhana (la scoperta deichakra). Del primo esercizio ho già trattato in precedenza.

Circa il secondo, procedere nel seguente modo:nella posizione da seduti che più troviamo comoda, ad occhi chiusi, respirarenormalmente. Portare la consapevolezza nell’area di Muladhara Chakra, nel pavimentopelvico. Con lentezza, senza mettere in relazione il respiro con le attività che seguono,spostare la consapevolezza lungo il percorso anteriore di Arohan che tocca i puntirisuonatori dei Chakra, detti Kshetram (da Muladhara a Swadhistana, in corrispondenzadell’osso sacro, proseguire per Manipura, nell’ombelico e procedere per Anahata, nellosterno, quindi avanzare per Vishuddi, nella gola e terminare in Bindu alla sommitàposteriore della testa). Mentre la consapevolezza sale verso l’alto, ripetere i nomi deichakra i cui kshetram vengono attraversati. Si procede facendo poi scendere laconsapevolezza nel percorso discendente di Awarohan, lungo la spina dorsale, dove sitrovano localizzati i chakra veri e propri. I punti attraversati sono: Ajna Chakra, tra lesopracciglia, all’interno, Vishuddi, Anahata, Manipura, Swadhistana e, infine Muladhara.Anche in questo caso si suggerisce di ripetere mentalmente il nome del punto che si staattraversando.Si suggeriscono nove cicli completi.

21

22

Le azioni purificatrici

Hatha-yoga (o yoga dello sforzo) è un metodo yogico che mira alla realizzazione spirituale,attraverso pratiche psichiche e fisiche. La parola Hatha, sforzo fisico, che ci da l'idea di quanto il corpo abbia un ruolo primario, èanche leggibile nel significato di Ha-sole e Tha-luna. Ci si riferisce simbolicamente allecorrenti energetiche che passano rispettivamente nella narice sinistra (dove termina ilcanale energetico chiamato Pingala, veicolo dell'energia solare, maschile, distruttiva eardente) ed in quella destra (dove, invece termina il canale chiamato Ida, che trasportal'energia lunare, femminile, costruttiva e algida). “...L'importanza di questa simbologia siprecisa alla luce del fatto che lo Hatha-Yoga aspira alla sublimazione del corpo fisicoattraverso l'unione del principio della creazione e conservazione e quello delladistruzione...”47

Questa perfetta unione avviene, tecnicamente, quando si raggiunge lo stato del Samadhi,cioè quando vi è l'annullamento di tale dualità e la Kundalini, l'energia latente nel corpoumano, si risveglia attivandosi.

I testi più completi che trattano questa forma di Yoga, sono scritti in epoca tarda rispettoagli Yoga-Sutra di Patanjali. Essi sono databili tra l'XI ed il XIII secolo d.C. e si inseriscononella tradizione religioso-filosofica del Tantrismo, corrente assai diffusa in India dal V sec.d.C. ai giorni nostri. Il Tantrismo si prefigge di indicare la strada per la realizzazione spirituale (una sua qualitàrivoluzionaria sta nel proporsi a tutti gli umani, senza esclusioni di sesso o caste)attraverso varie pratiche che hanno lo scopo di reintegrare fra loro le polarità maschile efemminile per dissolvere il cosmo, il quale si manifesta, invece, quando queste polarità siscindono in due principi separati, generando l'esistenza con la sua caducità.

“Hathayoga Pradipika” (la lucerna dell'Hatha-Yoga), “Gheranda-Samhita” (Insegnamentisullo Yoga) e “Siva-Samhita” (lo Yoga rivelato da Siva) sono tra i testi più rappresentativiche trattano l'Hatha-Yoga.Essi descrivono un percorso fatto di “membra”, ossia gradini, tappe, stadi, similmente altesto di Patanjali, seppure con alcune divergenze. Ritroviamo Yama e Niyama, ma con unpeso minore a paragone di quanto indicato negli “Yoga-Sutra”; ritroviamo le Asana ed ilPranayama, che hanno un ruolo centrale in tutta la pratica, gli Satkarman di cui tratterò inseguito, i Bandha (contrazioni di alcune parti del corpo da eseguire durante gli esercizi diPranayama), le Mudra (pratiche che mirano a sigillare il Prana all'interno del corpo) e,negli stadi più elevati, “membra” analoghe a quelle descritte da Patanjali: Pratyahara,Dharana, Dhyana e Samadhi.

Sulla percezione del corpo grazie all'Hatha Yoga, André Van Lysebeth afferma“...Realizzando il nostro corpo, grazie all'Hatha-yoga, impregnandolo di coscienza,dominandolo, vivendo la totale esperienza della vita, l'uomo compie un aspetto crucialedel suo destino. Lo Hatha-Yoga deve essere praticato con questo spirito, Così concepita,una seduta di Asana, invece di essere una seduta di super-ginnastica, diventa un

47 Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 134

23

momento sacro durante il quale lo Hatha Yogi comunica con il proprio Corpo; è ilmomento in cui l'intelletto, invece di asservire il corpo ai propri fini, si pone al suo servizioe si integra con lui...48”.

Di tutte le pratiche dell'Hatha-Yoga, scelgo di trattare in questo studio solo alcunepurificazioni; ma, per rifarmi alle parole di Van Lysebeth, il metodo è adatto in toto permigliorare la percezione del corpo e qualsiasi selezione è forzatamente incompleta.Mi sembra, però, che le pratiche di purificazione abbiano il gran pregio di far prenderecoscienza, in maniera chiara, anche dell'interno del corpo, realtà che spesso non vienetenuta in considerazione. Come ho tentato di spiegare, infatti, l'uomo moderno bada moltodi più alla sua immagine e il suo corpo, specie nella sua parte interna, tende ad essererelegato a ruolo di asettico macchinario. “...In molte culture, la superficie del corpo è considerata la sua parte più importante. Lanostra cultura, ad esempio, si preoccupa delle apparenze di superficie. Se il colore dellapelle è pallido, usiamo i cosmetici. Se l'odore del corpo è sgradevole, ricorriamo all'uso dideodoranti. La stima di sé spesso dipende dall'aspetto della superficie. L'immagine cheuna persona ha di sé finisce per essere basata sulle sue caratteristiche esterne...49”. Le tecniche di purificazione si dicono Satkarman da Sat= sei e Karman=azioni.Nell'Hatha-Yoga Pradipika, questo insieme di tecniche è funzionale al Pranayama, e ha loscopo di purificare le Nadi. Anche la Gheranda Samhita sottolinea l'importanza di queste tecniche per la purificazionedelle Nadi e come preparazione al Pranayama50; qui si fa riferimento ad una serie ditecniche “Nirmanu”, prettamente fisiche, e si espongono una serie di tecniche “Samanu”,con l'ausilio della mente e, più precisamente con la recitazione di alcuni Mantra.

Le tecniche che scelgo di approfondire sono Varisara Dhauti (o Shank Prakshalana) eJala-neti.Esse, di tutte quelle sopra esposte, sono le tecniche che, assieme a Kapalabhati, fannoparte del mio bagaglio di esperienze. Anche se ritengo Kapalabhati (nella versione proposta nell'Hatha-yoga Pradipika51)esercizio perfettamente pertinente con gli intenti che mi prefiggo in questo studio, vorreiqui porre l'accento su pratiche che prevedono l'uso di un agente estraneo, com'è l'acqua:entrando ed uscendo dal corpo, in modo così “sorprendente” ed insolito, ci dà l'esattamisura del fatto che abbiamo, come corpi, anche una realtà “interna”; impariamo, quindi,che, con essa, possiamo metterci in contatto con buona disposizione d'animo, con amore,senza necessariamente aspettare che questa, a forza di venire ignorata, ci comunichi soloil suo fastidio ed il suo dolore, facendoci sentire male.

Varisara Dhauti o Shank PrakshalanaConsiste nel lavaggio completo dell'intestino. Etimologicamente Varisara significa“(tramite) l'essenza dell'acqua” e Dhauti “purificazione”. La tecnica è conosciuta anche col nome di Shank Prakshalana, che si può tradurre con“gesto della conchiglia”, a ricordarci che l'interno di una conchiglia è sinuoso e percorso davari interstizi, come il nostro intestino. Questa tecnica, che la Gheranda Samhita considerala migliore delle Dhauti, è largamente riconosciuta per la sua efficacia.

48 André Van Lysebeth, “Perfeziono lo yoga”, Ed. Mursia, 1978, pag. 1349 Swami Rama, Rudolph Ballentine, Swami Ajaya, “Yoga e psicoterapia”, Ed. Mediterranee, 2003, pag. 3550 Stefano Fossati (a cura di), “Insegnamenti sullo Yoga (Gheranda Samhita)”, Ed. Promolibri, 1994, versi 5,3651 Svatmarama, “La lucerna dello Hatha-Yoga (Hatha-yoga Pradipika)”, a cura di G. Spera, Ed.Magnanelli, verso 2,35

24

Andrè Van Lysebeth insiste molto su quanto sia importante la salute del nostro canaledigerente e quanto ciò influisca sull'intero organismo. Egli afferma: “... Una delle causeprincipali della senescenza prematura, e perfino della senilità, è dunque l'accumulazionedelle tossine nell'organismo che si autointossica... Esiste anche una fonte diautointossicazione più perniciosa: è quella costituita dai veleni che filtrano attraverso laparete intestinale e contaminano tutto l'organismo. Da qui l'importanza di una dietaintelligente e soprattutto l'importanza che l'intestino sia sempre svuotato, sgombero,libero... I casi di cancro dell'intestino sono molto più numerosi di quelli che colpiscono altriorgani del corpo umano...Ma il cancro non è la sola malattia che deve temere chi ha ilcolon sempre ingombrato di residui fecali...: Cirrosi epatica, artrite cronica, anemiaperniciosa, dissenteria cronica, rinopatia vasomotoria, nevriti, allergie varie... moltissimemalattie della pelle...”52.Secondo Van Lysebeth il danno deriva dal fatto che, nell'intestino, non esistono organipurificatori, pertanto le tossine passano attraverso la membrana del colon, direttamentenella circolazione sanguigna, e, via via, in tutto il corpo.La tecnica suggerita è la seguente:l'esercizio, della durata di due ore circa, si può eseguire un paio di volte all'anno,possibilmente evitando i giorni con le temperature più estreme dato che è facile chestomaco ed intestino si raffreddino troppo e dato che il troppo caldo renderebbe il tuttoestenuante; quindi si pratichi possibilmente in primavera ed in autunno, quandol'organismo si sta preparando ai cambiamenti climatici. Nei giorni precedenti, prendere confidenza coi movimenti che dovranno accompagnare lapratica, da eseguire slegandoli dal ritmo del respiro e piuttosto velocemente, in un arco ditempo di circa un minuto. In fondo a questa sezione, a pag. 34, si allega una sequenza,fortemente ispirata agli insegnamenti di Van Lysebeth, che ho tratto dal web, al seguenteindirizzo:http://www.centroayurveda.it/sequenze.htm#asanaShank Prakshalana va eseguito al mattino, a digiuno, in un'atmosfera rilassata e familiaree in una giornata che si possa dedicare interamente al riposo, anche da altre praticheyogiche. Preparare dai due ai tre litri di acqua tiepida (che dovrà restare tale per tutta la duratadell'esercizio; pertanto conservarla dove si possa, di tanto in tanto, riscaldare) nei qualisiano sciolti circa g 20 di sale da cucina. Vestirsi con abiti comodi e leggeri.Iniziare, bevendo un bicchiere di acqua, eseguire la serie di movimenti e ripetere il tutto(bevuta e serie di esercizi) per sei volte. Se i movimenti saranno eseguiti correttamente,non si avvertirà un fastidioso senso di pienezza dello stomaco in quanto, soprattutto grazieal primo movimento della serie, si apre la valvola pilorica e l'acqua lascia lo stomaco periniziare il suo cammino verso l'ano (ad ogni movimento della serie, corrisponde unafacilitazione al percorso dell'acqua). A questo punto dovrebbe avvenire la primaevacuazione che consiste in feci solide. Se ciò non avvenisse, proseguire eseguendovarie serie di movimenti e tentativi di evacuazione senza sforzarsi, non bevendo piùacqua. Dopo la prima evacuazione, bere un bicchiere d'acqua, ripetere i movimenti edattendere di evacuare. Si dovrebbe innescare il meccanismo che Van Lysebeth definisce“sifone”53, cioè ad ogni ciclo dovrebbe corrispondere un'evacuazione di feci sempre piùliquide (la mia sensazione è come se l'acqua venisse risucchiata verso l'uscita, l'ano), finoa diventare, sul finire dei tre litri d'acqua, trasparente o quasi. Swami Satyananda54

suggerisce di non arrivare al punto che le evacuazioni sono del tutto trasparenti, per nondare il tempo al sistema digestivo di produrre bile e di riversarla nel circuito.

52André Van Lysebeth, “Perfeziono lo yoga”, Ed. Mursia, 1978, pag. 2753 Ibidem pag. 3254 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag 464

25

Terminata questa fase, si raccomandano dai trenta ai quarantacinque minuti di totaleriposo, in shavasana, senza addormentarsi (per non rischiare di svegliarsi con letargia emal di testa) e tenendosi ben coperti per non raffreddare il corpo (precauzione che sidovrà avere per tutta la giornata). Dopodiché si dovrà mangiare; i testi sono chiari nel sottolineare l'importanza di nonaspettare oltre questi tempi per consumare il primo pasto, cioè quando il sistema digerenteriprende la sua attività. Van Lysebeth consiglia riso (o pasta), pomodoro, parmigiano e burro; Satyananda, oltre alriso, raccomanda lenticchie e burro chiarificato.In sintesi occorre del grasso (anche olio extra vergine di oliva, in ogni caso dovrà essereabbondante), del riso brillato (o altro cereale raffinato e non fermentato: vanno benefrumento, avena, paste alimentari ecc. E' inadatto il pane), per la sua alta quantità diamido, da cucinare bollito (col metodo di cottura “pilaff”, cioè in una quantità di acqua cheverrà totalmente assorbita dal cereale, senza che si eliminino sostanze disperse, gettandol'acqua in eccesso) e delle proteine, tutto di facile digeribilità (quindi povero di fibre e ditessuto connettivo) per proteggere le pareti del tubo digerente, sprovviste ora del lorofisiologico umore protettivo. Trovo più adatto a me il suggerimento di Satyananda inquanto la presenza delle fibre nelle lenticchie ha sollecitato l’evacuazione del giornosuccessivo, che, quando ho sperimentato solo con riso e pomodoro, si è fatta desiderare.Nelle ventiquattr'ore successive, si dovranno rispettare le seguenti regole: riposo sia fisicoche mentale, possibilmente restando in silenzio ed osservando una dieta adeguata(saranno da evitare i latticini freschi, gli alimenti acidi, le verdure crude). Nei giorni a seguire, non mangiare cibi troppo grassi, pesanti per la digestione e assumerefermenti lattici per quindici giorni circa.I benefici consistono nell'alleviare i problemi digestivi, nel migliorare la funzionalità delfegato, del pancreas, del sistema circolatorio; inoltre agisce sul sistema immunitario, aiutaa curare i sintomi dell'artrite e porta beneficio ai problemi della pelle. Dal punto di vista yogico, avviene la ricarica del corpo pranico, si purificano le nadi ed ichakra. Questa pratica è da sconsigliare a chi soffre di qualsiasi patologia, senza che sia seguitada un qualificato insegnante.

Jala-NetiCon questo nome si identifica una serie di tecniche che consistono nel lavare le vie nasalicon l'acqua. André Van Lysebeth ci dice di utilizzare la modalità simile alla descrizione della GherandaSamhita (dove si approfondiscono, nel testo, le varianti di Kapalabhati: vyut-krama e shit-krama)55. Egli afferma: “... Un pentolino di acqua tiepida appena salata; ecco tutto il materialeoccorrente... Tenete dunque il pentolino in posizione obliqua e immergete le naricinell'acqua. Non aspiratela come fosse aria, entrerebbe con troppa violenza; con la glottidefate un piccolo movimento di aspirazione nella parte posteriore della gola. L'acqua saliràimpercettibilmente e tanto bene nel naso, che dopo qualche momento percepirete ilsapore del sale in gola. Evitate che l'aria entri contemporaneamente all'acqua. Smettete diaspirare e aspettate qualche secondo tenendo le narici nell'acqua, poi lasciate che l'acquadefluisca da sola dal naso. Dopo aver ripetuto tre volte il neti, espirate con forzachiudendo alternativamente una narice e smaltendo l'acqua rimasta nei turbinati nasali...”56.

55 Stefano Fossati (a cura di), “Insegnamenti sullo Yoga (Gheranda Samhita)”, Ed. Promolibri, 1994, versi 1,57 e 1,5856 André Van Lysebeth, “Imparo lo yoga”, Ed. Mursia, 1975 , pag. 34

26

Satyananda suggerisce la tecnica e le modalità che personalmente ho sempre applicato57.Si utilizza uno strumento simile ad una teiera, col beccuccio arrotondato e appiattito,chiamato Lota. La si riempie di acqua a temperatura corporea e la si miscela con sale, nella proporzionedi un cucchiaino, ogni mezzo litro d'acqua (secondo Van Lysebeth58 la soluzione dovrebbeessere al 9%. Considerato che la mia lota contiene circa g 250 di acqua, dovreiaggiungere g 20\25 di sale. In realtà, al massimo utilizzo g 5 di sale, per una soluzionemolto più dolce che non supera, quindi, il 2%). Il sale ha la funzione di rendere la pressione osmotica della miscela simile a quella deifluidi corporei, affinché, durante la pratica, la mucosa delle pareti interne non abbia adirritarsi. Si avverte bruciore, quindi, quando si miscela poco sale ma anche quando questo superala proporzione adatta. Se si pratica su un lavandino, la posizione da tenere sarà in piedi, con le gambe divaricateed il peso del corpo ben distribuito. Si respira con la bocca. Si flette il busto, si afferra la lota con una mano e si appoggia il suo beccuccio sulla nariceche corrisponde alla mano impegnata. Si ruota il capo verso la mano e quest'ultima sale con tutto il braccio, seguendolentamente il movimento del capo, badando che il beccuccio aderisca bene alla narice enon lasci sgocciolare l'acqua di fuori. L'acqua, senza dover esercitare nessuna azione, entrerà in una narice, tramite il foro delbeccuccio, e uscirà dall'altra. Quindi, svuotata la lota, si raddrizza il capo, si tura la narice dalla quale usciva l'acqua e sisoffia fuori, delicatamente, aria, acqua e muco dall'altra narice, quella da cui, prima,entrava l'acqua. E' importante farlo più volte e con delicatezza, perché una forza maldosata può permettere all'acqua di infiltrarsi nell'orecchio. Si dovrà dedicare buona cura nello svuotare bene la narice, pertanto lo si potrà fare inaltre posizioni: per esempio eretti; oppure flessi ma col capo ruotato verso la spalla;oppure eretti, col capo allineato e, soffiando, si flette il bacino affinché il capo si avvicini allavandino, con un movimento energico. Personalmente, trovo infallibile, per questo scopo, la sequenza del saluto al sole. Disponendo, talvolta, di poco tempo è abbastanza efficace la posizione di Padahastasana(delle mani ai piedi)59, assieme a Dwikonasana60. Poiché eseguo Jala-Neti al mattino, quando il corpo è piuttosto rigido, cerco di non forzarequeste posture.Lo scopo è far sì che l'acqua, che si è insediata negli anfratti dei seni frontali o nei condottidiretti agli organi uditivi, fuoriesca tutta subito, e non dopo ore, come talvolta puòaccadere. In più, lasciare acqua all'interno del naso può facilitare l'insorgere di riniti o altreaffezioni tipiche di quest'area.Si ripete il tutto sull'altro lato. Sempre Satyananda61 ci dice che, oltre ad acqua e sale, si possono utilizzare altri liquidi,quali burro chiarificato, latte tiepido, yogurt o altro ma si raccomanda, in tal caso di farsiassistere da un qualificato insegnante.Essere assistiti è anche necessario quando si voglia praticare Jala Neti in presenza dipatologie tipiche di quest'area.

57 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag. 45758 André Van Lysebeth, “Perfeziono lo yoga”, Ed. Mursia, 1975 , pag. 8159 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag. 15960 Ibidem pag. 14561 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag. 460

27

Rispetto ai benefici, Stefano Piano così sintetizza: “...favorisce l'eliminazione delleeccessive secrezioni nasali, allevia i disturbi della cavità nasale (riniti, raffreddore ecc.) eagisce positivamente sui nervi del cranio e sulle funzioni degli organi di senso, non solo ilnaso, ma anche gli occhi e le orecchie...”62. Satyananda aggiunge che è benefico anche per la salute del cervello, alleviando i disturbidi ansia, ira, depressione ecc. E' ottimo, inoltre, per togliere la sonnolenza nonché dà unasensazione di freschezza e leggerezza. Praticabile di solito una volta al giorno (o più volte, in casi particolari), è consigliato,principalmente, da eseguire al mattino.

62 Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006, pag. 228

28

Descrizione della sequenza di movimenti per Shank Prakshalana63:Ogni movimento deve essere eseguito quattro volte da una parte e dell'altra e conun ritmo abbastanza rapido

Primo movimento: In piedi, gambe divaricate in modo che i piedi, paralleli fra loro,siano appena sporgenti rispetto alle anche, dita delle mani intrecciate e palmirivolti verso l' alto, tenere la schiena diritta e respirare normalmente per qualcherespiro.

Secondo movimento: Si parte dalla posizione precedente, quindi inclinare il bustosenza girarlo, prima verso sinistra e subito dopo verso destra, quindi si ritorna asinistra e poi a destra per un totale di quattro volte da una parte e dall'altra; l'esercizio va ripetuto velocemente in modo da risolverlo in circa 10 secondi. Imovimenti fanno defluire acqua dallo stomaco all'intestino tenue.

Terzo movimento: La posizione di partenza è sempre quella iniziale, si distende ilbraccio destro orizzontalmente e si flette il sinistro fino a toccare con il pollicel'inizio della clavicola destra, ruotando il tronco di novanta gradi; tenere losguardo fisso sulla punta delle dita della mano destra, quindi ritornare al centro eripetere l' esercizio a sinistra.

Quarto movimento: Per far proseguire l'acqua dall'intestino tenue al crasso, siesegue questa variante di Bujangasana.Ci si stende a terra; solo le dita dei piedi e le mani si lasciano appoggiate areggere il peso del corpo; si solleva da terra tutto il corpo, quindi si voltano spallee testa prima a destra poi rapidamente a sinistra, fino a fissare per un attimo

63 http://www.centroayurveda.it/sequenze.htm#asana

29

prima il tallone destro e poi il tallone sinistro.Si ripete quattro volte per parte.Se il quarto movimento incontrasse difficoltà significative nell'esecuzione, si puòricorrere a questa variante.Seduti, le gambe stese, si raccoglie il ginocchio sinistro con il piede sinistro afianco del ginocchio destro, quindi si ruotano spalle e bacino in modo che lamano sinistra sia allineata con il tronco distanziata di circa 30cm dal troncostesso, la testa volta indietro e la mano destra tocca il ginocchio destro nella parteinterna, il braccio destro steso ingloba il ginocchio sinistro al suo interno.

Quinto movimento: Accovacciati, i piedi circa 30 cm distanziati l' uno dall'altro, lecosce appoggiate sui talloni, le mani sulle ginocchia, ruotare il tronco poggiando ilginocchio sinistro a terra, dinanzi al piede destro, la mano destra spinge ilginocchio destro a terra, la mano sinistra spinge la coscia sinistra verso il centroin modo da comprimere l' addome, quindi si ripete l' esercizio sulla gamba destra.

successione

30

31

Il Sankalpa all'interno dello Yoga Nidra

Il Sankalpa (proposito, risoluzione, volontà di cambiare) fa parte della pratica di YogaNidra, messa a punto da Swami Satyananda Saraswati; esso pertanto non può essereestrapolato dal suo naturale contesto se vogliamo che mantenga il suo significato pieno.Trattandosi di una dichiarazione di intenti, da effettuare in un preciso momento dellapratica, cioè quando la mente è alleggerita dei suoi vincoli ordinari, il Sankalpa ha tanteprobabilità di andare a buon fine; ciò perché va a germinare in anfratti del pensieroprofondi e nascosti alla nostra mente conscia (difficilmente sondabili senza l'aiuto disofisticate tecniche quali, per esempio, la psicoterapia).Ovviamente, per formulare questa dichiarazione di intenti, è fondamentale, a priori, unabuona consapevolezza di sé, di ciò che ci si vuole lasciare alle spalle e di ciò che si cercadi conquistare. A proposito di ciò che si vuol lasciare alle spalle, Satyananda afferma: “...Se dico chequesto è giusto e quello è sbagliato, potreste essere d’accordo con me, ma questo è soloun accordo intellettuale. Nonostante il fatto che siete d’accordo, potreste non essere ingrado di attuarlo nella vostra vita quotidiana… Yoga Nidra ci mette in contatto con lanostra personalità psichica che è responsabile di tutto ciò che pensiamo e facciamo. Conl’aiuto di Yoga Nidra possiamo iniziare ad agire su quegli ideali in cui crediamo… ”64.Aggiunge ancora: “…Molte persone prendono delle risoluzioni intellettuali, ma raramentequeste portano dei frutti. Ciò succede perché la risoluzione non è stata piantatasufficientemente in profondità; spesso le risoluzioni vengono prese quando la mente èdisturbata o quando la mente non è pronta a riceverle. Per avere successo, il Sankalpa habisogno di essere seminato con grande forza di volontà e con sentimento. Dovrebbeessere formulato quando la mente è rilassata e pronta ad accettarlo e ad assorbirlo. Talecondizione si verifica durante la pratica di Yoga Nidra…”65.

Per ritornare al tema di questo studio, è necessario che il praticante riconosca le sueincompletezze e la sofferenza che esse comportano; viene da sé che, se raggiunge unbuon grado di consapevolezza, sarà invogliato ad intensificare la sua pratica e, seintensifica la sua pratica, sarà sempre più consapevole delle sue incompletezze. Deipercorsi che ho citato, Yama e Niyama potrebbero dare un forte stimolo alla ricercainteriore di chiarezza. Si tratta, infatti, di discipline che insegnano a sentirci bene con noistessi e con gli altri.Consapevoli, quindi, dei danni che causa il proprio disagio (nel mio caso potrebberoessere il vizio del fumo o la tendenza a mangiare troppo) e consapevoli del fatto che essiderivano dal non sentire l’integrazione tra il corpo e la mente, sarà significativo riuscire apercepire con chiarezza lo stato d'ansia e di isolamento che questa situazione genera. La mossa successiva riguarda la scelta del Sankalpa, cioè dell'intento che ci si prefigge direalizzare, da “seminare” durante la pratica di Yoga Nidra, affinché germini, maturi e siconcretizzi, ma su questi aspetti tornerò più avanti.

64 Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001, pag. 1965 Ibidem pag. 21

32

A proposito di Yoga Nidra, Satyananda così si esprime: “...è un metodo sistematico perindurre un completo rilassamento fisico, mentale ed emozionale. Il termine Yoga Nidraderiva da due parole sanscrite, “Yoga” che significa unione e consapevolezzaunidirezionale e “Nidra” che vuol dire sonno. Durante la pratica di Yoga Nidra si appareaddormentati, ma la coscienza funziona ad un livello di consapevolezza più profondo. Perquesta ragione si fa spesso riferimento a Yoga Nidra come sonno psichico o profondorilassamento con consapevolezza interiore...”66.

Volendo collocare questa tecnica nel contesto dell’ Ashtanga Yoga di Patanjali,Satyananda ci dice che si tratta essenzialmente di una modalità per entrare nel Pratyahara(ritiro dei sensi); infatti, nell’esperienza di Yoga Nidra, si raggiunge questo stato isolandosidai segnali esteriori, i quali, normalmente, agitano la mente e la disperdono. Bisogna però scongiurare il pericolo di addormentarsi affinché la tecnica ci dia tutti i suoifrutti. Come fare? “... Per evitare che la coscienza si ritiri completamente e il sonno prenda il sopravvento, laconsapevolezza viene mantenuta concentrandosi sul canale uditivo. Gli altri terminali sonoinoperanti e il loro collegamento con la corteccia cerebrale è dissociato in modo chenessun messaggio passi attraverso gli organi motori… Quando la coscienza operaattraverso un solo canale sensoriale, per esempio l’udito, essa diviene molto piùsensibile…”67.Lo stimolo uditivo è rappresentato dalle istruzioni di chi guida la pratica.

Non si genera, però, uno stato paragonabile all’ipnosi dato che “… Yoga Nidra non si basasulla suggestione e persuasione. Le istruzioni vengono date direttamente e l’unicasuggestione si trova nella risoluzione che viene presa interamente dallo stessopraticante…”68.Pertanto Yoga Nidra non è una esperienza di tipo ipnotico, perché avviene in perfetto statodi consapevolezza a differenza dell’ipnosi, durante la quale l’attività del cervello ècompletamente sospesa. Gli effetti, quindi, si manifestano perché:“… quando ritirate un poco la vostra mente, edentrate in uno stato in cui non siete né nel sonno profondo, né completamente svegli,qualsiasi impressione che entra nella vostra mente in quel momento, diviene potente e lìvi rimane…”69. Con questa affermazione, Satyananda anticipa la valenza del Sankalpa.

Utilizzando la tecnica di elettroencefalografia (EEG) si è visto che quando un individuoentra nello stato di Yoga Nidra, che in termini scientifici si dice fase ipnagogica del sonno,le onde cerebrali cominciano a rallentare e a diventare onde del tipo alpha70. “… (Neconsegue che) quando il cervello sta producendo o emanando onde alfa significa cheentrambi gli emisferi cerebrali sono temporaneamente in equilibrio: la mente, in questacondizione, diventa non solo rilassata ma anche aperta e ricettiva...”71. E’ lo stato idealeper stimolare la nostra intelligenza creativa ed intuitiva.

66 Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001, pag. 167 Ibidem pag. 2968 Ibidem, pag. 3369 Ibidem, pag. 570Con la misurazione tramite EEG si verifica che le onde alfa sono riscontrabili in condizioni di veglia e di riposomentale, ma non nel sonno, dove sono assenti. Quando un soggetto è sottoposto ad un'attività cerebrale maggiore, siregistra la presenza delle onde beta. Queste sono dominanti in un soggetto ad occhi aperti, ma anche in stati di allerta.Le onde theta sono dominanti nel neonato e possono rappresentare tensioni emotive. Infine, le onde delta sonopredominanti nell'infanzia, nell'anestesia generale ed in alcune malattie cerebrali.71 Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol. 1, anno 7/02, pag. 24

33

Lo scopo che si prefigge Satyananda, con questa tecnica, è quello di liberare l’uomo dalletensioni, causa di malattie fisiche e mentali. Egli ne individua di tre tipi: muscolari,emozionali e psichici. Le tensioni muscolari si riferiscono al piano fisico in generale; quelleemozionali nascono dai nostri controsensi, o meglio dai nostri sentimenti di attrazione erepulsione (Satyananda pone particolarmente l’accento su queste tensioni perché ritieneche l’uomo moderno ne sia spesso vittima essendo incapace di esprimere i proprisentimenti e finendo per reprimere i propri slanci emotivi); infine le tensioni psichiche sonoquelle che nascono da un’eccessiva attività mentale. Egli ritiene che, per stemperarle, non sia sufficiente il sonno normale, dato che esso nonpermette di intervenire sui profondi strati mentali, dove prendono forma i nostri disagi.Queste tensioni sono strettamente collegate tra loro, tanto che ognuna influenza l’altra.Con Yoga Nidra si agisce in maniera diretta su tutte (l’esercizio si potrà fare in varie modie con approcci qualitativamente diversi, ma con la costanza e l’allenamento si interverràsempre più in profondità). Ma allentare una tensione significa allentare le altre, e ciò èinteressante: ci si può limitare solamente ad intervenire su un unico tipo di tensione(eseguire l’esercizio in maniera più superficiale, cioè limitarsi alla rotazione della coscienzasul corpo come descriverò in seguito, equivale ad influire sulla tensione muscolare, ma perl’effondersi dell’effetto, si agirà beneficamente anche sulle altre.

Durante la pratica, nella posizione di Shavasana, ben coperti per non rischiare di prenderefreddo e ben allineati perché non ci si senta disturbati dalla postura, si faranno diversi tipidi esperienze. Per cominciare si porterà l’attenzione ai rumori dell’ambiente. Si farà ciò per non isolare lamente di colpo dalle sollecitazioni esterne affinché non abbia ad agitarsi e disturbarsi.Mantenendo l’attenzione ad uno stimolo sensoriale, essa primo o poi, con naturalezza,perderà l’interesse, diverrà calma e sarà ben predisposta alla pratica.

Poi l’istruttore propone di percepire e rilassare alcune parti del corpo. Questa fase dellapratica si definisce rotazione della coscienza. “…Il movimento progressivo della consapevolezza attraverso le parti del corpo, non soloinduce il rilassamento fisico, ma ripulisce tutta la rete nervosa fino al cervello, sia quellache governa l’attività fisica sia quella che si occupa delle informazioni immesse. Nellostesso tempo percorriamo totalmente la superficie del cervello. In questo modo, YogaNidra rilassa la mente rilassando il corpo…”72.

Lo schema che si utilizza per muoverci nel corpo tiene conto della mappa neurologicaesistente nelle aree motorie del nostro cervello. Questa mappa si definisce “omuncolomotore”, ovvero la rappresentazione dell’estensione di ogni singola parte del corpo inqueste aree. Le dimensioni e l’ordine delle diverse parti corporee dipendono dall’ampiezzadel tessuto cerebrale motorio dedicatovi. Ne risulta un corpo umano distorto, un omuncoloappunto.“… Per quanto riguarda il tessuto cerebrale è stata data importanza alle mani, dita, labbrae naso che occupano aree molto più grandi delle misure e dimensioni relative alle parti delcorpo fisico e sono quelle stesse aree che ricevono una maggiore enfasi durante larotazione di coscienza in Yoga Nidra…”73.

Poi si potranno fare altri tipi di esperienze. Una delle prime, consisterà nel percepire il senso di pesantezza; cioè l’istruttore inviterà ipraticanti a porre l’attenzione al peso del corpo sul pavimento, a sentire la pressione che il

72 Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001, pag.3573 Ibidem pag.36

34

peso esercita. Questo esercizio sarà molto rilassante perché induce a lasciarsi andare e amollare le tensioni. Seguirà l’ascolto opposto delle sensazioni di leggerezza che citrasmettono le parti del corpo rivolte all’aria. “… Invocare l’esperienza opposta non è unascelta arbitraria, ma è in accordo con i principi elettrofisiologici del cervello. Ogni volta cheun neurone vibra, trasmette un impulso che viene registrato nel cervello. Però se lamedesima cellula continua a trasmettere ripetutamente per parecchio tempo, i suoimessaggi non vengono più tenuti in considerazione dal cervello…”74 ed esso non registrapiù lo stimolo.

La sollecitazione a ricreare nella mente l’esperienza di sensazioni opposte, non si limita aquelle di pesante\leggero.“… Dopo il rilassamento della superficie motosensoriale del cervello, la pratica procedeverso il risveglio di sensazioni ed esperienze…; mentre risvegliamo le sensazioni dipesantezza e leggerezza, caldo e freddo, dolore e piacere ecc., stiamo stimolando queicentri del cervello responsabili per il mantenimento dell’armonia tra le nostre condizioniinteriori ed esteriori. Ognuno di questi centri possiede un centro reciproco per equilibrare inostri impulsi basilari; per esempio, il centro del dolore, il centro del piacere, il centro dellafame, il centro della sazietà, ecc.. l’accoppiamento e l’alternanza di queste sensazioni inYoga Nidra aiuta a mantenere e anche a sviluppare questo equilibrio, portando sottocontrollo le normali funzioni inconsce ed involontarie. In questo modo Yoga Nidratrasforma progressivamente la nostra totale esperienza della vita sensoriale entro il corpofisico…”75. Questo passaggio mi sembra molto importante nell’ottica di migliorare lapercezione del corpo. Ananadananda dice a proposito: “… Ora, quando stiamo immaginando, visualizzando efacendo esperienza di queste sensazioni fra loro opposte, stiamo facendo qualcosa cheha un effetto contemporaneamente sulla mente e sul cervello ed in particolare siproducono degli effetti positivi nell’ipotalamo. Quest’ultimo è la parte del cervello che èresponsabile della trasformazione di un pensiero o di un’idea in un sentimento e inun’esperienza…”76.Agire sulle coppie di sensazioni opposte ci darà maggiore consapevolezza fisica e ciaiuterà notevolmente ad allentare le tensioni emotive che, come si è detto sopra, nasconodalla negazione di noi stessi per la nostra difficoltà ad accettarci, e sono la causa diparecchi nostri squilibri.

Anche la visualizzazione di immagini è utilizzata dall’istruttore che la richiama in specificimomenti della pratica. L’immagine ha un forte valore simbolico e richiama il bagaglio diinformazioni contenute nell’inconscio, depositato sotto forma, anch’esso, di immagini.Quindi si stabilisce una comunicazione efficace con la parte del cervello che ci sfugge.La scelta delle immagini da proporre è di estrema importanza e dovrà essere adattata allecircostanze: influiscono, nel valore del simbolo, la cultura in cui si è immersi e la storiapersonale di ciascuno. Esistono però dei simboli universali che possono essere riconosciuti da tutti (Jung liconsiderava i simboli che formano l’inconscio collettivo); nella cultura yogica, essi sonoraggruppati negli Yantra e nei Mandala. Secondo Satyananda, questi simboli evocanoeffetti molto profondi.Anche i chakra sono rappresentati da un simbolo, uno Yantra, il quale può essereutilizzato nell’esperienza di Yoga Nidra.

74 Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001, pag.4175 Ibidem pag.3976 Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol. 2, anno 7/02, pag. 27

35

“…I diversi simboli dei chakra, i loro colori, forme, divinità e mantra, furono designati aprodurre una diretta associazione con particolari centri psichici e conseguentementeun’associazione astratta con tutti gli aspetti di manifestazione di quel chakra nell’individuo.In effetti gli archetipi nel cervello umano sono rappresentati nei chakra. Perciò, scoprendola simbologia dei chakra, stiamo anche scoprendo e liberando i nostri archetipi…”77.Se parlando del Krya Yoga, s’è vista l’importanza del lavoro sul Ajna Chakra, potremmoinserire, nella pratica di Yoga Nidra, la visualizzazione dello Yantra corrispondente, untriangolo blu, con la punta rivolta verso il basso. Anche lo Yantra quadrato di Mulahadara,centro della radice, per la sua forza ad ancorarci al terreno, alla materialità, potrà essereevocato in questa fase.

Il sankalpa, durante la pratica, va formulato due volte. La prima sarà dopo l’ascolto deirumori che arrivano dall’esterno, prima della rotazione della coscienza sul corpo. Laseconda volta sarà alla fine della pratica.Presuppone forza di volontà e sentimento e non andrà confuso con la speranza che siesaudiscano i desideri. Esso serve a creare forza nella struttura della mente e ad aiutarci a trasformare il nostroschema di vita in maniera totale; quindi non dovrebbe essere usato solo per sradicareparticolari malsane abitudini. Un sankalpa ben formulato, riportandoci nel giusto stato diequilibrio andrebbe automaticamente a correggere le nostre cattive abitudini senza cheoccorra altro intervento. Non è facile individuare il Sankalpa adatto a noi; pertanto lo si dovrebbe scegliere soloquando si è pronti e non andrebbe cambiato, per dare il tempo alla mente dimetabolizzarlo. La formula da adottare dovrebbe coinvolgerci in prima persona; inoltre, dovrebbe esseresemplice, chiara, breve e formulata con frasi positive ovvero che non contengano dellenegazioni. Piuttosto che dire: “Non mi comporterò più così o colà”, sarà opportunoimpegnarsi con una formula precisa che ci faccia impegnare in un senso. Satyananda ce ne dà alcuni esempi applicabili genericamente: “…Io risveglierò il miopotenziale spirituale… Io sarò una forza positiva per l’evoluzione degli altri… io avròsuccesso in tutto ciò che intraprenderò… Io sarò più consapevole ed efficiente… Io otterròuna salute totale…”78.

Si è detto dell’interdipendenza tra il Sankalpa e lo Yoga Nidra, ma in realtà vi è lapossibilità di utilizzare il Sankalpa anche al di fuori di questa tecnica. Si tratta di formulare il proprio intento alla sera, poco prima di addormentarsi e al mattino,poco dopo la sveglia, per un periodo di tempo di almeno trenta giorni, affinché la menteabbia il tempo di “digerire” il messaggio. Il motivo di un tale suggerimento è che, nei momenti indicati, si sta attraversando lo statoipnagogico naturalmente, stato in cui si abbandonano i legami della mente conscia o essinon sono ancora stati ripresi.Immagino che la tecnica di Yoga Nidra sia più efficace: con questa i legami sono allentatima la coscienza è vigile.

77 Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001, pag.4878 Ibidem pag.70

36

37

La pratica proposta agli altri

Lo scopo di questo studio è avere dei concreti benefici personali, ma anche poterloapplicare alla mia attività di insegnante di yoga, dato che ritengo, come più volte hosottolineato, di trattare tematiche che toccano, oltre me, molte persone. Ma buona parte dei corsi organizzati dall’associazione con cui collaboro, che proponeincontri di yoga per tutti, raccogliendo le adesioni di un pubblico estremamente eterogeneo(compreso quello che conduco personalmente), e molti dei corsi di cui ho notizia nellazona dove abito, sono frequentati da partecipanti non sempre attentissimi e spesso “fruitorioccasionali” dello yoga. Temo che, per costoro, molte delle pratiche qui proposte sianotroppo difficili, per cui pericolose, o troppo lontane dal modo di pensare comune, perchénon generino sentimenti di repulsione. Ovviamente, è giusto e doveroso ritagliare lo spazio, nei corsi, per lasciare intravedere lesvariate possibilità che lo yoga generosamente ci mette a disposizione, cercando distimolare la curiosità dei presenti e ponendo l’accento sull’importanza di una praticacostante, organizzata e progressiva.Bisogna però, nella programmazione del corso, fare sempre i conti con le specificheesigenze dei singoli e le aspettative di tutti.Ecco, quindi, che i corsi (il mio, almeno) sono strutturati in modo che l’incontro di yoga noncrei perplessità, possa venire accettato con serenità e mantenga sempre, in una certamisura, dei connotati di “lievità”.

Interrogando i corsisti, all’inizio della stagione, sulle motivazioni che li spingono a venire,ciò che registro è il bisogno di relax, prima di ogni altra cosa. C’è poi una buona parte diloro, per lo più lavoratori sedentari ed un po’ arrugginiti, che vorrebbe fare del movimento“dolce”; c’è chi viene sperando di curare i propri acciacchi, chi è affascinato dall’oriente,chi vuole ritagliarsi uno spazio solo suo tra le mille forzate condivisioni quotidiane, chi èletteralmente in fuga da consorte e figli (almeno per un’ora) ecc.Le esigenze da assecondare sono davvero tante e variegate. Quello che mi pare un buon compromesso e che possa soddisfare tutti (o almeno lamaggior parte), è proporre una formula che, rispetto allo yoga, si avvicini all’immaginariodella nostra cultura, ma che, sotto sotto, lavori per dare stabilità e allenti le numerosetensioni.

Quindi, al centro della pratica che propongo, vi sono le Asana, le posture, perché, pertradizione, sono uno dei primi “gradini” da affrontare e perché ciò si aspettano disperimentare i corsisti, che dello yoga non conoscono molto altro. Sarebbe improponibile, a mio avviso, incominciare invitando al rispetto di Yama e Niyama,come suggerisce Patanjali79, le persone disposte a dedicare allo yoga un’ora allasettimana; esse sperano di trovare di tutto, meno che la rigidità ed i vincoli che, invece, difatto sono alla base questa disciplina.

79 Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti, 2,29

38

Altrettanto improponibile sarebbe incominciare con gli Satkarman come invece ci dice difare la Gheranda Samhita80. Certe pratiche di purificazione, per chi non ne ha mai sentitoparlare, non sarebbero incoraggianti.Lo stesso dicasi per il Krya Yoga che risulterebbe troppo difficile ed impegnativo.

Sarà, col tempo, sugli animi appassionati che, con estrema cautela e massima onestàintellettuale, si potrà innestare la curiosità a sondare altri aspetti dello yoga.

Lo schema di una mia proposta-tipo, per corsisti inesperti e saltuari, potrebbe essere ilseguente.Le posture, al centro della sequenza, che dovrebbero essere precedute da alcuni istanti diinteriorizzazione, verrebbero seguite da alcuni esercizi di Pranayama e, infine, conclusecon le tecniche di rilassamento. Il tutto tenendo in conto che“…attraverso l’attento studio delle sensazioni fisichesperimentate durante la pratica delle posizioni yoga, si possono identificare le sensazionisottili prodotte da ciascuna posizione. Esse diventano gradualmente chiare provandoripetutamente ogni posizione ed i suoi effetti immediati. Le istruzioni, alla fine di ogniposizione, di restare immobili, chiudere gli occhi e andare dentro il sé sono utili alconseguimento di questa consapevolezza…”81.

Nell’ottica di favorire l’ascolto del proprio corpo, qui di seguito tenterò di suggerire unacombinazione di esercizi che, spero, abbia questa capacità.Col presupposto che, chi non si percepisce, ha difficoltà ad equilibrare il rapporto tramente e corpo, parto proprio dal concetto di equilibrio per definire il filo conduttore.L’equilibrio da ricercare dovrebbe, in primo luogo, corrispondere alla stabilità del corpoinserito nello spazio, rispetto al proprio baricentro. Però non si tratta semplicemente di imparare a non cadere, se si vuole stare su unagamba; il concetto va esteso. Infatti, in questa capacità, rientra anche il bisogno di avereun buon rapporto con noi stessi e con ciò che ci circonda, attitudine che, se coltivata, ciaiuterebbe parecchio nel viverci come parte integrante di un insieme e in armonia conesso; ciò per non sentirci come particelle isolate, slegate dal contesto in cui si vaga.

Sarà utile, a tale scopo, cominciare praticando alcune Asana che ci diano con chiarezza ilsenso del radicamento a terra, con le quali è fondamentale metterci in relazione perricordarci la nostra natura più grossolana e materiale.A tal proposito, Gabriella Cella afferma: “…La presa di coscienza parte infatti dai piedi,che danno stabilità, e dunque dal primo elemento: la terra; quella terra che così spessomanca proprio alle persone che si avvicinano allo yoga, maggiormente proiettate versouna dimensione “aerea”, e pertanto con tendenza dispersiva…”82.Le posizioni capovolte sono importanti in quanto ci aiutano a liberarci da molti inutili edannosi condizionamenti, sia di tipo posturale che mentale, ma saranno più indicate allafine della sequenza di Asana, cioè quando abbiamo già sperimentato che il nostropercorso evolutivo inizia dalla nostra grossolanità.

Ma il concetto di equilibrio si presta a diverse riflessioni.Una chiave di lettura si trova negli insegnamenti dell’Hatha-Yoga, sui dualismi che cilimitano nell’evoluzione spirituale e sulle tecniche per appianarli. Le energie di Ida e

80 Stefano Fossati (a cura di), “Insegnamenti sullo Yoga (Gheranda Samhita)”, Ed. Promolibri, 1994, 1,9; 1,1081 Swami Rama, Rudolph Ballentine, Swami Ajaya, “Yoga e psicoterapia”, Ed. Mediterranee, 2003, pag. 3582 Gabriella Cella, “Yoga Ratna Il gioiello dello Yoga”, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 2006, pag. 31

39

Pingala, contrastanti tra loro e dominanti in momenti alterni della nostra vita, ci ancoranoad una visione della vita limitata e ci impediscono di prendere le cose con distacco. Quinditalvolta affrontiamo la vita con energia, altre volte con letargia; ci sentiamo, a tratti,proiettati verso il futuro o, talvolta, ancorati al passato; siamo occasionalmente riflessivi eimpulsivi e così via.Lo Yoga ci dà innumerevoli possibilità per sentirci più centrati e meno in balia di impulsiopposti tra loro. Oltre al Pranayama, che ci suggerisce molti esercizi con questa finalità (tanti sono quellisemplici e adatti a corsisti principianti; uno di questi è, per esempio Nadi Shodana), anchenella sfera delle Asana non vi è che l’imbarazzo della scelta. Premesso che la forza di Idaagisce sulla parte sinistra del corpo e quella di Pingala su quella destra, si potrà operareun significativo lavoro sul suo asse orizzontale con esercizi che mettono in relazione lenostre due metà, destra e sinistra.“…Quando le due parti di sé si saranno equilibrate si manifesterà un senso di grandepienezza della personalità. Il flusso dell’energia nel corpo verrà allora percepito comemeno sbilanciato e più ‘centrale’…”83.

Anche il piano verticale del corpo, però, potrà avere bisogno di equilibrio.Infatti, lungo questo asse sono distribuiti i Chakra ed ognuno di loro governa un aspettodella nostra mente. Satyananda, a tal proposito, afferma: “…Ogni chakra è un interruttoreche accende determinate aree del cervello. Nella maggior parte delle persone questicentri psichici sono assopiti e inattivi, la concentrazione sui chakra mentre si eseguono lepratiche logiche, stimola il flusso dell’energia attraverso i chakra e aiuta ad attivarli.Questo, a sua volta, risveglia aree dormienti nel cervello e le corrispondenti facoltà delcorpo psichico e mentale, permettendo all’individuo di sperimentare piani superiori dicoscienza che, normalmente sono inaccessibili…”84.Partendo dal basso e percorrendo la disposizione dei Chakra, troviamo che essi sonoassociati a: ricerca della sicurezza materiale e timore del pericolo, ricerca del piacerelegata alle pulsioni inconsce, ricerca dell’autoaffermazione e disposizione allasottomissione, ricerca della fratellanza, dell’amore e dell’empatia, ricerca della capacitàcreativa di discriminare, ricerca dell’intuitività.Ma oltre agli aspetti mentali, i Chakra sono in stretta relazione coi nostri sensi cognitivi epertanto con la nostra capacità di comunicare (sempre dal chakra più basso, salendoabbiamo collegamento con: olfatto, gusto, vista, tatto, udito e capacità di mettere i sensi inrelazione tra loro).E’ interessante anche ad un’altra vicinanza, di tipo simbolico, che i testi sacri fanno con ichakra: sentire in noi i principi costituenti la materia (sempre dal basso all’alto: terra,acqua, fuoco, aria, etere) concorre a farci sentire fisiologicamente ben aggregati nonchéintegrati col resto del mondo.

Infine, progettando una sequenza da proporre al mio corso di Yoga, penso che potreitenere in conto la fisiologia dei cinque kosha, involucri materiali in cui è avviluppata lanostra essenza spirituale (secondo questa teoria, illustrata nelle Upanisad Vediche, noideriviamo da due principi: la materia e lo spirito; la materia è formata da variestratificazioni interconnesse fra loro, le quali nascondono e proteggono lo spirito a noistessi, costringendoci ad un’eterna visione distorta della realtà). Gli strati partono dall’esterno con caratteristiche di maggiore grossolanità per rarefarsiman mano che li si osserva all’interno dell’individuo. Progredendo nel percorso yogico, si

83 Swami Rama, Rudolph Ballentine, Swami Ajaya, “Yoga e psicoterapia”, Ed. Mediterranee, 2003, pag. 6384 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag.489

40

passa dall’immedesimazione con le stratificazioni più esteriori, verso l’identificazione conaspetti sempre più spirituali ed interiori. Quindi, oltre al piano orizzontale e verticale, si può ricercare anche un equilibrio“centripeto”, che ci proietti dall’esterno all’interno e ci dia la misura di maggiore globalità.

Questa proposta è pensata per il corso che conduco; il pubblico, piuttosto eterogeneo (peretà, professione e interessi), è composto da circa quindici persone. In questo momento(ottobre 2007, corso è appena incominciato) sono iscritte sole donne, che non lamentanoparticolari patologie; alcune di loro praticano yoga da molti anni e lo praticano anche perproprio conto. La maggior parte, invece, lo pratica solo in palestra una o, raramente, duevolte alla settimana. Il corso si terrà da ottobre a maggio, inizia alle ore 18:00 e dura circa90’. Ritengo che questa sequenza sia già utilizzabile dopo due o tre mesi di corso.

Sukhasana: Seduti, a gambe incrociate, le mani si appoggiano sullecosce, verso le ginocchia, il busto è dritto, il petto aperto e le spallericadono morbide; il capo è allineato ed il mento è rientrato.Interiorizzare: portare l’attenzione dall’esterno all’interno con l’ascoltodel respiro che sarà mantenuto libero e senza controllo.Samasthiti : posizione che io propongo per il radicamento a terra;piedi distanti circa cm.25 e paralleli; bacino lievemente retroflesso;spalle morbide; schiena dritta; braccia lungo i fianchi; palmi dellemani rivolti verso le cosce; mento rientrato; collo rilassato; occhichiusi; ascoltare la posizione; ascoltare il peso sui piedi; spostare ilbaricentro in avanti, indietro, a destra e a sinistra, stazionandoqualche secondo, con ritorno sempre al centro e pausa d’ascoltonelle varie situazioni; una volta centrati, si ascolta il respiro In piedi ginocchia flesse poco, sollevare le braccia oltre il capoinspirando, flettersi arrotondando la schiena per portare le manivicino ai piedi.

Collegamento terra-cielo: serve per mettere in equilibrio il pianoverticale. In posizione di Samasthiti, inspirare sollevando le braccialateralmente, fino a giungere i palmi, con le dita rivolte verso l’alto,appena sopra il capo; i gomiti saranno flessi. Espirare, raddrizzandole braccia sul capo, staccando i palmi che guarderanno il cielo con ledita delle mani proiettate esternamente. All’inspiro successivo lemani si giungono e tornano appena sopra il capo, con i gomiti flessi.Espirando, le mani scendono giunte, passando davanti al corpo;all’altezza del cuore ruotano, scendendo ancora, e le dita si trovanorivolte verso il basso fino a staccarsi per ritrovarsi nella posizione dipartenza. Eseguire cinque volte.Da samasthiti, inspirare sollevando le braccia oltre il capo; espirare,si solleva la gamba destra, si porta il ginocchio verso il petto e,abbassando le braccia, si abbraccia il ginocchio. Prima su unagamba 3 o 5 volte, poi si passa sull’altra gamba.

41

Padahastasana: compensa l’asimmetria della posizione precedentee consolida il radicamento a terra. Partendo da samasthiti, espirando“…Flettere il busto in avanti finchè le dita o i palmi delle manitocchino il pavimento accanto ai piedi…”85. Il busto si dovrebbeappoggiare sulle cosce. In caso di rigidità (visto anche che siamoall’inizio dell’incontro), è bene flettere le ginocchia purché le manisiano saldamente appoggiate al suolo. Respirare con calma. Questo esercizio ha lo scopo di allungare i muscoli delle gambe e diconsolidare il radicamento a terra. Divaricare le gambe e porre i piedicon le punte aperte verso l’esterno. Con la schiena dritta e le bracciarilassate lungo il corpo, flettersi espirando sul ginocchio destro,mentre la gamba sinistra si allunga, e, inspirando tornare nellaposizione di partenza. Quindi al prossimo espiro eseguire sull’altrolato. Ripetere circa 5 o 7 volte. Tornare in samasthiti, ascoltare glieffetti. Riprendere poi la stessa posizione delle gambe ma, flettendola schiena, appoggiare le mani appena sopra le ginocchia. Eseguireancora l’esercizio con la stessa dinamica descritta sopra. Infinetornare in samasthiti per ascoltare gli effetti.Padahastasana: vedi sopra

Trikonasana. Questo esercizio ha lo scopo di allungare i muscolidelle gambe e quelli dorsali. Partendo da samasthiti, divaricare legambe e alzare le braccia fino all’altezza delle spalle. Inspirare dafermi ed espirare scendendo con la mano destra verso il piededestro. Il capo rimane allineato alle spalle. Inspirare mentre si risale(visto che siamo all’inizio dell’incontro ed i muscoli sono ancorafreddi, ritengo più prudente suggerire la risalita con la gamba destralievemente flessa all’altezza del ginocchio. Ciò permetterà discaricare meglio il peso sulle gambe per non gravare sulla schiena)e procedere poi scendendo sull’altro lato con le stesse modalità.Ripetere più volte. Malasana: consolida il radicamento a terra, stimola, nell’equilibrio delpiano verticale, le aree più basse. Dalla posizione precedente,espirando flettere le ginocchia e accovacciarsi, senza che i talloni sistacchino da terra. Le mani si giungono all’altezza del cuore con ledita rivolte in alto. Respirare con calma. In caso di difficoltà allecaviglie, scendere appoggiando la schiena alla parete o utilizzare deirialzi sotto i talloni.Shavasana. Ottima posizione per ricondurci al nostro equilibrio“centripeto”, in quanto ci dà la sensazione del nostro corpo siaall’esterno che all’interno. E’ anche una posizione utile per il nostroallineamento verticale. Distendersi supini con tutte le parti del corporilassate; i piedi, distanti circa venti centimetri tra loro, avranno lepunte che ricadono all’esterno; le gambe saranno distese; stringerele natiche, sollevare il bacino e riportarlo a terra lentamente; lebraccia saranno allineate al corpo, con i palmi delle mani rivolti in

85 Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2002, pag. 159

42

alto; ruotare il capo un poco nei due sensi per accertare il relax delcollo, quindi centrarlo; rientrare il mento. Ascoltare il movimento delrespiro.Ardha chandrasana da seduti: posizione che fortemente armonizza ilnostro equilibrio orizzontale. Dalla posizione di Vajrasana, scivolarecon le natiche sul pavimento, alla destra dei piedi. Assestarsi. Unire ipalmi delle mani con le dita intrecciate, rivolgerli all’esterno e,inspirando, alzare le braccia tese oltre il capo; espirando, flettere lacolonna vertebrale verso sinistra e permettere al capo di appoggiarsisulla parte alta del braccio sinistro. Respirare con continuità e calma.ripetere sull’altro lato. Marjari-asana: compensazione alla flessione laterale precedente;stimola, inoltre, la sensazione di equilibrio verticale, lasciandocipercepire facilmente il respiro nelle varie aree, che occorre stimolareper la respirazione yogica completa che si propone alla fine di questasequenza. Secondo Van Lysebeth “…Questo esercizio… permettedi acquisire il controllo dei muscoli addominali durante larespirazione e di restituire al diaframma tutta la perduta mobilità…”86.Dalla posizione di Vajrasana portarsi nella posizione carponi (mani,ginocchia e piedi distanti tra loro quant’è la larghezza delle spalle; lebraccia sono tese, il capo è allieneato). Espirando, flettere il capo inavanti mentre la schiena si inarca verso l’alto. Inspirando, il capo sialza e la schiena si arcua verso il basso. I due movimenti partonosempre dal bacino e proseguono, lungo la colonna, verso il capo.Shavasana. Ottima posizione per ricondurci al nostro equilibrio“centripeto”, in quanto ci dà la sensazione del nostro corpo siaall’esterno che all’interno. E’ anche una posizione utile per il nostroallineamento verticale. Distendersi supini con tutte le parti del corporilassate; i piedi, distanti circa venti centimetri tra loro, avranno lepunte che ricadono all’esterno; le gambe saranno distese; stringerele natiche, sollevare il bacino e riportarlo a terra lentamente; lebraccia saranno allineate al corpo, con i palmi delle mani rivolti inalto; ruotare il capo un poco nei due sensi per accertare il relax delcollo, quindi centrarlo; rientrare il mento. Ascoltare il movimento delrespiro.Svastikasana: posizione adatta a percepire il piano orizzontale delcorpo. Dalla posizione precedente, flettere le ginocchia edappoggiare le piante dei piedi a terra, distanti tra loro circa trenta oquaranta centimetri; portare le braccia a croce, appoggiate alpavimento, quindi fletterle a livello dei gomiti e sollevare gliavambracci verso l’alto. All’altezza del bacino, ruotare le gambeverso il lato sinistro, portando le ginocchia a terra; portare a terral’avambraccio destro lungo e parallelo al corpo e l’avambracciosinistro lungo e parallelo al capo; dolcemente ruotare il capo indirezione della spalla destra. Verificare che il corpo sia in unaposizione di estremo relax. Il respiro sarà fluido. Ripetere poisull’altro lato. Navasana: posizione che compensa l’asimmetria della precedente econsente di percepire il nostro equilibrio tra l’esterno e l’interno. DaShavasana, sollevare le gambe tese e unite, a circa venti centimetri

86 André Van Lysebeth, “Imparo lo yoga”, Ed. Mursia, 1975, pag. 178

43

dal pavimento. Contemporaneamente sollevare anche il busto daterra, col capo allineato, con le braccia tese e sospese, parallele alsuolo. Mantenere quel tanto che ci permette una respirazione fluida.Ripetere, eventualmente.Setu bandhasana: anche questa posizione serve a compensare laprecedente (per la diversa, intensa, flessione della spina dorsale) eaiuta a percepire il nostro corpo, composto da interno ed esterno. DaShavasana, flettere le ginocchia e portare i piedi a terra, il più vicinopossibile ai glutei. Iniziare con l’esercizio dinamico: inspirare esollevare il bacino verso l’alto, espirare riportarlo dolcemente egradualmente a terra. Dopo alcuni movimenti si può proporre difissare la posizione con le mani poste sotto la vita, le punte delle ditarivolte all’esterno e le braccia ripiegate all’altezza dei gomiti.Mantenere la gola rilassata ed un respiro fluido. Tenere pochi respiriper la caratteristica rajasica della posizione, che poco si adatterebbead una sequenza serale.Viparita Karani Asana: Questa posizione invertita serve adecondizionarci dalle nostre abitudini; è inoltre utile a farci allineare ea consolidare la sensazione del piano verticale. Agendo su buonaparte degli organi interni, sulle circolazioni del sangue e linfatica èun’ottima posizione per ridarci equilibrio tra interno ed esterno. DaShavasana, portare i palmi a terra, sollevare le gambe unite al cielo;quando saranno perpendicolari al suolo, staccare anche il bacino e,a gomiti flessi, appoggiare il bacino sui palmi delle mani. I piedi, inalto, non dovranno oltrepassare la linea del capo. Mantenere il collorilassato e la posizione per vari respiri. Halasana: accentua gli effetti della posizione precedente. Partendoda questa, portare le gambe unite oltre il capo, lentamente, fino ache i piedi raggiungono terra; quindi le mani lasciano la presa dellaschiena e si appoggiano coi palmi a terra, mantenendo le bracciaallungate. Il ritorno sarà molto lento, srotolando al spina dorsale, unavertebra alla volta, a terra. Quando il bacino sarà a terra e le gambeperpendicolari, si flettano le ginocchia, perché il peso delle gambenon gravi sulla parte bassa della schiena, per il ritorno in shavasana.Matsyasana: compensazione delle due posizioni precedenti. Partireda shavasana; sollevare il busto, aiutandosi con i gomiti e inarcarsi,portando la sommità del capo a terra. Respirare in maniera fluida.Evitare una tenuta lunga.Sukhasana: Seduti, a gambe incrociate, le mani si appoggiano allecosce, il busto è dritto, il petto aperto e le spalle sono rilassate; ilcapo è allineato ed il mento è rientrato. Respirazione Yogicacompleta: adatta a migliorare la percezione del nostro allineamentoverticale e dell’equilibrio che ho definito “centripeto”. Le fasi delrespiro dovranno essere lente e silenziose. Inspirare gonfiandol’addome completamente, poi abbassando il diaframma, gonfiare iltorace in fuori e verso l’alto e, successivamente sollevare le spalle ele clavicole leggermente. Espirare iniziando a sgonfiare il ventre; poi,alzando il diaframma, sgonfiare il torace ed abbassare anche lespalle. Osservare una breve pausa alla fine dell’espiro. Il tuttodovrebbe svolgersi con questo ordine e con la massima fluidità.

44

Shavasana e yoga Nidra semplificato: tecnica adatta a ristabilire tuttii tipi di equilibrio.Presa la posizione, invitare ad ascoltare i rumori di sottofondo. Dopoalcuni istanti, iniziare a guidare la rotazione della coscienza intorno alcorpo: dal pollice destro al piede destro, dal pollice sinistro al piedesinistro, dai talloni alla sommità del capo, dalla sommità del capo allapunta dei piedi. Dopodiché sollecitare l’ascolto della sensazione dipesantezza, collegandolo alla pressione della parte del corpo sulsuolo; associare alle fasi dell’espiro. Poi sollecitare l’ascolto dellasensazione contraria; il collegamento è con quanto registra la partedel corpo rivolta in alto e con l’inspiro. In seguito si riproporràl’ascolto dei rumori esterni e l’introduzione dei primi movimenti (dalleestremità al centro)Sukhasana: Seduti, a gambe incrociate, le mani si appoggiano allecosce, il busto è dritto, il petto aperto e le spalle sono morbide; ilcapo è allineato ed il mento è rientrato. È il momento del salutofinale.

45

46

Conclusioni

Le cose che ho scritto in questo mio lavoro sono state filtrate dall’esperienza diretta. In piccola parte, esse sono l’elaborazione di quanto, già in precedenza, rientrava nella miapratica personale. Penso, ad esempio, a Jala Neti, che pratico da anni e che trovo formidabile per svegliarmied affrontare la giornata con un atteggiamento migliore. Oppure penso allo Yoga Nidra ed al Sankalpa che Marisa Signori, la persona che mi haintrodotto allo Yoga, ha incluso con regolarità nella sua proposta (ad ogni incontro per quelche concerne lo Yoga Nidra e in particolari circostanze il Sankalpa) da che ho iniziato afrequentare i suoi corsi.Altre cose sono frutto del bagaglio di conoscenze dirette che devo all’Isfiy. Shank Prakshalana è un esercizio di cui avevo già sentito parlare. Doralice Lucchina, nellesue lezioni, è stata così incoraggiante da spingermi a provarlo. Nell’arco di un paio d’annil’ho fatto due volte, per fortuna senza incontrare particolari difficoltà. Spero quindi cheesso possa diventare una pratica familiare visto che la sensazione che lascia èparticolarmente piacevole.Ma all’Isfiy devo anche la conoscenza “indiretta” di molte cose. Cioè, avere un maggiorenumero di informazioni, mi ha permesso di leggere e, spero, di capire i testi con cui misono documentato per questo specifico studio.Delle tecniche descritte nel paragrafo dedicato al Krya Yoga, in particolare AnulomaViloma e Chakra Anusandhana mi erano ignote e sono entrate a far parte della miaquotidianità. In sostanza in queste pagine si descrive, né più né meno, quello che è diventata dallaprimavera del 2007 ed è, a tutt’oggi, la mia pratica personale. Con diverse difficoltà, si intende. Un esempio: la pratica di Yama e Nyama è la cosa che più fatico a seguire. In sostanza mi riesce molto difficile prendere le cose che mi accadono col giusto distaccoe riuscire a valutarle per quello che sono realmente.Posso dire quindi che qualcosa è realmente cambiato?Innanzi tutto non ho ripreso a fumare e la voglia di farlo va via via sparendo. Nel frattempo,oltre alla pratica di yoga, ho integrato tra le mie abitudini altre attività “salutari” come, percitarne una, dedicare un paio di ore al giorno a passeggiare in compagnia del mio cane.Direi che la mia tendenza ad ingrassare si è arrestata (a dire il vero, al costo di milleaccortezze e rinunce) e le mie funzioni fisiologiche (dormire, per esempio) sono piùregolari.Inoltre, l’occhio di questi ultimi tempi a certe sensibilità mi ha portato a fare delle piacevolied incoraggianti constatazioni nuove. Faccio degli esempi per semplificare il concetto: se sto mangiando qualcosa di buono efaccio attenzione alle sensazioni fisiche che sto provando, riesco a rievocare le stessesensazioni nell’arco della giornata. Si tratta di lievi e brevi percezioni che a me paiono ditipo fisico, come se stessi mangiando ancora quel cibo.

47

Oppure posso richiamare nel tempo (limitato, si intende) le sensazioni di altre esperienzefisiche. Mi capitava quest’estate, per esempio, di riuscire a riprovare, per brevi istanti, ilbenessere che deriva dal prendere il sole al mare. Ciò significa che percepisco meglio il corpo?Forse in minima parte sì, ma francamente credo che la domanda sia mal posta. “Non dedicatevi allo Yoga con delle aspettative… Lo Yoga non vi risparmia niente… Almassimo esso vi può aiutare nei passaggi della vita…” ama ripetere Ida Pezzini, la miamaestra di meditazione. Quindi l’insegnamento che mi viene dato è che non bisogna prefissarsi dei traguardi maimparare a prendere, giorno dopo giorno, quello che la vita ci offre, cercando di faresempre il meglio possibile. Non cantando, ingenuamente, troppo presto vittoria e riconoscendo che ciò che cipotrebbe sembrare un pregevole risultato oggi, si potrebbe trasformare in una perditadomani. E viceversa.

48

49

Bibliografia

Siti internet consultati:• http://www.ilmeridiano.info/articolo.php?Rif=10834 • http://psicolinea.blogspot.com/2006/09/le-funzioni-del-cervelletto.html • http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2005/03_Marzo/29/ART_insonnia-

obesita.shtml , • http://www.centroayurveda.it/sequenze.htm#asana

Testi:• Alexander Lowen, “Il narcisismo” Ed. Universale Economica Feltrinelli, 1992• Alexander Lowen, “Il tradimento del corpo”, Ed. Mediterranee, 1982• André Van Lysebeth, “Imparo lo yoga”, Ed. Mursia, 1975 • André Van Lysebeth, “I miei esercizi di yoga”, Ed. Mursia, 1980• André Van Lysebeth, “Perfeziono lo yoga”, Ed. Mursia, 1978 • André Van Lysebeth, “Pranayama, la dinamica del respiro”, Ed. Astrolabio, 1973 • Cinzia Picchioni, “Le regole per la vita quotidiana”, Ed. Magnanelli. 2002• Gabriella Cella, “Yoga Ratna Il gioiello dello Yoga”, Ed. Universale Economica

Feltrinelli, 2006 • Patanjali, “Yoga Sutra” Ed. Mimesis, 2002, A cura di Scarabelli e Vinti • Stefano Fossati (a cura di), “Insegnamenti sullo Yoga (Gheranda Samhita)”, Ed.

Promolibri, 1994• Stefano Piano, “Enciclopedia dello yoga”, ed. Magnanelli, 2006• Svatmarama, “La lucerna dello Hatha-Yoga (Hatha-yoga Pradipika)”, a cura di G.

Spera, Ed.Magnanelli, 2006 • Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol.1, anno 7/02 • Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol.2, anno 7/02 • Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol.3, anno 7/02 • Swami Anandananda Saraswati, “Yoga”, vol.4, anno 7/02 • Swami Rama, Rudolph Ballentine, Swami Ajaya, “Yoga e psicoterapia”, Ed.

Mediterranee, 2003• Swami Satyananda Saraswati, “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Ed.

Satyananda Ashram Italia, 2002• Swami Satyananda Saraswati, “Kundalini Tantra”, Ed. Satyananda Ashram Italia,

1994 • Swami Satyananda Saraswati, “Yoga Nidra”, Ed. Satyananda Ashram Italia, 2001 • Swami Sivananda, “Brahmacharya, teoria e pratica della castità”, Ed. Vidyananda,

1988, pag. 124

50

51