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[ITA] Rahner H. - Simboli Della Chiesa1

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LA CONTINUAZIONE DELLA DOTTRINA

NELLA TEOLOGIA LATINA

Il passaggio alla teologia dei Padri latini non signi­fica l'inizio d'un nuovo corso storico dell'idea che andiamo studiando. Infatti Origene e Ippolito, ai quali in Oriente si sono ispirati Metodio e Gregorio, sono stati maestri anche per l'Occidente. Essi sono i magistri di AMBROGIO. La dipendenza del vescovo di Milano da Origene è troppo nota e non esige qui una dimostra­zione diretta. Del resto si potrà subito dedurre dalla dottrina della nascita di Dio quanto sia reale tale dipen­denza. Meno considerata, invece, ma pur tanto impor­tante è la dipendenza di Ambrogio da Ippolito *. Ed anche ciò ha la sua conferma nella dottrina della na­scita di Dio, ed è ancor più evidente alla luce dell'anti­chissima dottrina, notoriamente ippolitiana, del ' Verbo

1 N. BONWETSCH dà una prova esauriente di questa dipendenza da Ippolito nella sua edizione della piccola opera di Ippolito recente­mente scoperta (Texte und Unters. 26, I, Lipsia 1904) e nell'edizione completa del commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2, Lipsia 1903). Alcuni documenti sulla presente questione in ZkTh 59 (1935) 77-79·

92 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

saltante ' che dal cuore del Padre viene nel cuore del credente 2. La predilezione di Ippolito per la dottrina della nascita del Logos dal cuore del Padre si riflette chiaramente nelle opere di Ambrogio 3. Con l'antica speculazione romana di Ippolito si raccoglie in Am­brogio anche l'eredità di Origene e poi quella di Filone, ossia la tesi dell'antica psicologia sulla virtù generativa del cuore 4. In Ambrogio si trovano tutti gli elementi della teoria che abbiamo fin qui esposta. E se nelle opere di Ambrogio essi non hanno avuto una precisa sistematizzazione, ciò si deve all'originalità della sua produzione letteraria: quando s'imbatte in concetti teologici particolarmente suggestivi, Ambrogio si limita a copiare quanto i dotti predecessori gli offrono. E siccome i suoi scritti hanno un notevole valore proba­tivo per la vitalità della tradizione, da essi noi pos­siamo facilmente dedurre, a prescindere dall'eventuale testimonianza letteraria, di quale intensità sia stato l'influsso della tradizione per quanto riguarda la dot­trina della nascita di Dio.

Si deve certamente all'influsso dell'esegesi di Ori­gene se anche Ambrogio ha considerato le parole di Is 26,18 e Gal 4,19 qual fondamento dei suoi con­cetti sulla virtù generativa del cuore. Quella forza generativa di pensieri che egli, d'accordo con l'antica

a Cfr. sopra p. 22S. * Per le prove di IPPOLITO e AMBROGIO, date sopra a p. 2is, cfr.

anche i passi del Commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2), p. 26, 26; p. 31, uss: «Il Figlio è nato per generazione da David e dal cuore del Padre»; p. 31, 3iss: «Il mio cuore - dice il Padre - ha generato il Verbo, mentre da Davide è stato generato l'uomo ». - Ciò è descritto da Ambrogio. Sui sud­detti testi cfr. anche De Virginitate 11 (PL 16, 282 B).

4 Cfr. sopra p. 20S.

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psicologia, attribuisce all'intimo dell'anima, cioè al cuore, si esprime ora anche in senso religioso. La mens, ossia l'anima in grazia, genera i buoni pensieri5: « Quid autem sanctius mente, quae dat bonarum semina cogi-tationum, quibus aperit vulvam animae conclusam pariendi sterilitate, ut possit illas invisibiles generatio-nes edere, utero videlicet spiritali, de quo dicit Isaias (segue Is 26,18) ».

L'intimo, il cor intelligibile6, è il luogo segretissimo in cui si compie il parto spirituale. In questo luogo segreto vive Cristo. Ivi è il suo soggiorno preferito: «In corde amat esse Christus»7. L'essenza della vita spirituale è dunque l'intima unione col Logos: il cre­scere e morire del Verbo eterno nel nostro cuore; la morte spirituale è un distacco dell'anima dalla sua vita interiore, dal Verbo divino : « Vivit igitur Dei Verbum et maxime in animis vivit piorum... Moritur nobis, si a nostra anima separetur ... mors enim vera est Verbi et animae separatio»8. È indicativo per l'origine di questi concetti il fatto che Ambrogio parli una volta espressamente del Λόγος παρ&ενικός9 dimorante nel­l'anima: questi è il Logos che per eterna generazione verginale procede dal cuore del Padre10 ed ha ora trasformato con la sua inabitazione l'anima del cre-

5 De Abraham 2, 11, 78 (CSEL 32, 1, p. 630, I2ss). • Ivi (p. 630, 17). ' De virginitate 19 (PL 16, 298 D). - Cfr. anche Epist. 41, 12 (PL

16 1116C): « Ambulat Christus in pectoribus singulorum ». » De fuga saeculi 2, 13 (CSEL 32, 2, p. 173, uss). • Epist. 31, 2 (PL 16, 1066 B). 10 Sulla generazione eterna dalla natura verginale del Padre cfr.

anche De fide ad Gratianum 4, 8 (PL itì, 63413), dove viene spiegato il testo del Sai 109, 3 : « Uterus paternae arcanum substantiae inte-riusque secretum ».

•94 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dente in teatro della sua vita mistica: « Nostris enim meritis Verbum Dei nobis aut vivit aut moritur, nam si bona studia atque opera nostra sint, vivit atque operatur in nobis Dei Verbum » n .

È interessante vedere come questi concetti sulla mistica sopravvivenza del Logos nel cuore del credente abbiano nel pratico Ambrogio, non ostante l'identità delle fonti, uno sviluppo completamente diverso rispetto al contemporaneo Gregorio Nisseno. La nascita di Dio si realizza sempre, secondo Ambrogio, nell'ordinaria vita morale del credente; d'un sistema mistico, invece, nessuna traccia. Anche la rigenerazione battesimale non è posta in rapporto con la nascita del Logos dal cuore. C'è solo un pensiero predominante: con una vita buona e onesta il cristiano deve conservare in sé l'inabitante Cristo; chi accoglie nel seno materno del cuore i " buoni pensieri ', genera Cristo. Si deve ad Ambrogio se d'ora in poi, fino al medioevo, non emergerà più l'interpretazione dommatica e mistica della nascita di Dio, ma solo quella ascetica.

Che il principio della vita dell'inabitante Logos sia una vera nascita, Ambrogio lo dice espressamente. Cristo è il bimbo generato dallo spirito che ha il timore di Dio : « Christus ipse est et puer quem parturit qui in utero suae mentis accepit spiritum salutis » 12. Questa generazione è il principio animatore d'un'interiore cre­scita del Logos-bambino nel cuore (anche qui il maestro è Origene) 13 : « Quae tanti forma sit partus demonstrat

11 Epist. 32, 2 (PL ιό, 1066 A). 12 Enarr. in Ps. 47, io (PL 14, 1150 B) . 1 3 Cfr. sopra p. 47S. N o n è da escludersi che qui abbia esercitato

un certo influsso anche il Commentario al Cantico dei Cantici di GREGORIO NISSENO.

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Apostolus dicens (Gal 4,19). In liane formam (Christi) tota mentis nostrae coalescant viscera et in ilio genitali alvo animae nostrae Christus refulgeat. Partus noster fides sit... his quaedam cordis nostri imbuatur infantia, instituatur pueritia, iuvenculescat adulescentia, senecta canescat »14.

Inspirandosi ancora chiaramente ad Origene, Am­brogio paragona la perdita della grazia a un aborto. Il testo del commentario a Luca, dove questo concetto è presentato nei dettagli, è sotto molti aspetti degno di nota. Esso riunisce insieme quel che Ambrogio ha scritto altrove, e contiene tutti gli elementi della storia della nostra idea, ma nel tipico stile di Ambrogio. Il concepimento del Logos-bambino mediante una vita di rettitudine e di virtù, il « divenire madre di Cristo » nel compimento della volontà di Dio, l'imitazione della Vergine Maria nel concepimento interiore per opera dello Spirito Santo: tutto ciò è stato sempre presente nella tradizione. In Ambrogio riaffiora ancora una volta, e il commentario a Luca ha contribuito moltissimo, per il suo rilevante influsso fino al medioevo, al perpetuarsi dell'idea. Ecco le parole di Ambrogio 15 : «Sunt enim et quae de Dei timore concipiunt quae dicunt : ' de timore tuo concepimus et parturivimus ' (Is 26,18}. Sed non omnes pariunt, non omnes perfecti, non omnes possunt dicere: ' peperimus spiritum salu-tis in terra ', non omnes Mariae, quae de Spiritu Sancto Christum concipiant, Verbum pariant. Sunt enim quae abortivum excludant Verbum antequam pariant, sunt quae in utero Christum habeant sed nondum formave-

14 De Cairi et Abete, 1, 2 (CSEL 32, 2, p. 378, uss). 15 In Lue. comm. io, 14.25 (CSEL 32, 4, p. 464S).

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rint, quibus dicitur (segue Gal 4,19). Fac voluntatem Patris, ut Christi mater sis. Multae conceperunt Christum et non generaverunt. Ergo quae park iustitiam, Chri­stum parit, quae parit sapientiam, Christum parit, quae parturit verbum, Christum parturit».

Queste parole di Ambrogio non sono però carat­teristiche soltanto per il nesso con la tradizione; esse sono indicative anche della direzione in cui si è evoluto il concetto della nascita di Dio nella teologia e nella spiritualità latina. La teologia della nascita di Dio non vien più presentata in una profonda speculazione mi­stica, come presso i greci, e nemmeno in così stretto rapporto con la processione eterna del Logos dal cuore del Padre; ma sempre più e con crescente insistenza nel contesto etico-morale delle ' buone opere ' e nella veste ' mariana ', già evidente nelle surriportate parole di Ambrogio. Maria, tipo della Vergine-Madre, della Chiesa; Maria, modello dell'anima vergine; il mistero del Natale, principio della vita spirituale: questi sa­ranno d'ora in avanti i concetti fondamentali. Nel­l'anima, dice Ambrogio, si ripete il mistero di Betlem­me: generando spiritualmente Cristo nel cuore, essa diventa la ' Casa del pane ' 1 β : « Omnis itaque anima quae recipit panem illum descendentem de caelo domus panis est... incipit ergo concipere anima et formari in ea Christus quae recipit adventum eius ». In questa interiore generazione di Cristo, l'anima del credente imita la Vergine Maria, vien chiamata ' Maria ', come una volta la Maddalena fu chiamata Maria dal Signore solo quand'ella si rivolse a lu i 1 7 : « Quando converti

" Epist. 70, 13.16 (PL 16, 1237 B; 1238 A ) . 17 De virginitate 4, 20 (PL 16, 271 B).

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incipit, Maria vocatur, hoc est nomen eius accipit quae parturit Christum; est enim. anima quae spiritualiter parturit Christum».

Ciò è di capitale importanza per la conoscenza del pensiero medievale sulla nascita di Dio, poiché è so­prattutto Ambrogio (e dopo di lui Agostino) ad indi­care la direzione del successivo sviluppo dell'idea, tanto che il modo in cui questi due parlano della na­scita di Dio è lo stesso in cui ne parlerà poi il medioevo. Precisamente in questa svolta della storia della dottrina che stiamo ora studiando, nella restrizione (se così possiamo esprimerci) all'aspetto morale e devozionale, nel sorgere del culto mariano, nell'insistenza sull'avve­nimento storico del Natale, possiamo osservare il lento costituirsi della spiritualità del primo medioevo. Ciò vale soprattutto e in primo luogo per il più grande disce­polo di Ambrogio, AGOSTINO.

È significativo il fatto che la teologia della nascita di Dio, tanto apprezzata dalla speculazione dei Padri greci, non abbia avuto invece in Agostino una eco adeguata. Questo complesso dottrinale svolge in ogni caso un ruolo di secondaria importanza nel pensiero agostiniano intorno al Corpo di Cristo, alla Chiesa, e alla grazia. Proprio là, dove ci si sarebbe aspettato un più facile consenso alla mistica continuazione della nascita eterna del Logos dal Padre, cioè nelle rifles­sioni di Agostino sull'eterna e incessante nascita del Logos - come avvenne in Origene, Gregorio Nisseno e soprattutto Massimo, - non se ne ha invece nessuna traccia18. Nella sua ecclesiologia Agostino s'avvicina

18 Cfr. Epist. 238, 4 (CSEL 57, p. 552, 16): « Semper gignit Pater et semper nascitur Filius ». - Cfr. anche Enarr. in Ps. 2, 6 (PL

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maggiormente alla dottrina della nascita di Dio nel cuore de credente. Questo è un tema tanto caro ad Agostino: la Chiesa, feconda e verginale madre del credente 19. Ma il suo pensiero è rivolto esplicitamente solo alle membra Christi, che dalla Madre Chiesa rice­vono la vita divina nella rigenerazione battesimale. Tuttavia, riferendosi alla dottrina dell'unità del Corpo mistico di Cristo (sulla quale non possiamo ora indu­giare), egli dice espressamente che la Chiesa è Madre di Cristo 20. Manca però, come abbiamo potuto co­statare, l'altro antico concetto, tanto apprezzato dal tempo di Ippolito: la Chiesa che forma e genera il Cristo mistico nel cuore dei credenti 21.

36, 71 A). - Tract. in Ioann. 21 , 3.5 (PL 36, 1565SS). - Questi testi sono importanti perchè ad essi più tardi si riferisce espressamente ECKEHART. Per tutta la questione cfr. M. SCHMAUS, Die psychologische Trinitàtslehre des hi. Augusiinus. p. 130S.

11 Cfr. FH. HOFFMANN, Der Kirchenbegriff des hi. Augustinus, M o ­naco 1933, p. 264S; 494.

20 Enarr. in Ps. 127, 12 (PL 37, 1685): «Mater quomodo, nisi quia ipse Christus est in christianis quos christianos per baptismum quotidie parit Ecclesia ». - Il medesimo concetto in Serm. io, 2 (PL 38, 92). Agostino richiama due volte il passo di Mat 12, 50, del cui antichissimo uso siamo già a conoscenza. Il luogo classico di Agostino per questi concetti è contenuto nell'opera De virginitate, in cui questa ecclesiologia di Agostino ha trovato la sua espressione più bella. Cfr. De Virg. 5 (CSEL 41, p. 239, 14S): «Mater eius est tota Ecclesia, quia membra eius, id est fideles eius, per Dei gratiam ipsa utique parit ». Sermo 213, 7 in tradìtione Symboli 2 (PL 38, 1064): «Sic et Ecclesia et parit et virgo est. Et si consideres, Christum parit, quia membra eius sunt qui baptizantur ».

21 Al contrario si dice in De uiiginitaSe 5 (CSEL 41, p. 239, 15SS) che l'anima, operando negli altri la salvezza mediante l'amore, di­viene in questo modo ' madre di Cristo ' : « Item mater eius est omnis anima pia, faciens voluntatem Patris eius fecundissima cantate, in iis quos parturit, donec in eis ipse formetur ». - Qui si sente ancora una volta l'antica teologia, in consonanza con Gal 4,19. Altrove Agostino attenua questo farsi di Cristo nell'intimo del credente: cfr. Epist. 82, 4 (CSEL 34, p. 355, ios).

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Agostino parla molto di più - e ciò si deve certa­mente all'influsso di Ambrogio e alla tradizione ora­toria latina - dell'aspetto etico-morale della nascita di Dio. Nell'inizio e nello sviluppo della vita intcriore, nel profondo del ' cuore ', dove dimora l'eterno Verbo di Dio, nella tipicamente agostiniana interiorità del cuore, si compie la nascita mistica di Cristo. Il cuore del cre­dente, immagine del corpo verginale di Maria, è il luogo in cui anima e Verbo s'incontrano. Questo è il gran tema che ha tanto impegnato Agostino, come egli stesso ha riconosciuto nelle immortali parole delle Confessiones : « Ut redeamus hinc ad eam in illud secre­timi, unde processit ad nos, in ipsum primum virgina-lem uterum, ubi ei nupsit humana creatura, ut redeamus ad cor et inveniamus eum » 22.

Anche in Agostino è soprattutto il mistero del Na­tale che gli fa pronunziare sulla nascita di Dio nel cuore quelle parole che sono rimaste vive e operanti in tutti i tempi. Maria è il grande modello di tutte le anime credenti ; ciò che una volta si compì in lei storicamente, deve ripetersi spiritualmente nei cuori. Nella vita m o ­rale del credente deve essere riprodotta specialmente

22 Confessiones 4, 12, 19 (CSEL 33, p. 79, 6ss). - I testi agosti­niani in favore dell'inabitazione del Verbo eterno nel cuore del cre­dente sono innumerevoli. Cfr. Enarr. in Ps. 36, Sermo 3, 12 (PL 36, 390) : « Liberai a laqueo Verbum Dei in corde, liberat a via prava Verbum Dei in corde... tecum est cuius Verbum a te non recedit ». -Così pure Sermo 117, 17 (PL 38, 671); Sermo 190, 3 in Natal. Dom. 7 (PL 38, 1008); Traci, in Ioann. 50, 2 (PL 35, 1759). Ha esercitato un profondo influsso sulla teologia del cuore della mistica tedesca specialmente un'espressione di Agostino del De vera religione 39 (PL 34, 154) : « Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat Veritas ». ECKEHAET cita questo testo con particolare piacere. Cfr. anche M. SCHMAUS, op. rif., p. 309 sulla mistica agostiniana sull'intimo dell'anima.

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la fede, per la quale Mafia divenne Madre del Verbo: « Fides in mente, Christus in ventre » 23. L'incarnazione mediante la fede della Vergine è il primo principio della vita divina in noi. « Verbum caro factum est prò nobis, ut a matre procedens habitaret in nobis » 24 : questo è il tema trattato sempre e con molta eloquenza nelle sue prediche di Natale. La nascita interiore di Cristo nel cuore dei credenti deve essere il principio dell'ascesa interiore : « Ecce habemus infantem Chri­stum, crescamus cum eo » 25. Agostino si rivolge espres­samente alla massa dei suoi uditori: questo fatto inte­riore è per lui solo un'espressione della crescita spiri­tuale, indispensabile a tutti i cristiani. Siamo qui lontani da ogni mistica, ma proprio da ciò possiamo rilevare il realismo ed anche l'antichità della popolare dottrina agostiniana della grazia : « Quod miramini in carne Mariae, agite in penetralibus animae. Qui corde credit ad iustitiam, concipit Christum. Qui ore confitetur ad salutem, parit Christum. Sic in mentibus vestris et fecunditas exuberet et virginitas perseveret » 26. Affio-

a3 Sermo 196, 1 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1010); De virginitate 3 (CSEL 41, p. 237, I7ss): « Sic et materna propinquitas nibil Mariae profuisset, nisi felicius Christum corde quam carne gestasset ». - Enarr. in Ps. 67, 21 (PL 36, 826): «Illa virgo Christum... spiritualiter cre­dendo concepii ».

24 Sermo 195 in Nat. Dom. 12 (PL 38, 1019). 25 Sermo 196, 3 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1020). - Anche in Ago­

stino ricorre una volta, insieme con la citazione di Gal 4,19, l'inter­pretazione della figura dell' ' aborto ' trasmessa da Ambrogio e Ori­gene. Cfr. Enarr. in Ps. 57, 5 (PL 36, 678) : « Nascuntur inter viscera Ecclesiae quidam parvuli et bonum est ut formati exeant ne abortu labantur ». Ma anche qui si tratta solamente della nascita delle mem­bra di Cristo. Cfr. anche la bella esposizione del rapporto tra il Natale e la rigenerazione battesimale, in Tract. in Ioann. 2, 15 (PL 35, 1395).

·· Sermo 191, 4 in Nat. Dom. 8 (PL 38, io l i ) .

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ratio chiaramente le parole del Commentario a Luca di Ambrogio. Quasi con le medesime parole anche lo Ps.-Crisostomo ha spiegato ai fedeli questa nascita morale di Dio 27. Tutto ciò risale infine alla teologia di Origene sulla nascita di Dio dalle ' buone opere '. In contrasto con la sublime speculazione di Gregorio Nisseno e di Massimo, qui s'avverte il senso popolare dell'antica teologia della nascita di Dio. Così predicano i sacerdoti. I mistici però han parlato in altro modo.

L'idea della verginità spirituale, predicata da Ago­stino ai suoi fedeli, è di particolare importanza anche per la dottrina della perfezione. E sotto questo aspetto è significativo specialmente il concetto della maternità spirituale in ordine a Cristo, di cui conosciamo ormai la storia. Agostino ha presentato questo ideale di ver­ginità nel suo opuscolo De virginitate: Maria, Chiesa, Vergine: nel medesimo ordine si perpetua nei tempi la maternità rispetto a Cristo28. Difficilmente si va errati se proprio qui si vede ancora una volta l'influsso del grande ammiratore della verginità, Ambrogio. Gli stessi concetti sono espressi anche da Agostino nelle sue prediche di Natale, come esortazione diretta alle vergini: « Exultate virgines Christi, consors vestra est mater Christi... verumtamen si verbi eius memineritis sicut meminisse debetis ( Mat 12,50): estis edam vos matres eius, quia voluntatem facitis Patris eius. Hunc (Christum) fide concipite, operibus edite. Ut quod egit uterus Mariae in carne Christi, agat cor vestrurn

27 Cfr. sopra, ρ. 6η. 28 De virginitate 5 (CSEL 41, p. 239, 6s): «Et ipsae (virgines)

cum Maria matres Christi sunt, si Patris eius faciunt voluntatem », -Ivi, 6 (CSEL 4.1, p. 240, I7s): « Quia voluntatem Patris faciunt, Christi spiritaliter matres sunt ».

102 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

in lege Christi » 29. Rimane ancora l'idea della nascita di Dio dalle ' buone opere ', pervenuta ad Agostino da Origene per il tramite di Ambrogio. L'anima diviene genitrice di Cristo nella fede, nel compimento del bene, nell'adempimento della volontà del Padre. Solo una volta Agostino si riferisce apertamente al fondamento della vita morale, alla grazia battesimale, mettendo il mistero della nascita di Cristo in rapporto con la rige­nerazione battesimale. È la descrizione più bella e a un tempo più agostiniana della nascita di Dio nel cuore del credente 30 : « Nemo dubitet renasci, Christus natus est... fiat itaque in cordibus nostris misericordia eius. Portavit eum mater in utero; portemus (et nos) in corde. Gravidata est virgo incarnatione Christi; gra-videntur pectora nostra fide Christi. Peperit (virgo) Salvatorem; pariat (anima nostra salutem, pariamus) et laudem. Non simus steriles, animae nostrae fecundae sint Deo ».

Tali concetti e parole caratterizzano in questo mo­mento la predicazione nell'Occidente cristiano. Ago­stino è il Maestro anche per quanto riguarda la dottrina della nascita di Dio. Ma nel medioevo molti testi presi da prediche post-agostiniane furono attribuiti diret­tamente al grande Maestro. Per questa ragione dob­biamo ora prendere in esame la continuazione del pensiero agostiniano, per poterne valutare l'influsso sul primo medioevo.

28 Sermo 192, 2 in Nat. Doni. 9 (PL 38, 1012). 30 Sermo 180, 3 in Nat. Dom. 6 (PL 38, 1006). Pubblicato nuova­

mente secondo un'altra tradizione manoscritta da G. MOBIN, Sancti Augustini Sermones post Maurinos reperti (Miscellanea Agostiniana, i), Roma 1930, p. 211. Nel nostro testo sono poste tra parentesi le parole non contenute nei manoscritti di Morin.

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Più efficacemente forse di qualche predica può aver favorito il conservarsi dell'idea il fatto che essa venne accolta anche nei testi liturgici. Specialmente l'antica liturgia spagnola ha tratto dal pensiero di Agostino il concetto, sempre più ' medievale ', di Maria qual mo­dello sublime della Chiesa e dell'anima credente. Ivi così si prega 31 : « Quod praestitum est carnaliter sed singulariter tunc Mariae, nunc spiritaliter praestetur Ecclesiae: ut te fides indubitata concipiat, te mens de corruptione liberata parturiat, et semper anima virtute Altissimi obumbrata contineat. Ne discedas a nobis sed procedas ex nobis ».

Si ha la medesima cosa in due preghiere della vigilia pasquale 32 : anche qui Maria è il tipo della vergine e feconda Chiesa, come era stata descritta spesso e con espressioni profonde nella teologia agostiniana 33. Alla luce di queste fonti, della liturgia gallicana e degli scritti di Agostino, si devono chiarire anche quelle allusioni che troviamo di frequente negli scritti dei vescovi gallici. Così, ad esempio, quando CESARIO

D'ARLES scrive : « Gaudeat Christi Ecclesia quae ad similitudinem beatae Mariae mater divinae prolis effi-

31 Le Liber Mozarabicus Sacramentorum (ed. M. Férotiti), Parigi 1912 , co l . 54, 32SS.

aa Ivi, p. 250, 7ss: «Filii lucis oriuntur quos maturino partu per gratiam spiritalem hac nocte progenerai Mater Ecclesia sine corrup­tione concipiens et cum gaudio pariens, exprimens in se utique for­matti Virginis Genitricis absque ullo humanae contagionis fecunda conceptu ». - Cfr. il prefazio del Sabato Santo del GREGOHIANUM (Muratori II, col. 313): «Filii lucis oriuntur quos exemplo dominicae Matris sine corruptione sancta Mater Ecclesia concipit ». Sarebbe interessante studiare queste preghiere nel loro rapporto con la teologia agostiniana e con quella più antica.

33 Cfr. ancora Enchiridion 34, io (PL 40, 249) : « Ecclesia quae imitane eius Matrem quotidie parit membra eius et virgo est ».

104 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

citur » 34. Dal medesimo ambiente provengono le pre­diche conosciute come pseudo-agostiniane, sia che si debbano a MASSIMO DA TORINO Ο a CESARIO Ο a qualche altro vescovo.

Forse non v'è nulla di più indicativo per il conte­nuto di tali prediche che una breve frase d'un sermone natalizio: « Hodie natus est non sibi Christus sed mihi »35. Qui s'avverte chiaramente il passaggio al medioevo: s'annunzia infatti quella virile e commovente interio­rità, che sempre più accentua l'egocentrismo del mistero nel ricordo delle parole di Origene: « Che giova a me se Cristo è nato, ma non in me? ». Con sempre maggior frequenza si dice che il Figlio di Dio s'è fatto uomo per abitare nell'intimo del nostro cuore : « Hic prò nobis natus est, hic etiam, si digne agatis, habitat in vobis » 3e. Una vita cristiana senza peccato ne è la condizione. Ed anche ciò è caratteristico per la storia dell'idea. Così leggiamo in una di queste prediche popolari: «Porte-mus ergo et nos Deum in casto corpore, quem Virginis casta membra portaverunt... ut semper Christum in corde nostro portare possimus, castos ac puros nos exhibeamus ab omni peccato, ut Christus habitare pos-sit in nobis. Qui enim Christum non habet in se, chri-stianus non potest dici » 37.

Il concetto della nascita di Cristo s'è ora tramutato in un ' avere ' ο ' portare ' internamente il Signore. In un'altra di queste prediche si può ancor meglio rile­vare non soltanto lo stile agostiniano, ma anche l'antico

34 Homi!, de paschate 3 (PL 67, 1048 B) . 36 Serm. 124, 1 (PL 39, 1992). 36 Serm. 371, 4 (PL 39, 1661). 31 Serm. 125, 4 (PL 39, 1994).

LA CONTINUAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA LATINA 105

concetto della nascita di Dio, che comincia nel battesimo e dà forma nella vita spirituale allo sviluppo interiore del Verbo di Dio. Il testo è perciò degno d'atten­zione, poiché secondò noi si riferiscono principalmente ad esso i richiami che nel medioevo cercano in Ago­stino una garanzia per la dottrina della nascita di Dio. Ancora una volta, come già in Origene e in Ambrogio, la giustificazione interiore e la crescita spirituale sono interpretate come nascita e crescita dello stesso Logos. E ciò, possiamo dire, per l'ultima volta. Infatti quanto verrà detto successivamente nella storia di questa idea (con la sola eccezione del Maestro ECKEHART, il cui ruolo specifico in tale storia è per altro comprensibile solo in questo quadro), non è che ripetizione ο allu­sione all'antico parallelismo fra la crescita spirituale e la nascita e crescita del Verbo di Dio nel cuore. Ecco il testo di questa bellissima predica natalizia post-agostiniana 38 : « Exultemus ergo, carissimi. Ab hodierno die crescunt dies. Crede in Christum et crescit in te dies. Credidisti? Inchoatus est dies. Baptizatus es? Natus est Christus in corde tuo. Sed numquid Christus natus sic remansit? Crevit, ad iuventutem pervenit; sed in senectutem non declinavit. Crescat ergo et fides tua, vetustatem nesciat. Sic pertinebis ad Christum Filium Dei, in principio Verbum apud Deum, Verbum Deum carnem factum, ut habitaret in nobis... ad illum perti-nuit propter nos nasci, ad nos pertineat in ilio renasci ».

s» Serm. 370, 4 (PL 39, 1659). - Esattamente in senso agostiniano, anche la verginità vien qui messa nuovamente in rapporto con la nascita di Dio. Cfr. Serm. 121, 2 (PL 39, 1988) : β Beata virginitas desinit esse iam mortis anelila, quia illum intra se gestat in mente, quem Maria portavit in ventre ».

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO

Per una più esatta conoscenza delle fonti patristiche dalle quali dipende la mistica medievale e soprattutto il Maestro Eckehart, è importante indicare il cammino che conduce direttamente fino al tempo dei mistici. Le linee direttive possono essere tracciate in base alle opere dei Padri della Chiesa oppure mediante la conca­tenazione di singoli testi patristici. Molto più impor­tante è ancor sempre il vivo contatto con l'ininterrotta tradizione, che solo faticosamente possiamo però rico­struire nella sua totalità, attingendo alla letteratura del periodo che intercorre fra l'epoca patristica e l'inizio della Scolastica. Dobbiamo ora indicare nei minimi particolari queste linee direttive fino alle fonti imme­diate del Maestro Eckehart.

Il lento costituirsi della spiritualità del primo medio­evo segue inizialmente il cammino segnato dalla dot­trina agostiniana dell'interiorità del cuore. GREGORIO

MAGNO ripete i concetti agostiniani del Verbo eterno 1,

1 Cfr. GREGORIO M., Moral. 5, 28 (PL 75, 706a): * Verbum absconditum in corde». Homìl. in Evang. 15 (PL 76, H32B); Moral. 19, 3 (PL 76, 99 B): Moral 16, 36 (PL 75, 1143 A).

108 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dimorante nel profondo del nostro cuore. Egli s'im­possessa soprattutto dell'esegesi di Mat 12,50, divenuta fondamentale per opera di Agostino. ' Madre di Cristo ', secondo lui, è in modo particolare l'anima che forma e genera Cristo nel cuore del prossimo 2 : « Sed scien-dum nobis est quia qui Christi frater et soror est cre­dendo, mater efficitur praedicando; quasi enim parit Dominum quem cordi audientis infuderit. Et mater eius efficitur si per eius vocem amor in proximi mente generatur '».

Questo testo è importante specialmente perché è stato accolto, insieme con quello del Crisostomo3, nelle Catene di S. Tommaso d'Aquino ed è così dive­nuto familiare al medioevo, non escluso Eckehart, che s'è servito con piacere della Glossa di Tommaso. L'anti­chissimo concetto della nascita di Dio nel cuore dei credenti, presente già in Origene e Ippolito, è diventato per questa via patrimonio comune della spiritualità medievale.

Ancor più ha contribuito BEDA alla diffusione di questa antica esegesi, ricevuta da Gregorio, di Mat 12,504, soprattutto perché per suo tramite tale con­cetto è giunto a RABANO MAURO5 , e da Rabano la

2 Homil. in Evang. 3 (PL 76, io8tì D). 3 Cfr. sopra, p. 68, nota 11. 4 Expos. in Lue. 4 (PL 92, 480 BC) : « Omnes qui idem Verbum

spiritaliter auditu fidei concipere et boni operis custodia vel in suo vel in proximorum corde parere et quasi alere studuerint, asseverans (Salvator) esse beatos ».

5 Comm. in Matlhaeum 4, 12 (PL 107, 937 D) : « Isti sunt mater mea qui me quotidie in credentium animis generant ». - Certamente anche il Commentario a Luca di Ambrogio, in cui viene spiegato il luogo parallelo a Mat 12,50, Lue 8,21, ha contribuito alla formazione di questa esegesi mistica, che ha esercitato un sì potente influsso sulla

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 0 9

teologia della nascita di Dio nel cuore dei credenti è entrata nella Glossa ordinaria6, alla quale s'è potuta poi collegare la mistica del primo medioevo. Proprio su queste basi ha costruito la sua mistica RICCARDO

DI S. VITTORE, aiutato anche dall'antica psicologia trasmessa da Agostino e di cui conosciamo ormai la storia. La nascita di Cristo nel proprio cuore e nel cuore altrui è il compimento della volontà del Padre celeste7 : « Verbum Patris, Filius Patris est voluntas Patris. Item voluntas hominum quid aliud est nisi quaedam proles mentis? Si igitur eadem est voluntas tua et voluntas Patris, veritas sapientia voluntas corde concipitur et corde generatur. Si igitur idem vis, idem sapis quod Pater, eundem Filium habes quem Pater... Po-tes Christum gignere in corde tuo et in corde alieno. In-tellectu gignitur, consensu concipitur, affectu nascitur ».

Quanto profonda sia stata l'impressione prodotta da questa teoria mistica lo si può desumere dal fatto che le parole che abbiamo riportate sono del trattato De interiori domo, compreso fra gli scritti di BERNARDO

DI CHIARAVALLE, ma il cui autore è ignoto 8. Noi sappiamo che Eckehart conosceva bene le opere

di Riccardo di S. Vittore. In queste si può già ricono­scere una delle fonti immediate della sua dottrina della nascita di Dio9 .

storia dell'interiorità. Ambrogio dice: «Propeest enim Verbum in corde tuo, intus igitur Verbum, intus est lumen » (CSEL 32, 4, p. 247, I3s).

11 Glossa ordinaria su Mat 12,50 (PL 114, 129 D). - Cfr. anche GOTTFRIED BABION, Enarr. in Matth. 12 (PL 162, 1368 D).

7 Adnotationes mysticae in Ps 28 (PL 196, 297 CD). 8 Tjactatus de interiori domo 39 (PL 184, 516 D). * È ugualmente importante per lo sviluppo di queste idee anche

la storia dell'esegesi del testo di Is 26,17.18, citato in questo contesto

110 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

È ancor più facile mostrare il cammino che l'inter­pretazione mariana della generazione spirituale di Dio ha percorso dal tempo di Agostino, in cui tale espres­sione è assai frequente, fino al medioevo. È sempre BEDA che più d'ogni altro favorisce il perpetuarsi anche di questa teologia agostiniana. Maria, la ' porta­trice del Logos ', che va sui monti con l'eterno Logos nel cuore, è il modello dell'anima che genera Cristo nel proprio cuore 10: « Typicum pariter exemplum tri-buens, quod omnis anima quae Verbum Dei mente con-cipit statini excelsa cacumina gressu conscendat amoris ».

Il tema della storia della spiritualità medievale è così presentato in perfetta consonanza con le agostiniane prediche di Natale. La generazione di Dio dalle ' buone opere ' si tramuta lentamente in generazione dalla ' interiorità ' n. Quanto fossero diffusi tali concetti lo si può rilevare da una lettera di papa GREGORIO II all'imperatore bizantino Leone. Vi si legge infatti12 :

fin da Origene e Ippolito. Abbiamo già visto che il testo si dimostra qual testo classico in favore della nascita di Dio solo sulla base dei LXX e in relazione a Gal 4,19. Questo significato si è conservato, Se EUSE­BIO nel suo Commentario a Isaia (PG 24, 276 C) spiega così l'affer­mazione sul Logos generato nel cuore: τον γ α ρ μ ο ν ο γ ε ν ή σου Λ ό γ ο ν ένδον εν τή ε α υ τ ώ ν ψ υ χ ή , la spiegazione del testo con­tenuto nei L X X è : ο ΰ τ ω ς ε γ ε ν η θ η μ ε ν τ φ Ά γ α π η τ ω σου. M a fu di rilevante importanza per la mistica occidentale la conservazione di questa esegesi ad opera di GIROLAMO, sotto l'evidente influsso di Origene; cfr. Comm. in Is. 8, 26 (PL 24, 302 B C ) . Si spiega quindi perfettamente perché questo testo, specialmente in rapporto con Gal 4,19, sia riemerso anche nella mistica della nascita di Dio del pr imo medioevo. Cfr. PS. -AIMONE D I HALBERSTADT (PL 116, 841 D ) ; ISACCO

DELLA STELLA (PL 194, 1712C) ; GUERRICO (PL 185, 123 B; 38 A ) ;

R I C C A R D O DI S. VITTORE (PL 196, 1216 D) . 10 Expos. in Lue. 1 (PL 92, 320 B). 11 Alla diffusione di questa teologia patristica ha contribuito anche

il cosiddetto CLAVIS MELITONIS, che delle parole praegnans e pariens

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 1 1

« At is qui caelo descendit Deus et in uterum sacrac Virginis... intravit, inhabitet in corde tuo ». UGO DI S. VITTORE propone in un suo sermone, sulla base dell'interiore concepimento e generazione di Cristo, il sistema ascetico dell'ascesa dalla fede alla visione di Dio nell'eternità 13. La mistica agostiniana della nascita ha avuto un grande sviluppo in BERNARDO DI CHIA-

RAVAIXE. Questi per la prima volta ha svolto chiara­mente e ampiamente il concetto, più tardi assai apprez­zato, dell'avvento spirituale di Cristo nel profondo dell'anima14. Ogni giorno Cristo vien nuovamente generato nei cuori. « Quotidie videtur et nasci, duna fideliter repraesentamus eius nativitatem »15. Il disce­polo di Bernardo, GUERRICO ha riprodotto questa dot­trina in una omelia: De Verbi incarnatione in Maria et in anima fidelils. Vi troviamo l'espressione più alta della mistica mariana modellata da Agostino e Ambro­gio. Maria è l'esempio morale dell'interno dell'anima:

dà la seguente spiegazione : « Praegnantes, animae fidelium Verbum Domini nuper concipientes et necdum in opere parturientes » e « Pa-riens, aure cordis fìdei concipiens et in confessione vel opere generans » (Spicilegium Solesmense III, Parigi 1855, p. 125).

12 Epist. 12 (PL 89, 521A ). 13 Sermo in Antiurti. Dom. (PL 177, 933S). Cfr. anche Quaest.

in Epist. Pauli 191 (PL 175, 478 CD). 14 Cfr. Sermones in Adventum Domini, specialmente Sermo 3,

4 (PL 183, 45 BC) e Sermo 5, 2 (PL 183, 51 C). 15 Serm. in Vigil Nat. 6 (PL 183, 112 D). - Cfr. R. LINHAHDT,

Die Mystik des hi. Bernhard von Clairvaux, Monaco 1923, p. 192SS: la mistica della nascita di Cristo.

18 Serm. de Annuntiatione B. Virginis 2 (PL 185, 122 D). Anche Isacco della Stella, appartenente al medesimo ambiente di Bernardo, ha esercitato un notevole influsso, e le sue prediche ricordano i toni eckehartiani. Ritorna ancora l'antica questione mistica del « Che giova a me?»: cfr. Serm. in Pentecost. (PL 194, 184 C): « Parum erat, dilectissimi, ut Filius Dei nobis daretur sicut scriptum est: parvulus

112 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

« Ut plenius noveris conceptum Virginis non solum esse mysticum sed moralem, quod sacramentum est ad redemptionem, exemplum quoque tibi est ad irnita-tionem ».

Per avere una misura dell'influsso di questa teologia dell'interiorità sulla mistica classica della grande Sco­lastica è necessario leggere il trattato di S. BONAVEN­

TURA, De quinque festivitatibus pueri Iesu, specialmente il capitolo: Quomodo Filius Dei in mente devota spiri-tualiter nascatur17. Con le parole e i concetti di Ago­stino e di Beda viene offerta al medioevo tutta la ric­chezza dell'antica dottrina della nascita di Dio. Anche l'opuscolo De humilitate Iesu Christi18, attribuito a S. Tommaso, è una eco di tale mistica. Il suo autore richiama espressamente le surriportate parole di Beda: Maria è l'esempio d'ogni anima santa, che nel proprio cuore forma e genera il Verbo eterno : « Notandum quod beata Virgo post conceptionem tria legitur fe-

datus est nobis, - nisi etiam Spiritus Sanctus nobis donaretur ... et haec est Christi prò nobis, de nobis, in nobis natdvitas; quam accepit prò nobis, contulit etiam nobis, ille per Spiritum Sanctum hominis filius de Maria Virgine, nos per eumdem Spiritum Dei fìlii de Eccle­sia virgine». - Cfr. anche Serm. io (PL 194, 1725 A): « Gratia est igitur mater quae parit intus in cordibus nostris Iesum ». - Serm. 7 (PL 194, 1715D): «O beata anima quae numquam obliviscitur nec dimittit puerum Iesum, ... crescat, frater, in te Dei Filius, qui iam formatus est in te ».

17 Opusculum 4 de quinque festivitatibus pueri Iesu (Quaracchi VIII, p. 88ss). Cfr. anche p. 88, nota 1 per un'ottima descrizione delle fonti e dei testi paralleli.

18 Opusculum 53 (ed. Romana <5o) De humanitate Iesu Christi Domini nostri (ed. Parm. XVII, Parma 1864, p. 193). - Per la questione della provenienza di questa bella opera, in cui la cristologia di S. Tom­maso viene elaborata in una forma mistica, cfr. M. GRABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin (Beitràge z. Gesch. d. Phil. u. Theol. d. Mittelalters XII, 1/2), Miinster 1931, p. 347.

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 1 3

cisse per quae tria designantur mystice, quibus quae-libet anima sancta post conceptum spiritualem Verbi Dei debet insistere ».

Nel medesimo ambiente spirituale è vissuto Eckehart. Pur senza introdurci ora nella questione delle sue fonti immediate, possiamo qui individuare con certezza una di queste. Ma dobbiamo seguire anche da un altro punto di vista lo svolgersi fino al medioevo dell'antica tesi patristica della nascita di Dio. E tale aspetto non è meno importante di quello indicato dalla dottrina 'natalizia' di Agostino. L'abbiamo già detto prima: si tratta della storia dell'esegesi del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, la storia del significato di mulier prae-gnans.

IPPOLITO ci ha dimostrato quanto sia antica la figura della Chiesa che partorisce il Cristo mistico : altrettanto antica quanto quella, più storica, della sinagoga, de­scritta da VITTORINO DI PETTAU

19. Così pure la pro­testa di Metodio ha mostrato che assai presto si è pensato a una interpretazione in ordine alla nascita storica da Maria 20. La teologia occidentale ha seguito su questo punto le tracce di TICONIO, contemporaneo di Ago­stino 21. Sappiamo inoltre dal Commentario di BEATO che Ticonio ha stimato almeno degna di considerazione la sobria descrizione di Vittorino22. Favorita dalla teologia agostiniana della Chiesa in quanto Corpo

" Comm. in Apoc. (CSEL 49, p. 106, iss). 80 Cfr. sopra, p. 545. ai Per quanto riguarda TICONIO cfr. W. NEUSS, Die Apokalypse

des hi. Johannes in der altspanischen una altchristilchen Bibel-IUustration 1, Miinster 1931, p. 5ss.

22 BEATO, In Apocalypsim 6, 4 (ed. H. Sanders, Roma 1930), p. 460.

114 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

mistico di Cristo, l'indagine si concentra ora principal­mente sulla Chiesa. Il tema di questa esegesi è proposto da GENNADIO DI MARSIGLIA nella sua nona omelia sull'Apocalisse (testo attribuito nel medioevo ad Ago­stino) : « Semper enim in cruciatibus parit Ecclesia Christum per membra »2 3 . Beato l'inserisce testual­mente nel suo libro e lo illustra con una esegesi, certa­mente non sua, di Mat 2,4: Erode cerca di uccidere il neonato bambino, come Satana perseguita il sempre nascente Cristo: « Sic in Herode ostensum est Christum iugiter nasci atque ab eo semper requiri. . . cura enim iam natura cognosceret, non dixit: ubi Christus natus est, sed : ubi nasceretur » 24. PRIMASIO dice la stessa cosa : « Recte hic caput Ecclesiae Christus in singulis membris dicitur nasci » 25.

Questa interpretazione è solidamente fondata nella teologia latina. In tal modo s'è data nuova vita ad una dottrina antichissima. È eloquente soprattutto il fatto che il ' venir sempre generato ', Γάεί della ' quoti­diana ' nuova nascita di Cristo nel cuore dei credenti, tanto accentuato da Ippolito e da Metodio (e per essi dalla teologia classica greca), si è conservato anche nella teologia latina (non si è detto però abbastanza chiaramente se debba spiegarsi proprio con questo fatto, insieme col quotidie della suddetta mistica della nascita, Γ ' immer ', ' allezìt ', ' àne unterlàz ', che il Maestro Eckehart ha accentuato con tanta energia). Si può infatti vedere che questa stessa esegesi sulla na-

23 Cfr. Ps. AGOSTINO, Homil. in Apoc. 9 (PL 35, 2434)· - Per la provenienza di questa Omelia da GENNADIO DI MARSIGLIA, cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. der altkirch. Lit. IV, p. 597S.

24 In Apoc. 6, 26-29 (ed. Sanders, p. 464). 25 In Apoc. 3 (PL 68, 873 D) .

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 1 5

scita del Cristo mistico dalla Chiesa ha esercitato un influsso profondo fino alle immediate fonti di Eckehart26. C'è inoltre l'influsso, già accennato in Agostino, della forma medievale, in lento sviluppo, della mariologia. Ci si occupa nuovamente della que­stione se la visione dell'Apocalisse si riferisca ο no a Maria. Ma l'influsso dell'interpretazione tradizionale è troppo forte, tanto che si verifica una combinazione singolare che agisce poi insieme col filone ' natalizio ', di cui abbiamo parlato, sul primo medioevo. Così scrive BERENGARIO: «Eius membra, quem beata Maria Virgo peperit, quotidie Ecclesia parit, quia Christus cum omnibus membris suis unus Christus est » 27. Questa interpretazione è poi tramandata da ALCUINO 28 e soprattutto dallo PS.-AIMONE DI HALBERSTADT. Aimone esamina attentamente la questione : « Ecclesia cuius et Mater Domini membrum erat... ipsa autem beata Dei genitrix in hoc loco personam gerit Ecclesiae. Neque enim omnia quae hic narrantur iuxta litteram beatae Virgini specialiter congruere possunt, sed electorum Ecclesiae secundum mysticam narrationem generaliter

26 Cfr. BEDA (PL 93, 166D) : « Semper Ecclesia dracone licet adversante Christum parit ». - Il senso qui inteso da Beda appare dal­l'interpretazione originale, secondo la quale la Chiesa genera se stessa: « N a m et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam mundum in Christo regentem». - ANSELMO D I LAON (PL 162, 1543 B ) : «In utero id est

in memoria latet aliquid sicut in utero habens Verbum Dei »; (1544 A ) : « Ecclesia parit Christum quia immittit ipsum in singulis mentibus fidelium ». - Per la dottrina medievale è importante anche RUPERTO DI D E U T Z , che nel suo libro De Victoria Verbi Dei 3, 10.12 (PL 169, 1277. 1279) ha riprodotto l'antica dottrina agostiniana. Cfr. anche il suo In Apoc. contiti. (PL 169, 1043 A).

27 PL 17, 877 A. 28 In Apoc. comm. (PL 100, 1153 D ) : «Illa (Maria) caput peperit,

haec (Ecclesia) membra capitis gignit ».

116 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

conveniunt, in qua quotidie fit hoc signum, quia quo-tidie concipitur in ea Christus et nascitur » 29.

Aimone richiama l'attenzione anche sul noto passo di Mat 12,50. La dottrina della nascita di Dio dalle buone opere, basata su un'interiorità che imiti Maria (come è apparso in Agostino), assume quella forma classica che s'è fortemente impressa nella teologia del primo medioevo. RICCARDO DI S. VITTORE - tanto per nominare solo uno dei testimoni -, citato spesso dal Maestro Eckehart, cosi raccoglie nella sua esegesi dell'Apocalisse i concetti agostiniani: « Sancta Ecclesia totis viribus laborat ut faciendo voluntatem summi Patris mater fiat Christi et eum pariat. Sancta nimirum Ecclesia quae Patri sunt placita perficiendo mater Christi emcitur, quia concipit eum, fecundante eam gratia per fidem, parturit per bonam voluntatem, parit per bo-nam actionem » 30.

In tal modo l'eredità dell'antica teologia perviene anche alla Scolastica, di cui il Maestro Eckehart è un discepolo genuino. ALBERTO MAGNO dice31 : « Chri-stum parit Ecclesia quotidie per fidem in cordibus audi-torum». Dalla connessione di questa teologia apocalit­tica con l'interiorità mariana ispirata ad Agostino potre­mo facilmente comprendere la teologia medievale della nascita di Dio. Ma prima di esporla è necessario mettere

»· In Apoc. comm. 3, 12 (PL 117, 1081 AB). Il Commentario è da attribuirsi certamente ad AIMONE D'AUXERRE. - Anche RUBERTO DI DEUIZ ripete la medesima interpretazione di Maria, tipo della Chiesa (PL 169, 1043 A) : « Mulier signum erat Ecclesiae totius, cuius beata Virgo Maria portio maxima, portio est optima prò felieitate uteri proprii ».

30 In Apoc. I. IV, 1 (PL 196, 799 AB). 31 In Apoc. comm. 12, 5 (Borgnet 38, p. 656). - Cfr. W. SCHERER,

Des s. Albertus Magnus Lehre von der Kirche, Friburgo 1928, p. 3SS.

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 1 7

in evidenza un altro fermento della sua evoluzione. In seno a questa teologia quasi esclusivamente agosti­niana e ambrosiana si verifica un fatto strano: la teologia mistica di Gregorio Nisseno e di Massimo Confessore sulla nascita del Logos viene introdotta da un teologo direttamente nel pensiero occidentale. Tale fatto, im­portante per la storia della mistica e della spiritualità occidentale, è accaduto quando GIOVANNI SCOTO ERIU-

GENA ha tradotto in latino gli AMBIGUA di MASSIMO 32,

e da queste fonti ha tratto la sua speculazione ostinata­mente personale e non del tutto esente da errori 33. E ciò che è più importante, proprio per la storia della nostra idea, è che Giovanni Scoto non era il solitario uomo bizzarro e incompreso, le cui teorie sarebbero state presto dimenticate. Secondo noi egli ha continuato a vivere grazie alla dottrina della nascita di Dio: il medioevo scolastico, e quindi il Maestro Eckehart, ha avvertito la presenza di questa nuova mistica sistematica, che affonda le sue radici nell'antica teologia cristiana. Ma per qual via? Questo è certo un grosso problema 34.

33 Sul significato di questa versione cfr. soprattutto gli studi di J. DRASEKE, Maximus Confessor und Johannes Scotus Erigenti in Theo}. Studien u. Kritiken 84 (1911) 20. 204; Gregorius von Nyssa in den An-fiihrungen des Johannes Scotus Erigena, ivi 82 (1909) 330. - H. V. SCHU-BERT, Geschichte der christlichen Kirche im Friihmittelalter, Tubinga 1921, p. 463SS e 241S. - H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, p. 19.

33 Per la teologia di Scoto, nei limiti della presente questione, cfr. gli studi di J. BACH, Dogmengeschichte des Mittelalters, v. I, Vienna 1876, pp. 264-314; G. BUCHWALD, Der Logosbegriff des Johannes Sco­tus Eriugena, Lipsia 1884; Hermann DORRIES, Zur Geschichte der Mystik. Eriugena und der Neuplatonismus, Tubinga 1925; F. VERNET, Erigerle in Dict. de Théol. cath. 5, Parigi 1913, ce. 401-434.

34 Cfr. appresso, p. 125S e 133S, dove si cerca di dare una solu­zione alla presente questione.

118 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Tuttavia, prescindendo da tale questione, la dottrina di Eriugena è interessante, perché è il primo tentativo da parte di un pensatore occidentale di incorporare le antiche teorie della nascita di Dio nel sistema mistico della deificazione dell'uomo. Nemmeno la Scolastica classica l'ha più fatto prima di Eckehart.

Massimo è per Eriugena il grande Maestro, il venera­bile magister et divinus philosophus35. Le sue parole sull'anima qual ' porzione di Dio ', sulla venuta del Logos qual centro di tutta la storia dei rapporti fra Dio e l'uomo, sulla bipartizione dei saecula e sulla continuazione incessante dell'incarnazione nei cuori dei credenti: tutto ciò e stato trasmesso all'Occidente dalle traduzioni di Eriugena 3e. Questi s'è ispirato a Massimo

3E De divisione naturile 2, 4 (PL 122, 531 A); 5, 38 (955 C). -Naturalmente si adduce sempre AGOSTINO a garanzia della dottrina. Così pure AMBROGIO (cfr. PL 122, 936 C; 935 C; 1000 A; 1008 C). Eriugena è certamente il primo a riconoscere la dipendenza di Am­brogio da Origene: cfr. De div. nat. 4, 16 (815 C). Egli è stato anche il primo in Occidente a studiare le opere dello stesso Origene, almeno per quanto riguarda l'opera περί άρχων e il Commentario alla let­tera ai Romani: cfr. specialmente De div. nat. 4, 27 (922C ; 929 C). Si deve attribuire a questo studio l'errore fondamentale del libro De divisione naturae, cioè la dottrina erigeniana dell'apocatastasi, per la quale Eriugena trova una conferma negli scritti del venerato GREGO­RIO NISSENO. Cfr. soprattutto De div. nat. 5,27(9225). Da ciò non potè dissuaderlo nemmeno l'appassionato studio di EPIFANIO DI SAIAMINA, del quale aveva letto VAncoratus. Per tutta la questione, cfr. J. DRASEKE, Johannes Scotus Eriugena und dessen Gewdhrsmdnner in seinem Werke De divisione naturae (Studien zur Geschichte der Theologie und der Kirche LX, 2), Lipsia 1902.

3· Cfr. la lettera indirizzata a Carlo il Calvo, che Eriugena pre­mette alla sua traduzione. Uno dei temi principali dell'opera, egli dice, è quello della venuta della Bontà divina e il ritorno del creato mediante la deificazione : « Quomodo praedicta quidem divina in omnia pro-cessio αναλυτική dicitur, hoc est resolutio; reversio vero θέωσις, hoc est deificatio » {Mon. Gemi. Epist. VI, p. 162, n. 22ss: PL 122, 1196 A). - La frase principale di Massimo sulla continuazione eterna

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 1 9

anche nella sua teologia della nascita di Dio. Infatti pure in Eriugena la deificazione dell'uomo mediante l'incarnazione del Logos - mistero della grazia che trascende ogni conoscenza - è il pensiero dominante di tutto il sistema. « Ut ergo superai omnem intellectum quomodo Dei Verbum descendit in hominem, ita superai omnem rationem quomodo homo ascendit in Deum » 37. È certo per un gusto esageratamente plato­nico del sistema che Scoto trascura una parola che in Massimo è sempre presente : il Logos è disceso θ-έλων, liberamente e per amore 3 8. Proprio qui Eriugena s'è imbattuto nel pericolo d'un sistema che considera la venuta del Logos come un necessario processo cosmo­gonico. La forza della tradizione, tuttavia, è tanta e l'autenticità della fede in Eriugena è cosi fuor di dubbio, che possiamo stimare anche il suo sistema, nel com-

della nascita di Dio (cfr. sopra p. 83S) nella traduzione di Eriugena suona così : « Vult enim semper et in omnibus Dei Verbum et Deus suae incorporationis operari mysterium » (PL 122, 1206 C).

37 De div. nat. 2, 23 (576 C). Eriugena riferisce espressamente l'ascesa dell'anima umana per la virtù divinizzante del Logos incarnato anche alla mistica visione di Dio che si ottiene quaggiù con la grazia. Cfr. In Ioann. comm. (PL 122, 319 D): « Exitus ergo eius a Patre huma-natio est, et reditus eius ad Patrem hominis, quem accepit, deificatio ». -Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (295 C) : « Ad hoc siquidem Verbum in carnem descendit, ut in ipsum caro, id est homo, credens per car-nem in Verbum ascendat... non propter se ipsum Verbum caro fac­tum est, sed propter nos, qui nonnisi per Verbi carnem potuissemus in Dei filios transmutari; solus descendit, cum multis ascendit; de hominibus fedt deos, qui de Deo fecit hominem ».

88 Cfr. sopra p. 82. Massimo dice ciò consapevolmente; il suo raffinato senso teologico intuisce nell'AREOPAGiTA, suo garante, il pericolo proveniente da PLOTINO e GIAMBUCO, quello cioè di con­fondere nell'unico sistema delle processioni divine l'azione libera della venuta del Logos e la necessità della sua processione dal Padre. -Dalla medesima accusa si deve difendere anche la dottrina del Mae­stro ECKEHAET.

120 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

plesso, come una fedele riproduzione della classica dottrina dei Padri greci. Fin dalla venuta del Logos nella nascita dalla Vergine, Cristo è l'unico uomo per­fetto che raccoglie in sé tutta la natura umana. La teo­logia di Ippolito del εις άνθρωπος τέλειος 3 9, giunta a Massimo tramite Cirillo Alessandrino, vien qui pro­posta ancora una volta 4 0 . Poiché in questo vir perfectus et unus4*1 è contenuta (in senso platonico) tutta la natura umana 42, per la nascita dalla Vergine e la morte in croce tutti gli uomini sono stati teoricamente redenti, di diritto e nella speranza : « Spe, non re ; fide, non specie; argumento, non generaliter » 43. Nell'unico Cri­sto essi sono riuniti in un solo Corpo, la Chiesa 44. In virtù di tale unità la ' deificazione ' dell'uomo si svi­luppa secondo la medesima legge che vige per l'unico

3! Cfr. sopra p. 37S. 40 Naturalmente si fece sentire anche l'influsso di AGOSTINO,

cui si deve appunto la dottrina dell'unico uomo Gesù Cristo. Cfr. specialmente De peccai, mentis et remissione 1, 31 (PL 44, 144) e GRE­GORIO MAGNO, Moral. 27, 15, 30 (PL 76, 416 C): due testi die attra­verso la Catena di S. Tommaso d'Aquino fecondarono anche la mistica tedesca, come si vedrà meglio appresso, p. 140, nota 18.

41 De div. nat. 5, 38 (995 A): «Christus cum toto et in toto suo corpore quidam perfectus et unus vir, caput in membris et membra in capite s. Cfr. anche De div. nat. 4, 1 (743 AB), dove si dice che l'amore ardente delle tre Persone divine ci ' trasforma ' nell'uomo perfetto Cristo : « Ex informitate quadam imperfectioms nostrae post primi hominis lapsum in virum perfectum, in plenitudinem aetatis Christi (nos) educant. Vir autem perfectus est Christus ».

42 Cfr. soprattutto De div. nat. 5, 25 (91OSS). Nel capitolo 5, 27 (92iss) appare la relazione, già evidente in Origene, delle poco chiare idee sull'unità della natura assunta dal Logos con la dottrina dell'apo-catastasi. - Cfr. G. BUCHWALD, op. cit., p. 54ss; J. BACH, op. cit., p. 309.

43 De div. nat. 5, 25 (913 A). 44 Per il concetto della Chiesa in Eriugena, cfr. H. DORRIES,

op. cit., p. 83SS. - Sono di particolare importanza i luoghi De div. nat. 5, 38 (IOIIS); 4, 20 (835SS); In Ioan. comm. (PL 122, 326 B-D).

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 2 1

e perfetto uomo, Cristo : « Impium est negare quod factum est in capite, in membris futurum esse »45. L'ascesa al Padre eterno, dal quale procede il Logos -in questo è fondata la deificazione dell'uomo -, è l'ascesa dell'unico Cristo. « Unus itaque Christus corpus cum membris ascendit in Patrem » 46.

Lo svolgimento storico della redenzione è dunque un formarsi del medesimo Verbo incarnato. Sempre, ogni giorno, Cristo edifica la sua Chiesa, il suo Corpo 47. « Solamente se diviene partecipe della vita di Cristo nella Chiesa e Cristo prende forma in lui, l'uomo è capace di santità »48. Si rinnova qui l'antica teologia della μόρφωσις έν πνεύματι nell'intimo dell'uomo4 9: « Nemo ascendit in Christo ad Patrem, nisi qui ex Spiritu nascitur, ut conformis fiat imaginis Filii Dei, id est ut Christus in ilio formetur et unum cum Chri­sto sit ». È però la più intima legge esistenziale del Logos ad esigere ch'egli riceva la natura divina per generazione, che proceda dal cuore del Padre (ri­torna in Eriugena anche questo antico concetto). Il Logos procede dal misterioso ' seno materno ' del Pa-

45 De div. ned. 2, 23 (575 C). " In Ioan. comm. (319 D): « Omnes quos salvavit, in ipso ascen­

dimi, nunc per fidem in spe, in fine vero per speciem in re ... solus itaque descendit et solus ascendit, quia ille cum omnibus suis membris unus Deus est, unicus Filius Dei. In ipso enim omnes credentes in ipsum unum sunt; unus itaque Christus, corpus cum membris, ascen­dit in Patrem ».

« De div. nat. 5, 38 (994 D). 43 J. BACH, op. cit., p. 312.

** In Ioan. comm. (320 C). - Cfr, i versi greci del poema De Verbo incarnato 34.35 (Mon. Germ. Poetae latini III, p. 538s) : ών τέλος, ων αρχή πάντων, ών 8ντα τα είσΐν, ών αγαθός καΐ καλός, κάλλος, μορφών τε χαρακτήρ.

122 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dre50: «Ex corde, hoc est ex secretis sinibus Dei et Pa-tris Filius nascitur » 51. Quindi tutto ciò che deve il pro­prio essere al Logos ο che in lui ο per lui è stato creato, deve essere una continuazione di quella nascita eterna, specialmente nei cuori di quanti nella Chiesa son di­venuti le membra viventi del Logos incarnato 52. Giac­ché tale unione col Cristo mistico ha nel battesimo il suo principio, nella nascita da Dio e dalla Chiesa 53, il

50 De div. nat. 2, 20 (558 B): « Uterum He intellige secretos pa-ternae substantiae sinus, ex quibus Unigenitus Filius, qui est Verbum Patris, natus est, et de quibus semper nascitur et in quibus, durn sem-per nascitur, semper manet ».

41 De div. nat. 2, 33 (611 B). - Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (PL 122, 287 B) : « Et quid eructavit cor suum? Ipse exponit: Verbum bonum dico, Verbum bonum loquor, Filium bonum gigno. Cor Patris est sua propria substantia, de qua genita est Filli propria sub­stantia ». - Lo stesso concetto ricorre in De div. nat. 2, 20 (557 A). — De Verbo incarnato 26.46 (Mon. Gemi. Poet. lat. Ili, p. 538: PL 122, 1251 B): « Verbum cuncta creans natum de pectore Patris, quem Pater occultum gremio velabat opaco ».

S! Secondo la dottrina di Eriugena la rivelazione di Dio nella natura creata è già una ' teofania ', splendore della presenza divina, vera continuazione dell'eterno dicere Verbum. Homil. in Prol. Ioan. (293 C) : « Caelestis Pater si Verbum suum loqui cessarit, effectus-Verbi, hoc est universitas condita non substiterit. Universitatis namque conditae substitutio est et permanens Dei Patris locutio, hoc est, aeter­na et incommutabilis sui Verbi generatio ». - Cfr. anche De div. nat. 2, 20 (556 CD). - In misura molto maggiore la rivelazione che Io-stesso Cristo ha portato è una continuazione della generazione eterna. Cfr. De div. nat. 3, 9 (642 B): «Verbum... ipsum est Patris dicere-et dictio et sermo, sicut ipse ait in Evangelio: et sermo quem locutus sum vobis non est meus sed ipsius qui misit me. Tamquam aperte-diceret: ego, qui sum sermo Patris, qui locutus sum vobis, non sum meus, sed loquentis in me Patris et ex secretis substantiae suae sinibus me gignentis ». - Questa generazione si perpetua così nei singoli uomini soprattutto all'apice della mistica esperienza di Dio; anch'essa si verifica nel segreto del cuore, nell'intimo : « In secretissimis sinibus memoriae»: De div. nat. 2, 23 (579 C).

53 In Ioan. comm. (315 B). Per la teologia del battesimo in Eriu­gena cfr. anche i passi del Commentario 308 A, 310 C, 311 A.

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 2 3

battesimo è pure la vera nascita del Logos nel cuore del credente.

È assai significativo che in Eriugena appaia ancora una volta il significato della rigenerazione battesimale. Egli non l'ha certamente appreso dalla teologia post-agostiniana del suo tempo, ma si tratta d'una genuina eredità dell'antica teologia, pervenutagli direttamente da Gregorio e da Massimo. In detto sistema il battesimo è la vera continuazione della processione eterna dal Padre e della nascita del Logos dalla Santa Vergine 54 : « Dum enim unusquisque fidelium baptismatis subit sacramentum, quid aliud ibi peragitur nisi Dei Verbi in eorum cordibus de Spirito Sancto conceptio atque nativitas. Quotidie igitur Christus in utero fidei veluti castissimae Matris visceribus et concipitur et nascitur et nutritur ».

La nascita del Logos nel battesimo è però solo il principio della vita spirituale55; si svolge quindi nel cuore la misteriosa e sempre più intensa vita del Verbo eterno, che in esso vuol prender forma. Il cuore è il luogo dell'ascesa al Padre, della divinizzazione fino all'esperienza mistica : « Ipse Christus in cordibus dili-gentium sequentiumque se ascendit » 56. Si ripete ogni

54 De div. nat. 2, 33 (611 CD). 65 Eriugena ripete insistentemente che la grazia battesimale è solo

un ' inizio ', il principio del processo generativo che deve giungere a compimento nell'ascesa al Padre per Cristo nello Spirito Santo. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (293 B) : « Per generationem gratiae, quae datur in baptismate, in mundum veniunt invisibilem ... in mundum qui desursum est ascendentes, filii Dei fieri inchoantes ... in mundum virtutum totis viribus ascendere inhiantes ». - In Ioan. comm. (313 B): « Grafia baptismatis purgantur inchoantes per Spiritum in Christo renasci». - Ivi (318 A): « Redit ad Patrem per eumdem Filium na-scentes ex se (Spiritu) in divinam filietatem reducens ».

«· De div. nat. 5, 38 (999 B).

124 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

giorno nel cuore del credente la mistica rappresentazione della vita e della morte di Cristo; tutta la vita virtuosa fino alla limpida visione e all'amore ardente è per Eriugena solo « l'energia del Capo, la cui vita pneuma­tica prende forma nell'umanità come nelle proprie membra »57. « Itaque in suis fidelibus Christus quoti-die moritur ... Agnus Dei in cordibus fidelium mactatur et mactando vivificatur »58. E poiché secondo Eriu­gena l'intima essenza d'ogni virtù è la virtù increata del Logos, anche l'ascesa interiore dell'anima, la trasfor­mazione del cuore, è un ' farsi ' di Dio 59. In tal senso, dice Eriugena, si potrebbe anche parlare d'un vero feri del Logos - ciò non è che quanto ha detto Massimo della mistica incarnazione del Logos, e non deve essere perciò inteso nel senso d'un evoluzionismo panteisti­co 60. Il formarsi e il crescere del Verbo incarnato è però,

57 J. BACH, op. ut., p. 309. 58 In locai, comm. (312 AD). ss Riferendosi a Massimo, Eriugena vede nella stessa creazione

naturale un misterioso ' farsi ' del Logos: De div. nat. 3, 16 (671 C): « Quomodo autem et qua ratione Dei Verbum in omnibus quae in eo facta sunt, fit, mentis nostrae aciem fugit ». - Fanno parte di questa speculazione espressioni che suonano addirittura come ' eckebartiane ' e che potrebbero nascondere dei concetti panteistici, se a ciò non si opponessero altrettante espressioni inoppugnabili - proprio come in Eckehart. Cfr. De div. nat. 3, 17 (678 C): « Debemus intelligere Deum et creaturam non duo a seipsis distantia sed unum et idipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens et Deus in creatura mirabili et ineffa­bili modo creatur, seipsum manifestane, invisibilis visibilem se faciens ». - Ciò si connette col concetto del Logos ' natura omnium ' (non in senso panteistico), forma originaria di tutto il creato. Eriugena può qui ben riferirsi a BASILIO, Homil. 8, 1 in Hexaem. (PG 29, 164 D): άλλ'ό θείος Λόγος φύσις εστί των γινομένων. Cfr. De div. nat. 3, 21 (648 C). In questo luogo per un giudizio su Eriugena bi­sogna certamente attenersi a quanto è stato detto sopra, p. 119, nota 38.

80 Una volta Eriugena affida alle parole del suo avversario questa idea fondamentale : « Quomodo enim supra omnia Deus invisibilis,

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 2 5

secondo Eriugena, un continuo nascere. Egli condensa in queste parole tutta la sua dottrina della santificazione dell'uomo per opera del Verbo incarnato 61 : « Divina natura fieri dicitur, dum in iis, qui fide, spe et caritate ceterisque virtutibus reformantur, mirabili atque inef­fabili modo innascitur, sicut Apostolus de Christo ait loquens : qui factus est in nobis sapientia a Deo ».

Solo ora, dopo aver esposto la teologia di Eriugena sulla nascita di Dio, possiamo adeguatamente valutare il pensiero di quei teologi che si considerano come fonti immediate del Maestro Eckehart. La mistica del secolo XII, di decisiva importanza per la formulazione definitiva della mistica della nascita di Dio, non può esser compresa, sacondo noi, senza l'apporto di Eriu­gena. Già M. JACQUIN aveva richiamato l'attenzione sul fatto che ogni volta che si è fatta un'indagine sulla mistica cistercense s'è dovuto costatare l'influsso della

incorporalis, incorruptibilis, potest a seipso descendere et se ipsum in omnibus creare ut sit omnia in omnibus ? "De div. nat. 3, 20 (684 B). E alludendo a Giov. 1,3 risponde (684 C): «In omnibus fit, sine quo nihil esse potest ». - Questo fieri è infatti una continuazione dell'intima natura del Logos : il Verbo è essenzialmente ' generato ' ; quindi ogni sua riproduzione nel creato è un nascere, e per questo un ritorno al principio originario della generazione, al Padre. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (287 A) : « Nam ipsius ex Patre generatio ipsa est causarum om­nium conditio ... per generatìonem quippe Dei ex Deo principio facta sunt omnia ». - Per la dottrina di Eriugena sull'universalità della venuta del Logos, cfr. De div. nat. 5, 38 (999 CD); 3, 20 (684 A). - In loan. comm. (319 CD). - Per il sistema cristologico di Massimo Confessore, cfr. H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, pp. 204-273.

61 De div. nat. 1, 12 (454 A). - La nascita di Dio, della quale si parla nel testo, attuantesi nella creazione della soprannatura, è posta ancora in rapporto col ' farsi ' della natura divina attraverso la rive­lazione nella natura creata.

126 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

teologia criugeniana62. E. GILSON ha dato anche lui il suo contributo alla questione, dimostrando l'influsso immediato di Eriugcna sulla mistica di S. Bernardo -il pensiero di Massimo si perpetua nella mistica della Scuola di Bernardo grazie alla versione degli Ambigua 63.

Senza inoltrarci ora in uno studio dettagliato, ricor­diamo in genere che questo influsso s'era fatto sentire soprattutto in relazione alla teologia della nascita di Dio, della quale ci stiamo occupando. La sistematica con la quale Ugo di S. Vittore costruisce con i concetti agostiniani un'intera mistica della nascita di Dio, è dovuta certamente alla speculazione di Eriugena, che Ugo chiama il ' teologo moderno '6 4 , e del cui com­mentario all'Areopagita si è largamente servito 65. Anche il summenzionato testo classico di Riccardo di S. Vit­tore ci rammenta Eriugena 6e. Poiché, secondo Jacquin, si studiava Scoto con particolare diligenza soprattutto nei chiostri cistercensi67, è ovvio che la straordinaria predilezione per la sistematica della nascita di Dio, ben

" M. JACQUIN, Vinfluence doctrinale de Jean Scot au début du XlIIe siede in Revue des sciences pini, et théol. 4 (1910) 106. - Cfr. anche M. GHABMANN, Die Geschichte der scholastischen Methode, v. I, Fri­burgo 1909, p. 206.

83 E. GILSON, Maxime, Erigine, S. Bernard: Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Munster 1935, pp . 188-195. - Si tratta d'un testo di BERNARDO, De diligendo Deo io (PL 182, 991 AB), preso quasi alla lettera da SCOTO, De div. nat. 1, io (PL 122, 450 A) e proveniente in ultima analisi da MASSIMO.

84 Erud. didasc. 3, 1 (PL 176, 865). - RICCARDO DI S. VITTORE ne ha fatto una descrizione in Excerpt. prior. 24 (PL 177, 202).

65 Expos. in cael. hierarch. Dionysii 2 (PL 175, 945 C) . I passi fon­damentali del De div. nat. di Scoto sono riportati da GILSON, op. cit., p . 192.

·· Cfr. sopra, p. 109. Il parallelismo fra Logos e voluntas Patris ricorda da vicino SCOTO, De div. nat. 3, 17 (PL 122, 672 D) .

" M. JACQUIN, op. cit., p. 106.

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 127

riconoscibile negli scritti mistici di questo ambiente, è da mettere in relazione con l'influsso del pensatore irlandese. ISACCO DELLA STELLA dipende evidentemente da lui68. Ancor più chiaramente possiamo individuare lo spirito di Scoto nella teologia di GUARNIERO DI

ROCHEFORT. La sua speculazione sul Logos deriva da Eriugena69. A proposito della dottrina delle teofanie egli cita due volte esplicitamente il suo Maestro Scoto 70

e fa propria anche la teoria tanto cara ad Eriugena, secondo la quale la stessa creazione della natura è in fondo un efflusso della generazione eterna del Logos 71. Guarniero è dunque un classico testimone della vitalità con la quale in questo ambiente anche la dottrina della mistica nascita di Dio si è introdotta nel sistema teo­logico che fa iniziare con l'incarnazione del Logos l'ascesa dell'uomo deificato72. Il quotidie di Agostino si con­giunge qui col quotidie di Eriugena : « Formatur in nobis quotidie per devotionem operis... per devotio-nem quotidie formatur in fideli corde » 73. Il ' sempre generato Logos ' 7 4 perpetua nel cuore del credente

·• ISACCO DELLA STELLA, De anima (PL 194, 1888 B). - Anche

ALANO DI LILLA subisce l'influsso di Scoto. Cfr. M. BAUMGARTNER,

Die Philosophie des Alanus ab Insulis, Miinster 1896 (Beitrage z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters II, 4), p. 13S.

·· GUARNIERO, Semi, de Nativ. Domini 5 (PL 205, óoos). '" Serm. in Epiph. 2 (PL 205, 631 B) . " Serm. in Appar. Doni. 8 (PL 205, 627 AB) : «Illa nativitate

qua plasmavit nos, secundum quam aeternaliter natus est de Patte sine matte ... per potentiam qua natus est de Patre aeternaliter, nati sumus temporaliter ».

72 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 613 B ) : «Voluit ergo Deus fìlius hominis fieri, ut homines essent filii Dei ».

,3 Serm. in Appar. Dom. 8 (PL 205, 627 D, 628 A). 74 Cfr. la sua speculazione ispirata in tutto ad AGOSTINO, ma che

ricorda anche alcuni passi del Commentario a Giovanni di Eriugena.

128 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la sua nascita dalla Vergine : « Virgo turbata concepit, impraegnata est et parturivit. Exemplum dedit tibi ut tu turberis timore, concipias tamen cogitatione, imprae-gneris dilectione, delectatione parturias in salutis ope-ratione »75.

A questo punto dobbiamo ricordare ancora una volta RICCARDO DI S. VITTORE. Questi, che fu poi letto avi­damente da Eckehart, è il teologo in cui tutta la ric­chezza della spiritualità agostiniana s'unisce al vigore della sistematica, che possiamo facilmente spiegare con l'influsso del pensiero eriugeniano. È significativo che nella teologia di Riccardo la generazione battesimale abbia nuovamente una funzione determinante nella costituzione della vita spirituale. Nell'impenetrabile pro­fondità del cuore l'anima si unisce al Logos76. L'inabi-tazione di Cristo nel cuore è essenzialmente un effetto della generazione battesimale; la gratta mater genera in noi la nuova vita, l'inabitante Cristo77. Da quel

Essa è certamente importante per la speculazione mistica sul sempre nascente Logos. Serm. de Nat. Dom. 5 (PL 205, 602 D).

75 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 614 C). Anche qui si ha una chiara allusione al testo di Is 26,18.

'« RICCARDO DI S. VITTORE, Degradibus caritatis 4 (PL 196,1206 C) : « Profundum est cor hominis et inscrutabile, homo enim secretus sibi est quod solus sui ipsius noscat quod interius ». In questa segreta intimità del cuore umano ha luogo l'abbraccio col Logos. Secondo le più recenti indagini, (cfr. Lexikon f. Theologie und Kirche Vili, Friburgo 1963, e. 12935) il libro ' De gradibus caritatis ' non è di Riccardo.

" Explic. in Cantic. 6 (PL 196, 422 A) : « Mater nostra est gratia Spiritus quae spiritualiter nos regenerat, cuius domus est humana mens in qua eadem gratia suscipitur. In hanc domum Dilectum cupit introducere ut sicut hunc invenit ita cum ilio maneat et inhabitet... manet in illa anima Christus, qui virtutes eius possederit ». - Per questa inabitazione cfr. anche l'antica dottrina del ' Verbo saltante ' (ivi 475 A), e quella dell'ascolto interiore del Logos che parla (473 D).

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 2 9

momento ogni spiritualità diventa un quotidiano na­scere di Cristo, uno sviluppo effettivo della grazia battesimale : « Per Spiritum Sanctum in hoc sacramento datum deposita vetustate quotidie renovamur in cogni-tione et amore Dei »78. Ciò non è, tuttavia, che il quotidiano ripetersi del mistico avvento del Logos: « Quotidie enim in devotis venit, quia eos renovat et gratiam in eis cumulat » 79. Principio di questa crescita interiore è l'amore. Riccardo spiega l'ascesa mistica in un sistema di gradi d'amore: il più alto è quello della fecondità, in cui si verifica la nascita di Dio, caratte­ristica della mistica propriamente detta80. Ed è qui indicativo il riapparire dei due antichissimi testi di Is 26,18 e Gal 4,19. Nessun dubbio che Riccardo sia l'erede della theologia cordis dei Padri della Chiesa81.

Questo processo spirituale si spiega dal fatto che Cristo vien formato nel cuore : « Ad hoc ergo iuvari se petit anima et eo usque proficere, quatenus Christus formetur in ea et vivat iam non ipsa, sed vivat in ea Christus » (421 C).

78 De superexcellenti baptismo Christi (PL 196, 1017 A). Anche qui troviamo delle idee sulla relazione tra il battesimo e il corpus Christi (1014 B-D) e sull'inabitazione di Cristo nel cuore: « Fides enim Christi in corde tuo, Christus est in corde tuo » (1016 B). - Di questo opu­scolo sul battesimo di Cristo solo il prologo si può attribuire con sicu­rezza a Riccardo. La parte principale proviene invece da GUALTIERO DI S. VITTORE.

'» Expl. in Cantic. 32 (PL 196, 495 C). 80 De quattuor gradibus violentile caritatis (PL 196, 1216 D, 1217 A).

Cfr. Expl. in Cantic. 23 (PL 196, 473 D) : « Anima cum in gratia cre-verit et pietatem conceperit, tunc mater fit». - Cfr. G. DUMEIGE, Richard de St. Victor et l'idée chrétienne de la charité, Parigi 1952.

81 Si considera come propagatore delle idee di Eriugena special­mente ONORIO D'AUTUN, che nella sua opera Clavis physicae presenta un estratto dal De divisione naturae. Cfr. A. ENDRES, Honorius Augusto-dunensis, Kempten-Monaco 1906, p. 64SS. Poiché il Clavis physicae è ancora inedito, non si può qui fare un confronto. Nel commentario di Onorio al Cantico dei Cantici (PL 172, 433 B) qualche descrizione

130 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Un altro aspetto caratteristico di questo nuovo svi­luppo della teologia della nascita di Dio è l'unione della nascita mistica di Dio con la teoria delle età del mondo 82 -ed anche in ciò ci si può riferire ad Eriugena, che nel suo sistema ha collocato arditamente l'incarnazione di Cristo al centro della storia del mondo. La triplice nascita del Logos definisce la partizione di tutta la storia : l'origine eterna dal Padre, la nascita temporale dalla Vergine e quella mistica dal cuore del credente. Con ciò s'accorda pure la nota dottrina di Bernardo sui tre avventi di Cristo, il secondo dei quali, quello mistico, corrisponde alla nascita di Dio nel cuore. Un'allusione a questa triplice nascita si ha nelle tre Messe di Natale. In tal forma anche Innocenzo III (ovviamente nel periodo dei suoi studi parigini) ha accolto la suddetta dottrina. « Christus enim per affectum concipitur, per efFectum nascitur » 83 : così egli s'esprime con le parole della mistica di S. Vittore. Fu lui principalmente a introdurre questa spiegazione delle tre Messe di Natale nella letteratura spirituale. Questa triade dovrebbe sim­boleggiare la triplice nascita di Cristo : « Divinam ex Patre, carnalem ex matre, spiritualem in mente. Ex Patre nascitur Deus, de matre natus est caro, in mente

della incamatio e della deificatio ricorda un po' Eriugena. Per il resto la sua descrizione ricalca gli stessi concetti che abbiamo riscontrato in Riccardo di S. Vittore.

82 Sulla teoria delle tre età del mondo e la sua relazione alle tre messe di Natale, cfr. O N O R I O D ' A U T U N (PL 172, 729 D; 645); U G O DI S. VITTORE (PL 177, 441 CD ; 877 CD) ; GIOVANNI BELETH (PL 202,

76s); DURANDO, Rationale de officiis domin. etfest., Lione 1574, P- 276; PIETRO LOMBARDO (PL 191, 1217).

83 Serm. de Nat. Dom. 3 (PL 217, 461 B). Ivi (460 D ) , si allude a Mat 12,50.

LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO 1 3 1

nascitur spiritus »84. La dottrina di Innocenzo non è importante solo perché ricomparirà nella mistica di TAULERO

85, ma anche e soprattutto perché essa è entrata con le medesime caratteristiche nella teologia di S. Tommaso d'Aquino. La speculazione propria­mente mistica sulla nascita spirituale di Dio non ha lasciato altrimenti nessuna traccia nella teologia del­l'Aquinate S6. In un sol luogo Tommaso parla esplici­tamente della nascita di Dio, nel medesimo senso della teoria (a lui ben nota dagli scritti di Innocenzo ο forse anche appresa dai circoli ascetici) della triplice nascita simboleggiata nelle Messe di Natale : « Alia (nativitas) autem est temporalis, sed spiritualis, qua scilicet Chri-stus oritur tamquam lucifer in cordibus nostris » 8 7. In

81 Ivi (459s). Sull'avvento mìstico nell'anima cfr. Serm. in Adven-tum Domini 4 (PL 217, 329 BC).

85 Cfr. la famosa predica di TAULERO ' Le tre nascite ' (Die Pre­diteti Taulers, a cura di FEHD. VETTEE, Berlino 1910, p. 7ss). La mistica della nascita di Dio in Taulero è impregnata dell'agostiniana ' spiri­tualità del Natale ', di cui abbiamo parlato, in misura maggiore rispetto alla mistica del Maestro Eckehart, che annoda più chiaramente la sua speculazione alla nascita eterna del Logos ed è perciò più affine a Scoto e a Riccardo di S. Vittore.

86 Prescindiamo qui dalla teologia della grazia dell'Aquinate, dalla quale la successiva mistica della nascita di Dio è stata arricchita in modo sostanziale. Anche secondo Tommaso la grazia è una trasfor­mazione dell'anima in immagine del sempre nascente Logos. Cfr. specialmente Summa Theol. I, q. 43, a. 5, ad 2: «Anima per gratiam conformatur Deo. Unde ad hoc quod aliqua persona divina mittatur ad aliquem per gratiam, oportet quod fiat assimilatio illius ad divinam personam quae mittitur per aliquod gratiae donum ... Filius autem est Verbum, non qualecumque, sed spirans amorem ». Cfr. anche Summa Theol. I, q. 43, a. 6 ad 2, dove si trova un concetto tanto signi­ficativo per la storia della spiritualità: la differenza fra la missio Filli, che è avvenuta una sola volta, e la ripetizione incessante del progresso ascetico che ne consegue. Si crede che in questo luogo l'Aquinate avesse in mente la teoria mistica del sempre nascente Logos.

*' Summa Theol. Ili, q. 83, a. 2 ad 2.

132 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

una predica natalizia, che però difficilmente appartiene all'Aquinate, ritorna ancora la medesima dottrina: « Circa nativitatem sciendum hic, quod triplex est eius nativitas, aeternalis ex Patre, temporalis ex matre, spiritualis ex corde. Hoc significant tres missae in die nativitatis » 88.

88 Sermo de Nat. Dom. (Opera omnia, ed. Vivès, Parigi 1876, tom. 29, p. 287). Cfr. M. GHABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin, Miinster 1931, p. 329SS.

6.

LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART

Solo ora, dopo aver esposto la lunga storia della teologia della nascita di Dio, possiamo conveniente­mente discernere l'eredità della tradizione e i beni allo­diali della mistica del Maestro Eckehart. Una cosa è certa: il contributo specifico di Eckehart non sta nel contenuto, ma nella forma geniale, nella magnifica into­nazione con la quale ha posto la teologia della nascita di Dio al centro, accuratamente definito, della sua mi­stica. L'idea gli è pervenuta da diverse fonti, è antichis­sima e, come abbiamo visto, è uno degli elementi essen­ziali della mistica cristiana di tutti i tempi. Essa è perciò così adeguata alla definizione fondamentale del feno­meno mistico, che nel corso della sua storia è posta sempre al centro, ogni qual volta i mistici costruiscono un sistema teologico in base alle loro esperienze inte­riori. La linea storica di questa affinità ideale va da Ori­gene a Massimo per il tramite di Gregorio Nisseno, e di qui a Scoto Eriugena e ad Eckehart. Alla luce di queste considerazioni s'attenua l'importanza delle tante piccole questioni sull'indicazione precisa delle fonti dalle quali il Maestro Eckehart ha desunto la sua dottrina della

134 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nascita di Dio. Possiamo tuttavia contribuire alla solu­zione del problema delle fonti di Eckehart, sempre im­portante per la storia della spiritualità. In ogni caso si dovrà definire se esiste tutta intera la produzione latina di Eckehart. Noi abbiamo preso come base l'opera preferita di Eckehart, il Commentario a Giovanni, per indicare le linee entro le quali si può svolgere una feconda ricerca delle fonti1.

Non ci inoltreremo qui nello studio del contenuto della dottrina eckehartiana della nascita di Dio, che per ora è meglio lasciare da parte 2. Il nostro cammino attraverso la storia di questa dottrina ci indica chiara­mente quanto sia stata giusta la condanna ecclesiastica delle proposizioni eckehartiane sulla nascita di Dio, così come sono. Ma è pure certo, soprattutto dopo l'autodifesa del Maestro 3, che egli ha voluto intendere

1 Poiché dell'edizione critica del commentario latino a Giovanni del Maestro Eckehart, del 1936-1953, non sono usciti che 4 fascicoli (MEISTER ECKEHART, Die ìateinischen Werke, v. Ili, Stoccarda 1936-1953, Expositio S. Evangeli! secunium Iohannem), noi citeremo se­condo il manoscritto Cod. 21 della Biblioteca dell'Ospedale di Cues, Folio 87vb - i34va .

2 Un'ott ima esposizione della dottrina eckehartiana della nascita di Dio è stata fatta da H. PIESCH nell'opera di O. KARRER-H. PIESCH, Meister Eckeharts Rechtfertigungsschrift vom Jahre 1326, Erfurt 1927, pp. 25-51. Cfr. anche Ò. KARRER, Meister Eckehart. Das System seiner religiiisen Lehre und Lebensweisheit, Monaco 1926, p. 339SS. - J. BER-NHARDT, Die philosophische Mystik des Mittelalters, Monaco 1922, p. I91ss. - M. PAHNKE, Meister Eckeharts Lehre von der Geburt Gottes itti Gerechten in Archiv JUr Religionswissenschaft 23 (1925) PP· 15,252. -A. DEMPF, Meister Eckehart, cine Einfiihrung in sein Werk , Lipsia 1934, pp. 213,218. - K. "WEISS, Die Seelenmetaphysik des Meister Eckehart in Zeitschrift fiir Kirchengeschichte 52 (1934) p. 467; cfr. specialmente l'appendice, p. 521, sulla generatio e ììfiliatio.

* Per l'autodifesa dell'anno 1326 cfr. l'edizione di G. THÉRY: in Archives d'histoire doctrinale etlittéraire du moyen àge 1 (1926) pp. 129-268. A. DANIELS, Eine lateinische Rechtfertigungsschrift des Meister Eckehart

LA QUESTIONE DELLE FONTI DIE CKEHART 1 3 5

la sua dottrina della nascita di Dio assolutamente nel senso dell'antica tradizione dei Padri a lui ben nota. Ciò dà per molti versi all'indagine sulle fonti della teologia della nascita di Dio il carattere d'una difesa della sua dottrina. Noi riprendiamo qui e completia­mo quel che lo stesso Eckehart ha fatto, preoccupan­dosi di portare in propria difesa le auctoritates dei Padri della Chiesa.

L'altra questione è senza dubbio quella dell'(«/Z«550 di Origene su Eckehart, perché qui si incontrano la fine e il principio della suesposta storia dell'idea. Con evi­dente piacere Eckehart si richiama alla nona Omelia di Origene su Geremia, in cui si parla della nascita continua e incessante del Logos eterno nel cuore del credente 4. Egli aveva conosciuto questo testo special-

(Beitràge z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters 23, 5), Munster 1923. - Queste dichiarazioni di Eckehart vanno completate con gli atti del processo ad Eckehart di Avignone, recentemente rinvenuti. Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehartprozess in Avignon. Aus der Geisteswelt dei Mittelalters (ed. M. Grabmann), Munster 1935, pp. 1099-1124. Per la nostra questione hanno una particolare importanza gli articoli 20-23 (PP· 1118-1121).

1 Cfr. sopra, p. 52. Nelle opere di Eckehart giunte fino a noi il passo è citato nel Commentario all'Ecclesiastico (DENIFLE, Meister Eckeharts lateinische Schriften und die Grundanschauungen seiner Lehre in Archiv f. Lit.-u. Kirchengesch. d. Mittelalters 2 (1886) p. 572, 4.14; 595, iss). - G. THERY, Ausgabe des Sapienz- kommentars in Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) 379, 10; 389, 5. - Fr. PFEIFFER, Meister Eckehart, Lipsia 1857, p. 147, 31SS. - Apologia (Théry, p. 265; Daniels, p. 62, 24S). - In loatt. comm., Cues fol. 108 va: «Origenes super ilio: inventa est coniuratio Ier. XI sic ait: felix ille qui semper a Deo {fol. 108 va) nascitur. N o n enim dicam iustum semel ex Deo natum, sed per singula virtutis opera semper a Deo nascitur. N a m et in divinis Filius semper natus semper nascitur ». - In tutti questi luoghi si tratta del passo da noi già conosciuto della IX omelia di Origene su Gere­mia (GCS Origenes III, p. 70, u s s ) , tradotto da GIROLAMO (cfr. PL 25, 637 AB) e utilizzato anche da R A B A N O M A U R O (PL I H , 892C ).

136 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

mente dalla Glossa ordinaria6; questo è però assai ap­prezzato anche nella Scolastica6. Nella sua autodifesa Eckehart parla anche d'un altro testo di Origene. Si tratta della dottrina del semen divinum in cnima, quindi d'una tesi che sta in stretto rapporto con la dottrina della nascita di Dio. In difesa della sua quattordicesima proposizione, tratta dal libro Benedictus Deus, Eckehart si richiama espressamente alla « doctrina Origenis in omelia super 26 » 7. DANIELS ha voluto vedere in ciò una prova a favore dell'omelia 26 di Origene sul libro di Giosuè8. Ma al luogo indicato non si parla affatto del « semen divinum in anima ». Secondo noi è in questione un solo testo di Origene, che Eckehart ha potuto' conoscere nella versione di Rufino: è l'omelia sul salmo 36. Il passo, donde è tratta la proposizione incriminata di Eckehart, così suona : « Der same gottes ist in uns. Hetti er einen guoten anwiser und flissicen wercman, so neme er des bas zuo und wiichse uf

- Per quanto riguarda l'influsso di Origene sulla teologia del primo medioevo, cfr. H. DE LUBAC, Exégèse medievale, v. I, Parigi 1959, pp. 198-219, 221-304: L'Origene latin. Lecture d'Origene au Moyen Àge (vers. ital., Esegesi medievale, Ed. Paoline, R o m a 1962).

5 PL H 4 , 26 C. β È citato da PIETRO LOMBARDO, Sent. I, 9, 11 (PL 192, 548).

DENIFLE (Archiv, P. 572, nota 4) osserva che il passo è citato spesso dagli Scolastici, e indica S. TOMMASO D ' A Q U I N O , Summa Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. Qui si allude però ad un altro passo, ritenuto un testo di Origene, ma che deriva da SCOTO ERIUGENA; cfr. appresso, nota 12.

7 THERY, p. 191 e 206. DANIELS, p. 7, 8; p. 65, 35. 8 DANIELS, p. 7, nota 3. Viene indicato il testo di PG 12, 945 Β

ed anche un altro testo dell'Omelia I di Origene sulla Genesi, dove tuttavia si parla solo in termini generali dell'inabitazione di Cristo nell'intimo del credente. Da quanto è stato detto sopra, p. 43SS, sulla dottrina di Origene appare che la documentazione addotta da Daniels non è stata scelta felicemente.

LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART 137

zuo gotte, des same er ouch ist » 9. Ma questo è esatta­mente il concetto espresso da Origene nell'omelia sul salmo 36: « Et quid aliud semen iusti dignum est putare nisi discipulum iusti qui suscepto semine generatur ad vitam aeternam? Tum deinde ingressus sermo Dei in animas vestras et haerens in corde vestro formaret utique mentes vestras secundum speciem Verbi ipsius ... et per hoc ipse Christus formatur in vobis, tunc vere efnceremini semen iusti »10. Il testo, di tanto rilievo per la dottrina di Origene, concorda dunque perfetta­mente con Eckehart: per la provvida cura del maestro dello spirito, del ' flissicen wercmans ' il seme di Dio si sviluppa nell'anima.

Eckehart si sentì legato all'eredità di Origene anche in un altro punto importante della sua dottrina della nascita di Dio.

Ma così egli è diventato, senza saperlo, l'erede di GIOVANNI ERIUGENA. Si riteneva allora comunemente che l'omelia di Scoto sul prologo giovanneo fosse un'opera di Origenen . Anche Tommaso d'Aquino cita una volta nella Summa un passo di questa presunta

• Estratto dal Buch der gòttlkhen Tróstung (ed. da P H . STRAUCH, Bonn 1910), p. 43, 12-17. Cfr. THBSY, Archives 1, p. 167, in cui sono presentati i luoghi principali.

10 Homil. in Ps. 36 (PG 12, 1357 AB). Nel manoscritto dell'auto­difesa di Soest si dovrebbe però ammettere un errore di ortografia. Ciò risulta dal fatto che nel medesimo luogo (a prescindere da tanti altri) è errata anche la citazione di Seneca e di Cicerone, forse a causa di un'inesattezza da parte dello stesso Eckehart. - È degna di nota anche la reviviscenza della dottrina tipicamente origeniana dell'ani­ma immagine dell'immagine: cfr. PFEIFFER, p. 315, 35; KARRER-PIESCH, Rechtfettigungsschrifì, p. 158, nota 46.

11 Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Ut., ν. ΙΙ/2, p. 139.

138 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

opera di Origene 12 e spesso nella sua Catena accoglie testi tratti dalla suddetta omelia 13. Eckehart è venuto a conoscenza di tale omelia soprattutto attraverso la Catena di Tommaso; ma alcuni passi del commentario a Giovanni dimostrano che egli l'ha letta anche nel suo insieme 14. In ogni caso abbiamo dunque in questo luogo un contatto diretto fra i due teologi geniali, le cui opere dimostrano anche per altri motivi delle affinità degne di nota.

La dottrina dell'unico uomo perfetto Cristo, nel quale solamente noi siamo ' figli ', è in così stretta

12 Stimma Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. DENIFLE (Archiv, p. 572, nota 4) ritiene che anche queste parole di Tommaso siano un richiamo al testo dell'omelia su Geremia. In realtà si tratta di un richiamo ad un testo di Scoto Eriugena (PL 122, 287 B).

13 Cfr. soprattutto le citazioni intorno al primo capitolo del van­gelo di Giovanni, specialmente Giov. 1,9.10, che sono presentate in genere con l'indicazione, ' Origenes in Homilia '.

14 Cfr. p. es. il commentario a Giovanni (Cues fol. 91 vb) su Giov 1,4: « (Et vita erat lux hominum): Origenes vero dicit: per li hominum intelligitur universa natura rationalis ». Ciò può riferirsi solamente all'omelia di SCOTO (PL 122, 290 A) : « Lux itaque homi­num Dominus noster Iesus Christus qui in humana natura omni rationali et intellectuali creaturae seipsum manifestavit ». - Un altro esempio (fol. 94 vb su Giov 1,13) : « Per voluntatem carnis vero femi-nam intellegit ». Cfr. SCOTO (PL 122, 297 B) : « Caro quippe femineum sexum saepe significat ». - Fol. 99 vb e 123 rb : « Semper fuit et est Pater, semper Filius fuit et est, semper natus semper nascitur; (Ps 109) Filius meus es tu, ego hodie genui te, genui quia natus, hodie quia nascitur, propter quod et ' sinus ' dictus est Patris ». - Cfr. SCOTO, in Prol. Ioan. (302 D) ; De àiv. nat. 2, 20 (553 AB). Gli esempi potreb­bero essere moltiplicati, ma resta il fatto che noi non possiamo tra­scurare nell'indagine sulle fonti della mistica di Eckehart la dottrina dell'omelia di Scoto su Giovanni. I due concetti caratteristici di questa omelia (cfr. sopra, p. U9s; p. 122, nota 52), cioè la tesi dell'unità del ' Figlio ' per il quale solamente noi possiamo ascendere al Padre, e quella della continuazione della generazione eterna del Logos nel­l'opera della natura e della grazia, hanno un'importanza rilevante per la mistica eckehartiana della nascita di Dio.

LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART 1 3 9

connessione con la teologia di Scoto, che non possiamo spiegare solo alla luce della teologia dell'unico uomo Cristo, di ispirazione agostiniana, la dottrina eckerha-tiana, in modo particolare il significato specifico di questo concetto nella mistica di Eckehart. Anche se non possiamo per ora addurre nessuna prova che Eckehart abbia letto l'opera De divisione naturae di Scoto, ο almeno la Clavis physicae di Onorio d'Autun, tuttavia secondo noi egli ha conosciuto ugualmente il sistema eriuge-niano dell'ascesa mistica, soprattutto attraverso Riccardo di S. Vittore, oppure dalla mistica cistercense 1 5.

In un altro punto ancora della teologia della nascita di Dio, in verità non molto importante, ma assai significativo, Eckehart è erede della tradizione dei Padri: nel concepire il cuore come centro vivificatore dell'uomo, luogo segreto e insondabile dell'incontro col divino. Egli cita al riguardo un testo di Macrobio, in cui il sole è detto ' cuore del mondo ' 1 6 . Il cuore è la parte più intima anche nel Padre eterno, dal cui

15 La denominazione del Logos come voluntas Patris, che sopra, p. 109, abbiamo detta tipica di Riccardo di S. Vittore, ritorna anche in Eckehart e ricorda perciò Riccardo. Cfr. In Ioan. comm. (fol. 94 ve) : « Parum enim mihi est Verbum caro factum prò nomine in Christo, supposito ilio a me distincto, nisi (fol. 94 bv) et in me personaliter, ut et ego essem filius Dei... et fortassis hoc est quod oramus nottante Domino Matth. 6: fiat voluntas tua ... id est sicut in Christo, celo, voluntas Patris facta est ut esset Filius, voluntas enim Patris ut Pater naturaliter est generare et habere Filium, sic in terra, id est in nobis terram habitantibus fiat voluntas Patris, ut simus filii Dei ».

16 In Ioan. comm. (fol. 131 vb): «Per latus, ubi cor latet, affectio-nes designantur, operatur enim Iesus, in anima si est; si renuit operari in eo non est», (fol. 132 rb): «Humana vita... consistit in quadam mocione que a corde diffunditur in singula membra corporis, cor enim specialiter in homine respondet soli inter planetas. Sol enim medius planetarum, cor celi, mens mundi... ut Macrobius ait et subdit : hoc est sol in aethere quod in animali cor ».

140 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

cuore vien generato il Logos. Nel ' cuore dell'anima ' avviene la nascita mistica di Cristo 17. Considerando la ricca storia della theologia cordis possiamo ora stabilire donde derivino ultimamente i concetti della mistica eckehartiana.

Di più difficile soluzione è la questione della dipen­denza di Eckehart dalla teologia della nascita di Dio di AGOSTINO, poiché Eckehart nella sua ottima cono­scenza degli scritti agostiniani accenna molto più che altrove alle tesi del Vescovo di Ippona e inoltre cita assai spesso anche da opere che egli credeva agostiniane, ma che in realtà provengono dall'ambiente della mi­stica bernardiana 18.

17 Citiamo solo uno degli innumerevoli testi : « Also wirdit daz ewige wort gesprochin innewendic in deme herzin der sele, in deme innirsten, in dem lutirsten, in deme heubiste der sele, daz ist in vor-nunftigkeit, da geschihit di gebort inne » (Ph, STRAUCH, Paradisus animae intelligentis, Berlino 1919, p. 14, 18-21).

18 Riguardo alla citazione di Agostino rimandiamo all'indagine, la migliore esistente, di KARRER, Meister Eckehart, e a KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi. Cfr. anche il commentario di Eckehart alla Sapienza, in G. THÉRY, Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) p. 321-433 ; 4 (1929) p. 233-394. Un esempio del modo di citare da Agostino lo troviamo in PFEIFFER, p. 151, 13: « Sant Augustinus sprichet, daz got alle zit geborn werde an unterlaz in der sele ». Questo è un richiamo alle speculazioni agostiniane sull'eternità della nascita del Logos, cui lo stesso Eckehart si riferisce nella sua apologia (Théry, p. 238; Daniels, p. 51, I5ss), citando Confessiones 11, 13, 16 (PL 32, 815). Cfr. anche In Ioan. comm. (fol. 89 rb) : « Semper fuit Pater, semper habuit Filium »; (fol. 89 va) : « Semper nascitur et semper natus est ». -Per un'altra citazione, che si ritiene provenga da Agostino (cfr. KARRER, M. Eckehart, p. 1363; KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi, p. 29): « Quando l'anima viene accesa dall'amore di Dio, Dio vien generato nell'anima », penso che si possa affermare la sua derivazione da uno scritto della mistica bernardiana, anche se finora non è stato provato con certezza. - Per la dottrina agostiniana del ' Figlio unico ' nel quale solamente possiamo ascendere al Padre, cfr. la citazione nel commentario a Giovanni (fol. 109 rb), che Eckehart ha tratto dalla

LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART 1 4 1

In genere Eckehart è profondamente preso da quella che noi abbiamo definito interiorità agostiniana. Con piacere si richiama ai testi del De vera religione e delle Confessiones 19. Naturalmente gli è stata di particolare gradimento la speculazione di Agostino sulla genera­zione eterna del Logos: « Semper nascitur et semper natus est, semper fuit Pater et semper habuit Filium ». Questo è il fondamento teologico della sua mistica. Il semper egli lo estende, come era ovvio, alla nascita di Cristo perpetuantesi nel cuore dell'uomo, riferendosi anche in ciò ad Agostino, benché questi non abbia mai espresso tale idea20. Eckehart ricorda perfetta­mente anche i concetti a noi già noti dalle prediche natalizie di Agostino. Le ' buone opere ', « partus et proles animae sanctae », che egli cita da Agostino 21, ricordano in genere l'ascetica agostiniana della nascita di Cristo nelle buone opere, ma sono pure una ripeti­zione della mistica tipicamente cistercense e vittorina,

Catena di Tommaso d'Aquino. Si cita espressamente il passo di GKE-GORIO MAGNO, di cui abbiamo parlato sopra, p. 120, nota 40: « Quia nos unum cum ilio iam facti sumus... is qui in celo semper est, in nobis ad celum cottidie ascenditi»; ed è qui estremamente significa­tivo che Eckehart aggiunga di proprio l'espressione ' in nobis '.

19 Cfr. il commentario a Giovanni su Giov 1,1 («In principio erat Verbum »), dove viene spiegato l'in (fol. 89 va) : « De primo istorum quod notat li ' in ' est inesse et intimum esse... patet eciam in primo effectus Dei foras, quod est esse intimum, secundum illud Augustini: intus eras et ego foras; patet hoc tercio in ipsis potenciis animae que quanto diviniores et perfectiores tanto intimiores... intimum enim et primum uniuscuiusque racio est; Verbum autem Logos sive racio est». lui (fol. 123 rb) su Giov 14,10 (Pater in me manens) : « In me, ad denotandum quod Deus ipse illabitur essencie anime. Iterum etiam, ipse manet in abditis, intimis et supremis ipsius anime. AUGUSTINUS, De vera religione: Noli foras ire...».

20 Cfr. sopra, p. o8s. 21 Apolog. (Théry, p. 265 ; Daniels, p. 52, 28s). Cfr. sopra, p. 99S.

142 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

che noi abbiamo appreso soprattutto da Riccardo di S. Vittore. È ancor più chiara la derivazione agosti­niana dell'idea della nascita di Cristo dall'anima vergi­nale, molto importante per l'intera storia della mistica e che pure in Eckehart ha avuto una espressione ricca di significato 22. La fonte classica è qui il libro di Ago­stino De Virginitate.

Qual fonte principale della mistica eckehartiana della nascita di Dio non si dimentichi infine la tradizione propria del suo Ordine, dalla quale provengono opere tipicamente ' eckehartiane ' e profondamente radicate nell'antica tradizione, come l'opuscolo De humanitate lesu Christi. Sarebbe particolarmente utile, inoltre, una accurata indagine sui rapporti fra Eckehart e la Scuola vittorina, la cui incidenza fu notevole per la teologia mistica insegnata a Parigi, alla quale deve tanto anche la mistica domenicana 23.

22 Apolog. (Théry, p. 264; Daniels, p. 62, l6ss): « Quotienscumque fit illa generatio tunc parit ipsa (anima) illum unigenitum Filium prop-ter hoc multo plures sunt fìlii quod pariunt virgines... ». Cfr. PFEIFFER, p. 44, 15.19; p. 265, 14SS. KARRER-PIESCH, p. 131S.

83 Dall'apologia appare quanto spesso Eckehart si richiami a BERNARDO. Cfr. KARRER-PIESCH, pp. 79.84.86 ecc. - Si dovrebbe rettificare anche il giudizio pronunziato da J. Bernhardt sulle discre­panze tra Eckehart e Bernardo. Cfr. Jos. BERNHARDT, Bernhardische uni Eckehartische Mystik in ikren Beziehungen una Cegensàtzen, Kempten-Monaco 1912, p. 56. - Non è più sostenibile nemmeno il giudizio di Bernhardt sulla mistica eckehartiana della nascita di Dio, ora che abbiamo presente tutta la storia dell'idea. Bernhardt dice (p. 45): « L'idea centrale della sua mistica, la nascita di Dio nei giusti, deve essere vista nel rapporto alla sua cristologia; in tal modo diviene subito evidente che la sua mistica non è affatto specificamente cri­stiana ». - Anche E. SEEBERG vede proprio nella dottrina della nascita di Dio il punto in cui Eckehart si sarebbe allontanato sostanzialmente dalla dottrina della grazia della Chiesa. Cfr. Deutsche Evangelische Erziehung 46 (1935) p. 159, dove Seeberg condensa in poche parole la dottrina eckehartiana della nascita di Dio: «Se tutto, se anche la

LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART 1 4 3

Come ultimo risultato della nostra indagine pos­siamo affermare che la teologia mistica del Maestro Eckehart sulla nascita di Cristo nel cuore del credente, nella sua geniale ed oscura originalità e malgrado il linguaggio del Maestro che l'intervento della Chiesa ha in ogni modo rettificato, si inserisce interamente nella lunga storia di questa idea, profondamente radi­cata nell'antica teologia e spiritualità cristiana. E pro­prio in questa storia si verifica ciò che oggi sempre più chiaramente risulta dalla dottrina di Eckehart : il ' senso fondamentalmente cattolico ' 24 della sua mistica della nascita di Dio. Cosi anche la storia successiva della teologia mistica del cuore, cui d'ora in avanti non si può più pensare senza il riferimento esplicito ad Eckehart, si congiunge con la teologia dei Padri della Chiesa ed offre insieme con essa una vera storia del­l'interiorità: per merito del Maestro Eckehart e della mistica tedesca si conserva per tutti i tempi la spiritua­lità di Origene, di Massimo e di Agostino.

grazia si ritira dall'anima, allora nell'anima vien generato il ' Figlio '». Il Maestro irride tutti quei tentativi di spiegazione che trascurano la premessa più importante: la conoscenza totale e perfetta della dottrina scolastica della grazia. E questa è radicata nella tradizione universale.

2 ' Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehart-Prozess in Avignon, Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Miinster 1935, p. 1107S. - Cfr. HERMA PIESCH, Meister Eckharts Ethik, Lucerna 1935. Dalla dottrina della nascita di Dio qui esposta esaurientemente e corredata d'uno studio sulle fonti (pp. 273; 73ss) si traggono le medesime con­clusioni alle quali, d'altra parte, è giunto anche il nostro lavoro: la fedeltà essenziale del Maestro alla tradizione cattoUca dei Padri della Chiesa.

356 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

martirio 46. Ma questo Spirito è « l'amore che promana da Cristo » e « che comincia a parlare nel cuore », è « l'amore del Padre e la gloria di Cristo », come si legge in una citazione esplicita da un inno47. Dal racconto del martirio del diacono Santo da Vienna risulta che l'azione dello Spirito Santo orienta l'animo coraggioso, «duro come roccia», alla confessione della fede; il martire è come una roccia dalla quale defluisce l'acqua viva. Dalla « celeste sorgente dell'acqua viva che scaturisce dal corpo di Cristo » l'acqua si riversa nel martire come «rugiada e forza»: αυτός δέ παρέ-μενεν άνεπίκαμπτος και ανένδοτος, στερρός προς τής όμολογίαν, ύπο της ουρανίου πηγής του ύδα­τος της ζωής του έξιόντος εκ τής νηδύος τοϋ Χρίσ­του δροσιζόμενος καί ένδυναμούμενος 4 8 . « Egli restò imperturbabile e irremovibile nella sua confessione, poiché era stato irrorato e rinvigorito dalla celeste fonte della vita che promana dal corpo di Cristo ».

Si ha qui un evidente richiamo anche ad Apoc 22,1. Il fiume non vien fatto però scaturire dal trono di Dio e dell'Agnello, ma dal ' corpo di Cristo '. Si tratta evidentemente d'una libera citazione di Giov 7,38. Non è affatto necessario spiegare il νηδύς come una traduzione posteriore di ' venter ', come se allo autore della lettera fosse stata veramente presente una antica versione latina, quasi precorritrice del codice

" Mart. Lugli. (GCS Euscbius II, 1, p. 414, 23-25). 47 Ivi (p. 410, i8s): μηδέν φοβερον δπου Πατρός α γ ά π η ,

μηδέ άλγεινον δπου ή Χρίστου δόξα-Cfr. anche ρ. 422> i6s. Questo Spirito che spinge al martirio, l'acqua viva della grazia bat­tesimale, è qui detto anche ' bianco abito da sposa ' (p. 420, 24S), proprio come in IRENEO, Aàv. haer. 4, 36, 6 (II, p. 281, 30ss).

18 Mart. Lugd. (GCS Eusebius II, 1, p. 410, 10-13).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 357

d49. Deve trattarsi piuttosto d'un'allusione a Giov 7,38. Ma qui ha un'importanza decisiva il fatto che una tale raffigurazione del corpo di Cristo qual fonte dell'acqua viva non sarebbe stata possibile se Giov 7,38 non fosse stato inteso allo stesso modo nella predica­zione e nel testo giovanneo.

Ma han pensato così anche i cristiani di Filomelio e di Efeso, ai quali appunto la lettera è indirizzata? Questa esegesi non ci riporta forse in quell'ambiente donde, ottant'anni prima del martirio dei cristiani dell'Asia Minore a Lione, era uscito il Vangelo di Giovanni? Certo, per questi anni decisivi le rare fonti non ci possono fornire una prova decisiva, almeno che non si possa percepire con sufficiente evidenza l'immediatezza del passaggio della tradizione da Gio­vanni a Policarpo e da questi a Ireneo. Possiamo tut­tavia avere un'ultima conferma dell'esattezza della nostra ipotesi dagli scritti d'un teologo che ha trovato la fede nella stessa Efeso e al quale Ireneo deve molto: GIUSTINO.

Nel dialogo di Giustino col giudeo Trifone ricorre di continuo l'antica esegesi romana e quella dell'Asia Minore. Il dialogo, infatti, ebbe luogo in Efeso verso la fine della guerra di Bar-Kochba, nell'almo 135, e circa vent'anni più tardi Giustino gli diede a Roma la sua odierna forma letteraria. Ciò risulta anche dalla struttura del testo del suo Nuovo Testamento, affine

*" Cosi J. A. ROBINSON, Texts and Studks I, 2, Cambridge 1891, p. 98. Dobbiamo rilevare che anche R U F I N O nella sua versione di EUSEBIO riproduce il passo in questo modo : « Caelestibus aeternisque fontibus qui procedunt de ventre Iesu » (GCS Eusebius II, 1, p. 411, I3s).

358 L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI

a quella del testo di Ireneo e chiaramente fedele al­l'antico testo romano 5 0. Nelle Apologie, come anche nel Dialogo, Giustino ha citato Giov 7,38 ο almeno vi ha alluso esplicitamente. Nella sua opera possiamo però trovare si numerosi elementi in favore della tesi qui esposta, da vedervi una sicura conferma dell'origine della nostra esegesi nell'Asia Minore.

Cristo medesimo è la sorgente dell'acqua viva zam­pillante nel deserto della conoscenza di Dio: πηγή ύδατος ζώντος παρά θ-εου εν τη έρήμω ... άνέ-βλυσεν οδτος ό Χριστός51. Queste acque scaturiscono da lui, che è ' roccia spirituale ' 5 2 , la ' caverna ' dalla quale (Is 33,16) esce T'acqua fidata'53. Nella loro incredulità i giudei hanno disprezzato quest'acqua viva. In tale contesto Giustino inserisce anche Ger 2,13, in cui Dio si rivela come la messianica ' fonte d'acqua viva ' contrapposta alle ' cisterne ' dei giudei54. Solo i credenti, divenuti gli ' eredi ', possono bere di questa acqua. « Voi (giudei) non potete capire che noi siam figli eredi; voi non potete bere infatti dalla fonte viva della Divinità, ma solo dalle cisterne aperte, che non possono trattenere l'acqua » 55.

50 Cfr. E. LIPPELT, QtiaefuerintJustini Martyris ' Α π ο μ ν η μ ο ν ε ύ μ α ­τ α , Halle J901, p. 95S; B. KHAFT, Die Evangelienzitate d. hi. Irenaus, p . 97S. - Sull'influsso di Giustino su Ireneo, Ippolito e Tertulliano, cfr. A. HARNACK, Gesch. à. altchrist. Lit., v. I, Lipsia 1893, p . iooss.

51 Dial. 69, 6 (Otto, Corpus Apologetarum I, 2, p. 250, 9s). 62 Ivi 34, 2 (p. 112, 19); 76, 1 (p. 270, 15-18); 90, 5 (p. 330, n s ) ;

113, 6 (P- 404, 11-13)-53 Ivi 70, I (p. 252, 3-6) ; 78, 6 (p. 280, 5-13). " Ivi 14, 1 (p. 50, 28-34); !9> 2 (p. 66, 20-22); 114, 20 (p. 408,

14-16). 55 Ivi 140, 1 (p. 492, 10-13). Cfr. l'esatta corrispondenza in IRENEO

con la citazione di Ger 2,13 e l'esplicita allusione a Giov 7,38: Adv. haer. 3, 24, 1 (II, p. 132, 7-9).

LA TRADIZIONE DELL ASIA MINORE 359

A questo punto ci imbattiamo in un mondo di idee della massima importanza per l'ulteriore sviluppo del­l'esegesi di Giov 7,38. La teologia dell'acqua viva, nella forma in cui è pervenuta a Giustino dalla tradizione dell'Asia Minore, non è che un'apologia contro il giudaismo; e senza dubbio fin dai primissimi tempi del cristianesimo della Diaspora, nella controversia con i giudei ellenisti (che è stata anche il movente per il Vangelo e per la prima lettera di Giovanni) si sono formati determinati gruppi di citazioni bibliche e di concetti, che da questo momento ricorrono di continuo. E dimostreremo appresso che qui va inserita anche l'interpretazione di Giov 7,38.

Prima ancora di Giustino, la LETTERA DI BARNABA 56

ha citato nel medesimo contesto Is 33,16 e Ger 2,13: si dimostra contro i giudei che la promessa dell' ' acqua (che scaturisce) dalla roccia ' e della ' fonte dell'acqua viva ' si è compiuta in Cristo. Così pure in Giustino, che vede il compimento di questa promessa nel Cro­cifisso : in ' acqua e sangue ' i credenti vengono rige­nerati alla nuova vita. I cristiani sono la ' seconda generazione ', in contrapposizione ai giudei considerati come il ' primo popolo '. I cristiani sono rinati da « acqua, fede e legno della croce », come già si leggeva anche nella Lettera di Barnaba57. Come una volta Mosè per mezzo del legno fece scaturire l'acqua dalla roccia, così « anche noi siamo ... purificati dal nostro Cristo mediante la morte in croce e il bagno nella acqua»58. La croce è l'albero piantato (Sai 1,3) presso

*• Barnabae epist. 11, 2-7 (Funk I, p. 73, 3-13). *' Ivi 11, 1 (p. 72, 1). « Dia/. 86, 1 (p. 310,23 - p. 312,1); 86, 6 (p. 314, 7-9).

360 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

le sorgenti - anche questo concetto fa parte dell'antico schema delle dispute coi giudei, come la stessa Lettera di Barnaba può dimostrare59. Giustino chiama Cristo semplicemente ή καλή πέτρα 6 0, come ancor prima iCor 10,4 aveva supposto a tutti noto tale significato di Es 17,6. Giustino parla (proprio come farà più tardi anche la lettera della Chiesa di Lione) del martirio come d'un dissetarsi con l'acqua viva che sgorga dalla roccia che è Cristo. Il Crocifisso, infatti, in quanto ' trafitto ' (Zac 12,10; Giov 19,37), come Giustino preferisce chiamare Cristo61, è il grande modello del martire : « E per noi motivo di grande gioia correre incontro alla morte per il nome della gloriosa roccia, che fa scorrere l'acqua viva nei cuori di coloro che amano in essa il Padre universale e che disseta tutti quelli che bevono l'acqua della vita »62. Roccia e corpo di Cristo son dunque, secondo Giustino, il principio fontale della nuova vita, dal battesimo fino al martirio: dal corpo di Cristo sgorga l'acqua che ci rigenera. Or ci sembra di vedere una sicura conferma

" Ivi 86, 4 (p. 312, 22-25); Barnabite epist. 11, 6 (p. 72, 15-19). -Cfr. J. D A N I Ì L O U , Théologie àu Judéo-Christianisme, Tournai 1958, pp. 294-303.

«· Dial. 114, 2 (p. 408, 9). "• Nella genuina dottrina giovannea della glorificazione del Mes­

sia - e quindi dell' ' avvento ' messianico nelle due parusie, quella del sangue e quella della gloria - nella crocifissione e in conseguenza della crocifissione del suo corpo umano: Zach 12,10; Giov 19,37; Apoc 1,7; Dial. 14, 8 (p. 54, i8s); 32, 2 (p. 106, 17S); 64, 7 (p. 230, 4s); 118, 1 (p. 422, 3s); Apol. I, 52 (Otto I, 1, p. 142, 2).

02 Dial. 114, 4 (p. 408, 8-11): ώς καΐ χαίρειν αποθνήσκοντας δια το όνομα το της καλής πέτρας καΐ ζών ΰδωρ ταΐς καρδίαις των δι'αύτοϋ άγαπησάντων τον πατέρα των δλων βρυούσης, και ποτιζούσης τους βουλομένους το τής ζωής ύδωρ πιεΐν.

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 361

dell'inserzione di Giov 7,38 nel suddetto contesto, perchè Giustino ha fatto una volta convergere in un medesimo concetto πέτρα e κοιλία: noi cristiani siamo il nuovo Israele che discende da Cristo; noi siamo infatti « usciti dalla caverna del suo corpo come da una roccia spaccata»: ημείς εκ της κοιλίας του Χρίστου λατομηθ-έντες ίσραηλιτικόν το άληθινόν έσμεν γένοςβ 3.

Fin qui ci è dunque possibile pervenire nell'indagine intorno a questa linea esegetica, donde proviene la prima chiara citazione di Giov 7,38 attestata da Ippolito. D'ora in avanti, come abbiamo già osservato, le rare fonti della prima metà del secondo secolo, se si eccet­tuano solo poche tracce, non ci forniscono elementi utili64. Dobbiamo citare ancora esplicitamente solo

»s Ivi 135, 3 (p. 480, 4-6). 84 Nella letteratura del secondo secolo cfr. la presenza di idee

cristiane nel TESTAMENTUM JUDAE 24, 4 (Charles II, p. 324), dove è detto che il Messia è fonte della vita: « αΰτη ή π η γ ή πάσιν παρεχο-ύση ζωήν ». Cfr. FL. SCHLAGENHAUFEN in Zeitschr. f. kath. Theol. 51 (1927) 486, nota 4. - Vanno qui inseriti in qualche modo anche due concetti tratti dagli ORACOLI SIBILLINI, dove si dice che nell'era messia­nica (senza dubbio in senso cristiano) « scaturiranno delle sorgenti », perché lo Spirito ha posto in Gesù, nel battesimo, la sua dimora : OR. SIBYLL. 6, 8 (GCS Geffcken, p. 130) ; nel battesimo il Glorificato laverà i credenti con le acque della fonte inestinguibile: OR. SIBYLL. 8, 315 (GCS Geffcken, p. 162). - Con prudenza si devono infine inserire nel nostro contesto le ODI DI SALOMONE. È interessante il modo in cui Od. l ì , 5. 6 collega il concetto della roccia con quello della sorgente: « Io stavo fermo sulla roccia della verità, dove egli stesso mi aveva posato. Acqua parlante giunse alle mie labbra dalla fonte del Signore » (E. HENNECKE, Neutestamentliche Apokryphen, 2 ed., Tubinga 1924, p. 447). Cfr. H. LEWY, Sobria ebrietas, p. 83S. - Od. 30 si richiama chiaramente a Giov 4,14; in 30, 5 si dice espressamente che quest'acqua sgorga dal Signore: «Essa (l'acqua) defluisce dalle labbra del Signore, dal cuore del Signore scaturisce la sua fonte » (Hennecke, p. 463S). Ma l'interpretazione del passo non è affatto concorde (' Signore ' = Uomo-

362 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

un'altra testimonianza. Questa dimostra infatti che la tradizione dell'Asia Minore è in stretto rapporto con la dottrina della prima lettera di Giovanni. Un fram­mento di APOLLINARE DI GERAPOLI parla, nella polemica antigiudaica già accennata in Ireneo, dell'umano e del divino in Cristo, per dimostrare che il potere mes­sianico di Cristo, quello di donare l'acqua viva, si manifesta nel sangue della sua morte reale in croce: dal corpo del ' trafitto ' sgorga Γ ' acqua dello Spirito ' : ó την άγίαν πλευράν έκκεντηίτείς, ό έκχέας εκ της πλευράς αύτοϋ τα δύο πάλιν καθ-άρσια, ύδωρ και αίμα, λόγον και πνεύμα 6 5 .

Così, partendo da Ippolito qual primo teste, abbiam condotto questa esegesi di Giov 7,38 fin nell'ambiente che era a diretto contatto con la primitiva tradizione efesina. Non è compito del presente studio determi­nare fino a qual punto essa si inserisca nella teologia degli scritti giovannei. Ma le linee di questa tesi ese­getica sono già tanto chiare, che ci consentono di affermare che essa s'accorda perfettamente con i prin­cipi basilari della cristologia della prima lettera gio­vannea e del quarto Vangelo.

Vogliamo ora rilevare brevemente i punti in cui le conclusioni fin qui raggiunte sono in contrasto con la tradizione proveniente da Origene.

Dio, ο Padre?); cfr. R . HARRIS, The Odes and Psalms of Salomon, Cambridge 1912, p . 128; W . FRANKENBERG, Das Verstàndnis der Oden Salomons (suppl. 21 a Zeitschr. f. alttest. Wissensch.), Giessen 1911. -Per il carattere difficilmente definibile di questi inni, che han subito senza dubbio anche l'influsso gnostico, sarà meglio rinunziare ad essi nell'esposizione della storia esegetica di Giov 7,38. LAGRANGE è dello stesso avviso: p. 215, nota.

"5 Frammento 4 da Π ε ρ ί τ ο ϋ π ά σ χ α (Otto, Corpus Apologeta-r u m IX, p . 487).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 363

a) Cristo non è tanto il Logos (in senso filoniano-origeniano), quanto piuttosto il Messia, Γ Uomo-Dio.

b) Perciò egli non viene considerato come il datore dell'acqua della dottrina e della gnosi, ma come colui che è stato esaltato nella sua reale natura umana, il datore dello Spirito, ossia dell'acqua, sintesi di tutti i doni messianici.

e) Più chiaramente che non nella tradizione ori-geniana, ciò significa che quest'acqua è vivificante non solo perchè si riversa in noi dalla fonte principale del Padre e attraverso il Logos, ma perchè è divenuta vi­vificante nel sangue. Il senso di tutta questa esegesi non può essere meglio espresso che con le parole di iGiov 5,6: «Egli è Gesù il Messia, che è venuto in acqua e sangue » - un concetto, questo, che non appare mai in tutta la tradizione origeniana (eccettuati na­turalmente i casi in cui - come vedremo - l'esegesi efesina esercita il suo influsso su quella origeniana).

d) Da ciò risulta che κοιλία non significa più l'in­timo dell'anima nel senso della psicologia filoniana, e nemmeno il mistico ' cuore ' di Origene, ma il ' corpo ' del vero uomo Cristo, in tutto il vigore del realismo della cristologia* dell'Asia Minore. Ne con­segue che il risultato più importante di questa esegesi è l'aver stabilito uno stretto rapporto tra Giov 7,38 e Giov 19,34. Cristo è la ' roccia spirituale ' dalla cui trafitta κοιλία scaturisce l'acqua viva; è il Messia che porta a compimento ciò che Mosè aveva compiuto una volta in modo figurato: fa sgorgare l'acqua della vita dalla roccia del suo corpo umano ucciso.

364 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

e) Infine, da quanto abbiamo detto appaiono già le linee, benché ancora non del tutto chiare, da cui deve risultare la risposta alla domanda: dove si è cer­cato di vedere la ' Scrittura' di cui parla Giov 7,38? Sono ora in causa tutte quelle profezie che presentano la salvezza messianica come acqua zampillante nel deserto e annunziano Dio stesso qual fonte della vita. Incontriamo qui Ger 2,13, Is 33,16 e Is 43,19, che fanno parte dello schema primitivo delle dispute coi giudei. Ai suddetti testi va aggiunto Zac 12,10, in cui è con­tenuta la promessa dell'acqua e la profezia del ' trafitto '.

2. - Abbiamo così delineato una teoria esegetica ricca di contenuto spirituale, teologicamente profonda e di antichissime origini. Come il codice D dimostra, assai presto essa ha trovato il suo fondamento nella struttura del testo anche dopo il tramonto della ge­nerazione della viva tradizione efesina. L'antica ver­sione latina di Giov 7,37.38 trasmette questa esegesi dell'Asia Minore ai Dottori della Chiesa d'Africa pro­prio nel medesimo periodo in cui comincia ad affer­marsi l'interpretazione del passo secondo il significato e la struttura del testo suggerita da Origene. Dalla teologia africana dobbiamo quindi iniziare lo studio della seconda fase della storia di questa esegesi.

Già la versione di Ireneo, esistente in Africa verso il 250, si fonda su un testo latino della Bibbia del tutto identico a quello del codice d ββ. Cosi è reso nel codice d il passo di Giov 7,37.38:

·« Cfr. R. HARRIS, A Study of Coàex Bezae: Texts and Studia 3. (1891) i6óss; B. KRAFT, Die Evangelienzitate des hi. Irenaus, p. 105.

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 365

« si quis sitit venia (n)t et bibat qui credit in me sicut dixit scriptura flumina de (ve)ntre eius fluent aquae vivae » 67.

Anche qui si omette dunque ' ad me' dopo il verbo ' veniat ', e si legano insieme ' bibat ' e ' qui credit in me '. Che il testo debba esser letto così appare ancor più chiaramente dal Codice Palatino (e), contenente anch'esso un testo africano. Dopo ' me ' vien posta qui un'interpunzione:

« Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. sicut scriptum est flumina de ventre eius fluent aquae vivae » Μ.

Dai Testimonia di CIPRIANO veniamo a sapere che questi non leggeva diversamente Giov 7,37 - non ostante che Hartel voglia arbitrariamente introdurre, contro la lezione dei migliori manoscritti, la ' moder­na ' (meglio, origeniana) interpunzione, ch'egli ha trovato in un manoscritto di dubbio valore. « Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me ». Questa raccolta di passi scritturistici antigiudaici, che Cipriano ha ri­cavato senza dubbio dalle fonti più antiche69 (Giustino,

" CODEX BEZAE CANTABRIGIENSIS, Cambridge 1899, v. I, fol. 133. 68 EVANGEMUM PALATINUM INEDITUM, ed . C. TlSCHENDORF 1847. M Cfr. R. HARRIS, Tesiimonies, v. I, Cambridge 1916. Harris

vuol riportare questi Testimonia contro Judaeos fino ai mistici Logia del proto-Matteo. Per la critica cfr. A. D'ALÉS, La Théologie de Si. Cypritn, Parigi 1922, p. 50.

366 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Lettera di Barnaba), ci conduce, anche per quanto riguarda il pensiero teologico, nell'ambiente in cui s'è formata l'esegesi di Giov 7,38. Cristo è la ' fonte d'acqua viva ' perché in lui, nel quale si compiono tutte le profezie dell'Antico Testamento, lo Spirito Santo ha posto la sua dimora (Giustino, Ireneo)70, perché egli è la ' roccia spirituale ' che dona l'acqua nel deserto, e perché è il ' trafitto ' che dal proprio corpo fa scaturire i fiumi dell'acqua dello Spirito.

Anche in TERTULLIANO tutti questi concetti forma­vano un complesso organico, benché non troviamo nemmeno in lui nessuna citazione esplicita di Giov 7.37-38. Giustino e Ireneo son le fonti della sua dottrina. Lo Spirito ha posto in Cristo la sua dimora (Is 11,1.2). Dacché lo Spirito vien dato ai credenti solo da Cristo, esso non è più con i giudei71. L'uomo Gesù è Γ ' ef­fusore ' dello Spirito del Padre : « Hic interim acceptum a Patre munus effudit Spiritimi Sanctum »72. In lui si compie non solo Giov 3,1, ma anche e soprattutto Ger 2,13, la grande promessa della ' fonte d'acqua viva ' : « Indubitate nos recipiendo Christum fontem aquae vitae (habemus) »73. Cristo è la roccia dalla quale una volta, nel deserto, scaturì l'acqua; dalla croce sgorga ora l'acqua della nuova santificazione

*· GIUSTINO, Dial. 87, 3 (I, 2, p. 31ÓS); IRENEO, Adv. haer. 3, 18,1 (II, p. 925). Cfr. anche A. VON UNGESN-STERNBEKG, Der traditionelle alttestamentliche Schrifìbeweis de Christo und De Evangelio in der alien Kirche bis zur Zeit Eusebius von Caesarea, Halle 1913.

71 Adv. Marcionem }, 8 (CSEL 47, p. S98s); 3, 17 (CSEL 4.7, p. 40+s).

78 Adv. Praexeam 30 (CSEL 47, p. 288, 7s). 73 PS.-TBRTULLIANO, Adv. Judaeos 13 (PL 2, 635 BC). Questo

scritto è tertullianeo almeno nello spirito, giacché gli ultimi capitoli del libro non sono che una compilazione.

LA TRADIZIONE DELL*ASIA MINORE 367

nello Spirito, l'acqua battesimale74. Alludendo evi­dentemente a Giov 7,39, Tertulliano racconta in che modo lo Spirito fu donato per la prima volta dopo la ' glorificazione ' del Signore, dopo la santificazione dell'acqua in virtù del sangue75. L'acqua dello Spirito « scaturì allorché egli (Cristo) venne trafitto», quando fu colpita la roccia : « Haec est aqua quae de comite petra populo defluebat. Si enim petra Christus, sine dubio aqua in Christo baptismum videmus benedici »7e.

Un documento classico, che conferma l'esattezza delle nostre conclusioni, ci viene da CIPRIANO. Si tratta senza dubbio d'un'esegesi di Giov 7,37.38 allora già tanto comune. Ciò permise pure che tutto il com­plesso di argomentazioni originariamente antigiudaiche venisse trasferito nel problema appassionatamente di­battuto della validità del battesimo degli eretici. Solo là dov'è la Chiesa si trova l'acqua viva dello Spirito: cosi Cipriano modifica l'antica teologia di Ireneo. C'è infatti una sola Chiesa e un solo Cristo. La Chiesa è il paradiso, nel quale solamente scorrono i quattro fiumi dei Vangeli: esattamente come in Ireneo e Ippo­lito77.

Per la conoscenza dei temi tanto cari una volta ai circoli teologici che s'erano ispirati all'esegesi romana e all'antico testo latino della Bibbia assume un parti­colare significato il fatto che in Cipriano è citato nel medesimo contesto anche Giov 7,37.38. Come Ippolito

74 Aàv. Marcionem 3, 5 (p. 382, 20. 28 : su Is 41,19); 5, 5 (p· 587, i s : su 1 Cor 10,4); 5, 7 (p. 595, 25 - p. 596,1) ; Aàv. Jud. 13 (PL 2, 63 ss).

,s De baptismo 20 (CSEL 47, p. 210, 24S). ™ Ivi 9 (p. 202, 16-18). " Cfr. sopra, p. 347S.

368 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nel Commentario a Daniele, così ragiona anche Ci­priano : « Ecclesia paradisi instar exprimens arbores frugiferas intra muros suos intus inclusit... has arbores rigat quattuor fluminibus id est evangeliis quattuor, quibus baptismi gratia salutari et cadesti inundatione largitur. Numquid de Ecclesiae fontibus rigare potest qui intus in Ecclesia non est? Numquid paradisi potus salubres et salutares impertire cuiquam potest qui perversus et a semetipso damnatur et extra paradisi fontes relegatus aruit et aeternae sitis siccitate defecit? Clamat Dominus ut qui sitit veniat et bibat de flumi­nibus aquae vivae quae de eius ventre fluxerunt »78.

; Qui ritorna apertamente il duplice significato, carat-ί teristico in Ireneo, di ' Corpo di Cristo ': l'acqua viva ' sgorga de ventre Christi, ossia tanto dal corpo fisico

di Cristo quanto dalla Chiesa. Cipriano infatti sog­giunge subito: « Quo venturus est qui sitit, utrumne ad haereticos ubi fons et fluvius aquae vitalis omnino non est, an ad Ecclesiam? ... aqua Ecclesiae ' fidelis ' (Is 33,16) et salutaris et sancta ... ». Le acque fidate ' della profezia di Isaia defluiscono quindi dalla Chiesa, fondata sulla roccia, e sono le acque del battesimo. Tuttavia la sorgente dell'acqua dello Spirito è sempre il corpo umano del Signore. Quanto Isaia ha prean­nunziato intorno all'acqua che scorre nel deserto e alla « roccia spaccata donde scaturiscono fiumi » (Is 43,18-21 ; 48,21), ha il suo compimento nel Cristo trafitto (Giov 19,34), come il Signore stesso aveva annunziato nel giorno solenne della festa (Giov 7,37.38): « Si sitierint, inquit (Isaias), per deserta, adducet illis aquam, de pe-

" Epist. 73, io , 11 (CSEL 3, 2, p. 785, 16 - p. 786, 4).

LA TRADIZIONE DELL*ASIA MINORE 369

tra producet illis, findetur petra et fluet aqua et bibet plebs mea. Quod in Evangelio adimpletur, quando Christus qui est petra finditur ictu lanceae in passione. Qui et admonens quid per prophetam sit ante prae-dictum clamat et dicit: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut Scriptum dicit: flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 79.

Tutto ciò non è che un'eco di Ireneo e di Giustino. Senza dubbio Cipriano deve questi concetti, che del resto erano noti alla teologia della Chiesa africana già prima di Cipriano, al suo ' maestro ' Tertulliano. Ce lo dimostra un trattato dal titolo De montibus Sina et Sion, d'autore ignoto, risalente probabilmente al tempo stesso di Tertulliano. Anche questo trattato proviene dalla tradizione antigiudaica ed ha forse su­bito l'influsso di Ireneo 80. Il monte Sion, contrapposto al Sinai dei giudei, è il simbolo della novità cristiana che abbraccia tutte le cose; è soprattutto il simbolo della croce di Cristo qual sintesi di tutta la dottrina cristiana. Dalla croce issata sul monte Sion vien dunque la ' legge ' (Is 2,3), e questa legge la portava ' in seno al suo corpo ' colui che morì sul monte Sion (Sai 39,9: nell'antica versione latina: lex tua in medio ventris mei; Vulg.: in medio cordis mei). Dal venter Christi nasce la Chiesa, in cui si perpetua il mistero della Pas­sione: infatti dal costato del Signore uscì acqua e san­gue e di qui fu formata la Chiesa. L'intero testo, che HARNACK dice « una sublime concezione teologica » 81,

" Epist. 6}, 8 (CSEL 3, 2, p. 706, 16 - p. 707, 2). " Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. à. àltk. Lit., v. II, 2 ed., Fri­

burgo 1914, p. 492S; C. H.' TURNER, in Journal of Theol. Studies 7 (1906) 597; P. CORSSEN in Zeitschr.f. d. neutest. Wiss. 12 (1911) 1-36.

81 Texte und Untersuchungen 20, 3, Lipsia 1900, p. 142.

370 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

suona così (e possiamo ancora una volta percepire la consonanza con Giustino e Ireneo) : « Lex Christia-norum crux est sancta Christi Filii Dei vivi, elicente aeque proprietà: lex tua in medio ventris mei. Percus-sus in lateris ventre, de latere sanguis et aqua mixtus profusus afHuebat, unde sibi Ecclesiam sanctam fa-bricavit, in quam legem passionis suae consecrabat, dicente ipso: qui sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut scriptum est, flumina de ventre eius fluebant aquae vivae » 82.

Queste parole sono state scritte dall'ignoto africano nel medesimo periodo in cui in Alessandria ο in Cesa­rea Origene, noto ormai fin nella reggia di Siria, spie­gava lo stesso testo di Giov 7,38. Ma qual differenza nell'interpretazione esegetica! Non si possono tuttavia indicare, con Lagrange, le due interpretazioni sempli­cemente come ' orientale ' e ' occidentale ' 8 3. Infatti l'esegesi ora comune nell'Occidente latino ha sì la sua origine a Roma, ma Ippolito l'apprende da Ireneo e questi, insieme con Giustino, dalla tradizione dell'Asia Minore, dove « sono sepolti i grandi luminari del­l'Asia», come POLICRATE DI EFESO afferma con or­goglio 84, i Presbiteri che hanno ascoltato direttamente le parole di Giovanni, discepolo del Signore. Ciò si può rilevare anche dalla vividezza che questo complesso

8a De montibus Sina et Sion 9 (CSEL 3, 3, p. 115, 9-15). Cft. anche <JS.-CIPRIANO, Adv.Judaeos 6 (PL 4, 923 B).

88 Evangile selon S. Jean, 5 ed., p. 214, nota: « C'est l'opinion d'Origene et, semble-t-il, de tout l'Orient, qui a reagì sur l'Occident dès le temps de Jerome et d'Augustin ; depuis elle ne semble pas avoir été contestée ».

84 Dalla lettera a papa Vittore, EUSEBIO, Hist. eccl. 3, 31, 3 (GCS Eusebius Π, p. 264, 11).

LA. TRADIZIONE DELL'ASIA. MINORE 371

sistema esegetico riguardante Giov 7,38 ha conservato fino a tutto il quarto secolo, illuminato dalla teologia di Cipriano e dall'antico testo latino della Bibbia.

Già al tempo di Cipriano un ignoto teologo, anche egli d'origine africana, aveva inserito nella sua teologia del battesimo la promessa contenuta in Giov 7,38. È l'autore del De rebaptismate, scritto contro Cipriano, ma la cui linea esegetica è perfettamente la stessa. Evi­dentemente la si era appresa nelle scuole in cui veniva insegnata la dottrina della S. Scrittura. Parlando della efficacia del battesimo di sangue, afferma che tale battesimo è salutare perché dal costato del Signore uscì acqua e sangue: « Cum utraque haec ex uno atque eodem fonte procedant fiumana baptismatis dominici, ut omnis qui sitit veniat et bibat, sicut scriptura dicit: flumina de ventre eius currebant aquae vivae. Quae flu-mina primum apparuerunt in Domini passione, cuius de latere perforato lancea militari sanguis et aqua ma-navit » 85.

Le più recenti indagini ci hanno consentito di de­terminare con maggior precisione rinflusso dell'esegesi di Giustino su Tertulliano e prima di lui su Ireneo come pure sulla teologia del terzo secolo. Tutti di­pendono dall'opera (ora perduta) scritta da Giustino contro Marcìone. Lo si può provare anche dal poema pseudo-tertullianeo Adversus Marcionem66. Qui riap­pare non solo la dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del costato di Cristo, ma ritorna esplici­tamente anche l'esegesi, presentata da Ireneo, Ippolito

" De rebaptismate 14 (CSEL 3, 3, p. 87, 14-19). *· Cfr. M. MULLEK, Untersuchungen zum Carmen adversus Marào-

nitas (Diss.), Wiirzburg 1936, p. 83SS.

372 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

e Cipriano, della Chiesa qual paradiso in cui scorre il quadruplice fiume dei Vangeli, le dodici fonti degli Apostoli, che traggono origine dal corpo di Cristo:

«Discite de fonte fluvium manare perennem, qui nutrit lignum (bis seni gratia fluctus), exit et in terram ventosque in quattuor orbis, tot fluit in partes fontis color et sapor unus. Sic et apostolico decurrit Ecclesia verbo ex utero Christi, Patris omni gratia piena sordida diluere et sata mortua vivificare »87.

Il κοιλία Χρίστου di Giustino è qui reso poetica­mente con uterus Christi. Entrambe le espressioni pos­sono essere ora comprese solo nel quadro dell'antica ed estremamente realistica esegesi della κοιλία di Giov 7,38. Ancora come in Giustino, viene pure detto che nel flusso dell'acqua viva ha origine la ' nuova gene­razione ', che si verifica qualcosa di simile alla nascita -questo concetto è trattato da Is 43,19-21. Questo testo è in stretto rapporto con Giov 7,38, e il concetto che li unisce è la presentazione del corpo di Cristo come sorgente dell'acqua che produce la vita, come roccia aperta. Roccia e sorgente erano pensate in così stretto rapporto, che già Giustino 88 e poi Tertulliano89 rite­nevano che perfino la circoncisione del 'primo popolo', praticata con coltelli di pietra (Gios 5,2), avesse avuto il suo compimento nel battesimo con l'acqua del Si­gnore sgorgante dalla roccia.

" Carmen adversus Marcionem II, vv. 38-44 (secondo il testo pre­sentato criticamente da M. MULLER, op. cit., p. 12: commento a p. 44). - La Chiesa che nasce dal costato di Cristo: ivi 2, 4 (ivi, p. 13; anche PL 2, 1064 C; 1067 BC); ora anche in CChr. Tertullian II, 1428.

M Dial. 113, 6, 7 (I, 2. p· 404, 5-n) ; 114, 4 (p. 406, I7s). " TERTULLIANO, Adv. Judaeos 9 (PL 2, 622 B).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 373

Or tutto questo sistèma teologico primitivo rie­merge nella disputa coi giudei inserita nel secondo libro delle Consultationes Zacchaei et Apollonii90. L'au­tore legge la profezia e il compimento della circon­cisione con coltelli di pietra nei tre passi ormai classici: Is 43,18-21; Is 48,21; Giov 7,38. Nella sua edizione MORIN non ha notato che non è citato Num 20,8, ma bensì Is 48,21, e precisamente secondo il medesimo testo citato da Cipriano; inoltre è riportato insieme anche Giov 7,38: «Et iterum: si sitierint per desertum, adducet illis aquam de petra; findetur petra et fluet aqua, et bibet plebs mea. Et tertio: flumina de ventre eius fluent aquae vivae »91. Non è però qui nostro compito determinare se l'autore dell'opuscolo delle Consultationes sia realmente FIRMICO MATERNO, come Morin ha cercato di dimostrare 92. Per quanto riguarda la teoria esegetica in questione non è affatto evidente che anche Firmico Materno nella sua apologia contro le religioni pagane abbia parlato della sorgente d'acqua che scaturisce dalla ' roccia spirituale ', ossia da Cristo 93; e ciò nemmeno là dov'egli riproduce l'antica lezione latina di Giov 7,38 per additare, contro l'uso misterico del culto di Attis, l'acqua viva promessa da Cristo: « Ait enim in Evangelio cata Iohannem... qui in me crediderit non sitiet umquam (6,35). Item in sequenti-

80 Consultationes Zacchaei et Apollonii 2, 8 (ed. G. Morin, Florile-gium Patristicum 39, Bonn 1935, pp. 63-65).

91 Ivi (ρ. 64, 29-31). 9 2 G. ΜΟΗΓΝ, Ein zweites christliches Werk des Firmicus Maternus

in Hist. Jahrbuch 37 (1916) 229-266. Di contro: A. REATZ, Das theo-hgische System dei Consultationes Zacchaei et Apollonii, Friburgo 1920; B. AXELSON, Ein drittes Werk des Firmicus Maternusì Lund 1937; G. MORIN, in Jahrbuch f. Liturgiewiss. 13 (1936) 185.

93 De errore prof. rei. 27, 3 (CSEL 2, p. 120, 32 - p. 121, 1).

374 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

bus hoc idem simili modo significai, ait enim: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me»9 4 .

L'ultima testimonianza di rilievo dell'antica lette­ratura patristica latina è contenuta nel cosiddetto Trac-tatus Origenis de libris S. Scripturarum. Le diatribe circa l'autore di queste omelie sono ormai cessate ed oggi si ritiene comunemente che l'autore sia GREGORIO DI

ELVIRA. A noi sembra che le obiezioni di WEYMANN 95

e MERK9 6 siano state sufficientemente confutate. In ogni caso è certo che l'ignoto autore dipende dal De Trinitate di Novaziano e in buona parte anche da Giustino, Tertulliano, Ippolito e Ireneo.

Cristo è la fonte zampillante dello Spirito Santo. Ripetendo Novaziano parola per parola, l'autore spie­ga che la fonte dello Spirito è interamente in Cristo, dal quale si riversano in noi tutti i fiumi dei doni dello Spirito97. In Novaziano questo concetto è solo più marcato : « Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente... Spiritu Sancto in Christo affluenter ha-bitante»98. Cóme vedremo in Ambrogio, è certo che qui si ha presente la citazione del Vangelo degli Ebrei, nota da Girolamo. Nel Tract. XV l'autore parla del battesimo e presenta, proprio come Tertulliano, le prefigurazioni della virtù dell'acqua battesimale che

·« Ivi 18, 7 (CSEL 2, p. 104, I3-I7>- Cfr. E. J. MARRTIN, The biblical text ofFirmicus Matemus in Journal of Theol. Studies 24 (1922/23) 318-325.

*6 K. WEYMANN in Archiv ftir lateinische Lexikographie und Gram-matik 11 (1900) 545-578.

·* A. MERK in Zeitschr.f. kath, Theol. 35 (1911) 775-783 ; H. KOCH, Zu den Quellen Gregors von Elvira und der Tractatus Origenis in Zeitschr. f. Kirchengeschichte (1932) 238-272.

·' Tractatus 20 (ed. A. BATIFFOL, Parigi 1900, p. 210, 5 - p. 212, 6). " De Trinitate 29 (PL 3, 944 B).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 375

scaturisce dal legno della croce. Il legno gettato da Mosè nelle acque amare (Es 15,25) è simbolo della croce : « Lignum etenim illud dominicae passionis my-sterium perspicue demonstrabat, qua indulcatas bap-tismatis aquas possent sitientes salubriter bibere; unde et ipse Dominus stans in tempio dicebat: qui sitit veniat et bibat aqua virtutem gratis » ". Son qui citati insieme Giov 7,38 e Apoc 21,6; 22,17. Ciò è altamente significativo per l'esattezza con cui era vista la linea unitaria della teologia giovannea dell'acqua viva nel Vangelo e nell'Apocalisse. Ma c'è di più. Cristo è la roccia spirituale che dal suo corpo trafitto ha effuso in noi l'acqua dello Spirito. « Sic populus in eremo cum sitis periculum pateretur, tunc Moyses virga, id est ligno, petram percussit et fluxerunt fontes aquarum, quo factum esse sacramentum baptismatis indicabat. Petram enim illam figuram Christi habuisse probat beatus Apostolus cum dicit; bibebant enim de spiritali sequenti petra, petra autem erat Christus. Petram ergo illam imaginem dominicae carnis habuisse nulla est dubitatio: quae caro, crucis ligno percussa, aquam vivam sitientibus tribuit, sicut scriptum est: flumina de ventre eius procedent. Dicebat hoc itaque de Spi-ritu Sancto, quem credentes accepturi erant. Et proinde aquae illae, de petra productae, flumina de ventre Christi in sacramento baptismatis manantia et ad sa­lubre sitientium poculum de Christi latere cursura, iam tunc typica praefiguratione monstrabant » 10°. Con ciò si connette immediatamente la nota teologia di Tertulliano: la Chiesa che nasce dal costato di Cristo,

·· Tractatus 15 (p. 164, 20-25). 100 Ivi (p. 165, 5-16).

376 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nell'acqua dello Spirito e nel sangue della redenzio­ne " ι .

Il Trattato è come un ultimo canto della primitiva teologia efesina, che ha trovato la sua espressione più bella nell'antica esegesi latina di Giov 7,38. D'ora in avanti va affermandosi irresistibilmente l'interpreta­zione origeniana. Si deve però osservare che anche nell'esegesi alessandrina di Giov 7,38 - sotto l'evidente influsso dell'Itala e della teologia di Ippolito - interfe­riscono di continuo gli elementi dell'esegesi dell'Asia Minore.

3. - L'ulteriore sviluppo storico di questa esegesi può essere definito propriamente come il periodo della fusione e della spiegazione delle due grandi linee in­terpretative, cioè di quella efesina e di quella alessan­drina. Abbiamo già visto che Origene nel suo sistema, anche se solo come ipotesi, istituisce un rapporto tra il significato di Giov 7,38 e Giov 19,34102· Tenendo ora presente quanto abbiam detto dell'origine dell'ese­gesi dell'Asia Minore, appare chiaro che anche il passo classico dell'undicesima omelia di Origene sull'Esodo si inserisce perfettamente in questa tradizione. Nella traduzione di Rufino essa ha contribuito notevolmente affinché il rapporto fra Giov 7,38 e 19,34 non venisse più del tutto dimenticato. Ne è una prova il modo

101 Ivi (p. 165, 16 - p. 166, 2). Cfr. TERTULLIANO, De anima 43, io (ed. J. H. WAZSINK, Amsterdam 1933, p. 152, 12-15: commento a p. 263S). - La dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del co­stato di Cristo ha una sua particolare storia esegetico-patristica delle fonti, che qui non prendiamo in esame. Essa trasse grande vantaggio dall'esegesi di Giov 7,38 e 19,34, e a sua volta influì su questa.

102 Cfr. sopra, cap. I, p. 308.

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 377

in cui CESARIO D'ARLES, nel sec. VI, si serve di questa famosa omelia di Origene, copiandola (senza però no­minare il teologo) e sviluppandola. Ma anche queste aggiunte sono importanti perché contengono, oltre al testo di Origene, una testimonianza esplicita dell'in­terpretazione di Giov 7,38:

ORIGENE 1 0 3 CESARIO 1 0 4

« Sed haec petra nisi fuerit « Sed haec petra nisi percussa percussa aquas non dabit: per- fuerit aquas omnino non habet; cussa vero fontes producit. Per- percussa vero fontes producit et cussus enim Christus et in crucem flumina, sicut in Evangelio legi-actus Novi Testamenti fontes mus: qui credit in me, flumina produxit ». de ventre eius fluent aquae vivae.

Percussus enim Christus in cruce Novi Testamenti fontes eduxit ».

A Cesario poco importa che il suo testo giovanneo non s'adatti a questa esegesi, laddove egli riferisce il qui credit in me Λ flumina de ventre eius fluent, applicando così tutta l'espressione al Crocifisso. Ma proprio questa incongruenza presenta l'aspetto più significativo del periodo che dobbiamo ora attentamente considerare. Le due diverse lezioni - quella latina antica e quella della Volgata - sono fra loro contrastanti, come lo sono le due diverse interpretazioni, oppure sono giu­stapposte, ma non connesse fra loro.

Il primo teologo che dobbiamo qui prendere in considerazione per il quarto secolo è MARIO VITTO­RINO, retore africano a Roma, la cui conversione fu « motivo di giubilo per la Chiesa »105. Vittorino, evi-

105 In Ex. homil. 11, 2 (GCS Origenes VI, p. 354, 4-9). 101 Serm. 103, 3 (Morin I, 1, p. 409, 11-19). 105 AGOSTINO, Confessiones 8, 2, 4 (CSEL 33, p. 173, 13). 1M Aàv. Arium 1, 8 (PL 8, 1044 B). L'interpunzione nel Migne

è arbitraria. Io non ho potuto disporre dell'edizione critica delle opere antiariane di M. Vittorino, edite da J. Woehrer, Wilhering 1910-12.

378 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

dentemente in ragione dei suoi rapporti con la Chiesa africana, viene a conoscere anzitutto l'antico testo latino di Giov 7,37.38. Così cita nella sua opera contro Ario : « Si quis est qui sitit veniat et bibat qui credit in me, quemadmodum dixit scriptura, flumina ex ventre ipsius manant aquae viventis »106. Ma conosce pure (se si può prestar fede alla tradizione manoscritta e alla fedeltà critico-testuale dell'edizione di Gallandi riprodotta dal Migne) la lezione ormai comune della tradizione alessandrina: « Qui sitit veniat ad me et bibat; qui credit in me, sicut dixit scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae »107. Il senso del testo era assai difficile per Vittorino, il quale conosceva molto meglio i teoremi dei neoplatonici108 che non i problemi teologici. Tuttavia egli è il primo e l'unico fra tutti gli antichi scrittori cristiani che si sia posto coscientemente il problema della compossibilità delle due interpretazioni. Infatti Giov 7,37.38 è per lui di somma importanza nella speculazione trinitaria contro gli ariani. Nel suo pensiero d'ispirazione platonica, la Trinità è fons, flumen, irrigatici109, e Cristo è fons vitae, fiuvius, fontana vitae n o , ed in questo inscindibile rapporto del fiume con la sorgente egli vede l'immagine più appropriata dell'ομοούσιος del Concilio di Ni-cea m. Il Logos vien quindi ad essere datore di Spirito

1 0 7 Adv. Arium 4, 6 (PL 8, 1117 B). Ma Vittorino aggiunge qui espressamente: «I tem ipse de se ita dicit ».

1 0 8 Cfr. P. HENRY, Marius Vktotinus a-t-il hi les Enneades de Pio-tini in Recherches de science relig. 24 (1934) 432-449.

1 0 9 Hymnus 3 àe Trinitate (PL 8, 1143 C ) ; Hymn. 1 (1141 D) . 110 Adv. Arium 1,25 (PL 8,1058 D ) ; 1, 32 (1065 D ) ; 1,47 (1077 A) ;

2, 12 (1097 D ) ; 4, 31 (1140C). 1 1 1 De όμοουσί<>> non recipiendo 4 (PL 8, 1140C).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 379

allo stesso modo in cui dal fiume si originano i ruscelli. Chi comunica lo Spirito è precisamente il Logos in­carnato, il cui corpo è ricolmo di Spirito: «Ex ipso (Spiritu) concipitur Christus in carne, ex ipso sancti-ficatur in baptismo Christus in carne. Ipse est in Christo qui in carne, ipse datur Apostolis a Christo qui in carne est, ut baptizent in Deo et in Christo et in Spi­ritu Sancto »112.

In quest'ultimo senso si deve ora intendere anche Giov 7,38. L'espressione significa che lo Spirito viene infuso da Cristo nei credenti in misura così abbon­dante che questi, a lor volta, diventano venter, ossia dispensatori dell'acqua per altri: «Est illud quidem dictum de ilio qui accipit Spiritum, qui accipiens Spiritum efficitur venter, effundens flumina aquae viventis »113. Vittorino inserisce però subito anche l'altra interpretazione a lui ben nota. Questa, anzi, si presta molto meglio per la prova - per la quale egli intendeva servirsene - dell'ομοούσιος delle tre Per­sone divine : « Sed rursum iterum flumina Spiritus, venter autem ex quo flumina Iesus. Iesus enim est Spiritus (2Cor 3,17). Iam ergo Iesus venter de quo flumina Spiritus. Sicut enim a gremio Patris et in gremio Filius (Joh 1,18), sic a ventre Filii Spiritus. Όμοούσιον ergo tres, et idcirco in omnibus unus Deus »1 1 4.

La fusione delle due interpretazioni si presenta in modo ancor più singolare in GIROLAMO che, tan­to nel suo testo giovanneo quanto nell'indagine cri-

112 Adv. Arium 3, 18 (PL 8, 1113 CD) . 113 Ivi 1, 8 (PL 8, 1044 B) . 111 Ivi (1044 C).

380 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tica sulla questione della citazione veterotestamenta­ria di Giov 7,38, dà la preferenza all'interpretazio­ne origeniana. Anche in lui si può però notare quan­to profonda fosse l'impressione lasciata dall'antica im­magine di Cristo-Roccia dal cui aperto costato sgorga l'acqua viva. Dal grande commentario a Isaia possiamo anzitutto dedurre che anche l'esegeta betlemita rico­nosceva uno stretto rapporto tra Is 48,21 e Giov IO»34 115· Anche in questa teologia, che non presenta per il resto nessuna originalità, Cristo è la roccia per­cossa col legno della croce e dalla quale scaturisce l'acqua viva116. La glorificazione, che in Giov 7,39 è il presupposto per l'effusione dello Spirito, consiste esclusivamente nella morte in croce : « Necdum enim erat Spiritus datus quia Iesus non fuerat glorifìca-tus, hoc est non erat crucifixus »117. Entra nel me­desimo contesto anche l'esegesi antigiudaica di Sai i,3 : la croce è l'albero della vita piantato presso i corsi d'acqua e dalla sola croce trae origine tutta l'acqua : « Ex ilio enim fonte procedunt omnia flu-mina » u 8 .

Un prezioso contributo a questa interpretazione viene infine dal fatto che anche Girolamo cita in ge­nere il testo secondo l'antica versione latina: « Qui sitit veniat et bibat », e quindi omettendo ad me dopo veniat. Si spiega così perché Girolamo, illustrando ai suoi monaci di Betlemme il passo di Sai 77,15.16,

115 In h. Comment. 13, +8 (PL 24, 4Ó3 BC). 116 Ivi 14, 51 (PL 24, 483 AB). Cfr. anche la dottrina di Girolamo

sullo ' Spirito riposante ' in Cristo : Tractatus de principio Marci (ed. G. MORIN, Anecdota Maredsolana III, 2, p. 326, 19 - p. 327, 15).

117 Tractatus in Psalm. 149 (Morin, p. 313, 9-12). 118 lui 1 (Morin, p. 5, os).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 381

abbia loro presentato l'antica e fidata esegesi: « Inter-rupit petram in deserto; interrupta nobis est petra in heremo. Percussa est petra et fluxerunt aquae; illa petra quae dicit: qui sitit veniat et bibat, de ciiius ventre fluxerunt flumina »119. È pure possibile che qui il Santo esegeta prescinda volutamente dalle sue conclusioni criticamente esegetiche intorno al signi­ficato di Giov 7,38. Nell'omelia su Sai 97,8 Girolamo spiega il testo in modo così vago, che non si può sta­bilire con certezza quale delle due interpretazioni egli intenda proporre 120. Una cosa è però certa: l'esegesi secondo la quale Giov 7,38 preannunzia in senso mi­stico lo sgorgare dell'acqua dalla ferita del costato del Signore era la ' più pia ', in ogni caso quella in cui i monaci dell'Occidente riponevano maggior fiducia. Ciò è attestato dallo stesso Girolamo. In una lettera al suo amico Rufino d'Aquileia egli dà notizia d'un comune amico di nome Bonoso, il quale s'era ritirato in una delle isole dalmate consacrandosi alla vita asce­tica. Il monaco,, dice Girolamo, non gioisce più per il fascino naturale del rincorrersi delle onde del mare, ma beve l'acqua viva dalla ferita del costato del Si­gnore : « Nulla euriporum amoenitate perfruitur, sed de latere Domini aquam vivam bibit »121.

RUFINO ha ben compreso questo linguaggio. Noi già lo conosciamo: nella lettera sui Martiri di Lione, in Eusebio, Rufino traduce la frase έκ της νηδύος τοϋ Χρίστου con de ventre Iesu. Egli s'è servito con tanto zelo dei Tractatus Origenis, che lo si può ritenere co-

1 1 9 Ivi ηη (Moria, p. 65, 20-22).

120 /,,,- g7 (Morin, p. 148, 13-24). 1 2 1 Epist. 2, 4 (CSEL 54, p. 16, 7s).

382 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

me l'autore stesso delle belle omelie122. Perciò non ci meravigliamo nel leggere queste parole nel suo commentario al Simbolo Apostolico: « Scribitur Ie-sus in latere percussus aquam simul et sanguinem profudisse. Hoc quippe mysticum est: ipse enim dixerat, quia flumina de ventre eius procedent aquae vivae »123.

Ci veniamo così a trovare nell'Italia settentrionale, dove ci è stata appunto conservata la preziosa testi­monianza del Codex Vercellensis124. Al contrario del Veronensis, esso contiene esplicitamente Υ ad me dopo veniat, et autorizza quindi a leggere insieme qui aedit in me e sicut dixit Scriptura, ad intendere perciò l'espres­sione nel senso indicato da Origene. Abbiamo già visto che sotto il potente influsso esercitato dal Metro­polita AMBROGIO in questo ambiente, il testo veniva interpretato proprio così. Ma ora si deve osservare, per la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che precisamente in Ambrogio, che pure ha incorporato coscientemente l'interpretazione origeniana nella sua teologia asce­tica, emerge anche l'altra esegesi. Ambrogio dunque, che più d'ogni altro ha contribuito al perpetuarsi dell'interpretazione alessandrina fino ai nostri gior­ni, è l'ultimo grande testimone anche per l'esegesi efesina.

Cominciamo con un passo, finora del tutto tra­scurato non solo perché presenta serie difficoltà di

i« Così H. BREWER, Uber Zeit und Verfasser der sog. Tractatus Origenis (Forschungen zur christl. Literatur- utid Dogmengeschichte IX, 2), Paderborn 1909, pp. 155-165.

123 Commetti, in Symbolum Apost. 23 (PL 21, 361 C). JS4 Codex Vercellensis, ed. A. GASQUET (Collect. bibl. Latina 3),

R o m a 1914, p. 174.

LA TRADIZIONE DELL ASIA MINORE 383

interpretazione, ma anche perché è stato trasmesso in un testo criticamente erroneo nell'edizione maurina riprodotta dal Migne. Nell'opera De Spiritu Sancto Ambrogio intende dimostrare la divinità dello Spirito Santo. Dopo aver provato che nella S. Scrittura l'im­magine del ' fiume ' rappresenta di solito lo Spirito, egli fa a sé stesso l'obiezione dei pneumatomachi, se­condo la quale proprio dalla disparità tra fonte e ru­scello si può desumere l'inferiore dignità dello Spirito Santo rispetto al Figlio e al Padre. Ambrogio si preoc­cupa di dimostrare che nella S. Scrittura anche lo Spi­rito è detto sovente ' fiume ' : « Sed ne quis forte tam-quam pusillitatem Spiritus redarguat et hinc velit quamdam facere distantiam magnitudinis, quod aqua portio videatur esse fontis exigua... discant non solum aquam sed etiam flumen dictum Spiritum Sanctum, secundum quod lectum est: flumina de ventre eius fluent aquae vivae. Hoc autem dicebat de Spiritu ... »125.

A questo punto si inserisce il testo, che vuol essere un'interpretazione esegetica di Giov 7,38.39. In base ai manoscritti, in contrasto col testo inaurino, il passo si deve leggere così: «Ergo flumen est Spiritus Sanctus et flumen maximum, quod secundum Hebraeos de Iesu fluxit internis, ut ore Esaiae accepimus prophe-tatum »12e.

Che cosa significa qui secundum Hebraeos? I Maurini ritengono che l'allusione a Isaia abbia per oggetto precisamente Is 66,12. Perciò Ambrogio avrebbe in­teso il ' fiume della pace ' come simbolo dello Spirito Santo. Ma allora qual significato ha secundum Hebraeosì

1 2 5 De Spiritu Sancto i, 16, 156 (PL 16, 74.0 A).

! " Ivi 1, Itì, 157 (PL 16, 740 B).

384 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

In parecchi luoghi delle sue opere Ambrogio accenna alle diverse lezioni nelle versioni dell'Antico Testa­mento; egli conosce Simmaco e Aquila, e le varianti dei LXX rispetto al testo ebraico sono giunte a sua conoscenza sicuramente, perché egli disponeva d'un esemplare degli Esapli127. Secundum Hebraeos potrebbe dunque indicare anche qui un riferimento di questo genere. Solo per Is 66,12 non si parla affatto d'una tale variante al testo, che avrebbe resa necessaria una precisa indicazione. Per la soluzione della difficoltà può ora venirci in aiuto solo la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che abbiamo fin qui esposta.

Già in Giustino, e poi in Ireneo, Tertulliano, Ori­gene e Novaziano128, incontriamo l'antica dottrina secondo la quale lo Spirito Santo è disceso in tutta la sua pienezza in Cristo per rimanervi definitivamente, compiendo così tutte le profezie dell'Antico Testa­mento e costituendo a un tempo nel Nuovo Testa­mento il principio fontale dell'effusione dei doni dello Spirito sui credenti. È questo il πνεΰμκ μένον di Giov 1,32.33, preannunziato in Is 11,2. La storia patristica di questa esegesi è stata esaurientemente esposta da K. Schlutz129. NOVAZIANO, come abbiamo già visto,

l i 7 Ciò è comprovato dalle innumerevoli citazioni da Aquila, Simmaco e Teodozione (cfr. l'indice analitico di CSEL 64, p. 42is; CSEL 62, p. 537), che Ambrogio certamente non ha tratto solo di volta in volta da Origene. Bxpos. in Ps. 118, 8, 2 (CSEL 62, p. 150, 2s): ' secundum hebraeos ' indica anche la differenza delle lezioni. - Per i manoscritti riguardanti il nostro testo mi ha dato cortesemente il suo consiglio il miglior conoscitore della tradizione ambrosiana, O. FALLER.

128 Cfr. sopra, pp. 359. 364S. - ORIGENE, In Num. homil. 6, 3 (GCS Origenes VII, p. 325).

1!> K. SCHLUTZ, Isaias 11, 2 in den ersten uier christlichen Jahrhun-dertcn (Alttestamentliche Abhandlungen XI, 4), Munster 1932.

LA TRADIZIONE DELL* ASIA MINORE 385

ha espresso il concetto con le parole: «Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente »130. Or sappiamo che Girolamo, il quale non l'ha dedotto solo dalle sue personali ricerche ma anche dal Commentario a Isaia (per noi perduto) di Origene, che il Vangelo dei Na­zareni, il cosiddetto Vangelo degli Ebrei131, ha espresso quasi con le medesime parole la dottrina dello « Spirito riposante in Cristo » : « Descendit fons omms Spiritus Sanai et requievit super eum »132. Le citazioni di quest'opera apocrifa vengono introdotte da Girolamo con il lemma secundum Hebraeos133. Noi non inten­diamo affatto affermare che Novaziano alluda preci­samente a tale citazione, benché sia possibile ch'egli abbia conosciuto, probabilmente tramite Origene, il suddetto libro. Origene però l'ha conosciuto di cer­to 134. E si può ben presumere che nel suo Commen­tario a Isaia fosse inclusa anche questa citazione, dato che Girolamo s'è servito di essa ampiamente. Possia­mo perciò asserire che verosimilmente anche Ambro­gio dipende dall'origeniano Commentario a Isaia. Do-

1 3 0 De Trinitate 29 (PL 3, 944 B). Cfr. K. SCHLUTZ, op. cit.,

pp. 69-71· 131 Cfr. A. SCHMIDTKE, Nette Fragmente und Untersuchungen zu

den Juden-christlkhen Evangelien (Texte und Untersuchungen 37, 1), Lipsia 1911; K. S C H I U T Z , op. cit., pp. 20-24; T H . Z A H N , Gesch. d.

neutest. Kanons II, 2, Erlangen 1892, p. 689S; J. SCHADE, Hieronymus und das hebràische Matthausoriginal in Bibl. Zeistchrifl 6 (1908) 36OS.

1 3 3 GIROLAMO, In Is. comment. 4 (su Is 11, 2) (PL 24, 145 B). 133 Comment. in Michaeam 2 (su Mich 5,7) (PL 25, 1221D); De

viris illustribus 2 (PL 23, 611 B ) ; In Matth. comment. 4 (su Mae 26,16) (PL 26, 206 B ) ; In Is. comment. 11 (su Is 40,9) (PL 24, 405 A). Giro­lamo s'è servito certamente, in Cesarea, dell'esemplare di Origene. Cfr. T H . Z A H N , Geschichte des neutestamentl. Kanons II, 2, pp. 656. 666.

134 In Ieremiam homil. 15, 4 (GCS Origenes III, p. 128, 2?s); In Ioannem comment. 2, 12 (IV, p. 67, I9s); In Matth. comment. 15, 14 (X, p . 389. I5s).

386 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

po questa premessa (che è solo un'ipotesi, anche se confortata da molte buone ragioni), il passo enigmatico del De Spirita Sancto appare perfettamente chiaro. Ambrogio intende dire: «Lo Spirito Santo è dunque un fiume, e precisamente il grandissimo fiume che, secondo il Vangelo degli Ebrei, scaturisce dall'intimo di Gesù, come è stato preannunziato profeticamente per bocca di Isaia ». Il ' grandissimo fiume ' dovrebbe quindi equivalere al totus fons di Novaziano ed anche ufons omnis Spiritus Sancii della citazione dal Vangelo degli Ebrei.

Possiamo ora dire con certezza che l'autenticità della lezione de Iesu internis, contro quella maurina de Iesu in tetris, conferma l'esattezza dell'interpreta­zione di Giov 7,38 nel senso indicato dalla tradizione efesina. E possiamo provarlo con una serie di testimo­nianze, finora trascurate, tratte dagli scritti di Ambro­gio. Esse dimostrano chiaramente che al Vescovo di Milano, pur strettamente legato alla tradizione ori-geniana, era ben accetta anche l'altra esegesi. Ancora una volta Giov 7,38 viene messo in relazione con l'allegoria dei quattro fiumi del paradiso, e si spiega che tale rapporto si è dimostrato sulla croce, quando è stato promesso il paradiso al ladrone, quando dal costato di Cristo è scaturito il fiume che scorre per tutta la terra: «Post passionerà Domini quid aliud sequi debuit, nisi quia de corpore Domini flumen exivit, quando de latere eius aqua fluxit et sanguis, quo laetificavit (Sai 45,5) animas universorum, quia ilio flumine lavit peccatum totius mundi » 135. L'alle-

-•"· Expl. Ps. 45, ia (CSEL 64, p. 337, 23-26).

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 387

goria ritorna poi, come abbiam già visto, sulla linea della tradizione origeniana. In una spiegazione quasi artificiosa del nome Betsabee, interpretato in senso filoniano come filia piena e puteus iuramenti, Io Ps.-Ambrogio introduce i seguenti concetti. Betsabee, qual sposa di Salomone, è la figura della Chiesa sposa del vero Re della pace e perciò è in senso proprio figura della caro Christi, della natura umana con la quale il Logos s'è unito sponsalmente nell'incarnazione. La carne di Cristo è filia piena, ossia piena di Spirito Santo: « Eadem (caro) piena... quia piena Spiritu Sancto. Iesus enim plenus Spiritu Sancto regressus est a lordane (Lue 1,4; Giov 1,33). Eadem etiam ' puteus iuramenti ' ... et bene puteus, quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae »13e. L'ignoto autore di questa seconda apologia di Davide ragiona qui proprio come Ambrogio, ed anche il parallelismo fra Lue 4,1 e Giov 7,38 circa la pienezza di Spiri­to ha un preciso riscontro in Ambrogio. Nella sua spiegazione dei Salmi egli applica a Cristo quanto vien detto dell'albero piantato presso i corsi d'acqua (Sai 1,3): la natura umana di Cristo, piantata co­me una pianticella nel seno della Vergine, non può mai inaridirsi perché ha in sé, in tutta la loro pie­nezza, i fiumi dello Spirito : « Non enim potuit arescere ista plantatio, quae habebat ubertatem in se manentem (Joh 1,33) gratiae spiritualis. Denique: ' plenus Spiritu Sancto Iesus regressus est a lorda­ne ' (Lue 4,1). Hi sunt decursus aquarum de quibus

136 Apologia David altera io, 51 (CSEL 32, 2, ρ. 394, 23- 395, 4). L'ignoto compilatore dipende qui sicuramente da Ambrogio. Cfr. la nota seguente.

388 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

dicit in Evangelio : ' flumina de ventre eius fluent aquae vivae ' »137.

Nello spirito dell'antica tradizione anche Ambro­gio vede nel racconto di Giov 19,34 l'effettuazione del dono dell'acqua dal corpo di Cristo. Cristo cro­cifisso, assetato, trafitto, roccia aperta dalla quale sca­turisce l'acqua, realizza quanto ha promesso in Giov 7,38. « Tunc itaque sitiebat, quando de latere suo restinctura sitim omnium, vivae aquae flucnta funde-bat. Denique scriptum est: 'flumina de ventre eius fluent aquae vivae '»138. In uno dei passi più belli della spiegazione dei salmi il pensiero dell'oratore mi­lanese si eleva fino alle vette della mistica - « tempus est ut inseramus et mystica »139 - per invitare con un commovente appello i suoi fedeli a bere l'acqua viva, a bere dai fiumi dei due Testamenti, dal traboc­cante calice della sapienza. Ma - egli pensa - poiché in entrambi i Testamenti della divina rivelazione è uno solo in ultima analisi colui che parla, cioè Cristo, il Verbo incarnato, ne consegue che noi beviamo dalla fonte che è Cristo stesso : « Bibe Christum quia petra est quae vomuit aquam, bibe Christum quia fons vitae est, bibe Christum., quia flumen est, cuius impetus laetificat civitatem Dei, bibe Christum, quia pax est, bibe Christum quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae »140.

Questo inno ambrosiano è come il canto d'addio dell'esegesi patristica di Giov 7,37.38, che ebbe quali

"' Expl. Ps. I, 35 (CSEL 64, p. 31, 19-25). "» Ivi 61, 14 (CSEL 64, p. 3S1, 19-22). "· Ivi i, 33 (CSEL 64, p. 28, i 2 ) . 110 Ivi 1, 33 (CSEL 64, p. 29, 18-22).

LA TRADIZIONE DELL*ASIA MINORE 389

primi promotori i ' grandi luminari dell'Asia ', gli stessi discepoli dell'Apostolo Giovanni. Certo non verrà più dimenticata la dommatica sublime intorno al corpo umano del Signore che ci ha donato Γ ' acqua nel sangue ' e dalla cui ferita del costato scaturisce la grazia battesimale per la quale vien plasmata la Chiesa1 4 1. Va però sempre più in oblio questo parti­colare significato di Giov 7,38. Ci si abitua invece, sotto l'influsso di Agostino, ad interpretare il testo nel senso dell'amore traboccante per il prossimo. Da Ambrogio, poi, si accoglie la spiegazione dei quattro fiumi delle virtù cardinali che nascono nell'intimo del credente142. Origene e la sua spiegazione spirituali-stico-morale ha trionfato sulla più antica e dommati-camente più profonda esegesi, che ha avuto inizio

141 Qui indichiamo solo i luoghi in cui Giov 7,38 è citato ο almeno inteso chiaramente. BASILIO, De Spiritu Sancto 14 (PG 32, 121 C) ; PS.-ATANASIO, De Trinitate et Spiritu Sancto 19 (PG 26, 1213 A-D). Alla diffusione contribuirono sostanzialmente due libri popolari, il PHYSIOLOGUS e il CLAVIS MELITONIS. Physiologus 30 (LÀUCHBRT, p. 2tìos; nuova edizione critica di F. SBORDONE, Milano 1936, p. 98, 3-6; p. 99, 4-7) racconta che il cervo uccide i serpenti dei crepacci con l'acqua che fa uscire dalla sua bocca. Ciò sarebbe un simbolo di Cristo, che ha dato a noi dal suo costato le acque celestiali, l'acqua della sapienza, « come si legge nel TEOLOGO », ossia in Giovanni. -Clavis Melitonis 17 (ed. PITRA, Analecta Solestn. II, 1884, p. 11) : « Ven-ter Christi lavacrum regenerationis ex quo electos suos per adoptionis gratiam in filios regenerat». AGOSTINO, Serm. 352, 3 (PL 39, 1951/53); AMBROGIO, In Lucam comment. io, 48 (CSEL 32,4, p. 473,24 - p. 474,3) ; PACIANO, Epist. 3, 3 (PL 13, 1065 A): « Apud nos aqua viva est ipsa quae salit a Christo ». MESSALE DI BOBBIO, Contestatio in Missa ieiunii (PL 72, 485 A) : « Lancea latus eius aperuit, aquas vivas evomuit, unde simul bibit omnis credulitas gentium, quae numquam sitiet in aeter-num ». GELASIANUM, Preghiera della notte di Pasqua (WILSON, p. 89) ; PS.-COLOMBANO, Instr. 13, De fonte vitae (PL 80, 254 B).

14! Expl. Ps. 45, 12 (CSEL 64, p. 338, 2-4); De paradiso 3, 14 (CSEL 32, 1, p. 273, 13 - p. 274, 2).

390 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nello stesso ambiente di Giovanni e di cui abbiamo esposto la storia.

Dopo queste considerazioni sull'esegesi efesina di Giov 7,37.38 possiamo finalmente rispondere alla se­conda domanda: come è stato interpretato il riferi­mento all'Antico Testamento circa la profezia che annunzia lo sgorgare dell'acqua dal corpo di Cristo?

Abbiam visto che non ci si è mai occupati espres­samente di questo problema: solo Girolamo aveva dovuto affrontarlo per esigenze critiche. La risposta deve quindi emergere dall'evoluzione storica di questa tesi esegetica. Giov 7,38 è inserito fin dai primissimi tempi in uno schema ben definito di luoghi scrittu-ristici facenti parte della forma primitiva di confronto fra la teologia cristiana e il giudaismo. Già nella lettera di Barnaba e in Giustino abbiamo potuto costatare la giustapposizione di Ger 2,13 e Is 33,16. A questi Ireneo aggiunge Is 43,19-21, e Cipriano Is 48,21. Il concetto fondamentale è sempre lo stesso: i giudei hanno di­sprezzato l'acqua viva che sgorga dalla ' fonte della vita ', come era stato loro predetto da Dio. Perciò essi non possono più bere l'acqua dello Spirito, la quale è in tutta la sua pienezza nel Messia (Is 11,2) e che dal Messia viene elargita nella stessa maniera in cui una volta Mosè nel deserto fece scaturire l'acqua dalla roccia (Is 48,21). Ciò si connette perfettamente con la dottrina cristologica degli Atti degli Apostoli, secondo la quale Cristo è Γ ' altro Mosè ' (At 3,22; 7,37; Deut 18,15.19). Ben s'inquadra pure con l'attesa del popolo ebraico, per cui il Messia avrebbe dovuto ripetere in forma più perfetta i due grandi doni di Mosè, ossia il pane celeste della manna e l'acqua viva

LA TRADIZIONE DELL* ASIA MINORE 391

dalla roccia 143. Perciò è assai significativo che il po­polo tutt'e due le volte, dopo la promessa della manna e quella dell'acqua viva, abbia esclamato: « Questi è veramente il Profeta» (Giov 6,14; 7,41). Si può da ciò concludere che fin dal giorno solenne della festa dei Tabernacoli, nel ricordo dell'acqua viva scaturita nel deserto, si sia pensato che fosse da riferirsi al Si­gnore stesso la promessa del dono messianico dell'ac­qua, che avrebbe avuto il suo compimento dopo la glorificazione di Cristo? Si può vedere nel testo un riferimento generico a tutti quei passi dell'Antico Testamento in cui si parla dell'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto? Certo, la tradizione antigiudaica più antica, che possiamo riportare fin quasi al tempo in cui visse l'Apostolo Giovanni, è stata di questo parere.

Anche l'altro concetto è però ugualmente antico, e già in Giustino possiamo trovarlo in tutta la sua chiarezza: l'acqua messianica dello Spirito vien di­spensata dal ' trafitto ' Crocifisso, in cui si compie quanto è detto in Zac 12,10. A ciò aveva accennato lo stesso Evangelista in tono solenne. L'acqua sgor­gante dal corpo di Cristo crocifisso sarebbe a sua volta un ση μείον, un fatto indicativo e simbolico rispetto a quello promesso in Giov 7,38 e che ha il suo compi­mento effettivo nell' ' effusione ' dello Spirito da parte del Messia definitivamente glorificato (At 2,33; Gioe 3,1). Le promesse dell'acqua dalla roccia, dell'acqua dal corpo di Cristo, e dell'effusione dello Spirito su tutta la natura umana sarebbero così dunque in imme-

1 4 5 Cfr. STRACK-BILLERBECK, Komm. ζ. Ν. Τ., v. I, p. 86s; ν. Π,

p . 481. - FL. SCHLAGBNHAUFEN in Zeitschr.f. kath. Theo/. 51 (1927) 492s.

392 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

diato reciproco rapporto, e in iCor 10,4 e 12,13 vi sarebbe solo un accenno, di immediata intelligibilità per i Corinzi, a tale rapporto. Questo è certo: Giov 7,38 è stato inteso in tal senso da tutta la tradizione che abbiamo passato in rassegna. I flumina de ventre Christi sono ' Spirito ', che vien donato nell'atto della glorificazione del corpo di Gesù, nel momento in cui dal suo costato scaturisce l'acqua, divenuta santificante nel sangue. Si compie così Γ ' avvento ' messianico: in sangue ed acqua, in Logos e Pneuma, come dice Apollinare, il quale ha appreso il concetto dalla lettera del ' Profeta ' che posò il capo sul petto del Signore.

Quanto sia rimasta viva questa tradizione, almeno nella teologia antigiudaica che Giustino ha ereditato dalla Chiesa primitiva e che poi è passata da lui a Ire­neo e Tertulliano e da questi ai Tractatus Origenis, alle Consultationes Zacchaei e a Rufino, possiamo de­sumerlo da un passo dell'opera Contro Iudaeos di ISIDORO

DI SIVIGLIA. ESSO dipende dal Commentario di Rufino al Simbolo Apostolico, ed è perciò in immediato rap­porto con la tradizione efesina che per il resto era stata già interamente dimenticata. Isidoro, nello stile dell'antichità classica, così scrive a proposito dell'ac­qua sgorgante dalla ferita del costato di Cristo: «Item de eadem aqua quae de latere eius profluit, Propheta alius sic dicit: ' Flumina aquae viventis egrediuntur de ventre illius ', aquae scilicet baptismatis quae cre-dentes vivificant et quae sitientibus largiuntur »144.

144 Contra Judacos i, 48, 2 (PL 83, 490 C; 491 A). Cfr. anche le sue Quaestiones in Vet. Tesiam., Gen 3,2 (PL 83, 216 C): Cristo come fiume del Paradiso. Quaest. in Exod. 24, 1, 2 (PL 83, 299 AB): Cristo qual roccia dispensatrice d'acqua. Nella sua edizione dei Tractatus Origenis, Batiffol ha dimostrato che Isidoro s'è servito di essi.

LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE 393

Fin qui è giunta la nostra indagine sulla storia pa­tristica dell'esegesi di Giov 7,37.38. Se si eccettuano solo poche tracce, il medioevo ha ignorato comple­tamente l'interpretazione più antica, quella che abbiamo esposta in questa seconda parte 145. Solo oggi si torna a riconoscere il valore autentico dell'esegesi efesina. Fu soprattutto l'esegesi del pietismo tedesco dei secoli XVII e XVIII, in aperto contrasto col razionalismo luterano, a dare un'espressione di sublime bellezza all'immagine del Signore glorificato che fa scaturire dal proprio intimo i fiumi dell'acqua viva146. Nella

145 Cfr. inoltre RUPERTO DI DEUTZ, In Ioannem commetti. 7 (PL 169, 523 C), in cui Giov 7,38 è inteso espressamente anche in ordine alla gloriosa umanità di Gesù : « Eadem immortali carne resumpta eidem Patri suo prò nobis assistit. Abhinc de ventre ipsius qui hoc ipsum loquitur diceris: qui credit in me: fulmina de ventre eius fluent aquae vivae, de ventre inquam, id est de profonda divinitate eius, coeperunt duo vivae aquae flumina, id est huius Sancii Spiritus duo data ». -GERHOH VON REICHERSBERG, De investigatione Antichristi (Clm 439, inedito ; cfr. J. BACH, Die Dogmengeschichte des Mittelalters, v. II, Vienna l87S, P- 50ós) trae da Giov 7,38 la prova della processione dello Spi­rito dal Figlio: la natura umana di Cristo è infatti fonte dell'acqua viva.

1M Cfr., p. es., TH. GOODWIN, Moses et Aron seu ciuiles et eccle­siastici ritus antiquorum Hebraeorum, 6 ed. con note di J. PvEiTZius, Brema 1722, p. 299S: « Locus Joh 7,38 multis tormento est. Sed duplex expositio difficultatem omnem solvit. (Segue la spiegazione consueta e quindi quella più antica): Si dicimus versum Joh 7,37 forsan male distinctum et separatum a versu 7,38 atque sic legi debere: si quis sitit veniat ad me et bibat qui credit in me. Quemadmodum dicit Scriptura, fluvii aquae viventis manabunt ex ventre ipsius (scilicet •&εαν·9ρώπ(ΰ Messiae, ex cuius adaperto latere aqua profluxit), hoc vero dixit de Spiritu... ». - L'esegesi pietistica ha poi accolto questo concetto. Cfr. H. A. FRANCKE, Das eigentliche Pfingstgeschafte des HI. Geistes, welches istjesum Christum bei den Menschen zu uerklàren, Halle 1724, p. 515; J. JAC. RAMBACH, Auserlesene una heihame Worte des Herrn Jesu, v. II, Jena 1731, p. 75: Gesù, fonte dell'acqua viva (con una documentazione scientifica sull'esegesi del sec. XVII) ; M. F. Roos, Die Lente una Lebensgeschichte Jesu Christi des Sohnes Gottes

394 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

più recente esegesi i fautori della seconda interpreta­zione vanno continuamente aumentando. Nell'ambito dell'esegesi cattolica un contributo essenziale in favore di questa tesi è rappresentato dall'opera di Lagrange.

La storia delle due interpretazioni qui esposte, che ha chiarito le oscure e sublimi parole del Signore, può in ogni modo contribuire a rendere più oggettivo il giudizio sui due tipi d'esegesi. Essa è come un para­digma, che entro un campo ben delimitato traccia nella fitta selva dell'esegesi patristica i sentieri per i quali anche altri e ugualmente preziosi tesori della tradizione della Chiesa, a cominciare fin dalle origini, si sono conservati ο si sono perduti.

Dalla travatura marmorea che sovrasta le otto co­lonne classiche di porfido di cui papa Sisto III (432-440) ha abbellito il battistero della Basilica Lateranense, il sublime poema del battesimo, composto da Leone Magno, notifica ancor oggi che cosa si pensasse una volta dell'acqua della vita sgorgante dal corpo di Cristo " 7 :

Fons hic est vitae qui totum diluii orbem

sumens de Christi vulnere principium.

nach den vier Evangelien (prima edizione 1776), Tubinga 1847 (2 ed.), p. I2s. - A questa tradizione pietistica aderiscono anche esegeti del sec. XIX, soprattutto R. STIEE, Die Reden des Herm Jesu, insonderheit nach Johannes, v. IV, 3 ed., Barmen 1870, pp. 631-373. - Per una sin­tesi cfr. B. WEISS, Das Johannes evangelium (commento al Nuovo Testamento di A. W. MEYER), V. II, 9 ed., Gottinga 1902, p. 255.

"' Inscriptiones latinae christianae veteres, v. I, p. 289, n. 1516 (Diehl). Cfr. F. J. DOLGER, Die Inschrifi im Baptisterium S. Giovanni in Fonte an dei Lateranensischen Basilika aus der ZeitXystus III. (432-440) und die Symbolik des Taufbrunnens bei Leo dem Grossen in Antike uni Christentum 2 (1930) 252-257.

ANTENNA CRUCIS

i

Ι .

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE

A prima vista, il titolo Antenna Crucis potrebbe sembrare non troppo chiaro, ma, dopo tutto, si vedrà che esso è un'abbreviazione capace di esprimere il senso generale che domina da capo a fondo tutto ciò che segue. Sotto questo titolo, infatti, presentiamo una serie di studi utili all'ecclesiologia patristica. Cia­scuno di essi è completo in sé, tutti però concorrono, in ultima analisi, ad una presentazione dell'antica sim­bolica cristiana della Chiesa come nave. Già F. J. DOLGEB

definiva uno studio della simbolica antica e cristiana della nave come qualcosa di desiderabile : « La simbo­lica della nave nell'antichità e nel cristianesimo deve essere ancora scritta »1. Perciò, conformemente al suo

1 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 286, nota 3. - Nella medesima opera (p. 272-286) egli ci fornisce il migliore schizzo elaborato sino ad oggi di una simbolica della nave, sotto il titolo : « La nave della Chiesa in viaggio verso l'oriente. Π viaggio dell'anima verso il porto della pace eterna ». - Ricordiamo qui anche gli altri tentativi di espo­sizione della simbolica cristiana della nave da noi usati, anche se ab­bastanza scarni. HIERONYMUS ALEANDER, Navis Ecclesiam referenti* symbolum in veteri gemma annulari insculptum, Roma 1626 - M. A. BOLDETTI, Osservazioni sopra i Cimiteri de' santi Martiri e antichi ai-

398 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ideale scientifico, saranno forniti qui alcuni lavori preliminari, con l'intenzione però, nello stesso tempo, di inoltrarci, al di là del ristretto lavoro filologico-archeologico, nelle concatenazioni dommatiche, le sole che diano ai singoli studi parziali di « Antichità e cri­stianesimo » la loro piena giustificazione teologica.

I risultati di questa simbolica nautica, che ora in­tendiamo esporre, rappresentano un ulteriore sviluppo della dommatica patristica della Chiesa, che noi ab­biamo già incontrato nei precedenti capitoli di questa opera. Nello studio sulla Nascita di Dio riuscimmo a cogliere le relazioni tra Chiesa e grazia: la Chiesa ge­nera e forma in noi il Cristo mistico 2. La serie di arti­coli Mysterium Lunae e il capitolo Flumina de ventre Christi andarono anche più a fondo: la fertilità sopran­naturale della Chiesa si rivela come ripetizione della morte e della gloria di Cristo3. In Antenna Crucis

stimi, Roma 1720, v. I, p. 360SS. - TH. MAMACHI, Origine; et antiqui-tates christianae (ed. Roma 1846), v. HI, p. 68ss. - FR. MUNTER, Sinn-bilder uni Kunstvorstellungen der alien Christen, Altona 1825, p. 92S. -FR. NORK, Der Mystagog oder Deutung der Geheimlehren unii .Feste der christlichen Kirche, Lipsia 1838, p. H2ss. - F. PIPER, Mythologie der christlichen Kunst von der dltesten Zeit bis in 16. Jahrhundert, Weimar 1847, v. I, parte I, p. 2i8ss. - J. KREUSER, Christliche Symbolik, Bressa­none 1868, p. 253SS. - R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana. Prato 1872, v. I, p. 202ss. - FR. X. KRAUS, Realenzyklopàdie der christi. Altertii-mer, Friburgo 1886, v. II, p. 729SS (J. WILPERT). - C. M. KAUFMANN, Die sepulkralen Jenseitsdenkmàler der Antike und des Urchristentums, Magonza 1900, p. 178SS. - J. SAUER, Symbolik des Kizchengebàudes, Friburgo 1902, p. ioos; edizione speciale dei supplementi alla seconda edizione, Friburgo 1924, p. 393. - H. LECLERCQ, Navire, in Dici. d'Archéol. chrét. et de Lit., v. XII, 1, Parigi 1935, col. 1008-1119. -Per la più recente letteratura su « Nave (Arca) = Kirche » cfr. più sotto a p. 871, nota 1.

1 Cfr. sopra a p. 13-143. * Cfr. sopra a p. 145-287; 289-394.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 399

questa dommatica fa un passo ulteriore: vedremo che la croce di Cristo è il mistero, carico di significati, della Chiesa, della sua essenza, del suo destino, della sua meta eterna. La teologia dei Padri della Chiesa ha avviluppato tutto ciò nei concetti simbolici in voga sin dai primordi, concetti che vedevano nella Chiesa quella grande nave, a cui è affidata la nostra eterna salvezza: Chiesa è navigazione verso il portus salutis. Chiesa è viaggio pericoloso e, allo stesso tempo, me­raviglioso: pericoloso, perché non è ancora giunto in porto; meraviglioso, perché è luogo unico di sicu­rezza in mezzo al mare procelloso. Questa nave della Chiesa è costruita con il legno della Croce, e il suo ritorno in patria è garantito dall'albero con il quale il pennone della vela, postogli di traverso, forma la la croce: antenna crucis. Come si vede dunque noi abbracciamo un vasto e confusamente complesso capi­tolo di antica simbolica cristiana e lo riconduciamo ai suoi concetti dominatici fondamentali, iniziando dalla teologia del secolo, quando il martire GIUSTINO scri­veva: « Non si può veleggiare attraverso il mare, se sulla nave il tropaion della croce, l'albero, non è intatto »4, e risalendo sino al primo medioevo, quan­do, nel canto di Ezzo risuona ancora una volta tutta l'antica tradizione cristiana, riassunta in accenti tede­schi:

Ο crux Salvatori? tu sei la nostra asta della vela

4 Apologia, I, 55, 3. 4 (ed. OTTO I, 1, p. 150, l.'ijs). Cfr. per que­sto F. J. DÒLGER, Die Some der Gcrechtigkeit uni der Schwarze. Miinster 1918, p. 137, nota 4.

400 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

questo mondo è il mare il regno dei cieli è la nostra patria. 5

La simbolica patristica della Chiesa come nave è molto utile alla dommatica per esprimere l'incertezza e la certezza della salvezza, fondate sul legno della croce e che sussistono nella Chiesa finché questa sarà in pieno viaggio sul mare del mondo. Per comprender questa simbolica nel suo divenire storico, dobbiamo distinguere, come abbiamo fatto già negli studi del Mysterium lunae, tra ciò che proviene dalla Bibbia e lo sviluppo chiarificativo derivante semplicemente dalla cultura antica. Qui senza dubbio questa simbolica trae la sua forza principale dalle due immagini bibliche delia Chiesa: l'arca di Noè e la Jbarca di Pietro. La nostra esposizione doveva muovere, pertanto, dalla storia patristica di questi due simboli, il secondo dei quali oggi è ancora straordinariamente vivo nel pen­siero ecclesiale. Questa esposizione sarebbe già di per sé estremamente ricca, sia quanto a contenuto, sia quanto ad influsso. « Dies me deficiet si omnia arcae sacramenta cum Ecclesia componens edisseram », dice persino un GEROLAMO non troppo abituato al pensiero allegoricoe. Questo sviluppo sorprendentemente ricco della teologia biblica della nave già basta da solo a mostrarci l'influsso determinante che la cultura del mondo nautico ellenistico-romano del Mediterraneo ha esercitato sulla formazione e sulla popolarità della

* Kkinere deutsche Gedichte des XI. una XII. Jahrhunderts, a cura di A. WAAG, Altdeutsche Textbibliothek voti H. Paul, v. io. Halle 1916 p. 15S.

• Dial. aàv. Luciferianos, 22 (PL 23, 176 C).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 401

simbolica nautica. Si vedrà, in un prossimo studio, che ancor oggi negli scritti dei Padri della Chiesa si ode rumoreggiare quel mare intorno al quale era adagiato il mondo antico e sul quale i messaggieri di Cristo portavano ai popoli il carico di grazia del Van­gelo, e « si vedono le magnifiche navi, che fanno spic­care sull'onda azzurra le loro bianche vele, quali co­lombe che volteggiano lontane sul mare » 7. In queste superbe triremi e nei mercantili alessandrini carichi di granaglie, l'occhio del cristiano, avido di simboli, vedeva l'immagine della sua Chiesa. Albero e pennone erano per lui il segno della croce salutato segretamente e con riverenza; tutta l'attrezzatura della vela e l'equi­paggiamento, dai contenitori per acqua dolce ammas­sati nella stiva, sino alla più alta vela dell'albero, tutto era interpretato simbolicamente, andando al di là di qualsiasi immagine biblica. Già IPPOLITO è un vali­dissimo testimone di ciò8. Ma anche l'orrore, carat­teristico degli antichi, al cospetto del mare insidiosa­mente cattivo, di fronte al pericolo di un viaggio in mare, che provoca l'ira della divinità, dinanzi allo sfortunato naufragio, i cui effetti si sentono sino nell'ai di là: tutto ciò esercita un influsso, anche se non come convincimento, tuttavia come stato d'animo, sulla teologia patristica della Chiesa. Anche la Chiesa è

7 AMBROGIO, Exameron, 4, 6, 26 (CSEL 32, i, p. 133, 1. 14-17). -Cfr. anche il passo proveniente da un ignoto apocrifo in IPPOLITO, De Antichristo, 15 (GCS Ippolito, 1, 2, p. 12, 1. 8s): λευκανεΐ τήν Φαλάσσαν άπο των ιστίων των πλοίων αύτοϋ.

8 De Antichristo, 59 (GCS Ippolito, 1, 2, ρ. 39. 1. 12 - ρ. 40, 1. 9)· Questa esposizione fondamentale verrà trattata più a fondo dopo, in parte per correggere ciò che viene detto, a sua spiegazione, da F. J. DÓLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 274SS.

402 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

il grande rischio di un viaggio per mare, il cui esito è ancora angosciosamente incerto: la Chiesa è la nave perigliosa, senza la quale, però, non c'è salvezza, sulla quale soltanto scampiamo alle fragorose tempeste e alle seducenti tentazioni del viaggio della vita sino all'ingresso nel porto sicuro : sostenuti dal « legno », ossia dalla croce, guidati dal « legno », ossia dall'albero della croce. « Transivit navis et venit in patriam. Sed ad patriam non nisi per navem. Navigavimus enim, si attendamus fluctus tempestatesque huius saeculi. Nec dubito quod ideo non mergimur quia crucis ligno portamur », dice AGOSTINO

9. Perciò, il cristiano solca il mare cattivo di questo mondo con pericolosa sicu­rezza soltanto quando si stringe all'albero della sua nave: quando abbraccia la croce del Signore, che si erge in mezzo alla Chiesa. Garanzia di felice approdo non è la « mistica » infruttuosa contemplazione dell'altra riva dell'eternità, come sostenevano i platonici, ma l'umile abbraccio dell'albero da parte del cristiano che, pur vedendo confusamente con i deboli « occhi » della fede, proprio per questo è fermamente stretto ad esso, come dice ancora una volta con profondità un AGO­

STINO: «Instituit lignum quo mare transeamus. Nemo enim potest transire mare huius saeculi nisi cruce Christi portatus. Hanc crucem aliquando amplectitur et infirmus oculis; et qui non videt longe quo eat, non ab illa recedat et ipsa illum perducet »10.

Ora proprio questo è il punto ove subentra il no­stro studio che, non soltanto è primo, ma nello stesso

• Augustini tractatus seu sermones inediti, a cura di G. MOKIN, Kemp-ten-Monaco 1917, p. 125.

10 Tractatus in Ioannem, 2, 2. 3 (PL 35, 1389S).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 403

tempo deve anche avere il carattere di un'intonazione. Di fronte al cristiano che naviga verso il porto del­l'eternità, che, per sfuggire ai pericoli e approdare sicuro in patria, si tiene stretto all'albero della croce, la riflessione simbolica del cristiano educato ellenisti­camente si sentiva trasportata con il ricordo verso il più celebre tra i navigatori, verso Ulisse, che, per sfuggire alle seduzioni delle sirene, si fece legare al­l'albero della nave. Questo mito omerico era familiare ai Padri sin dai tempi della loro formazione scolastica. Essi lo applicarono anche là, dove non si tratta più di una spiegazione allegorica cristiana. Gerolamo ci dipinge vivacemente il suo viaggio per mare da Porto Romano a Reggio, quando, con la mente piena di ricordi antichi, attraversa lo stretto di Sicilia, nel quale, sin dai tempi remoti, si pensava che fosse la sede delle sirene : « In Scyllaeo littore paululum steti, ubi veteres didici fabulas et praecipitem pellacis Ullyssis cursum et Sirenarum cantica et insatiabilem Charybdis vo-raginem»11. In un contesto spassoso, SINESIO DI C I ­

RENE, vedendo sulla sua nave uno schiavo che avevano dovuto legare sul ponte di coperta per impedirgli di andarsi a scolare gli otri di vino nella stiva, si ri­corda di Ulisse legato 12. Già ORIGENE, nella polemica con Celso, cita il mito omerico 13; e, nella polemica umanisticamente cortese del pagano LIBANIO con il vescovo Basilio, questo retore vi prende lo spunto per indirizzare un garbato complimento all'uomo di

11 Apologia adv. libros Rufini, 22 (PL23, 473 B). " Epistola 32 (PG 66, 1361 B). 13 Adv. Celsum, 2, 76 (GCS Origenes, I, p. 198, 1. 20); cfr. anche

5, 6^ (GCS Origenes, Π, ρ. 67, 1. 21-25).

404 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Cesarea14, mentre lo stesso BASILIO, nello scritto ai giovani e in una sua lettera, fa risuonare tali motivi in un senso più pregiudizievole15. Ancora Boezio presenta la sua matrona, la consolatrice Filosofia, nell'atto di allontanare dal giaciglio di Boezio le Si­rene, con le famose parole, citate volentieri nel me­dioevo : « Sed abite potius sirenes usque in exitum dulces, meisque cum musis curandum sanandumque relinquite »16.

Questo mito dell'antichità, così familiare a tutte le persone colte, apre alla simbolica patristica della Chiesa un ricco mondo di allegorie. Ne parleremo ora, per Cogliere, dietro il velo delle immagini, la profonda teologia della Chiesa e della croce, a partire dalla quale i Padri si impadroniscono della forza dell'immagine mitologica. Lo faremo seguendo tre direzioni di pen­siero: i. Il cristiano come navigatore in viaggio verso la patria celeste; 2. La tentazione delle sirene e il suo significato allegorico nella tradizione cristiana; 3. Il cristiano, quale nuovo Ulisse, che, legato all'albero della croce, supera la tentazione.

1. IL CRISTIANO COME NAVIGATORE IN VIAGGIO VERSO LA PATRIA CELESTE

Il viaggio per mare è, per designare in breve lo statò d'animo dell'uomo antico dell'ambiente medi-

11 Lettera di Libanio a Basilio, presentata come lettera 345 della collezione di lettere di Basilio (PG 32, 1089 B).

15 Ad adolescente*, 2 (PG 31, 568 D; 569 A). - Epist. 147 (PG 32, S9óD).

'· Philos. Consol., 1, i, il (CSEL 67, p. 3, 1. I3s).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 405

terraneo, «meraviglioso e pericoloso per la vita nello stesso tempo». Per ben comprendere la simbolica cristiana della nave, è importante far rivivere qui questo atteggiamento, servendoci di alcune testimo­nianze scelte tra tante: anche la Chiesa infatti è come una nave, che si trova in viaggio verso il cielo: un viaggio meravigliosamente audace e, allo stesso tempo, pieno di pericoli.

In una quartina dell'Anthologia Graeca, il poeta si augura di condurre una vita calma, pacifica, sulla terraferma, contrariamente a quella del mercante spinto verso la morte dalla passione del guadagno : « Non l'ondeggiare del mare, né la spumeggiante tempesta portano la morte, ma la meschina e gretta ricerca di guadagni nei commerci. Mi sia concessa dunque una vita modesta a terra. Si godano pure gli altri il guada­gno ricavato dalla navigazione che combatte contro la tempesta » :

È da questo stato d'animo quasi romantico che prende le mosse un delizioso brano di una predica di AGOSTINO, che si potrebbe senz'altro designare co-

17 Anthologia Graeca, 7, 586 (ed. BECKBY, II, 345) : « Non il mare, né i venti minacciosi ti distrussero, bensì l'indomabile cupidigia del mercante, che lo attira al largo. Possa la terra concedermi di vivere modestamente, il cuore trascini gli altri verso il guadagno ottenuto combattendo il mare». - Cfr. SiNESio DI CIRENE, De providentia, s (PG 66, 1273 A) : descrizione dell'età aurea, quando non si viaggiava ancora con navi attraverso il mare infido. Con versi presi dai Feno­meni di ARATO.

ούτε σε πόντος βλεσσε και ου πνείοντες αήτοα άλλ' άκόρητος έρως φοίταδος έμπορίης εϊη μοι γαίης ολίγος βίος, έκ δε θ-αλάσσης άλλοισιν μελέτω κέρδος άελλομάχον 1 7.

406 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

me un antico canto di marinai. Il predicatore presenta le singole professioni civili nell'atto di esaltare i propri pregi, per poter poi esprimere più efficacemente la nullità di tutto ciò che è terreno. Il navigatore dice: « Navigare et negotiari magnum est! Scire multas provincias, lucra undique capere, non esse obnoxium in civitate alicui potenti, semper peregrinari, et di-versitate nationum animum pascere, et augmentis lucrorum divitem remeare»18. Quale inganno, pensa Agostino a proposito di questa canzonetta di marinai: « Uno naufragio nudus exibis ! » Il suo più giovane contemporaneo, il poeta pagano AVIBNO, ha così espresso il ribrezzo antico per il fragoroso mare not­turno e per i suoi insidiosi pericoli, e il vivo desiderio della costa sicura:

«Tum quoque si piceam spectaris surgere noctem informem taetris tellurem ut vestiat alis litus ama, solers fuge caerulea tegmina noctis exitiurnque sali rabidique pericula ponti »19.

Battere il « mare infido » servendosi di tutte le arti nautiche inventate dall'ingordigia dello spirito umano, è sempre parso agli antichi una temerità che provoca l'ira degli dei. « Provocazione della morte », così la chiama Plinio il Vecchio. Egli, trattando della coltura del lino, giunto al centro della sua dissertazione di botanica, introduce molto pateticamente urta consi­derazione sulla inaudita temerità di coloro che da que­ste piante ricavano tele da impiegare come vele di navi: « Audax vita, scelerum piena! Aliquid seri ut

" Enarr. in Psalm. 136, 3 (PL 37, 1762 D). " ARATO, II, v. 673-676.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 407

ventos procellasque recipiat?» E non si è contenti di una sola vela: al di sopra delle antenne si deve porre ancora una vela di cima, a poppa si aggiunge una vela anteriore (Γanemone, di cui agli Atti 27,40), per invocare così, in tutti i modi possibili, la morte: « Ac tot modis provocari mortem »20. Lo stesso concetto risuona commovente nel coro del secondo atto della Medea di SENECA, che inizia con le frasi:

« Audax nimium qui freta prius rate tam fragili perfida rupit »21.

Questa impresa è temeraria soprattutto perchè il navigatore giuoca con la morte, la guarda diretta­mente negli occhi, non solo con l'arte di governare le vele, ma già conia fragilità del materiale'usato per costruire la nave, questo «pezzo di legno scavato»: «Et prope tam letum quam prope cernit aquam», dice OVIDIO negli Amores 22. Di qui proviene l'espres­sione proverbiale, secondo cui il navigatore sarebbe separato dalla morte soltanto dallo spessore della nave, da quattro dita. Così GIOVENALE:

« I nunc ait ventis animum committe, dolato confisus Ugno, digitis a morte remotus quattuor aut septem, si sit latissima taeda » 23.

Gregorio Nazianzeno, che ci ha dipinto in modo così incomparabile la grande esperienza avuta da gio-

" Nat. fluì., 19, I, § 1. al Medea, 30IS. - Cfr. anche ORAZIO, Carni., I, 3, 25S.: «Audax

omni perpeti gens humana ruit per vetitum uefas ! ». Qui, come pure in PROPERZIO, III, 7, nel famoso canto di Peto si esprime il medesimo sentimento romantico-letterario del mare. Cfr. A. LESKY, Thalatta. Der Weg det Griechen zum Meer, Vienna 1947.

" Amores, II, 11, 26. 23 Satire, 12, 57-S9.

408 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

vane accademico, il suo naufragio tra Alessandria e Rodi 24, in uno slancio poetico canta il « mare nudo » privo di misericordia, simbolo della vita umana, sul quale viaggia il navigatore, sempre sul punto di in­contrare la «gelida morte»: ώς άεΐ κρυεροΐο πα-ρεσταότος θ-ανάτοιο25. Eppure, fa parte di questo quadro dello antico sentimento del mare anche la gioia per la temeraria navigazione: questo sentimento eroico viene attribuito anche agli dei, i quali benedi­cono questo coraggio con il successo. La solenne pre­ghiera, in cui prorompe STAZIO nel suo Propempticon a Mezio Celere, inizia con le parole:

«Di quibus audaces amor est servare carinas saevaque ventosi mulcere pericula ponti, sternite molle fretum, placidumque advertite votis condlium, et lenis non obstrepat unda precanti » 2 6 .

Di qui nasceva la persuasione, che soltanto con l'aiuto degli dei sia possibile una felice navigazione. Lo si può avvertire nella teodicea stoica e persino in quella cristiana, là dove è affrontata la questione come mai i cattivi spesso siano così fortunati, come mai gli dei accordino ai tiranni e ai ricchi mercanti una for­tunata navigazione. LATTANZIO narra che il beffardo Dionisio di Siracusa si sarebbe vantato dicendo : « Vi-detisne, quam prospera sacrilegis navigatio ab ipsis diis immortalibus tribuatur?» 27. I nomi che si davano alle navi esprimono chiaramente questa fiducia nella

14 Oratio 18, 31 (PG 35, 1024S.) - Carmina, Π, 1. 1, vv. 307-319 (PG 37, 993s). - Carmina, Π, 1, 11, w. 124-174 (PG 37, 1037-41).

*» Carmina, I, 2, 31, w. 1-4 (PG 37, 91OS.) si Silvae, 3, 2. w. 1-4. !7 Div. Instit., 2, 4, 25. 26 (CSEL 19, p. 112, 1. 2-tì). C&. CICE­

RONE, De nat. deor., 2, 34, § 83.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 409

vittoria, questa fiducia di poter giungere, sostenuti dalla protezione divina, nel porto della patria: i nomi di navi che ricorrono più frequentemente nei testi (oltre ai nomi propri di dei, come ad es. anche in At­ti 28,11), sono Νίκη, Σωτηρία, Τροπαία, Fides, Pietas, Salus, Triumphus2 8. Come dovette essere facile, sin dai tempi remoti, per i popoli navigatori della cultura mediterranea, assumere nella simbolica tutto questo mondo di arti e di esperienze nautiche. La traversata della vita: dai tempi di PLATONE se ne parla con nu­merosissime variazioni29. Sarebbe impossibile schiz­zarne qui un quadro anche soltanto approssimativo. Il viaggio verso il porto della morte fa parte della etica della stanchezza della vita di SENECA : « In hoc procelloso mari navigantibus nullus portus nisi mor-tis » 3 0 . In questo viaggio sul « mare infido » 3 1, l'uomo è spinto da seduzioni di ogni specie verso la strada sbagliata: « Chiunque attraversi questa vita presente come su di una nave », dice l'Anonimo della Διήγησης, è circondato dalle sirene delle tentazioni 32 ; egli viene sbattuto qua e là dal mare purpureo dell'erotico, canta FILODEMO in un epigramma33. Morte e soddisfa­zione sono contenute nella navigazione. Ancora una volta è GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, che nelle sue poesie piene di finissima immaginosità, appartenenti alla tarda

*» Cfr. E. CARTAULT, La trière Athénienne, Parigi 1881, p. io8ss. -RE, Suppl. V, 1931, col. 946, 1. 55SS (F. MILTNER).

M PLATONE, Leges, 803 B. Cfr. ad esempio ancora Anthologia Graeca, io, 65.

30 Dialogus ad Heìviam matrem de consolatione, 12, 9, 7. 31 PLINIO IL GIOV. ,Panegyricus Traiani, 66, 3. 33 'Επίτομος διήγησις εις τάς καθ·' "Ομηρον πλάνας τοϋ

'Οδυσσέως, § 12. 3 3 Anthologia Graeca, 10, 21 (BECKBY, III, 486).

410 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

grecità, esprime questo sentimento : « Questo lo uccide il mare, l'altro dispiega la sua vela splendente e attra­versa il mare, lieto ammirando questo grande sepolcro dei naufraghi » 3i.

Ora, questa nave pericolosa, eppur navigante in fretta verso il porto della patria, per gli antichi cristiani è la Chiesa. Negli empori di Porto Romano, di Ales­sandria e di Efeso non si poteva trovare un simbolo più bello della situazione della Chiesa peregrinante nel suo « essere tra » la certezza della salvezza, che essa offre in mezzo al letale mare del mondo, e il pericolo derivante dal non essere ancora giunta nel porto ce­leste. Essa ha coraggiosamente e definitivamente ti­rato su la sua ancora e si è allontanata da terra: ma tutta la sua speranza si trova al di là delle onde, là dove l'eternità allarga le braccia come le mura maternamente protettrici di un porto. IPPOLITO ha esposto tutto ciò con una simbolica ricca di immagini. Come la nave non lascia orme dietro di sé nel suo incedere, così avviene anche alla Chiesa, che si muove attraverso questo mondo come attraverso un mare; essa lascia le sue speranze dietro di sé sulla terraferma, poiché essa ha già riposto tutta la sua vita in cielo 35. Per esprimerci con il linguaggio teologico di CLEMENTE

ALESSANDRINO, dietro di essa c'è la συνήθεια, l'antica

34 Carmina, I, 2, 1, De virginitate, w. 684SS (PG 37, 574A). -Carni., 2, 1, 23 (PG 37, 1282 A).

3 5 Frammento 3 sui Prov., 3019 (GCS Ippolito, I, 2, p. 165). 38 Sulle benedizioni di Giacobbe, 20, in Texte und Untersuchungen

38, Lipsia 1912, p. 35, 1. 11-18. - Cfr. AMBROGIO, De Patriarchis, 5, 27 (CSEL 32, 2, p. 140, 1. 5-7): «Praesto sit Ecclesia tamquam portus salutis, quae expansis bracchiis in gremium tranquillitatis suae vocet periditantes locum fidae stationis ostendens ».

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 411

vita e costumanza pagana, e dinanzi ad essa c'è ancora soltanto il « porto del cielo, verso il quale lo Spirito Santo ci fa confluire » 37. Si tratta dunque di cosa ge­nuinamente greca e allo stesso tempo profondamente cristiana, quando Clemente paragona la vita della fede all'antica impresa di un viaggio per mare : « Come nei viaggi per mare, l'allontanarsi dalla rotta normale, anche se può arrecare danno ed esporre al pericolo, è tuttavia una sorta di gioia seducente, allo stesso modo anche noi, nel viaggio della nostra vita, non dovremmo lasciare dietro di noi la cattiva costumanza, piena di passioni, irreligiosa, e rivolgerci alla Verità?»38. È per questo che spesso il cristiano porta sul sigillo del suo anello una immagine di nave con le vele spiegate, di una nave che viaggia verso il cielo 39; è per questo che Clemente, nella preghiera del Logos del Pedagogo, invoca « la bonaccia del santo Pneuma, in cui possiamo attraversare la risacca del peccato per giungere al sacro sbarco del regno di Dio » 40. Il pericolo deve esserci; senza ondeggiamenti e tempeste la nave della Chiesa non può mai giungere alla patria riva dell'ai di là, dice ORIGENE: ού γαρ γυνατον μή πειρασμούς ύπομε-ίναντας κυμάτων καΐ άνεμου εναντίου εις το πέ­ραν φθ-άσαι 4 1 . Conseguentemente, i1 pensiero dei teo-

37 Protrepticon, 12, 118, 4 (GCS Clemente, I, p. 83, 1. 26s). 88 Prctr., io, 89, 2: (I, p. 66, 1. 12-15). 38 Paidagog., 3, i l , 59, 2: (I, p. 270, 1. 7s). I modi di leggere qui

variano, ναϋς ούριοδρομοΰσα oppure ούρανοδρομοϋσα, cioè una nave che viaggia « con vento favorevole nella vela » ο « verso il cielo ».

40 Paidagog., 3, 12, ιοί, ι (I, p. 291, 1. 4-6). 11 Commentarti in Evangelium secundum Matthaeum, il (GCS Ori-

genes, X, p. 43, 1. 285). - Cfr. anche Homiliae in Josue, 19, 4 (GCS Origenes, VII, p. 413, 1). 7-9: la traversata del « mare salato » è « vitae huius undas et turbines superare et evadere omnia, quae in hoc mundo

412 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

logi dei primi tempi della Chiesa va verso il mito di Ulisse che naviga alla volta della patria. La sua na­vigazione è un simbolo della vita cristiana, anche se si tratta di una «fabula fida non facta», come nota MASSIMO DI TOSINO 4 2 . Inoltre, ONORIO DI AUTUN

predica che gli insegnamenti del mito di Ulisse sono «mystica quamvis per inimicos Christi scripta»43. Dalla massa delle testimonianze patristiche, che po­trebbero essere addotte per la rappresentazione del viaggio della vita del cristiano attraverso il mare del mondo, saranno menzionate qui soltanto quelle, che provengono immediatamente dal tema cristiano di Ulisse.

È quasi naturale che la prima applicazione della leg­genda di Ulisse si incontri in CLEMENTE ALESSANDRINO.

Egli ha cornato per Ulisse la designazione, cne poi ritorna spesso, di « vecchio di Itaca ». Il navigatore che scruta l'orizzonte per scorgervi il fumo che si leva dalla patria terra, è per lui il simbolo di quell'uomo, che, nel viaggio della vita, non pensa al porto della pace eterna, ma soltanto al guadagno terreno. Non

prò incerto sui et lubrico marinis fluctibus comparantur ». - Per la simbolica della « vita come traversata pericolosa » cfr. ancora C I ­PRIANO, Ad Donatum, 3 (CSEL 3, ι, ρ. 5,1. 1-4). - GREGORIO NAZIAN-

ZENO, Oratio 37, 1 (PG 36, 284 B). - AGOSTINO, Enarrationes in Ps. 103,

4. 5 (PL 37, 1380-81): sul mare «pauroso» e sulla nave della Chiesa che naviga su di esso e che tuttavia non affonda, ma veleggia verso la « terra della tranquillità ». - GREGORIO MAGNO, Homilia 24, 2 (PL 76 1184D, 1185A): «Quid enim mare nisi praesens saeculum sigimi, quod se causarum tumultibus et undis vitae corruptibilis illidit? Quid per soliditatem littoris nisi Illa perpetuitas quietis vitae aeternae figu-ratur? » - Cfr. anche Homilia 11, 4 (PL 76, 1116 BC). - Moralia, 17, 30 (PL 76, 31 D; 27, 18: 471 C; 29, 12: 489 C).

" Homilia 49 (PL 57, 340 B). ** Speculum Ecclesiae, Homilia in Septuagesimam (PL 172, 855 D).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 413

così i cristiani. « Noi abbiamo riposto la nostra spe­ranza nel Dio vivente..., gli altri invece (così egli continua con un'immagine tolta in prestito a Platone44) si abbarbicano al mondo come certe specie di alghe alle rocce del mare, e non si preoccupano dell'immorta­lità, poiché, come il vecchio di Itaca, anch'essi non aspirano alla verità e alla patria celeste e alla luce ve­ramente esistente, ma soltanto al fumo »45. Alla fine del Protreptico, ancora una volta la sua mente ritorna al mito del navigante Ulisse, che le maliarde sirene vogliono stornare dal viaggio verso la patria. Qui il vecchio di Itaca diventa il modello del cristiano, e le sirene l'incarnazione della dolce ma letale συνήθ-εια. Se il cristiano si comporta come Ulisse, egli entrerà nel porto del cielo; «vedrai allora il mio Dio e sarai consacrato a quei santi misteri e potrai gustare ciò che è nascosto in cielo, che né orecchio ha udito né è mai venuto nel cuore di un qualsiasi uomo »46.

Il mito di Ulisse e delle sirene è ancor più vivo per IPPOLITO romano, per il fatto che egli, come più tardi Gerolamo e anche Metodio, stando ali antica tradi­zione greca, vedeva nello stretto del mar di Sicilia il luogo ove le sirene cantarono al rimpatriante, che passava veleggiando, il loro canto dolce e letale. La Chiesa è per IPPOLITO il porto tranquillo; i flutti agitati

el mare sono le dottrine degli eretici: « Questo mare è pieno di animali feroci ed è difficilmente transitabile, è qualcosa come il mar di Sicilia, di cui si tramanda il racconto secondo cui vi si trova il monte delle sirene.

44 PLATONE, Polii, io, 6n D. *» Protreptkon, 9, 86, 2 (I, p. 6+, L 26-31). " Protreplicon, 12, 118, 4 (I, p. 83, I. 27-30).

I

414 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Stando ai poeti greci, Ulisse veleggiò verso di es­so»47. Il cristiano deve imitarlo in ciò e deve agire allo stesso modo: soltanto così raggiungerà «il porto tranquillo ».

Da allora in poi, ogni volta che il mito omerico viene interpretato cristianamente, si parla del mare infido del mondo, su cui il cristiano e la Chiesa deb­bono viaggiare per poter raggiungere la patria. Si sente l'eco del pensiero antico, quando AMBROGIO

dice: « Quod autem mare abruptius quam saeculum tam infidum, tam mobile, tam profundum, tam im-mundorum spirituum flatibus procellosum? »48. Op­pure, quando GEROLAMO scrive : « Et nos patriam festinantes mortiferos sirenarum cantus surda debemus aure transire»49. MASSIMO DI TORINO predica a pro­posito del « cursus melioris vitae », il ritorno « ad pa­triam »50. Neppure il primo medioevo ha dimenti­cato il mito omerico rivestito cristianamente51. È come se si trattasse di un'ultima eco del mondo omerico del mediterraneo rumoreggiante, quando in una pre­dica di papa Innocenzo III ascoltiamo un bel canto di dolore, tutto soffuso del tedio del mondo, rivolgersi

41 Elenchos, 7, 13, 1-3 (GCS Ippolito, III, p. 190,1. 21 sino a p. 191, e. n ) . Per la localizzazione del racconto delle sirene in Sicilia, in particolare nell'arcipelago delle Sirenuse ο sulla terraferma che sta di fronte ad esso con il Monte delle Sirene, cfr. le testimonianze anti­che in G. WEICKER, Der Seelenvogel in der alien Literatur una Kunst, Lipsia 1902, p. óoss; p. 40; p. 73. - RE III A, 1, col. 308, 1. 17-45.

Λί Expositio in evangelium secundum Lucam, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 141, 1. 1-3).

49 Capituìationes libri Josue, praef. (PL 28, 464 B). 50 Homilia 49 (PL 57, 339 CD). 51 Cfr. soprattutto DUNGAL SCOTO, Epist. 6 (MGH Epist. IV,

p. 581, 1. 9-13): «Ut non in huius formidando saeculi pelago navi-gantes... Serenarum loetiferi cantus vos oblectent ».

ULISSE ALL ALBERO DELLA NAVE 415

al « mare amaro di questo mondo » con i suoi dolci incantesimi delle sirene52.

2. LA T E N T A Z I O N E DELLE SIRENE

Grazie all'immortale canto di Omero, il mito della tentazione di Ulisse ad opera delle sirene è diventato bene comune di tutte le culture che, in qualche modo, sono formate dallo spirito greco, oppure continua a sopravvivere un pò miseramente oggi, come già nel periodo ellenistico, nella sbiadita immagine fantasiosa delle « sirene » come simbolo di bellezza incantatrice mortale. Non c'è da meravigliarsi dunque se i Padri, avidi di simboli, si servano anche del mito delle sirene nella sfera della loro rappresentazione della navigazione cristiana verso la patria celeste. L'incalcolabile massa di testimonianze letterarie e di rappresentazioni arti­stiche di ogni genere appartenenti al periodo ellenistico ci mostra tuttavia quanto sia stato popolare, e quanto abusato, il racconto delle sirene e il loro significato allegorico nell'ambiente in cui viveva il giovane cri­stianesimo. La scienza dell'antichità si è occupata ala­cremente e con buoni risultati dell'origine e del cam­biamento di interpretazione della raffigurazione pret­tamente greca delle sirene53. Ma in questo lavoro,

" Sermo 22: PL 217, 555; Sermo 6 (PL 217, 617 C) . 63 Cfr. G. WEICKEH, De Sirenibus quaestiones selectae (Diss.),

Lipsia 1895. - Opera principale: G. WEICKER, Der Seelenuogel in der alteri Literatur und Kunst, Lipsia 1902. - W . H. ROSCHER, Lex. d. griech. u. ròm. Mythologie, IV (1909-15) col. 601-639. - RE III A, 1 (Lipsia, 1927), col. 288-308 (ZWICKER) . - RE XVII, 2 (Lipsia 1937). col. 1972^1976 (E. WtìsT). - DAREMBERG-SAGLIO, V (Parigi 1911), p. 574-583·

416 LECCLESIOLOGIA. DEI PADRI

la sopravvivenza di questo motivo nella letteratura cristiana dall'antichità sino ad oggi, è stato trattato soltanto superficialmente. E ciò che è stato esposto nelle opere di archeologia cristiana attorno all'inter­pretazione cristiana del mito omerico in una lista, ormai da tempo stereotipa, di testi patristici continua­mente ripetuti, sino alla recente opera di J. WILPERT

sugli antichi sarcofaghi cristiani, non basta per com­prendere l'interessantissimo itinerario percorso dall'in­terpretazione cristiana del mito54. Occorre pertanto leggere i testi patristici con la maggiore completezza possibile, per mostrare se e in qual modo i Padri si rifacciano ad un'allegoria precristiana delle sirene già esistente e in qual modo la simbolica cristiana si svi­luppi indipendentemente da essa.

Il carattere originario, derivante dall'antichissima religione greca, delle |Jgg9jvjg, che etimologicamente vuol dire « affascinanti », « incantatrici », era quello di spettri vampirei, che vivono di sangue55. Questa loro natura fu trasformata, ad opera della poesia omerica,

54 Per l'allegoria cristiana delle sirene cfr. J. KREUSER, Christliche Symbolik, Bressanone 1868, p. 271S. - R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana, Prato 1872, v. 1, p. 258SS: Ulisse alle Sirene. - FR. X. KRAUS, Realenzyklopàdie der christl. Alteriiimer, Friburgo 1886, v. II, p. 520S (DE WAAL). - FR. X. KRAUS, Roma sotterranea. Die ròmischen Kata-komben. Ene Darstellung der neuesten Forschungen, Friburgo 1873, p. 311. - La simbolica cristiana delle sirene è riassunta brevemente in G. WBICKER, Der Seelenvogel, p. 83S. - ICE III A, 1, col. 300, 1. 34-55. - RE XVII, 2, col. 1974, 1· 32-39· - G. KOHL, Das Melusinen-motiv, in Niederdeutsche Zeitschrift fiir Volkskunde, 1933, p. 185. J.WILPERT, I sarcofaghi cristiani antichi, Roma 1929-1935, testo p. 14-16, Immagini, v. I, tavole XXIV e XXV.

55 Cfr. G. WEICKER, Der Seelenvogel, p. 2ss. - Per l'etimologia cfr. RE III A, 1, col. 289, 1. 18 sino a col. 290, 1. 30.

OLISSE ALL ALBERO DELLA NAVE 417

e ancor più per merito di ESIODO ed ALCMANE, ma soprattutto mediante la commedia burlesca attica: TERTULLIANO però parla ancora delle « fauci sanguinose » delle sirene56. Sotto l'influsso di OMERO, ciò che af­fiora in primo giano non è più il cruento «incanto», in senso realmente feroce, come si vede ad esempio nel grande vaso greco orientale di Berlino57, bensì il fascino del loro canto e deljoro aspetto. Senza alcun dubbio qui subentrò un antichissimo elemento della erotica che è già caratteristico degli spettri e che con­tribuì alla vittoria di quella interpretazione, che vede nelle sirene delle donne incantevolmente belle, di cui soltanto gli artigli stanno ancora ad indicare la fatalità dei loro incantesimi58. Così sin dall'inizio nella rap­presentazione delle sirene si riscontra questo duplice e in un certo senso piccante momento: quel che vi è di più incantevole in esse è, precisamente, anche ciò che vi è di più pericoloso. Esse sono dolci e fatali, celestiali e infernali. Ciò appare immediatamente chiaro in PLATONE: egli ha fatto delle sirene degli esseri che prorompono nel canto delle sfere del mondo celeste 59, che hanno « piedi leggiadri ed ah dorate », come di­ce un frammento genuinamente platonico di EURIPI-

56 Apologet., 7, 5 (CSEL 69, p. 19,1. is). - Anche IPPOLITO chiama le sirene «bestie orride, cattive»: Elenchos, VII, 13, 1 (GCS Ippolito, III, p. 190,1. 27). Cfr. WBICKEH, p. 6, nota 1.

57 Riproduzione in WBICKER, p . 6, fig. ι, e ROSCHER, Lex. d.

Myth., v. II, col. 1847. 5 8 W E I C H E R , p. 37SS. 59 Republ., 617 B. - Ciò esercitò un profondissimo influsso sul­

l 'immagine mistico-cosmica del mondo della tarda antichità. Cfr. PLUTARCO, Quaest. conv., 9, 14, 6. - MACROBIO, Somnium Scipionis, 2, 3, 1. - WEICKER, p. 56. - RE III A, 1, col. 289, 1. 14-30.

418 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

DE, che ci è stato trasmesso da CLEMENTE ALESSANDRI­

NO 60. Contemporaneamente, però, anche in Platone esse sono degli esseri ctonici appartenenti al mondo inferio­re61: παρθένοι χ&ονος κόραι, le chiama ancora una volta EURIPIDE6 2. COSÌ pure il loro canto è un «seducente canto » di sorprendente bellezza63, e tuttavia è anche un « canto dell'Ade », un canto fatale 64. Nel periodo ellenistico poi, la sapienza scolastica alessandrina, con una elaborazione euemeristica e nello stesso tempo morale simbolica, ha trasformato le sirene semplice­mente in Etere, che irretiscono l'incauto con i loro canti eroticamente eccitanti65. Questa interpretazione viene espressa meravigliosamente in una figura di sirena raffinatamente ingenua, che adornava un sarco­fago ellenistico egiziano66 : un pezzo questo, che ri-

" Stremata, 4, 26, 172, 1 (II, p. 324, 1. 21-23). Clemente aggiunge qui una specie di applicazione cristiana di questa preghiera greca per ottenere l'ascesa verso Giove con le ali delle sirene: « Ma io prego che lo Spirito di Cristo mi fornisca di ali per volare verso la mia Ge­rusalemme ». - Per le sirene quali trasportatrici psicopompiche di anime cfr. lo PS.-CALLISTENE, Historia AUxandri Magni, 2, 40 (p. 90, MULLER), ove le sirene sono guide verso la μ α κ α ρ ί ω ν χ ώ ρ α . Sirene trasportatrici di anime: cfr. le riproduzioni in WEICKER, p. 7, fig. 4 e 5. - RE III A, 1, col. 297, 1. 4-6; ROSCHER, IV, 611.

" Cratilo, 403 D. - WEICKEH, p . 58S.

" Elena, i68s.

* a PLATONE, Simposio, 216 Α.; Fedro, 259 A. - SENOFONTE, Me­

morai)., 2, 6, 11, 31. 6 4 SOFOCLE, fr. 777: Φόρκου κόρας &ροοϋντε τ ο υ ς " Α ι 8 ο υ

νόμους. Qui le sirene sono fighe di Forci, secondo il pensiero genuino di Esiodo ; cfr. WEICKEH, p. 49. Altrove esse sono le figlie di Acheloo : cfr. WEICKER, p. 4tìs; p. 66s. - LIBANIO le chiama cosi nella lettera a BASILIO citata sopra, alla nota 14 (PG 32, 1089 B) . - Cfr. anche RE III A, 1, col. 295, 1. 19-35.

65 Così già nel frammento della commedia delle Sirene di E P I -CARMO, che è conservato in ATENEO, VII, 277 F, cfr. WEICKER, p. 54.

Più tardi diviene comune; cfr. i testi in WEICKER, p. 71, nota 3. »8 Rirpoduzioni in WEICKER, p. i8os, fig. 90 e 91.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 419

corda in qualche modo certa produzione del nostro roccocò. Per questo, nei suoi Incredibili, ERACLITO, seguendo la tradizione alessandrina, chiama le sirene semplicemente έταΐραι ευπρεπείς, ed è qui che ci si è fermati67. Ora cosa c'è di più facile del trasformare le sirene, mediante un'allegorismo rarefatto, in simboli del piacere sensuale? PROCLO lo ha fatto nei suoi com­menti a Platone, conformandosi totalmente al modo di pensare platonico: per lui le sirene omeriche, gli esseri ctonici del platonico Cratilo, non sono altro che dei semplici simboli del piacere mondano e delle soddisfazioni sensuali, con le quali l'anima viene inca­tenata al mondo 6 8 .

Parallela a questa linea di sviluppo ne corre anche un'altra, che ha avuto altrettanto peso nella formazione della susseguente nuova interpretazione cristiana. Già nell'antichissima credenza popolare, impiegata poi da Omero, le sirene sono « onniscienti », conoscono tutti i nomi dei passanti, la loro scienza è sovrumana, addi­rittura mostruosa69. Questa caratteristica del loro es­sere mitico, favoloso, è restata loro, e si ricollega, assieme con il loro canto seducente, ad un tipo di sirene, che mette in primo piano il loro aspetto posi­tivo anche più di quanto non faccia quello a cui ab­biamo accennato più sopra70 . In base a ciò, ora si potranno chiamare « sirene » i grandi poeti e i dotti, per esaltare nello stesso tempo la loro sorprendente sapienza e la loro incantevole facondia. Così Omero

·' De inaedibilibus, 14. - RE III A, 1, col. 42-48. 68 Comment. in Platonis CtatyL, 157 e Commetti, in Rempubl., 34,

io . - WEICKER, p. 59.

·· WEICKER, p. 38S. 7 0 WEICKER, p. 83.

420 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

è una sirena, come pure Pindaro71. Lo stesso Aristo­tele riceve questa onorificenza, anche se soltanto da GIULIANO l'apostata72 : ciò fa parte, in forma stereotipa, delle frasi di cortesia della tarda grecità, come sappiamo da SINESIO DI CIRENE73 e dal bizantino MANUELE FI-

LES 74. Ma già OVIDIO parla delle « doctae sirenes »75 e CICERONE ne dà una spiegazione allegorica76.

Con ciò abbiamo tracciato le due linee fondamentali dell'allegoresi precristiana delle sirene. In esse si inse­risce ora, senza soluzione di continuità, anche la spiega­zione cara ai Padri della Chiesa, ed è solo a partire da esse che si deve valutare se e come l'allegoria cristiana abbia introdotto qualcosa di nuovo, e in qual modo il mito così espressivo si agganci al pensiero genuina­mente cristiano.

La ragione per cui i Padri hanno preferito trarre dalla ricchezza dell'avventura odissaica il mito delle sirene per servirsene nella simbolica della navigazione cristiana, non sta soltanto nella popolarità di questo motivo durante il periodo ellenistico. È piuttosto pro­prio lo strano duplice aspetto delle sirene, questi esseri belli e ad un tempo pericolosi, demoni dalla scienza profonda e allo stesso tempo stimolatori dei sensi, che si prestava ad esprimere i loro concetti genuina­mente cristiani del καλός κίνδυνος77, della naviga-

" Anthologia Graeca, IX, 184; XIV, 102 (BECKBY HI, 114; IV, 222). Altri documenti in WEICKER, p. 83, nota 5.

»« In Herad., 237 B. 'a Epist. 138 (PG 66, 1529 A). '« Carni., 11,1 ( M A R T I N I , p. 21). Cfr. R E III A, 1, cpl. 298,1. 10-14. '· Metamorph., 5, 535. 7» De finibus, 5, 49-

" CLEMENTE ALESSANDRINO, Protreptuon, io. 93, 2 (I, p. 68, 1. 17S). Clemente conia questa espressione cosi significativa per la sua

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 421

zione « meravigliosa e nello stesso tempo pericolo­sa » della Chiesa. Qui la Chiesa inizia a profilarsi dinanzi a noi, da principio in modo poco chiaro, nelle sue grandi linee, come l'opposto pericolo del bello e dell'incantevole proprio della sapienza monda­na e della gioia sensuale, come la comunità, radu­nata inseparabilmente su di una nave, costituita da coloro che debbono veleggiare al di là di ogni sa­pienza e bellezza, e che giungono in patria mediante il solo « legno » della nave : per mezzo della croce. Il mito delle sirene dei Padri della Chiesa è come una clamide, gettata addosso leggermente ed elegan­temente, che avvolge e sottolinea ciò che è essenzial­mente cristiano.

Che sia così, è chiaro anche dal secondo motivo che spinge i Padri ad impiegare allegoricamente il racconto delle sirene: anche la SACRA SCRITTURA parla di sirene78. Da un osservazione accidentale, che AMBROGIO fa in una delle sue omelie su Luca, veniamo a sapere che qua e là si era scandalizzati per l'impiego indiscriminato di miti omerici nella predicazione cristiana. Ambrogio si giustifica citando Is 13,21, e nota: «Pertanto, anche se il Profeta non avesse parlato delle sirene, nessuno dovrebbe scandalizzarsi di ciò (dell'impiego del rac­conto delle sirene) : anche la Scrittura infatti è a co-teologia in un altro contesto biblico, poiché qui dice : « È magnifica­

mente pericoloso aggregarsi alle schiere del Signore» (cfr. in Zeit-

schrifi fiir kath. Theol. SS (1931) 252), ma il pensiero teologico è del

tutto identico a quello espresso con l'immagine della bella e perico­

losa traversata della fede. 78 Ma soltanto nella versione dei LXX (e in molti passi del Teo-

dozione): Giob 30,29. - Is 13,21.22; 34,13; 43,20. - Ger 27 (50), 39. -Mich 1,8. - Cfr. anche 4 Mac 15,21.

422 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

noscenza di giganti e della valle dei titani »79. Ora, in tutti i luoghi citati, i LXX traducono l'ebraico tannìm oppure (Is 13,21) benòt γα anàh ( = « sciacalli » e «figli dello struzzo femmina ») con Σειρήνες. Sarebbe molto interessante studiare più a fondo in che modo i tra­duttori ellenistici siano giunti alla strana traduzione dei nomi ebraici di animali, che non erano scientifi­camente familiari per essi80. Ad ogni modo, i magni­fici passi, soprattutto quelli di Is 13,21.22 sulla devasta­zione di Babilonia, di Giobbe 30,29 sulla solitudine della lontananza di Dio, di Is 34,13 sulla devastazione di Edom, esercitarono sui lettori greci dei LXX la più profonda impressione proprio a causa delle orri­bili e spettrali sirene. Gerolamo ha tradotto tutti questi passi non più con « sirenes », ma con « dracones » e « struthiones », ad eccezione di Is 13,22: «Et sirenae in delubris voluptatis » ; in tutta la Volgata questo è l'unico caso in cui viene impiegata questa parola. Egli giustifica esplicitamente questa sua divergenza dai LXX, e proprio da ciò si vede che egli con la sua tra­duzione (effettivamente anch'essa erronea) non sfugge però completamente all'immagine delle sirene regnante in tutte le menti: « Sirenae autem ' thennim » vocantur quae nos aut daemones aut monstra quaedam vel certe dracones magnos interpretabimur, qui cristati sunt et volantes » 81. E al passo, ove anch'egli conserva la parola «sirene» (Is 13,22), fa notare: «Et sirenae requiescunt in delubris voluptatis, quae dulci et morti-

*· Exposilio in evangelium secundum Lucani, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 139,1. 12-16). Cfr. Gen 6,4. - Deut 2,20 (Volg.). - 2 Re 5,22 LXX.

80 Quel che WEICKER, p. 78S e RE III A, 1, col. 300, 1. 3ss dice a proposito di ciò, non è sufficiente.

81 Commentarti in Isaiam, 13, 21 (PL 34, 159 C).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 423

fero Carmine animas pertrahunt in profundum, ut saeviente naufragio a lupibus et canibus devorentur » 82. Anche ORIGENE, del resto, si è occupato della natura delle sirene bibliche. Secondo lui, esse sono πονηρά πνεύματα,, di cui narra « il mito pagano »: esse tentano con piaceri sensuali i naviganti che passano83. Così pure EUSEBIO84, lo PS.-BASILIO85, e, dipendentemente da questi, ESICHIO86 e SUIDA87. È da notare la sobria critica con cui CIRILLO DI ALESSANDRIA afferma che queste sirene bibliche sono, propriamente parlando, uccelli solitari, e tuttavia sono simboli adatti a significare i poeti e i logografi greci88. Dipendentemente da lui, PROCOPIO ripete la medesima cosa89.

Sulla base di questo sfondo biblico, la sopravvivenza del mito delle sirene nella letteratura patristica era ormai assicurata. Se si da uno sguardo alla massa di interpretazioni patristiche del motivo delle sirene, si può affermare, senza esitazione alcuna, che nei più an­tichi scritti della letteratura cristiana troviamo in primo piano quel tipo di interpretazione che considera le sirene

8! Ivi (PL 24, 216 B) . - Cfr. anche ivi su h 43,20 (PL 24, 432 C ) : « Pro draconibus quos Theodotio solus, ut in Hebraeo scriptum est, appellavit ' thannim ', reliqui Sirenas interpretati sunt, ammalia por-tentuosa, quae dulci Carmine atque mortifero navigantes Scyllaeis canibus lacerandos praecipitabant ». È migliore però la sua traduzione con dracones.

83 Frammento 96 su Lam 4,3 (GCS Origene, III, p. 270, 1. 9-14). 84 Commentarti in Isaiam, 13, 21 (PG 24, 189 D ) ; su Is 43,20 (PG 24,

400 D) . 85 Comm. in Isaiam, 274 (PG 30, 60 : A) : Σ ε ι ρ ή ν ε ς ό μεν εξω-9-εν

λ ό γ ο ς π α ρ α δ έ δ ω κ ε γ υ ν α ι κ ά ς τ ι ν α ς μ ε λ ω δ ο ϋ σ α ς . 86 Lexicon (ed. J. ALBERTI, Leida 1766), ν. II, ρ. 1165. 87 Lexicon (ed. G. BERNHARDY, Halle-Braunschweig 1853), v. II,

p. 724S. 88 Comm. in Isaiam (PG 70, 908 d; 748 A; 364 D) . »· P G 87, 2, 2090 A ; 2396 A. Cfr. anche TEOFILATTO (PG 126,

1064 C).

424 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

come demoni « dalla scienza profonda », e quindi vede in esse un simbolo della scienza pagana, e più precisa­mente dei grandi rappresentanti di questa. Al vertice si trova CLEMENTE DI ALESSANDRIA. Abbiamo già veduto che egli, alla fine del Protrepticon, rileva che il cristiano, durante il viaggio di sua vita, deve veleg­giare oltre i pericoli della συνήθεια pagana : « Fug­giamo dunque Γ ' abitudine ', fuggiamola come si fuggono le sirene, di cui ci parla il mito »90.

Certo anche qui la sirena è già un « animale grazioso », come pure è il simbolo del « piacere », che, con la sua « musica mondana », spinge lo spavaldo acheo verso la morte. Ma con il concetto dementino di συνήθεια (che meriterebbe uno studio più approfondito), questa allegoresi ci fa entrare soprattutto nella sfera dello intellettuale, nel grande problema dell'Alessandrino: Fede e scienza, abitudine, considerata come antico er­rore, e Chiesa, quale personificazione della visione nuova e gratuita di Dio, insomma ci fa penetrare nel cuore stesso della genuina teologia cristiana. Συνήθεια è l'insieme dell'antico, del pagano, dell'idolatrico e dell'immoralità connessa con esso (dunque, in un certo senso, l'immagine intellettuale della sirena pen­sata come persona). La verità cristiana è amara e acerba come un farmaco, la « costumanza » è dolce e titillante91. La fede ne rende Uberi, la costumanza « rende servi e incatena »92. Essa è (secondo una espressione di Euripide) « futile sogno ingannevo-

,0 Protrepticon, 12,118, ι (I, p. 83,1. IJS). La sirena è un πορνίδιον ώραΐον, ηδονή, πανδήμ<ρ τερπόμενον μουσική.

" Protrepticon, 10, 109, Ι (Ι, ρ. 77, 1· 29)· ·· Protrepticon, 10, 99, ι (Ι, Ρ- 72, 1. 2); ίο, ιοί, ι (Ι, ρ. 73.

1. 6).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 425

le » 93, è « veleno mortale » 94, « vacua sciocchezza » 95. Il Logos ci ha liberati dai legami della costumanza 96, noi le siamo sfuggiti come un neonato che si svincola dal seno materno per entrare nella luce della vita97, noi siamo sottratti alla costumanza mediante l'acqua del battesimo98, e con ciò siamo chiamati a veleggiare, ritti sulla « carena della nave » " del Logos, verso il porto celeste, verso la visione dei misteri divini, come dei veri gnostici.

Da questa teologia della συνήθεια appare immedia­tamente chiaro il modo profondamente cristiano in cui ci si poteva servire del mito delle sirene, per visua­lizzare delle verità più profonde.

Ora, però, Clemente, con finezza umanistica, con­ferisce a questo fermo rigetto delle sirene anche una piega tutta sua. Ai suoi tempi infatti c'erano dei cri­stiani, i quali rifiutavano radicalmente e con tetra serietà, qualsiasi rapporto con la sapienza greca, e ciò, come sembra, richiamandosi esplicitamente al mito di Ulisse. Ciò non è ammissibile per la teologia di Clemente riguardante i rapporti tra fede e scienza. Costoro, egli dice, temono la filosofia greca come uno « spettro » ">ò. Essi si comportano come i cqm-

•3 Protrepticon, io, iot, 3: I, p. 73, 1. 15S. Cfr. EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 569. - Clemente nota qui espressamente, che noi abbiamo rinunciato alla «abitudine»: τη συνήθεις αύτη άποτάξασθαι. Qui egli pensa certamente alla « apotaxis » che si compie nel battesimo. Cfr. in Zeilschrifì fiir kath. Tfieolcgie 55 (1931) 254..

14 Protrepticon, io, 89, 2 (I, p. 66, 1. 16). " Protrepticon, 4, 46, 1 (I, p. 35, 1. I2s); io, 109, 3 (I, p. 78, 1. 7). ·· Paidagogos, 1, 1, 2 (I, p. 90, 1. io). ·» Sfrontata, 3, 16, 101 (II, p. 242, 1. 2is). »8 Protrepticon, io, 99, 3 (I, p. 72, 1. 7-9). »· Paidagogos, 1, 1, I (I, p. 90, 1. 4).

100 Straniata, 6, io, 80, 5 (II, p. 472, 1. 2).

426 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

pagni di Ulisse, si tappano le orecchie e non vogliono udire assolutamente nulla della pericolosa sapienza. Qui Clemente difende semplicemente il « meraviglioso pericolo » della fede ecclesiastica, che non ha bisogno di questa cieca paura : « Sembra che la maggior parte di coloro che si sono votati al nome (di cristiani), so­miglino ai compagni di Ulisse, poiché, senza alcuna comprensione per una buona cultura, si dedicano alla dottrina della fede, e così la loro nave oltrepassa non soltanto le ' sirene ', ma anche qualsiasi genere di ritmo e di melodia, essendosi essi tappate le orecchie mediante il rifiuto di qualsiasi scienza, perché sanno che essi non troverebbero più la via di casa una volta che avessero prestato, anche per un solo momento, ascolto alla sapienza greca »101. Non così si comporta il vero gnostico: per un certo tempo egli indugia con calma in queste cose della cultura filosofica greca, cose che lo favoriscono nella fede, in quanto gli sono utili per assicurare la dottrina della fede e lo aiutano a « tornare alla casa paterna della vera filo­sofia »102. Lo gnostico non viene reso vacillante « né dai discorsi fallaci, né dal piacere che fa perdere la testa »103. Egli sa distinguere bene tra « muse e sire­ne », come fu capace di fare il vecchio Pitagora104. Ma soltanto pochi sono capaci di ciò, soltanto gli elet-

101 Stornata, 6, n, 89, 1 (I, p. 476, 1. 14-18). 102 Ivi: II, p. 476, I. 24S: ώς άπιέναι οίκαδε δύνασθαι επί

τήν άληθ-ινή φιλοσοφίαν. 1 0 8 Sfrontata, 6, 10, 81, 3 (β, Ρ· 472,1. I2s); λόγος e ηδονή sono

qui i termini perfettamente corrispondenti al doppio aspetto delle sirene.

1 0 4 Straniata, 1, io, 48, 6 (II, ρ. 32, l. 8). Cfr. per questo TEODO-HETO, Graec. affect. cur., 8, 1 (PG 83, 1008 A).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 427

ti sanno farlo. « Basta che uno solo abbia superato le sirene »105.

Del resto, questa visione liberale di Clemente è di provenienza più antica. Il Discorso ai Greci dello PS.-GIUSTINO, che si può datare ancora al secondo secolo, indica come motivo del rigetto della « rapsodia omerica » anche i seguenti concetti: « Il figlio di Laerte di Itaca è diventato propriamente famoso soltanto per una cattiva qualità. Il modo in cui egli superò navi­gando le sirene ci mostra chiaramente però che egli era totalmente digiuno della vera sapienza: egli, in­fatti, non era in grado di tapparsi le orecchie soltanto con la sapienza »106. Questa sorprendente argomenta­zione presuppone dei concetti simili a quelli espressi da Clemente: il cristiano deve passare oltre le sirene, non con le orecchie tappate, ma con il « sapiente dono del discernimento », con la αγαθή φρόνησις. Noi parleremo più diffusamente di questo giudizio su Ulisse. Ma nella sirenologia patristica in genere non si era affatto di apertura così liberale. Nel terzo secolo, l'Esortazione ai Greci, anch'essa erroneamente attri­buita a GIUSTINO, parla pure del « saggio dono del discernimento », con cui un cristiano sa giudicare tra il « retto onore di Dio » e le « lusinghiere favole » della sapienza greca. Gli stessi Platone e Aristotele vengono presentati qui come delle seducenti sirene : « Nessuno tra coloro che sanno discernere, preferirà la bella

UH Ivi (II, p. 32, 1. io). Cfr. anche le esposizioni di Stromata, 2, 2, 9, 7 (II, p. 118, 1. 8-io), ove il «potere sovrumano» del canto delle sirene viene paragonato alla forza della fede, che ci obbliga alla con­fessione t quasi contro la nostra volontà ».

10s Orario ad Gentiles, 1 (OTTO, ΙΠ, 2, p. 4, 1. 11 sino a p. 6, L i ) .

428 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

eloquenza di questi due alla salvezza della sua anima, ma, conforme a quella vecchia favola, egli si tapperà le orecchie con cera, e così riuscirà a sfuggire al dolce pericolo delle sirene che lo minaccia. I due sunnomi­nati uomini, infatti, ci presentano i loro lusinghieri discorsi sotto forma di esca appetitosa (qui si sente il motivo culinario del racconto delle sirene presente nella commedia attica)107, e cercano in tal modo di stornare molti dal vero onore di Dio »108. È così che le sirene diventano il simbolo della dottrina pagana. Esse, come dice METODIO DI FILIPPI, cantano agli uomini il « canto del sepolcro » che risuona dolcemente: noi però abbiamo orecchie soltanto per il canto della dottrina dei divini misteri109. I nostri teologi, così ancora il retore ZACCARIA, non cantano in modo così seducente come il vostro Platone e gli altri sapienti di Grecia, «i quali, con il piacere del loro canto, imi­tano le sirene omeriche e incantano le orecchie del compiacente ascoltatore, per punirlo poi con la morte. Perciò, io esalto quell'eroe di Itaca, che non permise che accadesse una cosa così rovinosa, ma con il suo dono del discernimento vinse l'astuzia delle sirene » n o . Co­me si vede, ora Ulisse è il modello dei cristiani: un cangiamento significativo questo, di cui parleremo ancora più diffusamente. Servendosi dunque della « cera omerica», il cristiano deve rendersi sordo alle favole

107 Cfr. per questo WEICKEH, Der Seelenvogel, p. 53-55. 108 Cohortatio ai Gentiles, 36 (OTTO, III, 2, p. 116, 1. 20 sino a

p. 118, 1. 3)· 10» De autexusio, 1, 1 (GCS Metodio, p. 145, 1. 3 sino a p. 147,

1. 20). - Cfr. anche METODIO, De resurrectione, 28, 1 : GCS Metodio, p. 256, 1. 21 sino a p. 257, 1. 2.

110 De opificio mundi (PG 85, 1037 A).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 429

greche m . BASILIO dà ai suoi discepoli un eguale consiglio 112. E CIRILLO ALESSANDRINO, come abbiamo già accennato, chiama « sirene » i maestri del pagane­simo greco: Ελλήνων δεισιδαιμονίας οι διδάσκαλοι, ποιηταί τε και λογογράφοι 1 Ι 3.

Si tratta semplicemente di un ovvio sviluppo del cosiddetto « tipo dottrinale » dell'allegoria delle sirene, del quale abbiamo parlato sin qui, quando ben presto si comincia a vedere sotto l'immagine delle sirene, non soltanto la « costumanza » della sapienza greca pagana, ma anche il pericolo dell'eresia in seno al cristianesimo. La più antica testimonianza di ciò viene fornita da IPPOLITO DI ROMA 114. Per questi, i dogmi degli eretici gnostici sono come il mare battuto dalla tempesta, nel quale si trovano le isole delle sirene. Per lui, le sirene sono delle « orribili, cattive bestie », che con la loro voce gentile allettano i passanti ad accostarsi. Anche Ippolito ora dà un consiglio che è di grande interesse per la teologia del « pericoloso ». Quelli tra i cristiani che sono « deboli » debbono tap­parsi le orecchie con la cera, e così « supereranno con la nave i dogmi dell'eresia ». Soltanto al forte, dunque, viene riservato il modo con cui Ulisse, ascoltando, ma legato, superò il pericolo. Per merito del popolare FISIOLOGO, l'applicazione delle sirene agli « eretici e ipocriti nella Chiesa », è divenuta universalmente no-

111 Ivi (PG 85, 1073 B). 112 Ad adolescente;, 2 (PG 31, 568 D; 569 A). Cfr. anche Epist. 1, 1

(PG 32, 221 A). 113 Cammentarius in Isaiam prophetam (PG 70, 908 D). 114 Elenchos, 7, 13, 1-3 (GCS IPPOLITO, III, p. 190, 1. 21 sino a

p. 191, 1. 11).

430 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ta 115. Può darsi che GEROLAMO si rifaccia al Fisiologo, fiorito probabilmente in Cesarea poco prima del suo soggiorno in Palestina, quando dice: « Lugebunt quasi filiae sirenarum, dulcia enim sunt haereticorum carmina et suavi voce populos decipientia. Nec potest eorum cantica praeterire nisi qui obturaverit aurem suam et quasi surdus evaserit »1 1 6 . Colui che, secondo la pa­rola dell'Apostolo (2Tim 4,3.4), ascolta le favole degli eretici con orecchie lusingate, dice lo PS.-DIONISIO, « deve essere considerato come uno vinto dalle sirene », poiché si è « dimenticato del ritorno in patria » n 7 .

La tentazione delle sirene dei pagani e degli eretici si rivela sino nel suo più intimo come imitazione di di quel primo inganno degli uomini che Satana mise in opera, come dice esplicitamente Υ Ammonizione ai pagani118. In ultima analisi dunque, secondo METODIO le sirene di Omero sono gli allettamenti e le arti dei d e m o n i 1 1 9 . Da tutto ciò si vede quanto fortemente e quanto insistentemente la teologia patristica sia re­stata consapevole del centro propriamente dommatico anche in questi settori più periferici dell'allegoria. Il mito delle sirene è soltanto una veste della consapevo­

li physiologus, 13 (p. 245S, LAUCHERT). L'edizione critica di S. SBORDONE (Firenze-Milano 1936) porta nel testo (p. 51-53) il commentario sinora più completo con testimonianze patristiche, sul mito delle sirene. Ma anche qui i testi sono messi in fila senza scelta. -Per la storia dell'origine del Physiologus cfr. M. WELLMANN, Der Physiologus. Eine religionsgeschichtlichnaturwissenschaftliche Untersuckung (Philologus, Supplemento XXII, 1, Lipsia 1930).

115 Commentarti in Michaeam prophetam, 1, 1 (PL 25, 1158C). 117 Commeniarius in Isaiam prophetam, 276 (PG 30, 604 C). "8 Cohortatio ad Gentiles, 36 (OTTO III, 2, p. 118, col. 3s). 119 Simposio, 8, 1 (GCS Metodio, p. 81, 1. i6s). - Cfr. anche

EUSEBIO, Comm. in Isaiam, al v. 43,20 (PG 24, 400 D): θέλγουσαι ήδοντ; καΐ ίίσμασι δαιμονικοΐς τάς των ανθρώπων ψυχάς.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 431

lezza, vissuta con passione, secondo cui il cristiano, nel suo viaggio verso il porto dell'eternità, è posto di fronte alla scelta sovranamente libera, ma anche mortalmente pericolosa, tra fede e miscredenza. È sulla barca della Chiesa, però, che si compie questa scelta, e ciò, come vedremo ancora, stando legati all'albero di questa barca ecclesiastica: alla croce.

Ci rimane ancora da accennare alla seconda linea di sviluppo della allegoria cristiana delle sirene. Qui le sirene verranno considerate piuttosto come delle etere incantatrici, e quindi come simboli del piacere sensuale, che può mettere in pericolo la salvezza del cristiano durante il suo viaggio. Questo modo di vedere è certamente più recente di quello delineato più sopra, ma è quello che ha avuto il sopravvento.

Già IPPOLITO era stato consapevole di questo du­plice carattere delle sirene: egli distingue chiaramente tra i due pericoli che esse rappresentano per il cristiano. Oltre alla seduzione per mezzo di eresie, esse possono «incitare facilmente alla libidine con il loro soave canto »120. Ma è AMBROGIO che, per primo, contri­buisce all'affermazione di questa interpretazione. Se­condo lui, le sirene di cui parlano la Sacra Scrittura e la gentilis historia, significano il « piacere mondano » : «Earum autem interpretatio haec est: Voluptas vocis et quaedam adulatio. Ita ergo saeculi voluptas nos quadam carnali adulatione delectat ut decipiat »121. Di qui segue una sottile distinzione, importante per l'ascesi di Ambrogio. Non è stato il pericolo della riva in quanto tale che espone il navigante al pericolo

"" Elenchos, 7, 13, 3 (GCS IPPOLITO, IH, p. 191, 1- 8). L"1 Explanatio in Ps. 43, 75 (CSEL 64, p. 315, 1. 11-17).

432 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

di morte, ma soltanto il dolce canto delle sirene: così, non è la carne in quanto tale che è peccaminosa, ma soltanto i suoi stimoli e le sue attrattive sfrenate. « Dolce e fatale », questa è, d'ora in poi, la formula impiegata per indicare il piacere carnale, che storna il cristiano dal suo cammino verso la patria. Secondo le Sante Scritture, le sirene abitano, sempre al dire di Ambrogio, in « Babilonia » (Ger 27,39), ossia nel « disordine del piacere mondano » : « Et Hieremias de Babylonia me-moravit quod habitabunt in ea fìliae Sirenum, ut ostenderet Babylonis, hoc est saecularis confusionis illecebras, vetustae lasciviae fabulis comparandas: quae velut scopuloso in istius vitae littore dulcem resonare quandam sed mortiferam cantilenam ad capiendos ani-mos adolescentium viderentur »122. Il pericolo, che minaccia il cristiano, è dunque il « malfamato naufragio del piacere», il cui modello è il mito dell'Odissea: « Famosum illud voluptatis naufragium » 123. Nello stesso senso si esprime SIDONIO Apollinare a proposito di un giovane convertito, che, a causa delle tentazioni erotiche, si tappò le orecchie con « cera oddissaica » e così sfuggì alle « meretricia blandimenta » delle si­rene 124. GEROLAMO, tanto infiammato per l'ascesi e per la verginità, considerava il mito delle sirene, al quale dovette pensare durante il suo viaggio ascetico verso la Palestina, un simbolo impiegato volentieri. Non ascoltate il canto delle sirene di Goviniano, egli consiglia alle sue vergini, questo « concionator volup-

1 , 1 De fide ad Gratianum, 3, 1, 4 (PL 16, 590 C). 123 Expositio in euangelium secundum Lucam, 4, 2 (CSEL 32, 4,

p. 139. 1. 20). "* Epist. 9, 6 (PL 58, <520 C).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 433

tuosissimus : immo quasi sirenarum cantus et fabulas clausa aure transite »12s. Ed alla vedova Fulvia scrive che essa dovrebbe scacciare dalla sua pia casa tutte le suonatrici di canti mondani : « Quasi mortifera sire­narum carmina proturba ex aedibus tuis »126. Breve è il piacere dei sensi, dice il proverbio ascetico : « Quid mihi et voluptati quae in brevi perit? Quid cum hoc dulci et mortifero cannine sirenarum? »127.

Nel quinto secolo, le sirene vennero completa­mente trasformate nel simbolo irreale del piacere sen­suale. Lo sottolinea in modo esplicito PAOLINO DA

NOLA : « Nam quod ìllae Sirenae fuisse figuntur, id revera sunt inlecebrae cupiditatum et blandimenta vi-tiorum. Habent enim in specie lenocinium, in gustu venenum, quorum usus in crimine, pretium in morte numeratur »128. SINESIO scrive in una lettera: ^κουσα δε τοϋ των σοφών και άλληγοροϋντος τον μϋθ-ον. Σειρήνας γαρ αύτάς αίνίττεσ&αι τάς άπολαστικάς ήδονάς 1 2 9 . GIULIANO DI ALICARNASSO chiama il canto

delle sirene semplicemente « canto di animali »1 3 0. L'allegoria si allontana sempre più dal terreno della cultura vivente che la sosteneva, e si rifugia nell'ano-nimità morale-ascetica. Ma è da notare quanto popolare rimanga il mito almeno in questa forma, soprattutto nel mondo delle rappresentazioni erudite della tarda

135 Adversus Jovinianunt, i, 4 (PL 23, 215 B). 12« Epist. 54, 13 (CSEL 54, p. 479, 1. 6). i« Epist. 22, 18 (CSEL 54, p. 167,1. 10-12). Cfr. anche Epist. 82,5

(CSEL 55, p. 112, 1. 8-10)). "» Epist. 16, 7 (CSEL 29, p. 121, 1. 18-22). '*» Epist. 145 (PG 66, 1541 A). 130 Commento a Giob 30, 29 (ed. H. USENER, in Rhein. Museum

f. Phil., N. S., (1900) 324).

434 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

antichità latina, come, ad esempio, in CASSIODORO 131,

in SIDONIO 132 e più tardi nell'erudizione dei poeti

carolingi, come in un DUNGAL 133, Ο in un ALDELMO

1 3 4. Così, le antiche sirene si trasformano, presso LEANDRO

DI SIVIGLIA, in dame mondane, il cui inutile chiac­chierio deve essere evitato dalle monache 135. Un con­temporaneo di BERNARDO DI CHIARAVALLE dice an­cora : « Cantus sirenarum sunt verba saecularium mu-lierum »136. E nell'istruzione che ONORIO di AUTUM dà per la rianimazione di noiose prediche, viene am­piamente trattato anche il mito delle sirene. Esse rap­presentano le tre tentazioni del piacere mondano: il « duca Ulisse », che le supera vittoriosamente, è come un grande modello mistico del cristiano 137. Tutto ciò è ramgurato in modo semplice e profondo nel libro di immagini di HERRAT DI LANDSPERG: vi si può vedere, rivestito di una ferrea armatura, simile ad un buon cavaliere, il « duca Ulisse » legato al suo albero mentre supera con la nave le pericolose sirene: «Dux Ulysses praeternavigans iussit se ad malum navis ligare... et sic periculum illaesus evasit » 138.

131 Variar., 2, 40 (MGH, Auct. ant., 12, p. 71, 1. 22-31). 132 Carme 9, 163 (MGH, Auct. ant., 8, p. 222). 133 Epistola 6 (MGH, Epist., 4, p. 581, 1. 9-13). 134 De virginitate, 40 (MGH, Auct. ant., 15, p. 292, 1. 17S.) -

Chartae, 1 (MGH, Auct. ant., 15, p. 508, 1. 6-9). 135 Regina, 1 (PL 72, 881 D; 882 A). 136 De modo bene vivendi, 57 (PL 184, 1285 D) . - Per la soprav­

vivenza della rappresentazione delle sirene nell'antico francese cfr. R E III A, 1, col. 305.

1 3 ' Speculum Ecclesiae, Homilia in Septuagesimam (PL 172, 855 s). 133 Hortus deliciarum (ed. STEAUB-KELLER, Strasburgo 1879-99),

testo p. 435; immagini, tavv. 58 e 57. - Per la sopravvivenza della rappresentazione delle sirene nella sfera della lingua tedesca cfr. il dizionario di GEIMM, X, 1, Lipsia 1905, p. 1230SS. - Ci piace rilevare

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 4 3 5

Certamente, la storia dell'allegoria cristiana delle sirene non è un notevole pezzo di storia delle idee teologiche. Essa proviene, però, da un contesto cri­stiano molto profondo, che, ad ogni modo, noi ab­biamo potuto indicare. Ciò verrà messo in piena luce, se ora introdurremo nelle linee già disegnate ciò che la simbolica patristica ebbe a dire intorno al passo principale del mito omerico: l'astuzia odissaica di farsi legare all'albero. Qui, infatti, si trova il nocciolo più intimo, intorno al quale si è depositata la teologia del pericolo meraviglioso e della salvezza mediante il legno della croce.

3. IL CRISTIANO COME ULISSE

Premettiamo subito: ciò che stiamo per trattare ora, non si situa troppo perfettamente all'interno della cornice che noi abbiamo tracciato per questo primo studio sul tema generale « Antenna Crucis ». Infatti appa-

una testimonianza sin qui completamente ignorata. L'esegeta COR­NELIO A LAPIDE nel suo commento a Is 13,22, citando ciò che Ambrogio ha saputo dire nel suo commento al vangelo di Luca a proposito delle sirene, narra che anche nella sua patria frisone è stata catturata « an­cora ai nostri tempi » una sirena del mare, metà fanciulla e metà pesce, la quale è vissuta per lungo tempo tra gli uomini appendendo persino a cucire: Commetti, in Isaiam 13,22 (Opera, ed. Vivès, Parigi 1866, v. io, p. 282). Si tratta certamente di una elaborazione poetica ger­manica, di cui abbiamo già un esempio in NOTKERO IL TEDESCO (I, 12, 25, PIPER): Sirenes sunt meretier, fone dero sange intslafent die verige etpatiuntur naufragium. Cfr. anche UGO DI S. VITTORE (PL 177, 78 BC) : de Sirenarum natura. - VINCENZO DI BEAUVAIS, Specutum naturale, 32, 121 (ed. Strasburgo 1483). ALANO AB INSULIS, De planctu naturae (PL 210, 437 Β ; 46i D) ; Liber parabolarum (PL 210, 586 C). - DANTE, Purgai. XIX, 19. - Altre testimonianze medievali in PvE III ,A I, co l . 306S.

436 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

rirà chiaro che l'impiego cristiano del racconto omerico di Ulisse legato (e proprio in questo punto l'allegoria patristica va essenzialmente oltre tutti i modelli anti­chi) è pensabile soltanto a condizione che l'albero della nave, che rappresenta la Chiesa, sia il simbolo della croce. Noi tratteremo questa allegoria in modo esau­riente quanto alla sua origine e quanto alla sua storia. Qui anticiperemo dunque soltanto questo: l'antico cristiano vedeva nell'albero della nave, che il suo oc­chio scorgeva quotidianamente veleggiare sul mare, un'immagine, anzi una copia fìsica della croce di Cristo, proprio perché albero e antenna si interseca­vano in forma di croce, e così raffiguravano la « crux immissa » dinanzi all'occhio cristiano. Senza questo albero e senza la vela fissata all'antenna, la nave non può muoversi in mezzo alle onde; così neppure la Chiesa può giungere al porto della patria eterna senza il « legno della croce » : tutto ciò è patrimonio dell'an­tico pensiero teologico, come sappiamo da GIUSTINO

139

e TERTULLIANO 1 4 0 , da MINUCIO 1 4 1 ed IPPOLITO 1 4 2 .

139 Dialog., 138, 2 (OTTO II, 1, p. 486, 1. 23). - Apol., 1, 55, 2 (OTTO I, p. 150,1. 10-14) · ciò è già riconoscibile nelle cose fisicamente visibili: ώς και έκ των ύπ'δψιν πιπτόντων δείκνυται · κα­τανοήσατε γαρ πάντα τα έν τω κόσμω, εί άνευ τοϋ σχή­ματος τούτου διοικείται ή κοινωνίαν έχειν δύναται.

1 4 0 Cfr. Ad nat., 1, 12 (CSEL 2θ, ρ. 8ι, 1. 27 sino a ρ. 82, 1. $). -Adversus Mauionem, 3, 18 (CSEL 47, ρ. 406, 1. 21-26). - Adversus Judaeos, io (PL 2, 626 C). Ovunque il parallelismo antenna^crux è fondamentale. Cfr. anche De idoloìatria, 24 (CSEL 20, p. 57,1. 16), ove vien detto che la nave della fede naviga attraverso gli scogli del­l'idolatria, con « vele gonfiate dallo Spirito, immune da pericoli, se prudente»: velificata Spiritu Dei fides navigai, tuta si cauta.

i" Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. 10-15). 1 4 ! Frammento 4 su Gen 8,1 (GCS Ippolito, I, 2, p. oos). - De

Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO, I, 2, p. 39, 1. 12 - p. 40, 1. 9). - Fram­mento 3 su Prov 30,19 (ivi, p. 165).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 437

Anche il perfezionamento del significato cristiano del mito odissaico deriva ora la sua forza dalla validità di questa rappresentazione allegorica. Il cristiano, che sulla nave della Chiesa veleggia verso la patria, che è circondato dai pericoli delle sirene che ne mettono in forse la salvezza, e cioè dai pericoli dell'infedeltà (o dell'eresia) e del piacere sensuale, deve comportarsi come il sagace Ulisse e legarsi con fortissimi lacci al suo albero, Ta croce: così sfuggirà a qualsiasi pericolo di naufràgio e giungerà in patria. Con l'allegoria del legarsi all'albero l'interpretazione cristiana penetra più fortemente che non con quella delle sirene, in pen­sieri veramente teologici, non sottintesi in modo al­cuno nell'allegoria ellenistica di Ulisse: il paragone « albero=croce » è certamente soltanto cristiano 143. Comunque, esso fu sostenuto dal favore di cui go­devano le rappresentazioni del navigatore legato al­l'albero 144. Basti, ad esempio, considerare soltanto il vaso a figure rosse proveniente da Vulci (British Mu-seum), con le sue antenne a forma di croce chiara­mente disegnate e con Ulisse legato, verso il quale le sirene guardano sbalordite145. Anche i cristiani po­

lis Prescindendo da certe similitudini nautiche e di cultura ge­nerale nell'antichità ellenistica, che erano favorevoli al paragone simbolico. Ciò verrà dimostrato meglio più sotto.

114 Cfr. per questo A. BOLTE, De monumentis ad Odysseam perti-nentibus, Berlino 1882. - FR. MUIXER, Die antiken Odyssee-IUustra-tionen, Berlino 1913. - G. WEICKES, Der Seelenvogel, Lipsia 1902, p. 162-165; p· 183; p. 204-206. La più completa raccolta di tutte le raffigurazioni del mito trovate sino ad oggi, in E. WusT, RE XVII, 2 (1937). col. 1974, 1. 6oss.

i« Riproduzione in WBICKER, p. 165, fig. 85. - DARBMBERG-SAGLIO, IV, 1 (1904), col. 37, fig. 5288. - ROSCHER, Lex. Myth., IV, col. 605. - Cfr. per questo anche, testo e riproduzione in A. KOSTER, Das antike Seewesen, Berlino 1923, p. 97. - J. KROMAYER e G. VBITH,

438 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tevano vedere disegnato su piatti e vasi, su lampade, carnei e stampi per focacce, questo mito popolare e familiare a tutti. Senza dubbio essi guardavano queste immagini di navi con lo stesso spirito con cui Mi-NUCIO FELICE scriveva: « Signum sane crucis natura-liter visimus in navi, cum velis tumentibus vehitur, cum expansis palmulis labitur ... ita signo crucis aut ratio naturalis innititur aut vestra religio forma tur » 146. E quelli di loro che erano colti, pensavano al legno della croce, allorché leggevano i famosi versi della Odissea :

άλλα με δεσμω δήσατ' έν άργαλέω 8φρ' έμπεδον αύτόθ-ι μίμνω ορθόν έν ίστοπέδη, έκ δ'αΰτοΰ πείρατ' άνήφθω.

« Essi permisero a me solo di ascoltare le voci, tuttavia mi legano con stretti legacci, affinché rimanga fermo, ben saldo all'albero e lasci che i cavi ne siano garan­ti »147.

Prima però di esporre i testi patristici, dobbiamo occuparci del contrastante giudizio sul saggio Ulisse, che si trova presso i Padri. Vi abbiamo già accennato brevemente più sopra. Si tratta di una eco, sin qui non presa in considerazione, del contrastatissimo giu­dizio sull'astuto Laertide, che si riscontra nella cultura ellenistica. È noto che PLATONE ed EPICURO (anche se per motivi diversi), hanno esercitato una taglien-tissima critica sulla teologia omerica e soprattutto

Heerwesen una Kriegfuhrung der Griechen und Romer, Monaco 1928, tav. IO, riprod. 44. - Un'altra rappresentazione di un lekythos attico è facilmente accessibile in E. BETHE, Die griechische Dichtung, Hand-buch d. Literaturwissenschaft, Postdam 1929, p. 39, fig. 33.

"· Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. 10-15). "' Odissea XII, 160-62.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 439

sull'incerta etica delle astuzie odissaiche. La Stoa invece e, soprattutto, i neoplatonici hanno difeso Omero servendosi di tutte le arti allegoriche 148. Le Allegorie Omeriche di ERACLITO e le allegorie dell'Iliade di PROCLO

ne sono un esempio tipico. Per esse, Ulisse non è lo sfacciato mentitore, ma il più saggio tra tutti coloro che conoscono l'arte di vivere. Se PLATONE lo chiama ancora, per disprezzo, il σοφώτατος 1 4 9, per PLAUTO

è già il tipo del saggio consigliere: semplicemente meus Ulixes150. Questo duplice giudizio si trova, ora, anche nell'allegoria cristiana di Ulisse, e precisamente in base al punto di vista della vittoriosa libertà cristiana consapevole della propria forza. Già il Discorso ai Greci dello PSEUDO-GIUSTINO deride la cera omerica e chiama questa astuzia una « famosa depravazione » 1B1. Clemente d'Alessandria rimprovera al «vegliardo di Itaca » di essere sensibile soltanto al « fumo » della patria terrena152: qui dunque, Ulisse non è modello per i cristiani, ma piuttosto il tipo dell'uomo di quag­giù, proprio come presso lo Pseudo-Giustino è tipo dei greci disperatamente privi di qualsiasi saggezza ultraterrena. Ciò è ancor più chiaro in METODIO,

che per l'appunto chiama Ulisse «vecchio di Itaca». Qui egli è precisamente l'antitipo di ogni saggezza e libertà cristiana: «Il vecchio di Itaca voleva, come

X4t Per la letteratura complessiva e per una ricca citazione di fonti sulla questione, cfr. in E. WtìsT, RE XVII, 2 (1937) col. 1913-1916.

»*· Polit., 3, 390 A. 150 Menaechmi, 902. 161 Oratio ad Gentiles, 1 (OTTO III, 2, p. 4,1.1 IS : δ γαρ ' Ιθακήσιος

Λαερτιάδης έκ κακίας άρετήν ένεπορεύσατο. Solo ZWICKER richiama brevemente l'attenzione su questo notevole cambiamento di giudizio cristiano su Ulisse, in RE III, A (1927) col. 300, 1. 48-55.

«a Protrepticon, 9, 86, 2 (I, p. 64, 1. 29-31).

440 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

narra il mito dei Greci ascoltare il canto delle sirene, poiché questo era estremamente dolce di suono e licenzioso. Perciò egli veleggiò oltre la Sicilia legato, e tappò le orecchie dei suoi compagni. Non perché egli fosse geloso che essi ascoltassero le sirene, e nep­pure per semplice piacere di essere legato, ma soltanto perché la fine di quei canti significava morte per tutti gli ascoltatori: tale infatti era, secondo i Greci, la natura di quel canto delle sirene ». « Non cosi noi cristiani », continua Metodio, « Noi non ascoltiamo il ' canto fatale ' delle sirene, ma gli inni dei profeti, i quali terminano non con la morte, ma con la ' sal­vezza eterna '». Dinanzi a questo coro divino non c'è bisogno di tapparsi le orecchie né di farsi legare : « Da noi non ci sono sirene siciliane né legami odissaici né cera versata nelle orecchie, da noi c'è soltanto per­fetta libertà da qualsiasi legame, chiunque vuol può venire qui ad ascoltare liberamente ».153. Qui si sente certamente quel rifiuto dell'applicazione delle allego­rie omeriche, contro cui si indirizzava Clemente Ales­sandrino nella sua lotta contro la semplice fede dei cristiani non istruiti, e che Ambrogio subodorava an­cora nei suoi uditori. Anche questa allegoria negativa non si è imposta, ma quella opposta, quella che vedeva in Ulisse il modello della sapienza, e solo per questo la spiegazione cristiana della simbolica dell'albero della nave ha potuto affermarsi. Il navigatore di Itaca è

153 De autexusio, i, i-4( GCS Metodio, p. 145, 1. 3 sino a p. 145, ]. 16). Così la testimonianza di Metodio si distingue realmente dalla linea delle citazioni patristiche in favore di una interpretazione sim­bolica cristiana di Ulisse. Ma il modo in cui Metodio argomenta, suppone tuttavia la popolarità dell'allegoresi omerica interpretata cri­stianamente.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 441

così anche per i Padri della Chiesa, a cominciare ancora una volta da Clemente Alessandrino154, il Providus Ithacus155, il sapiens Ithacus156. PAOLINO loda la astutia Ulixis 157, e la tarda antichità patristica, come pure il devoto Medioevo, hanno letto le bizzarre etimologie di FULGENZIO, che deriva il nome di Ulixes da όλων ξένος = « omnium peregrinus, et quia sapientia ab omnibus mundi rebus peregrina est, ideo astutior Ulixes dictus est»1 5 8. Ancora ONOKIO D'AUTUN dice: « Ulixes dicitur sapiens » 1 5 9 .

Nel patetico capitolo conclusivo dell'esortazione ai pagani di Clemente di Alessandria ci viene conservata la più antica testimonianza dell'allegoria cristiana di Ulisse. Il testo suona così160 :

παράπλει τήν ωδήν, θάνατον εργάζεται." εάν εθέλης μόνον, νενίκηκας τήν άπώλειαν καΐ τω ξύλω προσδεδεμένος άπάσης εσγ] της φθ-ορας λελυ μένος, κυβερνήσει σε ό λόγος του S-εοΰ καΐ τοις λιμέσι καθ-ορμίσει των ουρανών το πνεΰμα το άγίον.

«Passa oltre al canto (delle sirene), esso produce morte. Se vuoi, puoi diventare vittorioso della corru­zione, e, legato al legno, sarai immune da qualsiasi

"* Stromata, 6, i l , 89, 1, 2 (II, p. 476, 1. 24-26). 1 5 5 DUNGAL SCOTO, Epist. 6 ( M G H Epist., 5, p . 581, 1. 11). 1 5 0 CASSIODOKO, Variar., 2, 40 ( M G H Auct. ant., p. 71, 1. 30). 1 5 7 Epist. 16 (CSEL 29, p. 121, 1. 2is). 1 5 8 Fabulae secundum philosophiam moraliter expositae, 2, 8. - Cfr.

RE XVII, 2, col. 1910, 1. 18-22. - RE VII, 1 (1910), col. 215SS. ìsa PL iy2, 857 A. - Per lo studio più recente sulla mitologia

di Ulisse nel medioevo, soprattutto in Dante, cfr. G. RABUSE, Die tetzte Irrfahrt des Dantischen Odysseus, in Festschrift jiir Walter Heinrich Graz 1963, p. 99-126. - AISCHA HELL, Odysseus bei Dante, in Deutsches Dante-Jahrbuch 38 (i960) 87-91. - Per ulteriore bibliografia cfr. in G. RABUSE.

1 , 0 Protrepticon, 12, 118, 4 (I, p. 83, 1. 24-27).

442 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

naufragio. Il Logos di Dio guiderà la tua nave e lo Pneuma che è santo ti farà giungere al porto del cielo ».

In questo brano appaiono chiaramente le linee fondamentali della teologia che sta dietro a tutta l'al-legoresi. Se, come abbiamo veduto, le sirene sono la personificazione della συνήθ-εια, a cui si è rinun­ciato nel battesimo, ora ne viene messo in evidenza l'opposto: la salvezza è possibile soltanto perché il cristiano ha un legno a cui è legato mentre sta su una nave, di cui il Logos è « carena » e « timoniere » e che si trova in alto mare diretta verso il porto dell'eternità. Il cristianesimo è dunque essere legato alla libertà, come suggerisce la terminologia molto spirituale del detto: προσδεδεμένος - λελυμένος. Il cristianesimo

: non è più questione di scaltrezza odissaica, ma di i«buona volontà»; è inoltre un viaggio «trinitario»: ί timoniere il Logos, vento nella vela lo Spirito, méta > la Patria celeste cori la sua iniziazione definitiva ai mi­

stèri eterni: τελεσθήση μυστερίοις και των έν ού-ρανοϊς απολαύσεις άποκεκρυμμένων1β1. Che Cle­mente, con la breve espressione « legno », voglia si­gnificare semplicemente la croce di Cristo, lo si ri­cava chiaramente dalla sua abituale terminologia teo­logica. Per lui ξύλον significa sempre la croce 1 β 2, esattamente come, per la più antica teologia prima di lui, nella LETTERA DI BARNABA 163 e nell'apologeta

181 Ivi (I, p . 83, 1. 28s). 1 , 1 Paidagogos, 1, 5, 23, 1 (I, p. 103, ]. 28). - Protrepticon, 12, 119, 3

(I, p. 84, 1. 19). - Sfrontata, 1, 24, 164, 4 (II, p. 103, 1. 6). - Ivi, 2, 4, 19, I (II, p . 122, 1. l6) .

1113 Lettera di Barnaba, 11 e 12 (FUNK, I, p. 71-75). « Acqua e legno » (croce) costituiscono un tipo dottrinale, che appartiene ai più antichi di tutta la teologia cristiana. Cfr. per questo « Flumina de ventre Christi », sopra a p. 359S.

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 443

GIUSTINO 164. Noi siamo salvati mediante « l'acqua e

il legno » : mediante il battesimo che produce salvezza in virtù del legno della croce, oppure, parlando con l'immagine: mediante il legno della nave che ci tra­sporta attraverso il mare del mondo. « Il legno con­tiene in sé il mistero della croce », dice GIUSTINO

165. Così, qui Clemente è nella stessa direzione in cui era precisamente Giustino nel paragonare il legno della cro­ce con l'albero della nave: il cristiano deve essere come il reduce Ulisse, legato al legno. Che qui abbiamo a che fare con un topos dottrinale primitivo, lo si de­duce dal fatto che anche IPPOLITO DI ROMA, certa­mente indipendente da Clemente, espone la medesima allegoria. Anche per lui l'astuzia del saggio Ulisse è modello di una sublime sapienza, che è possibile sol­tanto a pochi cristiani. Se egli dunque dà alla maggior parte di questi il consiglio di tapparsi le orecchie a somiglianza dei compagni di Ulisse, quando ascoltano le dottrine ereticali degli gnostici, ciò non vale per i forti nella fede: questi piuttosto, come Ulisse, deb­bono ascoltare, ma legati alla croce:

(φασί) τον 'Οδυσσέα κατακηρώσαι τάς άκοάς των εταίρων, εαυτόν δέ τω ξύλω προσδήσαντα παρα-πλεϋσαι ακινδύνως τάς Σειρήνας κατακούσαντα της τούτων ωδής· δ ποιήσαι τοις έντυγχάνουσιν συμ­βουλεύω και τα ώτ« κατακηρώσαντας δι' άσθ-ένειαν διαπλεΰσαι τα των αιρέσεων δόγματα ... ή εαυτόν τ£> ξύλω Χρίστου προσδήσαντα πιστώς πατα-

1 8 4 Dialog., 138, 2 (OTTO, Π, ι, ρ. 486, 1. 2ο sino 1 ρ. 488, 1. 2).

1 , 5 Ivi (ρ. 486, 1. 23)·

444 L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI

κούσαντα μή ταταχ-9-ηναι., πεποιθότα φ προσέσφι-γκται, καί έστηκέναι òpS-ώς166.

« Ulisse tappò con la cera le orecchie dei suoi com­pagni di viaggio, ma fece legare se stesso al legno, e così superò vittorioso e senza pericolo le sirene, nonostante ne ascoltasse il canto. Anche io consiglio di agire così a tutti coloro che si trovano in una si­tuazione identica: quindi, ο tapparsi le orecchie con la cera, memori della propria debolezza, e così veleg­giare attraverso gli insegnamenti delle eresie ... ο farsi legare con fede al legno di Cristo e così ascoltare senza timore alcuno, fidando in esso (legno), al quale si è legati e restare dritti in piedi».

Qui alcune caratteristiche diventano anche più mar­cate che presso Clemente. L'albero della nave viene chiamato espressamente « legno di Cristo ». E la parola conclusiva prima di έστηκέναι ορθώς, l'adesione « ortodossa » alla fede, è un giuoco pieno di spirito con le parole omeriche: ορφ' ... μίμνω όρθ-òv έν ίστοπέδη. Lo «splendido pericolo» del cristiano per­fetto consiste dunque nel fatto che egli certamente ascolta, ma non segue: non in superba fiducia di sé, ma contando sulla forza della croce.

Dopo che, come abbiamo mostrato sopra, M E -TODIO non viene più preso in considerazione come teste dell'esemplarità di Ulisse legato (per troppo tempo il passo è stato citato in tal senso senza guardare troppo da vicino), è interessante percepire ancora in AMBRO­

GIO una eco di quel dubbio ellenistico circa la virtù dell'astuto uomo di Itaca. Senz'altro egli è per Am-

"· Elenchos, 7, 13, 2, 3 (GCS IPPOLITO, III, p. 191, 1. 3-11).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 445

brogio semplicemente il saggio: ma il fatto che egli abbia dovuto farsi legare, diventa per Ambrogio, nel suo dotto trattato all'imperatore Graziano, il segno di quanto debole sia anche il più saggio quando non ha il Cristo. « Quam (cantilenam Sirenum) sapiens etiam ab ipso poeta graeco inducitur quasi quibusdam prudentiae suae circumdatus vinculis praeteriisse. Ita difEcile iudicatum est ante adventum Christi etiam fortiores non posse capi speciosae deliciis voluptatis » 167 ! Ma nelle Omelie per la spiegazione del vangelo di Luca, Ambrogio è più benigno verso l'astuzia di Ulisse: in queste egli è per lui il modello del come il cristiano debba sfuggire il pericolo delle sirene, costituito dal piacere terreno: di questo solo pericolo infatti, e non più di quello del paganesimo ο dello gnosticismo, si tratta da ora in poi; e proprio queste parole di Am­brogio non furono più dimenticate anche nel medioevo. Dopo che Ambrogio, come abbiamo mostrato sopra, si è giustificato per l'impiego del mito, spiega l'alle­goria cristiana del racconto omerico. Di nuovo risuona il canto di lode della libertà cristiana, anche se con notevole variante: il vir religiosus non si deve tappare le orecchie, ma renderle libere per la voce di Cristo: « Non claudendae igitur aures sed reserandae sunt, ut Christi vox possit audiri, quam quisque perceperit naufragium non timebit ». Invece nell'astuzia propria di Ulisse si ricela un mistero: il cristiano si deve far legare alla croce di Cristo, per non subire naufragio. « Non corporalibus ut Ulixes ad arborem vinculis adligandus, sed animus ad crucis lignum spiritualibus nexibus vinciendus, ne lasciviarum moveatur illece-

1,7 De fide ad Grati.inum 3, I, 4 (PL 16, 590 C).

4+6 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

bris cursumque naturae detorqueat in periculum vo-luptatis » 168. Ulisse è nuovamente il simbolo dell'unio­ne cristiana di libertà e di obbligazione: ascoltare at­tentamente la voce di Cristo, essere legato alla croce di Cristo.

Spinto dal suo modello Ambrogio, il vescovo di Torino MASSIMO ha trattato di questo tema in tutta una sua omelia al popolo. Anche questa è stata sino ad ora citata in tutte le esposizioni dell'allegoria cri­stiana di Ulisse. Ma evidentemente essa non è stata letta con attenzione: poiché si è totalmente trascurato di notare, con quanta profondità e con quanto inte­resse per lo sviluppo del tipo dottrinale, Massimo maneggi il tutto. Non è più il cristiano che, a somi­glianza dell'Ulisse legato, deve legarsi alla croce, ma Ulisse legato all'albero della nave è figura di Cristo stesso. Dopo aver esposto la « favola mondana » di Omero, il predicatore continua : « Si ergo de Ulysse ilio refert fabula, quod eum arboris religatio de peri-culo liberavit: quanto magis praedicandum est quod vere factum est, hoc est, quod hodie omne genus hominum de mortis periculo crucis arbor eripuit? Ex quo enim Christus Dominus religatus in cruce est, ex eo nos mundi illecebrosa discrimina velut clau-sa aure transimus ». Cristo stesso dunque è Γ « Ulisse crocifisso », pensa argutamente, ma con acutezza teo­logica, Massimo. Infatti solo perché egli fu legato alla croce, è stata data anche all'uomo la sola possi­bilità di raggiungere la patria sulla nave della Chiesa. Così il Cristo legato al « legno » nel giorno stesso della

1 , 8 Expositio in evangelium secundum Lucani, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 140, 1. 4-10).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 447

sua morte ha posto in salvo nella patria del paradiso il naufragante ladrone. Solo se è legato al legno al quale è legato Cristo, anche il cristiano può salvarsi. « Arbor enim quaedam in navi crux est in Ecclesia, quae inter totius saeculi blanda et perniciosa naufragia incolumis sola servatur. In hac ergo navi quisquis aut arbori crucis se religaverit aut aures suas scripturis divinis clauserit, dulcem procellam luxuriae non ti-mebit... ergo Dominus Christus pependit in cruce, ut omne genus hominum de mundi naufragio libera-ret »169.

Non si potrebbe pensare che qui un vero e proprio crocifisso sta già dinanzi agli occhi del predicatore torinese?170 In ogni caso si vede quanto vivamente egli, pensando alla forma di croce rappresentata dal-albero e dall'antenna, pensasse inoltre al Cristo in­chiodatovi. « Ο uomo, questa croce è il tuo timoniere », predica GERMANO DI COSTANTINOPOLI, « perciò non temere i marosi minacciosi del mare di questa vita... La croce sarà per te un modello di infrangibile forza, affinché tu inchiodi la tua carne alla crescente riverenza per il crocifisso... così giungi con immane vittoria nel porto del riposo »m ! Lo stesso pensiero si perce­pisce, come già abbiamo affermato all'inizio, dietro le parole con le quali AGOSTINO loda l'umile abbraccio della croce, eretta come un albero al centro della nave

169 Homilia 49, De passione et cruce Domini, 1 (PL 57, 339 D; 340 B). 170 Si pensi alle ampolle di Monza, alla gemma della croce nel

British Museum ed alla porta di Santa Sabina. Cfr. J. REIL, Die friih-christlichen Darstellungen der Kreuzigung Christi, Lipsia 1904, p. 54-57; p. 59S. - K. KUNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo 1928, v. I, p. 446-453.

1,1 Homilia in vivificarti crucem (PG 98, 240 CD).

448 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

della Chiesa 1 7 2 . Anche GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ sembra aver pensato al mito omerico quando, nel suo poema alla verginità, parla della crociera della vita : « L'anima è in viaggio d'alto mare e la tempesta è tremenda. Perciò io tremo sino nel profondo di me e mi avvin­ghio tanto più a Cristo, a nient'altro, a Cristo, mio casto anelito: egli solo infatti è immobilmente fer­mo »173.

PAOLINO DA NOLA, così amante dei simboli, ha radunato come in un mosaico di antica bellezza tutti ι pensieri sino ad allora isolati, che illustrano il mito cristianamente interpretato di Ulisse legato all'albero della nave. Qui la nave della Chiesa attraversa mae­stosa i flutti di questo mondo, costruita con legno incorruttibile; e, con amorevole proprietà di linguaggio, viene sviluppata la simbolica delle singole componenti nautiche della nave, timone e governo, vela e albero, gomene e antenna. L'albero è per lui simbolo della croce; ed è qui che egli ricorre al racconto omerico: «Et arbor illis est ,,virga de radice Jesse", quae totam corporis nostri quadriremen regit et cui si iuxta illam poeticam fabulam in profetica ventate nectamur, vo-luntariis adstricti nexibus et obstructis non cera sed fide neque corporis sed cordis auribus, contea mundi varias ad capiendum pares ad nocendum illecebras tuti et innocui scopuli voluptatum quasi saxa Sirenum praetervehimur. Adstringamur autem huic arbori fune validissimo, vincti in spe, fide, caritate, credentes cor-

171 Tractatus in loannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389S). "" Carmina, 2, 1, De Virginitate, vv. 582-585 (PG 37, 566 A).

Anche qui con la designazione di Cristo quale Ιμπεδος ci sembra che sia presente una allusione ad Omero XII, 161 ορφ'ϊμπεδον ...

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 449

dibus et oribus confìtentcs individuami Trinitatem, quae est spartum triplex quod non rumpitur. Hoc sparto et opera nostra texantur, quo et rudente fidei nostrae arbor erigatur caritatis antenna et vitae nostrae vela sinuentur »174. Paolino termina la sua teologia nautica con un inno di lode, che si potrebbe porre, come appropriatissima interpretazione, tra le chiare immagini che ci sono state conservate nelle catacombe: navi che navigano a vele spiegate verso il cielo, verso il faro dell'eternità 175. Se Gesù aiuta ed ogni tempesta tace, allora la nave della nostra vita potrà giungere in porto con un prezioso pesante carico, adornandosi di corone di vittoria dopo tutti i pericoli : « Christus quasi naves suarum onerarias opum deducat in portum salutis, victricibus fluctuum pnppibus virides laetus imponat coronas»176!

Le immagini nell'Hortus deliciarum di ERRATO DI

LANDSPERG dimostrano177 quanto sia stata popolare anche nel primo medioevo, così avido di simboli, la drammatica storia del dux Ulisses legato all'albero della nave. L'albero della nave a cui è legato Ulisse è desi­gnato molto appropriatamente come antenna della croce. Il modello immediato di Errato è senza dubbio

1 , 4 Epistola 33, 30 (CSEL 29, p. 186, 1. 19 - p. 187, 1. 4). 175 Bellissima quella visibile su una lastra sepolcrale della ditta

Victora del Cimitero Gordiani, in O. MARUCCHI , / monumenti del Museo cristiano Pio-Lateranense, Milano 1910, tav. 58. Anche in O. M A R U C C H I - F . SEGMULLER, Handbuch der christl. Archàologie, Einsiedeln 1912, p. 218, fig. 65. - Cfr. F. J. DOLGEK, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p . 285.

1 ,6 Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 23-25). 177 Hortus deliciarum (ed. STRAUB-KELLER, Strasburgo 1879-99,

tavv. LVII e LVIII). La scritta, che parla del Dux Ulisses, è certamente presa da Onorio.

450 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Onorio d'Autun, che a sua volta ha attinto soprattutto al commentario di Ambrogio al vangelo di Luca. Con lui concludiamo questo nostro primo studio sulla teologia dell' « Antenna crucis ». Onorio dà il consiglio di condire le prediche al popolo con storie appropriate: « Nam huiuscemodi verbis eis fastidium tollis ». Così pressappoco con l'esempio di Ulisse legato : « Ulixes dicitur sapiens. Hic illaesus praternavigavit, quia chri-stianus populus vere sapiens in navi Ecclesiae mare huius saeculi superenatat. Timore Dei se ad arborem navis, id est ad crucem Christi ligat. Sociis cera, id est incarnatione Christi, auditum obsigillat, ut a vitiis et concupiscentiis cor avertant et sola caelestia appetant. Sirenes submerguntur, quia concupiscentiae ab eis vigore spiritus praemunitur. Ipsi illaesi evadunt pe-riculum, quia per victoriam ad Sanctorum perveniunt gaudia » 178.

Con ciò abbiamo ora il materiale patristico per la questione, sorta recentemente a causa del grande sar­cofago di WILPERT, se nelle esposizioni cristiane del mito di Ulisse legato si tratti soltanto di un'assunzione di opere d'arte originariamente pagane, oppure di una creazione genuinamente cristiana. Un'approfondita trat­tazione archeologica di questo problema andrebbe ol­tre i limiti di questo lavoro. Tuttavia, da quanto si è detto finora, si possono dedurre anche alcune co­noscenze fondamentali per questo. Già è apparso con­tinuamente che le rappresentazioni sin qui ritrovate del mito di Omero stanno su sarcofaghi esclusiva­mente di origine cristiana: la raffigurazione ci è stata preservata soltanto su coperchi di sarcofaghi del terzo

178 Specuhim Ecclesiae (PL 172. 857 A).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 451

secolo, in modo bellissimo su quello di Lucio Furio Turanio (Museo di San Callisto) e su quello di Aurelio Romano (proveniente da Aguzzano, ora al Museo delle Terme)179. WEICKER sostiene che è un puro caso che sino ad ora non si siano trovate raffigurazioni sepolcrali indubbiamente pagane del mito Ulisse-Sirene, poiché quelle cristiane sarebbero senza dubbio delle sculture assunte solo posteriormente e derivanti da opere pagane, ο in ogni caso completamente dipen­denti da queste 1 8 0. Della stessa opinione era dia G. B. DE Rossi 1 8 1 . Ciò è senz'altro credibile, solo che si pensi alla massa di rappresentazioni non sepolcrali del mito e, d'altro lato, si tengano presenti due cose: il ruolo importante assunto, nella credenza ellenistica di quel tempo, dalla raffigurazione delle sirene, e la presenza, su sarcofaghi pagani, del mito, molto meno frequente, poiché pensato non in modo popolare ma in modo culturalmente enologico, della disputa delle sirene con le muse182. Per conseguenza, è senz'altro probabile che dei nobili cristiani del terzo ο quarto secolo potevano servirsi di modelli pagani per l'orna­mento di sarcofaghi, poiché questi erano familiari ai

17> J. WILPERT, / sarcofaghi cristiani antichi, R o m a 1929, parte illu­strata, v. 1, tav. X X V , 3 ; XXIV, 7. - F. X. KRAUS, Roma sotterranea, Friburgo 1873, p. 311, fig. 47. - Enumerazione dei sarcofaghi di Ulisse anche in BOLTE, op. cit., p. 345. - MULLER, p. 49. - WEICKER,

p. 205S. 1 8 0 WEICKER, Der Seelenvogel, p. 205. 1 , 1 La croce d'oro rinvenuta nella basilica di S. Lorenzo, in Bollettino

di archeologia cristiana 1 (1863) 35S.: «Quelle sculture sono pagane e rappresentano Ulisse legato all'albero della sua nave, che ode il canto delle Sirene. Gli antichi nell'età anteriore alla pace loro data da Costantino spesso comprarono nelle officine degli scultori sarco­faghi già preparati ».

IB» WEICKER, Der Seelenvogel, p. 76; p. 2o6s.

452 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

marmisti, e poiché il mito aveva subito una notevole trasposizione interpretativa nel pensiero cristiano. Da ciò nasce però l'ulteriore questione: quali sono i carat­teri della suddescritta allegoria che debbono spiegare il fatto che proprio (e soltanto) sui sarcofaghi si dava valore alla rappresentazione di Ulisse? WILPERT applica il mito alla distinzione tra vera e falsa dottrina : dunque nella direzione del tipo più intellettuale, la cui prove­nienza è stata da noi spiegata più sopra 183. Ma donde viene allora lo speciale significato sepolcrale del mito? Io penso che qui si debba ricorrere meno al « dottri­nale » nella sua opposizione al « morale », che non alla origine generale dell'allegoria. Noi abbiamo visto che anche in Clemente e Ippolito, nonostante l'accento preponderante sul dottrinale, le sirene hanno conservato il loro carattere ellenistico di animali seducenti. Non bisogna dunque mettere l'accento su questa distin­zione contenutistica: ma sulla teologia, da cui soprat­tutto ai Padri poteva venire in mente il pensiero di assumere il mito e spiegarlo cristianamente. Questa teologia però è essenzialmente escatologica: la vita del cristiano è paragonabile ad una traversata* è « meravi­glioso pericolo », ha come meta il « porto del cielo », come diceva CLEMENTE

184, la αιώνιος σωτηρία, co­me scriveva Metodio 1 8 5. La Chiesa è una ναϋς ουρα­νό δρομοϋσα18β. «Crucis arbor ...hominem patriae repraesentat », predicava MASSIMO 1 8 7 . E AGOSTINO:

1 8 3 I sarcofaghi cristiani antichi, R o m a 1929, testo p. 14. 1 8 4 Protrepticon, 13, 118, 4 (I, p. 83, 1. 26s).

H5 £>e autexusio, 1, 2 (GCS Metodio, p. 146, 1. 6; 1, 6: p. 147,

1. 7s). 1 8 8 CLEMENTE, Paidagogos, 3, 11, 59, 2 (I, p. 270, 1. 8). 1 8 7 Homilia 49 (PL 57, 339 C).

ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE 453

« Gubernator est Christus in ligno Crucis suae... per-ducentur ad terram quietis » 188. « In portum salutis », così terminava la sua esposizione PAOLINO 189. Ed è solo come la eco di questo grido di giubilo proveniente dal desiderio dell'aldilà della simbolica cristiana, quan­do ALDELMO scriveva : « Quatenus garrulo Sirenarum Carmine spreto ratis recto cursu ad portum patriae pro­spere perducatur. » 19°. E. DUNGAL: «Ut velut ille providus Ithacus... divino agitante spiraminis flatu ad supernae portum patriae perveniatis » 1 β 1. E dunque precisamente lo stesso processo mentale, che in qualche modo spinse Clemente Alessandrino a cristianizzare il mito omerico dandogli un nuovo significato, e Lucio Furio Turanio a far ornare il sarcofago della sua pace sepolcrale con il mito omerico.

Con ciò abbiamo dinanzi a noi il primo armonico pezzo di antica teologia dei rapporti tra Chiesa e croce. Quasi naturalmente ci si presenta ora il compito ul­teriore, di liberare questa speculazione dall'involucro della sua simbolica e di fare degli studi intorno alle sue profonde connessioni in una ricerca sull'allegoria della nave della Chiesa formata dal legno della croce. Ma, dal mito cristiano di Ulisse legato all'albero della nave, ci è già apparso chiaramente (e i sarcofaghi ro­mani del terzo secolo lo dimostrano) che l'allegoria apparentemente così distante e che sembra quasi arti­ficiosa proviene da profondità genuinamente cristiane. Τοις λιμέσι ουρανών, diceva all'inizio della storia di

1 , 8 Enarrationes in Ps. 103, 5 (PL 37, 1381 A). 1 8 9 Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 24). 1 9 0 Chartae, 1 ( M G H Auct. ant., 15, p. 508, 1. 8s.) 1 9 1 Epistola 6 (MGH Epist., 4, p. 581, 1. I2s.)

Il

454 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

questa odissea cristiana il simbolico della Chiesa primiti­va, Clemente. E il simbolico del medioevo, Onorio, la concludeva con le parole: «Ad Sanctorum perveniant gaudia » !

2.

IL MARE DEL MONDO

Nella parte precendente, che è stata come di into­nazione 1, si poterono delineare soltanto contorni esteriori della teologia della Chiesa, che è alla base del simbolismo nautico dei Padri. Ora bisogna cercare di sviluppare, in conformità alle fonti, l'allegoria della Chiesa quale nave veleggiante sul mare di questo mondo, e ricercarne l'origine biblica e classica. Infatti, solo allorché il materiale sinora radunato soltanto alla buona ο in modo superficialmente affrettato ne­gli studi sul simbolismo artistico e letterario, sarà pre­sentato in modo sostanzialmente completo e soprat­tutto geneticamente ordinato, si potrà mostrare quale teologia si nasconda dietro i fenomeni di questo ricco mondo di simboli. Solo a partire da ciò, bisogna ri­sottolinearlo continuamente, questa nostra ricerca sfug­girà il pericolo di un isterismo patristico ο archeologico vano e non impegnativo. Si tratta qui, per noi, della faticosa scoperta della dialettica dommatica, in cui la teologia patristica concepiva l'essenza della Chiesa.

1 Cfr. sopra a p. 397-454.

456 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Come la « nascita di Dio » dalla Madre Chiesa è un essere generato per morire e la vita divina può giun­gere alla virilità dell'eternità soltanto attraverso il pericolo di un « aborto »2 ; come la Chiesa quale « Mi­stero della luna » giunge alla fertilità e all'eterno splen­dore soltanto attraverso la morte del sinodo3 : così avviene anche ora nel campo simbolico della teo­logia nautica della Chiesa. L'esistenza terrena della Chiesa è paragonabile ad una traversata marittima: la Chiesa è essenzialmente dell'ai di là, sempre in viaggio verso una patria non ancora raggiunta; que­sto viaggio si fa per mare, su un elemento perico­loso e avverso alla nave; la Chiesa è soltanto una pic­cola nave di legno, ma proprio per questo può affron­tare fieramente il mare. La teologia dialettica che si nasconde dietro questo tesoro di immagini della dom-matica patristica si esprime sempre attraverso coppie di opposti: la Chiesa è certa della salvezza e tuttavia ancora in pericolo di salvarsi; certa di arrivare, ma non ancora giunta; piccola nave sul pauroso mare di questo mondo dominato dal diavolo, ma certa di vincere nonostante questa precarietà. Infatti essa è la nave costruita con il « legno della croce », il « pic­colo legno, a cui si affidano le anime umane » 4. Con ciò però è enunciata, per via di immagini, la sua più intima essenza, poiché la Chiesa è, nella storia nel mondo, la continuazione e il compimento di quella

2 Cfr. sopra a p. 50s, 95s. 3 Cfr. sopra a p. 15OS. 1 Sap. 14,5: έλαχίστω ξύλω πιστεύουσιν άνθρωποι ψ υ χ ά ς . -

Più avanti daremo una più esatta interpretazione di questo testo e della storia della sua esposizione.

IL MARE DEL MONDO 457

vittoria, che Cristo conseguì contro il « principe di questo mondo » sul « legno ». Legno e mondo, nave e mare, Cristo e satana: in ciò risiedono le tensioni teologiche, di cui questa simbolica patrista è come carica.

Per comprendere pienamente questa dialettica, è necessario, in primo luogo, esporre a fondo l'allegoria del mare del mondo. In essa infatti i Padri radunano tutte le potenze avverse a Dio e che perciò minacciano anche la Chiesa. Noi dobbiamo conoscere questo ma­re, prima di abbordare la nave della Chiesa che lo solca maestosa. Ciò è importante per questo simbolo: infatti siccome il paragone tra mare e mondo^ anche oggi ci è familiare e vicino, si potrebbe ritenere che è una cosa facile dimostrarlo dalle fonti patristiche, ricorrendo ad esempio ai noti passi di GREGORIO:

« Quid enim mare nisi praesens saeculum signat »5, ο di AGOSTINO : « Mare saeculum est »6, ο del medio­evo simbolista : « Mare eleganter praesens saeculum signifìcat »7. Ma come spiegare la costanza caratte­ristica di questa allegoria? Forse soltanto per il fatto che « le terre bagnate dalle acque del bacino mediter­raneo sono particolarmente inclini a concepire la vita sotto l'immagine della navigazione»8? Oppure pren­dendo come base i modelli biblici della Chiesa, l'arca di Noe e la barchetta di Pietro ? Ο piuttosto come

5 Homilia 24, 2 (PL 76, 1 1 8 4 D ) ; Moralia, 17, 30 (PL 76, 31 D ) ; 18, 18 (PL 76, 471 D ) ; 19, 12 (PL 76, 489 C ) .

• Enarrationes in Ps. 92, 7 (PL 37, 1188D). - Cfr. H. R O N D E T , Le Symbolisme de la Mer chez S. Augustin, in Augustinus Magister, Parigi 1954, v - 2 . P· 691-701.

' ALANUS AB INSULIS, Liber in distinctionibus (PL 210, 850 D) . 8 FR. J. DÒLGER, Sol Salutis, Miinster, 1925, 2 ed., p. 273.

458 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

effetto posteriore di un topos costante nell'antica re­torica? Tutto ciò è certamente esatto, come dimo­streremo. Ma tutto ciò non basta a spiegare perché mai il mare divenne- il concetto del « mondo » quale elemento votato al diavolo e perciò insidiante la Chiesa.

Il nostro studio dunque si deve proporre in prima linea il compito di trovare la radice della simbolica del « mare del mondo ». Dando uno sguardo d'in­sieme alla massa di testimonianze antiche e patristiche che abbiamo adunato all'uopo, è risultato chiaro che per l'origine di questo simbolo dobbiamo ben distin­guere l'uno dall'altro due campi: i. Il semplice na­turale paragone tra mare e vita, che era ovvio per le genti della cultura mediterranea ed ha anche influen­zato le immagini della Sacra Scrittura. Noi intitoliamo questa parte con le parole: Il mare amaro. In esse infatti si può raccogliere in breve ciò che l'antica retorica, la poetica e la mitologia della natura, e anche la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa, asserirono intorno al mare e in cui essi videro un simbolo appropriato della amarezza della vita terrena. 2. Bisogna però distin­guere nettamente da questa un'altra serie di raffigura­zioni, che ha un'importanza incomparabilmente più grande per la simbolica marinara schiettamente cri­stiana e senza la quale non riusciamo a comprendere la teologia della nave della Chiesa sul mare del mondo : il mare come luogo della potenza oscura, demoniaca, antidivina, dunque il lato più religioso del paragone tra mare e mondo. E ciò sia nell'antichità ellenistica, sia nell'antico cristianesimo. « Profundum maris sedem intelligimus inferni », dice un ILARIO

9, e con ciò vuol

• Tractatus in Ps. 68, 28 (CSEL 22, p. 337, 1. 6) .

IL MARE DEL MONDO 459

enunciare una frase significativa dal punto di vista della storia della religione, frase che raduna in sé, ciò che fu sempre pensato intorno al mare, elemento de­moniaco nell'antichità e nel cristianesimo primitivo. Noi intitoliamo questa parte con le parole: il mare cattivo.

i . IL M A R E A M A R O

Era naturale per l'uomo di mare dell'antichità e del cristianesimo primitivo paragonare la vita al mare e dipingere le disgrazie della vita, soprattutto il dolore, le tempeste delle passioni, l'avverso destino, con im­magini offerte dal quotidiano spettacolo del mare e della esperienza dei viaggi marinari. Per quanto egli amasse « il suo mare »10, su cui vedeva le navi a vela volteggiare come petal in ο come colombe1 2, già negli antichi aveva di gran lunga il sopravvento l'or­rore dinanzi all'enigmatico e « amaro mare ». Perciò i beati tempi antichi, il Κρόνου βίος 1 3, quando l'uo­mo temerario, in cerca di guadagno, non aveva ancor posto piede sul legno della nave, divengono l'incarna­zione di una vita priva di passioni e di preoccupazioni.

1 0 Cfr. ad esempio PLATONE, Fedro, 113 A : ή π α ρ ' ή μ ϊ ν θ ά λ α σ σ α . - CESARE, De bello gallico, $, 1 : mare nostrum. Per l'insieme, cfr. : V. BURR, Mare nostrum, in Wiirzburger Studien ,1932, p. 119SS., p. I28ss. - Per la mitologia pregreca del mare cfr. O. KAISER, Die mythische Bedeutung des Meeres in Agypten, Ugarit und Israel, Berlino 1959.

1 1 CATONE, Or. fragm., 1, 8: mare velis florere videres. - LUCREZIO,

5. 1142· J 2 AMBROGIO, Hexaemeron, 4, 6, 26 (CSEL 32, 1, p. 133, 1. i6s). 13 I Saturnia regna della mitologia romana. Cfr. per l'insieme

R E XI (1922) col. 20o6s; col. 2009S (POHLENZ).

460 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Ancora nel quinto secolo SINESIO DI CIRENE ci ha descritto questo stato d'animo con i bei versi di ARA­TO

14. In TIBULLO si legge qualcosa di simile. Prima le cose erano veramente belle, ora invece c'è soltanto tempesta e morte: « Nunc mare nunc leti mille re­pente viae »15. Già qui il mare diventa un elemento in qualche modo nemico dello spirito umano: una 0-άλασσα χαλεπή oppure πικρά 1 6 , un « mare sae-vom » 17, che l'uomo può vincere soltanto con una coraggiosa impresa. « Mare audendo vincere », dice VIRGILIO

18. Ma questa audacia è propriamente sempre un tremebondo affidarsile all'infido elemento, una imitazione di quel primo ardimentoso, che ha inventato la nave: «Qui fragilem truci commisit pelago ratem primus », è detto nella bella ode di ORAZIO

20. Non si è certo mancato di paragonare spesso, in senso tra­slato, la vita ad una traversata veramente audace, la cui bellezza il codardo cittadino non può comprendere. Seneca cita in proposito un detto del suo maestro, il

14 De providentia, 2, 5 (PG 66, 1273 AB). ARATO qui parla espli­citamente della χαλεπή θάλασσα.

15 Elegia I, 3, 49S. " TUCIDIDE, 4, 24.. - χαλεπή è il mare nello stesso senso della

raccapricciante insopportabilità degli dei quando si rendono visibili: cfr. ad es. PLATONE, Rep., 502 D; Iliade, 20, 131. - Cfr. anche ORAZIO, Ode 1, 28, 18: « exitio est avidum mare nautis ».

17 LIVIO ANDRONICO, Carmin. fragm. 22. - « Mare saevum » spesso in SALLUSTIO e in OVIDIO.

18 VIRGILIO (?), Catalepton, 9, 48. 19 Cfr. ad esempio SENECA, Agamennone, 106 : « Mari credere

cumbam». - Columella, 1, praef. 4: « Navigia mari concredere». -PETRONIO, Sat., 83: «Qui pelago credit magno se foenore tollit». -In SINESIO ci è stato conservato un proverbio greco, che esprime lo stesso pensiero: μηδείς πλέων έθ-άρσησε: Epist., 4 (PG 66, 1337 A).

20 Ode I, 3, ios.

IL MARE DEL MONDO 461

cinico DEMETRIO 21 : « Hoc loco mini Demetxius noster

occurit qui vitam securam. et sine ullis fortunae occur-sionibus mare mortuum vocat » 22. Ma ciò è rara ecce­zione. L'orrore dinanzi al « tremendo » mare è di gran lunga superiore negli antichi: «Insano terque quaterque mari », dice PROPERZIO

23. L'essere messo inevitabilmente in balia dell'elemento si esprime con­tinuamente, nelle fonti antiche, nei due concetti: il mare è incostantemente infido e amaro : « Mare in-fìdum » e « Mare amarum » 24, e proprio queste due immagini, come si dimostrerà in seguito, sono di­venute fondamentali per la simbolica cristiana del mare.

Partendo da questa fase, l'applicazione delle imma­gini percorre tutti i gradi, dalla scialba comparazione retorica sino al simbolo concretamente vivente della morte. Era corrente nell'antica retorica paragonare l'inizio e la fine di una grande orazione, di una poesia, di una ricerca filosofica, con il salpare e l'approdo di una nave. « Tamquam in rate in mari immenso nostra vehitur oratio », dice CICERONE

25. L'oratoria cristiana ha volentieri imitato ciò, essa naviga sulT « immane

sl Cfr. su di lui ZELLEE, Phil. d. Griechen, 3 ed., v. 4, p. 766. -RE IV (1901) col. 2843S. - Il concetto del « temerario viaggio marino » è frequente anche nella filosofia popolare cinica.

22 SENECA, Epist. 67, 14. 23 Elegia 7, 6. 24 Sul concetto di «mare pauroso» cfr. le citazioni nel Thesaurus

linguae latinae, 8 (1939) p. 379, 1. 6iss. - Quanto al « mare amaro », nelle nostre letture abbiamo rilevato: SENECA, Nat. quaest., 3, 4, 5; STAZIO, Silv., 2, 2, 18. - Sul « mare infido », cfr. PETRONIO, Sat. 1 1 5 , 8 . -O V I D I O , Pont., 4, io. - PROPERZIO, Elegia 7, 26: « fallit portus et ipse fidem ».

25 Tuscul., 1,73. - Cfr. anche O V I D I O , Ars am„ 1, conci.: hic teneat nostras ancora iacta rates.

462 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

mare delle meditazioni divine » 26, essa sa che i misteri della Trinità, a somiglianza del mare, possono essere solcati soltanto con grandi navi 27. Dante vi si è ancora inspirato nel noto canto iniziale del Paradiso 28. L'im­magine sensibile diviene ancor più plastica, allorché già gli antichi paragonano il popolo e l'umore popo­lare con il mare29, cosa che, mediante la simbolica presentata nell'Apocalisse 17,5, è divenuta corrente anche nella teologia cristiana ^

Ma tutto ciò non è che linguaggio figurato degli oratori. Noi entriamo nell'ambito dell'antico pensiero richiesto dalla nostra questione, soltanto quando gli antichi, nel loro ansioso mormorio, bisbigliano di un « amaro mare ». Come la sapienza popolare parla vo­lentieri della « vita cattiva » - χαλεπον ό βίος 3 1, così parla dell'onda amara del fato, «cui le nere navi, che

» GREGORIO NISSENO, In Cantica Canticorum, hom. 12 (PG 44, 1016B).

2 7 GREGORIO N A Z . , Poemata, 1 ,1,1 (PG 37, 397). - BASILIO (PG 31,

555 C ) ; LEANDRO (PL 72, 891 D) . Cfr. anche CLAUDIANO MAMERTO,

De statu animae, 1, 1 (CSEL 11, p. 23, 1. 16): «Pelagus disputationis ». Ad esso corrisponde quindi la immagine del « mare errorum * (ivi, p. 175,1. 22) ; ancor più chiaramente in VINCENZO DI LÉRINS, Commoni-torium, 20 (PL 50, 666 B) : « Amaros illos turbulentosque errorum fluctus ».

28 Paradiso, II, 1-15. 29 CATULLO, Carmen 64, 270-278. - ORAZIO, Epist. II, i, 20oss. -

LIVIO, 28, 27, 11. - CICERONE, Oratio prò Cn. Piando, § 15. 30 Per dare soltanto alcune citazioni: ILARIO, Tractatus in Psal-

mum 123, s (CSEL 22, p. 594, 1. 5); Tractatus in Psalmum 143, 15 (CSEL 22, p. 822, 1. i8s) : « Aquas populos dici usuata cognitio est ». -GAUDENZIO D I BRESCIA, Sermo 5 (PL 20, 876 A). - CROMAZIO, Tracta­

tus 17 in evangelium s. Matthaei, 4, 3 (PL 20, 339 B). - Cfr. anche RUPERTO DI DEUTZ (PL 167, 648 AB). - INNOCENZO ΠΙ (PL 217,

555 Q . 3 1 PLATONE, Conuiuio, 176 D . - SENOFONTE, Memor., 2, 1, 1.

IL MARE DEL MONDO 463

solcano il mare, non possono sottrarsi »32. SOFOCLE

nell'Antigone ha dipinto meravigliosamente l'insoste­nibile sorte dell'uomo maledetto da Dio, con l'im­magine dell'onda spumeggiante che viene dal Nord tracio33. Anche ESCHILO parla dell'onda del male34; OVIDIO ci ha cantato le sventure della sua storia perso­nale con le stesse immagini 35. Il saggio, che si pone il fato sotto i piedi, è simile al barcaiolo, a cui neanche i flutti del mare possono più fare del male. Richiaman­dosi a Platone e Plutarco, BOEZIO ha espresso questo pensiero così : « Non ti devi meravigliare », dice la consolatrice Filosofia, richiamandosi alla sorte dei grandi, come Socrate, Platone, Zenone e Seneca, « se sul mare della vita siamo preda di rumoreggianti tempeste, noi, il cui supremo ideale è di evitare il male »3e. E Boezio aggiunge i versi mai dimenticati nel Medioevo 37 :

« Quisquis composito serenus aevo fatum sub pedibus egit superbum non illum rabies minaeque ponti versum funditus exagitantis aestum movebit ».

Cosi qui il mare è già immagine sensibile di una potenza temibile, superiore, a cui è commessa la vita dell'uomo, e che solo a pochi è dato di vincere. In seguito la forza dell'immagine continuerà ad eserci­tare il suo influsso. L'uomo nobile e saggio ha in sé

*· SOFOCLE, Antigone, 952-954. - Cfr. per questo anche ORAZIO, Ode II, 16, 21 : « Scandii aeratas vitiosa naves cura ».

33 SOFOCLE, Antigone, 584-592. 34 Sette contro Tebe, 758. 35 Tristia, 2, 99-102; I, 1, 41S. 31 De consolatione Philosophiae, 1, 3, 11 (CSEL 67, p. 6, 1. 24-26). " Ivi, 1, metrum 4 w. 1, 2, 5, 6, io (CSEL 67, p. 7).

464 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

la γαλήνη 3 8 ; la calma silenziosa del mare; lo stoico conoscitore dell'arte di vivere aspira sempre al « mare calmo delle passioni », come narra FEDRO 3 9 nella gra­ziosa favola del marinaio, e come risuona ancora in METODIO DI FILIPPI

4 0 e in BOEZIO 4 1. Con ciò si viene

a dire però che l'« uomo cattivo » è come un mare amaro, sbattuto dalla tempesta, un « mare acerru-mum » 42. I vortici della passione amorosa lo sbattono qua e là: e di ciò è tutta ripiena l'antica poetica: « Non mare ullum tam profundum quam amor »43. Tre mali ci sono al mondo: il mare, il fuoco e la donna,

38 Cfr. il concetto della γ α λ ή ν η dell'anima in ESCHILO, Agamen­none, 740. - SOFOCLE, Elettra, 899. - PLATONE, Leg., 791 A.

39 Fabulae, 4, 16. Q u i il sophus gubernator dà il meglio della sua saggezza pratica risultante dalle sue esperienze nautiche (vv. 9s): «Parce gaudere oportet et sensim queri, totam quia vitam miscet dolor et gaudiuni ». - Cfr. ORAZIO, Ode, 2, 16 ,26s: «Amara lento temperet risu ». - Tutto ciò però è anche una valida dottrina filoso­fica vitale, come sentiamo dire dal racconto di Eusebio sull'arte «nautica» di vivere, di ARISTIPPO DI CIBENE, in Praep. evang., 14, 18 (PG 21, 1257 A).

40 Symposium, 11 (GCS Metodio, p. 138, 1. 16): γ α λ ή ν η τ ω ν π α θ η μ ά τ ω ν ; cfr. anche la combinazione ζ ά λ η e γ α λ ή ν η in Sympo­sium, 11 (GCS, p. 139,1. 4s), e De resurrectione, 2, 25, 5 (GCS, p. 381, 1. 13): γ α λ ή ν η κ α ι ν η ν ε μ ί α κ α κ ώ ν . - Per l'ideale cristianizzato della γ α λ ή ν η spirituale, cfr. anche le annotazioni di ORIGENE all'inizio del sesto libro del suo commento al vangelo di Giovanni, ove egli narra delle tempeste di Alessandria che sconvolgono la sua stessa vita, e del suo sforzo di conservare la γ α λ ή ν η dell'anima (GCS ORIGENES I, p. 27, 1. 4). - Cfr. anche la sua ammonizione ai martiri, in Exhortatio mari., 31 (GCS ORIGENES I, p. 27, 1. 16).

41 De consoìatione Philosophiae, metrum 7 (CSEL 67, p. 19S). 42 PLAUTO, Asinaria, 134; Trucukntus, 568; - CATULLO, 25, I2s. -

O V I D I O , Tristia, 1, 11, 34. 43 FRONTONE, Epistolae (p. 18, 7 Naber). - Cfr. il frammento

di TEOGNIDE sul matrimonio come viaggio di mare, in CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 4, 2, 14 (GCS CLEMENTE II, p. 434, 1. ss). -O V I D I O , Ars Am., 2, 9s. - Anche PROPERZIO, Elegia 11, 5 rientra in questo ordine di idee.

IL MARE DEL MONDO 465

dice MENANDHO 44. Certamente dietro a tutte queste

immagini poetiche c'è un buon pezzo di manierismo ellenistico, ma proprio da ciò possiamo concludere quanto sia stata familiare anche al pensiero popola­resco il paragone mare=passione amara45. OVIDIO,

che a suo tempo con la sua Arte amatoria aveva voluto essere « l'Argonauta di Amor » 46, vede il mediterraneo invernale, sul quale egli viaggia andando in esilio, come simbolo della morte : « Quocumque adspexi nihil est nisi mortis imago »47. Così per gli uomini antichi il viaggio della vita termina nel « porto dell'Ade, che non si può placare con alcun sacrificio » 48, come dice SOFOCLE nell'Antigone, nel « porto della mor­te » 4S>.

Queste voci del simbolismo naturale antico deb­bono risuonarci nell'orecchio, se ora vogliamo valu­tare di quali fonti si pasce la simbolica cristiana del « mare della vita ». Avvalendosi dello stesso pensiero naturale, anche la Sacra Scrittura parla con elevata

« MENANDRO (?), Monostichoi, 231. 15 L'impiego dell'immagine si affievolisce naturalmente nella sem­

plice opposizione dolce-amaro (che certamente viene alimentata anche da altre rappresentazioni); ma dietro di essa c'è spesso il pen­siero dell'acqua marina amara mescolata soltanto qua e là con correnti dolci. Cfr. Thesaurus linguae latinae, 1 (1900) col. 1819, 1. 4iss. Qui sarebbe prezioso un più ampio studio della simbolica, che avrebbe importanza anche per le raffigurazioni cristiane, soprattutto per quella della « morte amara » e per quella del « dies illa magna et amara valde ».

« Ars arti., 1, 6-8. " Tristia, 1, 11, 23. Per il viaggio invernale atrtaverso il Mediter­

raneo, cfr. Tristia, 1, 11, 3-8. 18 Antigone, 1284: δυσκάθαρτος " Α ι δ ο υ λιμήν. 4 9 SENECA, De consol, 12, 9, 7. - Cfr. ENNIO, Fragm. 42 (VAHLEN) :

il sepolcro come « portus corporis ». - VIRGILIO, Eneide, 7, 596 : « an-nisque in limine portus». - Apocalisse di Baruch (GCS, p. 334): «La nave è vicina al porto, e la vita alla fine ».

466 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

bellezza di immagini del mare e del suo mormorio: il potere del Creatore sulla natura (Giobbe 9,8; 36,30; Sai 64,8; 88,10; 92,4 ecc.) e sui popoli pagani (Is 5,30), l'assalto dei nemici (Sai 45,3), l'urlare del popolo e delle orde guerriere (Ger 50,42; 51,55), l'infuriare degli empi (Is 57,20), il peso dell'amaro dolore (Tren 2,13), e la pena dei morti (Sai 68,3), il nulla della vita umana (Eccli 18,8; 40,11): tutto ciò viene veduto nell'immagine del mare. Il mare è il luogo nelle cui profondità vengono sepolti i peccati (Mieli 7,19), dal cui fondo sorge la belva nemica di Dio (Apoc 13,1), gli empi vengono paragonati ai suoi « flutti salati » (Giuda 13), anzi una volta viene data una esplicita spiegazione allegorica mare=popoli e pagani (Apoc 17,15). Questa massa di immagini marine bibliche ha certamente avuto un grande in­flusso nella forma di pensiero della teologia patristica. Tuttavia noi ci troviamo qui soltanto in mezzo ad una immaginosità molto semplice e naturale, in base alla quale non può essere spiegata la complessa e spes­so elucubrata simbolica dei Padri della Chiesa. Al contrario: anche qui accerteremo ciò che già abbiamo considerato come legge nello studio sul « Mysterium Lunae », e cioè che la tendenza simbolica dei Padri50, da spiegarsi in primo luogo sulla base del pensiero ellenistico, si serve abbondantemente anche di passi scritturistici e trova in essi un simbolismo più pro­fondo, quasi che esso fosse originariamente insito nella parola di Dio.

La simbolica patristica del « mare della vita » deriva dunque la sua forza in primo luogo dalla cerchia di

50 Cfr. sopra a p. is+s, 162S.

IL MARE DEL MONDO 467

rappresentazioni sopra delineate. Il « mare amaro e infido » è per essa, allo stesso modo che per gli antichi pagani, immagine sensibile della vita terrena con le sue passioni e la sua ordinazione alla morte. Noi pos­siamo osservare che proprio quei Padri, che debbono la loro formazione alla retorica ellenistica, si servono con preferenza di queste immagini. Già CLEMENTE ALESSANDRINO parla della ζάλη των επιθυμιών 5 1 e questa parola si richiama a SOFOCLE, dove Aiace si

vede circondato « dal rotante vortice dell'onda del­l'ira omicida »5 2. ORIGENE per primo, per quanto

possiamo vedere, ha coniato da ciò la parola classica della -8-λασσα τοϋ β ί ο υ 5 3 . Il « mare salato » è per lui immagine sensibile dei « flussi e del vortice di que­sta vita » 54. Poiché essa è « amara e incostante », un « elementum profundum et liquidum », e perciò im­magine della « amara et fluxa praesentium rerum vo-luptas »55. Proprio allo stesso modo anche per G R E ­GORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, nella sua fine oratoria e poetica

greca, il mare della vita è « infido e amaro »: το άλμυ-pòv καί ά σ τ α τ ο ν 5 β . E come rumoreggia questo

5 1 Paidagogos, 2, 2, 22 (GCS CLEMENTE, I, p. 169, 1. 22). 62 SOFOCLE, Aiace, 352: otov άρτι κϋμα φοινίας ύπο ζάλης

άμφίδρομον κυκλεΐται. 5 3 Homiliae in Jeremiam, 18, 5 (GCS OROGENE, III, p. 156, 1 22).

- Homiliae in Leviticum, 7, 7 (GCS VI, p. 391, 1. 27): «In mari vitae ».

M Homiliae in Josue, 19, 4 (GCS VII, p. 413, 1. 7-9): « Transire mare salsum vitae huius, undas et turbines superare et evadere omnia quae in hoc mundo prò incerto sui et lubrico marinis fluctibus com-parantur ».

S5 Homiliae in Exodum, 6, 3 (GCS VI, p. 195, 1. 12-14). «· Oratio 29, 9 (PG 35, 1240 A). - Cfr. anche Oratio 37, 1 (PG 36,

284 B) : έντοϊς άστάτοις καί άλμυροΐς τοϋ βίου κύμασιν, -Carmina, 2, ι, 73. ν. ι: vita come cattivo viaggio di mare verso il

468 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

greco « mare dell'amarezza » nelle belle immagini ma­rine delle OMELIE DI MACARIO

57 ! Senza dubbio questo topos appartiene alla tarda tradizione retorica della antichità. Quando il retore di Cartagine, CIPRIANO,

descrive la sua conversione, designa la sua vita mon­dana con le parole : « Cuna in salo iactantis saeculi mutabundus ac dubius vestigiis oberrantibus fluctua-rem vitae meae nescius » 58. Ed è latino retorico, quan­do AGOSTINO chiama il mare : « Profunde curiosum, procellose tumidum, instabiliter fluvidum »59, quando ne prende l'amarezza e la perfidia come immagine sensibile dell'umanità peccatrice, delle bramosie del­l'anima della perfidia, dell'infedeltà60. Ancora per CESARIO DI ARLES il mondo è un « pelagus luxuriae »61, un mare pieno di « amara salsedine »62. E ISIDORO fa derivare la parola mare da amarum63, tanto naturale è diventato ciò in base al pensiero trasmesso dall'an­tichità. Con ciò questa simbolica diventa corrente anche nel medioevo. Il mondo è un « mare amarum » 64.

sepolcro (PG 37, 1420). - 2, 1, 1, v. 21 (PG 37, 971 A ) : θ ή ρ ε ς κ α ι ά γ ρ ι ο ν ο ϊ δ μ α θ α λ ά σ σ η ς . Ciò ricorda il famoso coro di SOFOCLE, Antigone, 337.

57 Homilia 5, 6 (PG 34, 508 A) : π ι κ ρ ά θ ά λ α σ σ α . Lo stesso in Homilia 44, 6: PG 34, 781 D.

58 Ad Donatum, 3 (CSEL 3, 1, p. 5, 1. 1-4). *· Confessiones, 13, 20 (CSEL 33, p. 366, 1. i6s). •Q Ivi, 13, 20 (p. 367, 1. 7; p. 368, 1. 5). - Enarratio in Ps. 103,

sermo 4, 4 (PL 37; 1380 C ) . 1 1 Sermo 66, 1 ( M O R I N I, p . 270, 1. 17). >* Sermo 136, 5 ( M O R I N I, p . 538, 1. 28s): «Mare mundus iste

accipitur ... plenus amaritudine et salsugine». 63 EtymoL, 13, 14, 1 (PL 82, 483 C ) : «Proprie autem mare appel­

latimi eo quod aquae eius amarae sunt ». 6 1 Cfr. ad es. B. R A B A N O M A U R O , Commentarti in Matthaeum,

3, 4 (PL 107, 863 C D ) , e con le stesse parole R E M I G I O D I AUXERRE, Homil. 9 (PL 131, 914 D ) : «Mare allegorice est mundus amarus ». -

IL MARE DEL MONDO 4 6 9

2. IL MARE CATTIVO

La semplice vicinanza alla natura del linguaggio immaginoso antico e biblico, ο la tradizione retorica non possono essere da sole l'unica ragione della, co­stante caratteristica del simbolo cristiano « mare=mon-do cattivo ». No, limitarsi al mondo -d'idre sin qui descritto non basterebbe neppure per chiarire la sim­bolica dell'ambiente ellenistico pagano. Noi sentiamo già che anche l'antico orrore non cristiano dinanzi al temibile mare proviene da profondità religiose: ma ciò comporta per noi il dovere di interrogare all'uopo la demonologia ellenistica. Solo quando avremo fatto ciò, si potrà precisare su basi storiche il grande ambien­te culturale, da cui si formò la simbolica cristiana del mare cattivo; allo stesso tempo però ci sarà, così, la possibilità di valutare, se e in qual misura l'elabora­zione patristica di questa teologia in se stessa pura­mente biblica (mare=mondo) sia stata influenzata dal pio timore dinanzi al mare, che noi dobbiamo ora accettare nel pensiero e nelle preghiere della tarda antichità.

L'anticristiano CELSO nella Vera parola si faceva beffe della dottrina cristiana del diavolo e la denomi­nava, con concezione tipica del tardo stoicismo, un errore ateo, secondo cui essi (i cristiani) creano un avversario di Dio e lo chiamano diabolos ο in ebraico satan, secondo cui dunque l'altissimo Dio ha il suo

INNOCENZO III, Sermo 22 (PL 217, 555 C): « Sicut enim mare semper est turbulentum et amarum, ita saeculum in amaritudine semper et turbatione consistit ».

470 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

oppositore ed è impotente65. È da notare che Celso ritiene questo dogma dei cristiani come una copia caricaturale di antichi miti e all'uopo cita da FERE-

CIDE il mito della lotta tra Kronos e Ofioneo, la lotta dei Giganti contro Zeus e i miti egiziani della lite tra Tifone e Osiride66. Ora ciò è molto istruttivo per la demonologia marittima dell'antichità, che ci si presenta qui. Nella spiegazione dei miti della tarda grecità la rara duplice figura dell'avversario degli dei Ofione67, che nelle fonti appare sia come primo tra gli dei originari, sia però, poi, anche come uno dei Titani che combattono contro Zeus, è stata designata unanimemente come simbolo della potenza contra­ria agli dei, che prima del governo degli dei buoni ha dominato il mondo e si è sempre rizzato contro i Celesti. Egli è la personificazione del άτρύγετος πόντος, dell'infruttuoso flutto nero del mare, che all'inizio ha coperto il mondo, anzi è persino generato da quest'acqua e quindi è il signore originario del mondo ancor privo di dei. Questa dottrina" orfica, che fu trasmessa mediante Ferechide ai Pitagorici e in cui certamente si ritrovano anche rappresentazioni orientali semitiche, viene arricchita nel pensiero elle­nistico con speculazioni, che si rifanno al significato etimologico di «Ofioneo» q «Ofione»: egli e Γοφις, il serpente originario, che domina il mare del mondo. La sua figura di serpente quindi si collega più tardi

•5 ORIGENE, C. Celsum, 6, 42 (GCS ORIGENE, II, p. n o , 1. 20-

26). ·' Ivi, 6, 42 (II, p. i n , 1. 13-23). 17 Cfr. RE Vili (1939) col. 643-646 (E. W U S T ) . - EUSEBIO, Praep.

eu. I, io , 50 (PG 21, 88).

IL MARE DEL MONDO 471

con quella dell'avversario degli dei, Tufon-Seth 68. Che questo mito piacesse ad un cristiano del terzo secolo, lo vediamo nella replica che ORIGENE indirizza a Celso: al contrario, egli dice, il mito del serpente Ofione o, dominatore del mare, sarebbe soltanto una eco di ciò che la Sacra Scrittura, che è più antica di Ferecide, Eraclito e Omero, dice in Mosè a proposito ,del ser­pente. Ofioneo è per lui Γδφις del quarto capitolo-delia Genesi69, e contemporaneamente il diabolos .dèi libro di Giobbe, che per antichità supera anche Mose70. Origine si richiama inoltre esplicitamente all'ultimo capitolo del libro di Giobbe, ove Dio « parlò dal tem­porale e dalle nuvole, dicendo le parole che si rife­riscono al Drago » 71. Vedremo più in là quale grande importanza abbiano avuto per la formazione della simbolica marittima cristiana i capitoli 40 e 41 di Giobbe.

Ora però Celso riferisce espressamente, citando il frammento di Fericide, che Ofioneo sarebbe stato scagliato nel mare dopo la battaglia con Kronos: « Quello tra i due (contendenti), che è scaraventato nell'oceano, sarà il vinto, l'altro però, che ha abbat­tuto l'avversario e così vinto, possiede il cielo »72.

·· U. v. W I L A M O W I T Z , Der Glaube der Hellenen, Lipsia, 1931, v. 1, p. 266, nota 3. - K. KUSTER, Die Schlange in der griechischen Kunst una Religion, in Religionsgesch. Versuche und Vorarbeiten 13,2, Gicssen 1913·

M C. Celsum, 6, 43: (Π, p. 113, 1. 17-19). 7 0 Ivi, p . 114, 1. 1-3. 7 1 lui, 1. 9-12. 7 2 Ivi, 6, 42: p. i n , 1. 17-19. FEHECIDE qui chiama l'oceano

Ω γ η ν ό ς proprio come nell'altro frammento conservato da C L E ­MENTE ALESSANDRINO, Stromata, 6, 2, 9 (GCS CLEMENTE, II, ρ. 429,

1. 2). - Cfr. per ciò anche RJE XVII (1937) col. 2310 (F. GISINGBH).

472 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

La sede di Ofioneo nemico degli dei è dunque la pro­fondità del mare. La mitologia latina ha perciò senz'al­tro identificato Ofioneo con Oceanus73. Con ciò giun­giamo ad un ulteriore momento della demonologia marittima ellenistica74. Oceano e le figure a lui simili di Orco e Nettuno sono i dominatori del cupo flutto marino. Secondo IGINO, Crono ha affondato in mare Orco e Nettuno75. Oceano, il « Signore del mondo », « arbiter orbis » 7e, è per conseguenza bandito nel mare, e perciò il mare, quale elemento in qualche ihodo nemico degli dei, è il regno della morte e delle tene­bre 77. Un'apparizione in sogno di Oceano significa

73 Mythographi latini, i, 204. 7i II materiale mitografico completo su Oceano, in RE XVII

(i937) col. 2349-23131 (H. HERTER). 75 Fabulae, 139. - Per Oceano ( Ω γ ή ν ) come uno dei titani cfr.

anche ESCHILO, Prometeo, 289; 291. - O V I D I O , Fast., 5, 81. - R E VI A 2

(1937) col. 1507, 1. 64SS. 7 6 Anthologia latina ( R I E S E ) , 718. 77 Soltanto qualcosa del ricco materiale che si potrebbe citare.

La « casa di Oceano » ha il suo ingresso nell'estremo Occidente (= te­nebre): ESCHILO, Prometeo, 301 (cfr. per questo R E XVII, col. 2350, 1. 14-19). Su una tavola magica di Adrumeto, Oceano è ritratto in una navicella con la scritta: Oceanus Noctivagus; cfr. la riproduzione nella Revue Archéologique, 1902, p. 347, n. 55. Anche le maschere di Oceano così frequenti sui sarcofaghi portano questo carattere origi­nario ctonio, cfr. RE XVII, col. 2360. - Lo Stige, l'acqua stagnante dell'Ade, è un braccio laterale, ossia, in linguaggio mitologico, una figlia di Oceano. Cfr. ESIODO, Theog., 361. - VIRGILIO, Georgiche, 4, 480 ; Eneide, 6, 439. Ci sono « onde tenebrose », come poetava TIBULLO : « At scelerata iacet sedes in nocte profunda abdita quae circum flumina nigra sonant», Elegia 1, 3, 67S. Gfr. anche Elegia 3, 3, 32S. - Così il Tartarus diventa comunemente il « Regno delle tene­bre», la prigione dei Titani, che sta al di sotto del mare più basso, alle « radici del mare » (PLATONE, Fedro, 112 A) ; cfr. le pezze d'ap­poggio per il « nero Tartaro », in WASER, nel Mythol. Lexikon di ROSCHER, v. 5, col. 121, 1. 23S. Questa onda oscura, che bagna il Tar­taro (noi pure preghiamo ancora con queste antiche espressioni: ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum, ove absorbere significa

IL MARE DEL MONDO 473

la morte, dice ARTEMIDORO nelle Oneirokritika78. Lo oceano è dunque paragonato al mondo infernale e, quando Elios a sera si getta nel mare, si tratta di una discesa nel mondo inferiore, le cui porte si trovano nell'estremo occidente dell'oceano 79. Nel mito di Elios che fa il bagno nel mare, mito studiato a fondo da F.J. DÒLGER80, si muovono queste opposte coppie dualistiche: Elios-Oceano=Luce-tenebre, cielo-inferno, sole-mare, Dio-Demonio. Queste convinzioni si ri­trovano ancora dietro le forme della religiosità tardo-romana che vede il Sol invictus discendere ogni giorno nel mare del tenebroso mondo inferiore e al mattino (mane) lo saluta di nuovo come risorto dal regno dei « Mani » tenebrosi81. Oceano-Nettuno diventa sim­bolo dei flutti marini, delle « aquae mundi», come

« bere a sorsate, assorbire »), è l'opposto, dualisticamente pensato, della luminosa isola celeste dei beati: PLATONE, Gorgia, 23SS. - V I R ­GILIO, Eneide, 6, 54OSS. - Perciò l 'uomo avido di salvezza lascia dietro di sé i peccati bagnandosi in Oceano: O V I D I O , Metamorfosi, 13, 950SS. Ci sono però dei delitti che neanche l'acqua di Oceano può lavare: CATULLO, 88, 5S.

78 Oneirokritika, 2, 39. Cfr. anche 2, 34. - F. N I N C K , Philologns, Supplemento 16, 2, p. 47S.

'* ESCHILO, Frammento 192. - APULEIO, Met., 9, 22. - TEOCRITO,

2, 163. - Per la rappresentazione artistica della discesa di Helios in Oceano cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 345, fig. 5, e la compilazione completa in RE XVII, col. 2357, 1. siss. - La maschera di Oceano nelle catacombe di Callisto dovrebbe essere spiegata allo stesso modo che le maschere di Oceano dei sarcofaghi, la cui riprodu­zione è in J. WILPERT, Die Katakomben Roms, Friburgo 1903, parte illu­strata, tavola 134, 1; testo, p. 32. - Per l'allegoria di Oceano è im­portante il fatto che, sul dipinto descritto da Giovanni di Gaza, Oceano era ritratto come un mostro marino (cfr. RE XVII, col. 2357,. 1. 53ss). Cfr. per il tutto anche H. SCHMIDT, jona. Eine Untersuchung zur ver-gleichenden Religionsgeschichte, Gottinga 1907, p. 168-172: il viaggio del dio Sole nell'Ade.

80 Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 342SS; p. 357. 81 MACROBIO, Sat., 1, 13.

474 L 'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

informa ancora AGOSTINO 82. A lui sono destinati i

Neptunalia, nei quali si prega il tremendo mare di accordare un buon viaggio83. Contro questo timore pagano di fronte al mare, i Padri della Chiesa dovet­tero combattere una dura battaglia, come spiega AGO-snNO in un passo delle sue omelie sui salmi84, molto importante per la storia della religione: le statue di Nettuno sono il simbolo del mare a cui è stata rivolta la preghiera, e quando la tempesta percuote le assi della nave, si impreca contro l'immagine di Nettuno. Persino una predica ancor più tardiva, derivante, dall'ambiente di CESARIO D'ARLES, ammonirà seria­mente i cristiani contro questo devoto timore del mare85. Non c'è da meravigliarsi, allora, se anche soltanto in base a ciò il cristiano già vedeva il mare come sede dei demoni, come l'elemento consegnato al diavolo.

'· De civitate Dei, 7, 16 (CSEL 40, 1, p. 324, 1. 19). 83 Cfr. CICERONE, De natura deorum, 3, 51 : «Nostri quidem duces

mare ingredientes immolare hostiam fluctibus consuerunt ». - Cfr. RE 16 (1535) col. 2520, 1. 50ss. - Sui nettunali cfr. ivi, 252IS.

84 Enarrationes in Ps. 113, sermo 2, 3-5 (PL 37, 1483S). Sul parere dell'antichità colta, presentato qui da Agostino, secondo cui la statua di Nettuno sarebbe soltanto una rappresentazione simbolica dell'ele­mento del mare, cfr. anche ATANASIO, Vita Antonii, 76 (PG 26, 949B). Proprio per questo Agostino ammoniva i suoi cristiani di non pregare sul mare : « Non tunc exaudiri vos arbitremini quando super mare oratis, immo detestamini tales orationes » ; in Tractatus in Ioannem, 10, Ι (PL 35, 1467 B). È un parallelismo storico religioso con l ' ammo­nizione di Leone Magno ai cristiani, affinché si guardino dall'accogliere con i saluti abituali il « Sole invitto » : Homilia 27, in Nativitate Domini, 7, 4 (PL 54, p. 2i8s).

85 PS. -AGOSTINO, Homilia de sacrilegi;, 3 : « Si quis Neptunalia in mare observat. . . sciat se fidem et baptismum perdidisse ». - Cfr. R. BOESE, Superstitiones Arelatenses e Caesario collectae, Marburgo 1909, p . 76S.

IL MARE DEL MONDO 475

Queste nozioni debbono tuttavia essere ancora ap­profondite. Il mare amaro, di cui gli antichi e i Padri della Chiesa parlavano così volentieri, è in se stesso sin dall'origine in qualche modo avverso agli dei e perciò « cattivo ». CLEMENTE ALESSANDRINO

86 ci ha informato del mito pitagorico, che chiamava il mare un « pianto di Kronos » : lo ha desunto da PLUTARCO, e la stessa cosa ci fa sapere la vita di Pitagora di PORFIRIO

87. «La convinzione dei pitagorici, secondo cui il mare sarebbe un pianto di Kronos, sembra egualmente indi­care che il mare racchiude in sé qualcosa d'impuro, qualcosa che non dovrebbe essere », aggiunge PLU­TARCO; per questo i savi dell'Egitto non solo aborri­scono il mare e il sale e non parlano con i piloti, poiché questi viaggiano sul mare e derivano da esso il loro sostenimento, ma aborriscono anche i pesci e vedono in essi l'immagine dell'odio. Che siffatti miti fossero altamente vivi e che ricorressero facilmente nelle con­siderazioni sul mare nemico, sul mare « amaro », lo possiamo vedere ancora nella cosmogonia della gnosi valentiniana. Il mare è originato dalle lagrime della suprema emanazione opposta a dio, dal frutto nefasto della Sophia : « Expavit enim et extimuit et contri­stata est, et ex his passionibus concepit et edidit. Hinc fecit coelum et terram et mare et omnia quaecumque sunt in eis, ob quam causam omnia infirma esse et fragilia et caduca et mortalia, quaecumque sunt ab ipsa facta ... ex tristitia et lacrimis numida fontium,

"> Stromata, 5, 8, 50 (GCS CLEMENTE, II, p. 360, 1. 21). " PORFIRIO, Vita Pythagorae, 41. - PLUTARCO, De Iside et Osiride,

32. - Cfr. per il mito delle lagrime di Cronos, RE XI (1922) col. 1988, 1. 19-26.

476 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

fluminum materia marisque ». Così il racconto dello PS.-TERTULLIANO

88, il quale prende da IRENEO e dal Syntagtna di IPPOLITO. Il mare amaro di lagrime è dunque qui giustamente il simbolo di ciò che è lon­tano da Dio, del principio cattivo, del corruttibile e del votato alla morte, precisamente, della vita cor­porea terrena. Dal racconto di PLUTARCO sui miti di Tifone impariamo ancor di più. Se Osiride significa la frugifera acqua del Nilo e Iside la buona terra, ne segue che Tifone è la personificazione del male, ossia del mare, in cui il Nilo fluisce. L'amaro sale marino è « schiuma di Tifone »89. Questo tenebroso nemico del luminoso Oro e del buon Osiride diventa simbolo della potenza antiumana dei flutti marini, egli è il dio della tempesta mugghiente, che improvvisamente sbatte il mare (si pensi al « vento tifonico », che scon­quassò la nave di Paolo, in Atti 27,14); Tifone diventa l'incarnazione di ogni potenza avversaria degli dei,

88 PS.-TERTULLIANO, De haeret., 4 (PL 2, 69 A) . Cfr. IRENEO, Adversus haer., 1, 2, 3 (HARVEY I, p. i6s). - Di ciò fan parte anche le rimanenti mitologie del sistema gnostico a noi note, la cui cono­scenza è importante per giudicare la simbolica marina dei Padri della Chiesa (cfr. sotto, alla nota 119). Nel sistema degli Oriti, la parte antidivina dell'Essere si forma mettendo insieme gli elementi: equa, tenebrae, abyssus, chaos, come riferisce IRENEO, Adu. haer., 1, 30, 1 (HARVEY I, p. 227). Qui dunque Yabyssus di Gen 1,2 diventa il simbolo della massima distanza da Dio. I Setiani esprimono la loro dottrina dualistica, opponendo l 'Oscuro allo Pneuma-Luce, e lo descrivono così: «L'Oscuro poi è un'acqua terribile, ΰ 8 ω ρ φοβερόν», IPPOLITO, Elenchos, S, 19, 5 (GCS Ippolito, III, p. 117, 1. l i ) . È in questa «acqua oscura, terribile, amara e putrida », che discende la potenza redentrice.

- Cfr. H. JONAS, Gnosis una spà'tantiker Geist, Lipsia 1934, v. 1, p. 358SS. - RE XVIII (1939) col. 654-058 (G. BORNKAMM).

88 De Iside et Osiride, 32. - Per Tifone come simbolo dell'amaro mare cattivo e come « Nero », cfr. anche F. J. DÒLGER, Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze, Mtìnster 1918, p. 37; p. 65.

IL MARE DEL MONDO 477

raffigurata nel coccodrillo e nell'ippopotamo90, i due nemici dell'uomo che si agitano tra i flutti dell'acqua (anche ciò diventa importante per l'interpretazione cristiana dei due capitoli di Giobbe). Ed è un passo importante per la storia delle religioni, quello in cui Plutarco condensa il significato del mito di Tifone: « A Tifone bisogna ascrivere tutto ciò che in genere la natura contiene di rovinoso ed effimero » 91. Tifone, quale dominatore e simbolo del mare, quale misteriosa bestia marina, è il cattivo demonio.

Ora comprendiamo meglio ciò che Plutarco nei simposi fa raccontare dal suo ospite Lucio circa l'odio dei sapienti egiziani contro il mare : « Il mare è un elemento, che non ha alcun legame con noi, anzi è nemico della natura dell'uomo, addirittura il massimo nemico e avversario »92. Le antiche speculazioni in­torno all'origine dell'amarezza dell'acqua del mare93

racchiudono dunque un'interpretazione mitologica re­ligiosa. Questa si trasferisce anche agli animali sorti dall'acqua del mare : « essi sono stupidi e ciechi per la provvidenza, spinti, come in un inferno, nello spazio titanico abbandonato dagli dei, ove ragione e forza intellettiva sono completamente spente »9i. Tutte le cose che hanno rapporto di dipendenza con il mare

90 Cfr. RE A 2 (1923) col. 1900, 1. 24SS. 81 De Iside et Osiride, 45: παν δσον ή φύσις βλαβερον καΐ

φ-8-αρτικον ί-χει μόριον τοϋ Τυφώνός έστιν. Sulle tarde scritte dei templi egiziani, Tifone viene chiamato « Vigliacco, Ribelle, Sco­stumato»: RE II A 2, col. 1919, 1. 5s.

92 Quaestiones convivales, 8, 7. 1 3 Cfr. PS.-PLUTARCO, De placitis philos., 16: sull'origine e l'ama­

rezza del mare. - LUCREZIO, 5, 488S: « Tarn magis expressus salsus de corpore sudor augebat mare manando composque natanteis ».

94 De soltertia animalium, 34.

478 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sono in qualche modo demoniche e antidivine, poiché i demoni sono stati affondati dagli dei nelle profondità del Ponto, come dice Plutarco in una citazione da EMPEDOCLE : « La forza dell'Etere li persegue sino nelle profondità del Ponto »95. Sappiamo dall'apologia di APULEIO, precisamente dalle sue menzogne rivestite di belle parole, quale ruolo sostenessero l'amara acqua del mare e in genere le « res marinae »96 nell'antica magia e come il cavalcare il coccodrillo quale simbolo di ogni potenza tifonica del demonio rappresentasse il dominio del mago sul mare diabolico97. Per questo il pensiero antico dice a proposito di un uomo dal cuore duro, caduto sotto il dominio di una forza de­moniaca : « Ti ha generato il mare » 98. Qui si trovano

96 De Iside et Osiride, 29. 96 APULEIO, Apol., 32. - Incantesimo per impedire la tempesta ma­

rina quale effetto demoniaco, APULEIO, Metam., 1, 3 : « Magico susur-ramine mare pigrum colligari ». - Acqua amara di mare nell'incante­simo : grande papiro di incantesimi di Parigi, 223S. - Il mago può cal­mare il mare: PS.-IPPOCHATE, De morbo sacro, 1. - Tut to ciò che è con­tenuto nel mare, le res pelago quaesitae, le marinae illecebrae, sono adatte all'incantesimo: APULEIO, Apol., 30. - Cfr. A. ABT, Die Apologie des Apuleius von Madama una die antike Zauberei, Giessen 1908, p. 131.

97 Π cavalcare il coccodrillo, questo numero di effetto dell'antico mago, è il segno della dominazione su Tifone. Cfr. LUCIANO, Philo-pseudes, 34. - R. REITZENSTEIN, Hellenistische Wundererzàhlungen, Berlino 1906, p. 5, fig. 3. - A. ABT, Die Apologie des Apuleius, p. 53. -Sul cavalcare il coccodrillo presso i monaci cristiani, cfr. sotto, alla nota 112.

88 Ad imitazione del verso di OMEHO, Iliade, 16, 34: γ λ α υ κ ή δέ σε τ ί κ τ ε θ-άλασσα. Citato in PLUTARCO, De sollertia animalium, 34: « Anche O m e r o a proposito di un u o m o dal cuore duro e poco co­mitale, dice molto bene: ' ti creò il tenebroso flutto marino ', poiché il mare non genera alcuna bestia amichevole e dolce ». - Cfr. l'imita­zione in VIRGILIO, Eneide, 4, 366. - SILIO, Punica, 1, 638 (a proposito di Annibale): β Q u e m insana freta genuere». - CATULLO, 64, 155: « Q u o d mare conceptum spumantibus exspuit undis ?» - O V I D I O , Heroid., 38.

IL MARE DEL MONDO 479

le fonti della paura del mare cattivo, che è così diffusa ancora nell'epoca cristiana: il mare è la sede dei demoni, dei δαίμονες ένύδριοι" e degli «di aquatiles » 10°, che si possono bandire ο consultare con la magia idro-mantica. In piena epoca carolingia sarà necessario com­battere ancora contro di essa 101. Se si aggiunge ora anche tutto ciò che nella tarda antichità, che i Padri della Chiesa dovette affrontare, era comunemente co­nosciuto sulle relazioni di Osiride con il mare, su Venere come dea sbocciata dal mare, sui Tritoni come demoni marini, allora si comprende che già solo per questo i Padri vedevano il mare come la sede della potenza diabolica. Ciò è una eco delle rappresenta­zioni pie e della superstizione della fine della antichità. « Non habet unda deos », canta disperato PROPERZIO 102. La morte in mare è perciò infelice, e durante la tem­pesta marina la fervente preghiera dell'uomo antico si rivolge agli dei eterici, che abitano sopra le stelle 103.

·* Testimonianze per questo in A. ABT. Die Apologie àes Apuleìus, p. 183, nota 4.

100 Così vengono chiamati i demoni marini nelle iscrizioni latine: nel pensiero cristiano essi divengono poi degli spettri marini: cfr. RE XVI (1935) col. 2534S (S. WEINSTOCK) . - Cfr. più sotto, alla nota 166.

1 0 1 Cfr. RABANO M A U R O , De magicis artìbus: PL n o , 1098 A :

« Est enim hydromantia in aquae inspectione umbras daemonum evocare et imagmes ludificantes eorum videre ibique ab eis aliqua audire». Rabano ha preso ciò letteralmente da ISIDORO, Eiymoh, 7, 9, 12 (PL 82, 312 A) , e questi a sua volta da AGOSTINO, De civitate Dei» 7, 35 (CSEL 40, 1, p. 351, 1. 5-7) e da SERVIO, Aen., 3, 359. -A. ABT, Die Apologie des Apuleius, p. 171.

>" Elegia 3, 7, 18. 103 O V I D I O , Tristia, 1, n, 2 i s : « Ipse gubernator tollens ad sidera

palmas exposcit votis immemor artis opem ». ORAZIO, Ode 2, 16, 1-4. - PETRONIO, Satyricon, 99 : « Adoratis sideribus intro navigium ». -Cfr. anche la gradevole preghiera per la protezione contro il « mare

480 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Etere e fondo marino, cielo e inferno, dio e demonio: il fondamento religioso del timore del mare presso gli antichi si può riassumere in queste opposizioni dualistiche.

Ora sarebbe facile, ma anche erroneo, connettervi immediatamente l'esposizione della dottrina cristiana del mare come sede del diavolo. Ciò produrrebbe l'impressione così spesso provocata dalla scuola della storia delle religioni, secondo cui la demonologia cristiana sarebbe soltanto l'ultima, sebbene genuina eco della pietà ellenistica104. Qui, come in nessun altro posto, viene a proposito la chiara distinzione, che F. J. DÒLGER

105 già sottolinea in un altro contesto e che è stata dimostrata giusta da K. PRUMM nelle sue opere così ben documentate sulle fonti106 : la netta distinzione tra il convincimento dogmatico assodato biblicamente e tradizionalmente, e il rivestimento, condizionato dalla storia del tempo (qui dunque della

raccapricciante», personificazione del fato: Angiologia Latina (RJESE), 718, vv. 25-27:

« Da Pater ut tute liceat transmittere cursum perfer ad optatos securo in littore portus me comitesque meos ».

Anche GREGORIO DI NISSA ci ha dato un ragguaglio del come questa preghiera per il « buon viaggio » abbia preso l'aspetto cristiano : In Cantica Canticorum, Homilia 12 (PG 44, 1014). - Anche AGOSTINO, Sermo 75, 4 (PL 38, 476 A).

104 Sulla demonologia platonica e cristiana cfr. la confutazione di Apuleio fatta da AGOSTINO, De civitate Dei, 8, 15 (CSEL 40, 1, p. 369S); 9, 3 (p. 409S). Ulteriore bibliografia in A. A B T , Die Apo­logie des Apuleius, p. 178, nota 5. - J. TAMBURINO, De antiquorum daemonismo, Giessen 1909.

105 Sol Satutis, 1925, 2 ed., p. 354, nota 4. 10· Cfr. la sintesi della demonologia antica e cristiana secondo

le distinzioni essenziali: Religionsgeschichtliches Handbuch, R o m a 1954, p. 386-392.

IL MARE DEL MONDO 481

tarda antichità), che dai Padri viene posto attorno al nucleo cristiano con immagini e allegorie. Un esem­pio: nella dottrina dei demoni contenuta nella vita di Antonio scritta da ATANASIO, dottrina che poi è stata normativa durante vari secoli, incontriamo dei carat­teri cosi tipicamente « egizi » nella linea delle mito­logie suesposte, che sembrano senz'altro coprire il nucleo cristiano. Il diavolo vi appare nella forma del pauroso animale marino, descritto da Giob 40 e 41 107. Ma da quanto tempo e a quali condizioni la magnifica descrizione della natura che si trova in Giob viene applicata ai demoni? L'άρχων δαιμονίων di Antonio ha in ogni caso i tratti caratteristici di Tifone. E lo stesso Atanasio una volta presenta il suo monaco che parla esplicitamente di επίβουλου Τυφώνος 1 0 8, come pure di Poseidone quale incarnazione simbolica del mare. Si tratta di antica sapienza proveniente da Ales­sandria. Il mare è il περίπατος 1 0 9 del diabolico demone, egli sparge un terribile puzzo di pesci messi sotto sale 1 1 0: insomma, come vero Tifone, come domina­tore del mare salato avversario degli dei e degli empi pesci. Antonio possiede un potere mistico sui cocco­drilli l u , come viene narrato spesso anche di altri monaci 1 1 2 . In tutto ciò abbiamo dei rivestimenti della consapevolezza, in sé genuinamente cristiana, del do-

107 Vita Anlonii, 24 (PG 26, 877 C) . 108 Ivi, 75 (948 B). 108 ίυί, 24 (88o A) secondo Giob 41,24 LXX. 1 1 0 Ivi, 63 (933 A). 1 1 1 Ivi, 15 (865 C ) . 1 1 2 Cfr. la cavalcata del coccodrillo del monaco Eleno: R U F I N O ,

Hist. monachorum, 11 (PL 21, 430 B-D). - Vitae Patrum, 8, 59 (PL 73, 1 1 6 7 D ; 1168 A). - Potere sui coccodrilli: Vita Pachomii, 1, 19 (PL 73, 241 C D ) . - Vitae Patrum, 8, 150 (PL 73, 1215).

482 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

minio su satana che noi comprendiamo soltanto in base alla demonologia marittima ellenistica sudde-scritta 113. Ma il solo fatto che esse si formino e che poi abbiano potuto conservarsi così fortemente pre­suppone la presenza di un fondamento biblico-teologico della simbolica marittima, che risulta indipendente­mente e con grande chiarezza dai racconti evangelici, dal linguaggio immaginoso aramaico del Signore stesso e che da Paolo e da Giovanni venne elaborata nella vera teologia dell'opposizione tra « mondo » e regno di Dio, tra Cristo e Belial, tra il duce della vita e il dominatore della morte.

Cristo ha descritto la sua Chiesa come il regno della grazia restituita, come una realtà ancora minac­ciata in questo « mondo », in guerra con il diavolo. L'opposto della sua Chiesa fondata sulla roccia sono le «porte dell'inferno» (Mat 16,18). In un'altra serie di immagini egli stesso ha dato l'interpretazione au­tentica dell'allegoria: «Il campo è il mondo, il nemico che semina è il diavolo» (Mat 13,39.39). La stessa cosa vale per le sue parabole del mare. Se il regno di Dio è una « rete da pesca » (Mat 13,47), e gli apostoli sono «pescatori di uomini» (Mat 4,19: Mar 1,17), Cristo ha certamente pensato ο forse anche detto: « Il mare è il mondo ». Mondo inizialmente non an­cora in senso di nemico di Dio, ma solo come incar­nazione di tutti gli uomini, nei quali il Regno di Dio si deve attuare. Poi però con eguale certezza, già in Gesù, « mondo » nel senso del fatto che questa attua­zione si verifica soltanto combattendo contro la po­tenza nemica di Dio, la quale è all'opera nel mondo.

l l a Vitae Patrum (PL 73, 808 A; 1000 C; PL 74, 207 A).

IL MARE DEL MONDO 4 8 3

« Mondo » dunque, soprattutto nel senso classico del vangelo di Giovanni: come tenebre (Giov 1,5; 9,4.5; 12,46; iGiov 2,8 ecc.), come nullità (iGiov 2,17), come elemento che si trova ancora in possesso del demonio (Giov 12,31; iGiov 5,19), ma tuttavia già vinto (Giov 16,33; iGiov 5,4). Noi restiamo dunque nella concezione delle parabole del vangelo, se al posto del mondo mettiamo « mare » e vediamo il mare come elemento diabolico tenebroso, antidivino e pur sempre potente, come simbolo dei popoli che stanno ancora sotto il dominio della potenza cattiva. In tal senso l'Apocalisse ha inteso il mare, dai cui flutti emerge la grande prostituta (Apoc 17,1.15).

Possiamo ancor più approfondire tutto ciò: La Sacra Scrittura stessa ce ne dà il diritto. Uabyssus, la misteriosa profondità del mare, è il luogo, in cui i demoni sono stati relegati, come immagine della mas­sima lontananza da Dio. Abyssus dice il più delle volte la profondità abissale del mare, il « cuore del mare » (Sai 45,3), come risulta da una massa di testi (Giob 28,i4;38,i6; Sai 41,8; 77,15; 103,6; 105,9; Giov 2,6; Eccli 34,8;' Is 51,10): lo scrittore veterotestamentario pensa sempre all'abyssus del flutto originario (Gen 1,2). Ora i demoni pregano esplicitamente Cristo « di non ordinar loro di ritornare nell'abisso» (Le 8,31). Il grande « corruttore », il demone Apollion, viene su .dall'abisso (Apoc 9,11). Il diavolo stesso, la grande bestia, che conduce la guerra contro i santi, emerge dall'abisso (Apoc 11,7; 17,8).

E a queste immagini bibliche che si collega dunque la simbolica marina dei Padri, quando parla del mare tenebroso, lontano da Dio, come sede del diavolo

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e dei demoni. E qui si inserisce allora una elaborazione della simbolica, che attinge anche dal tesoro ellenistico sopra esposto e fornisce il quadro d'insieme dell'alle­goria patristica del cattivo diabolico mare, sul quale la nave della Chiesa veleggia verso il porto dell'eter­nità. Il mare è la sede dei demoni. L'abisso è il mare del mondo, l'oceano su cui la terra galleggia: « Abyssus circumdat universam terram quam dicunt Oceanum, » predica ai suoi monaci GEROLAMO

114. E già prima di lui ILARIO dice la stessa cosa: « Hanc (terram) enim infernae vastitudinis demersa et inmensa abyssus su-stentat »115. Il mare è l'avanzo di quell'abyssus che una volta copriva la terra ; TERTULLIANO

116 lo chiama tristis abyssus, e « triste » è questo mare in opposizione allo Spirito che volteggia su di esso 117. Molto impor­tante è ciò che AMBROGIO nota nella sua esegesi sulla opera dei sei giorni. Egli parla del vortice abissale

114 Tractatus in Psalmum 103 ( M O R I N , p. 163, 1. 30s). - Per queste rappresentazioni geografico-mitologiche di Oceano quale mare che bagna il mondo e quale portatore della terra cfr. RE XVII (1937) col. 2308-2389 (F. GISINGER). - CASSIODORO dice la stessa cosa nel suo Comm. in Ps. 134, 6 (PL 70, 963 B) . - Che questa opinione sia stata anche più tardi una questione disputata, lo dimostra ARNOBIO JUNIOR, Comment. in Ps. 103 (PL 53, 475 D) .

115 Tractatus in Psalmum 2, 32 (CSEL 22, p. 61, I. 13S). l l e De baptismo, 3 (CSEL 20, p. 203, 1. 2). 117 Adversus Hermogenem, 32 (PL 2, 227S). Nella sua opera De

anima, SS (CSEL 20, p. 387,1. 22-27), Tertulliano comunque si difende dall'accusa di cercare il regno dei morti negli abissi sotterranei del­l'acqua, e chiama questo abisso sotterraneo dell'acqua mundi sentina: la « feccia della nave del mondo », così si potrebbe tradurre meglio questa espressione. Tertulliano preferisce vedere il regno dei morti piuttosto nella fossa terrae quale « abisso profondamente nascosto nelle viscere della terra » ; certamente egli vi è spinto dal fatto che anche nel linguaggio della Scrittura spesso abyssus significa la stessa cosa di cor terrae (Sai 70,20; Mat 12,40; R o m 10,7; Ap. 9,2).

IL MARE DEL MONDO 485

che copriva tutta la terra, del « mare minaccioso », dell'abisso tenebroso. Quindi dice: «Non enim malas intelligendas arbitror potestates, quod Dominus earum malitiam creaverit, cum utique non substantialis, sed accidens sit malitia quae a naturae bonitate deflexe-rit»118. Qui è chiaro che nella rappresentazione del tenebroso mare primitivo egli e i suoi fedeli, senza volerlo, hanno in mente la simbolica delle forze anti­divine dei demoni, una simbolica, che egli non re­spinge, ma che vuole soltanto proteggere contro il dualismo manicheo non cristiano119. Per AGOSTINO,

l'abisso è di fatto l'incarnazione della sfera di potere lasciata al diavolo e ai demoni dopo la loro caduta, ossia la profondità del mare e le regioni delle tenebre aeree120. Per lui abisso è la « profunditas aquarum

118 Hexaemeron, i, 8, 28 (CSEL 32, 1, p. 27, 1. 4; 1. iós; 1. 27ss). 119 Ambrogio attinge qui in primo luogo da Basilio, il quale

si oppone direttamente al pericolo di un'antica concezione dualistica dell'abisso tenebroso: Hexaemeron, Homilia 2, 4 (PG 29, 36ss). L'abys-sus non è qualcosa come la « personificazione di tutte le potenze av­verse» (37 B), ma soltanto il semplice flutto tenebroso che ricopre tutta la terra (37 A). Ogni applicazione alle potenze demoniache sarebbe gnostica e manichea (36 D), perciò bisognerebbe abbandonare qualsiasi allegoria del mare tenebroso dell'abisso (40 C). - Di qui si vede quanto questa simbolica fosse viva in Occidente e in Oriente ancora alla fin del quarto secolo, non soltanto come eco della gnosi, ma in virtù delle concezioni~che sono state esposte più sopra. Cfr. per questo anche ARNOBIO JUNIOR, Comment. in Ps. 103 (PL 53, 477 D): « Notandum tamen quia Deo dicitur: illic draco quem formasti, quia Manichaei dicunt principem tenebrarum a se habere principium ».

120 Enarrationes in Psalmum 1481 9 (PL 37, 1943). - Nel loro in­sieme quale contrapposto della beata regione dello spirito, l'« oscuro regno dell'aria » e il « tenebroso flutto marino » appartengono allo stesso complesso e sono come un unico abisso. Cfr. per questo AGO­STINO, De Genesi ad Iitteram, 3, 10 ^CSEL 28, p. 73, 1. 12-19); 11, 26 (CSEL 28, p. 359,1. 11-14); Epist. 102, 20 (CSEL 34, p. 562,1. 14-16); Sermo 112 (PL 38, 1091): qui si dice esplicitamente che le nebbie si

486 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

impenetrabilis »121 (Isidoro ripete questa definizio-na122), è il simbolo più appropriato della potenza infernale, che fu scaraventata in queste profondità: ma con ciò è anche il simbolo degli uomini, che me­diante i peccati si danno nelle mani del diavolo : « Abys-sum dicit profunditatem peccatorum, per iudicium Dei fiunt in profundo, merguntur in ultima »123. La Città di Dio esprime profondamente questo pen­siero, e nello stesso tempo anche l'ondeggiare, per così dire, della simbolica: l'abisso è sia il luogo fisico, in cui sono stati confinati i demoni, come pure il sim­bolo spirituale della profondità della lontananza da Dio, in cui si vede sprofondato il « mare abissale degli uomini cattivi »124. Il pensiero secondo cui il mare sarebbe il luogo della pena del diavolo, è tuttavia molto più antico. Già ORIGENE lo ha espresso chiaramente: « Il diavolo viene relegato nell'abisso, nel mare, come luogo di pena a lui appropriato »12S. Egualmente TER­

TULLIANO 126. Ancora in Gregorio Magno il mare è

la profondità della morte eterna, « aeternae mortis profunda »127, e nello stesso tempo simbolo delle pro­fondità del cuore umano, che è inabissato nella lon-

formano in questo regno demoniaco dell'aria : « Ubi nebula conglo­b a t a »; cfr. il demonio come nebulo (sotto, alla nota 173) e la β nebbia demoniaca» (nota 172). - Anche GKEGORIO M A G N O parla perciò di un «affondamento» del diavolo nell'aria: «In hoc caliginoso aere demersi»: Mot alia, 4, 6 (PL 75, 643 B).

121 Enarrationes in Psalmum 41 , 13 (PL 36, p. 473 B ) ; 41 , 14 (p. 478 B C ) ; 105, 9 (PL 37, 1410D).

122 Etymol., 13, 20, 1 (PL 82, p. 489 AB). 123 Enarrationes in Psalmum 35, io (PL 36, p. 384 D; 349 B). 1 2 4 De civitate Dei, 20, 7 (CSEL 40, 2, p. 442, 1. 3-8). 125 Comment. in Matthaeum, 16, 26 (GCS Origene, X, p. 563,

1. 24-26). 126 Adversus Marcionem, 4, 20 (CSEL 47, p. 485, 1. 27). 1 2 ' Homilia 11, 4 (PL 76, 1116B).

IL MARE DEL MONDO 487

tananza peccaminosa da Dio, la « profondità oscura dell'abisso, che è il genere umano »128. L'amarezza di questo oscuro fondo dell'acqua è il simbolo dei popoli lontani da Dio, dei cuori, che si sono votati al mondo diabolico129. In auesto abisso abita Satana, il Ser-pente 130. Ora diventa comprensibile in forza di quali concezioni fondamentali la simbolica del mare abbia potuto progredire e rafforzarsi con espressioni bibliche, nelle quali il sacro testo, preso in se stesso, non voleva in alcun modo enunciare simili pensieri. Qui bisogna ora appurare cosa ha letto l'allegoria patristica nelle due bestie acquatiche di Giob 40 e 41, poiché questo complesso di idee è divenuto importante per la nostra allegoria della nave della Chiesa. Behemoth e Leviathan sono, sin dagli inizi dell'esegesi, immagini del diavolo: è degna di nota, a questo proposito, la protesta che CMSOSTOMO presenta contro la spiegazione allegorica di questo capitolo di Giobbe m . AGOSTINO, al contrario, quale erede e ad un tempo quale trasmettitore del­l'esegesi allegorica, che attraverso Ambrogio risale a Filone e a Origene, dice che il « santo Giobbe ha par­lato con parole mistiche e profondamente misteriose» del diavolo, del « re di tutte le cose che si trovano nell'acqua »132, significato sotto le immagini di Be­hemoth e di Leviathan, a ciò si aggiungono le espres­sioni scritturistiche sul drago nei flutti del mare (Sai 73,13; 103,26; 148,7), la cui applicazione al diavolo

128 Moralia, 33, 9 (PL 76, 682 D). »» Moralia, 29, 15 (PL,76, 491D; 492 AB); 28, 19 (476S). »· Moralia, 18, 42 (PL 76, 77 AB). , a l Fragmentum in Job 41, io (PG 64, 653 B). 132 Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 9 (PL 37, 1384 D):

« Et ipse lex omnium quae in aquis sunt », una citazione da Giob 41,25 secondo i LXX e l'Itala.

488 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

fu ad ogni modo facilitata per via del drago nominato nell'Apocalisse (Apoc 12, 3.4.7.9; 13,4), che viene espressamente identificato (Apoc 20,2) con l'antico serpente, il diavolo e Satana.

Il diavolo è in un primo momento il mostro marino, che si chiama Leviathan e che nell'allegoria patristica viene indicato come cetus, come il mostruoso « ce­taceo » così singolare anche per l'antichità 133. La Vol­gata legge in Giob 3,8 Leviathan, mentre i LXX hanno μέγα χήτος 1 3 4 . Dunque, ciò che nel capitolo conclu­sivo di Giobbe viene detto del Leviathan, va inteso della balena come simbolo di Satana. Questa è già tradizione affermata presso ORIGENE135: anch'egli nelle sue omelie sulla Genesi affronta gli stessi problemi che si ritrovano più tardi in Basilio e Ambrogio. Che Dio abbia creato a fianco alle creature buone anche quelle « cattive », ossia la balena e i serpenti marini,

133 Cetus è espressione comune per indicare « pesce gigantesco » è può significare un grande delfino, pescecane ο balena. Cetus quale accompagnatore dei demoni marini: VIRGILIO, Eneide, 5, 822. -DRACONZIO, Romulea, 7, 148. - Cfr. anche P L I N I O , Nat. Hist., 36, 4, 13. - I Padri della Chiesa raccontano ciò che nelle antiche fonti c'era di meraviglioso sulla balena: Cfr. BASILIO, Hexaemeron, 7, 4 (PG 29, p. 156 B C ) ; AMBROGIO, Hexaemeron, 5, io , 28 (CSEL 32, 1, p. 162, 1. 4-14); 5, 11, 32 (CSEL 32, 1, p. 166, 1. 15-19). - La balena, balaena britannica, è simbolo del gigantesco, in opposizione all'ele­gante delfino: cfr. GIOVENALE, Satir., io , 14. È possibile però che il cetus sia stato sentito anche come simbolo dell'opposto del «nostro delfino», Cristo; cfr. CLAVIS MELITONIS, Spicilegimn Solesmense, Pa­rigi 1855, v. 3, p. 519, 535, 558. - PAOLINO DA N O L A , Epistola 20, 6 (CSEL 29, p. 147, 1. 21); 20, 7 (p. 148, 1. 9).

1 3 4 Appoggiato da Is 27,1 L X X : δ ρ ά κ ω ν δ φ ι ς , che la Volgata traduce con Leviathan; cfr. GEROLAMO, Comm. in Isaiam, 8 sul 27,1 (PL 24, 306 A) e Comment. in Amos, 3, 9 (PL 25, 1088 A).

1 3 5 Homil. in Genesim, 1, i o (GCS ORIGENE, VI, p. 11, 1. 17 sino a p. 12, 1. io) .

IL MARE DEL MONDO 489

è per lui un misterioso indizio che proprio Dio abbia voluto permettere l'esistenza di Satana e dei demoni come prova per i cristiani : come « amarezza » da cui deriva, attraverso la vittoria ascetica, la dolcezza. È fuori questione che qui la « grande balena » è il sim­bolo del diavolo, ed è tipico per questa esegesi corren­te ormai, che vengano citati anche Sai. 103,26 e i capitoli di Giobbe. ORIGENE dà lo stesso significato anche ad altri passi136. Quanto questo risultasse com­prensibile ai cristiani egiziani, è chiaro dalle direttive per la preghiera, date da Origene 137 : bisogna pregare spesso per essere liberati dalle fauci della « balena » come Giona: una preghiera veramente primitiva del cristianesimo, come ci mostra la nota preghiera con­tenuta nelle Orationes pseudociprianiche ; una preghiera così comprensibile, quando è messa in rapporto con le care raffigurazioni popolari del mostro giovanneo: « Eicias me de morte ad vitam »138. DIDIMO ha dato questa interpretazione alessandrina a Giob 3,8: me­diante la discesa del Dio fatto uomo è stato vinto il diavolo quale mostro di questo mare del mon-

131 Homil. in Levit., 8, 3 (VI, p. 397, 1. 23 sino a p. 398, 1. 2): « Dominus qui interfecturus erat cetum istum diabolum ». - Comment. in ep. ad Romano:, 5, io (FG 14, 1051 A): Cetus è qui il simbolo della morte e del diavolo, ma Cristo discese in lacum (Sai 27,1) e in cotrup-tionem (Sai 29,10), per sconfiggere il grande pesce diabolico. - A pro­posito di ciò è interessante quel che hanno riferito CELSO e ORIGENE a proposito del « serpente che circonda il mondo » secondo il diagram­ma degli gnostici Ofiti; questo simbolo di Oceano e di Caos da essi era chiamato « Leviathan » :cfr. Contra Cehum, 6, 25 (GCS ORIGENE, II, p. 95, 1. 3-17). - RE XVIII (1939) col. 657, 1- 42ss. - Cfr. anche quanto riferisce IPPOLITO, Elenchos, 5, 19 (GCS IPPOLITO, III, p. 120, 1. 14), ove questo serpente viene chiamato «primogenito dell'acqua».

137 De oratione, 13, 4 (GCS ORIGENE, II, p. 329, 1. 1-11). 138 PS.-CIPRIANO, Oratio 2 (CSEL 3, 3, p. 147, 1. ios).

490 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

do 139. AMBROGIO gli fa eco: « Nam feralem illum ce-tum, diabolicum scilicet, ultimis temporibus venerabili corporis sui passione prostratum perculit et afflixit » 140. Neppure GEROLAMO fa eccezione. Proprio nella sua spiegazione allegorica i simboli animali del diavolo quale mostro marino sono adunati insieme: « Qui draco proprie in hebraico sermone appellatur Levia­than. Ipse est cetus magnus, de quo, quod a Christo capiendus sit, mystico in Job sermone narratur: qui magnum cetum capturus est». Questo è, così egli continua, Satana, l'« aspis », il « draco in mare : quem Dominus interficiet spiritu oris sui habitatorem quon­dam maris, falsorum et amarorum fluctuum »141. Tale esegesi doveva imporsi e GREGORIO MAGNO l'ha resa indimenticabile per tutto il medioevo con i suoi Moralia su Giobbe: «Diabolus est vitam votans ce­tus »142, Ciò viene espresso convenientemente anche nella Vita del monaco egiziano Ammuno, che so­stiene una battaglia con il drago e scongiura la belva

"· Fragm. in Job (PG 39, 1129D). 140 De fide ad Gratianum, 5, 2, 3 (PL i6, 655 C). - Cfr. anche

Commetti, in evangelium Lucae, 4, 40 (CSEL 32, 4, p. 159, 1. 10-16): le parole di Giobbe sono una profezia « eo quod diabolum tamquam procellosi saeculi istius cetum Dominus Noster Iesus Christus oppres-sit... ergo in tentatione sanctus Job mysteria loquebatur, qui enim vincèbat saeculum, Christum videbat ».

141 Comment. in Isaiam, 8 sul 27,1 (PL 24, 306 AB; 307 B). 142 Moralia, 33, 9 (PL 70, 682 D). - Moralia, 8, 23 (PL 75, 824 BC,

825 B). - Moralia, 34, 18 (PL 76, 737 AB). - Cfr. per ciò PS.-GERO-LAMO, Comment. in Job, 40 (PL 26, 786 D) : Leviathan est diabolus in aquis. - AGOSTINO, Enarrationes in Psatmum 68, sermo 6 (PL 36, 846 AB) ; Enarrationes in Psalmum 73, 14 (PL 36, 938s). - RABANO MAURO, AUegoriae (PL 112, 893 C; 895 A). - RUPERTO DI DEUTZ, Comment. in Ioannem (PL 168, 1184S; 119»). - INNOCENZO ΙΠ, Sermo 29: PL 217, 588 A-C.

IL MARE DEL MONDO 491

con le parole: «Perimat te Christus filius Dei qui perempturus est cetum magnum»143!

Immediatamente congiunta a tutto ciò va vista inoltre la simbolica del diavolo come « drago del ma­re », che Dio fa abitare nell'abisso del mare (Sai 148,7), per «giocare» con esso (Sai 123,26; Giob 40,24), per ucciderlo nell'acqua (Sai 73,14). L'allegoria pa­tristica ha continuamente letto in queste frasi profondi misteri della volontà salvifica di Dio e tutto diviene comprensibile solo se si accetta l'idea fondamentale del diavolo quale bestia nel mare del mondo. Nel pensiero antico, il « drago » è un mostro, che vive nell'acqua, un grande pesce velenoso, una specie di serpente marino 144. Mediante l'identificazione con il serpente del Paradiso terrestre e quindi con Satana (Apoc 20,1), queste rappresentazioni poterono essere applicate al diavolo. Lo fa già TERTULLIANO

145, come pure ORIGENE

146. Questo mostro marino è dunque il vero nemico della Chiesa, che come una buona nave veleggia sul mare di questo mondo. AGOSTINO

predica perciò: «Magnum secretum et tamen quod nostis, dicturus sum: nostis inimicum Ecclesiae quen-dam draconem »147. E cioè, così egli continua, il dia­volo, F« antico serpente », che giace insidioso ed astuto

113 RUFINO, Hist. monadi., 8: (PL 21, 421 D). 144 Cfr. PLINIO, Nat. hist., 9, 82; 26, 31. - Parimenti, riferisce

le opinioni del suo tempo AGOSTINO, Enarrationes in Psflmum 148, 9 (PL 37, 1943 C). - PHIMASIO, Commetti, in ApocaL, 3 (PL 69, 862 C). -ISIDORO, Etymol., 12, 6, 42 (PL 82, 455 B). - Cfr. anche Dictionnaire d'Archéol. chrét. et de Liturgie, Parigi 1921, v. 4, col. 1537-40.

145 Aiversus Marcionem, 4, 24 (CSEL 47, p. 502, 1. 20). 14i Homil. in Exodum, 4, 1 (GCS ORIGENE, VI, p. 171, 1. i8s). 14' Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 6 (PL 37, 1381 B).

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in questo mare del mondo. Il mare è la sua sede: « Ao cepit locum quendam suum in hoc mari magno et spatioso ». « Calpestare la sua testa » è per Agostino lo stesso che « il viaggiare sicuro sul mare », in cui abita il decaduto principe dei demoni148. Anche a Gerusalemme i candidati al battesimo di CIRILLO lo sapevano : « Il drago però abitava, come sappiamo da Giobbe, nell'acqua »lia. La stessa cosa è confidata ai monaci di GEROLAMO, quando lo zelante predicatore penitenziale li apostrofa così: «Anche tu una volta eri un drago e tenebre erano sul tuo abisso, tu eri un drago, tu eri un figlio delle tenebre »150. È molto ricco di conseguenze ciò che Gerolamo nota circa l'esegesi dei Giudei ai «passi del drago» contenuti nei Salmi: anch'essi sostenevano che un drago abita nel mare, ossia nell'Oceano, e che esso si manifesta alla fine del giorno, quando il mare mugghia. Non così l'esposizione cristiana: per essa il drago nel mare è un simbolo del diavolo nel mondo1B1.

Quando ora vien detto che il capo di questo drago è stato fracassato nel mare (Sai 73,14) e quando in Giobbe (40,20) sta scritto che solo Dio può estrarre con un amo il Leviathan dalla profondità, abbiamo qui le radici di due aspetti di questa esegesi del « diavolo nel mare», che dobbiamo ancora delineare breve-

148 Ivi, 4, 7-9: (1382S). "· Catech., 3, 11 (PG 33, 441 AB). l t 0 Tractatus in Psalmum 148 (Morin, p. 310, 1. 7-11). - Ivi, 1. I2s:

< Licet in hebraeo non habet dracones sed habeat Thanninim, quod interpretatur cete. Dicitur autem cetus infinitae esse magnitudini;. Denique ipse cetus in abyssis esse dicitur ».

151 Tractatus in Psalmum 103 (MORIN, p. 167, 1. 18-22). - AM­BROGIO, Epistola 1, 30, 11 (PL 16, 1064 B). - CESARIO, Sermo 136, 5 (MORIN, I, p. 539, 1. 8s).

IL MARE DEL MONDO 493

mente. Abbiamo già visto come l'esegesi alessandrina veda la vittoria su Satana data con l'incarnazione e la passione. Ciò diventa ora plastico mediante una rap­presentazione primitiva, che è restata viva sino nel cuore del medioevo: Cristo si calò nella profondità del mare diabolico come l'uncino di un amo, nella sua forma visibile di uomo, non riconoscibile quale Dio dal dominatore di questo mare, dal grande mostro marino. La sua natura umana era simile all'esca, che Satana cercava di afferrare ed alla quale egli stesso fu preso, per cui da quel tempo è impotente. Questa di­scesa di Cristo nella « amarezza » del terrestre 1S2 (un perfetto parallelo alle allegorie della discesa contenute nel canto della redenzione degli Atti di Tommaso, e alla discesa nell'« Egitto terreno, oscuro, occidenta­le ») 153 era così familiare agli antichi cristiani, che possiamo limitarci a poche prove. AMBROGIO la fa cantare ai suoi fedeli154, RUFINO l'aveva appresa dalle prediche di GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ e cosìl a predicava ai catecumeni: « Sicut piscis... de profondo educitur, ita et qui habebat mortis imperium, rapuit quidem in morte corpus Iesu non sentiens in eo hamum divi-nitatis inclusum; sed ubi devoraverit, haesit ipse con­tinuo et disruptis inferni claustris velut de profondo extractus trahitur, ut esca ceteris fiat »15e. Attraverso

152 AMBROGIO, De instit. virginis, 5, 34 (PL 16, 314 A). 153 Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 22OSS. 154 Hymnus 12,7. Analecta hymnka 50 (1907) p. 16: « H a m u m

sibi mors devoret ». 16S Oratio 39, 13 (PG 36, 349 AB). Traduzione di R O T I N O (CSEL

46, p. 124, 1· I4s). 15 · Explan. symboli, 16 (PL 21, 354 D ) . A ciò era favorevole la

traduzione dell'Itala di Ez 32,3 : « Extraham te in hamo meo » (Volg. :

494 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

lo sviluppo che GREGORIO MAGNO diede all'imma­gine 157, designando la genealogia degli antenati di Gesù come « lenza dell'amo », anche il medioevo 158

ha compreso questa simbolica secondo il paragone « mare=mondo amaro-diabolico »: lo dimostra YHortus deliciamm di ERRATO.

L'altra allegoria, che fu elaborata nel suddetto con­testo, è la simbolica della vittoria sul drago nella tra­versata del Mar Rosso: In bel modo questa teologia marittima dei Padri abbraccia ora tutte le espressioni della Sacra Scrittura riguardanti l'evento storico sal­vifico del passaggio degli Israeliti attraverso il Mar Rosso, e le mette in rapporto con la simbolica del mare come elemento diabolico (Gios 24,7; Sai 77,13; 113,3; 105,7,9; 135,13; Sap 10,18.19; 19,7; Is 43,i6; iCor 10,1.2). Ciò fu basato sulle parole di Ez 29,3 e 32,2, in cui Dio ordina di parlare al Faraone d'Egitto come al « grande dragone, che giace tra le correnti », come al « drago nel mare ». Con ciò il re d'Egitto diventa l'immagine del diavolo, poiché egli è « tenebroso » e « abita nell'acqua ». Per ORIGENE ciò ha già un signi-

« In sagena mea »). - FIRMICO MATERNO, De err. prof, rei, 21, 2 (CSEL 2, p. n o , 1. ios) : « Nequissimus hostis generis humani est tortuosus draco qui hamo ducitur ». - GAUDENZIO, Sermo 5 (PL 20, 875 C) .

157 MoraUa, 33, η (PL 76, 680 B C ) . - Moralia, 33, 9 (682 D; 683 A).

1 5 3 ISIDORO, De ecdesiasticis officiti, 1, 30, 2 (PL 83, 765 A). -Sentent., 1, 14 (PL 83, 567 C). - O N O R I O D I AUGUSTA, Speculimi Eccle-siae (PL 172, 906 AB) : « Per mare hoc saeculum insinuatur, quod voluminibus adversitatum iugiter elevatur. In hoc diabolus circum-natat ut Leviathan ». Cristo lo ha estratto con la lenza della sua genea­logia umana. La stessa cosa in PL 172, 1002 D ; 937 B C . - ERRATO trasse da Onorio i suoi pensieri per i testi e le immagini deWHortus deliciarum. - HERMANN VON PVEICHENAU, Leviathan perforans maxillam hamo, in Analecta hymnica 50 (1907) p. 312.

IL MARE DEL MONDO 495

ficato del tutto ovvio 159. Il Faraone, che avversa il popolo di Dio e muore nell'acqua, è il diavolo affon­dato nel mare 160. E dal momento che già per FILO­

NE 161 il transito del Mar Rosso significa un « passag­gio dalla passione all'ascesi », si spiega come mai AM­BROGIO, si faccia eco della figurazione del diavolo come signore del mare ivi contenuta, trasformandola cri­stianamente e applicandola a Satana, che regna sul mare di questo mondo e che tuttavia proprio in esso sarà anche distrutto 162. Anche questa allegoria è re­stata viva a lungo163. Con ciò abbiamo spiegato la simbolica cristiana e tuttavia adornata con tutti i co­lori del pensiero della tarda antichità, a partire dalla quale ILARIO potè scrivere : « In his enim quae in ma­ri repunt ea quae in infernis degunt docentur, cum profundum maris sedem intelligamus inferni » 164.

A questo punto siamo finalmente in grado di va­gliare con mano sicura l'intrigata massa di testimo­nianze patristiche riguardanti l'applicazione teologica e ascetica dell'allegoria del mare. Essa verrà delineata

"· Homiliae in Exodum, 4, 1 (GCS ORIGENE, VI, p. 171, 1. i8s); 5, 5 (p· 190, 1. 11-20).

180 Cfr. per questo F. J. DOLGER, Das Durchzug durai das Rote Meer als Sinnbild der chrisilichen Taufe, in Antike und Christentum 2 (1930) p. 63-69. IDEM, Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze, Miinster 1918, p. 53S. - J. DANIÉLOU, Saaamentum Futuri, Parigi 1950, p. 152-176.

181 De sacrificiis Abelis et Caini (I, p. 227, 1. 16 C O H N ) . - Altri testi probativi di Filone sono indicati da F. J. DOLGER, in Antike und Christentum 2 (1930) p. 67.

1 , 1 Hexameron, 1, 4, 14 (CSEL 32, 1, p. 12, 1. 15-21). 163 ILARIO, Tractatus in Psalmum 134, 19 (CSEL 22, ρ. 706, 1. 12-

15). - ZENONE, Tractatus 54 (PL 11, 510 A). - PS.-PROSPERO, De pro­miss, et praed. Dei, 1, 38 (PL 51, 746S). - ISIDORO, Allegoriae (PL 83, 108 B ) . - R U P E R T O D I D E U T Z , In Exodum, 2, 29 (PL 167, 637 B) .

l e a Tractatus in Psalmum 68, 28 (CSEL 22, p. 337, 1. 3-6).

496 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

almeno nelle linee maestre, poiché solo quando udiamo il « mare cattivo » dell'antichità cristiana rumoreggiare sino ai suoi ultimi e quasi impercettibili batter d'onda, possiamo comprendere quale profonda importanza ab­bia acquistato la simbolica della fortunata nave della Chiesa e del « piccolo legno » della croce.

Poiché il mare è la sede della potenza diabolica, in senso fisico come in senso traslato simbolico, i vor­tici e le rumorose tempeste, che minacciano la nave, sono opera del diavolo e dei demoni. Questo duplice senso viene espresso già in una lettera di GEROLAMO.

Egli aspira alla solitudine del deserto, vuole fuggire le tempeste del mare dell'esistenza, ma, tra lui e il beato « porto della solitudine », c'è la pericolosa tra­versata sul mare che obbedisce al diavolo : « Diabolus maria undique circumdat et undique pontum »165. I minacciosi vortici sono diabolici, poiché nell'acqua abita il demonio come «variopinto serpente», che spande lontano un puzzo insopportabile e minaccia le navi di naufragio. Lo stesso linguaggio ritroviamo in epoca avanzata del cristianesimo nella Vita Geno-vefae 166. E nei famosi racconti del miracolo marino di san Nicola il medioevo vede ancora il diavolo e co­me egli som con forza nella vela della nave minacciata dalle fauci del mare 167. Qui si era avuto dunque il

"» Epistola 2, 4 (CSEL 54, p. 12, 1. 1-5). 186 MGH Rer. Mer. ΠΙ, p. 230, 1. 5-8. - Cfr. anche il drago delle

sorgenti, che deve viaggiare verso l'abisso: Convento Afrae, 7 (MGJH Rer. Mer. Ili, p. 60, 1. IJS).

" ' Cfr. K. MEISEN, Nikolauskult uni Nikoìausbrauch im Abendland, Dusseldorf 1931, p. 245-249: la leggenda della tempesta di mare. -Legenda aurea (GRABSSE, p. 23S.). - ONORIO DI AUGUSTA, Speculiti» Ecclesiae (PL 172, 1034 BC). - Su una vetrata del duomo di Friburgo

IL· MARE DEL MONDO 497

punto di aggancio per una simbolica infinitamente ricca di sviluppi. In senso traslato, il mare diabolico è l'umanità abbandonata al diavolo, la massa dei po­poli pagani, come abbiamo già mostrato sopra. Essi sono sferzati da Satana, il « Signore del mare », poiché sono acque « mondane », flutti non redenti, demoniaci. ILARIO così predica : « Recte significari aquas populos intelligimus ... aquae terrestres sunt trepidae, terrenae, tenebrosae, absorbere nos volentes, animis in ira con-citatis et toto diabolici furoris impetu commotis »168. Questo produce ora i suoi effetti non solo nelle tem­peste del « mare beluino ed amaro », che vengono mandate ai singoli cristiani dal «Principe di questo mondo »169, ma soprattutto alla nave della Chiesa, che deve navigare sopra questa potenza elementare demoniaca. « Navem adaeque Ecclesiam debemus ac-cipere in salo mundi istius constitutam, quae crebris ventorum fluctibus, id est tentationum plagis et ver-beribus fatigatur, quam turbidi fluctus id est huius saeculi potestas conantur ad saxa perducere » 17°. Qui è chiaro quanto perfettamente tutta questa simbolica sappia costruirsi all'interno dei grandi contesti della teologia biblico-paolina dell'opposizione tra regno di Cristo e mondo del diavolo. Il mare di questo mondo è « cattivo » proprio perché sta « sotto le potenze delle

il diavolo viene raffigurato mentre soffia nella vela della nave di Ni­cola. - Cfr. anche gli inni a Nicola del secolo X, ove si parla della «diabolica tempesta marina», in Analecta hymnka 22 (1895) p. 206, 207. 209.

169 Tractatus in Psalmum 123, 5 (CSEL 22, p. 594, 1. 4-9). 1 M GREGORIO NAZIANZENO, Carmina, 2, 1, 1, vv. 21, 31 (PG 37,

p. 97is). 1 , 0 PS.-AMBSOGIO, Sermo 46, 4, io (PL 17, 697 A). - POMERIO,

De vita contemplativa, 1, 16 (PL 59, 431 CD; 432 A).

498 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

tenebre », come dicono le Omelie di Macario m. Il diavolo come dominatore dell'aria tenebrosa e del mare tenebroso, di questo abisso antidivino, di cui parla Agostino, sparge sul mare di questo mondo la nebbia ottenebrante, « daemonum nebulae », come spiega CRISOLOGO

172, e « daemonum turbines ». Egli stesso è un nebulo 173, un ribaldo ventoso, che inganna il navigante. E poiché egli è « tenebroso » in quanto signore del flutto tenebroso (in senso assolutamente identico si potrebbe anche dire, nel linguaggio sim­bolico dei Padri : egli è « occidentale », « egiziano », « fatale ») 174, per questo è suo scopo spingere la nave della Chiesa nelle fauci della morte, « in aeternae mortis profonda », come dice GREGORIO MAGNO

17S e come scrive ancora, con vocabolario patristico, DUNGAL

SCOTO parlando di coloro che non veleggiano nella nave fatta con il legno della Croce: « Quid ergo restat homini sine nave salutiferae crucis procellosum huius saeculi mare transeunti? Nihil, ut est arbitrandum, aliud nisi remaneat in mediis necatus fluctibus et cum terris Aegyptiis in profundum demergatur infer-

1 , 1 Homilia 44, 7 (PG 34, p. 748 B). "· Sermo 20 (PL 52, 254 B). "3 AGOSTINO (?), Sermo 356, 5 (PL 39, 1649 A). 1 , 4 Cfr. per ciò ORIGENE (GCS VII, ρ. 509, l. 13-17); LATTANZIO

(CSEL 19, p. 142S; p. 41, 1. i6ss). - F. J. DÒLGER, Sol Salutis, 1925 2 ed., p. 337SS; Die Sonne der Gerechtigkeit, p. 44SS.

175 Homilia 11, 4 (PL 76, ρ. 1116Β). - Perciò l'abisso del mare, in quanto sede del diavolo quale « dominatore della morte », è anche ad un tempo sede della morte stessa. Cfr. ILARIO, Tractatus in Psal-mum 68, 5 (CSEL 22, p. 317, 1. 2s): « N a m cum profunda maris infe-riora sint terrae, necesse est in profundo maris, id est in inferioribus, sedem mortis ostendi ». Non si deve forse spiegare in questo senso, unitamente a Sai 27,1 (cfr. sopra, nota 136) l'espressione della liturgia funebre: « Libera eas. . . de profundo lacu »?

IL MARE DEL MONDO 499

ni » 176. Più in là bisognerà indicare con precisione la ra­gione per cui, secondo questa simbolica, la nave della Chiesa non può affondare : precisamente perché essa è costruita con il legno di quella croce, che ha vinto il « Principe di questo mondo » (noi possiamo dire ora : il « Principe di questo mare »). Tuttavia al mare dia­bolico è stato lasciato un potere sulla nave ecclesiale: il viaggio sicuro della Chiesa è pur sempre paurosa­mente pericoloso. Qui torna di nuovo a risuonare il tema fondamentale del « viaggio meraviglioso, per­ché pericoloso », ora però piuttosto dal punto di vista del mare diabolico. « Ecclesia multis tamquam. bona navis fluctibus saepe tunditur », dice AMBROGIO

177.

Noi possiamo raccogliere in tre grossi gruppi il potere diabolico del mare, che urta contro la Chiesa in questo mondo: i pericoli del paganesimo, delle eresie e delle tentazioni; sempre però e in ultima analisi è il diavolo, che agita i flutti di queste tre minacce contro la nave della Chiesa.

Già Tertulliano parlava dei banchi di sabbia e dei flutti, degli incagli nascosti e delle spiagge basse del-l'idolatria e coniava qui la famosa espressione della fede, che, sotto l'inspirazione dello Spirito Santo, veleggia sicura ma cauta tra questi pericoli : « Fides navigai tuta si cauta »178. Nella sua spiegazione della nave della Chiesa quale veicolo entusiasticamente pe­ricoloso, ORIGENE mostra come il diavolo, quale « pa­dre delle tenebre », agiti i flutti, e, simile ad uno « pneu-ma del male », faccia spirare contro la nave il « vento

l,« Adversus Claudianum (PL 105, 489 A). 1,7 De incarnationis dominiate sacramento, 5 (PL 16, 827 B). 178 De idololatria, 24 (CSEL 20, p. 57, 1. 15S).

500 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

contrario » (Mat 14,24) e come questi flutti diabolici tendano continuamente ad un solo scopo: un naufra­gio nella fede ο almeno nei costumi. Quando esplode questa tempesta, il cristiano dovrebbe pregare contro la «trinità» diabolica di Satana, contro il padre delle tenebre, contro suo figlio, l'anticristo, contro il suo pneuma nemico di Cristo17B. Inversamente, è alta­mente significativo per la forza espressiva dell'alle­goria del mare, il modo in cui i Padri concepiscono la vittoria della fede in Cristo descrivendola come una bonaccia sopravvenuta improvvisamente dopo il mug­gire dei flutti diabolici. ILARIO ne dà una spiegazione eloquentissima : come il « drago nel mare » fu ucciso, gli animali inferiori del suo mare furono turbati e poi cessarono di emettere il loro fragoroso muggito; adesso non si ode più alcun mormorio dell'indovino, niente strillare di baccanti, nessun vibrare degli idoli bronzei, nessun canto sacrificale pagano; Cristo ha portato alla tranquillità questo mare180. Il corrispondente di questo canto trionfale della Chiesa. veleggiante sul mare lo troviamo in AGOSTINO, e noi lo comprendiamo soltanto se sentiamo risuonare tutto ciò che è stato detto sinora intorno al mare della potenza infernale: « Tutti quelli che piangono sul fatto che ora i templi degli idoli sono chiusi, gli altari rovesciati e le statue

"· Comment. in evangelium s. Matthaei, 11 (GCS X, p. 44,1. 4ss). -Per questo i pagani sono, simbolicamente, « amara acqua di mare » : AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 C): 4 Video enim adhuc in mari isto formidoloso nondum credentes : ipsi enim versantur in amaris aquis et sterilibus ». - ILARIO, In Mat-thaeum, 8, 4 (PL 9, 960 AB). - GEROLAMO, Comment. in Habacuc, 1, 2, 12 (PL 25, 1299 B).

180 Tractatus in Psalmum 64, io (CSEL 22, p. 242, 1. 1-9).

IL MARE DEL MONDO 501

spezzate, sul fatto che si sono anche create leggi che perseguitano il culto degli idoli come crimine capitale, tutti quelli che vi piangono sopra: ecco, essi sono ancora nel mare »181. GREGORIO MAGNO combatte ancora gli ultimi avanzi del paganesimo, i mathema-tici e gli academici, e designa la loro dottrina con una espressione presa da Isaia (11,15): «Lingue del mare d'Egitto»: che significa «sapienza mondana, che è oscurata dalle tenebre del peccato ». Ora però, così continua il suo canto di giubilo, «tutte le dottrine dell'errore sono state ridotte al silenzio, poiché il Si­gnore ha estratto dal mare il Leviathan mediante l'amo della sua incarnazione » 182.

Ma il diavolo quale signore del mare suscitò nuove tempeste contro la nave della Chiesa, dopo che i flutti dell'idolatria si erano calmati: questo è un pensiero, con il quale i Padri spesso hanno iniziato la storia delle eresie cristiane. Fu TEODORETO a dare l'espressione classica a questa idea 183. Dopo la morte dei persecu­tori dei cristiani, «i quali avevano scatenato contro la Chiesa una tempesta simile ad un uragano che sorge improvviso », sopravvenne la pace. « Ma il demonio, sempre e poi sempre cattivo e invidioso, non poteva sopportare la vista della nave della Chiesa che conti­nuava il suo viaggio sospinta dolcemente da un vento favorevole, e fece di tutto per spingerla al naufragio, essa che pure ha per pilota il Signore di tutte le cose ». Ora con questo pensiero tutto il vocabolario già ben coniato della simbolica del « mare diabolico » si tra-

181 Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 D). 188 Moralia, 33, io (PL 76, 684 AB). 188 Hist. ecclesiast., 1, a, 5 (GCS TEODORETO, p. 5, 1. 17-20).

502 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sferisce dalla polemica contro il paganesimo all'apo­logia contro le eresie. Ciò è particolarmente chiaro in un esempio: IPPOLITO aveva spiegato nella sua ese­gesi di Gen 49,13 («Zàbulon abiterà sulle rive del mare »), che ciò si riferisce alla Chiesa che è giunta ormai al porto tranquillo della verità, mentre i pagani si agitano ancora « nel mondo come su un mare scon­volto dalla tempesta »184. Ora AMBROGIO trascrive tale pensiero, ma ne cambia lievemente il senso, so­stituendo ai pagani gli eretici : « Hic ergo ' Zàbulon iuxta mare ' inquit, ut videat aliorum naufragia ipse immunis periculi, et spectet alios fluctuantes in freto istius mundi, qui circumferuntur omni vento doctri-nae, ipse fidei radice immobilis perseverans, sicut est sacrosancta Ecclesia radicata atque fundata in fide, spectans haereticorum procellas »18S. In questo modo di dire d'origine paolina, in cui si parla del « naufragio della fede» (iTim 1,19) e delle «tempeste della dot­trina » (Ef 4,14), s'inserisce ora, in forza dell'antico tesoro d'immagini, soprattutto la polemica contro gli ariani. Se METODIO aveva già detto precedentemente 186

che gli eretici si davano la falsa apparenza di saper maneggiare artisticamente la vela e il timone della nave della Chiesa, così continua EFREM nella sua se­conda orazione sulla fede in polemica contro gli ariani: « Il mare è grande e se tu lo vuoi scandagliare, sarai agitato dalla rabbia delle sue onde. Una sola ondata può trascinarti via... e gettarti su un incaglio ... la

184 Le benedizioni di Giacobbe, 20 (TU 38, Lipsia 1912, p. 35, 1. 11-18).

185 De patriarchis, 5, 26 (CSEL 32, 2, p. 139, 1. 18-23). IÌ« £) e resurrectione, 28, 2 (GCS M E T O D I O , p. 257, 1. 6s).

IL MARE DEL MONDO 503

nave è diretta dai timoni e tuttavia può affondare nei flutti, ma la tua fede non affonda ... solo il nostro Si­gnore può rimproverare le onde. Se dunque nel tuo spirito infuria la fantasticheria, rimproveralo e spiana le onde, poiché come la tempesta agita il mare, così la fantasticheria scuote lo spirito ... Il Signore rimpro­verò le onde, il vento allora cessò e la nave scivolò via calma »187. Nelle lettere di BASILIO si parla spesso di ciò. Egli scrive alla Chiesa di Nicea restata immune dall'arianismo : « L'incendio delle tempeste ereticali non vi ha scosso, incendio che causa affondamento e nau­fragio alle anime deboli »188. Ed egli stesso si presenta come una roccia contro la quale si spezzano le ondate dell'eresia : « Voi sapete bene tuttavia, che noi, simili alle rocce contrapposte in mezzo al mare, dobbiamo intercettare la tempesta scatenata delle onde ereticali, cosi che queste si spezzino contro di noi e non inon­dino la terra che è dietro di noi »189. Si legga inoltre la descrizione delle condizioni della Chiesa, parago­nabili ad un naufragio, nella lettera di BASILIO ad Atanasio190, l'altro pilota nella tempesta dell'ariane­simo, oppure in quella ai vescovi dell'Occidente: «La situazione qui è scossa, reverendi fratelli, e nelle tempeste che sono sorte l'avversario vuole prostrare la Chiesa come una nave, che deve combattere in aperto mare contro gli assalti sempre rinnovati delle onde »1β1. Proprio in queste lettere di un uomo così

187 Sermo 2, 2, De fide {Opera omnia syriace et latine, R o m a 1743, v. 3, p- isas).

188 Epistola 28, 1 (PG 32, 305 C) . "· Epistola 203, 1 (PG 32, 737 B C ) . 1M Epistola 82 (PG 32, 460 AB). 1 , 1 Epistola 90, 1 (PG 32, 473 A).

504 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

educato classicamente e cristianamente si vede come il linguaggio retorico e ad un tempo teologico della simbolica del mare sia stato portato sino all'estremo. Ora comprendiamo perchè BASILIO poteva parlare delle « onde salate ed amare dell'errore »192, nelle quali quasi affonda la nave della Chiesa. Dietro a ciò vi è certamente la convinzione che il « mare ama­ro » significa anche il « mare diabolico ». Nello stes­so tempo GEROLAMO

193 ha attestato espressamente che questa era una simbolica comunemente nota: « Quod autem ipse (diabolus) tenebrarum et amari-tudinis significetur nominibus crebrius legimus ». Per questo anche per lui l'eresia è un'amarezza diabolica: « Sed et hoc possumus dicere, quod omnia contraria dogmata veritati amarae sint et sola dulcis veritas ». E tuttavia: la buona nave della Chiesa non può andare a fondo, essa veleggia, come spiega già AGOSTINO, tra le eresie di Ario e di Sabellio come tra Scilla e Ca-riddi : « Ex una parte saxa navifraga, ex alia parte vorago navivora »194. Questa immagine presa dalla mitologia classica195, che Agostino trasferisce espli­citamente nello stretto tra la Sicilia e l'Italia, risveglia nello spirito dei Padri le latranti foche di Scilla, che dalle amare profondità del mare minacciano le

182 Epistola 161, a (PG 32, 629 C). 183 Comment. in Isaiam proph., 2 a proposito di 5,20 (PL 24, 86 D) . -

Ora comprendiamo meglio cosa volesse dire VINCENZO DI LÉRINS con le sue parole sugli « amaros turbulentosque errorum fluctus » (sopra, alla nota 27).

184 Sermones inediti Gueìf., sermo 11, 4 (MORIN, p. 476S.) 185 Sui canes marini cu. LUCREZIO, 5, 892. - VIHGILIO, Eclogae

6, 77 : « Timidos nautas canibus lacerasse marinis ». - VIRGILIO, Eneide, 3, 432. - SALVIANO, De gubernatione Dei, 11, 58 (CSEL 8, p. 121, 1. 5s). - ISIDORO, Etymoi, 12, 6, 5 (PL 82, ρ. 451Α).

IL MARE DEL MONDO 505

navi: e anche ciò diventa per essi il simbolo degli « Oppositori », che non possono tuttavia aver presa alcuna sulla nave della Chiesa, poiché essa è costruita con il legno della croce: « Obtrectatores omnino con-temnendi sunt, quia canes marini sunt. De profundo amaritudinis latrare possunt, mordere non possunt. Sed quamdiu mordere non possunt? Quamdiu in navi sedes. Quid est: quamdiu in navi sedes? Quam­diu crucem Christi tenes, ab eius navicula non rece-dis »196. Noi possiamo seguire quella magnifica e semplice simbolica fondamentale sino a queste estre­me ramificazioni del linguaggio figurato dei Padri: il mare è il mondo sottoposto a Satana, la nave è la Chiesa costruita con il legno della croce, che quindi attraversa tranquilla tutte le tempeste del diavolo. Questa simbolica, per quanto sembri attingere alla cultura e all'educazione antica, è sempre e soltanto un leggiero velo, che i Padri mettono attorno alle verità fondamentali del cristianesimo; fissare questi due in­teressi e distinguerli con cautela: proprio questo è il compito di ogni ricerca intorno ai rapporti tra an­tichità e cristianesimo. Ciò può essere reso ancor più chiaramente con un'ultima immagine, che allo stesso tempo porta di nuovo in se stessa una sublime idea teologica. Proprio perché l'eresia non vuol essere più soltanto « mare » ma anche « nave », l'allegoria pa­tristica del mare raffigura la lotta diabolica dell'eresia contro la nave della Chiesa anche come una battaglia navale del grande pirata, il Diavolo. Si legga in pro­posito la descrizione piena di spirito antico e cristiano,

1 β · PS.-AGOSTINO, Sermo 72, 3 (PL 39, 1885 C D ) . - GEROLAMO,

Comment. in Ezech. 6, praef. (PL 25, 165 D ) .

506 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

della battaglia navale tra la Chiesa e la flotta degli ariani, che ci ha regalato BASILIO 197. È il « cattivo de­monio », che, come scaltro pirata, insidia la nave della Chiesa, dice CRISOSTOMO

198; e la retorica bizantina ne ripete le parole 199. Anche in Occidente si predica così; un imitatore di Agostino dice: « In hoc sane pro­celloso et turbulenti mari etiam diabolus aspirane bacchatur armata classe terribilis, et circumquaque commeatus obsidet innocentium »200. Ma anche qui fiducia: egli è soltanto un « nebulo et pirata»201.

Una terza minaccia infine sorge contro la nave della Chiesa dal diabolico mare della « cattiveria », dei peccati, delle tentazioni. Qui soprattutto il naufra­gio e l'affondamento nei flutti tenebrosi e amari di Satana minacciano il cristiano, se egli non resta sul legno della croce. Ciò si trovava già nella simbolica tradizionale della scuola alessandrina. Nell'inno ai pe­dagoghi, Clemente canta « il mare del male »202 e parla della nave dell'anima, che deve aver come pilota il Logos, se non vuole affondare nel naufragio dei vizi203. Nella sua elevata preghiera al Logos, egli chiede di poter giungere sicuro attraverso la « risacca

187 Se Spiritu Sancto, 30, 76. 77 (PG 32, 2i2s). - Cfr. per questo l'allegoria della nave che da parte ariana viene opposta ai cattolici: Opus imperfectum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755 BC).

m Homilia in illud Vidi Dominum, 3 (PG 59, 114D) . 1 , 9 GERMANO, Sermo in crucem vivificam, 3 (PG 98, 240 D) . 200 PS. -AGOSTINO, Sermo 72, 2 (PL 39, 1885 A-D) . 201 AGOSTINO (?), Sermo 356, 5 (PL 39, 1649 A). 202 Inno sui pedagoghi, v. 25 (GCS CLEMENTE I, p. 292). 203 Paidagogos, 1, 7, 54 (GCS I, p. 122, 1. 12-14). - Per l'idea asce­

tica del « naufragio » dell'anima cfr. Paidagogos, 2, 2, 22 (GCS I, p. 169, 1. 21) e 3, 7, 37 (p. 258,1. 4s). - il « demone marino Proteo » è il sim­bolo della passione: Paidagogos 3, 1, 2 (GCS I, p. 236, 1. 8-10).

IL MARE DEL MONDO 507

dei peccati »204 al mare calmo del santo Pneuma. Proprio così anche ORIGENE: per lui il mare è simbolo del piacere sensuale : « Profundum et liquidum ele-mentum est amara et fluxa praesentium. rerum, volup-tas »205. E se pertanto, secondo l'antica tradizione, il mare è « amaro e incostante », METODIO ci dà l'altro lato del timone greco-cristianizzato dinanzi al « ter­ribile » mare : « Quella temibile e insopportabile acqua del mare spirituale non affonda i corpi, ma le anime di coloro, che non hanno il Logos per pilota » 206. Le prove potrebbero moltiplicarsi, ma esse direbbero sempre la stessa cosa: l'amaro e tenebroso mare è simbolo delle tentazioni diaboliche, il peccato è nau­fragio 207 dell'anima, è amaritudo aeterna come conse­guenza dell'aver gioito della dulcedo temporalis208. La « vita mondana », nel senso profondamente teologico che gli ha dato soprattutto AGOSTINO, è paragonabile all'abisso amaro e tenebroso del mare : « Vita saecularis

*>* Paidagogos, 3, 12, 101 (GCS I, p. 291, 1. 5). 205 Homiliae in Exodum, 6, 3 (GCS ORIGENE VI, p. 195,1. 12-14). -

TERTULLIANO, De baptismo, 12 (CSEL 20/ p. 212, 1. 3s). - CIPRIANO, De patientia, 16 (CSEL 3, 1, p. 409, 1. 9-11).

"' De sanguisuga, 4 (GCS METODIO, p. 481, 1. 18-21). !07 Qui ancora alcune testimonianze per questa immagine del

« naufragio », che, come dimostreremo più tardi, divenne poi impor­tante per la dottrina dommatica della penitenza come « secunda tabula in naufragio»: AMBROGIO, Explan. in Psalmum 36, 28 (CSEL 64, p. 94,1. 6s) : « Virtutis naufragium ». - PAOLINO, Epistola 16,7 (CSEL 29, p. 122, 1. 2) : « Naufragium salutis ». - Epistola 1,9: CSEL 29, p. 7, 1. 25, e Carmen 24, 82 (CSEL 30, p. 209): « Naufragium in fide». -CESARIO, Sermo 66, 1 (MORIN I, p. 270, 1. 17) : « Naufragium casti-tatis ». - GREGORIO MAGNO. - Regula pastoralis, 4 (PL 77, 128 A) : « Naufragium vitae ».

aos Enarrai, in Psalmum 101, sermo 2, 2 (PL 37, 1306 A). - GRE­GORIO MAGNO, Regula pastoralis, 1, 2 (PL 77, 16 B): «Per profundum maris extrema damnatio designatur ».

508 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

quaecumque est in profundo malorum, secretimi unde erumpit omnis haec amarissima impietas »209. A modo di conclusione presentiamo la traduzione di un canto cristiano greco della fine dell'era patristica, che è con­servato nelTAnthologia graeca 21°:

Il cattivo nemico eccita in noi il flutto minaccioso del piacere sensuale, il mare ne flagella nel fragore della tempesta, e la navicella del nostro spirito si capovolgerà per il peso dell'acqua, affonderà nel vortice delle onde. Ο Cristo, tu mio riposo, comanda al vento e alle onde, conducimi tu al porto sicuro e fa affondare il mio nemico!

Ora noi conosciamo bene il mare amaro e demo­niaco, dalle cui profondità la Chiesa pesca i suoi mol­teplici e bei pesci, essendo essa la barca di Pietro m. Ora conosciamo il mare, sui cui flutti la buona barca della Chiesa veleggia verso il porto del riposo e corre

208 Annot. in Job (PL 34, 874 AB). 210 Anthologia Graeca, 1, 118 (BECKBY I, p. 158). 211 ORIGENE, Homiliae in Ieremiam prophetam, 18, 5 (GCS ORIGE­

NE III, p. 156,1. 21-23): σαγήνην άεΐ βάλλεσ&οα επί την θάλασσαν τοϋ βίου τούτου και συνάγονται 1χ·9·ύες παντόδαποι. - GERO­LAMO, Epistola 71, ι (CSEL 55» Ρ· 2 · ί· 2-6): «Te quoque quasi pul-cherrimam auratam traxit ad litus. reliquisti amaros fluctus, salsos gurgites, et Leviathan regnantem in aquis ... contempsisti ». - M E -TODIO, De sanguisuga, 5 (GCS METODIO, p. 483, 1. 5s): i discepoli

di Cristo pescano gli uomini dalla profondità dell'errore. - PAOLINO, Epistola 20, 6: (CSEL 29, p. 147, 1. 23-25): « Quia tu misisti hamum ad me profundis et amaris huius saeculi fluctibus extrahendum ». -GREGORIO MAGNO, Homilia 11, 4 (PL 76, ρ. 1116Β): «Per Ecclesiam quisque ad aeternum regnum a praesentis saeculi fluctibus trahitur, ne aeternae mortis profunda mergatur ».

IL MARE DEL MONDO 509

vittoriosa, poiché è costruita con il legno della croce, poiché porta con sé eretta, come albero, la croce, su cui si è compiuta la vittoria sul « dio di questo mon­do », il Signore del mare. In ulteriore studio ci resta da mostrare pertanto in che senso la Chiesa sia « nave di legno », l'arca in mezzo al diluvio universale, la barchetta di Pietro. AMBROGIO, l'erede dell'allegorismo alessandrino e il trasmettitore di queste ricchezze al medioevo, conclude così questa esposizione della sim­bolica del mare : « Nec enim vilis est navis, quae du-citur in altum, hoc est ab incredulis separatur. Cur enim navis eligitur in qua Christus sedeat, turba do-ceatur, nisi quia navis Ecclesia est, quae pieno domi-nicae crucis velo Sancii Spiritus flatu in hoc bene navigat mundo»212?

212 De virgimiate, 18, 188 (PL i6, 297 B).

LA NAVE DI LEGNO

In hoc bene navigai mundo. In queste parole AMBRO­

GIO * riassumeva l'essenza e il destino della Chiesa, e in esse parla tutta la fierezza di un cristiano romano, che paragona la sua Chiesa alle buone navi del periodo imperiale di pace, le quali da Alessandria, Costantino­poli e Cartagine andavano verso il Portus Romanus: « No, non è spregevole la nave della Chiesa, che na­viga in alto mare, con le vele all'albero della croce, che si gonfiano al vento dello Spirito Santo » ! Un mezzo secolo dopo, in piena migrazione di popoli, « quando popoli rudi e feroci si misero in marcia e tutta la terra era un relitto » 2, il medesimo amore per la Chiesa trovò tuttavia identiche parole di speranza invitta. In una predica, PIETRO CRISOLOGO volge uno sguardo retrospettivo ai primi quattro secoli della storia della Chiesa : « Non appena Cristo era salito sulla nave della sua Chiesa, per poter da allora in poi attraversare il mare del mondo, le tempeste dei po-

1 De virginitate, 18, 118 (PL 16, 297 B). 1 PIETRO CRISOLOGO, Sermo 20 (PL 52, 256 A).

512 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

poli pagani si scatenarono, il turbine dei giudei, gli uragani dei persecutori, le nuvole tempestose della plebe, la nebbia dei demoni, si levarono, e tutto ciò con tale violenza, che tutto il mondo fu un solo tem­porale. Le onde dei re spumeggiarono, sibilarono i flutti dei poteri, risuonò il grido rabbioso degli schiavi, il vortice dei popoli fece mulinello, gli scogli dell'in­credulità emersero dalla profondità, mugghiarono le rive della cristianità, i rottami della nave dei ' traditori ' vagarono confusamente d'ogni intorno. Tutto il mon­do era un solo pericolo e un solo naufragio ... la na­vicella di Cristo ora è lanciata alta verso il cielo, ora è gettata nel terribile abisso; ora si fa guidare dalla forza di Cristo, ora si fa spingere dall'angoscia e dalla paura; ora è coperta dai flutti del dolore, ora si libra alta come sulle ali della conoscenza della fede. Noi però, ο fratelli, gridiamo continuamente: Signore, aiutaci, affondiamo » 3 !

Tunditur, non mergitur 4. « Essa è sconvolta, ma non affonda » : qui è contenuta la legge fondamentale della Chiesa, rivestita della simbolica navale. Cercheremo di renderci conto di questa teologia riandando lo sviluppo della simbolica patristica della Nave della Chiesa. La Chiesa è continuamente in pericolo, eppure è l'unico luogo della sicurezza. Essa si trova continua­mente nella tempesta e, come una nave provata in mille modi, viene sollevata in alto, spinta verso il

3 Senno 20 (PL 52, 254B-256A) . 4 PIETRO CKISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 258 A). - Lo stesso pensiero

è espresso da IPPOLITO, De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. I3s): χ ε ι μ ά ζ ε τ ο α μεν ά λ λ ' ο ύ κ ά π ό λ λ υ τ α ι . - AGOSTINO, Ser­mo 13, 2 Wilmart ( M O R I N , Sermones post Maurinos reperti, p . 713, 1. 6) : « Premi potest, mergi non potest ».

LA NAVE DI LEGNO 513

precipizio, spesso mezza distrutta, e ciò che vi è di marcio in essa (per parlare con Gregorio Magno) 5, viene espulso accuratamente; eppure essa continua il viaggio nel fiero sentimento del sicuro approdo nel porto della pace. L'ecclesiologia simbolica dei Padri ripone continuamente il fondamento ultimo di questa dottrina nei due pensieri attinti dal semplice paragone con il mondo nautico: sulla prua della nave della Chiesa siede Cristo come pilota, mentre la nave è costruita con il legno della croce, ossia con l'esiguo elemento, che solo può sfidare tutte le tempeste. L'au­tore delle Omelie di Macario lo ha espresso così: «Già nel mondo delle cose visibili nessuno può con la pro­pria forza solcare e scavalcare il mare. Per questo egli deve avere il leggiero, lo snello veicolo, che è costruito con legno, e proprio per questo soltanto può stare sull'acqua. Così è impossibile ad un'anima galleggiare sul mare amaro del peccato e sul pericoloso abisso delle cattive potenze delle passioni tenebrose ... E come una nave ha bisogno, inoltre, di un buon pilota per poter fare un viaggio felice, ... così non è possibile attraversare felicemente il mare cattivo delle potenze tenebrose senza il pilota celeste Cristo »6. Dietro la sorprendente ricca simbolica dei Padri della Chiesa c'è dunque sempre l'atteggiamento teologico fonda­mentale: la Chiesa è la «nave buona» proprio perché è guidata da Dio e perché rappresenta la continuazione della vittoria ottenuta da Cristo sul legno della Croce

6 Epistola i, 4 (PL 77, 447): « Vetustam navim vehementerque confractam indignus ergo infirmusque suscepi - undique enim fluctus mtrant et quotidiana ac valida tempestate quassatae putridae naufra-gium tabulae sonant ».

« Homilia 44, 6 (PG 34, 781 D); 44, 7 (784 B).

514 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

contro ogni forza nemica di Dio. Lo Ps.-Ambrogio ha annunciato questo mistero trinitario della Chiesa in una predica ai suoi fedeli, e con queste sue parole noi saliamo ora sulla « nave della Chiesa », che è sul punto di intraprendere il viaggio meravigliosamente pericoloso sul « mare del mondo » : « Navem adaeque Ecclesiam debemus accipere in salo mundi istius con-stitutam... quae etsi undarum fluctibus aut procellis saepe vexatur, tamen nunquam potest sustinere nau-fragium, quia in arbore, id est in cruce, Christus eri-gitur, in puppi Pater residet gubernator, proram Pa-racletus servat Spiritus » 7.

Qui sorge subito il problema dell'origine e del costituirsi della simbolica antica cristiana della « nave della Chiesa ». Mentre rimandiamo il fondamento bi­blico, che certamente fu il determinante e il primo ad esser preso in considerazione, ai capitoli sulla Chiesa come arca di Noe 8 e come barca di Pietro 9, spostiamo qui la questione in primo piano sulla parte dell'allegoria antica, che deve essere spiegata con la cultura della nautica. Cercheremo di articolare il ricco materiale in tre punti sempre attenti a che la chiarezza della linea non scompaia dietro la massa di documenti: I. La simbolica della « nave della Chiesa », come si presenta nei grandi cataloghi navali della teologia patristica. II. L'antica simbologia navale e il suo influsso nell'alle­goria cristiana. III. Il mistero teologico fondamentale della simbolica cristiana della nave della Chiesa: la sua incertezza della salvezza e la sua sicurezza della

' Sermo 46, 4 (PL 17, 697 AB). 8 Cfr. più avanti, a p. 865-938. a Cfr. più sotto, a p. 809-863.

LA NAVE DI LEGNO 515

salvezza consiste nel fatto che essa è una nave di legno, costruita con il legno della croce.

i . IL C A T A L O G O NAVALE DELLA TEOLOGIA PATRISTICA

È importante per la comprensione di tutto ciò che segue occuparci in primo luogo un pò di nautica antica e paleocristiana 10. Dobbiamo familiarizzarci con la conoscenza che l'uomo antico aveva della costru­zione navale, della denominazione delle parti di una nave, delle cose necessarie per un felice viaggiou .

10 Per la bibliografìa riguardante la simbolica cristiana della nave cfr. sopra, a p. 397, nota 1; e più sotto, a p. 865, nota 1.

11 Per l'archeologia navale dell'ANTiCHiTÀ abbiamo impiegato le seguenti opere: A. BOECKH, Urkunden iiber das Seewesen dei attischen Staates, Berlino 1840 (ν. 30 della Athenischen Staatshaushaitung). -A. KOSTER, Das antike Seewesen, Berlino 1923. - IDEM, Studien zur

Geschichte des antiken Seewesen, in Kìio, Beitrage zur alten Geschichte, fascicolo 32, quaderno 19, Lipsia 1934. - J. KROMEYER e G. VEITH, Heerwesen una Kriegsfuhrung der Griechen uni Rómer (Handbuch der Altertumswissenschaft, v. 4, 3, 2), Monaco 1928. - F. RUHLMANN, Beitrage zur Geschichte, Kultur, Technik und Schiffahrt, Lipsia 1891. -A. NEUBURGER, Die Technik des Altertums, Lipsia 1919. - FR. M O L L , Der Schiffbauer in der bildenden Kunst, Berlino 1930 (= Deutsches Mu-seum, Abhandlungen und Berichte, v. 2, p. 153-177). - H. BALMER, Die Romfahrt des Apostels Paulus und die Seejahrtskunde in romischen Kaiserzeitalter, Berna-Miinchenbuchsee 1905. - P. GAUCKLER, Un catalogue figure de la batellerie grécoromaine. La mosaìque d'Althiburus, in Monumenti et Mémoires Piot 12 (1905) p. 113-54. - C H . DAREM-BERG e E. SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités, Parigi 1904, v. 4, parte 1 col. 24-40. - A. BAUMEISTER, Denkmàler des klassischen Altertums, Monaco-Lipsia 1888, v. 3, p. 1593-1639. - FR. MILTNER, Seewesen, in RE , Suppl. V (1931), col. 906-962. Anche qui ampia bibliografia per l'archeologia generale della nautica. - FR. MILTNER, Nautai, in RE XVI, 2 (1935) col. 2029-2033. - E. ASSMANN, Segei, in RE II A, 1 (1921) p. 1049-1054. - U n o sguardo vivente nella tecnica dell'antica marineria era offerto dai due modelli di una nave da guerra e di una nave mercantile romane ricostruite sulla base di studi archeologici,

516 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

L'uomo dell'antichità marinara considerava le sue navi non soltanto con gli occhi del mercante calcolatore, ma con quelli dell'artista, per così dire dell'innamorato. Cicerone ne ha parlato quando, affermando che ciò che è veramente utile è sempre anche bello e vice­versa, non sa addurre miglior esempio al riguardo, che quello di una buona nave, di cui egli enumera le singole parti con una certa abbondanza : « Quid tam in navigio necessarium quam latera, quam ca-vernae, quam prora, quam puppis, quam antennae, quam vela, quam mali? Quae tamen hanc habent in specie venustatem, ut non solum salutis sed etiam vo-luptatis causa inventa esse videantur » 12.

Nello stesso spirito, i Padri della Chiesa hanno contemplato le navi sul mare che essi chiamavano « mare nostro » in un senso molto più profondo che non l'impero romano. Perciò noi presentiamo subito qui, separati dal circostante contesto del brano dottri­nale ο oratorio, i cataloghi con cui essi spiegano la simbolica delle singole parti della nave. Apparirà più in là che essi lo fanno astraendo completamente dai pensieri teologici che debbono essere chiariti con tale simbolica, spinti solo da un'antica tradizione re­torica. Ma il semplice fatto che essi lo facciano, mostra già quanto sia stata viva la rappresentazione della Chiesa come nave sin dai primissimi tempi.

IPPOLITO DI ROMA è il primo che ci scompone la simbolica, in se stessa molto più antica, della nave

e che erano visibili alla MOSTRA AUGUSTE* in Roma: riproduzioni nel Catalogo, Mostra Augustea della Romanità, Roma 1937, 4 ed., tav. 51, 52, 53.

12 CICERONI, De oratore, 3, 46, § 180.

LA NAVE DI LEGNO 517

della Chiesa in singole immagini nautiche chiaramente distinte tra di loro 1 3 .

1 3 IPPOLITO, De Anticristo, 59 (GCS IPPOLITO, I , 2, ρ. 39, l. 12 -

p. 40, 1. 9). - La prima e migliore esposizione di questo testo in FR. J. DÓLGER, Sol Saluiis, Miinster 1925, 2 ed., p. 277S, che tuttavia in seguito dovrà essere completata e in parte corretta. - Cfr. A. HAMEL, Kirche bei Hippolyt vonRom, Giitersloh 1951, p. 57s; p. 199S. - Per una provvisoria comprensione dei principali concetti della nautica simbolica diamo qui le designazioni greche del catalogo di Ippolito: κ υ β ε ρ ν ή τ η ς = timoniere. Sul suo posto cfr. PLATONE, Rep. 6, (488 E) ; PLUTARCO, Praec. ger. reipub., 13 (807 B ) ; R E XVI, 2, col. 2 0 3 1 , 1. 29SS.

π ρ φ ρ α e π ρ ύ μ ν α = prua (parte anteriore) e poppa (parte poste­riore) della nave, in latino prora e puppis. A poppa era il posto del timoniere, dove egli accudiva al suo servizio e dava i suoi ordini con la mano levata. Cfr. per questo la rappresentazione di Cristo come timoniere sul noto frammento di sarcofago di Spoleto in Firenze (Sol Salutis, p. 282S).

ο ϊ α ξ , in latino clavus — sbarra del timone, con cui il timoniere manovra i timoni per lo più accoppiati = π η δ ά λ ι α , gubernacula. Cfr. RE Suppl. V, col. 941, 1. 63SS. Di qui spesso anche = semplice­mente timoni.

ν α ϋ τ α ι , nautae = marinai. Sotto questo nome debbono compren­dersi, in opposizione agli έρέτοα, remiges, gli uomini di equipaggio, a cui è affidata la cura delle vele.

σχοινία, funes = qui certamente le cosiddette ύ π ό ζ ω μ α , la legatura della nave con forti cinghie. Cfr. RE Suppl. IV (1924) col. 776-782 (R. H A R T M A N N ) .

C o n σ χ ο ϊ ν ο ς ο κ ά λ ο ς , funis viene designato anche, come mostre­remo più tardi nella simbolica, le gomene che tengono fermo l'albero ο l'antenna, in particolare il cavo dell'ancora, oppure il cavo di guida della nave di salvataggio (cfr. At 27,32). Per la legatura del corpo della nave cfr. At 27,17.

α ν τ λ ί α = sentina, l'acqua che si raccoglie nel locale più basso della nave. - Qui però può essere significato soltanto il contenitore di acqua dolce portato nel ventre della nave, Γύδροθ-ήκη che si t ro­vava nelT ί ίντλος ; ciò contro RE Suppl. V, col. 920, 1. 24ss. Altri­menti la simbolica dell'acqua battesimale non avrebbe alcun senso.

ο θ ό ν η = vela, oppure anche Ιστίον ο ιστ ία, in latino oltre che velum anche carbasus ο Unum. Nell'antichità la vela era generalmente bianca, per questo da Ippolito viene detta « biancolucente »: cfr. RE II A 1, col. 1054, 1. 27SS.

518 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Mare Nave L'esperto pilota Albero Prua e poppa

I due timoni La gomena II contenitore d'acqua dolce •• La bianca vela L'ancora di ferro I rematori La vela superiore del­l'albero maestro

La scala che porta all'antenna

Mondo Chiesa Cristo Trofeo della croce Oriente e Occidente del­la direzione del viaggio celeste I due Testamenti L'amore di Cristo II Battesimo Lo Spirito Santo La legge di Cristo Gli angeli custodi Gli Ordini dei Profeti, dei martiri e degli apo­stoli, che riposano in cielo La croce come segno della forza della passio­ne di Cristo

Sappiamo che Ippolito, nella sua esegesi e nella sua retorica, amava una siffatta minuziosa spiegazione di un'immagine presentata dalla Bibbia e dalla Tradi­zione (una contrimmagine di tale simbolica navale, spinta sino ai dettagli particolari è, per portare soltanto

χ λίμα ξ = scaletta della nave per salire a bordo, poi rimpiazzata dalla αποβάθρα = passerella; climax tuttavia è certamente anche la scala di corde che porta in cima all'albero e all'antenna. Ciò che dice a questo proposito FR. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 277, nota 3; p. 278, nota 1, viene confermato figuratamente con le imma­gini di navi del mosaico di Altiburo.

ψίφαρος = in latino siparum ο suparum = la vela di cima, che viene appesa tra l'antenna e la punta superiore dell'albero.

LA NAVE DI LEGNO 519

un esempio, la sua allegoria della vigna nello scritto Sulle benedizioni di Giacobbe) 14. Nella Roma dell'inizio del terzo secolo, a cui appartengono certamente i co­struttori navali delle catacombe, sembra che l'allegoria della nave della Chiesa sia stata particolarmente po­polare. Ce lo mostra il secondo catalogo, che presen­tiamo qui: è contenuto nella Lettera di papa Clemente all'apostolo Giacomo, premessa come introduzione alle Omelie pseudoclementine, e che tuttavia fu scritta certa­mente a Roma dopo il 200. Proprio questo catalogo, con il suo influsso sulle Costituzioni Apostoliche e me­diante la sua posteriore assunzione tra i falsi pseudoisi-doriani, esercitò un certo influsso sul pensiero simbolico dei tempi posteriori. « Le cose della Chiesa in genere », così comincia il 14° capitolo della lettera, « sono pa­ragonabili ad una grande nave che trasporta sul mare agitato dalla tempesta uomini di diversi luoghi, che vogliono tutti abitare l'unica città del Regno buono » 15. Quindi segue il catalogo delle somiglianze:

Proprietario della nave = Dio Timoniere a poppa = Cristo

14 Benedizioni di Giacobbe, 25 (TU 38, p. 38, 1. 25 - p. 39, 1. 3). 15 Epistola Clementis ad lacobum, 14, 15 (PG 2, 49 AC; 52 A). -

Cfr. più avanti, p. 817 ss. - Questo catalogo contiene ancora qual­che altro termine nautico, che per la simbolica è indispensabile: πρ<ρρεύς, in latino proreta = il sottotimoniere, che ha il suo posto a prua, osserva la direzione del viaggio ed è in tutto sottoposto al timoniere. Secondo SENOFONTE, Oiconomha, 8, 14, egli è il «diacono del timoniere»; secondo ARISTOTELE, Poìit., 3, 4 (1276B) è «il mi­gliore strumento del timoniere ».

τοίχαρχος = sorvegliante delle due fila di rematori. Cfr. RE XVI, 2, col. 2030, 1. 6oss.

ναυστολόγος ο ναυτολόγος = il preposto all'ingaggio dei marinai. Cfr. STRABONE, 8, 6, 15 (KRAMER 183, io) e ANTHOLOGIA

GRAECA, 9, 415 (BECKBY 3, 258). La traduzione di DÒLGER, Sol Sa-

520 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Sottotimoniere a prua = Vescovo Marinai = Presbiteri Sorveglianti sui rematori = Diaconi Arruolatori dei marinai e dei passeggieri = Catecheti I passeggieri = La comunità dei fratelli L'abisso del mare = Il mondo I venti contrari = Le tentazioni Le tempeste da terra = Gli errori Banchi e scogli = I persecutori Fondali bassi = Gli uomini cattivi Pirati = Gli ipocriti Mal di mare = Purificazione dai peccati Naufragio = I peccati Porto , = La città del gran Regno

Queste spiegazioni sono presenti al compilatore delle Costituzioni Apostoliche ove egli, ampliando notevol­mente la didascalia, paragona ad una nave ben ordinata la comunità radunata sotto la guida del vescovo nella chiesa 16. Da semplice simbolo consistente in un'imma­gine spirituale, essa è già diventata qui la «nave della chiesa » nel senso in cui noi oggi parliamo ancora di « navata ο nave della chiesa », in opposizione al

lutis, 2 ed., p. 282, nota 3, con « ordinatore della nave, a cui incombe l'istruzione dei viaggiatori », non è appropriata. Egli doveva piut­tosto regolare la paga dei marinai, sotto la guida del pentecontarca (RE XVI, 2, col. 2032, 1. 6ss); per questo nello PS.-CLBMENTB si dice: οι ν α υ σ τ ο λ ό γ ο ι τ ο υ ς μ ι σ θ ο ύ ς ύ π ο μ ι μ ν η σ κ έ τ ω σ α ν (PG 2, 49 C ) .

1 8 CONSTITUTIONES APOSTOLICAE, 2, 57, 2-4; 9-11 (FUNK I, p. 159;

1. 17; p. I Ó I , 1. 7; p. 163,1. 6-14). - A p. 163,1. 13, il diacono che eser­cita la sorveglianza generale del culto e mantiene l'ordine, viene chia­mato anche πρ<<>ρεύς: dunque totalmente nell'antico significo del « diacono », che obbedisce al « timoniere » e al vescovo.

LA NAVE DI LEGNO 521

presbiterio, ove siedono il vescovo e il clero. La chiesa fisica è diventata qui come una nave che viaggia verso l'Oriente, proprio come in Ippolito la prua della nave della Chiesa significava l'Oriente17. Persino le pa-stoforie18 portate ai due lati dell'edificio della chiesa

" De antichristo, 59 (GCS Ippolito I, 2, p. 39,1. i6s). - Cfr. FR. J. DOLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 278.

18 Le due « pastoforie » ai due lati della navata della chiesa sono gli spazi destinati l 'uno alla conservazione dell'eucaristia (Cfr. Consti-tutiones Apostolicae, 8, 13, 17: ed. FUNK I, p. 518, 1. 7), l'altro per i libri liturgici e i paramenti, dunque si tratta bene del « Diakonikon » del Sinodo di Laodicea, can. 21 (MANSI, II, p. 567). - Cfr. A. J. B I N -TBRIM, Denkwiirdigkeiten der christkatholischen Kirche, Magonza 1826, v. 2, parte 2, p. 140-143; Magonza 1827, v. 4, parte 1, p. 139S. - Ora però le Costituzioni Apostoliche (p. 159,1. 22ss) dicono che le due pasto­forie si troverebbero « ai due lati della chiesa verso oriente » e perciò lo spazio longitudinale della chiesa sarebbe simile ad una nave : ó ο ί κ ο ς ί σ τ ω ε π ι μ ή κ η ς ... δ σ τ ι ς έΌικεν νηΐ. Malgrado tutti i miei sforzi non sono mai riuscito a localizzare i π α σ τ ο φ ό ρ ι α come parte della nave. Per la designazione del volume della chiesa quale « nave », come facciamo ancora nella nostra lingua (nave ο navata della chiesa), ha contribuito ad ogni modo la suaccennata spiegazione simbolica del vano della chiesa come nave. Se vi abbia contribuito anche una con­fusione popolare tra ναϋς e ναός, non oserei deciderlo. Per il pre­sente problema cfr. il materiale che viene dato sotto la voce navis come « parte dell'edificio della chiesa » in DUCANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Parigi 1845, v. 4, p. 611. Così pure in W. GKIMM, Deutsches Worterbuch, Lipsia 1899, v. 9, p. 58, n. 15. - Comunque è degno di nota il fatto che la designazione ν α ο φ ύ λ α ξ = guardiano del tempio (cosi in EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 1284; ARISTOTELE, Polii. 6, 6, 1322 B) significa egualmente anche guardiano della nave, come si legge in un frammento di Sofocle: ώς ν α ο φ ύ λ α κ ε ς νυκτέρου ν α υ κ λ η ρ ί α ς π λ ή κ τ ρ ο ι ς ά π ε υ θ ύ ο υ σ ι ν ούρίαν τρόπον, Fragm. 143 (Tragic. Graecorum Fragmenta, ed. N A U C K , p. 163). J. SAUER, Symbolik des Kirchengebàudes und seiner Ausstattung, Friburgo 1924, 2 ed., p. 100, 393. 422 non dà alcuna spiegazione dell'origine del­l'espressione « nave della chiesa ». In MASSIMO CONFESSORE incontria­mo una spiegazione mistica dell'edificio ecclesiastico come « nave della chiesa ». Cfr. perciò H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, Einsiedeln 1962, 2 ed., p. 373-375.

522 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

vengono spiegate come parti della nave. Il catalogo delle somiglianze si limita qui ai seguenti simboli:

Pilota = Vescovo Marinai = Presbiteri Sorveglianti dei rematori = Diaconi Passeggieri = L'assemblea dei fratelli Arruolatori = Diaconesse.

Lo PS.-ISIDOEO si servì più a fondo dei modelli pseudoclementini nella prima lettera di papa ANACLETO da lui compilata 19. Egli presenta quasi lo stesso cata­logo della lettera di Clemente a Giacomo. Da ciò si può già giudicare, perché il medioevo, così incline al simbolismo, non poteva dimenticare totalmente questo antichissimo linguaggio patristico per immagini ; questo, infatti, era circondato dallo splendore di una tradizione quasi apostolica, e, per il diritto ecclesiastico d'Oriente e d'Occidente, era una chiara immagine adatta a rappresentare i santi Ordini della Chiesa, co­minciando dal vescovo sino all'ultimo passeggiero, « il laico che con tutta tranquillità e ordine prende il suo posto » 20. È così che vediamo che il gusto per cataloghi navali più ο meno esaurienti si prolunga attraverso tutta la letteratura patristica dell'Oriente e dell'Occi­dente. N o i scegliamo soltanto alcuni pezzi particolar­mente indicativi. In Oriente, una predica che va sot­to il nome di CRISOSTOMO, dà un catalogo esplicativo del paragone della nave 21 :

19 Epistola Anacleti, i, 2 (PL 130, 6os). 20 Constitutiones Apostolkae, 2, 57 (FUNK I, p. 161, 1. Js). - Simil­

mente già, ma non con l'espressione « laici », nella Epistola Clemetitis, 15 (PG 2, 49 C) .

21 Sermo in viuificam Crucem (PG 50, 817 AB).

r

LA NAVE DI LEGNO 523

Pilota a prua = Il Padre celeste Pilota a poppa = Cristo Nave = La fede nei due Testa­

menti esistente nella Chiesa

Legno del timone = La santa croce Vela = La grazia di Dio Buon vento = Lo Spirito Santo Rematori = Gli apostoli e discepoli

di Cristo Passeggieri = I profeti

In Occidente, Ambrogio soprattutto ha esaltato la Chiesa come buona nave, con una simbolica che per­corre tutte le sue opere. In una predica sull'opera dei sei giorni, egli conclude le sue spiegazioni sul mare e sul suo significato con parole, da cui noi estraiamo qui le immagini conduttrici:

« Successuum flamine prospero ligno currere tuto portu consistere fidei ignorare naufragia saeculi fluctus gubernator Dominus Jesus » 22.

Quanto un PIETRO CRISOLOGO seppe valorizzare il tesoro di immagini della simbolica navale, ce lo hanno mostrato già le parole citate all'inizio di questo capitolo. In un discorso per l'inizio del tempo del digiuno, egli paragona queste settimane che preparano alla gioia della festa pasquale, alla navigazione della vita, usando i seguenti simboli:

!! Hexameron, 3, 5, 24 (CSEL 32, 1, p. 75, 1. 11-16).

524 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

« Gubernante Christo flante Spiritu in crucis arbore vela tendamus sapientiae remis virtutum funibus gubernaculis disciplinae evictis voluptatum spumis vitiorum fluctibus criminum procellis scopulis peccatorum delictorum naufragia Paschae portum gaudia resurrectionis intremus » 23.

Ciò che qui si riferisce asceticamente e liturgica­mente ai singoli cristiani, è anche sorte generale della nave della Chiesa, sul cui cassero siede il buon pilota Cristo, che il Crisologo loda in una lingua che ricorda quasi i prefazi romani:

« Mare, hoc est mundum, corripit tranquillat orbem reges mitigat potestates placat sedat fluctus componit populos Romanos emcit christianos » 24.

A questi cataloghi, che potrebbero essere moltiplicati in molti modi, noi aggiungiamo ora due esempi, che negli studi fatti sino ad ora furono lasciati da parte. L'ingegnoso autore arianizzante dell'Opus imperfectum

" Sermo 8 (PL 52, 308 BC) . S4 Sermo 20 (PL 52, 225 A).

LA NAVE DI LEGNO 525

in Matthaeum dipinge la nave degli « eretici », ossia dei cattolici, con l'albero della croce lesionato, con le sue vele cascanti, a cui manca il soffio dello Spirito, che naviga verso il naufragio della morte eterna senza pilota. Di fronte a ciò, egli pone la vera nave di Dio, la Chiesa dei fedeli, che scivola sicura sopra il mare del mondo. Il suo catalogo dei raffronti è simile a quello di IPPOLITO:

« Mare saeculum intelligitur navis est Ecclesia Filium Dei habet gubernatorem fluctus sunt peccata et tentationes venti autem spirituales nequitiae gubernaculum fides remiges sunt angeli portat navis choros omnium sanctorum erecta in medio arbore crucis vela fidei evangelicae suspendens flante Spiritu Sancto ad portum paradisi deducitur » 25.

Nello stesso ordine di pensieri, papa Ormisda, in una lettera del 5 luglio 519 al patriarca Giovanni di Costantinopoli, dipinge il vescovo come il buon ti­moniere della sua Chiesa. Il vescovo è posto da Cristo come « rector navis ». Egli deve fare attenzione ai venti contrari, agli « spiritus diabolicae contumaciae ». La sua preoccupazione per la Chiesa consiste nel tener in mano il timone, il « clavus dominicae ratis », ed è così che egli deve guidare la nave sino alla pace del porto promesso, « ad promissi portus tranquilla » 26.

u Opus imperfeclum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755). '« Collectio Avellana, 169 (CSEL 35, p. 625, 1. 21 - p. 626, 1. 3).

526 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Con questi esempi2 7 preliminari abbiamo chiarito in ogni caso quanto sia stata pensata e amata la simbo­lica della nave della Chiesa in tutta la teologia patri­stica. A queste fonti attinse il medioevo. Ciò che noi leggiamo in un REMIGIO DI AUXERRE 28 ο nelle alle­gorie di ALANO DI LILLA 2 9 e ancora nelle « prediche

navali » di BERNARDINO DA SIENA 3 0 addirittura sovrac­

cariche di terminologia nautica, è una eco degli scritti dei Padri della Chiesa. Certamente la facilità con cui vennero accettate queste immagini dipende dal fatto che la tecnica navale dell'antichità, considerata nel suo insieme, restò la stessa sino al tardo medioevo. Ma proprio ciò ci impone il dovere di conoscere questa nautica, se vogliamo conoscere la ricchezza delle con­cezioni teologiche che si nasconde sotto il manto del­l'antica simbolica cristiana. Non era infatti soltanto lo spettacolo quotidiano delle grandi navi nei porti delle loro città, che spingeva gli antichi cristiani al continuo paragone con la nave della loro Chiesa. Sin dai tempi antichissimi, nelle scuole dei retori, presso i poeti e nel linguaggio dei politici, si era formata una simbolica nautica, i cui paragoni spesso già molto consunti, le cui locuzioni, dal tragico coturno dei drammatici sino

27 Per altri cataloghi cfr. ad esempio AMBROGIO, Explanationes iti Psalmum 47, 13 (CSEL 64, p. 355, 1. 8-16); PAOLINO DA N O L A ,

Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 186,1. 9- p. 187,1. 25) ; CESARIO D'ARLES, Sermo 136, 6 ( M O R I N I, p. 538, 1. 26 - p. 539, 1. 8). - J. DANIÉLOU,

Les Symboles chrétiens primitifi, Parigi 1961, p. 68 richiama l'attenzione sul fatto che anche EPIFANIO, Panarion, 61, 3-4 (PG 41, 1041S), pre­senta un catalogo completo dei simboli nautici.

sa Homilia 9 (PL 131, 914 D - 916 B). Remigio attinge qui, parola per parola, da RABANO MAURO (PL 107, 863 CD) .

29 Liber in distinctionibus dictionum theologicarum (PL 210, 8505., 872). 30 Sermones, 33-37 per la quaresima (Opera omnia, Venezia 1745,

3 p. 105SS).

LA NAVE DI LEGNO 527

al proverbio popolare, si presentavano in immagini sempre nuove prese dal mondo della navigazione. Tutto ciò è assunto ora dalla predicazione e dalla teo­logia cristiane, per essere applicato all'amata nave della Chiesa.

2. L'ANTICA SIMBOLICA DELLA NAVE

Lo sguardo dato al catalogo navale della teologia patristica ci ha già mostrato che questo sviluppo del simbolo non può in alcun modo essere spiegato solo a partire dai modelli biblici della Chiesa, l'arca di Noe e la barca di Pietro. Qui vige piuttosto una legge, che noi possiamo osservare continuamente nella teologia simbolica: le semplici immagini bibliche, come quelle della vite, della perla, della veste nuziale, dell'acqua viva, della luna, portano in sé una forza embrionale che poi viene posta in atto attraverso il contatto con il mondo saturo d'immagini della tarda antichità greca, e che dispiega una tale ricchezza, che bisognerebbe scrivere tutta una storia per ciascuna di queste immagini. Lo stesso si dica ora anche della nave della Chiesa. La piccola barca del pescatore di Galilea diventa una grande nave rulleggiante. Questa tendenza a svilupparsi è osservabile del resto anche nell'ambiente estracri-stiano della simbolica. Un parallelo alla storia della nostra immagine si trova in qualche modo nella ma­niera in cui la barchetta di Caronte, il quale nella rap­presentatività originaria del simbolo trasporta le anime sull'Acheronte remando faticosamente, è diventata in LUCIANO una nave statale. Nel Cataplus, Caronte de­scrive il suo mezzo di trasporto allo psicopompo Mer­curio, che gli ha portato più di trecento anime in una

528 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sola volta : « La mia nave è apparecchiata nel miglior modo per la traversata. L'acqua della chiglia è stata svuotata, l'albero rizzato, la vela spiegata, i remi sono appesi alle correggie. Nulla impedisce di ritirare l'an­cora e di salpare»3 1 . E un'altra volta, Luciano pre­senta Caronte che dipinge i pericoli di questo viaggio marino sull'Acheronte con tutte le sue tempeste e con l'angoscia degli inquieti passeggieri 32. Tutto ciò aveva certamente un'intenzione spiritosa in Luciano ed ha certamente fatto questa stessa impressione all'antico lettore. Ma ciò indica tuttavia che la forza immagina­tiva del simbolo tende sempre a passare dal semplice al ricco, e che era dunque possibile che l'allegoria cri­stiana dell'arca e del piccolo peschereccio potesse di­ventare quella nave della Chiesa, che ci ha descritto Ippolito. Sono state dunque l'osservazione della tec­nica navale e l'antica tradizione retorica a spingere verso questa evoluzione. Pertanto, noi dobbiamo es­porre in primo luogo la ricchezza di questa simbolica navale ellenistica, a partire dalla quale diventa compren­sibile lo sviluppo cristiano di questa immagine. Qui è importante rifarci ancora una volta al fondamento spirituale originario, da cui deriva l'allegoria della nave come comunità di destino per la vita e per la morte. Quindi presentiamo i tre gruppi principali della simbolica navale, che furono escogitati dagli an­tichi e che ebbero importanza per la formazione della simbolica ecclesiale.

La forma originaria della simbolica navale, da cui possiamo comprendere perché il navigatore della cul-

31 LUCIANO, Cataplus sive Tyrannus, ι ( R E I T Z , p . 620). 3 2 LUCIANO, Charon sive Contemplante;, 3 ( R E I T Z , p . 493s).

LA NAVE DI LEGNO 529

tura mediterranea si rivolga continuamente alle imma­gini prese dalla navigazione, è quell'atteggiamento che si compone di terrore e di audacia e che si può benis­simo designare con i termini del καλός κίνδυνος33, del « pericolo di morte meravigliosamente audace ». Che l'uomo abbia cominciato a pensare di traversare il mare cattivo su un legno scavato, è cosa talmente inconcepibile per l'uomo antico, che egli vede le origini della navigazione in eventi mitici, ripieni di terrore divino. La storia degli argonauti 34 e il mistero di Iside 35 ripongono l'inizio della navigazione umana in un passato oscuro, vicino agli dei. E l'antico navi­gatore vede la prima nave degli audaci mortali, la nave Argo, brillare come una costellazione nel cielo notturno 36. La navigazione è divenuta per così dire un peccato originale, poiché nell'« età aurea » della perduta felicità umana ancora non si viaggiava per mare. In quei tempi, come dice ANTIFILO in un bello epigramma, si vedeva « il mare ancora lontano come un Ade » : ed è per questo che egli chiama la prima nave anche Τόλμα, « l'Audace »37. Ma l'uomo non

3 3 Cfr. sopra, a p. 420, nota 77. 5 4 M A N I L I O , Astronomica, 5, 32-56. - R E II, 1 (1895) col. 743-787:

Argonautai. - RE II, 1 ,col. 721-723 : Argo. 3 5 IGINO, Fabulae, 277. - Anthologia latina, 743 (RIESE II, p. 215). -

FULGENZIO AFRICANO, Mythologicon, 25. - CASSIODORO, Var., 5, 17

(PL 69, 657C). - W . H. ROSCHER, Lexikon der griechischen unii ròmischen Mythologie, 1890-1897, v. 2, p. 474-490.

38 ARATO, Phainomena, 341-351. - AVIENO, Aratus, 756-768. -IGINO, Fabulae, 14. - Cfr. le costellazioni carolingie nelle mappe ce­lesti ancora ispirate allo spirito antico: A. GOLDSCHMIDT, Die deutsche Buchmalerei, v. I, Die karolingische Buchmalerei, Firenze-Monaco 1928, p. 19, tavv. 14 e 80.

37 ANTIFILO DI BISANZIO, Epigramma 23 (= Anthologia graeca, 9, 29, BECKBY, v. 3, p. 28). Cfr. K. MULLER, Die Epigramme des Anti-

530 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

può più liberarsi da questo audace peccato. « Cattivo è il mare, e la navigazione è una cosa audace e temera­ria », dice ALCIFRONE nelle sue lettere pescatone, e chi va per nave, è un « vicino della morte » 38. Ma il gua­dagno è importante, le terre straniere attirano, ed è dolce entrare nel porto con il cassero ornato di fiori. Nelle sentenze del « silenzioso » ateniese SECONDO, che ebbero un così grande influsso sino al medioevo, viene riecheggiato questo sentimento nelle risposte alla do­manda «Cos'è un navigatore?»: «Egli è su questa terra soltanto un ospite, un disertore della terraferma, un combattente contro le tempeste, un gladiatore del mare. Egli è continuamente incerto di salvarsi, è un vicino della morte, ma anche un ardente amante del flutto marino: θανάτου γείτων, θαλάσσης εραστής3 9. Ciò si trasferisce alla stessa nave : questa è « una casa senza fondamento, un qualcosa di galleggiante un sepol­cro sempre aperto, una morte navigante » 40. E tuttavia : quando l'uomo antico vede la solida nave con le vele gonfie, egli non conosce alcun simbolo più bello di tutte le speranze. Le νηες ούριο δρομοΰσαι sono, per

philos von Bysanz, Berlino 1935 (= Neue deutsche Forschungen, Sezione Klassische Philologie, 2), p. 6os. Antifilo ha una grande predilezione per epigrammi desunti dalla simbolica nautica; cfr. le esposizioni di MULLER, p. I I S .

3 8 ALCIFRONE, Epistolae piscatoriae, 1, 3 (SCHEPERS, p. 4s). Così a p. 5, 1. i o : φ ε ύ γ ω μ ε ν τ η ν προς -9-άνατον γ ε ι τ ν ί α σ ι ν . - Cfr. per ciò il frammento delle elegie di SOLONE, I, 43-46: « N o n pen­sando all'anima, né alla vita », è il pericoloso viaggio intrapreso sol­tanto per brama di guadagno (Anthologia Lyrìca Grana, Lipsia 1936, v. 1, Sez. 1, p . 26).

39 SECONDO, Sententiae, 18 (MULLACH, Fragm. Phil. Graec, v. 1, P· 515)· - Cfr. J. BACHMANN, Das Leben una die Sentenze» des Philo-sophen Secundus des Schweigsamen, Halle 1887.

40 Sententiae, 17 (MULLACH I, p. 514).

LA NAVE DI LEGNO 531

la simbolica dei sogni di ARTEMIDORO 41, segni pre­

monitori di felicità terrestre, come pure, per CLE­

MENTE ALESSANDRINO 42, immagini della speranza cri­

stiana. Artemidoro ci dà, in un altro passaggio, tutto un catalogo di simboli navali: viaggio liscio significa il bene; tempesta significa pericolo; ancora e porto predicono riposo; l'albero significa il signore; il nau­fragio preannuncia la morte43. Così nell'antica sim­bolica navale si mescolano continuamente terrore e audacia. « Chi va per mare, è ipocondriaco ο povero ο vorrebbe morire», dice ΓAntologium di STOBEO 4 4 ; « miserabile è la vita sul mare » ; e (da un frammento di EURIPIDE): «beato colui che dopo un viaggio for­tunato è tornato a casa ed ha portato a terra il carico della nave ; eppure egli va di nuovo per mare ! ». Na­vigare è un giuocare con l'orribile Tyche, e « l'abete scavato » non salva l'uomo, quando il destino non vuole, dice DIONE CRISOSTOMO nei suoi discorsi sul destino 45. La tomba del naufrago Peto serve di monito a tutti i navigatori che la vedono : « Et quotiens Paeti transibit nauta sepulchrum, dicat: et audaci tu timor esse po-tes » 46. Ma questo non è che un lato della simbolica. L'uomo antico, nonostante ogni timore, loda l'auda­cia del navigatore; questa è per lui un segno della pre­senza della divinità nell'uomo. Fu POSEIDONIO che

4 1 ARTEMIDORO, Oneirokritika, 2, 68 (HERCHER, p. 159, 1. 25 -

p. ióo, 1. 1). 42 CLEMENTE, Paidagogos, 3, 11, 59 (GCS I, p. 270, 1. 7. - Cfr.

sopra, a p. 411, nota 39). 43 ARTEMIDORO, Oneirokritika, 2, 23 (HERCHER, p. 115-117). 44 STOBEO, Anthologium, 4, 17 (HENSE, p. 400-405). 4 5 D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64, De fato, 2, io (DE BUDE, V. 2,

p. 190, 1. 23S). 4· PROPERZIO, Elegia 3, 7, 27S.

532 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

espresse spesso questo pensiero nella sua dottrina sul­l'uomo così pregna di religiosità : noi ne sentiamo ancora l'eco in NEMESIO

47 : « Chi può mai esprimere a parole l'alta dignità dell'uomo? Egli cammina sul mare, penetra nel cielo con il suo pensiero, osserva il movimento delle costellazioni » ! La stessa cosa espri­me, attingendo in vero da Poseidonio, anche CICERO­

NE 4 8 . Per questo l'uomo antico ha dato ai suoi bravi battelli preferibilmente dei nomi superbi, come Au­dacia, Speranza, Gioia : se noi percorriamo i nomi di navi raccolti da A. BOECKH dalle fonti ateniesi, rileviamo come tutto ciò sia una specie di anticipa­zione di quanto i cristiani diranno un giorno della nave della loro Chiesa: Salvezza, Grazia, Faro, Beata, Vittoriosa, Vergine, Colomba, Salvatrice, Previdenza, Aiuto e Pace, sono i nomi delle navi greche49. La nave è pensata sempre al femminile ; in Aristofane50

viene chiamata « Vergine » e ne dà una lunga spiega­zione; poiché, egli dice, il navigatore greco è dedito alla sua nave come ad una persona amata. L'antichis­sima sacra nave di Teseo, con cui ogni anno si festeg­giava la Teoria di Delos, e le cui assi fradicie venivano accuratamente sostituite, diventa per PLUTARCO il sim­bolo eloquente dell'organismo umano, che si rinnova continuamente con freschezza giovanile51. L'opposto

47 NEMESIO, De natura hominis, i, 75 (PG 40, 533 A), Cfr. W. JAEGER, Nemesios von Emesa, Berlino 1914, p. 134.

48 CICERONE, De natura deorum, 2, 6o, § 152; 61, § 153. 41 A. BOECKH, Urkunden iiber das Seewesen des attischen Staates,

1840, p. 84-93. 50 ARISTOFANE, Equites, 1300-1315. 51 PLUTARCO, An seni sit republ. ger., 6 (768 F; 187 A). - Teseo, 23. -

Su altre navi sacre della pietà ateniese cfr. A. Boeckh, Urkunden, p. 76-78.

LA NAVE DI LEGNO 533

di ciò viene espresso nell'epigramma di MELEAGRO,

che presenta gli amanti che invecchiano come « vecchie fregate » e paragona le singole membra del loro corpo divenuto deforme con singole parti della nave 52. Solo uh greco poteva scrivere qualcosa di simile. La lette­ratura antica è dunque come intessuta di simbolica navale. L'amore è come un ardito pericoloso viaggio per mare53; il furbo greco e il romano «girano la vela verso il vento »54 ; la morte viene verso di noi « a gonfie vele » 55. Mentre noi oggi parliamo di segare il ramo su cui uno siede, l'uomo antico invece parla di « forare il fondo della nave »56. La rinuncia alla battaglia è detta « ammainare le vele »57 : insomma, la sapienza antica dei proverbi non si stanca di ricor­rere a paragoni navali, e così, mentre noi oggi diciamo « dalla A alla Ζ », l'antichità invece diceva a prora ad puppim 58.

52 Anthologia Graeca, $, 204 (BECKBY, I, p. 346). 53 Cfr. gli epigrammi di ANTIFILO, Anthologia Graeca, 9, 415. -

Anche in APULEIO, Metamorph., 2, li l'amore è concepito come viag­gio di mare, in cui l'amica porta il cibo a Lucio con le parole «hac enim sitarchia navigium Veneris indiget sola ». - PS.-OVIDIO, Epistula Sapphus, v. 215 : « Gubernabit residens in puppe Cupido ». - GERO­LAMO, Epistola 128, 3 (CSEL 56, p. 159, 1. 4-6): matrimonio come pericoloso viaggio di mare.

54 PLAUTO, Epid., 49: « Utcumque in alto ventus est... exin velum vortitur ». - Si tratta delle stesse parole di PINDAHO citate da PLUTARCO, De fortuna Romanorum, 4 (318 A), secondo cui l'incostante « manovra sempre un duplice timone ».

55 QUINTILIANO, Dedam., 12, 16 : « Plenis velis mors venit ». 5" CICERONE, Pro Scauro, 45 (cfr. QUINTILIANO, Inst. orai., 8, 6,

47) : « Navem perforare in qua ipse naviget ». - GEROLAMO, Epistola 7, 5 (CSEL 54, p. 30, 1. 4s).

57 ORAZIO, Carmina, 2, io, 22. - CICERONE, Ad Atticum, 1, 16, 2. 53 CICERONE, Ad familiares, 16, 24, 1. - Cfr. per tutto ciò che si

riferisce ai proverbi nautici A. OTTO, Die Sprkhworter und sprichwórt-lichen Redensarten der Rómer, Lipsia 1890, p. 288s; p. 239S.

534 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Sullo sfondo di questa simbolica c'è l'orgoglio del­l'uomo antico per la sua « buona nave », la cui costru­zione ideata e il cui governo impresso dallo spirito umano hanno sconfitto il mare minaccioso. La nave è dunque il simbolo appropriato di una comunità di destino, in cui ne va della vita e della morte, della vittoria ο della sconfitta: il fondo della nave è impe­netrabile, ma è separato di un solo pollice dall'elemento ferale; la sua fortuna non dipende dalla bellezza della costruzione e dell'armamento, ma solo dalla funzio­nalità delle sue parti; il viaggio tranquillo è condizio­nato dalla disciplina e dalla coesione quasi gerarchica di tutti i passeggieri e soprattutto dell'equipaggio.

Queste affermazioni potrebbero essere dimostrate con una massa di documenti. Qui ci limitiamo a illu­strare il valore simbolico del concetto « nave buona ». SENECA lo ha così descritto : « Navis bona dicitur non quae pretiosis coloribus pietà est nec cui argenteum aut aureum rostrum est... sed stabilis et firma et iunc-turis aquam excludentibus spissa, ad ferendum incur-sum maris solida, gubernaculo parens et non sentiens ventum » 59. Si può addirittura prender parte alla gioia che l'uomo greco aveva per le sue navi, quando LU­CIANO presenta la curiosa popolazione ateniese che accorre verso il porto ad ammirare la grande nave da grano proveniente dall'Egitto, che è appena entrata in porto: ήλίχη ναϋς, «che nave meravigliosa!», gri­dano i topi di terraferma, a cui i marinai mostrano tutte le particolarità, dalla carena alla purpurea vela di cima, e che tuttavia è guidata unicamente dal pilota, un vecchio stroppio che « all'elegante piccolo manu-

SENECA, Epistola ad Lucilium, 76, 13.

LA NAVE DI LEGNO 5 3 5

brio » piega il gigantesco t imone6 0 . La nave antica è un mondo a sé, un cosmos con propria legalità dal momento in cui la gomena dell'ancora viene sciolta. « Nave » è comunità di destino. « In eadem es navi », dice CICERONE, quando parla dell'ineluttabile ugua­glianza del comune destino 61. Ed egualmente LIVIO : « In eodem velut navigio participes sunt periculi »62. Per questo la buona nave è il simbolo appropriato del « viaggio della vita » in tutti i suoi eventi. È soltanto una eco della gioia marina veramente greca, quando GREGORIO NAZIANZENO descrive la fortunata nave, quasi allo stesso modo che Seneca : « N o n sia la tua nave colorata con graziosi colori, né brilli di bellezza civettuola, se deve sopportare le forti scosse del mare. No , una buona nave è ben inchiodata ed è a prova di mare e solidamente connessa dal costruttore: soltanto così essa taglia le onde » 63.

Gregorio parla qui della nave della vita umana: ma ciò segna già il passaggio alla simbolica della nave della Chiesa. Il cristiano sa bene che la sua Chiesa è la comunità di destino, dalla cui bontà e dalla cui buona tenuta dipende la vittoria contro il mare cattivo. Sol­tanto questa « buona nave » può solcare le onde delle passioni e le tempeste degli errori che mettono in pe­ricolo la salvezza. BASILIO DI SELEUCIA, con una re­

torica ricca d'immagini, ha descritto la buona nave della Chiesa, mentre attraversa gli urli delle onde con

80 LUCIANO, Navigium seu Vota, 4, 5 (REITZ , p. 250S). " CICERONE, Ad familiares, 2, 5, 1.

" LIVIO, 46, 22, 13.

•3 GHEGOEIO NAZIANZENO, Carmina, 1, 2, 9, vv. 141-144 (PG 37,

678S). - Eguale quadro della « nave buona » in Carni., 2, I, 17. vv. 5-8 (PG 37, 1262).

536 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

vele scoppiettanti e gomene cigolanti64. E AMBROGIO

chiama la Chiesa espressamente la « buona nave » : « Nam cum Ecclesia multis tamquam bona navis fluc-tibus saepe tundatur, adversus omnes haereses debet valere Ecclesiae fundamentum » 65. Essa è « la nave che porta il popolo » 66 ; all'interno delle sue assi protettive si svolge la vita salutifera di Gesù67, essa è la mulier fortis, di cui è scritto : « Navigane per mare saeculi huius » 68. È la nave che tiene bene in mare, sulla quale il pericoloso rischio della fede può essere affrontato senza subire naufragio. « Ο tu sublime pericolo, tu che c'insegni dove soltanto è gettata l'ancora della salvezza. Mare in tempesta, su di te soltanto noi im­pariamo cosa significhi credere » 69 !

Da questo atteggiamento, che abbiamo chiamato la forma originaria della simbolica navale, per il fatto che esprime il pensiero allegorico con immagini sem­pre nuove, risultano soprattutto tre ordini di immagini, la cui storia dobbiamo ora esporre, poiché tutti e tre sono di particolare importanza per la formazione e per la comprensione della simbolica della nave della Chiesa: gli antichi parlano di nave dello Stato, di nave dell'anima, di nave del mondo, e a loro volta i cristiani

64 BASILIO DI SELEUCIA, Oratio 22 (PG 85, 265 A). 86 AMBROGIO, De incamationis dominkae sacramento, 3, 34 (PL 16,

827 B). 66 CASSIODORO, Expositio in Psalterium, al Sai 103,26 (PL 70,

737 D). t7 CRISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 257 D; 258 A). 68 SALONIO DI GINEVRA, Expositio mystica in Parab. Salomonis,

su Prov 31,14 (PL 53, 990 B). β ί BASILIO D I SELEUCIA, Oratio 22 (PG 85, 267 A ; 269 A ) : ώ

κινδύνου δ ι δ ά σ κ ο ν τ ο ς π ο ϋ τ η ς σ ω τ η ρ ί α ς ή ά γ κ υ ρ α ... θ ά λ ­α σ σ α π α ι δ ε υ τ ή ρ ι ο ν π ί σ τ ε ω ς ;

LA NAVE DI LEGNO 537

diranno che la Chiesa come buona nave è l'attuazione e l'incarnazione di Polis, di Psyche e di Cosmos.

In primo luogo, il navigatore greco ha dinanzi a sé la nave dello Stato; di ciò esiste ancora una eco nel nostro pensiero, quando parliamo dì governatori ο del timone dello Stato. Con la simbolica della nave come comunità di destino ben ordinata, saggiamente guidata da un solo uomo, protetta contro un pericolo incom­bente, i naviganti Greci erano portati spontaneamente a vedere nelle loro navi un simbolo appropriato della Polis, del patrio Stato. Questa immagine si è conser­vata con forza e con straordinaria tenacia dalle prime fondazioni delle città-stato greche sino all'epoca del­l'impero bizantino. Delineiamo brevemente le linee principali di questa ricca storia di idee.

La testimonianza più antica di simbolica navale politica ci è conservata in due frammenti di ALCEO DI MITILENE70, che ERACLITO ha custodito nelle sue Allegoriae Homeri71. « Nave dello Stato nella tem­pesta », così potrebbe intitolarsi il poema, in cui Alceo esprime la sua aristocratica avversione verso la tirannia di Myrsilo su Lesbo (dopo il 612 a. C ) . Da Alceo dipende il frammento dell'elegia di TEO-GNIDE72, come pure la lingua nautica dei tragici clas­sici. Ma è ORAZIO soprattutto che ha amato e imitato Alceo. Allo scoppiare della battaglia decisiva tra Otta­viano e Antonio, egli compose il famoso carme sulla

70 ALCEO, Frammento 18 e 19 (Anthologia Lyrica Gaeca, 1936, v. 1, Sez. 4, p. 150).

71 ERACLITO, Quaestiones Homerkae, 5 (OELMANN, p. 6s). " TEOGNIDE, Eleg a Simonide, v. 671-682 (Anthologia Lyrica

Graeca, v. 1, Sez. 2, p. 46). Cfr. J. KROLL, Theognisinterpretationen (= Philologus, Supplemento 29, 1), Lipsia 1936, p. 134, nota 322.

Mt

538 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nave dello Stato romano : « Ο navis referent in mare te novi fluctus? Ο quid agis? Fortiter occupa por-tum »7 3 ! Nelle scuole dei retori, questo poema divenne poi per così dire il modello classico dell'allegoria na­vale dello Stato, come sappiamo dalla definizione che dell'allegoria diede Quintiliano: 'Αλληγορία quam in-versionem interpretantur aut aliud verbis, aliud sensu ostendit, aut edam interim contrarium. Prius fit genus plerumque continuatis translationibus, ut ' ο navi re­ferent in mare te novi fluctus...' totusque ille Horati locus, quo navem prò re publica, fluctus et tempestates prò bellis civilibus, portum prò pace atque concordia dicit » 74.

Tuttavia il pensiero antico, più che dalla tradizione lirica e retorica, fu formato dal serio ideale dello Stato dei tragici greci, che rivestono continuamente i loro pensieri con immagini navali. La Polis è la nave amata, sul cui cassero siede il « pilota dello Stato » e porta la responsabilità sociale della salvezza, per il felice viaggio della cosa comune. I versi iniziali dei Sette contro Tebe di ESCHILO risuonano come un motivo guida, che da allora viene continuamente variato: « Cittadini di Cadmo, a tempo debito deve elevare la sua parola colui che sul ponte della Polis veglia e guida il timone delle leggi; mai il suo occhio può chiudersi stanco nel sonno»!75. L'arte politica è una nautica: την πάλιν

" ORAZIO, Carmina, i, 14. - ORAZIO conosce bene ALCEO, cfr. Carni., 1, 32, 5 ss.

7 4 QUINTILIANO, Instit. orai., 8, 6, 44. - Ivi, 8, 6, 45-50, ove sono adunate le molte allegorie nautiche di Cicerone.

, s ESCHILO, Sette contro Tebe, vv. 1-3. Cfr. anche Le supplici, 344S; Eumenidi, 16, 765; Agamennone, 802. - EURIPIDE, Oreste, 795.

LA NAVE DI LEGNO 539

ναυστολεΐν76, ναυκληρεΐν πόλι,ν77 son diventate e-spressioni comuni. Solo se ascolta il divino veggente, il re può dirigere rettamente la nave della Polis, dice Tiresia a Creonte nell'Antigone78. E SOFOCLE dipinge meravigliosamente la nave dello Stato in mezzo alla tempesta, sul modello di Alceo e Pindaro79.

Il contributo maggiore all'affermarsi di quest'or­dine di immagini è venuto dal fatto che la simbolica nautica ha trovato una vasta applicazione anche nella filosofia vera e propria dello Stato elaborata dai Greci. Alla sommità c'è PLATONE, il quale, nei suoi viaggi per mare, che l'ardente desiderio di creare uno Stato ideale gli fece intraprendere tre volte verso la Sicilia, conosceva naturalmente l'eccellente applicabilità dei procedimenti nautici al pensiero politico. Sono stati i disordini politici della sua patria ateniese a dettargli quelle parole : « Molti Stati affondano come navi che fanno acqua, sono già affondati e affonderanno in fu­turo, e questo per la cattiveria del pilota e dell'equi­paggio, che nelle grandi cose possiedono la più grande stupidità »80. È risaputo, che secondo Platone i filo-

'6 EURIPIDE, Suppl., 474. " ESCHILO, Sette contro Tebe, 653. ,s SOFOCLE, Antigone, 994. Indi il proverbio : « tener dritto il

timone », ossia « compiere imperturbato il proprio dovere » ; ISIDORO DI SIVIGLIA cita ancora a questo proposito alcune parole di E N N I O : « D u m clavum rectum teneam navemque gubernem » (PL 82, 667 A). - In CICERONE appare per questo la forma greca: ό ρ θ α ν τ ά ν ν α ϋ ν : Ad Quintum fratrem, 1, 2, § 13. Cfr. anche QUINTILIANO, Deci., 2, 17, 24 e SENECA, Epist. 85, 33. Così pure CICERONE, Ad jamiliares, 12, 2 5 , 5.

78 SOFOCLE, Edipo Re, 22-24; Antigone, 162S. - Cfr. FR. D O R N -SEIFF, Pindars SUI, Berlino 1921, p. 65, ove è riportata una serie di altri esempi della poesia greca sulla « nave dello Stato in tempesta ».

»° Polii., 302 A.

540 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sofì dovrebbero reggere gli Stati. Nel Gorgiassl, egli dipinge le virtù del pilota filosofo; così fa pure nel Politikos 82 e in modo più esauriente nella Repubblica 83, ove la subordinazione, necessaria in una nave ben guidata, ponendo tutti sotto l'unico naukleros, opera la salvezza, mentre al contrario (come era spesso il caso in Atene), ogni perdizione viene dal fatto che il naukleros non comprende nulla ed ogni marinaio vuol essere un pilota. Anche nelle Leggi ritorna il paragone, questa volta però applicato anche al corpo umano, che viene appunto guidato come una nave: anima e testa sono per così dire timoniere e capo timoniere: l'anima con la ragione, la testa con gli occhi e le orecchie. Ambedue debbono ben collaborare e così deve suc­cedere anche in un buon Stato tra governatore e col­laboratori nel governo. Così soltanto ci sarà salvezza, salute e benessere84. Anche per ARISTOTELE, questa disciplina e questa subordinazione navale è un ottimo simbolo di tutte le virtù civili del cittadino, le quali, nonostante la diversità di funzioni politiche e di di­ritti politici, hanno soltanto un unico scopo comune: il felice viaggio, e cioè il buon « viaggio » dello Stato 85. DEMOSTENE lo ha detto in alcuni famosi passi del suo discorso Sulla corona e nella terza Filippica dinanzi ai volubili Ateniesi, nei suoi paragoni navali si sente

81 Gorgia, 67 (511 A). ·« Polit., 296 D. " Repub., 488 A/E. - Cfr. anche Leggi, io (902 D) . - Alcibiade,

1 (117 C D ; 119 D; 124 E, 135 A). - Repub., 389 C: naufragio dello Stato.

84 Leggi, 12, io (961). - Cfr. Polibio, 6, 44, 3-7, ove sotto l 'im­magine della nave viene dipinto l 'ordinamento politico degli Ate­niesi.

85 ARISTOTELE, Polii., 3, 4 (1276 B). Cfr. anche 7, 6 (1327 AB).

LA NAVE DI LEGNO 541

il rovente timore del patriota per la nave dello Stato minacciata dalla tempesta86. Le stesse cose dice Plu­tarco nei suoi scritti politici, 87 tutti intessuti di imma­gini prese dalla nautica platonica, composti in un pe­riodo in cui i Greci già sedevano come « passeggieri tranquilli » nella grande nave dello Stato romano. Roma come nave: qui ci troviamo nel punto dello sviluppo delle idee, in cui ben presto i cristiani parle­ranno, in un senso del tutto diverso, di una nave, il cui pilota siede sul cassero della sede romana e guida il veicolo veleggiante attraverso l'ecumene. PLUTARCO, da cittadino romano del mondo, ne La fortuna dei Romani ha descritto la costruzione della buona nave della gran­dezza romana : « Una nave mercantile, una galena viene costruita con molti colpi violenti, con la sega, i martelli, i chiodi, le asce. Quando è terminata, deve restare ferma per un certo tempo ancora, sinché la connessione sia divenuta stabile e i cavicchi si siano ben conficcati. Quindi la si lascia scendere in acqua con le giunture ancor lente e cedevoli, di modo che per lo scuotimento si allenterà e la nave comincerà a far acqua. Proprio così succede nel caso di Roma » 88. Abbiamo già ascoltato con quali parole ORAZIO, in un'ora difficile della politica romana, cantò la fradicia nave dello Stato, mentre CASSIO DIONE presenta Me­cenate che, in un finto discorso, descrive la nave dello

86 DEMOSTENE, Oratio 18, r94 (discorso della corona); Oratio 9, 128 (terza Filippica, 3, 69). - Cfr. J. STRAUB, De tropis et figuris quae in-veniuntur in orationibus Demosthenis et Ciceronis, Wurzburg 1883, p. 54s.

« PLUTARCO, Praec. rei pubi, gerendae 13 e 15 (807 B C ; 812 C) . -Agide, 1 (795).

88 De fortuna Romanorum, 9 (321 DE).

542 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Stato romano sballottolata dalla tempesta89. Senonché la fierezza dei Romani prevale sulla magnifica nave della loro respublica. « Io non ho timore della nera nuvoletta sul tuo volto », dice fieramente CICERONE

nel suo discorso contro L. Pisone, « io, che così a lun­go ho guidato la nave dello Stato »: « Qui in maximis turbinibus ac fluctibus rei publicae navem gubernassem salvamque in portu conlocassem» 90. Per un uomo cosi amante di Roma, non ci potrebbe essere un compito più elevato di questo : « Clavum tanti Imperli tenere et gubernacula rei publicae tractare »91. Anche LAT­TANZIO loda i buoni imperatori che dopo il governo di terrore di Domiziano guidarono il timone dello Impero : « Multi ac boni principes Romani Imperli clavum regimenque tenuerunt »92. « Guida di nuovo tu il mio timone », supplica Roma nel panegirico, rivolgendosi all'imperatore Massimiano93. Anche gli imperatori divenuti cristiani restano pieni di questa consapevolezza di dover guidare il timone della nave del mondo. Ciò è importante per la formazione del­l'ideale politico dei successori di Costantino, poiché essi vedono che ora un'altra e migliore nave attraversa l'Impero: la Chiesa. Il problema politico che ne de­riva può essere condensato precisamente nelle seguenti parole: è la Chiesa che è come un passeggiero della

·· CASSIO DIONE, Hist. Romanorum, 52, 16, 3, 4. 80 CICERONE, Or. in L. Pisonem, § 20. 91 Or. prò P. Sestio, § 20. Cfr. anche ivi, § 46; «Rei publicae

navem ». La stessa cosa anche in Oratio prò S. Rascio, 51 ; De domo sua ai pont., 24.

»' LATTANZIO, De mortibus persecuiorum, 3, 4 (CSEL 27, p. 117, 1. 14S).

•3 Panegyricus (a Massimiano e Costantino dell'anno 307), 6, 11, 4.

LA NAVE DI LEGNO 543

nave dello Stato, oppure è lo Stato che è un « laico seduto tranquillo» sulla nave della Chiesa? Costantino, nel Discorso alla santa assemblea, si è rivolto alla vergine Chiesa con le parole, che noi comprendiamo soltanto nell'antico modo greco di pensare la nave come donna e come vergine: «Ascolta ora, ο piena di ogni vergi­nità purissima, tu che sei divenuta in parte la padrona di questa nave, ο Chiesa, tu alma madre di una schiatta debole e inesperta » 9 4. Contro di ciò però alla fine del pomposo discorso, che nel 335 Eusebio tiene all'im­peratore nel palazzo di Costantinopoli, risuonano le parole che parlano dell'imperatore come padrone della nave dell'universo, parole che non furono più dimen­ticate : « L'imperatore siede eccelso sul trono come sapiente pilota, egli ha cura del braccio del timone, egli governa la nave verso una certa rotta, egli guida tutti i suoi sudditi con buon vento verso il porto si­curo e senza tempesta »95. È ben risaputo come Co­stantino e i suoi figli si sentissero padroni anche della nave della Chiesa, come « vescovo dei vescovi », pilota della nave dello Stato, il cui albero e labaro è la Croce e i cui tranquilli passeggieri debbono essere anche i cristiani. Questa onnipotenza ierocratica dello Stato ha trovato la sua espressione immaginifica sulle mo-

·.* EUSEBIO, Constantini oratio ai sanctum coetum, 2 (GCS Eusebio, 1, p. 155, 1. 2is): όίκουε τοίνυν, άγνείας παρθενίας τ'έπήβολε ναύκληρε, 'Εκκλησία, άωρου τε καί άδαοϋς ήλιχίας τιθήνη. La trasmissione manoscritta della frase ad ogni modo non è completa­mente chiara, poiché secondo PG 20, 1237 A (nota 94) tali parole potrebbero riferirsi anche al vescovo della comunità ecclesiale, pen­sata come presente, e non alla Chiesa. Noi preferiamo però il testo critico di SCHWARTZ.

95 EUSEBIO, Laus Constantini, io (GCS EUSEBIO, I, p. 223, 1. 12-15).

544 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nete96 della dinastia costantiniana. L'imperatore sta vittorioso al centro della nave statale, a poppa c'è un genio alato, la Fortuna Romanorum ο un angelo custode, che tiene la barra del timone: l'imperatore tiene in mano il labaro che è piantato come un albero e la òtì-όνη 97 con i segni di Cristo, sull'antenna. « Guberna-cula orbis regere », così il Codice di Giustiniano descrive l'ufficio imperiale98. E nella fiera vita, che COSTAN­

TINO IL PORFIROGENITO dedica al suo antenato Basilio, l'impero romano è denominato la « nave del mondo », e nota esplicitamente che tra le assi di questa nave si trova anche la Chiesa99.

Se dunque dinanzi agli occhi dell'uomo greco ci sono, come una buona nave, lo Stato quale cosa co­mune ben ordinata, l'impero romano come già, a suo tempo, la città commerciale di Alessandria con la sua nave di Iside per simbolo 10°, oppure, in epoca

·* Cfr. per ciò J. MAURICE, Numismatique constantinienne, Parigi 1911, v. 2. - Riproduzioni di monete costantiniane con la nave sta­tale in FH. MUNSTER, Sinnbilder und Kunstvorstellungen der alteri Christen, Altona 1825, tav. 3, fig. 70: una moneta di rame di Costantino. -J. GRETSER, De Cruce, Regensburg 1734, v. 3, p. i8s: monete di Co ­stantino.

*7 «Tela da vele» (= ό-9-όνη): cosi già EUSEBIO, Vita Constantini, 1, 38, 2 (GCS Eusebio, I, p. 22, 1. 6) chiama il pezzo di stoffa che pende dall'unica antenna della nave simile ad una trave trasversale (= κέρας, ivi, e p. 2 i , 1. 32) del labaro.

88 Cod.Justiniani, 3, 1, 14, I. - Nello stesso periodo anche FACONDO DI ERMIANA parla dell'imperatore come di colui « qui mundi regebat gubernacula » : Pro defensione trituri capitulorum, 2, 2 (PL 67, 562 B) .

" Theophanes continuatus, s, 32 (PL 109, 277 B). Vedi la tradu­zione in J. HERGENROTHER, Photius, Regensburg 1867, v. 2, p. 18.

1 0 0 Così sull'antico rilievo di avorio dell 'ambone di Enrico II nel duomo di Aquisgrana: Iside con la nave quale simbolo della città di Alessandria. Cfr. G. LAFAYE, Histoìre du eulte des divinités d'Ale-xandrie, Parigi 1884, p. 293S. - Riproduzione in Propylàen-Kunst-geschichte, Potsdam 1929, v. 6, p. 192.

LA NAVE DI LEGNO 545

più antica, Tiro la città dominatrice dei mari, che Ezechiele101 descrive con l'allegoria della nave lus­suosa, a più forte ragione sarà agli occhi del cristiano greco la sua Chiesa, questa viaggiatrice del mondo, l'unica vincitrice del « mare cattivo », la Polis di Dio, la mistica nave commerciale!

Con quanto vigore la forza rappresentativa di que­sto simbolo si applichi anche a quelle creazioni di or­dine sociale che possiedono una importanza piuttosto subordinata, ce lo mostra in qualche modo TEODORETO,

che applica tutti i simboli nautici alla ben ordinata en­tità domestica, che è il fondamento primo di ogni ordi­namento civile 102. In questa « Oikonomia », proprio co­me nella cosa statale ben ordinata, egli vede una ripro­duzione della provvidenza di Dio, che ha ordinato la realtà umana in base ad un piano e secondo un fine 103. Con ciò passiamo al secondo dei tre grandi ordini di immagini navali: la nave dell'anima. La sua esatta cono­scenza è importante per la formazione della simbo­lica della nave della Chiesa proprio perché con essa entriamo in una sfera religiosa: infatti, quando l'uomo antico parla della nave dell'anima, egli intende formu­lare con questo mezzo una teologia organica dell'uomo come di un microcosmo creato da Dio: l'uomo è quasi una nave divenuta vivente e, perciò anche una Chiesa in miniatura.

La psicologia antica, soprattutto per influsso di PLATONE, ci rappresenta il rapporto tra corpo e anima con il paragone divenuto famoso : « Sicut nauta in

101 Ez 27, 5-2. 10E TEODORETO, Oratiti de pwvidentia, 7 (PG 83, 676 B-D). 103 TEODOKETO, Ovatto de providentia, 2 (PG 83, 576 AB).

546 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

navi ». Dopo che TOMMASO D'AQUINO ha ritenuto opportuno trarre questa immagine da Platone1 0 4 , la filosofia scolastica designa la psicologia platonica con tale immagine e vi trova l'espressione adatta a desi­gnare l'opposizione con la dottrina aristotelica dell'a­nima come « forma corporis ». Ora, per quanto pos­siamo vedere, è certo che Platone non ha mai espresso l'idea con queste precise parole. TOMMASO prende l'espressione da ARISTOTELE e poi, perlomeno la me­tafisica dei platonici che vi sta dietro, da NEMESIO, che conosce nella traduzione di Burgundio di Pisa 105. Tuttavia la dottrina platonica del rapporto tra anima e corpo si può benissimo rivestire con questa simi­litudine nautica. E il concetto quindi ha avuto una storia ellenistica e cristiana, che qui dobbiamo riassu­mere brevemente, essendo essa importante anche per la simbolica della nave della Chiesa.

Alla base di ciò troviamo, in primo luogo, il sem­plice paragone del corpo umano con una nave. Basta soltanto rappresentarsi con la fantasia il formarsi di una nave antica, quando la chiglia è stata montata e le assi di legno si ergono come costole da ambo i lati: ciò è parso agli antichi come il formarsi di un uomo. Questo paragone quindi fu caro anche alla fisiologia degli antichi. LATTANZIO, attingendo a fonti

104 TOMMASO D ' A Q U I N O , De anima, a. i, e; Stimma contra Gen­tile!, 2, 57 e 58. Cfr. anche Summa theol., p. I, q. 76, a. 3 e.

105 ARISTOTELE, De anima, 2, 1 (413 A ) : «Si dubita ancora se l'anima sia realmente la realtà del corpo, al modo in cui il navigatore lo è della nave ». - Cfr. anche De anima, I, 3 (406 A) e 2, 4 (416 B). -NEMESIO, De natura hominis, 3 (PG 40, 592-608): De iunctione corporis et animae. - B. DOMANSKI, Die Psychologie des Nemesius, in Beitrà'ge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, 3, 1, Miinster 1900, p. x i i ; p. 33S; p. 58ss.

LA NAVE DI LEGNO 547

greche 106, ha paragonato la struttura del corpo umano ad una nave: la colonna vertebrale è come la carena, il capo è, per così dire, la sede del pilota, che guida il tutto : « In summo vero constructionis eius, quam similem navali carinae diximus, caput conlocavit, in quo esset regimen totius animantis »107. Anche PLA­TONE ha già in mente la medesima cosa nel Timeo, dove, nel mito della formazione del corpo, lo scheletro, simile ad un'ancora e alle gomene, serve ad attaccare l'anima al suo corpo e a tenervela unita 108. Persino i poeti si nutrono di queste rappresentazioni che, come si vede, sono veramente frequenti. Abbiamo già ac­cennato alla poesia di MELEAGRO: in essa, la colonna vertebrale degli antichi amanti è l'albero della nave, le spalle ossute sono l'antenna, le bianche ciocche sono una vela strappata109. Nelle Metamorfosi di OVIDIO

la cosa si presenta in modo ancor più grazioso là dove Cibele trasforma le navi di Enea in Naiadi. Il cassero diventa testa (proprio come in Lattanzio), il timone le gambe, la carena si trasforma in colonna vertebrale, le coste della nave restano le costole dell'uomo e le antenne si trasformano in braccia 110.

Questa rappresentazione della nave vivente del cor­po esercita un molteplice influsso nella formazione della simbolica della nave della Chiesa. Indicheremo

10e Cfr. per questo S. BRANDT, Uber die Quellen voti Laktanz' Schifi De opificio Dei, in Wiener Studien 13 (1891) p. 276SS, soprattutto sulle fonti antiche comuni con Nemesio.

107 LATTANZIO, De opificio Dei, 5 (CSEL 27, p. 20, 1. 5-7) ,e le fonti fornite qui.

10» Timeo, 34 (73 D) . 40 (85 E). 109 MELEAGRO, Poesia a Tintarione = Anthologia Graeca, v. 5,

p. 204 (BECKBY I, p. 346). 110 O V I D I O , Metamorf., 14, S49-554-

548 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

più sotto, quando tratteremo dell'Arca di Noe, come questa figura della Chiesa era strutturata come « un corpo umano » U1 : dimostreremo, cioè, che le imma­gini del corpo mistico e della nave sono interscambia­bili. Ma siccome nella Chiesa quale insieme organico dei redenti, non avviene nulla che non avvenga anche nella singola anima, per questo la simbolica cristiana parla continuamente anche della navicula animae, la navicella dell'anima, o, più precisamente, della nave del corpo, che è guidata dalla forza dell'anima come da un pilota. Anche ciò è pensato totalmente in senso platonico. Nel Filebo PLATONE dice che l'anima del mondo è il pilota del tutto e da questo sono guidate anche le anime particolari precipitate nei corpi112. La caduta delle anime brillanti come una luce è para­gonabile, secondo Plotino, alla caduta su di una nave che affonda. « Esse si trovano nel corpo come il ma­rinaio che durante la tempesta si concentra ancor più nel servizio della sua nave e, senza rifletterci so-

1 1 1 AMBROGIO, Hexameron, 6, 9 (CSEL 31, p. 258, 1. 23 - p. 259, 1. 11). - Cfr. anche PS.-ACOSTINO, Sermo 75, 4 (A. M A I , Nova Patrum Bibliotheca, R o m a 1852, v. 1, p. 149), ove nella descrizione del cieco nato si dice che egli si serve delle mani come di un timone : « Manus quae quasi . . . remi totam molem corporis gubernabant ». - FRON-TINO, Strategematon, 3, 13, 6 (GUNDERMANN, p. 108, 1. 5s) dice, a p ro­posito di un soldato nuotante, che egli usa le sue gambe come timone : « Cruribus velut gubernaculis dimissis ». - Ciò è importante per la simbolica cristiana che tratteremo più in là, simbolica cioè della forma di croce del corpo umano, che rappresenta la nave della Chiesa. Cfr. PHYSIOLOGUS, 40 (LAUCHERT, ρ. 269; SBORDONE, ρ. 124, l. 2-5). -

DURANDO, Rcitionale divinorum offUiorum, 1, 14, Napoli 1859, p. 14: « Dispositio autem Ecclesiae materialis m o d u m humani corporis habet ».

1 1 2 PLATONE, Filebo, 30 Α : τ α ύ τ η ν δε είνοα τ ή ν ψυχήν την δ ι α κ υ β ε ρ ν ώ σ α ν το π α ν κ α ι μ ε ρ ι κ ά ς ψ υ χ ά ς . Cfr. per ciò anche NEMESIO (PG 40, 580 C), e lo PS.-GREGORIO DI NISSA (PG 45, 208 D;

209 A).

LA NAVE DI LEGNO 5 4 9

pra, si dimentica di se stesso così che facilmente vie­ne trascinato in fondo con la nave che sta affondan­do » 113. In un altro passo delle Enneadi, Plotino af­fronta ulteriormente il problema, del come ani­ma e corpo cooperino tra di loro : « Ma in quale modo l'anima viene nel corpo? ... Quando si afferma che l'anima è nel corpo come un pilota sulla nave, ciò in tanto è vero, in quanto l'anima viene concepita come separata dal corpo, ma il modo del s'uo essere nel corpo non è ancora spiegato. Poiché il pilota non è in tutta la nave, cosi come l'anima è in tutto il cor­po »114. Nonostante queste considerazioni dedicate alla critica della psicologia platonica, l'antichità restò fe­dele a questo simbolo nautico, e così anche i cristiani, e ciò è divenuto importante per la teologia e l'ascesi. Nella predica Sull'anima e il corpo tramandata soltanto in siriaco e che probabilmente appartiene ad ALES­SANDRO DI ALESSANDRIA, la cooperazione tra anima e corpo viene concepita come quella in atto tra nave e pilota. La morte è perciò la dissoluzione della nave, per così dire un naufragio (di ciò si parlerà con preci­sione più sotto) : « Sicut gubernatore depulso mergitur navigium, ita vinculis animae injectis corpus eius di-lapsum est seu in mortem demersum, quod navi usu-venit gubernatore depulso »115. Proprio così GREGO­

RIO DI NISSA dipinge la morte 116. Morire è naufragio (gli elementi del corpo si dissolvono, o, per parlare

uà P I O T I N O , Enneadi, 4, 3, 17, 91.

114 P I O T I N O , 4 , 3 , 2 1 , 1 0 9 - 1 1 1 . 1 1 5 ALESSANDRO D'ALESSANDRIA, Sermo de anima et corpore, 3 (PG 18,

590 D; 591 A). - Cfr. per ciò, O. PERLER, Recherches sur le Peri Pascha de Méliton, in Recherches de Science reiìgieuse 51 (1963) ρ. 407-421.

1 1 J GREGORIO DI NISSA, De anima et resurrectione, 7, 3 (PG 46,

45 B).

550 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

con PLATONE U 7 , i rottami della parte corporea gal­leggiano sull'Acheronte: un'espressione, che l'impera­tore COSTANTINO ripete ancora nel suo Discorso alla santa assemblea U8 . In esso, pensieri filosofici si mesco­lano ai miti della barca delle anime di Caronte119. La morte è l'ultima traversata, la barchetta di Caronte è, per così dire, l'ultimo sostituto della nave dell'anima schiantatasi nella morte. Qui entrano certamente in discorso rappresentazioni egiziane della nave della morte; per lo meno il nome e la figura di Caronte, secondo DIODORO

120, sono di origine egiziana. Nella tarda antichità e ancora nel vocabolario stesso dei cristiani, Caronte è semplicemente la morte m. Mo­rire dunque è un viaggio verso l'ai di là. Quale in­flusso abbia continuato poi ad esercitare questo mito, è chiaro dalle rappresentazioni della navicella della

117 PLATONE, Fedone, 62 (114). 118 EUSEBIO, Constatami Oratio ad sanctum coetum, 9 (GCS EUSE­

BIO, I, p. 164, 1. 20-22). 119 Cfr. il materiale in RE IH, 2 (1899) col. 2176-2178 (G. W A -

SEH). - Caronte in quanto barcaiuolo delle anime è allo stesso tempo signore dell' « acqua cattiva » dell'Acheronte dell'ai di là, di cui ab­biamo già parlato nello studio sul « mare cattivo ». Cfr. VIRGILIO, Eneide, 6, 299 : « Portitor has horrendus aquas et flumine servai ». Già in base a ciò egli è messo in rapporto con la morte, come dicono molto bene i noti versi di ORAZIO, Ode 2, 3, 25ss: « Omnes eodem cogimur ... sors exitura et nos in aeternum exilium cumbae ». Oppure PROPERZIO, Elegia 2, 28 : « Una ratis fati nostros portabit amores, caerula ad infernos velificata lacus ».

120 D I O D O R O , Biblioth., I, 92, 96. 1 ! l Così in FULGENZIO AFRICANO, Expositio Virgilianae continentiae

(HELM, p. 98; 1. 14-18. PRUDENZIO, Hamartigenia, 502S (CSEL 61, p. 147), ove Caronte è identificato con satana quale signore della morte. Cfr. anche PRUDENZIO, Contra Symmachum, 1, 386 (CSEL (Si, p. 233), ove Caronte è lo spicopompo dei gladiatori. - NICEFORO BRIENNIO, Hist., 1, 2 PG 127, 41 B). - Altre indicazioni in RE III 2, col. 2178, 1. 6-14.

LA NAVE DI LEGNO 551

anima che si ritrovano ancora in LUDOLFO DI SASSO­

NIA 1 2 2, oppure nella vita di Ita di Wezzikon1 2 3, ο ancora dalla raffigurazione della nave dell'anima sul portale di Notre-Dame di Sémur 124. Ben più impor­tante di questo aspetto escatologico dell'idea della nave dell'anima è quello psicologico, in linguaggio cristiano, quello ascetico; in esso, infatti, la navicula animae non è altro che un caso particolare della grande nave della Chiesa. Anche nella dottrina stoica della vita, dipen­dentemente dalla psicologia platonica, si ritiene che il principio dirigente è l'anima che si trova al timone del corpo. Secondo CRISIPPO 125 è il « Logos » (pensato stoicamente), che guida l'essere vivente ragionevole, così come si guida una nave. Ciò viene spiegato ulte-

l a t LUDOLFO DI SASSONIA, Vita Christi, i , 46 (incunabolo, H A I N 10293).

123 Vita delle suore di Toss (edizione tedesca di M. W E I N H A N D L , Deutsches Nonnenleben = Katholikon, II), Monaco, 1921, p. 143S. -Ricordiamo anche il noto canto ecclesiastico: « Quando la mia navi­cella si volgerà verso il porto dell'eternità », su cui richiama l'atten­zione FR. J. DOLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 285. La rap­presentazione della nave dell'anima e della morte come ingresso nel porto, verrà ripresa più sotto, nel capitolo Arrivo in porto. Qui ci limitiamo ad accennare al sonetto di MICHELANGELO:

« Giunto è già il corso della vita mia con tempestoso mar per fragil barca al coraun porto ... ». Cfr. C. FREY, Die Dichtung des Michelangelo

Buonarroti, Berlino 1897, p. 236 e 486. - Michelangelo forse imita qui il sonetto di Francesco PETRARCA: « Passa la nave mia colma d'oblio per aspro mare » : cfr. Le rime di Fr. Petrarca, ed. di G. CARDUCCI e S. FERRARI, Firenze 1920, p. 273S.

124 Sulla rappresentazione della nave dell'anima, cfr. F. PIPER, Mythologie der christlichen Kunst, Weimar 1847, v. 1, 1, p. 219. - E. MALB, L'art religieux du XHIe sihle en France, Parigi 1925, p. 305 tut­tavia, interpreta questa rappresentazione in modo completamente diverso.

l i s ARNIM, Stokorum veterum fragmenta, 1903, v. 3, p. 95,1. 10-12.

552 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

riormente in PLUTARCO, ove la stessa parte dirigente dell'anima è di nuovo un ben pilotato timone, in confronto è Dio, che è il padrone della nave di tutti gli spiriti: l'anima buona è come una grande nave da carico, che si lascia guidare da un lieve cenno di Dio come da un piccolo timone 126 ; l'anima umana ha l'orecchio fine come un esperto pilota e deduce dai minimi segni la grande divinità, così come un competente navigatore prevede le forti tempeste da piccolissimi segni premonitori127. Il Logos degli stoici diventa il sensus dell'arte di vivere dei Romani, la calma filosofica, che in ogni circostanza della vita dirige la propria nave : « Philosophia sedet ad guber-naculum, et per ancipitia fluctuantium dirigit cursum », dice SENECA

128. In tal senso dunque la tarda forma romana del platonismo riprende il pensiero antico: l'anima è precipitata nel corporeo, per dirigerlo come una fragile nave. « Animus ad regimen et ad guberna-tionem terrenae fragilititatis immissus est »129. Lo ri­pete ancora, con un concetto stoico divenuto cristiano, AMBROGIO nella sua lode dell'anima, che si conclude con le parole: « Quid est caro sine animae guberna-

iie PLUTARCO, De genio Socratis, 20 (588 F). - Cfr. C. REINHARDT, Poseidonios, Monaco 1921, p. 466.

127 PLUTARCO, De genio Socratis, 12 (582 A). - Sui rapporti di questo scritto e di quello di CICERONE, De divinatione con la mantica di Poseidonio, cfr. I. HEINEMANN, Poseidonios' metaphysische Schrifien, Breslavia 1928, v. 2, p. 324SS.

1 ! s SENECA, Epistola ad Lucilium, 16, 3. 1 2 9 FIRMICO MATERNO, Mathes., 1, 4, 4. - M A N I L I O , Astron., 1,

15, 1: «Animus cuncta (corporis et animae) gubernat dispensat-que hominem ». - Cfr. TERTULIANO, Ad nationes, 2, 2 (CSEL 20, p. 9, 1. I3s). - LUCREZIO, 5, 560: «Vis animae quae membra gu­bernat ».

LA NAVE DI LEGNO 553

culo »130? E GEROLAMO, nelle prediche sui salmi, am­monisce i monaci in ascolto : « Chi di noi è una nave costruita così solidamente, da poter sfuggire a questo mondo, senza subire naufragio ο senza incappare negli scogli? No, egli deve avere il sensus come pilota, se vuole raggiungere la salvezza »1 3 1.

Così nel pensiero cristiano il Logos filosofico di­venta inavvertitamente la ragione illuminata dalla fede e questa ben presto diventa a sua volta precisamente il Logos Cristo quale vero pilota dell'anima. « In una nave ben organizzata il pilota guida e ordina ogni co­sa, ora ammonisce gli uni, ora istruisce gli altri. Così succede al cuore, che ha per pilota la ragione e la co­scienza «132. Lo PSEUDO-MACARIO, che così parla, lo ha letto in CLEMENTE ALESSANDRINO

133. Ciò che egli vuol dire in ultima analisi, lo dice un'altra delle sue ome­lie: « Guai ad una nave che non ha pilota, essa viene sbattuta dalle onde e dai flutti del mare ed affonda. Guai ad un'anima, che non ha in sé il vero pilota Cristo; essa viene trascinata sul mare amaro delle te-

130 AMBROGIO, Hexameron, 6, 6, 39 (CSEL 32, 1, p. 230, 1. 24). -Cfr. anche Ada Archelai, 22 (19), 6, 7 (GCS EGEMONIO, p. 34,1. 19-26), ove viene spiegata la somiglianza del corpo umano con una nave e dell'anima con il timone : « Similis videtur esse homo navi, quae instructa ab artifice et in mare deducta est quamque navigare impos­sibile est sine gubernaculis, quibus regi et flecti possit in quaecumque loca voluerit gubemator eius. Et quia eodem artifice indigeat corpus gubernaculorum quo et totius navis, nulli dubium est; sine gubernacu­lis enim otiosum erit omne navis opus, corpus illud immensum. Ita ergo animam corporis gubernacula dicimus, regentur autem utraque arbitrii atque animae libertate, quo velut gubernatore utimur ».

131 GEROLAMO, Tractatus in Psalmum 103 (MORIN, p. 167,1. 15-17). 133 PS.-MACASIO, Homiliae pneumaticae, 15, 33 (PG 34, 597 CD). 1 3 3 CLEMENTE ALESSANDRINO, Sfrontata, 2, 11, 51, 5. 6 (GCS

CLEMENTE, 2, p. 141, 1. 4-6): νους e λογισμός quale timoniere del­l'anima, con rinvio a Prov. 11,4 LXX, prendendo da FILONE.

554 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nebre dalle onde delle passioni e, vessata dai cattivi spiriti, la sua sorte è Γ affondamento »1 3 4. Cosi si co­stituisce un vocabolario ascetico, che, con immagini sempre nuove, parla della « nave dell'anima », della « nave del cuore », della « navicella della vita ». E ciò soprattutto sotto l'influsso di AGOSTINO. Cristo abita nei nostri cuori come in una navicella : « Quoniam Christus in cuiusque corde per fidem est, significatum est nobis quia eius cor tamquam navis in huius sae-culi tempestate turbatur, qui fidem suam oblivisci-tur »135. Per conseguenza la rappresentazione della « navicella dell'anima » conduce immediatamente anche a quella della « nave della Chiesa » : poiché è un assio­ma fondamentale della teologia cristiana antica, che nella Chiesa si compie in primo luogo tutto ciò che poi avviene sempre, nella partecipazione alla Chiesa, in ogni singola anima. Per limitarci ad una sola indi­cazione, questo è il principio espositivo fondamentale nell'esegesi del Cantico dei Cantici sin dai tempi di Ippolito e Origene. Ciò vale ora anche qui: l'anima e la Chiesa sono guidate dallo stesso pilota della sal­vezza, dal Logos Cristo. La « nave del cuore » di Ago­stino è la « nave di Pietro » 136.

134 PS . -MACARIO, Homiliae pneumalkae, 28, 2 (PG 34, 712 BC) . -C£r. anche Homilia 44, 7 (PG 34, 784 B).

136 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 45, 6 (PL 36, 517 C) . 136 Già nel passo di Agostino citato sopra, la simbolica passa

insensibilmente dalla « nave di Pietro » della Chiesa alla navicella del cuore. La stessa cosa si verifica in Enarrationes in Psalmum 34, 3 (PL 36, 324 C) : « Navis tua, cor tuum, Jesus in navi, fides in corde ». -PIETRO CRISOLOGO, Sermo 20 (PL 52, 255 C ) : « Dormientem in nobis Chris tum. . . excitemus ». - CESARIO D I ARLES ( M O R I N I, 2, p . 751,

1. 20-28; e I, 1, p. 239, 1. 2), ove la « navicula animae nostrae » è iden­tificata immediatamente con la nave della Chiesa. - Per l'idea della

LA NAVE DI LEGNO 5 5 5

Nella Teofania siriaca EUSEBIO dice delle parole, che ci mostrano chiaramente con quale concatenazione di idee la simbolica della « nave dell'anima » passa al terzo dei nostri tre gruppi, all'allegoria della nave del mondo : « Il Logos di Dio è soltanto Uno secondo la sua essenza, ma è molteplice secondo le sue potenze, ed è lui che abbellisce l'universo. Così pure nell'uomo c'è certamente soltanto «n'anima ο una sola potenza logica, ed essa è la plasmatrice di tutte le arti: essa insegna a costruire e pilotare le navi e osserva il per­corso delle stelle » 137. Qui Eusebio trasferisce la dot­trina platonica dell'anima del mondo come pilota del tutto, al suo Logos pensato subordinatamente, e le singole anime sono in cambio soltanto delle immagini speculari del Logos. Come l'anima guida la sua pic­cola nave del corpo, così la Parola guida la grande nave dell'universo con la sua forza semplice e molte­plice.

«navicella dell'anima», cfr. anche AGOSTINO, Sermo 83, 1 (PL 38, p. 424), ove anima e Chiesa vengono nuovamente nominate insieme: « Navigantes sunt animae in Ugno saeculum transeuntes. Etiam navis illa Ecclesiam figurabat ». - GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum, homilia 12 (PG 44, 1016B): ή δε έ μ ψ υ χ ο ς α ΰ τ η ν α ΰ ς Ε κ κ λ η σ ί α . La nave dell'anima in quanto guidata dal timoniere del Logos, dalla ragione: BASILIO, Ad iuvenes, 2 (PG 31, s6s B), e 5 (31, 577 C ) . - La nave dell'anima, che deve essere preservata pura, così come una nave deve avere delle assi senza scorticature: METODIO, Simposio, 11 (GCS METODIO, p. 130, 1. 24S). - CLEMENTE ALESSANDRINO, Quis dives, 8, 5 (GCS CLEMENTE III, p. 165, 1. 12-14). - Per il pensiero simbolico del medioevo, cfr. BERENGZ DI TREVIRI, Liber de mysterio Ugni dominici (PL 160, 897 D; 988 A ) : «Navicula mentis nostrae ». - P S . - U G O DI S. VITTORE, Allegoriae, 3, 4 (PL 175, 805 C ) : «(Jesus) in navim ad illos ascendit, quando sanctam Ecclesiam per gratiam intrans fide-les conerà quaelibet adversa munit». - Ivi, I, 13. 14 (PL 175, 641 B ) ; e. 642 D) : l'arca di Noè come Chiesa e come anima.

137 EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 30, 31 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 51, 1. 24-31).

556 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Qui vengono espressi gli stessi pensieri poseidonici, che già abbiamo incontrato in NEMESIO e in CICERONE:

mediante la sua partecipazione al Logos, l'uomo, no­nostante la sua debolezza corporea, è essenzialmente al di sopra degli animali, poiché è diventato un essere « logico », che mostra la sua spiritualità, simile a quella del Logos, nella capacità di costruire e guidare delle navi. « Un animale irragionevole ha mai inchiodato una nave, e gli è mai venuto soltanto in mente la me­ravigliosa arte del pilotaggio delle navi » ? 138 Ciò ap­partiene chiaramente ad un preciso topos della apo­logia cristiana e certamente anche stoica. Nel suo quarto discorso sulla provvidenza divina, lodando le mani dell'uomo, questi strumenti dello spirito, TEO-DORETO designa l'arte di costruire le navi precisamente come opera della « sapienza donata da Dio » 139. Qui parla naturalmente l'antico timore del « mare cattivo » : infatti la grandezza dello spirito umano, partecipe del Logos del mondo, consiste precisamente nel fatto che con la sua nave vince l'elemento avverso, proprio come penetra nel «buon elemento», il cielo, mediante la conoscenza della astrologia. Poiché il Logos, di cui egli è partecipe, è il pilota dell'universo, il cosmos é una grande nave.

È nel potere logico stesso dello spirito umano, con cui egli costruisce le navi, il riconoscere dalla regola­rità e bellezza del mondo l'unico Dio creatore del mondo. Anche questo pensiero appartiene ai luoghi comuni spesso enunciati dell'antica apologetica. Già PLUTARCO dice che colui che paragona la divinità

138 EUSEBIO, ivi, i, 47 (GCS 3, 2, p. 64, 1. 25s). - Cfr. anche Laus Comtantini, 12 (GCS I, p. 233, 1. 14-26).

LA NAVE DI LEGNO 557

alle cose terrestri, è come colui che confonde la nave con il pilota : « In nulla egli si distinguerebbe da colui che prende l'albero, la velatura e l'ancora per il pilo­ta »140. Ciò va contro la dottrina dell'immanenza degli Stoici, che fanno del loro Logos del mondo il principio vitale immanente a tutte le cose. L'apolo­getica cristiana si può impossessare di ciò, per raffigurare la perfetta trascendenza di Dio ed allo stesso tempo però anche la sua cura per le cose create, la quale tutto dirige: il pilota non è mai la nave stessa, e tuttavia la sorte della nave dipende dalla sua guida sempre vigile. « Chi, affondando, divinizza le forme mutevoli degli elementi », dice ATENAGORA, « è simile ad uno che scambia per il pilota la nave su cui viaggia. E tut­tavia: come una nave, sia essa anche la meglio equi­paggiata, non serve a nulla senza il pilota, così gli elementi, per quanto essi siano bellamente ordinati, non servono a nulla senza la provvidenza divina. La nave da sola non viaggerà, gli elementi senza il loro padrone non si muoveranno »141. Ciò risuona ancora quasi alla lettera in EUSEBIO : « Chi chiama dei le crea­ture di Dio, agisce stupidamente così come uno che chiama pilota la nave » 142.

Dietro a questi argomenti c'è dunque la rappre­sentazione dell'universo come la grande nave guidata dal Logos. « E dalla nave noi abbiamo concluso al padrone della nave », dice GREGORIO DI NISSA

143. Nei

139 TEODORETO, Oratio de Prouidentia, 4 (PG 83, 616 B-D). 110 PLUTARCO, De Iside et Osiride, 66 (377 B). 111 ATENAGORA, Supplicata, 22 (OTTO, VII p. 114S). "> EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 47 (GCS III, 2, p. 100, 1. 19). 143 GREGORIOXII NISSA, De anima et resurrectione,2, 3 (PG 46, 24 A).

- EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 1 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 39, 1. I2ss).

558 L 'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

due versi di ARATO, che precedono immediatamente quello citato da PAOLO nell'Areopago 144, il poeta dice, che « ogni mare e tutti i porti sono pieni di Zeus » 145. L'Apostolo interpreta e cristianizza questo antico senso di Dio, quando dice che Dio è per così dire tangibile per tutti. Già PLATONE aveva concluso dall'ordine cosmico all'esistenza e alla sapienza dell'Anima del mondo146. Ciò viene ripreso da POSEIDONIO nella polemica contro la materializzazione stoica, e la eco dei suoi scritti metafisici ci viene conservata nel pa­ragone, usato dallo scritto pseudoaristotelico Περί κόσμου: «In breve dunque bisogna dire: ciò che il pilota è nella nave, il guidatore sulla carrozza, il mae­stro del coro nella danza, la legge nella Polis, ciò è Dio nel mondo »147. Si sa che APULEIO ha riportato queste parole alla lettera: «Postremo quod est in tri­remi gubernator, in curru rector, praeceptor in choris, lex in urbe, dux in exercitu, hoc est in mundo Deus »148. Con ciò questi platonici dell'ultima ora vogliono soprattutto sottolineare che Dio è nell'ai di là, come PLUTARCO si esprime contro gli Stoici: se gli dei fossero soltanto il principio stesso del movi­mento delle cose, « essi non sarebbero neppure alla

1 4 1 At 17,27. 28. 1 4 5 ARATO, Phainomena, w . 3s. 148 Così almeno EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 26 (GCS III, 2, p. 92,

1. 2-4), crede che debba essere spiegata la dottrina platonica dell'anima del mondo . Egli si fonda però su PS.-PLATONE, 986 C ; cfr. anche EUSEBIO, Praep. evangelica, 1, 16, 1 (PG 21, 888 A).

147 Ps.-ARISTOTELE, De mundo (400Β) : δπερ έν ν η ί κ υ β ε ρ ν ή ­τ η ς ... τ ο ϋ τ ο θ ε ό ς έν κ ό σ μ φ . Cfr. W . CAPELLE, Die Schrift von

àer Welt, ein Beitrag zur Geschichte der griechischen Popularphilosophie, in Neue Jahrbiicher 15, 1905, p. 529-568. - I. HEINEMANN, Poseidonios' metaphysische Schriften, Breslavia 1921, v. 1, p. 126S.

1 4 8 APULEIO, De mundo, 35.

LA NAVE DI LEGNO 559

pari con i cocchieri ο i piloti, separati e liberi, ma so-miglierebbero alle statue legate ai vasi, inclusi e incu­neati nella materia »149. Qualcosa di simile risuona ancora nell'argomentazione di LATTANZIO, quando pa­ragona la nave dell'anima alla nave del mondo : « Si regit (Deus), non utique sicut mens corpus regit, sed tamquam domum dominus, navem gubernator, au­riga currum, nec tamen mixti sunt iis rebus quas re-gunt »150. Dall'altra parte, c'è la scuola platonica del­l'ultimo periodo (e poi la neoplatonica), ambedue di­venute così importanti per l'apologetica cristiana, de­dite appunto ad esprimere, con il paragone Dio-pilota, la sua amorosa cura per la nave del mondo. Regere et guhernare, questa è la formula che torna così spesso per esprimere tale cura (e non si sbaglia certamente di molto se la si ode ancor risuonare persino nella nostra lingua liturgica). « Est Deus aliquis, qui regat, qui gubernet », dice Cicerone151. Regere : ciò si riferisce al mondo come Polis, come « organismo statale del­l'universo », secondo un'espressione di MINUCIO FE-

148 PLUTARCO, De defectu oraculorum, 29 (426 B). i5o LATTANZIO, Div. Instit., 7, 3, 6 (CSEL 19, p. 588, 1. 19-22). -

Epitome, 2 3 (CSEL 19, p. 677, 1. 3-5). l a l CICERONE, De natura deorum, 1, 52. - Qui si sente chiaramente

l'eco della duplice immagine che Cicerone, come lo PS.-ARISTOTELE e APULEIO, potrebbe aver desunto da POSEIDONIO: del pilota (rector) e del timoniere (gubernator). Cfr. anche TERTULLIANO, Apol., 17, 7 (CSEL 69, p. n i , 1. 2s), ove vengono presentati i platonici e la imma­nenza attribuita al provvido governatore del mondo, nonostante tutta la loro trascendenza: «Intra mundumPlatonici (dicunt esseDeum) qui gubernatoris exemplo intra id maneat quod regat ». - AMBROGIO, De Cam et Abel, 1, 1, 4 (CSEL 32, 1, p. 340, 1. I3s)1 Dio è il pilota del mondo, a cui si assoggetta l'anima buona, « Deo defert et eius tamquam parente atque rectoris subdit omnia gubernaculo ». - Di qui spesso l'uso di «navigli rector», SENECA, Utah, 6, 6; «guber­naculo rector», VIRGILIO, Eneide, 5, 176.

560 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

LICE 152 ; gubernare : ciò si riferisce all'universo come

nave di Dio, la quale viene guidata dalla silenziosa onnipotenza della provvidenza. « Mundum Deus ta­cita ratione gubernat », dice nell'Astronomica MANI­

LIO 153. MINUCIO FELICE unisce i due concetti: « Pro-

videntia mundus regitur et unius Dei nutu guberna-tur » l s 4 . Città, corpo, nave: tutti e tre i concetti di­cono sempre e soltanto una cosa intorno al mondo come cosmos, e cioè che questo organismo viene di­retto e governato, sino nelle sue minime particolarità, dal Dio che tuttavia sta completamente nell'ai di là. « Totum enim hoc mundi corpus ... cum omnis ra-tionis gubernaculo inventum est », dice TERTULLIA­

NO 155. Egli vuol dire la stessa cosa che prima di lui aveva già scritto SENECA : « Cuius (Dei) gubernaculo moles ista mundi dirigitur »156. Tutta questa simbolica viene espressa forse nel modo più vivo nel Jupiter tra-goedus di LUCIANO, ove lo spiritoso dicitore cerca di spiegare al Padre degli dei, che la grande nave del mondo non è affatto guidata da Dio. Senza provvi­denza, tutto ciò che avviene nel corso del mondo è certamente splendido, ma è senza senso : « Il cavo del-

152 M I N U C I O FELICE, Ottavio, 17, 2 (CSEL 2, p. 21, 1. i9s). 153 M A N I L I O , Astronomica, 1, 251. 154 M I N U C I O FELICE, Ottavio, 20, 2 (CSEL 2, p. 28, 1. 8s). Cfr.

anche 18, 5 (p. 23, 1. 22s). 155 TERTULLIANO, Apol., 11, 5 (CSEL 69, p. 31, 1. 7-11). L'espres­

sione « mundi corpus » fa pensare agli ACTA ABCHELAI, ove la nave della natura dell 'uomo viene detta « corpus illud immensum » (cfr. sopra, nota 130). Si vede bene che i concetti di mondo, corpo, città, nave, sono interscambiabili e rappresentano sempre la stessa cosa: precisamente ciò che si concretizza in senso pieno nella Chiesa.

150 SENECA, Epistola ad Lucilium, 107, io . - Cfr. AGOSTINO, De civitate Dei, 4, 31 (CSEL 40, 1, p. 205,1. 2s): « (Deus) motu ac ratione mundum gubernat ».

LA NAVE DI LEGNO 561

l'albero della nave è teso sul cassero, le due gomene della vela sono fissate alla prua. Le ancore sono vera­mente di oro, l 'ornamento della prua di piombo, la parte della nave che pesca in acqua è dipinta grazio­samente, al di sopra dell'acqua tutto è grigio e pulito. I marinai sono pigri ragazzacci, e un altro che si po­trebbe muovere con grande agibilità sull'antenna, viene impiegato per svuotare l'acqua dalla stiva ». Gli ri­sponde Giove : « Senza pilota dunque una nave non può condurre a termine il suo viaggio. Eppure tu credi che l'universo sia senza guida e che possa giun­gere senza pilota?»1 5 7 . Perciò nell'apologetica di E U ­SEBIO, conforme ai concetti del platonismo dell'ultimo periodo, il Logos viene ancora designato come il pi­lota della nave del mondo: il Logos è stato costituito dal Padre del tutto, dal creatore del mondo, pilota del cosmos, κυ βερνήτης τοϋ παντός 1 5 8 . « La Parola

tiene le redini e conduce il mondo su una dritta via

verso la meta e guida secondo il cenno del Padre la

grande nave del mondo universo », egli dice nella

Teofania siriaca 1 5 9 , pensiero ripreso nell'estratto da lui

compilato e che è conservato nella Laus Constantini : 6 Λόγος παρικω πνεύματι το μέγα τοϋ σύμπαντος

κόσμου πηδαλιούχων σ κ ά φ ο ς 1 6 0 . «Al cenno del Pa­

dre » : il Padre sta dunque sulla prua della nave del

1 5 7 LUCIANO, Jupiter tragoedus, 46-49 ( R E I T Z , 693-698). 1 5 8 EUSEBIO, Laus Constantini, 11 (GCS EUSEBIO I, p. 227, 1. 8). 1 5 9 EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 25 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 47,

1. 25 - p. 48, 1. 1). 1 8 0 EUSEBIO, Laus Constantini, 12 (GCS 1, p. 231, 1. 26s): - Cfr.

T E O D O R I T O , Oratio de Providentia, 1 (PG 83, p. 564 C D ) : κ υ β έ ρ ν α γ α ρ τ η ν κ τ ί σ ι ν ό π ο ι η τ ή ς κ α ι ού κ α τ έ λ ι π ε ν ά κ υ β έ ρ ν η τ ο ν δ π ε π ο ί η κ ε σ κ ά φ ο ς

564 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

CIRTA 166. E la pietà divenuta cristiana prorompe con sicurezza totalmente nuova nell'antico canto corale alla provvidenza divina. Basti leggere il secondo di­scorso di TEODORETO sulla provvidenza, per essere impressionato da questo gradevole accordo di fede cristiana e di antica pietà in una massa di simboli nau­tici 167. Senza πρόνοια la vita umana è come una nave carica in alto mare, dice GREGORIO DI NISSA

168. E AGOSTINO ha così espresso il senso cristiano della sicurezza nella nave del mondo : « Sì, ο Signore, tu siedi al timone di tutte le cose, tu che le hai create » 1 6 9 ! Nelle prediche sui Salmi 17° egli dà una viva descrizione della stoltezza dell'antichissimo desiderio dell'umanità, di essere soltanto per un momento « il buon Dio », 0, per dirla secondo l'antico modo di pensare, di ave­re il timone dell'universo nelle mani: « Vult autem Deum excutere de gubernatione huius mundi et ipse tenere gubernacula creaturae et distribuere omnibus dolores et laetitias, poenas et praemia. Infelix anima ! » Questa sicurezza cristiana ha il suo più profondo fon­damento nella certezza che il destino della nave del mondo è guidato dal Padre del Signore Gesù Cristo e quindi questo destino è legato al felice viaggio della nave della Chiesa. Nella teologia dei Padri, infatti

1 ,6 FRONTONE DI CIRTA, Ad Antoninum Augustum (NABER, ρ. 232, 1. 22S.

1 8 7 TEODORETO, Oratio de Providentia, 2 (PG 83, 576 A-D). Anche più bello in Graec. aff. curatio. Sermo 6, 1 (PG 83, 956 AB). - Cfr. anche GREGORIO NAZIANZENO, Carmina, 1, 2, 34, v. 265 (PG 37.. 964 A) : « La provvidenza è il timone con cui Dio governa l'universo ».

188 GREGORIO DI NISSA, De anima et resurrectione, 14, 7, (PG 46 120 A). - Un pensiero simile in BASILIO, Ad iuvenes, 5 (PG 31, 577 C).

188 AGOSTINO, Confessioni, 6, 7, 12 (CSEL 33, ρ. 125, l. i5s). 1 7 0 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 120, io (PL 37, p. 1638 A).

LA NAVE DI LEGNO 565

la Chiesa è la sorte anche del divenire cosmico, come abbiamo dimostrato più sopra nella parte intitolata Mysterium lunaem : anche la resurrezione degli ele­menti fisici è connessa al compimento del mistero cristiano nella Chiesa. Alla fine dei tempi ci sarà sol­tanto una nave dell'umanità, la nave del mondo è diventata così la nave della Chiesa, e tutto ciò che si trova al di fuori di questa nave, può essere soltanto rottami e naufragio. Allo stesso modo che la luce della luna terrestre si annulla nello splendore della Chiesa quale luna celeste, così la nave del mondo si rivelerà come nave della Chiesa, quando il « mare cattivo » si sarà ritirato e la salvatrice guidata dalla « Provvidenza » resterà sulla montagna ad Oriente, sull'Ararat celeste172. La meraviglia dinanzi al cielo stellato e il rischio meravigliosamente pericoloso del viaggio per mare, questi due segni dell'uomo ripieno di logos, sono per i cristiani simboli del futuro. GRE­

GORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ intona il suo poema con un inno

all'Eterno Padre, rettore della nave del mondo, e al Logos, che guida il mondo e lo sostiene nel capovol­gimento :

« Lo so bene, debole è certamente la nave sul­l'immane mare,

deboli sono le ali per colui che va all'assalto del cielo folgorante.

Così anch'io sono debole, quando il mio spirito si eleva alla lode della divinità,

171 Cfr. sopra, p. 273-293. "* IPPOLITO, Frammento arabo su Gen 8,1 (GCS IPPOLITO, I,

2, p. 91). - FR. DOLGEH, Sol Salutis, 2 ed., p. 274..

566 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

persino i cori celesti comprendono che non sono degni di cantarlo,

lode sia alla legge di Dio e al timoniere del­l'universo »173.

Questo il medesimo sentimento platonico divenuto cristiano, come lo esprime la Consolatio di BOEZIO:

l'uomo ancora vagante sui flutti terreni guarda con nostalgia verso Dio, il pacifico abitatore dell'ai di là, che tuttavia guida le cose con il « timone della sua bontà », e lo prega per avere un felice viaggio in questa vita, per il calmo e santo rivolgimento degli elementi174

e per un beato approdo nel porto:

« Oh, abbi misericordia del dolore della terra, a cui è legato l'ordinamento del mondo: non piccola parte di una così potente opera, l'uomo, lotta sul mare del destino. Come il timoniere doma i flutti irruenti, così tu domini l'infinito tutto, tieni insieme fermamente anche la terra » 175.

Con ciò anche la storia spirituale dell'antica alle­goria della nave del mondo sfocia nella storia della nave della Chiesa. Il destino cosmico della nave del mondo dipende, in ultima istanza dal felice viaggio della nave della Chiesa. Questo è ora l'aspetto, espres­so simbolicamente, di quella che era la più sorprendente e la più profonda persuasione dell'antica apologetica

" • GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Carmina, ι, ι, w . 1-5 (PG 37, 397). 1 , 4 BOEZIO, De consolatione Philosophiae, 3, 12, 17 (CSEL 67,

p. 74, 1. 13-17; 1. 22): «Per se regit omnia quem bonum esse consen-simus, et hic est veluti quidam clavus atque gubernaculum quo mun-dana machina stabilis atque incorrupta servatur ... davo bonitatis ».

" s BOEZIO, De consolatione Philosophiae, poesia 5, w . 42-48 (CSEL 67, p. 15).

LA NAVE DI LEGNO 567

cristiana : il mondo è stato creato solo per la Chiesa futura, e la fine del mondo, questo naufragio degli elementi, comincerà soltanto quando la Chiesa avrà terminato il suo viaggio che sin da ora ha la certezza di un felice esito 17e. Ciò risuona ancora nella preghiera del SACRAMENTARIUM LEONIANUM, che è passata an­che nel nostro messale : « Da nobis, quaesumus Domine, ut et mundi cursus pacifìce nobis tuo ordine dirigatur et Ecclesia tua tranquilla devotione laetetur »177. La espressione mundi cursus è desunta dal linguaggio nau­tico 17S : essa significa « rotta del mondo », e tale viag­gio pacifico è condizionato dalla tranquilla devotio nella nave della Chiesa, in cui i laici, ossia anche lo Stato, l'impero, con tutti i suoi compiti politici e sociali, « siede tranquillo »179. Qui risuona ancora una volta

1!« Cfr. ARISTIDE, Apol., 16, 6 (BKV, 2 ed., 12, p. 53). - G I U ­STINO, Apol., 2, 7 (Otto, I, p. 216). - TERTULLIANO, Apol., 31, 3; 32, 1 (CSEL 69, p. 80; 1. 11 - p. 81, 1. 7).

1 , 7 L. A. MURATORI, Liturgia Romana vetus, Venezia 1748, p. 397; cfr. C. MOHLBERG, Das frdnkische Sacramentarium Gelasianum in ala-mannischer Uberlieferung, Miinster 1918, p. 146. - MISSALE R O M A N U M , Oratio della quarta domenica dopo Pentecoste; qui la struttura oppure la scelta delle orazioni è condizionata dalle relative pericopi del van­gelo (Lue 5,1-11) sulla nave di Pietro.

1 , 6 Per una massa di esempi riguardanti l'uso nautico di cursus, cfr. Thesaurus linguae latinae, 1906-1909, v. 4, col. 1535, p. 82ss. -Trasformato simbolicamente in CICERONE, Republ., », 45: « In guber-nanda re publica moderantem cursum (tenere) ». - In GEROLAMO nel quadro della mistica navigazione dell'asceta attraverso il « Mar Rosso»: Epistola 125, 3 (CSEL 56, p. 121, 1. 14): «Felix cursus».

1 , 9 L'immagine dei passeggiai che « siedono tranquilli », già esposta in LUCIANO, Caronte, 3 ( R E I T Z 943), riceve un senso di nuovo conio nell'allegoria della nave della Chiesa. Cfr. Epist. Clementis (PG 2, 49 C; GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 17, 1. 7-8): οί έ π ι β ά τ α ι

ε δ ρ α ί ο ι ε π ί τ ω ν ι δ ί ω ν κα&εζόμενοι τ ό π ω ν . - COSTITUZIONI

APOSTOLICHE, 2, 57 (FUNK I, ρ. ι 6 ι , 1. 6 ) : οί λ α ϊ κ ο ί κ α θ ε ζ έ ς ^ ω σ α ν

μ ε τ ά π ά σ η ς η σ υ χ ί α ς κ α ι ε υ τ α ξ ί α ς . Π testo della lettera pseudo-

568 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ciò che abbiamo sentito inizialmente nella predica­zione di PIETRO CRISOLOGO sulla nave della Chiesa: Cristo, il timoniere di questa nave che viaggia attra­verso tutta la terra, ha calmato le onde del mondo (e mondo, per l'uomo antico, significa impero) e mediante la Chiesa gli ha assicurato un viaggio tran­quillo: « Sedat fluctus, componit populos, Romanos efficit Christianos ». CRISOSTOMO ha espresso quasi dia­letticamente lo strano paradosso di questa divina Prov­videnza, che agita il mare cattivo di questo mondo e per questo ha costruito fortemente la nave della Chiesa : « Proprio in ciò sta la meraviglia, che il flutto tempestoso non solo non affonda la nave, ma che la nave ha calmato la tempesta »180. Così per gli antichi cristiani, la nave statale del loro impero squassata da tutte le tempeste, la nave mondiale di tutte le terre, che al suo sguardo raffigurano il cosmos guidato da Dio, si trasforma nell'immagine della nave della Chie-

clementina suona così nella traduzione di R U F I N O (PG Z, 49) : « Cum quiete et silentio epibatae, id est laici, in suis unusquisque resideat locis ». - Anche gli « epibatae » (nel linguaggio marinare viene evi­dentemente usata la parola straniera greca) entrano quindi nell'asce­tica nautica, come indica la lettera di AGOSTINO ad un monaco (Epi­stola 216, 6: CSEL 57, p. 402, 1. 9-14): «Amota . . . procella navis propositi nostri epibatis quietis onusta intra stationem tutissimi portus secura consistat et in ilio portu, intra quem iam non erit metuendum vitae navigium, mercium indiscrepans accipiat pretium placitarum ». -Ciò viene applicato alla Chiesa che veleggia verso il porto dell'eter­nità da AKNOBIO JUNIOR, Ccmment. in Psalmum 103 (PL 53, 477 D ) :

« Ibi naves transeunt, solae Ecclesiae universarum provinciarum, quae epibatas ducunt ad regna coelorum, a civitatibus terrenis ad civita-tem Jerusalem matrem nostrani. Qui autem sine nave fuerit in hoc mari magno inventus, inveniet draconem, qui formatus est ad illu-dendum eis ».

180 CRISOSTOMO, In insaiptionem Actorum, Homilia 2, 1 (PG 51, 78 A).

LA NAVE DI LEGNO 569

sa. In perfetta armonia con ciò sta l'esuberante gioia di EUSEBIO per la tolleranza di Costantino, quando scrive nella Teofania siriaca : « Tutta l'Asia, l'Europa, la Libia e l'Egitto, che prima non erano altro che una nave presa nella tempesta, che venti e tempeste im­petuose hanno colto contemporaneamente da tutti i lati e che scompare qua e là nell'uragano, vengono pilotate ora con gioconda serenità, brillante calma e pacifica gioia, e riconoscono l'unico timoniere del­l'universo »1 8 1 . È lo stesso pensiero che nel Sacramen-tarium Leonianum si eleva dalla nave quale bellissima preghiera della cristianità antica per ottenere Γεΰπλοια: « Exaudi nos, Domine Deus noster, et Ecclesiam tuam inter mundi turbines fluctuantem clementi modera-tione moderare, ut tranquillo cursu portum pcrpe-tuae securitatis inveniat » 1 8 2 .

La Chiesa è dunque polis, psyche e cosmos del mon­do: la nave buona della salvezza, che il Logos dirige e in cui si compie il destino finale delle anime, dello Stato, della creazione. Il simbolo della nave vuole dire ma su un piano completamente diverso, la stessa cosa che si afferma della relazione tra cittadino e Stato, tra corpo e anima, tra uomo e cosmos: è una inscin­dibile comunità di destino, in cui il singolo nella sua esistenza è sempre in relazione con la consistenza del tutto, e tuttavia egli stesso conduce a termine questa consistenza. Ma ora sopravviene il meraviglioso: questa

181 EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 76 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 114). 182 MURATORI, 448. - GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum,

homilia 12 (PG 44, 1016 A) : εύχήν ποιούνται της ναυτιλίας προοίμιον, θεον γίιίεσθαι κα&ηγέμονά φασιν της εύπλοίας. -Η. RAHNER, Euploia, in Perennità*. Festschrift fiir Thomas Michels, Munster 1963, p. 1-7.

570 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

comunità inscindibile è, per così dire, « fragile », ossia, in rapporto ai suoi compiti straordinariamente peri­colosi, essa è fatta di un materiale da nulla: essa è una « nave di legno ». Spirito immortale si è unito con materia caduca. Lo stato si compone di assi che di­ventano marce, come canta Orazio. Secondo la sim­bolica di PLUTARCO, l'organismo dell'unità psicoso­matica dell'uomo si deve paragonare alle coste della nave sacra di Teseo, che debbono essere sempre rim­piazzate, e finisce nei rottami platonici della morte. Il cosmos si costruisce con gli elementi che tendono sempre alla dissoluzione, e la sua fine è il naufragio. Questa è però, di nuovo in un senso superiore e pur sempre lo stesso, la legge fondamentale nella nave della Chiesa; essa è una costruzione di πνεΰμα e ξύλον1 8 3. Il misterioso paradosso della sua essenza soprannaturale sta nel fatto che questa nave sarà sem­pre una salvezza per « la natura che affonda nel nau­fragio », proprio per il fatto che essa è fatta di legno (e cioè, per il fatto che la più fiera pretesa e la vera capacità di sicuro approdo si fondano sulla umilissima consistenza del suo essere). La Chiesa, infatti, è co­struita con il legno della croce. Ne parleremo ancora. Ciò avverrà nel quadro dell'ardito concetto, che PRO­CLO DI COSTANTINOPOLI ha enunciato in una predica sull'ascensione di Cristo, fissando l'occhio nell'eterna dimora, nel cui porto termina il viaggio della Chiesa e del cosmos : « Dov'è ora, ο Satana, ο pirata, il tuo

1 8 3 Cfr. GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Oratio theol, 2, 27 (PG 36,64 A),

ove l'uomo che viaggia per mare è chiamato « nautilus abitante la terra », che può compiere il meraviglioso miracolo della navigazione soltanto perché viene tirato e portato « da legno e pneuma ».

LA NAVE DI LEGNO 571

avverso agire? La croce che tu hai piantato per il no­stro pilota, è divenuta salvezza per la natura naufraga e la conduce sino al porto del cielo. Canta ora un canto di gioia invece di un canto di tristezza, canta di nuovo, ο Terra »184.

3. LA NAVE DI L E G N O DELLA C R O C E

La teologia cristiana antica non si accontenta di lodare nella realizzazione della salvezza da parte di Cristo il fatto che essa fu compiuta in un modo, che era esattamente il contrario della salvezza, della vita e della vittoria, e cioè nella morte di croce del Signore, che sembra essere una vittoria della morte e di Sata­na: «Ut qui in Ugno vincebat, in Ugno quoque vin-ceretur »185. Noi entriamo in questo settore del pa­radosso soprannaturale, quando trattiamo il simbolo nautico, che esprime la medesima verità. Anche la nave della Chiesa, sulla quale noi, in virtù della morte di Cristo, possiamo compiere il viaggio vittorioso at-

184 PROCLO DI COSTANTINOPOLI (?), Sermo de Ascensione Domini, 2 (PG 65, 833 BC) .

185 MISSALE R O M A N U M , Praefatio de sancta Cruce. - Questa con­trapposizione dei due Ugna, del paradiso e della croce, appartiene al più antico tesoro teologico. IRENEO dice : « Ut quemadmodum per lignum facti sumus debitores Deo, per lignum accipimus nostri debiti remissionem » : Adv. haer., 5, 17, 3 (HARVEY II, p. 371). E similmente in un passo conservatoci ancora in greco: έ π ε ί γ α ρ Sia ξ ύ λ ο υ ά π ε λ ά β ο μ ε ν αυτόν (se. τον Λ ό γ ο ν ) , δ ια ξύλου π ά λ ι ν φανερον τ ο ι ς π ά σ ι ν έ γ έ ν ε τ ο : Adv. haer., 5, 17. 4 (HARVEY Π, ρ. 37 2)- -È interessante il modo in cui Origene altera il testo R o m 5,12: δ ια ξ ύ λ ο υ θ ά ν α τ ο ς κ α ι δ ια ξ ύ λ ο υ ζ ω ή , Adversus Celsum, 6, 36 (GCS ORIGENE II, ρ. 105, l. 3zs). - Quasi allo stesso modo GIOVANNI D A ­MASCENO, De fide orthodoxa, 4, 11 (PG 94, 1132 C ) , FILOTEO D I COSTAN­

TINOPOLI (PG 154, 724 D; 725 A) e AVITO DI VIENNE (PL 59, 314 B) .

572 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

traverso il cattivo mare del mondo, è fabbricata con l'umile e spregevole legno della croce, che ci ha pro­curato la vittoria. Morte e vita, umiltà e splendore sono immediatamente affiancati in questa nave, allo stesso modo in cui sulla nave costruita dallo spirito umano, morte e vita sono separate soltanto dalle assi dello scafo. Proprio per questo il viaggio sulla nave della Chiesa è ad un tempo così meraviglioso e così pericoloso. Il cristiano è in un senso molto più alto quel navigante, di cui i Detti di Secondo affermavano che è un « vicino della morte e tuttavia un amante del mare »186.

Dobbiamo mostrare ora in qual modo si formi questo paradosso della mortale magnificenza a par­tire dalla suddescritta forma originaria della simbolica navale. Dopo di che spiegheremo in qual modo questa immagine viene illustrata dall'antica teologia cristiana del « legno della croce ». Solo allora saremo in condi­zioni di comprendere i molteplici simboli nautici, che ci vengono offerti dai Padri della Chiesa, quando parlano della nave della Chiesa costruita con il legno della croce. Qui ci si svela il profondissimo mistero teologico dell'antica ecclesiologia cristiana e soltanto così siamo in grado di penetrare, mediante il mondo velato delle immagini della simbolica, nel regno della pura dogmatica.

Abbiamo già accennato più sopra che l'atteggia­mento dell'anima dell'uomo antico dinanzi al viaggio

186 Cfr. sopra, p. 517. Un simile concetto è espresso anche da ANARCHIDE, conservato in DIOGENE LAERZIO, I , 104 (HICKS I, p. 108): « Quando gli fu chiesto se i vivi siano più numerosi dei morti, egli rispose: E quelli che viaggiano su nave, tra chi dovrò contarli ?»

LA NAVE DI LEGNO 573

per mare è un insieme di orrore e di amore, ed abbiamo mostrato come da ciò si sviluppi quella complessa simbolica nautica, ogni qual volta il Greco simboleg­gia con l'immagine della nave un comune destino di morte e di vita. Dietro di ciò c'era lo stupore sempre nuovo dinanzi al rischio di viaggiare sul mare cattivo con un legno così spregevole. Ora cercheremo di pre­sentare più da vicino questa opposizione; poiché è in questa dialettica simbolica delle due immagini « mare cattivo » e « nave di legno », che si trova il punto di contatto per la comprensione della dialettica dommatica, che noi ci sforziamo di mettere a nudo. Trovarsi così a contatto diretto con la morte, era una esperienza sempre nuova per l'uomo antico, che an­dava in mare. « Domani il pauroso viaggio giunge a termine », dice il navigante in un epigramma di ANTIHLO, « ma appena detto ciò, il mare diventa per lui Ade e lo inghiotte. Dunque, non dir mai ' do­mani '»187. Questo pensiero diventa più assillante an­cora mediante l'immagine, per il fatto che si può, per così dire, misurare la vicinanza della morte dallo spessore delle assi dello scafo, che stanno tra uomo e mare (vi abbiamo già accennato nella ricerca ini­ziale su Ulisse all'albero della nave18S). L'immagine è come carica di contraddizioni: l'uomo che viaggia per mare sembra disperatamente posto in balìa di « un piccolo legno » e gettato nella terrificante notte marina; il pericolo diventa tanto più grande, quanto più carica è la nave; e tuttavia su questo spregevole

l a ' ANTIFILO, Epigramma 17 {Anthologia Graeca VII, 630, BECKBY II,

368). 188 Sopra, p. 407.

574 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

legno egli si sente come trasportato dalle mani della Provvidenza. Così canta PROPERZIO a proposito del suo amico Peto naufrago : « Hunc parvo vidit nox improba ligno, Paetus ut occideret, tot coiere mala » 189. Qui è espressa l'opposizione, poeticamente sentita, tra piccolo legno ed essere in balia di un potente destino. Allo stesso modo parla DIONE CRISOSTOMO in uno dei suoi discorsi sulla Tyche : « Gli uomini non affidano le loro anime al capriccioso pino né all'opera delle vele, e non li salva un pezzo di legno d'abete, ma sol­tanto Tyche »190. L'uomo non può abbandonare il viaggio per mare, lo esige il guadagno, per amore del quale ha inventato l'arte del veleggiare. Per amore di questo guadagno egli « ha scavato il legno », dice ANTIFILO nella poesia a noi già nota sulla nave detta « l'Ardita »191. E GIOVENALE^ di rincalzo, insiste nel vedere le navi pesantemente cariche vicinissime alla morte : « Qui navem mercibus implet ad summum latus et tabula distinguitur unda »192. L'audace, per citare nuovamente GIOVENALE, ha fiducia proprio nel « legno svuotato », ma non per questo è meno vicino alla morte : « Dolato confisus ligno digitis a morte remotus quattuor aut septem, si sit latissima taeda »193. Questa sembra essere stata una maniera di dire pro­verbiale. La si incontra infatti anche in un detto di ANARCHIDE conservato in DIOGENE LAERZIO: «Quattro dita deve avere lo spessore delle assi della nave, e

18* PROPERZIO, Elegia 3, 7, 53S. 1 8 0 D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64 (DE B U D E II, p . 190, 1. 23-25). 181 ANTIFILO, Epigramma 23 (= Anthologia Graeca IX, 29, BECKBY

III, 28). 192 GIOVENALE, Sat., 14, 288s. 1 " lui, 12, 58S.

LA NAVE DI LEGNO 575

di tanto pure il navigante è separato dalla morte » 194. Ma l'uomo, anche se c'è una terrificante tempesta, non rinuncia ad andare in mare. Ciò è dipinto dram­maticamente in ARATO: Quando Helios sta nella costellazione del Capricorno, allora vengono i terri­bili venti del sud, ma gli uomini viaggiano egual­mente sull'onda purpurea del mare eccitato, essi hanno lo sguardo puntato verso il porto che indica la terraferma 19S : ήμε&'έπ' αιγιαλούς τετραμμένοι- οι δ'ετι πρόσω κλύζονται ολίγον δια ξύλον "Αιδ'έρύ-κει.

Su questo sfondo le parole del Libro della Sapienza diventano più vive : « Poiché la nave la inventò l'amore del lucro e un artefice la fabbricò con la sua abilità ... perciò anche ad un minuscolo legno affidano gli uo­mini le loro vite e traversando i marosi su una chiatta si salvano » 196. Έλαχίστω ξύλω: in queste parole della Sacra Scrittura la simbolica cristiana trovò contenute tutte le profondità della futura opera di salvezza e le espose anche secondo le idee del sentimento antico, che noi stiamo descrivendo. Si tratta continuamente della sorprendente opposizione tra la piccola spregevole materia del legno e la salvezza che mediante il legno viene elargita al navigante. « L'uomo, solo tra tutti gli esseri della terra », dice Eusebio, « affida la sua vita al piccolo pezzo di legno di un albero, guida la nave sul dorso del mare, si affida alla profondità dell'umido elemento e respinge la morte che gli sta a fianco, mentre guarda alto verso il cielo e rimette al pilota dell'universo

1 9 4 DIOGENE LAERZIO, I, 103 (HICKS, I, p. 108, 1. 1-3). 195 ARATO, Phainomena, v. 297S. 196 Sap. 14,2. 5.

576 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la salvezza dei naviganti » 197. Il piccolo pezzo di legno sta dunque tra morte e vita: nessun altro simbolo po­trebbe esprimere meglio la situazione dell'esistenza umana e di quella soprannaturale. Come il legno scavato della nave si interpone tra mare amaro e beata quiete nel porto, così pure deve dirsi del mistero della vita cristiana. « Come dall'unica natura del legno sono costruite tutte le navi, così le anime dei cristiani ven­gono rese capaci dall'unico Pneuma della luce celeste, che promana dalla divinità, di sorvolare su ogni per­versità »198. Qui si sente il risvolto dialettico dell'umile natura del legno della nave cristiana: come il legno solo regge sul mare, così solo il Pneuma è l'elemento del rimpatrio vittorioso sul mare. Ξύλον e πνεϋμα garantiscono l'approdo nel porto dell'eternità; il le­gno della mistica nave è, per così dire, legno pneu­matico. Infatti esso è legno della croce, che, dopo la morte del Signore, è diventato distributore di Spirito, così come (per portare un altro esempio della teolo­gia patristica), dopo il battesimo nel Giordano, attra­verso il contatto salvifico, dell'acqua con il corpo uma­no di Dio, ogni acqua diventò elargitrice di Spirito e le fonti battesimali si chiamano « Giordano ». Questo effetto soprannaturale del legno si avvera sempre in due sensi : esso è « pochezza del legno » e perciò « mera­viglia del legno » ; esso è « piccolo legno », e perciò « legno prezioso, mediante il quale è stata operata la nostra salvezza »199. Queste parole del Libro della

187 EUSEBIO, Teofania siriaca, i, 54 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 66,

1· 35-31)· 198 PS . -MACARIO, Homiliae pneumatiche, 44, 6 (PG 34, 784 A). "» Sap. 14,7 LXX: ε ύ λ ό γ η τ α ι γ α ρ ξύλον δ ι ' ο δ γ ί ν ε τ α ι δι­

κ α ι ο σ ύ ν η .

LA NAVE DI LEGNO 577

Sapienza, che applicano l'allegoria della piccola nave di legno all'Arca di Noè, è diventata per i Padri della Chiesa una mistica predizione del legno della croce. Nel primo naufragio della natura, Dio, pilotando l'Arca, ha salvato le anime sul « piccolo legno ». Il le­gno della croce e la nave della Chiesa, con esso co­struita, ci salvano dal secondo e finale naufragio; ma sempre è presente la grande meraviglia: questa sal­vezza del cosmos avviene sul piccolo legno: δια-σώζων ... έν μικρω ξύλω τον κόσμον, dice GREGORIO ΝΑΖΙΑΝΖΕΝΟ 2 0 0 ; ed AGOSTINO esprime lo stesso pen­

siero nella Civitas Dei, nel capitolo su Noe, che ebbe tanto influsso nella simbolica del medioevo, con que­ste parole : « Arca procul dubio figura est peregrinantis in hoc saeculo civitatis Dei, hoc est Ecclesiae, quae fit salva per lignum, in quo pependit mediator Dei et hominum, homo Christus Jesus »201. Da qui lo sguardo dell'antica teologia cristiana si allarga di nuovo e loda ciò che avvenne nell'Arca di Noe e in tutte le navi, che in questo processo dialettico sono un modello appropriato della Chiesa. Una predica sulla croce, che presumibilmente appartiene a GIUSEPPE DI TES-

SALONiCA, contiene il bel grido di giubilo dei mistici navigatori : « Salve, ο croce santa, sapienza di tutti i piloti navali. Per te noi abbiamo ricevuto una buona guida di viaggio, ed ora gli uomini, con poco legno, possono guidare i mercantili pesantemente carichi e farli tornare nel porto »202.

2 0 0 GREGORIO D I ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Oratio 4, 18 (PG 35, 545 C ) . Cfr.

anche Oratio 43, 70 (PG 36, 592 B). 2 0 1 AGOSTINO, De civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 116,1. 23-26). 2 0 2 Oratio in venerandam crucem (in J. GRETSER, De sancta Cruce,

Ratisbona 1734, v. 2, p. 86 D ) . La predica si trova anche, ma sen-

578 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

Questa teologia della nave appena esposta, che aveva cose così grandi da dire intorno al « piccolo legno », ci ha già mostrato che il pensiero simbolico dell'antico cristiano, quando si nominava la parola ξύλον, riandava quasi spontaneamente a ciò che si era compiuto sul legno della croce e alla nave della Chiesa guidata dal timone fatto con quel legno. Ma possiamo ancora trattare più a fondo la cosa, considerandola nei diversi suoi aspetti. Dal tutto risulterà un problema, che da lungo tempo è discusso tra gli archeologi e che ultimamente è stato ancora una volta trattato da FR. J. DOLGER.

Dopo che R. GARUCCI 203, citando un solo passo dello PS.-AMBROCTO, del quale parleremo con più precisione, ha tratto il paragone « Nave » = « Cristo crocifisso », J. WILPERT 204 lo ha contraddetto defi­nendo tale paragone « non frequente » nell'antica let­teratura cristiana. Contro di ciò insorse DOLGER, che citando un altro passo di IPPOLITO 205, definiva a sua volta il giudizio di Wilpert come « affrettato »206. Noi possiamo appianare ora questo piccolo conflitto archeologico, solo se, attraverso pazienti ricerche, moltiplicheremo i testi sino a far tacere ogni contra­dizione. Ne risulterà che il paragone « Nave = Cristo crocifisso » è stato giustamente difeso, sebbene senza materiali sufficienti, da Dolger contro Wilpert.

za il passo citato qui, tra le predich: dello PS.-CHISOSTOMO (PG 59, 675S).

203 Storia dell'arte cristiana, Prato 1872, ν. ι, p. 204. 204 In Fn. X. KRAUS, Reaìenzjkhpadìe der chrìstUchen Altertiimer,

Friburgo 1886, v. 2, p. 730. 205 IPPOLITO, Frammento 4 su Gen 8,1 {GCS IPPOLITO I, 2, p. 91). I 0 · Sol Salutis, 2 ed., p. 275; nota 5 di p. 274.

LA NAVE DI LEGNO 579

Sullo sfondo di questa simbolica si trova l'antica teologia cristiana del « legno ». Ne abbiamo già par­lato altrove 20?, perciò qui ne diamo soltanto il rias­sunto. La designazione della croce del Signore sempli­cemente con ξύλον fa parte del vocabolario teolo­gico degli albori della simbolica cristiana. Negli Atti degli Apostoli Gesù è già l'« appeso al legno »208 : e ciò, come possiamo vedere da Paolo 209, è il compi­mento, nella storia della salvezza, delle parole di Deut 21,23 · κρεμάμενοι επί ξύλον. Allo stesso modo parla la Prima Lettera di Pietro 2 1 0 ; e POLICARPO se ne è impossessato alla lettera2U. Inoltre si può de­durre dalla lettura della Lettera di Barnaba, che l'antica teologia simbolica cristiana si sforza di trovare dei modelli profetici dello ξύλον della croce soprattutto là dove si parla del « legno » ; il concetto che risuona costantemente è la dialettica, che la salvezza è stata effettuata proprio mediante un elemento così sprege­vole : che Cristo è diventato Re e Signore « sulla cro­ce ». « Ma cosa significa la porpora e il legno ? », si chiede la Lettera di Barnaba richiamandosi a Num 19,6 e Lev 14,4. « Che la regalità di Cristo proviene dal legno e che coloro che confidano nel legno vi­vranno in eterno » 212. Ecco il mondo teologico da cui, nei primi tempi, forse già nel primo secolo, si formò l'interpolazione al Sai. 95,10: «Dio regnerà dal legno ».

207 Cfr. sopra, p. 442S. - Flumina de venire Christi, sopra, p. 359ss· 208 At 5,30; 10,39; !3.29· 209 Gal 3,13. 210 1 Piet 2,24. 2 1 1 POLICARPO, Epistola ad Philipp., 8, 1 (FUNK I, p. 304). 8 1 2 LETTERA DI BARNABA, 8, 5 (FUNK I, p. 62); cfr. anche 12, 1

(p. 74) con la citazione di 4Esd 4,33; 5,5.

580 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

La si incontra già in GIUSTINO, che designa l'assenza di questo άπο τοϋ ξύλον come una falsificazione giudaica della Scrittura 2 1 3 . L'antica traduzione latina contiene l'aggiunta : « Dominus regnavit de ligno », come sappiamo da TERTULLIANO 2 1 4 e dall'anonimo autore dello scritto De montibus Sina et Sion 2 1 S ; ancor oggi ce ne vien tramandato l'eco negli inni alla croce di VENANZIO

2 1 6 . Ora però è importante per la sim­bolica della nave, che a questo paragone ξύλον = σταυρός si aggiunse ben presto anche l'immagine del « legno della nave », mediante il quale noi siamo stati salvati. E di nuovo Giustino che costruisce tutta una teologia dell'« acqua, della fede e del legno », spinto senza dubbio dalla Lettera di Barnaba. Come una volta l'umanità fu salvata nell'Arca, così Cristo salva la nuova stirpe dei redenti : « Cristo è divenuto il nuovo inizio di un'altra stirpe, che è rigenerata mediante lui nell'acqua, nella fede e nel legno: mediante il legno cioè, che contiene in sé il mistero della croce, così come una volta Noe fu salvato su un legno, che lo portò sulle acque » 217. Qui è già chiaro ciò che più in là esporremo con maggior precisione: «legno» è semplicemente la « nave », l'elemento che, nono­stante la sua pochezza, salva: il piccolo legno della grande vittoria sul mare cattivo. Quanto siano rawi-

213 GIUSTINO, Dialogus Tryph., 73, 1 ( O T T O II, p. 260). Cfr. anche Apol., 1, 41 ( O T T O I, p. 118).

211 TERTULLIANO, Adversus Marcionem, 3, 19 (CSEL 47, p. 408, 1. is). - Adv. Judaeos, 10 (PL 2, 628 B).

215 De montibus Sina et Sion, 9 (CSEL 3, p. 113, 1. 13S). 2 1 6 VENANZIO FORTUNATO, Misceli., 2, 6 (PL 88, p . 96 A) ; Ana-

lecta hymnica, 50 (1907) p. 74. ·" GIUSTINO, Dial. Tryph., 138, 6 ( O T T O II, p. 486).

LA NAVE DI LEGNO 581

citiate qui le immagini, lo si può vedere ancora da Agostino, che, nell'esegesi sul Sai. 95,10 cita precisa­mente l'interpolazione : « regnavit a Ugno Deus », e poi, in una caratteristica discussione con Circumcellio-ne così continua : « De cruce Christi regna, si a ligno regnaturus es. Nam lignum hoc tuum ligneum te facit : lignum Christi te per mare traicit » 218. Oppure, per citare un teste molto più recente, il quale però, proprio perché sembra essere cosi lontano da quei tempi, mostra che la forza di quella simbolica seguita ad avere un influsso: il bizantino NICEFORO CALLISTO

XANTOPULOS, nella dedica della sua storia della Chiesa all'imperatore Andronico II (ca. 1325,) con un pen­siero genuinamente bizantino designa l'imperatore co­me pilota della « nave del mondo », come un nuovo Noe e Mosé, i quali con il loro « legno » simboleggia­vano la nave della cristianità : « Essi hanno vinto i flutti del male con la nave ed il legno, hanno così pre­figurato la nave meravigliosa e meravigliosamente navigante, che viene guidata dall'albero costruito con il legno della croce, e hanno salvato il seme di un nuovo mondo » 219.

ξύλον è ad un tempo croce e nave : il « beato legno, mediante il quale ci è venuta la salvezza », è una parola che, nel Libro della Sapienza, viene detta dell'Arca di Noe e che da tutta la simbolica patristica viene applicata al legno della croce. La lingua poeticamente elevata dei Greci parla sia del legno della nave, come

218 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 95, 11 (PL 37 1234 B).

!1» Historiae Ecclesiasticae dedicatio (PG 145, 580 BC).

582 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

ad esempio un Frammento di ESCHILO 220, che canta

il « santo legno » degli argonauti, sia anche del legno della croce, come il verso dell'antica SIBILLA cristiana citato sino al periodo bizantino: «O beato legno, su cui Dio fu steso, la terra non ti tratterrà, no, tu vedrai la casa del cielo, quando il tuo occhio di fuoco lam­peggerà, ο Dio » 2 2 1 .

Ma noi possiamo spiegare questo paragone « nave= legno della croce » non solo a partire da questo punto di vista della pura teologia simbolica: se disponessimo soltanto di questa coincidenza fondata sul valore sim­bolico del concetto « legno », bisognerebbe ritener valido il giudizio emesso da FR. J. DOLGER: « L'arca è intesa qui come simbolo della croce di Cristo; il legno che salva e la croce che salva sono messi a con­fronto sotto il punto di vista del legno. Il paragone ci sembra oggi un pò ricercato, poiché il concetto legno è pur sempre un termine di paragone abbastanza lontano »222. Noi dobbiamo qui fare ulteriori ri­cerche. Di fatto il mondo dell'antica nautica ci fornisce tutta una serie di termini di paragone, che soli rendono comprensibile come potesse diventare ovvio per gli antichi cristiani il paragone « Chiesa=nave di legno della croce ».

Il primo di questi punti di paragone è il seguente: l'antica nave è stata costruita con lo stesso legno con cui fu fabbricata la croce di Cristo. Qui ci troviamo in un curiosissimo settore del grande terreno della

220 ESCHILO, Frammento 20 (Tragicorutn Grate. Fragmenta, a cura N A U C K , 2 ed., p. 8).

di 2 a i ORACULA SYBILLINA, 6, 26-28: GCS, p. 132. - Citato da N I C E -

FOEO SANTOPULO, Hist. Eccles., 8, 29 (PG 146, 112 C) . »« Sol Satutis, 2 ed., p. 273.

LA NAVE DI LEGNO 583

antica simbolica cristiana, in cui la conoscenza del­l'antica tecnica navale si è inscindibilmente congiunta con la più esagerata allegoria. Era un'esigenza della ingegneria navale, esigenza così spesso indicata nella letteratura antica, di costruire navi ben connesse a prova di mare servendosi del durevole legno delle diverse conifere che erano disponibili nell'ambiente mediterraneo. Già nelle Leggi di PLATONE viene spiegato che223 lo Stato ideale deve rinunciare alla navigazione che corrompe i costumi, a questa « vici­nanza del mare dal sale amaro » (come dice Platone citando ALCMANE); e ciò sarebbe ottimamente giu­stificato dalla mancanza di « abeti bianchi, di abeti rossi, di cipressi e di pini » nel quadro della vita greca. Qui abbiamo l'enumerazione, divenuta poi classica, del materiale adatto alla costruzione delle navi: ελάτη = l'abete bianco; πεύκη = l'abete rosso; κυπάριττος = il cipresso; πίτυς = il pino silvestre. Noi vediamo già in Ez 27,5 che il legno dei cedri e gli slanciati abeti del Sanir vengono impiegati per la costruzione di navi, anche se, come mostrano le dif­ferenze tra LXX e Volgata, le denominazioni si me­scolano un poco: GEROLAMO lo fa notare in una sua lettera : « Pro abietibus autem et cupressis in Hebraeo ponitur ' barusim ', quod magis abietes quam κυπα­ρίσσους significat »2 2 4. Il berSs masoretico viene reso dai LXX con κυπάρισσος oppure con πεύκη, più raramente con πίτυς, da Gerolamo per lo più con abies. Ad ogni modo vediamo da ciò con quale ma­teriale si costruivano le navi anticamente: si tratta

a a s PLATONE, Leggi, 4, 1 (705 C) . 224 GEROLAMO, Epistola 106, 65 (CSEL 55, p. 281, L 19$).

5 8 4 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sempre dei tre legni di abete, pino e cipresso. Ciò può essere dimostrato con una massa di testimonianze. L'abete, in primo luogo, viene per lo più usato per costruire l'albero della nave, data la sua altezza; così dice già TEOFRASTO

225 ; così si riscontra anche poeti­camente in VIRGILIO

226 e scientificamente in PLINIO : navium malis antemnisque propter levitatem praefertur abies 227. Per la costruzione della solida carena invece viene usato costantemente il legno di pino (πεύκη, πίτυς ο pinus), se non addirittura il costoso e più duro legno di cipresso. VIRGILIO esalta le selve d'Italia, per­ché forniscono legno per le costruzioni navali : « Dant utile ìignum navigiis, pinos domibus cedrum cupresso-sque » 228. L'epigramma di un poeta sconosciuto, con­servato nell'Anthologia Graeca, fa così parlare l'abete: « Una volta ero un abete abbattuto dalla tempesta. Perché costruite con me ancora una nave? Eppure io ho già affrontato naufragio e tempesta su terra ferma»229. VEGEZIO scrive230: «Ex cupresso... con-texitur navis ». La stessa cosa ripetono poeti e tec­nici 231. Ancora in una lettera del re Teodorico al prefetto Abbondanzio, scritta da CASSIODORO, viene ordinata la costruzione di mille navi da carico e si fa sperare il pagamento degli abeti e dei cipressi ne­cessari 232. E importante, per la simbolica che se ne

225 TEOFRASTO, Hist. plant., 5, 7, 5. 226 VIRGILIO, Georgiche, 2, 68; Eneide, 5, 663. - Cfr. anche LIVIO,

28, 45, io . 2 2 7 PLINIO, Nat. hist., 16, 195. 228 VIRGILIO, Georgiche, 2, 4425. 2 2 9 ANTHOLOGIA GRAECA IX, 105 (BECKBY III, 70). 230 VEGEZIO, Epitoma rei militarli, 4, 34. 23i VITRUVIO, 2, 9, 12. - MARZIALE, 6, 49, 5. 232 CASSIODOSO, Variar., 5, 16 (PL 69, ójós).

LA NAVE DI LEGNO 585

ricava, sapere su quali ragioni tecniche si fonda la scelta di questi precisi legni per la costruzione di navi. Per l'abete lo abbiamo già visto: esso è il tipo dell'al­bero svettante e tuttavia elegante. Così già in O M E ­RO 2 3 3 ; e proprio così si ripete ancora in Gregorio di Nissa,234, ove il testo dei LXX in Cant 5,11 contiene il paragone tra lo sposo e lo snello abete nero, Yabies nigra, di cui già parla VIRGILIO 235. Ciò va detto però anche delle altre specie di conifere. BASILIO le enumera quasi con le stesse parole di Platone 236. E ad Ambrogio, che echeggia queste parole, viene in mente sponta­neamente anche la disponibilità del legno dell'abete: « Hinc pinus, hinc cypressus in alta se extulerunt ca-cumina, cedri et piceae convenerunt. Abies quoque non contenta terrenis radicibus atque aerio vertice edam, casus marinos tuto subitura remigio nec solum ventis, sed etiam fluctibus certatura processit » 237. Ma oltre a ciò questi legni hanno una seconda proprietà che li rende particolarmente adatti alla nautica: essi sono immarcescibili, per così dire eterni. « Maxime aeternam putant cupressum cedrumque », dice PLI ­NIO 238. Ciò risuona nella simbolica cristiana. « Ο Amato, nel cipresso i fiori non cadono mai, in esso il tuo ritratto è eterno, ed esso resta eguale inverno ed estate », dice IPPOLITO 2 3 9 e AMBROGIO lo ha tra-

233 Iliade, 5, 560; Odissea, 5, 239. 834 GREGORIO DI NISSA, In Canticum Canticomm, homilia 13:

PG 44, 1056 C. a3S VIRGILIO, Eneide, 8, 579. 238 BASILIO, Hexaemeron, 5, 6 (PG 29, 105 B). 837 AMBROGIO, Exameron, 3, 11, 47 (CSEL 32, 1, p. 90, 1. 15-19). 238 PLINIO, Hist. nat., 16, 207. 23» IPPOLITO, Commetti, in Cant. Canticomm, 16 (Texte und Unter-

suchungen, 23, 2, Lipsia 1902, p. 49, 1. 6-8).

586 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

scritto240. Perciò gli antichi tecnici sottolineano ri­petutamente la speciale disponibilità del legno di ci­presso per la costruzione delle navi. 241.

Tutto ciò rende comprensibile come mai possiamo generalmente costatare nel linguaggio antico un im­piego perfettamente sinonimo dei nomi di queste specie di alberi per dire « nave ». EURIPIDE nel coro del-YAlcesti usa ελάτη per designare semplicemente la nave di Caronte: «Questo abete a due remi»: πολύ δη, πολύ δη, γυνοακ' αρίσταν, λίμνοζν Άχεροντίαν πορεύσας έλάτ$ δισκόπω 2 4 2 . In Accio la parola ahies è sinonimo di nave243. Notissimo è l'impiego di pinus per dire nave 244. In ANTIFILO la nave viene chiamata brevemente πεύκη 2 4 5 . Si tratta semplice­mente di una forma derivata da ciò, quando a volte l'organo principale della nave, il timone di legno, viene chiamato semplicemente ελάτη, come in OME­

RO 2 4 6, ο pinus, come in LUCANO 2 4 7. L'idea fondamen-

2 4 0 AMBROGIO, Explanationes in Psalmum 118, Sermo 4, 20 (CSEL 62, p. 77, 1. 17S). - Cfr. anche O N O R I O DI AUGUSTA (PL 172, 965 C ) .

2 4 1 Molti testi probativi in DAREMBERG-SAGLIO, III, 2 (1904; col. 1628 B.

2 4 2 EURIPIDE, Akesti, 442-444. Cfr. anche Le Fenici, 208s. 2 1 3 A c c i o , Franlm. trag. 331 (Tragic. Romcmorum Fragmenta,

a cura di O. RIBBECK I, p. 179). 2 4 4 ORAZIO, Epodi, 16, 57. - O V I D I O , Metamorfosi, 14, 88. - V I R ­

GILIO, Eneide, io, 206. - PRUDENZIO, Psychomach., 121 (CSEL 61, P- 175).

2 4 5 Antnologia Gratta IX, 306 (BBCKB-ÌT ΙΠ, 190). 2 4 6 Odissea, 12, 172. - Iliade, 7, 5. 2 4 7 LUCANO, Pharsalia, 3, 531. - Da tutto ciò che abbiamo esposto

sin qui in appoggio al significato nautico di ξύλον, risulta che il para­gone tra « legno » e « nave » doveva essere molto naturale. Molte associazioni di parole dedotte da ciò nella letteratura greca si spiegano dunque così. ESIODO, Opera et dies, 808 parla di ν ή ι α ξ ύ λ α . In ERODOTO la battaglia navale viene chiamata ξ ύ λ ω ν ά γ ω ν , Vili, 100, 2. - P L U -

LA NAVE DI LEGNO 587

tale è sempre la stessa: il miracolo della nave che tra­sporta gli uomini consiste nel fatto che è in grado di traversare il mare cattivo con del legno leggero, cre­sciuto su alti monti, incorruttibile e lavorato dallo spirito umano, il legno dell'abete, del pino e del ci­presso.

È qui che si inserisce ora la simbolica cristiana e s'intreccia inscindibilmente con la scienza nautica del­l'antico costruttore di navi: il cristiano conosce anche un altro «legno», che per l'appunto è composto di abete, di pino e di cipresso, il santo legno della croce, che solo lo salva dai flutti del mare cattivo. Per far rivivere tutta la ricchezza della simbolica cristiana antica, dovremmo presentare la straordinaria storia del « triplice legno della croce » 248. Ma ciò ci con­durrebbe troppo lontano; dobbiamo accontentarci di accenni, che sono necessari per la comprensione del paragone tra nave e Cristo crocifisso. Si tratta qui,

TARCO presenta Aristide che parla così di una vittoria navale: νενικήκατε θαλασσίοις ξύλοις, Arisi., 324 C. - Anche il modo di esprimersi bizantino conosce l'uso della parola ξύλον per « nave ». Così ad esempio in GIOVANNI SCYLITZA, Excerpta hist. (PG 122, 384 B), ove le grandi navi, in opposizione alle chiatte, vengono denominate semplicemente ξύλα μακρά. - Oppure in TEOFANE (ediz. di Bonn, 1839, 610, 8), che chiama il mare brulicante di navi θάλασσα ολ-όξυλος.

2 4 8 Cfr. per ciò A. MUSSAFIA, Sulla legenda del legno della croce, in Sitz. - Ber. d. Wiener Akademie, Hist. Phil. Classe, 1869, Ρ- 165-216- -F. KAMPESS, Mittelalterliche Sagen von don Paradiesbaum und dem Hotz des Kreuzes Christi (1897). - BACHTOLD-STAUBLI, V, 487-508. - Della vecchia bibliografia, che però in molti casi è più informata quanto alla patristica, ho usato : J. LIPSIUS, De Cruce libri tres ad sacram proja-namque historiam utiles, Anversa 1629. - H. KIPPING, Liber sìngularis de Cruce et Cructariis, Brema 1671. - CL. SALMASIUS, Epistola de Cruce, Leida 1646. - O. ZOCKLES. Das Kreuz Christi. Religionsltistorische und kirchlich-archaologische Untersuchungen, Giitersloh 1875.

588 L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

senza dubbio, di un antichissimo brano di allegoria cristiana; essa avrà il punto di congiunzione nell'ese­gesi del Cantico dei Cantici (al 5,11 LXX), come lascia supporre la parola che viene immediatamente dopo e che probabilmente proviene da Ippolito e Origene. In una predica anonima trasmessa in CRI­SOSTOMO vien detto (con allusione a Is 60,13 LXX) a proposito della croce del Signore, che è composta di « cipresso, pino e cedro » 249. Comunque da allora, l'espressione « triplice legno della croce » è preferita nell'allegoria greca. I salvati, dice ANASTASIO SINAITA,

sono il frutto dell'albero dei tre legni : « Fructum fe-rentes veluti in trium arborum ligno ... Cristum in-vocantes, qui in Crucis ex tribus arboribus confectae ligno recubuerat et obdormierat » 250. Qui le immagini si intrecciano: il « Cristo dormiente sul triplice legno » è quello stesso che una volta si addormentò sul legno della nave; legno della croce e legno della nave sono una sola cosa, perché costruite dallo stesso materiale del triplice legno. In un poema allo sposo dormente sulla croce, il bizantino NICOLAOS KAIXIKLES canta il triplice legno: «E il legno è di pino e di cipresso e di cedro » 251. Ma anche il primo medioevo, così avido di simboli, ne sa qualcosa. Lo Ps.-Beda si esprime proprio così (anche se con un ampliamento dovuto alla menzione della tavoletta di bosso della scritta posta sulla croce) : « Crux Domini de quattuor lignis facta est, quae vocantur cypressus, cedrus, pinus et

**· PS.-CKISOSTOMO, Oratio de adoratione Crucis, 3 (PG 59, 839 C). M 0 ANASTASIO SINAITA, Hexaemeron, 5 (PG 89, 917 C). M1 Carmen in Cfiristum dormientem in Ugno (in J. GRETSEB, De

S. Cruce, Ratisbona 1734, v. 3, p. 347).

LA NAVE DI LEGNO 589

buxus, sed buxus non fuit in cruce nisi tabula de ilio ligno supra frontem Christi » 252. Così si poteva leg­gere nelle opere allegoriche del medioevo: questa an­tichissima simbolica cristiana trovò la migliore riso­nanza nello scritto, attribuito a BONAVENTURA: La mistica vite 253.

Dunque, la croce costruita dal triplice legno è nello stesso tempo anche la nave della salvezza costruita con il medesimo legno; Cristo è l'abete svettante del Cantico dei Cantici, poiché la sua croce si eleva alta e poiché egli si è addormentato sul legno per la nostra salvezza. Quanto siano stati ovvi questi simboli per il cristiano antico, lo vediamo in Ambrogio, che ag­giunge immediatamente dopo il testo dell'Itala Cant 5,11 («crines eius abietes nigrae»; comprendiamo la profondità di questa illogicità allegorica soltanto in base a quanto esposto sopra) : « Et bonae ex abiete naves Tharsis, quae fluctibus supernatent mundi et tutum remigium salutis exhibeant » 254. Tutto ciò di­venta ancor più chiaro da una spiegazione veramente pregnante di PAOLINO DA NOLA, la cui allegoricità si nota a prima vista e che deve essere letta in tutto il suo contesto per avere un'idea della tenue eleganza di quella ricchezza d'immagini. Ne riportiamo un periodo. Paolino parla del fatto che nei modelli della storia della salvezza si mescolano sempre « bianco e nero », piccolo e grande, peccaminoso e divino. Ora, egli vede ciò espresso anche nei « neri abeti » (in 3

l s s PS . -BEDA, Excerptbnes Patrum (PL 94, 555 D ) . 253 BONAVENTURA (?), Vitis mystica, 46 (Opera, Quaracchi, t. 8,

p. 224S·, PL 184, 732 D ) . »" AMBROGIO, De Spiritu Sancto, 2, Prologus 14 (PL 16, P· 74<5 A ) ·

590 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Reg 5,8 Itala: «Abietes bonae et nigrae adducentes naves Tharsis »), con cui vengono costruite le navi. Questi abeti neri ma buoni sono come la sposa del Cantico dei Cantici, che è nera ma bella, e perciò è modello della Chiesa : « Illae abietes nigrae et bonae adducentes naves Tharsis secundum eius forniam sunt, quae fusca pariter et decora est. Ipsius enim et mem­bra sunt sancii, qui sicut et palmes florentes et cedri multiplicabiles, ita et abietes nigrae et bonae sunt, quia in Ecclesia, hoc est Dei monte verticibus meri-torum eminent, ut abietes in suis montibus; et sicut illae aptae navibus contexendis, ita illi principes po-puli de monte legis ut a Libano excissi arcam Domini sive navem, hoc est Ecclesiam, per huius mundi di­luvia navigaturam edolatis verbo Dei gentibus texuer runt et in compagem caritatis fide stringente coniun-ctam fluctus mundi istius imputribiliter secare docue-runt » 255.

L'antica tecnica della costruzione navale rende com­prensibile il paragone tra nave e croce anche a partire da un secondo termine di paragone. La buona nave non è costruita soltanto con i legni nobili, di cui ab­biamo parlato, ma è anche tenuta insieme da chiodi di ferro. «Legno e chiodi»: questo è il riepilogo con­tinuamente ripetuto di ogni sicurezza, che protegge la nave contro i flutti del mare cattivo. «Legno e chiodi » : ciò è però anche un riassunto di quanto si­gnifica la morte di croce. Non si tratta affatto di una allegoria puramente cristiana; era un paragone cor­rente già nell'antico pensiero estracristiano. Nel libro

2S5 PAOLINO DA N O L A , Epistola 23 (CSEL 29, p. 185,1. 24 - p. 186, 1. 8).

LA NAVE DI LEGNO 591

dei sogni di ARTEMIDORO si dice : « Essere crocifisso (in sogno) significa qualcosa di buono per il navi­gante. Poiché, sia la croce che la nave vengono fatti con legno e chiodi e l'albero della nave è certamente simile ad una croce »256

PLUTARCO ha descritto il formarsi della fortunata nave statale dei Romani e come essa fu costruita con seghe, martelli e chiodi 257 ; TEODORETO ci dà una descrizione eguale della nave dell'arca, costruita da Noe con legno e chiodi258. Sappiamo dall'antica pratica magica, che si esercita­vano arti magiche sia servendosi dei chiodi della croce di un condannato, sia con i chiodi di una nave in ro­vina. PLINIO narra il pezzo di legno e i chiodi di una croce allontanano la febbre: «In quartanis fragmen-tum davi a cruce involutum lana collo subnectunt, aut spartum a cruce »259. E LUCIANO

2fi0 parla di un anello magico, che fu lavorato con un chiodo di croce, evidentemente per lo stesso scopo del talismano fab­bricato con un chiodo di nave ricordato da APULEIO

261. Tutto ciò indica, ad ogni buon conto, quanto siano

2 " ARTEMIDORO, Oneirokritika, II, p. 53 (HERCHER, p. 152, 1. 4-6). 2i? PLUTARCO, De fortuna Romanomm, 9 (321 D). 258 TEODORETO, Orario de Providentia, 7 (PG 83, 681 A). 259 PLINIO, Nat. hist., 28, 11, 46. 260 LUCIANO, Philopseudes, 17 (REITZ, IH, 45). Cfr. per questo

FR. J. DOLGER, Vita Macrinae. Per eiserne Fingerring mit der Kreuz-partikel, in Antike und Christentum 3 (1932) p. 109, nota 62. - A. HOL-DER, Inventio S. Crucis, Lipsia 1889, p. 50SS.

261 APULEIO, Metamorph., 3, 17 (HELM, p. 65, 1. ss). Il testo però qui è certamente corrotto, così che la lettura infelicium navium duranti-bus clavis non è sicura. Cfr. per ciò A. ABT, Die Apologie des Apuleius von Madama und die antike Zauberei, Giessen 1908, p. 85 ss. - Tuttavia anche il cosiddetto DIOSCURIDE LATINO, 5, 98 (ed. STADLER, Romanische Forschungen 12, 1902, p. ió2ss) parla di un rimedio medicinale fatto con chiodi di nave : « Conficitur de acutis id est de clavis navium ».

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vicine, nel pensiero simbolico, la nave e la croce co­struite con legno e chiodi. Quando dunque i simbolisti cristiani lodano la buona nave della Chiesa ο dell'ani­ma, fanno notare spesso che essa è costruita con « le­gno e chiodi », e proprio per questo può affrontare il mare. « Clavante ferro firma ugni robora, aevo terente solverai », così Paolino da Nola quando canta 262

la nave, che per lui simboleggia il viaggio sicuro della salvezza, che i cristiani compiono verso il porto della eternità. La nave della vita non sia un'imbarcazione di lusso dipinta di rosso, canta GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ,

ma sia costruita con ferrei chiodi e perciò capace di stare in mare: έσθ-λήν γόμφοισιν εΰπλοον εύ άρα-ρυϊαν χείρεσι ναυπηγοϊο 2 6 3 . Ciò che si dice della nave della vita è però innanzitutto diventato realtà sulla nave della Chiesa. La Chiesa è la nave, che trae la sua forza dal legno e dai chiodi, e precisamente dal legno e dai chiodi della divina morte in croce. La Chiesa è la nave degli apostoli, buona e adatta al mare, che TEODORO PRODROMO canta con le belle parole:

« Ο beata ascia, ο selva divina sui monti, ο felici boscaioli, ο gloriose dita del costruttore

/di nave! Questa navicella avete costruito, essa ha forti ed ora viaggia per mare: /chiodi, Dio vi si è imbarcato, il Maestro, che da essa

/eleva la sua voce » 264.

J · 2 PAOLINO DA N O L A , Carmen 24, 103S: (CSEL 30, p. 210). 2 6 3 GREGORIO D I Ν Α Ζ Ι Α Ν Ζ Ό , Carmina, 1, 2, 9, w . 143S (PG 37,

678). Cfr. la medesima descrizione anche nel Carm. 2, 1, 17, vv. 5-8: (1262).

2 8 4 TEODORO PRODROMO, Tetrastkka in Novum Testamentum (PG 133, 1185B).

LA NAVE DI LEGNO 593

Abbiamo così riassunto i pensieri preparatori, che hanno portato alla equazione tra nave e croce, di cui ci occuperemo ora. E l'antico concetto della buona nave, fatta di legno e di chiodi, la quale ricorda tal­mente la croce, che ispirò allo Ps.-AMBROGIO le parole : « Christus est navis, in qua ascendunt omnium cre-dentium animae, quae ut tota firmitas in fluctibus habeatur, de ligno fabricatur et de ferro configitur, hoc est Christus in cruce »265. Con questo concetto della nave della Chiesa, che è costruita con la materia della croce, con « legno e chiodi di ferro », siamo pe­netrati nel più intimo dell'antica allegoria cristiana della nave. Qui si svela il pensiero fondamentale della ecclesiologia patristica, che si nasconde in tutti i sim­boli della Chiesa: la Chiesa é una continuazione della vita umano-divina e del destino di Cristo, essa vive della vita procurata dalla morte di Dio; la sua storia sul mare cattivo del mondo è soltanto la mistica continua­zione della vittoria mortale sulla croce. Nessun altro simbolo poteva esprimere ciò meglio dell'allegoria del­la nave della Chiesa, che è costruita con il legno e con i chiodi della croce. Se sviluppiamo questo pensiero embrionale dell'allegoria della nave, notiamo espli­citamente che si tratta soltanto di quella parte dell'al­legoria generale, che deriva immediatamente da quanto detto sin qui, ossia, noi parliamo ora della nave co­struita con il legno della croce e del suo timone rica-

2,5 PS.-AMBBOGIO, Sermo 47, 2 (PL 17, 700 A). Questo è l'unico passo addotto dal GASUCCI per dimostrare l'eguaglianza « nave-Cristo crocifisso ». DOLGES ve ne aggiunge un secondo, come diceva­mo già, un frammento di IPPOLITO (cfr. sopra, nota 205). Qui l'arca di Noè viene paragonata con Cristo crocifisso, ambedue tornano verso Oriente. Cfr. sotto, a p. 902SS.

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vato dal legno della croce, e non dell'albero di questa nave, che, a sua volta, è particolarmente un simbolo della croce salvifica, del quale parleremo più in là. Occorre distinguere le due serie di immagini del cor­po e dell'albero ligneo della nave, anche se ambedue sono simboli della croce. Proprio ciò è un segno ca­ratteristico della forza che pervade i simboli dell'an­tica teologia della croce; infatti essa non si serve sol­tanto dell'immagine della croce come albero, che (da un punto di vista puramente visuale) gli è molto più vicina, ma vede semplicemente nello stesso legno della nave, come suo elemento umile e tuttavia ve­ramente capace di galleggiare, il legno della croce.

« Legno e chiodi » : quivi era, come abbiamo mo­strato, il punto di incontro del paragone tra croce e nave della Chiesa. Possiamo renderlo anche più chiaro mediante una serie di testimonianze. Nel libro contro Celso, ORIGENE ci ha conservato un testo di questo suo avversario, che dimostra come l'antica teologia cristiana del legno della croce si rispecchi in una caricatura pagana. Celso ha sentito parlare molto, evidentemente anche in ambienti gnostici, del­la venerazione dei cristiani per il « legno della vita » : « Ovunque presso di essi si trova il legno della vita e la resurrezione della carne operata dal legno, poiché, come credo, il loro Maestro fu inchiodato ad una croce ed esercitava l'attività di servitore » 266. Ciò non è altro che una vaga idea di ciò che l'antica teologia aveva da dire circa « il legno e i chiodi ». In questi due concetti si riassume quanto si diceva sulla passione

2 M ORIGINE, Contra Celsum, 6, 34. (GCS ORIGENE II, p. ,203, 1. 20-22).

LA NAVE DI LEGNO 595

salvifica del Signore: si confronti all'uopo il modo in cui ALESSANDRO DI ALESSANDRIA parla del myste-rium del legno e dei chiodi267. Questo modo di par­lare diventa ancor più chiaro in un accenno alla sim­bolica nautica che si trova in TEODORETO. Per questi la croce è Γ'ίκριον: precisamente le assi della nave, a cui il Signore fu inchiodato: τφ ίκρίω τον Σωτήρα προσήλωσαυ 2 6 8. Non c'è dubbio che a questa parola rara, desunta dalla nautica familiare a coloro che era­no dotti in cose di Omero 269 e che il Teodoreto qui applica alla croce, si commette la rappresentazione della nave costruita con le assi del legno della croce. Noi già sappiamo quanto volentieri Teodoreto ab­bia parlato della Chiesa come seconda arca della sal­vezza e come nave del mondo. Questa è esattamen­te la medesima concatenazione di pensieri che in­contriamo in Occidente in VENANZIO FORTUNATO, quando, nel suo inno alla croce, canta il dulce lignum e i dulces clavos, per esprimere, subito dopo, dei sim­boli nautici : « Atque portum praeparare nauta mun-do naufrago » 27°. Mentre qui la croce è pensata co-

267 ALESSANDRO DI ALESSANDRIA, De anima et corpore, 5 (PG 18, 598 C).

MB TEODORETO, Interpretatio in Psalmum 58, 8 (PG 80, 1308 C). Lo stesso confronto di ϊκριον con ήλοι nella descrizione della pas­sione di Gesù: Graec. afferei, curatio Vili (PG 83, 1012 A) e Interpr. in Psalm. 108, 4 (PG 80, 1756 B). - IPPOLITO, Benedizione di Giacobbe 8 (Studi e Testi 38, 1, p. 22, 1. 5): επί ξύλου προσηλωθείς.

Μ · Odissea, 5, 163; 12, 414· - Cfr. anche Erodoto, 5, 16. - SUIDA (a cura di BERNHARDY, Halle 1843) 1, 2, col. 978, 1. iós: ϊκρια ορθά ξύλα ή σανιθώματα της ναός. - Per il significato nautico di ϊκριον cfr. anche A. BOECKH, Seewesen des attischen Staates, p. 105.

2 7 0 VENANZIO FORTUNATO, Misceli, 2, 2 (PL 88, 89 A) ; Anaìecta Hymnìca, 50, p. 71. - Il testo del verso, che si giustifica soltanto con i manoscritti, suona così : « Nauta mundo naufrago », e non come oggi si canta al Venerdì Santo : « Arca mundo naufrago ».

596 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

me la nave del buon pilota che salva il mondo, in un'altra poesia Venanzio la canta come timone di le­gno, che Cristo ha immerso nel mare cattivo e così ha salvato il mondo : « Velis das navita portum, tristia submerso mundasti vulnera davo » 271.

Da questa eguaglianza « nave della Chiesa = Cristo crocifisso », che è espressa dai concetti esposti sino ad ora, è evidente la maniera strana, ma come appare chiaro assolutamente logica, in cui l'antica simbolica cristiana applica alla passione di Cristo in croce tutto ciò che avviene al Cristo navigante. Ci sono due ten­denze innanzitutto, che, dai tempi di Origene sino all'alto medioevo, hanno spinto a riunire continua­mente in uno nave e croce. Ascendit in naviculam, sta scritto di Cristo (Mat 8,23; 13,2; 15,39; Lue 8,22): e questo termine, in se stesso totalmente navale, del « salire »,272 in forza della simbolica descritta più sopra richiama alla mente dell'esegeta simbolico il « salire » sulla croce. E inoltre sta scritto (Mar 4,38): «Et erat ipse in puppi super cervical dormiens ». Cristo a poppa e dormiente: ciò doveva di nuovo essere applicato al pilota dell'universo, che sulla croce si addormentò nella morte. Già in ORIGENE questa è chiaramente un'esegesi corrente, poiché egli giunge a parlarne in contesti diversi, come se parlasse di una spiegazione universalmente nota: il Cristo che dorme in mezzo

2 . 1 VENANZIO FORTUNATO (?), Misceli., 2, 4 (PL 88, 93 A). 2.2 Per ascendere navim come espressione tecnica nautica, cfr. i

testi probativi nel Thesaurus linguae latinae, 1901, v. 2, col. 755,1. 46SS. - Ivi si è pensato naturalmente alla κλίμαξ = scala della nave, ο alla αποβάθρα = passerella, attraverso cui si sale all'altezza della parete di bordo. Ambedue però diventano simboli della croce costruita con legno. Doveva quindi essere tanto più naturale, usare ascendere per la nave e nello stesso tempo per la croce.

LA NAVE DI LEGNO 597

alla bufera marina è colui che dorme sulla croce e la tregua della tempesta è la pace del mondo operata mediante la morte di croce 273. Tutto ciò viene rac­colto in modo impressionante nel commento a Marco, falsamente ascritto a GEROLAMO, che appartiene al­l'inizio del quinto secolo e contiene una massa di pre­cise ed allo stesso tempo antichissime allegorie. L'autore romano, com'è chiaro, è un buon conoscitore della nave antica: egli sa che, a poppa, la parete era rialzata per il pilota, per proteggerlo con assi di legno dal cat­tivo tempo, anzi, che gli si costruiva colà una tenda di cuoio 274, come si può vedere ancor oggi nelle im­magini di navi scolpite sulla colonna di Traiano a Roma. In una siffatta poppa, così egli continua nella sua elucubrazione, ha dormito Cristo. Ciò esprime un profondo mistero : « Puppis mortuis pellibus vivos continent et fluctus arcet et ligno solidatur: id est cruce et morte Domini Ecclesia salvatur. Cervical corpus Domini est, cui divinitas sicut caput incli­nata est. Puppis initium Ecclesiae est, in qua Domi-nus dormit morte corporali »275. « La poppa è l'ini­zio della Chiesa » ; egli avrebbe potuto di egual­mente bene: la morte di croce è l'inizio del myste-rium, che esiste tra Cristo e la Chiesa, tra il pilota e la sua sposa, la nave verginale. Per amore di que­sto mistero Dio è divenuto uomo, o, in simbolo nautico : per questo egli è « salito sulla nave ». Lo ha

273 ORIGENE, In Canticum Cantkorum, 2, 12 (GCS ORIGENE Vili, p. 58, 1. 17-23); cfr. anche ivi, 2, 9 (p. 55, 1. 16-21).

»'« Cfr. RE Suppl. V (1931) col. 933, 1. 24-33. 275 PS.-GEROLAMO, Commetti, in Evang. Marci, 4 (PL 30, p. 605 A).

- Cfr. G. MORIN, Un Commentare sur S. Marc de la première moitié du Ve siede, in Revue Bénédictine 27 (1910) p. 352-362.

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espresso AMBROGIO nella sua esegesi in Lue 8,22 : « Ita-que qui se intelligeret propter divinum in terras ve­nisse mysterium Ecclesiaeque conventum, relictis na-vim ascendit parentibus. Neque enim quisquam po­terai hunc mundum enavigare sine Christo » 276. Sa­lire sulla nave di legno, senza cui non possiamo attra­versare il mare cattivo, è salire sulla croce, è essere inchiodato al legno. E cosa che sorprende sempre, quanto stiano vicine queste immagini nel pensiero dell'antichità cristiana, una volta che abbiamo messo a nudo queste nervature altrimenti così nascoste. Serva a ciò ancora un esempio tratto da AMBROGIO. Nella lode inneggiante al santo legno della croce, che egli inserì nel libro sullo Spirito Santo, c'è la misteriosa opposizione tra umile legno e forza che salva il mondo, che gli strappa le parole : « Ο divinum Crucis illius sacramentum, in qua haeret inurmitas, virtus libera est, amguntur vitia, eriguntur tropaea! Unde quidam sanctus ait: confige clavis a timore tuo carnes meas (Ps. 118,120) non ferreis clavis, ait, sed timoris et fidei ». Questa idea del legno e dei chiodi di ferro suscita immediatamente il ricordo di iPiet 2,24, e questo a sua volta (in forza delle allegorie del « legno » della croce) l'immagine della nave costruita con legno e chiodi; e per questo, Ambrogio continua immedia­tamente : « Lignum igitur illud crucis velut quaedam nostrae navis salutis vectura nostra est, non poena. Alia enim salus non est nisi vectura salutis aeter-nae » 2 7 7.

"« AMBROGIO, Expositio Evangelii steunàum Lucam, 6, 39 (CSEL 32, J, ρ. 248, 1. 5-8).

a " AMBROGIO, De Spiritu Sancto, i, 9, n o (PL 16, 730 C).

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In base a ciò comprendiamo meglio ora la teolo­gia di AGOSTINO, che esercitò un così grande influsso sulla simbolica successiva. Potremmo comporre dalle sue prediche una vera teologia del legno: Agostino è continuamente impressionato dall'enorme spropor­zione tra il piccolo legno e la grande vittoria sul mare, ossia della umiltà della morte di croce e della magni­ficenza della redenzione. Eppure sul legno della nave della Chiesa noi siamo sicuri e ciò soltanto perché essa è costruita con il legno della croce. « Ad patriam qua ituri sumus? Per ipsum mare, sed in ligno. Noli timere periculum : lignum te portat, quod continet saeculurn » 278 ! E ancor più chiaramente in una predi­ca : « Opus est ut in navi simus, hoc est, ut in ligno portemur, ut mare hoc transire valeamus, Hoc autem lignum, quo infirmitas nostra portatur, crux est Do­mini, in qua signamur et ab huius mundi submersio-nibus vindicamur »279. Nella esposizione del vangelo di Giovanni, Agostino dà a questa teologia della nave del Crocifisso una forma, che (come abbiamo già esposto più sopra) rappresenta già il passaggio dalla allegoria della nave lignea a quella dell'albero della nave; ma anche qui c'è il principio del tutto generale: « Instituit lignum quo mare transeamus. Nemo enim potest transire mare huius saeculi nisi cruce Christi portatus » 28°. È il cantico della certezza cristiana della salvezza, la quale si fonda sulla umiltà della croce, quando Agostino in una delle sue prediche esclama: « In patria torna la nave. Ma in patria soltanto sulla

278 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 CD).

>'· AGOSTINO, Sermo 75 ,2 (PL 38, 475 BC). 280 AGOSTINO, Tractatus in Ioannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389).

600 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

nave. Noi siamo dei naviganti, quando guardiamo le onde e le tempeste di questo mondo terreno. Ma non mi viene alcun dubbio: noi non affondiamo, poiché siamo portati dal legno della croce » 281. Anche l'Oriente cristiano conosce questa allegoria. Un'omelia del poeta siriaco GIACOMO DI SARUG, Sui ladri giusti, loda con abbondanza di immagini la fede incrollabile del buon ladrone. Quindi dice: « Sebbene le onde cercassero di distruggere la sua nave, per affondarla, tuttavia, con forte colpo di timone, egli sfuggì al mare del dubbio. Sebbene le onde infuriassero come un flutto tempestoso, tuttavia, con il legno della croce, egli giunse al porto della salvezza e non affondò » 282. La retorica bizantina, che con tanta vivacità loda continuamente la croce vivificante, è addirittura inon­data di simboli nautici ed è impossibile dare uno sguar­do che abbracci tutte le testimonianze (basti leggere, ad esempio, le prediche di oratori bizantini raccolte dall'erudito JAKOB GRETSER

283 nella sua opera gigan­tesca sulla croce). « Oh potessimo noi attraversare questo mare stando sulla croce, la croce ci conduce alla vittoriosa salvezza, la croce ci protegge da ogni vento contrario », così SOFRONIO DI GERUSALEMME

284. E ANDREA DI CRETA, che ebbe tanto influsso sul vo­cabolario della liturgia greca e, con ciò, di quella russa, così saluta la croce in un inno al « benedetto legno » :

281 AGOSTINO, Tractatus 29, 7 de Martha et Maria {Tractatus sive sermone: inediti ex Cod. Guelf., a cura di G. M O R I N , Kempten-Monaco 1917, p. 125, 1. 21-24.

282 Testo siriano di S. LADERSDORFER, in BKV, 2 ed., v. 6, Aus-gewitlten Schriften der syrischen Dichter, Kempten-Monaco, 1912 p. 370.

2 , 3 Esse occupano tutto il secondo volume dell'opera De Sancta Cruce, Ratisbona 1734.

284 SOFRONIO, Oratio 4 in exaltationem Crucis (PG 77, 3, 3305).

LA NAVE DI LEGNO 601

« Ο croce, tu ci sei timoniere sul mare, tu sei anche porto nella tempesta »a85. « Io ti saluto, croce santa, sicurezza e riposo di tutti coloro che viaggiano in mare: poiché mediante il tuo modello simbolico (la nave) viene placata l'onda del mare che strepita ed urla e s'innalza come un monte » 286. E per citare una voce medievale di Bisanzio, FILOTEO : « La croce vi­vificante ci conduce come nave senza alcun pericolo, senza che neppur ci bagniamo, sul mare delle passioni, la croce fa tacere ogni tempesta e rende tutto chiaro e calmo »287. Sembra di sentire la supplice preghiera della liturgia bizantina. Una di queste invocazioni ri­suona così nel libro di preghiera del cosiddetto OKTOI-

CHOS : « Guardando il mare della vita che s'innalza nell'ondata delle tentazioni, io invoco, affrettandomi verso il tuo calmo porto: porta la mia anima su dalla rovina, ο misericordioso! Sovrano crocifisso, che me­diante i chiodi hai tolto la maledizione che gravava su di noi... Santissima Signora, che hai generato il Signore quale pilota dei mortali, calma la selvaggia e tremenda tempesta delle mie passioni e dà la quiete al mio cuore » 288.

Come si vede, queste preghiere vivono e respirano proprio nell'antica tradizione cristiana della nave del Crocifisso, e tuttavia, proprio come i loro modelli bizantini, esse sono trasferite nella commovente sfera

2SS ANDREA DI CRETA, In exallationem Crucis (PG 97, 1020 D ; 1021 A; 1033).

288 PS.-CRISOSTOMO (forse Giuseppe di Tessalonica), il cui testo si trova soltanto in J. GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p. 86 D.

287 FILOTEO DI COSTANTINOPOLI, Oratio in Staurokynesin (Gretser, v. 2, p. 276 C).

288 Oktoichos ο Parakletike della Chiesa ortodosso-cattolica del­l'Oriente, di A. MALTZEW, Berlino 1904, v. 2, p. 3405.

602 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

soggettiva della piccola nave della vita squassata dalle passioni. La tarda antichità occidentale ha preferito con­servare la tradizione oggettiva della nave della Chiesa, che è costruita con il legno della croce. Anche in ciò Agostino è restato il modello; si osserva anche, però, che la gioia della resurrezione, espressa negli antichi Sim­boli, cresce sempre più sino alla teologia anglosassone e carolingia, che non era affatto una semplice trascri­zione scolastica da Gregorio e da Agostino (un'affer­mazione questa, che è importante per l'esatta storia della teologia simbolica cristiana, e che sino ad ora non è neppure accennata nei compendi). Così, anche l'allegoria della nave costruita con il legno della croce conosce qui una nuova fioritura. Già CASSIODORO,

che intende però suddividere in piccoli ruscelli la cor­rente agostiniana289, andando oltre Agostino, sotto­linea il significato teologico del simbolo : « Naves autem merito significantur Ecclesiae, quae periculosos fluctus mundi per lignum gloriosae crucis evadunt portantes populos qui signo fidei crediderunt »290. BEDA, dandogli degli sviluppi originali, espone tutto ciò come una miniatura finemente dipinta, allo stesso modo in cui, più tardi, preferi rappresentarlo l'arte carolingia : « Egli era però a poppa e dormiva su di un cuscino. I discepoli veleggiavano e Cristo era ad­dormentato. Ciò significa che ai credenti, che voglio­no sottomettersi questo mondo e aspirare nello spirito alla calma del regno futuro e che viaggiano verso di esso nel buon vento dello Spirito santo ο con il colpo

289 CASSIODORO, Expositio in Psalterium, praefatio (PL 70, 9 B). "° CASSIODORO, Expositio in Psalt. 103, 26 (PL 70, 737 D); cfr.

Expos. in Ps. 106, 23 (PL 70, 772 C).

LA NAVE DI LEGNO 603

di timone del proprio sforzo, tutto d'un tratto le onde infide del mondo cadono sulle spalle come a gara: l'ora della passione del Signore è venuta all'improv­viso su di loro. E con ragione si dice che ciò avvenne di sera: poiché, non solo il sonno del Signore, ma anche l'ora della diminuzione della luce doveva raffi­gurare il tramonto mortale del vero sole. Così dunque il Cristo sali sulla poppa della croce, per addormen-tarvisi nella morte: e già salgono intorno a lui i marosi di coloro che lo bestemmiano, come tempeste marine sollevate dai demoni »291. « Ascendente ilio puppim crucis»: in queste poche parole è racchiusa la tradi­zione dei primi tempi. Sembra di udire come una eco di Ippolito, quando RABANO MAURO paragona ad un navigante il Cristo che, morendo in croce, torna in Patria. Ascendo, vale a dire il « salire » sulla piccola nave, nonché il dirigersi verso il porto della eternità neh"ascensio dell'Ascensione, l'uno e l'altro però riuniti nel « salire » sulla croce : « Navicula crux Christi est, sicut in Evangelio: ' ascendit Jesus in na-viculam et transfretavit et venit (in fines Magedan) ' quod ascendens Christus crucem exivit de hoc mundo

M1 BEDA, Expos. in Marci Evangelium, 2 (PL 92, 174 C). - La più antica raffigurazione della tempesta di Mat 8,23. 24 ci è stata con­servata su una rilegatura in avorio del secolo VI; cfr. J. WESTWOOD, Fidile Ivories in the South-Kensington-Museum, Londra 1876, tav. VI. -Sul tipo di raffigurazioni della tempesta di Reichenau, cfr. K. KUNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo 1928, p. 390. - Una raf­figurazione squisita, piena di tutta la simbolica dell'antichità, nel Codex aureus di Echternach: cfr. A. GOLDSCHMIDT, Deutsche Buchma-lerei, Firenze-Monaco 1928, v. 2, tav. 60. - La vivacità del racconto di Marco, assieme al cuscino sotto la testa di Gesù dormente, l'antenna a forma di croce dell'albero della nave e le vele sbattute dal vento sono stati fissati nell'immagine della tempesta dell'evangeliario della abbadessa Hitda di Meschede : riproduzione in Propylàen-Kunstgeschichte, Potsdam 1929, v. 6, p. 322.

604 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

et venit ad coelestem patriam » 292. Questa nave della croce è la nave della Chiesa, come qui spiega Rabano Mauro e (spesso citando letteralmente Beda e Cassio-doro) in molti altri passi delle sue opere 293. Poiché la sicura capacità di salvezza della Chiesa si fonda soltanto sulla forza della morte di croce. Ancora nel medioevo, per citare un esempio tra tanti, Anselmo di Laon ha riassunto tutto ciò nella bella espressione: « Navicula quam ascendit Christus, intelligitur arbor beatae passionis, cuius auxilio fideles adiuti transcensis mundi fluctibus quasi ad stabilitatem, ad habitationem patriae caelestis perveniunt securi littoris »294. Ciò risuona ancora attraverso gli inni del tardo medioevo, ove esaltano la santa croce quale nave della salvezza: « Crux est navis, crux est portus, crux est fortis ar­matura et protectio secura, conterens daemonia »295. Oppure nell'inno pubblicato da MONE : « Tu scala, tu ratis, tu crux desperatis tabula suprema »296. Qui si annuncia già ciò che poi tratteremo più a fondo: Γ « ultima tavola della nave » della penitenza, di cui la teologia parla sin dai tempi di TERTULLIANO, in fondo è una tavola del legno della croce, un ultimo pezzo della partecipazione salvifica alla nave della Chiesa costruita con il legno della croce. Se a suo tempo l'antica simbolica navale parlava del desiderio

2 , 2 RABANO M A U R O , Allegoriae in Scripturam (PL 112, 1005 A). 293 RABANO M A U R O , De universo, 20, 39 (PL m, 554 C ) ; Comment.

in Matthaeum, 3, 8 (PL 107, 863 C D ; 865 B-866 C) . mt ANSELMO DI LAON, Enarr. in Matthaeum, 8 (PL 162, 1324 D;

1325 A). 295 Laudismus de S. Cruce, 1, 18 (forse di BONAVENTURA), in Ana-

lecta Hytnnka 50, p. 572. ·"· Hymnus de S. Cruce, 108 (del sec. XV) , in F. J. M O N E , Lateinische

Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, v. 1, p. 142.

LA NAVE DI LEGNO 605

ardente con cui i naviganti, questi « vicini della morte, innamorati del mare», non stornavano il loro volto dal porto arridente - έπ'αίγιαλούς τετραμμένοι, li chiamava ARATO - ciò si verifica ora, in tutt'altro senso, nella nave della Chiesa che veleggia verso le terre dell'eternità e il cui legno portante è ad un tempo « morte e vita », legno della vita e legno che è l'unica parete che ancora ne separa dalla morte, legno della croce. ONORIO DI AUTUN, riassumendo la tradizione anteriore, ha espresso tutto ciò in una predica sulla Passione : « Navicula est sanctae crucis vexillum, qua de salo huius saeculi per Christi passionem vehimur ad tutae stationis tranquillam. In liane Dominus ascen-dit, dum prò mundi salute crucem subiit » 297.

Ci troviamo dinanzi ad uno sviluppo dell'immagine del pilota crocifisso, che veglia e dorme sulla poppa lignea della croce, quando l'antica simbolica cristiana parla anche del timone, che è costruito con il legno della croce. Come abbiamo già veduto, anche il pen­siero antico parla del sorprendente miracolo compiuto dallo spirito umano, che riesce a manovrare una grande nave con un legno tanto piccolo. Nella lignea impu­gnatura del timone prende corpo, per così dire, l 'op­posizione tra il minuscolo mezzo e il grande effetto; e ciò che si dice della natura della nave costruita con legno, vale ancor più del πηδάλίον, del clavus, che viene manovrato dal pilota. Dio ha fatto crescere la materia del legno, dice BASILIO, affinché l 'uomo costruisca con esso i t imoni delle sue navi 298. Al con­cetto ξύλον si collega quindi quasi automaticamente

2 9 7 O N O R I O DI AUGUSTA, Speculimi Ecclesiae, D e Dominica Pas-sionis (PL 172, 912 B C ) .

»·· BASILIO, Hexaemeron, 2, 2 (PG 29, 32 D ) .

606 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

anche la simbolica del pilota timoniere (vedemmo già che nel catalogo navale dello PS.-CRISOSTOMO

2?9, le­gno del timone e legno della croce venivano egua­gliati, e che GIUSEPPE DI TESSALONICA ricorreva dalla medesima allegoria300, là dove parlava della gigan­tesca nave mercantile, che viene guidata dal piccolo legno della croce). Qui ci troviamo però di fronte ad una simbolica molto più antica. Essa si può già incontrare in IPPOLITO. Questi a proposito del passo di Prov. 30,19 LXX, in cui si parla del mistero dei « solchi tracciati dalla nave che viaggia per mare » (τρίβους νηος ποντοπορούσης), dice che ciò si verifica nella Chiesa : « Durante questa vita terrena, la Chiesa è in viaggio come su di un mare; nella spe­ranza in Cristo essa viene guidata dalla croce »301. Il termine di paragone è naturalmente il « legno del timone ». Nel medesimo senso vanno intese perciò le invocazioni alla santa croce presenti nei Greci del­l'ultimo periodo patristico le quali chiamano il legno della salvezza semplicemente « timoniere dei navigan­ti », come ad esempio nello PS.-CRISOSTOMO

302, op­pure nell'esclamazione retorica, che si trova nella pre­dica di un anonimo, anch'essa attribuita più tardi a CRISOSTOMO: ποίον πλοΐον το μή πεδαλιουχούμενον ύπο του σταυρού 3 0 3? In una predica sulla croce di GERMANO DI COSTANTINOPOLI i simboli nautici ven-

2"> PS.-CRISOSTOMO, Sermo in vivificam Crucem (PG 50, 817 B). 3 0 0 Testo in GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p. 86 D. 301 I P P O L I T O , Frammento 5 4 ( G C S I P P O L I T O I, 2, p . 176, 1. 16 s ino

a p. 177, 1· i ) . 3 0 2 PS.-CRISOSTOMO, Sermo in vivificam Crucem (PG 50, 819 A).

Così pure in ANDREA DI CRETA, Oratio 1 in Exaltat. Crucis (PG 97, 1021 B).

303 Cfr. i testi in GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p. 142 Β ; ρ. 395 D.

LA NAVE DI LEGNO 607

gono ancora una volta riassunti in una immagine audacemente dipinta: « Cadi in ginocchio dinanzi a questo legno, è il tuo timone! Se tu sarai guidato da esso, ο uomo, non devi temere i vortici minacciosi del mare di questa vita, poiché tu hai un Maestro, che ti conduce sino alla terra incrollabilmente ferma, ma solo allorché avrai inchiodato la tua carne, con timore incessante, a colui che è inchiodato sul legno della croce » 304. Anche qui è l'opposizione tra i flutti del mare cattivo della vita e il piccolo timone fatto con legno di croce, che ancora una volta riveste con simboli la profondità teologica. La medesima dialettica è espressa ancor più bellamente in una frase che è stata attribuita sia a CRISOSTOMO, che a GIOVANNI DAMA­

SCENO305: «Gesù andò in nave sul mare. Dio in una barchetta! Allora ciò era necessario, Gesù aveva bi­sogno del legno per un giorno. Io però ho ricevuto legno eterno, un buon legno, e se mi servo di questo legno della croce come timone, viaggio sicuro sui cavalloni spirituali della peccaminosità ».

Θεός εν σκάφη: in queste due parole si riassume la dialettica teologica del simbolo della nave costruita col legno della croce, e con ciò, essa ritorna al nudo avvenimento biblico, quando Gesù salì su una barca, la barca di Pietro, per insegnare e per mettere a tacere la tempesta marina. Partendo da ciò, l'abbondanza della simbolica nautica dei Padri, nutrita di antichità, si era lasciata andare sino alla sua sorprendente ric­chezza, senza mai dimenticarsi della parte più intima

304 GERMANO, In vivificarti Crucem (PG 98, 240 CD) . aM PS.-CRISOSTOMO, Hornilia in Parasceven (PG 50, 811

D ; 8 i 2 D ) . - GIOVANNI DI DAMASCO (PG 96, 590 C) .

608 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

del mistero teologico, che, per rispetto, veniva rive­stito con allegorie : Dio sul legno. Al mistero del « ma­re cattivo » corrisponde il mistero della « nave buo­na ». Belial e Cristo, morte e vita, naufragio e appro­do, è sempre la stessa contrapposizione di pensieri, la drammaticità della storia della salvezza, in cui la teologia patristica impara a contemplare gli eventi dell'opera redentrice di Cristo. Cristo è divenuto il timoniere della nave della Chiesa; il «morto sulla croce » è il timoniere della salvezza. AGOSTINO afferma nell'esposizione sui Salmi : « Il tremendo però è il mare, poiché in esso ci sono rettili innumerevoli. In questo pauroso mare io vedo dei rettili negli uomini che non sono ancora venuti alla fede; essi si rotolano ancora in acqua amara e infruttuosa. Ma guarda, ci sono anche navi, che viaggiano sul mare, guarda, proprio in mare, che è così pauroso, galleggiano navi e non vanno a fondo. Queste navi sono le Chiese, che veleggiano in mezzo alla tempesta, negli uragani della tentazione, attraverso le onde di questo mondo, in mezzo ad animali grandi e piccoli. Poiché il loro pilota è Cristo con il legno della sua croce, egli le conduce alla patria terra della tranquillità » 306 !

La croce è il più profondo mistero della Chiesa. Esprimerlo era il senso dell'allegoria della « nave di legno ». Ci troviamo di fronte ad una eco della simbo­lica agostiniana, quando Beda scrive a proposito del mistero della croce della Chiesa : « Iuxta allegoriam mare tenebrosus amarusque saeculi praesentis aestus accipitur. Navicula autem, quam ascendit Dominus, nulla melius quam sacratissimae passionis ipsius in-

306 AGOSTINO, En. in Psalmum 103, sermo 4, 4, 5 (PL 37, 1380S).

LA NAVE DI LEGNO 6 0 9

telligitur arbor. Cuius beneficio quique fìdeles adiuti, transcensis mundi fluctibus ad habitationem patriae caelestis quasi ad stabilitatem securi littoris perve-niunt » 307.

307 BEDA, Expositio in Marci evangelium, 2 (PL 92, 173 C).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA

Dopo questi studi prevalentemente preparatori sulla simbolica patristica della Chiesa, è ora di riprendere la ναυπηγία allegorica, affinché, per dirla con ARI­STOFANE !, « il colpo d'ascia rimbombi attraverso tutto il cantiere navale ». Il titolo generale che abbiamo dato a questo studio dice già che stiamo per penetrare nel punto centrale: nell'esposizione dell'allegoria, così cara agli antichi cristiani, della croce del Signore co­me trofeo della vittoria costruito con l'albero e l'asta della vela, ossia del buon viaggio verso il porto della salvezza. La nave della Chiesa infatti « ha al centro il segno della vittoria contro la morte, ossia la croce del Signore, che essa porta sempre con sé », dice IP­POLITO 2. Senza questo intimo tratto della simbolica cristiana della nave, non potremmo comprendere l'a-legoria di « Ulisse all'albero della nave » 3. Il capitolo sulla Chiesa come « nave di legno » ci ha portati ancor

1 VOGEL, II57 (COULON III, p. 80). 2 De Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. IJS). 3 Cfr. sopra, p. 437, nota 143.

612 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

più vicino al centro. Segue perciò l'esposizione della parte dottrinale dell'antenna della croce, dato che, come le stesse assi della nave, così anche l'albero è costruito con « legno e chiodi », ed ambedue dunque fanno pensare al Signore inchiodato al legno della croce 4. Solo a partire da questo centro che ora dob­biamo presentare, il mondo complesso di questa sim­bolica diventa semplice e chiaro; e solo a partire da questo centro riusciremo a comprendere il significato teologico di questo mondo d'immagini. La pienezza e l'uso appropriato di tali immagini nautiche ve­niva capito senza difficoltà dall'antico cristiano, che, in ragione del suo ambiente culturale, era pur sempre un uomo navigatore. GEROLAMO, ad esempio, sapeva di essere compreso quando denominava il segno della croce semplicemente « l'antenna della croce »5. Ma noi cristiani posteriori, che abbiamo perduto il con­tatto con la cultura antica e quindi abbiamo perduto anche la sensibilità per il significato dei simboli, non possiamo fare a meno di farci istruire faticosamente nel cantiere dei Padri della Chiesa intorno all'albero e all'antenna. Il risultato di questi sforzi rende felici. Solo così l'antica teologia cristiana diventa per così dire « plastica », colorata, vicina alla vita, nutrita del-

4 Cfir. sopra, a p. 593SS. * Epistola 14, 6 (CSEL 54, p. 53, 1. 1). - Cfr. per questo gli arti­

coli postumi, pubblicati da Th. Klauser, di F. J. DOLGER, Beitràge zur Geschichte des Kreuzzehhens, in Jahrbuch ftir Antike uni Christen-tum 1 (1958) p. 5-18; 2 (1959) p. 15-29; 3 (i960) P· 5-16; 4 (1961) p. 5-17. Questo lavoro di Dolger nacque senza che l'autore potesse prendere visione del lavoro, pubblicato per la prima volta nel 1953, e che ora noi presentiamo per la storia del segno della croce. Gli ar­ticoli del Dolger sono anche importanti per il capitolo seguente sul « mistico Tau ».

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 613

l'inesauribile freschezza dei simboli, dietro a cui si schiudono le profondità della dottrina senza immagini. I Padri della Chiesa, quando volevano insegnare l'im­portanza determinante che la croce ha per la salvezza, non potevano scegliere alcun simbolo più appropriato dell'immagine della nave della Chiesa, che porta nel suo centro l'albero della croce.

Iniziamo dunque di nuovo la nostra naupegia. Ci può accadere qui come a GREGORIO DI NISSA, che di­pinge la costruzione di una buona nave con conoscenza nautica: « Uno mette insieme la chiglia, un altro si dà da fare per erigere le assi. Chi costruisce la prua e chi la poppa. Questi si affatica attorno all'albero e quegli intorno all'antenna»6. Noi abbiamo già tirato su l'ossatura della nave della Chiesa. Adesso ci daremo da fare intorno all'albero ed al suo pennone teso, da cui svolazzano le vele, nelle quali soffia il vento dello Spirito. Πλήρεσιν ίστίοις, dicevano con un proverbio gli antichi, volendo dire « con tutte le forze e con tutto il cuore »7. Iniziamo dunque il viaggio « a vele spie­gate », « a gonfie vele ».

i. ALBERO DELLA NAVE E ANTENNA NELLA TECNICA E NELLA LETTERATURA DELL'ANTICHITÀ

Cerchiamo in primo luogo di cogliere le nozioni tecniche che la nautica ci fornisce sull'albero e sul pennone della nave; poiché senza di esse anche la sim­bolica cristiana nella sua ammirevole pregnanza ci

« Centra fatum (PG 45, 165 C). ' SUIDA, Lexicon, voce ίστίον (Lexicographi Graeci, Lipsia 1931.

v. 1, 2, p. 672).

614 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

resterà incomprensibile. Ammettiamo che, anche dopo aver studiato diligentemente la ricca letteratura sulla nautica antica8, non conosciamo l'uso tecnicamente appropriato dei termini (e di conseguenza non lo supponiamo nel lettore), che per il cristiano antico era evidentemente ancora un bene comune della sua cultura. L'odierno interprete dei passi dottrinali nautici dei Padri della Chiesa resta, in un modo ο in un altro, sempre un « terraiuolo ». Ma i particolari essenziali debbono essere chiaramente delineati, poiché, senza di essi, si perderebbero di vista i tratti, più belli della spiegazione dell'allegoria cristiana della croce. Le pre­messe necessarie di tecnica navale che ora esporremo, ci aguzzeranno la vista, per poter vedere, ciò che ve­deva il cristiano MINUCIO FELICE: « Noi vediamo quasi spontaneamente il segno della croce su di una nave, quando avanza a gonfie vele»9. E naturaliter qui si­gnifica « come spontaneamente », comprensibile a vista, nel mondo visibile della cultura che ci circonda.

C'è in primo luogo, quale sinonimo e punto cen­trale di tutta la nave, l'albero (ίσιος, malus, arbor). L'antica nave ha quasi sempre un solo albero. Nelle navi mercantili esso è piantato saldamente, nelle navi da guerra è abbassabile e può essere conservato in un contenitore a forma di canale (ίστοδόκη). Esso viene fissato sul pavimento della nave con forti funi, vicino al punto di attacco, mediante cunei di legno e chiodi:

8 Cfr. l'elenco sopra, a p. 515, nota 11. - La più ricca informa­zione sulla tecnica e sul vocabolario navale ci viene fornita da POLLUX nel suo Onomastkon 1, 82-95 (= Lexicographi Graeci, a cura di E. BETHE, Lipsia 1900, v. 9, p. 26-32).

• Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. IOS): « Signum sane crucis naturaliter visimus in navi, cum velis tumentibus vehitur ».

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 615

tutta la salvezza della nave è fondata nella solida sta­bilità dell'albero. Esso, soprattutto quello delle pesanti navi da carico, che servivano al commercio marittimo (corbita), produceva una profonda impressione sulla fantasia degli antichi. OVIDIO mette in bocca a Galatea il racconto del mostruoso ciclope, che siede sul pro­montorio con il bastone di pastore tra i piedi, e questo bastone è come un pino, con cui generalmente si fa l'albero di una nave: «Cui postquam pinus, baculi quae praebuit usum, ante pedes posita est, antennis apta ferendis »10. E in un frammento di LUCILIO si narra la stessa cosa a proposito del Ciclope omerico, che portava un bastone simile ad un albero di nave, un verso questo che il mosaicista ha aggiunto alla rap­presentazione di una corbita nelle figure di navi di Altiburo: «Et porro huic maius bacillum quam malus navi e corbita ullast » u . L'albero veniva costruito per lo più con una sola pianta, generalmente con un abete rosso ο un abete bianco (e la stessa cosa si dica per l'antenna), come c'informa PLINIO: « Navium malis antennisque propter levitatem praefertur abies » 1 2. Nel­le Metamorfosi di APULEIO, Lucio è tutto attonito dinanzi allo splendore della nave dedicata a Iside e ammira l'albero slanciato : « Iam malus insurgit, pinus rotunda, splendore sublimis »13. Per questo la concatenazione di pensiero di malus e arbor è inscindibile, e l'albero

10 Metamorph. 13, 782S (EHWALD, p. 411). 11 LUCILIO, Fragni. 15, 1. 482S (MARX, p. 33). P. GAUCKLEE, Un

Catalogne figure de la batellerie gréco-romaine. La mosatque d'Althiburus (= Monumenti et Mémoires Piot, XII), Parigi 1905, p. 113-154. -DACL, 12, col. 987SS.

12 Nat hist., 16, 195 (MAYHOFF III, p. 50, 1. 17S). Altro materiale riguardante l'albero della nave, cfr. sopra, p. 581-591.

13 Metemorph., n, 16 (HELM, p. 278, 1. 24S).

616 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

della nave spesso viene denominato semplicemente arbor14. Si pensi a VIRGILIO, alla descrizione del tiro al piccione, che Enea organizza per il suo equipaggio: una colomba è sospesa come un bersaglio là sull' « al­bero » della nave15. E quando nell'arte figurativa si voleva « anticheggiare », allora, come è il caso della nave di Teseo in Ercolano, l'albero e l'antenna erano rappresentati come degli alberi non digrossati16. Una nave ben equipaggiata, soprattutto i veloci velieri, oltre all'albero maestro avevano un solido albero di trinchetto fissato trasversalmente alla prua, che serviva anche da gru e portava la vela anteriore (ιστός, κάτιος, άκάτιον, artemon); è per questo che questo secondo albero veniva chiamato semplicemente aka-tion. Con la sua piccola antenna messa di traverso nelle antiche raffigurazioni somiglia ad una croce che adorna la nave.

Tuttavia, era ancora più impressionante a vedersi la forma di croce che risultava dall'incrocio dell'albero maestro con la stanga della vela ο pennone. Ci sembra quasi di rivivere l'antico procedimento costruttivo na­vale, quando udiamo OMERO dipingere la costruzione della leggendaria imbarcazione di Ulisse : « Come un uomo, versato in costruzione, arrotonda sagacemente ed arcua il corpo della sua potente nave da carico, allo stesso modo il sublime Ulisse costruiva potente la sua imbarcazione. Egli elevava assi e le fissava con molta e forte tensione, e completava il tutto con possenti

14 Cfr. i testi per il significato nautico di arbor nel Thesaurus lin-guae Latinae, 1901, v. 2, col. 427, p. 57-77.

1 6 Eneide, }, 504 (JANELI, p . 198). 1 6 Cfr. H. BALMEH, Die Romfahrt des Apostels Paulus una die See-

fahrtkunde im Romischen Kaiserzeitalter, Berna 1905, p. 181.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 617

travi, vi drizzò quindi l'albero con un conveniente pennone»17. Al verso 253, Omero impiega l'espres­sione ί'κριον e έπίκριον per indicare l'albero e il pen­none (più sopra abbiamo già indicato l'impiego cri­stiano di questo vocabolario antico nella simbolica della nave e della croce)18.

Il pennone della vela posto di traverso all'albero maestro è chiamato quasi generalmente dai Greci κεραία, a volte anche ίστοκεραία. Questa parola ri­vela da sola il suo significato originario: il pennone che si estende a destra e a sinistra dell'albero, somiglia alle corna (κέρατα) di un animale. Si può anche di­mostrare che nel gergo nautico il pennone della vela si chiamava anche semplicemente κέρας. È dunque questa ampia keraia, che stende la sue braccia tremanti al vento, come sfidando tempesta e mal tempo, simile alle antenne degli insetti e dei gamberi, che in Ari­stotele vien chiamata per l'appunto κεραία 1 9. E pro­prio qui si cela la radice dell'ulteriore e strana storia di questa espressione nautica. I Romani chiamavano questo pennone trasversale dell'albero maestro con una parola la cui origine etimologica ancora non è spiegata, antemna, usata per lo più al plurale antemnae, e più tardi ingentilito un poco in antennae 20. Di qui

" Odissea, 5, 248-253. - Cfr. per questo H. RAHNER, Griechùche Mythen in christlicher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 468.

1B Cfr. sopra, p. 594S. 19 Hist. art. IV, 2, 5 (edizione DIODOT, Parigi 1854, v. 3, p. 59). 20 Cfr. per questo A. WALDE, Lateinisch-etymologisches Wórterbuch,

Heidelberg 1938, 3 ed., p. 54. - A. ERNOUT e A. MEILLET, Dictionnaire etymologique de la langue latine, Parigi 1931, 3 ed., p. 66. I due autori sono dell'opinione che antemna è di origine incerta, ad ogni modo non latina (forse etnisca?). - L'etimologia popolare si trova in ISIDORO, Etymol, 19, 2, 7 (PL 82, 666 B) : « Antemnae dictae quod ante amnem sint positae ».

618 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

le lingue romanze hanno designato il pennone della vela con « antenna », in dialetto siciliano con « ntin-na » 21 ; e più tardi la scienza della natura ha tradotto con « antenne » la designazione aristotelica degli or­gani della sensibilità degli insetti22. Così è avvenuto che negli ultimi tempi si designano con il termine « antenna » i dispositivi di recezione delle onde, i quali sono tesi come le antenne degli insetti e delle navi: tutti sappiamo quanto questa parola sia radicata oggi nella vita quotidiana, talmente che a prima vista sen­tiamo una certa difficoltà, quando questo nostro studio ora incomincia a parlare dell' « antenna della croce ».

Questo pennone ο antenna di una grande nave era dunque per gli antichi l'oggetto di una meraviglia quasi timorosa: poiché tutta la funzione della vela dipendeva dalla sua bontà e manovrabilità, e dalle vele dipendeva la vita e il felice approdo. La grande antenna di una nave di circa 200 tonnellate era lunga sino a 12 metri, e le antenne della nave di lusso de­scrittaci da ATENEO, aveva circa 25 metri di apertura 23. Per questo i costruttori di navi greci puntellavano le antenne d'ambo i lati con brache che scorrevano sulla cima dell'albero ed erano ormeggiate a prua e a poppa

2 1 Cfr. W. MEYER-LUEKE in una recensione di G. KORTING, Lateinisch-romanisches Worterbuch, in Zeitschriflfur die òsterr. Gymnasien 42 (1891) p. 766.

22 Cfr. HATZFBLD-DARMESTETTER, Dktionnaire general de la Un­gile francaise, v. 1, p. 104 « Antenne ». Qui rinviamo a E. MARALDI, Mémoires de VAcadémie des sciences, 1712, p. 136, il quale dice che TEODORO GAZA avrebbe applicato nel sec. XV l'espressione nautica antenna alle corna sensibili degli insetti - Cfr. anche GRIMM, Deutsches Worterbuch, Lipsia 1905, v. 10, 1, col. 97S: Segelstange.

M A. KOSTER, Studien zur Geschichte des antiken Seewesens (= Klio, Beitràge zur alien Geschichte, Beiheft 32, N. S.> fase. 19), Lipsia 1934, P- 50.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 619

(κεροίακες). L'antenna era ricavata per lo più da un solo albero oppure anche da due cime artisticamente saldate insieme. Essa era fissata all'albero con ormeggi (αγκοίνη, cinquina), ma in modo tale che potesse essere orientata e, soprattutto all'insorgere di una tem­pesta, potesse essere calata facilmente. « Calare l'anten­na»: questo era un punto capitale dell'arte della vela, che salvava la vita. Le vele vengono ripiegate con corde ed anelli che sono fissati all'antenna (τοπεΐα). Essa è girevole in una specie dì fuso posto sulla cima dell'albero, a seconda della direzione del vento; questo fuso direzionale si chiama κεροΰχος ο κεραιοϋχος, in latino ceruchus: « Stilus est quidam in caput arboris, ad quem venti probantur vel ad quem antemnae re-guntur »24. La parte dell'albero che sta al di sopra dell'antenna, la cima, si chiama καρχήσιον, carchesium. Esso corona tutta la struttura e porta a volte una specie di coffa ο gabbia (θ-ωράκιον ο κατάρτιος). Con questo carchesium la nave maestosa giunge per cosi dire sino all'etere celeste, e ad esso vengono appese, mediante gomene, le estremità esterne delle antenne; per questo il commentatore di LUCANO descrive il carchesium con le parole : « Ligna quae antemnam te-nent aut certe quid est in summum arboris »25. E APULEIO non dimentica mai di menzionarle, quando descrive una nave con il suo superbo albero : « Navem procero malo, insigni carchesio, splendentibus velis » 26, o: «Pinus rotonda, splendore insignis, sublimi car-

** Scholia in Lucani bellum civile (H. USENER, Commenta Bernensia, Lipsia 1869, v. 1)), 8, 177.

" Ivi, s, 4.18. - Cfr. MACROBIO, Sat., s, 21 , s (EYSSENHARDT,

p. 337, 1. 10-12. ae Florida, 23 (HELM, p. 43, 1. iss).

ì

620 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

chesio conspicua » 27. Le estremità esterne dell'antenna sono dette άκροκέραια, cornua. Dal ponte al vertice dell'albero corre una scala di corda. Essa è chiaramente visibile sulle immagini di navi di Altiburo 28. Infine, soprattutto nei velieri rapidi, per aumentare la rece­zione del vento, viene messa in opera una controve-laccia ο gabbiaiuola (σίφαρος, supparum, detto a volte anche παράσειον) tra l'antenna e la cima. Ha la forma di un triangolo ottuso, la cui base corrisponde al grande pennone e i cui lati convergono verso l'asse del fuso del carchesion.

Tutto sommato: albero e antenna sono la sostanza di una buona nave. Non si fanno risparmi nella loro costruzione, ed un uomo amante del mare ha conser­vato scritto sulla stele del koptos per la posterità, quante buone drachme egli ha pagato per l'albero e l'anten­na w. La loro essenza è condensata dall'antica leggenda: « Dedalo ha inventato l'albero della nave e l'antenna » 30.

Dopo aver fatto conoscenza con i più importanti concetti che l'antica nautica ci fornisce sull'albero e sull'antenna, è indispensabile per la comprensione del­l'allegoria cristiana dell'antenna della croce, tastare, per così dire, nella letteratura latina e greca, lo stato d'animo, che riempiva l'uomo antico alla vista delle navi, che, forti dell'albero e dell'antenna portatrice della vela, solcavano l'amato e temuto Mediterraneo.

"' Metamorph., I l , 16 (HELM, p. 278, 1. 24S). ** La migliore riproduzione in DACL, 12, 1, col. 993, fig. 8771.

Ciò in aggiunta a FR. J. DOLGER, Sol Saintis, Munster 1925, 2 ed., p. 277, nota 3.

s» W. DITTENBERCER, Orientis Graeà lnsaìptiones selectae, Lipsia 1905, v. 2, p . 418.

» PLINIO, Nat. hist., 7, 209 (SILLIG Π, p. 66, 1. 12).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 2 1

Tutti i libri del mondo spirituale ellenistico e romano sono pieni di racconti su viaggi di mare, tempeste marine e guerre navali, e l'antica mitologia, dalla nave degli argonauti sino ad Ulisse ed Enea, vive e si muove in questa gioia, mista a timore, per il « mare nostro ». Noi abbiamo cercato di capire questo stato d'animo già nel capitolo su II mare del mondo 31. Tha-latta 32, questo era il grido caro ai Greci, e noi dobbia­mo riascoltarlo continuamente, ora che cominciamo a parlare dell'albero « incrociato dall'antenna della vela », in cui s'incarna la salvezza e l'audacia dell'uomo che va per mare. Poiché questo mare è stato vinto dall'arte della vela che è dono divino. La riverente ammirazione per la nave si concentra ad un tempo sull'albero e sull'antenna; e la loro intersezione, che forma l'immagine di una croce, è come un magico incanto che attraeva l'uomo, che conosceva qualcosa dei mitici misteri del mare.

Iniziamo con uno sguardo panoramico alla narra­tiva dei viaggi marini. « Tutto sommato », così il chiacchierone di LUCIANO riassume la sua ammirata descrizione della grande nave egiziana nel Pireo, « che grande albero. Quale immensa antenna esso porta, e di quali sartie c'è bisogno per tenerlo fisso. E quale grazioso ornamento è, sulla cima dell'albero, il gran velaccio lucente come fuoco. Tutto ciò mi sembra meraviglioso »33. E poi si fa raccontare dal pilota in qual modo la nave si salvò durante la tempesta not-

" Cfr. sopra, a p. 455-509. 32 Cfr. per ciò A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum

Meer, Vienna 1947. 83 Navigium seu vota, 5 (JACOBITZ III, p. 215, 1. 14.S; 1. 22s).

622 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

turna, quando uno dei divini Dioscuri si era posato, sotto forma di lucente stella, sul carchesion dell'al­bero 34. Lo stato d'animo del viaggio tranquillo è fissato in modo appropriato in PETRONIO : « Tutta la nave risuonava di canti. Una tregua di vento soprav­venuta improvvisamente aveva rallentato il corso. E così, l'uno cercava di prendere gli scattanti pesci con una forca di zinco, un altro attirava le guizzanti prede con ami lusinghieri. Gli uccelli marini si erano posati persino sull'antenna, e ora una testa ingegnosa li met­teva sotto coperchio con panierini di vimini » 35. An­che Luciano ci narra di questo dolce far niente tipica­mente greco durante la navigazione tranquilla, là dove ricorda al suo amico quelle ore di ricreazione : « Bighel­lonavamo dunque attorno all'albero della nave e guarda­vamo verso l'alto; facevamo il conto delle toppe di cuoio sulle vele, ammiravamo un marinaio che si ar­rampicava sui cavi e poi, senza alcun timore, faceva gin­nastica ritto in piedi lungo l'antenna »36. VEIXEIO

PATERCOLO ci narra del viaggio per mare compiuto da Cesare dalla Bitinia a Roma, per assumervi l'uffi­cio di Pontefice Massimo. Per timore dei pirati, Ce­sare si serve di una piccola nave, ma il timore gli fa

34 Navigium, 9 (p. 216, 1. 25S). Cfr. K. JAISLE, Die Dioskuren ah Retter zur See bei Griechen una Rdmem uni ihr Fortkben in christlichen Legenden, Tubinga 1907.

35 Saturae, 109, 6 (BUECHELEE, p. 79, 1. 6-11). 38 Navigium, 4 (JACOBITZ III, p. 214, 1. 25-29). Cfr. O V I D I O , Me-

tamorph., 3, 615S (EHWALD, p. 82), ove, a proposito del marinaio Ditti, vien detto che nessuno sapeva arrampicarsi così bene sulle an­tenne e calarsi nell'attrezzatura delle vele: « Quo non alius conscen­dere summas ocior antemnas prensoque rudente relabi ». - Una raf­figurazione antica di marinai che si spostano lungo le antenne si vede in DAREMBERG-SAGLIO, Diclionnaire des Antiquités, 1904, v. 4, 1, p. 39, fig. 5293.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 623

vedere i fantasmi : da qualche parte lungo la costa adriatica egli vede nella luce del crepuscolo una selva, e crede di vedere la fila ben ordinata degli alberi e delle antenne di una flotta : « Mox intellexit frustra-tum esse visum suum, arborumque ex longinquo or-dinem antemnarum praebuisse imaginem » 37. Questo complesso di paura di Cesare è molto istruttivo per la nostra simbolica: vi si vede con evidenza imme­diata quanto fosse viva nella psiche dell'uomo antico l'equiparazione di malus e arbor, e allo stesso tempo come egli fosse inevitabilmente incline a identificare « antenna » con nave e flotta. Per il senescente Seneca fu un'ora deliziosa quando, pacato e ad un tempo nervoso, attendeva sulla spiaggia di Pozzuoli l'arrivo del postale alessandrino, e poi ne parlava all'amico Lucilio : « Oggi giunsero improvvisamente in vista le navi di Alessandria, che si ha cura di mandare avanti per annunciare l'entrata in porto della flotta che se­gue. Le chiamano naves tabellariae. Tutta Pozzuoli è radunata sul ponte di approdo, e dalla forma delle vele si riconoscono immediatamente, in mezzo alla massa di navi, quelle alessandrine: esse sole cioè pos­sono issare il controvelaccio (siparum), che altrimenti tutte le navi portano in cima all'albero. Niente in­fatti favorisce il corso della nave quanto questa parte superiore della vela: di li la nave viene maggiormente spinta. Quando pertanto il vento aumenta e diventa più forte, come si desidera, allora si cala l'antenna, poiché più in basso la forza del vento è minore » 3S. Viceversa, l'alzamento. della vela sull'antenna significa

" Historia Romana, 2, 43, 2 (HALM, p. 57, 1. 24ss). 38 Epistolae ad Luàlium, 77, 1, 2 (HBNSE, p. 269)·

624 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la gioiosa e speranzosa partenza. Nessun romano po­teva dimenticare i versi, con cui Virgilio descrive il tentativo di approdo in Italia progettato da Enea, ma reso vano dal Fato, e come i naviganti, dopo la preghiera di Anchise, ripartono e lasciano i luoghi infidi abitati dai Greci:

« Haud mora. Continuo perfectis ordine votis cornua velatarum obvertimus antemnarum Grajugenumque domos suspectaque liquimus

[arva » 39.

Quanto è suggestivo tutto ciò : « Noi girammo i corni delle antenne rivestite di vele ». Oppure, più in là, alla fine del quinto libro, al momento di partire per il viaggio definitivo verso la promessa Italia: nell'atto di issare le antenne, si riflette l'immagine della grande speranza che riempie il pio Enea, e già si presenta il felice approdo alle foci del Tevere: « Iubet ocius omnis adtolli malos, intendi brachia velis »40. « I corni si librano regolari, spinti in avanti e indietro ; la flotta cessa di rumoreggiare contro il vento », cosi è tradotto da Voss il verso conclusivo : « Una ardua torquent cornua, detorquentque : ferunt sua flamina classem »41. I poeti cristiani della tarda latinità hanno imitato questi bei versi virgiliani, come fa ad esempio ENNODIO, quando parla delle vele crepitanti nei cern­ali 4 2 , ο come leggiamo in APOLINNAKE SIDONIO,

che così descrive il felice approdo : « Solvit antemnas,

3" Eneide, 3, 548-550 (JANELL, p. 157). 40 Eneide, 5, 828S (JANELL, p. 207) ; la lettura remis invece di velis

è difficilmente preferibile, poiché brachia non sono i bracci del timone, ma delle antenne.

41 Eneide, 5, 83 is (JANELL, p. 208). « Carmina, 1, 7 (PL 63, p. 319 B).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 625

alta vela, palmulam ponit manus »43. Così in Ru-TILIO NAMAZIANO, quando descrive il placido viaggio verso la patria, ed all'aurora innalza le sue antenne, « quando la rosea aurora guida verso l'alto il suo tiro a due » : « Lutea protulerat sudos aurora iugales ; an-temnas tendi littoris aura iubet » 44.

In drammatica opposizione con ciò abbiamo le antiche descrizioni delle tempeste marine sul racca­pricciante mare: quando il lampo si dirige verso l'an­tenna, quando il vento urlante sfracella i pennoni delle vele, allora non c'è più salvezza. Anche qui si parla sempre dell'antenna, poiché in essa si incarna fortuna e pericolo. Il modello è il naufragio di Ulisse: « Vela e pennone precipitano lontano nelle onde » 45. Νeli'Agamennone di SENECA, Euribate narra la storia della flotta distrutta nello Ionio (simile al racconto della tempesta in ESCHILO) 4 6, che avanza impotente con gli alberi spezzati : « Nec rectus altas malus an-temnas ferens sed trunca toto puppis Ionio natat » 4 7.

E PLAUTO presenta il vecchio Carnide che, nei rin­graziamento a Nettuno, descrive il pericolo corso, il modo in cui « i venti tempestosi ringhiavano come veri cani contro la nave, la pioggia e i flutti e gli scrosci ruppero l'albero e spezzarono le antenne » 4 8. « Navi­gare con antenna priva di vela » è terribile, dice LU­CIANO

49. GIOVENALE descrive con pomposa oratoria

43 Epistola 9, 16, v. 5s (MGH Auct. Antiq. 8, p. 171). 41 De reditu, 511S (Poetae latini minores, V, BAHRENS, p. 22). 45 Odissea, 5, 317. 48 Agamennone, 635-660 ( W I L A M O W I T Z , p. 206). 47 Agamennone, 505S (RICHTER, p. 260). 48 Trinummus, 835-837 (GOETZ-SCHOELL II, p. 44) 4> Toxaris, 19 (SOMMERBRODT II, 2, p. 63,1. 23S: ά π ο φ ι λ ή ς τ η ς

κ ε ρ α ί α ς π λ έ ο ν τ α ς ) .

626 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

la navigazione attraverso la tempesta notturna, quando il lampo guizza attorno all'antenna50. Orazio canta le « scricchiolanti antenne »51, e, dopo di lui, CLAUDIO

CLAUDIANO, con imitazione alquanto scolastica: «La nave con l'antenna rotta è colpita al ventre, è un gio­cattolo in balia del vento e dei cavalloni »52. Dopo la morte di Pompeo la flotta romana cade in un gra­vissimo pericolo, durante il quale a nulla più serve neppure l'alzare la vela al punto più alto delle anten­ne 53. L'imperatore Caracalla durante il viaggio verso l'Asia deve salire su di una nave di salvataggio, poiché il vento tempestoso ha distrutto le antenne della sua nave54. In quei tempi si leggevano tutte queste cose con il più vivo interesse; i racconti di tempeste marine erano sempre ricercati; e quando SINESIO DI CIRENE

nella sua lettera sulla tempesta marina racconta della « cigolante antenna »55, ο quando GREGORIO DI Ν Α ­

ΖΙΑΝΖΌ canta il suo « spaventoso pericolo e la tempe­sta urlante », che « fischia acuta nei cavi dell'antenna » *6, si tratta ormai di uno stile divenuto in qualche modo manierato.

5 0 Satur., 12, 19 (HOUSMAN, p. n o ) : « Subitusque antemnas im-

pulit ignis ». - Cfr. per questo anche il caso giuridico, di cui i Digesti,

14, 2, 6 (MOMMSEN, p . 188), ove si narra di una nave il cui albero

e antenna furono bruciati dalla folgore: « Ictu fulminis deustis arma-

mentis et arbore et anteluna ». 5 1 Carni., 1, 14, 5 (KLINGNBR, p . 17): «Et malus celeri saucius

Africo antemnaeque gemant. . . ». 52 Panegyrkus de sexto consulatu Honorii, Carmen 24, 138S (MG

Auct. Antiqu., io, ρ 240). 5 3 LUCANO, De bello civili, 9, 328 (Hosicus, p. 273). 6 4 ELIO SPARZIANO (Script. Hist. August.), Caracalla, 5, 8 ( H O H L

I, p. 187, 1. 20-22). 55 Epistola 4 (PG 66, 133.7 A). 56 Carmina, 2, 1, 1, v. 316S (PG 37, 994).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 627

C'è di più: albero e antenna delle navi da guerra esercitano un ruolo importante anche nella stesura della storia; noi ci accontentiamo qui di alcuni accenni, che servono a comprendere il particolare stato d'ani­mo, che provava l'uomo antico alla vista degli ampi pennoni delle sue navi da battaglia. Nell'assedio di Tiro fu determinante per Alessandro Magno l'aver costruito una specie di rocca servendosi di alberi e antenne della flotta riuniti per comporre delle passe­relle 57. Nella tattica di Cesare contro le navi dei Galli, fu una buona idea mozzare i cavi delle antenne del nemico58. Un rapido innalzamento e abbassamento dei pennoni era indispensabile per qualsiasi vittoria59. Noi udiamo addirittura lo schiantarsi delle antenne e « l'implacabile sibilare della tempesta nella velatura », quando Sino ITALICO canta il pericolo di Annibale così decisivo per le sorti di Roma60. Ed è come un idillio, quando LIVIO può informarci, come Annibale, fuggendo verso Oriente, appresta un pasto ai suoi ospiti all'ombra dei pennoni calati e delle tele delle

57 CURZIO R U F O , Hist. Alexandre, 4, 3, 14 (HEDICKE, p. 51,1. 24). Una cosa simile racconta anche LIVIO, 30, io , 5 (MULLER III, p. 362S) a proposito di Scipione. Cfr. anche la tattica con le antenne armate di delfini nella guerra navale tra Siracusa e Atene, in TUCIDIDE, Bell. Petop., 7, 41, 2 ( W E I L , p. 167).

ss De bello gallico, 3, 14; 15 ( Κ ι ο τ ζ Ι, ρ. 74, l. I4ss): «Funes qui antemnas ad malos destinabant... quibus abscissis antemnae neces­sario concidebant ».

5 9 CESARE, De bello Alexandrino Commetti., 45, 2, 3 (KLOTZ III, p. 34, 1. 13-16) : « Antemnis ad medium malum demissis... demit-tique antemnas iubet (Octavius) et milites armari; et vexillo sublato quo pugnandi dabat signum ... ».

8 0 Punica, 17, 225S (BAUER II, p . 171): « Ecce intorta noto venien-sque a rupe procella antemnae immugit stridorque immitte ruoen-t u m sibilat... ».

628 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

loro vele : « Et vela cum antemnis ex navibus corro-gari, ut umbra coenantibus in littore fieret » 6 1. Albero e antenna sono per l'appunto semplicemente morte e vita, sofferenza e piacere, naufragio ο salvezza; essi sono uno di quegli inesplicabili simboli, in cui si raf­figura l'ultima dialettica dell'essere umano.

Di qui viene che ora anche nella mitologia antica l'albero e la sua antenna vengono per così dire consa­crati. Il viaggio originario degli Argonauti è stato sempre inteso nella letteratura antica come prototipo del destino umano. VALERIO FLACCO così dipinge, come su di un affresco pompeiano, la nave sacra degli uomini primitivi presa nella furiosa tempesta : « Nel nero cielo lampeggia, le folgori precipitano dinanzi alla tremante nave, l'antenna vacillante già lambisce con il corno sinistro l'acqua furiosa »62. Egual sorte tocca, a tutte le navi mitologiche. Paride viaggia per mare con la rapita Elena, e la sua nave viene sbattuta sul lato dalle onde, « così che si direbbe che i cavi dell'antenna tocchino le stelle »e3. Presso l'albero e il banco del timone Agamennone amoreggia con Cassandra, così suppone la gelosa Clitemnestra in ESCHILO64. Con festosa sontuosità i Greci celebrano la fèsta delle Panatenee, in cui si espone sull'albero e sull'antenna il sacro peplo di Atena65. E tutti cono­scevano il mito della santa nave di Teseo, che venendo da Creta annuncia salvezza ο perdizione con vela

61 33» 48, 5 (MuiLES, p. 136, 1. 27s). ·* Argonauticon, 1, 622-624 (KRAMER, p . 23). 6 3 DRACONZIO, Romulea, 8, 389S (MG Auct. Antiqu., p . 166):

» D u m summa ceruchis sidera putatit et nihil superesse fatetitur ». " Agamennone, 1442S ( W I L A M O W I T Z , p . 234). 6 5 Cfr. W . DITTENBERGER, Silloge, 3 ed., p . 374, 1. 14-16.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 2 9

bianca ο nera sull'antenna. CATULLO lo ha cantato con i bei versi: « Funestam antennae deponant undi-que vestem, candidaque intorti sustollant vela ruden-tes »66. Nella metamorfosi del re Ceico in alcione, i versi di OVIDIO dipingono la tempesta marina e si ode per l'appunto il grido del timoniere, che ordina di abbassare le antenne: « Ardua iamdudum. demittite cornua, rector clamat, et antennis totum subnectite velum» 6 7 ! Ed è come un bel commiato da questo mondo del mito nautico, quando CLAUDIO CLAU-

DIANO, con barocca sontuosità di parole, termina il canto di festa per il consolato di Stilicone con la de­scrizione della nave dionisiaca : « Edera cinge le tavole, vite si arrampica su per l'albero, e i divini serpenti inebriati si attorcigliano attorno alle antenne » 68.

Mentre l'uomo antico in base al mito vede nell'an­tenna uno strumento e simbolo della sua sorte, questa

86 Carmina, 64, 234S (KROLL, 2 ed., p. 174). Quando KROLL nel suo commento dice che β antennae sono i pennoni, che la nave aveva in grande numero, cosicché da undique non bisogna concludere che c'erano molte navi », si inganna. Va infatti corretto così: « Certamente Catullo parla soltanto di una vela, ossia, secondo il modo dei poeti dell'ultimo periodo, non si è fatto un'immagine completamente chiara ». In verità è Kroll, e non Catullo, che non si è fatta un'imma­gine chiara: il plurale antennae significa le due metà del pennone, ai cui lati (undique) viene appesa l'unica vela (vestem). - Vestis quale vela è importante per noi più sotto; Kroll rinvia qui anche a LU­CREZIO, 6, 114S (BAILEY, p. 518) : « Ubi suspensam vestem verberibus venti versant ».

67 Metamorpk., 11, 482S (EHWALD, p. 342). 88 De consolato Stilichonis III (= Carmen 24, 366S) (MG Auct.

Ant. X, p. 233). Cfr. l'immagine della nave di Dionisio avviluppata dai pampini di un pergolato, sul piatto di Exechia (riproduzione in A. KOSTEK, Das antike Seewesen, Berlino 1923, p. 125), con la sua antenna bellamente messa a forma di croce. Del resto la poesia di Claudio rispecchia lo spirito mitologico del settimo inno omerico, di cui ci dà una traduzione A. LESKY, Thalatta, p. 102-104.

630 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

immagine nautica e la sua tecnica entrano anche nel mondo sentimentale e perciò concettualmente pro­fondo dei paragoni etici. Con ciò nel nostro viaggio attraverso la letteratura greca e latina giungiamo al punto, ove la simbolica cristiana vi si inserisce senza soluzione di continuità. Il coro dell'Eumenide di ESCHILO

usa per la prima volta l'immagine dell'antenna affon­data, immagine divenuta poi indimenticabile per tutti i Greci:

« Colui che volontariamente, senza costrizione, non resta infelice, [si mostra retto, egli non affonderà completamente nella miseria. Eppure io dico ad alca voce: Trasgressore,

[sfacciato, ostinato, così ricca la tua nave avanza contro il giusto, di beni - si abbasseranno presto [piena le tue vele, quando il duro pericolo s'impadronisce delle antenne sfracellate»69.

Forse Aristofane ha pensato a questi versi, la aove nelle Rane fa cantare dal coro l'ammonizione a parlare con cautela, e ciò nell'immagine della vela ammainata alle antenne:

« Guardati, ο cuore superbo, di parlare contro di lui con ira. No, vanne alla deriva con le vele

<" Eumenidi, 550-557 (WILAMOWITZ, p. 312). Gli ultimi due versi: δταν λάβη πόνος θραυομένας κεραίας non sono resi esattamente da J. G. DHOYSEN (ed. W. NESTLE, Stoccarda 1939, p. 321): «Quando dura sventura colpisce gli alberi fracassati». Per questo abbiamo tradotto « alberi » con « antenne », poiché la nave ha soltanto un albero, mentre le due parti del pennone che sporgo­no dall'albero giustificano anche qui il plurale, come già in Ca­tullo.

LA CROCE COME ALBERO E ANTEl· NA 631

ammainate, vanne alla deriva completamente ad aspettare, [rassegnato, quando puoi captare buon vento e prendere una buona direzione»70.

Lo stesso pensiero troviamo in PLUTARCO, quando narra del saggio timoniere, che, al levarsi del vento di tempesta, « prega per la salvezza e ricorre agli dei salvifici; ma dopo la preghiera afferra il legno del ti­mone e abbassa le antenne. Poiché dio è certamente una speranza per i valorosi, ma non un pretesto per i timidi » 71. Gli dei salvifici sono i Dioscuri (Castores), ai quali era consacrata anche quella nave, su cui viag­giava Paolo (Atti 28,11). Già Luciano ci fa sapere che essi si posarono sulla cima dell'albero della nave come fuoco lucente. Essi sono la personificazione della sal­vezza, che ci si attende dall'albero e dall'antenna. Perciò STAZIO nel suo Propempticon a Mezio Celere li implora, affinché si posino con buona stella sull'an­tenna della nave:

«... proferte benigna sidera, et antennae gemino considite cornu, Oebalii fratres » 72.

!0 Rane, 997-1003 (COULON, IV, p. 133). - Versione di J. G. DROYSEN, Lipsia 1891, 3 ed., v. 2, p. 298.

71 De superstitione, 169 Β (BERNARDAKIS I, p. 414, 1. 21-23 ; P· 415, 1. I2s). Cfr. anche Praec. rei pubi, gerendae, 807 C (BERNARDAKIS V, p. 83, 1. 21).

'3 Silvae, 3, 2, v. 9s (VOLLMER, p. 123). Cfr. perciò anche il Fram­mento 78 di ALCEO, di cui viene data una trascrizione da A. LESEY Thalatta, p. 146 - PLUTARCO, De defectu oracuhrum, 426 BC. - "·

J. DOLGBR, Dioskuroi, in Antike una Christentum 6 (1950) p. 27^ss· K. JAISLE, Die Dioskuren als Retter zur See bei Griechen una Rómem una ihr Fortleben in christlichen Legenden, Tubinga 1907.

632 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Pure a questa santa antenna pensa OVIDIO nella tristezza del suo esilio di Tomi, quando scongiura l'amico in Roma di condurre una vita dignitosa e di evitare le tempeste invernali della superbia cortigiana:

« Effugit hibernas demissa antenna procellas, lataque plus parvis vela timoris habent »73.

E qui si ricorda con nostalgia del suo periodo ro­mano di splendore, quando la nave della sua vita avan­zava ancora con le vele spiegate all'antenna : « Dum tulit antennas aura secunda meas»74. Questa stoica calma dell'arte di vivere, questa « ascesi dell'antenna calata », ha trovato forse la sua più bella espressione nei cori di SENECA. L'arte di manovrare l'antenna può essere segno della superbia indomita, con cui gli uo­mini osano viaggiare per il mare infido, come dice nel lamento del coro della Medea:

« Nunc antennas medio tutas ponere malo: nunc in summo religare loco, cum iam totos avidus nimium navita flatus optat et alto rubicunda tremunt suppara velo » 75.

Ma anche viceversa: l'abbassare la vela significa modestia e umile saggezza. Proprio in opposizione all'atroce esplosione di dolore di Edipo, Seneca fa cantare dal coro il canto della vita tranquilla : « se il fato mi permettesse di forgiarmi la vita a mio piacere, allora io riceverei soltanto un lieve zeffiro nella vela,

73 Tristia, 3, 4, v. 95 (EHWALD-LEVY, p. 62). 74 Tristia, 5, 12, v. 40 (EHWALD-LEVY, p. 139). " Medea, 323-328 (RICHTEK, p. 130).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 3 3

così che le mie antenne non tremerebbero nella dura tempesta »:

« Fata si liceat mini fingere arbitrio meo, temperem Zephyro levi vela, ne pressae gravi spiritu antennae tremant » 76.

Si potrebbero addurre ancora molte testimonianze, che parlano della vitalità con cui l'immagine dell'al­bero e dell'antenna si manifesta in sempre nuove forme nel pensiero mitico ed etico dell'antichitàηη. Ciò che è stato citato è comunque sufficiente per percepire lo stato d'animo in cui affonda le radici anche la simbolica cristiana dell'antenna della croce. Qui bisogna tracciare con più esattezza ancora un ultimo sviluppo: esso ci condurrà sino alla porta del mondo simbolico cristiano e ci è comprensibile soltanto a partire da ciò che ab­biala sin qui esposto circa la tecnica e la letteratura della nautica dell'antenna.

Dobbiamo cioè mostrare più da vicino che già per l'uomo antico del periodo precristiano la vista dell'albero della nave attraversato dall'antenna era un

' · Edipo Re, 882-886 (RICHTER, p. 234). " Cfr. ad es. SOLINO, Collectanea, 52, 42 (MOMMSEN, p . 191

1· 3-7), ove, a proposito della balena, si riferisce che il suo corpo gi­gantesco « si erge al di sopra delle antenne delle navi ». - AVIENO, Carmina, 2, 669-678 (HOLDER, p. 32), tempesta marina ed esortazione all 'amore della terra: « Iam solve vaga carbassa malo, iam prolixarum iaceat rigor antemnarum ». - In Lucrezio, « l'infido mare » ricoperto da fracassate assi di nave e da antenne sfracellate, è l ' immagine stessa del caos degli atomi: De rerum natura, 2, 553-560 (BAILEY I, p. 264). -L'immagine dell'alta antenna s'incontra anche nella retorica. FRON­TONE D I CIRTA, Epistola 1, 2 (NABER, p. 98) loda l'oratoria dell'im­

peratore Antonino e dice che egli parla non soltanto dai rostra, ma anche dall'alto dell'antenna.

634 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

richiamo al legno patibolare della croce, anzi, che egli poteva rappresentarsi quasi naturalmente nelle aste estese dell'antenna una vita crocifissa78. La nave ben costruita è per il Greco e per il Romano come una persona amata (ne abbiamo già parlato esaurien­temente) 79 ; senza volerlo, si paragonano le singole parti della nave alle membra dell'uomo. Così le an­tenne diventano naturalmente le braccia, che pos­sono essere estese in forma di croce all'albero del corpo.

Così parlano persino i giuristi, come ad esempio ALFENO, che, in una perizia giuridica delle «membra» di una nave, dice : « Omnia autem quae coniuncta navi essent veluti gubernacula, malus, antemnae, velum, quasi membra navis esse »80. Così parlano soprattutto i poeti. In VIRGILIO le antenne sono semplicemente brachia%1. Nei vecchi amanti di MELEAGRO, le nodose spalle sono simili alle antenne82; e in OVIDIO, Cibele trasforma le navi di Enea in Naiadi e le antenne diven­tano braccia83. Solo così comprendiamo come ARTE-

MIDORO possa dire nel libro dei sogni: Quando i navi­ganti sognano di avere il capo reciso, ciò significa la perdita dell'antenna: άπολεΐσ&αι τοϋ πλοίαν την ίστοκεραίαν σημαίνει84. Qui, l'interprete dei sogni veramente non resta nell'immagine: egli avrebbe

™ Cfr. sopra, a p. 436. 79 Cfr. sopra, a p. 545-553-M A L I E N O , Digest., a i , 2, fragni. 44 (MOMMSEN, p. 281). 8 1 Eneide, 5, S29 (JANELI, p. 207).' , a Anthologia Gratta, 5, 204, v. 3 (BECKBY I, p. 346). 8 3 Metamorph., 14, 554 (EHWALD, p. 442): «Lina comae molles,

antennae brachia fiunt». 8 4 Oneirokritika, 1, 3S (HERCHER, p. 37, 1. 5).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 635

dovuto esprimere con «capo» tutta la struttura della cima dell'albero assieme alla coffa. Che di fatto si pensasse così, ce lo mostra un'altra spiegazione, che, assieme a questa, esercitò anche un grande influsso, poiché in essa risuona l'origine primitiva della parola κέρας e κεραία, che portò a parlare di « corna » del­l'antenna : « Un toro in sogno significa per i naviganti tempesta e minaccia di naufragio, poiché l'antenna subirà una sfortuna. Il toro infatti rassomiglia con il suo capo e le sue corna alla vela e alla coffa dell'albe­ro »85. Certamente questo è un modo di parlare ma­nierato dei maghi, ma così pensava anche l'uomo della strada e il commerciante marittimo. Essi vedono nell'albero e nell'antenna un essere vivente, una forma di croce, che ha significato magico, e in sogno si ve­dono precisamente inchiodati a questa croce. « Essere crocifisso significa, nell'insieme, bene per il navigante. Poiché la croce, proprio come la nave, è composta di legno e di chiodi. E la struttura intorno all'albero è simile ad una croce », dice ancora ARTEMIDORO 86. Solo a partire da ciò comprendiamo il giuoco di pa­role tra il tiranno Megapente e lo schiavo Cinisco, che viaggiano verso l'ai di là sulla barca dei morti di Caronte, ove scompaiono tutte le differenze ter­restri di classe: « Non sai quanto poco mancò che ti facessi inchiodare alla croce a causa delle tue insolenze contro di me»? E lo schiavo rispose, come se ciò fosse cosa evidente: «Per questo adesso sei tu che vieni

85 Oneirokritika, 2, 12 (HERCHER, p. 102, 1. 5-8). sa Oneirokritika, 2, 53 (HERCHER, p. 152, 1. 4-6): και γ α ρ έκ

ξ ύ λ ω ν καΐ ή λ ω ν γ έ γ ο ν ε ν ό σταυρός ώς καΐ το π λ ο ΐ ο ν καΐ η κ α τ ά ρ τ ι ο ς α υ τ ο ΰ ό μ ο ί α ε σ τ ί τ ω σ τ α υ ρ ω .

636 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

inchiodato all'albero »87. Dunque albero e antenna sono precisamente « croce ». Per questo FESTO può dire semplicemente, quando parla della contrammez-zana (supparum) : « Et in nautis nunc supparos appel­larmi vela linea in crucem expansa »88. Antenna e croce appartengono allo stesso genere. E qui comincia la simbolica cristiana.

2. ALBERO E ANTENNA COME SIMBOLO DELLA CROCE CRISTIANA

È GBEGOMO DI NISSA a darci la migliore spiegazione dell'espressione di MINUCIO FELICE a proposito della forma di croce riconoscibile naturalità; ossia con na­turalezza, conforme ai sensi, nelle navi. Egli parla del mistero della croce, che domina nascostamente tutta la natura e dice: «Possiamo imparare ciò dai marinai; il legno che si pone di traverso all'albero della nave e da cui si svolge la vela, è chiamato antenna (κεραία), ed essi derivano questa designazione ver­bale da ciò che appare sensibilmente all'occhio (σχήμα) » 8 9.

Prima di esporre questa parte dottrinale della teo­logia dei Padri, ci sia permesso inserire qui una parola di giustificazione del metodo con cui sin qui abbiamo presentato ciò che « abbiamo imparato dai marinai ».

87 LUCIANO, Cataplus sive Tyrannus, 13 (SOMMERBRODT I, 2, p. 70, ]. 16-21). Cfr. perciò lo schiavo legato all'albero della nave, che fa pensare ad Ulisse: SINESIO, Epistola 32 (PG 46, 624S).

88 FESTO, De verbomm significatu (LINDSAY, p. 406, 1. 15-18). U testo non è riferito del tutto chiaramente, ma il significato è inequi­vocabile.

89 Oratio ι (PG 46, 624S).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 637

Se si vogliono comprendere veramente sino alle loro ultime radici le profonde relazioni della simbolica patristica con l'ambiente antico, non ci si può mai accontentare di lavorare soltanto con alcune allusioni a raffronti letterari, ma bisogna piuttosto cercare di cogliere quello che abbiamo chiamato « lo stato d'ani­mo nautico », il senso della vita, comune ai cristiani e ai pagani dell'antichità, che viene fornito loro dal­l'ambiente nautico. Qui dominano dei rapporti re­conditi, per lo più non enunciati, e soltanto se siamo in grado di accordarli tra loro, Γ « illogicità » dei sim­boli, spesso incomprensibile quando ci arrestiamo alla superficie della pura citazione letteraria, diventa in qualche modo comprensibile. Solo per questo è stato necessario accumulare le pezze d'appoggio e di sco­dellare la cornucopia dei frutti della lettura, e non perché ci aspettassimo ora che ogni elemento del­l'antica simbolica nautica trovasse la sua corrispon­denza cristiana. Contro questo nostro metodo si po­trebbe citare l'ironia di ARISTOFANE a proposito del poeta Agatone:

« Costruire un pezzo nei cantieri dell'arte : egli forma già l'ossatura dello scafo, egli già pialla qui, già congiunge là, incolla detto su detto, vi spalma sopra la vernice»90.

Ciò sarebbe tuttavia ingiusto. Solo il metodo della « concordanza », che costruisce su una profonda co­noscenza faticosamente acquisita delle testimonianze antiche e cristiane, favorirà la nostra comprensione

"> Thesmophoriazusen, 53-56 (COUION IV, p. 19S; dalla tradu­zione tedesca di J. G. DROYSEN, Lipsia 1881, 3 ed., v. 3. P· l f! '5 ' '

638 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

delle relazioni tra « antichità e cristianità ». Per citare già qui soltanto due esempi, che dobbiamo presentare per l'appunto documentati: quando i Padri della Chiesa primitiva leggono in Abacuch 3,4 la frase: « E le corna sono nelle sue mani », quasi naturalmente (cosa oggi incomprensibile e artificiosa per noi) viene alla loro mente il ricordo nautico, che le estremità dell'antenna erano chiamate cornua, e dinanzi agli occhi del loro spirito già l'immagine del Crocifisso, che estende le sue braccia sulle antenne, come il Salvatore inchiodato all'albero della nave della Chiesa. Oppure, quanto nella benedizione di Giacobbe (Gen 49,6) essi leggono a proposito del « toro », li porta spontaneamente, pro­prio come il sognatore di Artemidoro, a pensare alle « corna » del toro, che sono come le antenne dell'albero della nave, e il corso dei loro pensieri si indirizza subito verso i simboli nautici dell'antenna della croce. Oggi cosideriamo tutto ciò come un giuoco sublime, come un'allegoresi intrecciata di misteriose associazioni di parole. Dovremmo al contrario pensare che una fa­ticosa ricostruzione e rintracciamento di queste strane relazioni, ci condurrebbero diritto in quel mezzo della teologia patristica, che resterà sempre inaccessibile a chi l'abborda soltanto letterariamente dal di fuori: ci condurrebbero cioè là dove una dommatica simbolica già completamente costituita, anche se non ancora maturata in idee astratte (e perciò divenuta forse ari­da), si cela dietro il mondo delle immagini e si svilup­pa con sempre nuova freschezza. A partire da questo possesso interiore, i Padri ο impiegano i simboli of­ferti dalla « natura » per spiegare ο accennare con « di­mostrazione piena di logos e con un'immagine che

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 639

dà all'occhio » (come dice GIUSTINO) 91, le verità della

rivelazione (la quale per lo più parla proprio con «immagini»).

La stessa cosa avviene anche nel mondo delle im­magini nautiche, in mezzo al quale ora ci troviamo. Albero e antenna compendiano la nave, la sua salvezza ο la sua perdita. L'antenna portatrice della vela è ga­ranzia di buon viaggio come pure d'altissimo peri­colo, luogo di riposo della divinità salvifica e, ad un tempo, esposto a tutti i fulmini. La « nuda antenna » con le sue vele lacerate dalla tempesta ο bruciate dai fulmini è inizio di naufragio, il legno intatto dell'al­bero della nave è certezza della vittoria sul mare in­fido e sulle sue potenze demoniache: Tropaia è il nome che i Greci danno volentieri alla loro buona nave 92.

Ma albero e antenna sono come una croce. Per questo il cristiano trasferisce ora al legno della croce del Salvatore questa dialettica simbolica, che anch'egli, da genuino navigatore, percepisce alla vista delle navi. Egli, infatti, già sa dalla dottrina salvifica della Bibbia, che incarnazione ο morte di croce del Signore sono sempre due cose : « Caduta e resurrezione » (Lue 2>34·)> « pazzia per coloro che si perdono, e forza per i salvati» (iCor 1,18). Con lo sguardo fisso alla teo­logia della croce, della grazia e della Chiesa, attiva dietro i simboli, presentiamo ora il dimenticato in­segnamento dei Padri circa ΓAntenna Crucis.

n Apologia, i, 55, 13 (OTTO I, 1, p. 152): δια λόγου καΐ σχή­ματος φοανουμένου.

" Cfr. A. BOECKH, Urkunden iiber das Seewesen des attischen Staates, Berlino 1840, ρ. 92.

640 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Albero e antenna come tropaion. Nella letteratura cristiana, incontriamo il primo accenno di una dot­trina della antenna della croce proprio in quel capitolo di Giustino, che abbiamo citato più sopra. E proprio dalla forma vagamente allusiva con cui l'apologeta ne parla, possiamo desumere che si tratta di un topos già noto e che apparteneva agli elementi fondamentali della dottrina del « mistero della croce »93. Si tratta di dimostrare che la figura della croce si manifesta misteriosamente già nelle « cose sensibili » e che « non c'è nulla al mondo che possa essere fatto funzionare ο possa avere coesione senza questa figura »94. L'ele­mento dell'opposizione dialettica, necessario per il mi­stero, consiste nel fatto che la croce spregevole eppure impressa su tutte le cose ordinarie, è il « più grande simbolo della forza e del dominio ». Giustino si ri­chiama qui a ciò che ne ha detto precedentemente, quando, nel dimostrare la croce in base ai profeti, spiega le parole di Isaia (9,6) riguardanti il « dominio regale, che riposa sulle sue spalle », come predette della croce, « sulla quale egli, inchiodato, adagiò le sue spalle »95. Potere regale e legno del disonore costi­tuiscono un tutto, allo stesso modo in cui ora, nel

83 Cfr. perciò H. RAHNER, Griechische Mythen in christlkher Deu-tung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 73-100: il mistero della croce. - Per una origine accettabile precristiano-giudaica del simbolo della nave della Chiesa, cfr. E. PETERSON, Das Schiff als Symbol der Kirche. Die Tat des Messias im eschatologischen Meeressturm in der jiidischen und altchri-stlichen Uberlieferung, in Theologische Zeitschrift (Basilea) 6 (1950) p. 77-79- - Sviluppo e critica parziale di testi in K. GOLDAMMER, Das Schiff der Kirche. Ein antiker Symbolbegriff aus der politischen Metapho-rik in eschatologischer und ekklesiologischer Umdeutung, in Theol. Zeit­schrift (Basilea) 6 (1950) p. 232-237.

·* Apologia, 1, ss , 2 ( O T T O I, 1, p. i so ) . 85 Apologia, 1, 35, 2 ( O T T O I, 1, p. 104).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 5 4 ^

simbolo desunto dalla nautica, salvezza e albero sono intimamente connessi: 8-άλασσα μεν γαρ ού τέμνε­ται, ην μη τοϋτο το τρόπαιον, δ καλείται ίστίον, εν τη νηι σώον μ ε ί ν η 9 6 . «Il mare non può essere solcato, quando questo segno di vittoria, che è chia­mato vela, non resta illeso ». Ora, non è semplice interpretare questo testo, utilizzato più tardi da Ter­tulliano e da Minucio Felice. Innanzitutto, esso sup­pone che la croce sia chiamata semplicemente tropaion, τρόπαιον, segno di vittoria. Su ciò siamo stati ben documentati da FR. J. DÒLGER, il quale ha ricondotto sino a Paolo (Col 2,5) le radici di questa teologia della croce vittoriosa, che in seguito venne sviluppata con tanta ricchezza97. Tropaion è il palo di legno a cui si appendono, su di una stanga trasversale, le armi del nemico, nel luogo ove questi si è dato alla fuga. Già questo arnese di legno forma dunque la figura della croce e sembra perciò un albero con la sua antenna. Si pensi soltanto al peplo di Atena che viene svolto dalla mistica antenna della nave per es­sere esposto. Se dunque Giustino poteva già supporre che la croce era chiamata semplicemente tropaion, l'ampliamento al paragone nautico con l'albero dive­niva spontaneo. La meraviglia è tanto maggiore, in quanto poi non segue la parola ιστός, ma ίστίον: il tropaion è la vela, che pende dall'antenna. Non è lecito dire con DÒLGER 98 che al posto di « vela » qui sarebbe meglio porre «albero». Al contrario: la so­luzione del significato del testo sta proprio nel fatto

·· Apologia, i, 55, 3 (OTTO I, 1, p. 150). »' FR. J. DÒLGER, Die Sonne der Gerechtigkeit una der Schwarze,

Munster 1918, p. 133-138. 98 Ivi, p. 137, nota 4.

i

642 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

che parla di « vela », e Giustino evidentemente ha voluto dire di più di quanto racchiudeva in una sola parola: tutta la storia ulteriore del significato, da noi qui presentata, ci darà ragione. La « santa » tela della vela, che pende giù dall'antenna dell'albero, è in se stessa il tropaion; viceversa: la perdizione comincia per il fatto che la tela della nave si strappa ο viene bru­ciata. Ma che la vela stessa possa essere chiamata tro­paion, diventa comprensibile soltanto quando Giu­stino, alla fine di questo capitolo, presenta il secondo simbolo della forza della croce che si riflette in umili segni sensibili : « Anche i simboli, a voi familiari, an­nunciano la forza di questa figura della croce, voglio dire i vexilla e tropaia, con cui ovunque si svolgono i vostri cortei e con cui voi mettete in mostra le im­magini visibili della potenza e del dominio, anche se lo fate senza essere consapevoli del loro significato » ". In questi stendardi infatti, il cui drappo pende dal legno trasversale della stanga della bandiera, si perce­pisce chiaramente la forma di croce che si trova sotto il rivestimento, questo tropaion dei soldati è un sim­bolo sensibile della croce dei cristiani, e tale è ora pure il caso di una nave (anche se inizialmente ciò viene detto solo mentalmente) : la « santa tela della vela » per questo è intatta e intanto è vittoriosa nel solcare il mare, in quanto pende da questa intatta impalcatura di legno risultante dall'albero e dall'an­tenna.

·" Apologia, i , 55, io . i l ( O T T O Ι, i, p. 152). - Del resto già C I ­CERONE (Orator, 45, § 153) accosta con una strana etimologia velum e vexillum. Lo fa notate K. GOLDAMMER, op. cit., p. 235 e rinvia ad un testo di AMBROGIO, che noi discuteremo più a fondo in seguito (De virginitate, 18, 118: PL 16, 297).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 643

Giustino non espone ancora, il significato di questa nave che ha riportato vittoria grazie alla virtù del se­gno della croce. Importante, tuttavia, indicare imme­diatamente la stretta parentela dei simboli dei vexilla e dei tropaia con il simbolo nautico dell'albero: è qui, in effetti, che affonda le sue radici la teologia della nave vittoriosa della chiesa, che stiamo per espor­re. Prima però TERTULLIANO ci spiegherà questa con­nessione logica di tropaion e antenna, che in Giustino è semplicemente presupposta. La pungente ironia con cui l'Africano difende i cristiani dall'accusa di essere, crucis religiosos, adoratori della croce, ci ha regalato il capitolo 16 dell'Apologetkum e i passi paralleli nel primo libro Ad nationes. Anche voi pagani romani, così si svolge il filo del ragionamento della risposta, pregate, senza saperlo, delle croci, ο per lo meno dei tronchi di legno, che per così dire costituiscono una parte (la più importante) della croce, quando li pian­tate al suolo : « Pars crucis est omne robur quod erecta statione defìgitur » 10°. Se pertanto le cose stanno così, continua ironicamente Tertulliano, noi cristiani pre­ghiamo almeno tutta una croce, ossia, « nella peggiore delle ipotesi, pur sempre un dio completo e integro ». Questa allusione un pò oscura deWApologeticum di­venta comprensibile per noi grazie ai passi paralleli del libro Ad nationes e proprio qui si illumina il mondo di immagini dell'oratoria nautica : « Pars crucis et quidem maior est omne robur quod erecta statione defìgitur. Sed nobis tota crux imputatur, cum antemna scilicet sua et cum sedilis excessu » : « Ci si rimprovera una croce intera, significa: con l'antenna e con il legno

">" Apologeticum, 16, 7 (CSEL 69, p. 43, 1. 315).

644 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

d'appoggio che gli sta dinanzi »101. L'artista si procura un tale sostegno di legno quando impasta l'argilla attorno a questa croce per fare un primo abbozzo della futura statua, e il medesimo sostegno di legno in forma di croce porta gli stendardi e i tropaia dei soldati romani; una forma di croce è all'interno dello « scheletro » degli dei e delle bandiere di vittoria : «Diximus originem deorum vestrorum a plastis de cruce induci. Sed et victorias adoratìs in tropaeis, cum cruces intestina sunt »102. Che in tutte queste rappre­sentazioni del tropaion e del suo sostegno ligneo si tratti in ultima analisi di immagini nautiche, è dimo­strato non soltanto da tutto il paragone con Yantemna del tronco della croce che si presenta quasi spontanea­mente nel capitolo Ad nationes, ma ora anche dal­l'uso che fa, nelTApologeticum, della parolai iphara, di cui in seguito parleremo più ampiamente : « Siphara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt » 103. Questa parola rara spesso è stata compresa male ed è stata tradotta erroneamente. Si dimostrerà in se­guito che qui possiamo senz'altro dire: «Le controm-mezzane delle bandiere e degli stendardi non sono altro che rivestimenti di croci ». Tertulliano pertanto si rappresenta l'impalcatura dei tropaia semplicemente come albero e antenna trasversale, alla cui cima sven­tolano le contrommezzane, proprio come su di una nave.

Possiamo inserire ancora una linea amplificatrice in questa nota fondamentale nautica presente in tutta

101 Ad nationes, ι, 12 (CSEL 20, p. 81, 1. 27 - p. 82, 1. 5). l o a Apologeticum, 16, 7 (CSEL 69, p. S3, 1. 34s). 1 0 3 Apologeticum, 16, 8 (CSEL 69, p. 43, 1. 38s).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 645

la serie di immagini. Anche Tertulliano, come già prima di lui Giustino, parla qui delle forme della fi­gura della croce inscritte nella natura visibile, e le trova ora, oltre che nel sostegno ligneo costituito da albero e antenna, anche nelle forme del corpo umano: la tacita et secreta linea crucis è visibile nel corpo, poiché la testa è eretta, la rotondità delle spalle sporge, e l 'uomo, quando allarga le braccia, imita la forma della croce1 0 4 . È naturale pertanto, che, dinanzi alla figura dell'albero incrociato dall'antenna, si pensi ad una figura di uomo legato alla croce: abbiamo visto più sopra quanto fosse familiare questa rappresenta­zione per l 'uomo pagano dell'antichità navigante. « I vostri tropaia non hanno soltanto la forma di una semplice croce, ma riproducono l'aspetto di un uomo crocifisso {adfixi hominis faciem imitantur), dice Mi-NUCIO FELICE 1 0 5 , e proprio qui egli continua con le

parole che già conosciamo: « N o i vediamo quasi na­turalmente (naturaliter) il segno della croce sulla nave, quando questa avanza a gonfie vele ». Non c'è alcun dubbio, e ciò risulterà ancor più chiaro in seguito, che l'antico cristiano, dinanzi alla forma di croce del­l'albero e dell'antenna, si rappresentava il Salvatore crocifisso, che (così possiamo finahnente prolungare la linea che inizia sin da Giustino) porta sulle antenne delle sue spalle la vittoriosa regalità e così assicura ai naviganti la salvezza raffigurata nella tela intatta della vela.

Siamo così giunti a quel testo di IPPOLITO, di cui abbiamo già parlato nell'elenco del catalogo nautico

104 Ad nationes, I, 12 (CSEL 20, p. 82, 1. 13-16). 105 Ottavio, 29, 7 (CSEL 2, p. 43, 1. 9s).

646 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

della teologia patristica106. In esso la teologia della croce come tropaion della vittoria viene esposta con una precisione nautica sino ad ora ignorata. Prendiamo dalla massa delle immagini simboliche di questa teo­logia della nave soltanto ciò che sta in diretta relazio­ne con la nostra questione (ma apparirà chiaro che solo adesso, dopo aver fatto conoscenza con la tecnica e la simbolica delle immagini nautiche dell'antichità, possiamo dare una esatta spiegazione del testo, ossia, che siamo in grado di correggere la trasmissione lettera­ria del testo alla luce della nostra conoscenza nautica).

Nel suo libro sull'Anticristo, Ippolito tratta delle persecuzioni a cui verrà sottoposta la Chiesa degli ultimi tempi. Collegandosi alle parole di Isaia (18,1 LXX) a proposito delle « ali delle navi », egli parla dei cristiani come della « generazione perseguitata e calpestata dall'Anticristo e dagli infedeli » degli ultimi giorni. « Le ali delle navi : cioè le Chiese. Il mare è il mondo, sul quale la Chiesa, come una nave sul mare, viene sbattuta qua e là nella tempesta e tuttavia non affonda. Poiché essa ha con sé Cristo, l'esperto timo­niere». Qui inizia il testo, che dobbiamo studiare più da vicino per la nostra teologia dell'antenna della croce. Estraiamo perciò i passi che vi appartengono dal contesto (ambiente) dei rimanenti simboli nautici, che saranno presentati in seguito:

φέρει δε έν μέσω και. το τρόπαιον το κατά τοϋ θανάτου, ώς τον σταυρόν τοϋ κυρίου μεθ'έαυτής βαστάζουσα ... οθόνη δέ ταύτη λαμπρά πάρεστιν ώς το πνεϋμα το άπ'ούρανών, δι,'οδ σφραγίζονται ol πιστεύοντες τω θεφ ... κλΐμαξ δε έν αύτη εις

1 0 6 Cfc. sopra, a p. }IJS·

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 647

υψος επί το κέρας άνάγουσα ώς είκών σημείου πάθους Χρίστου, έλκουσα τους πιστούς εις άνάβασιν ουρανών, ψίφοφοι δε έπί το κέρας εφ' ύψηλοϋ ένούμενοι ώς τάξεις προφητών μαρτύρων τε καί αποστόλων εις βασιλείαν Χρίστου άναπαυόμεναι 1 0 7 .

« Essa porta nel suo mezzo anche il segno della vittoria, che è contro la morte, poiché essa porta ritta con sé la croce del Signore ... Gli è stata data anche una vela lucente di bianco, ciò significa lo Spirito, che è dal cielo, nel quale vengono segnati i credenti in Dio ... In essa c'è una scala di corda, che conduce su in cima all'antenna, come segno sensibile della pas­sione di Cristo, ed essa conduce i credenti all'ascesa verso il cielo. Le vele di cima però, che si riuniscono al vertice sopra l'antenna, sono come gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che qui si riposano sino all'ingresso nel regno di Cristo ».

La traduzione che diamo fondandoci sul testo cri­tico di ACHELIS e che si differenzia in diversi punti non trascurabili da quella di V. GRÒNE 108 e di FR. J. DOLGER 109, è già giustificata mediante il materiale che abbiamo presentato nella prima parte del nostro studio. L'albero è tropaion e croce ad un tempo : segno di vittoria contro la morte per acqua, come fu già compreso in Giustino; croce, perché attraversato dal­l'antenna, come era ovvio per l 'uomo antico. L'albero sta « ritto », ciò risuona nell'enfatico βαστάζουσα, con cui viene rafforzata l'espressione φέρει. ο·9·όνη signi­fica « stoffa della vela », ma allo stesso tempo anche

1 0 7 De Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p . 39, 1. I5s; p . 40,

1. 1-7). «a BKV, 1 ed., Ippolito, Kempten 1873, p. 54S. 1 0 9 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 277S.

648 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

« stoffa di bandiera », come mostreremo più chiara­mente in seguito: qui risuonano dunque gli stessi pensieri, che, in direzione inversa, in Tertulliano e Minucio nella descrizione dei vexilla e tropaia fecero filtrare il vocabolario nautico. Che κλΐμαξ qui sia la scala di corda che conduce in cima all'albero, lo ha già osservato DÒLGER 110, e noi più su ci siamo richia­mati, inoltre, appositamente anche ai mosaici navali di Altiburo. Il significato profondo della simbolica teologica, che si cela nell'immagine della scala di corda, deve essere visto nel fatto che questa conduce « in alto, sopra l'antenna ». Essa può dunque essere simbolo della passione di Cristo, che egualmente conduce i credenti « sopra l'antenna della croce », in cielo. Tutti questi paragoni nautici possono essere compresi nella loro precisa esemplarità, e quindi nella loro portata dommatica, solo se non li condanniamo soltanto come idee strane non obbliganti ο come contorte allegorie, ma le spieghiamo in base alla conoscenza tecnica nau­tica, che era ancora ovvia per gli antichi. L'antenna, cioè la croce, è per così dire il punto di separazione nel destino terrestre e definitivo della Chiesa: tutto ciò che sta « al di là dell'antenna » è sin da ora « cielo », riposo e viaggio felice, luce e salvezza definitiva. Qui è riposta la dialettica dommatica dell'essenza della Chiesa: essa è agitata dalla tempesta, ma non va mai a fondo. Essa è una nave che porta una croce, ma questa croce è tropaion della vittoria sicura sul mare del mondo e contro la morte spirituale. « La sua prua

110 Ivi, p. 277, nota 3.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 4 9

è l'Oriente » u l , essa viaggia verso il Sole nascente, il Cristo glorificato degli ultimi tempi.

Qui comincia la nostra spiegazione testuale e sim­bolica dell'ultima frase dell'allegoria nautica della Chiesa di Ippolito e qui diventa forse comprensibile come soltanto una certa amorosa immedesimazione col mondo meraviglioso dell'antica nautica rende intelligibile un'espressione cristiana. È con la simbolica delle vele di cima, che Ippolito conclude la sua teolo­gia dell'immagine della Chiesa. Testo e significato erano sin qui in pessime condizioni. Già COMBEFIS si è trovato nell'incertezza circa il senso del paragone con gli ψίφαροι, e ciò nonostante tutto l'apparato scientifico, che egli ha esibito al l 'uopo1 1 2 . GRÒNE, e KAUFMANN che lo s e g u e m traducono dunque la frase: «I segni distintivi posti sull'albero sono la se­rie dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che si ri­posano nel regno di Cristo». DÒLGER trascrive così: « gli ψ ί φ α ρ ο ι 1 1 4 (pali ο cavi), che partendo dalla

stanga trasversale sono riuniti in alto, sono gli ordini

dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che sono giunti

al riposo nel regno di Cristo » 1 1 5 . Egli si è lasciato certamente guidare in questa traduzione dalla tradi-

111 De Antichristo, 59 (GCS I, 2, p. 39, 1. 17): ή μεν π ρ φ ρ α α ν α τ ο λ ή . Cfr. anche IPPOLITO, Frammento 4 su Gen 8,1 (GCS I, 2, p. 9is). - DÒLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 278.

112 PG io, p. 780, nota 22. 113 BKV, 1 ed., IPPOLITO, Kempten 1873, p. 55. - C. M. H A U F -

MANN, Die sepulkralen Jenseitsdenkmàler der Antike und des Christen-tums, Magonza 1900, p. 183.

114 Lo iota qui aggiunto nel testo pubblicato da DOLGEK (p-278, 1. 1) è evidentemente uno sbaglio di stampa.

115 Sol Salutis, 2 ed., p. 278, 1. 1-4.

650 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

zione errata dell'antica traduzione slava di Ippolito, che rendeva ψίφοφοι con « pali » 1 1 6.

Per la precisa traduzione, che sola ci manifesta la finezza del simbolo nella sua profondità teologica, dobbiamo occuparci ancora una volta e un pò più da vicino dell'antica tecnica navale e del mondo poe­tico che vi è collegato. La parola ψίφαροι, del testo d'Ippolito non è riscontrabile in nessun altro luogo in tale forma ed è palesemente una forma verbale cor­rotta della tradizione manoscritta117. Bisogna senza alcun dubbio dire σίφοφοι,: ossia, qui si parla delle contrommezzane, che erano usate al di là dell'antenna in cima all'albero, soprattutto nei velieri veloci, il sipharum ο supparum dei Romani (Tertulliano già ne parlava e con questa parola designava la « stoffa della vela » appesa all'impalcatura lignea in forma di croce dei tropaia e degli stendardi festivi). « Quando il tempo è buono e il vento è debole, tra la cima dell'albero del mercantile, prolungata oltre il pennone, e le due metà del pennone si dispiegano due (sul rilievo Tor-lonia 118 anche tre) vele di cima a forma di triangolo (siparum, sipharum, supparum, probabilmente una pa­rola orientale, derivante forse dall'ebraico siphrah, detto di cielo sereno, dunque vela per tempo bel-

Xle GCS IPPOLITO I, 2, p. 40, nota alla 1. 7. 117 Cfr. E. A. SOPHOKLES, Greek Lexikon of the Roman ani Bi­

zantine periods, Cambridge 1914, p. 1181: «Ippolito PG io, 780 A ha erroneamente ψήφαροι per σίφοφοι ». - G. ANAGNOSTOPULOS, Λέξικον της ελληνικής γλώσσης, Atene, 1933. alla voce σίφάρος descrive la contrommezzana secondo la mentalità antica, quale τρίγω-vov έκπεταννύμενον υπέρ την άνωτάτην κεραίαν.

1X8 Riproduzione in A. BAUMEISTER, Denkmàler des klassischen Altertums, Monaco-Lipsia 1888, v. 3, fig. 1688.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 651

lo) »119. Ciò era noto ancora ad ISIDORO DI SIVIGLIA : « Siparum, genus veli unum pedem habens, quo iuvari navigia solent in navigatione, quoties vis venti langue-scit»120. E cita un verso di Lucano: «Navita... sum-maque tendens sipara, velorum perituras colligit auras » : « Il marinaio ... dispiega la vela di cima portata nel pun­to più alto e raccoglie i venti che fanno afflosciare le vele » m. Gli Scholia di Lucano ci hanno conservato una preziosa allusione a questo verso : « Sipara velo-rum: velum dicit quale habent navigia tentum super antemnam, quod formatum est quasi delta graeca »122. Questa vela di cima è dunque anche qui « al di là del­l'antenna » ed ha la forma triangolare della lettera delta. Anche queste contrommezzane per lo più dop­pie sono stese su un sostegno ligneo, e noi già sappiamo che questo arnese di legno era spesso denominato semplicemente « croce » : « Supparos appellamus vela linea in crucem expansa »123, e qui ancora una volta diventa chiara la ragione per cui un Tertulliano poteva chiamare le armature lignee degli stendardi « croce », e le stoffe delle bandiere siphara. Questa vela, posta al di sopra della grande antenna, sulla punta suprema dell'albero, è la prima a brillare al sorgere del sole, e per questo Seneca poetava : « Et alto rubicunda tre-

l l s R E II, A, ι (1921) col. 1051, 1. 58ss (ASSMANN). - Cfr. anche R e III, A, 1 (1927) a suparium ( H U G ) . - Per σίφαρος cfr. L. MEYER, Handbuch der griechischen Etymologie, Lipsia 1902, v. 4, p. 26s. - Per supparum cfr. A. W A L D E , Lateinisches etymotogisches Wórterbuch, Hei­delberg 1910, 2 ed., p. 756. - FORCELLINI, Prato 1771, v. 5, ρ. 77 1 ·

1M Orig., 19, 3, 4 (PL 82, 668 A). 1 2 1 Bellum civile, 5, 427-429 (Hosius, p. 140). 1 2 2 Scholia in Lucani bellum civile (USENER, p. 171, 1. 3-7)· 1 2 3 FESTO, De verborum significatu (LINDSAY, p . 406, 1. 15-18).

652 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

munt sipara velo » m, « brilla infuocata », come di­ceva LUCIANO1 2 5 ; promette viaggio rapido, come ci narra SENECA a proposito dei postali alessandrini a Pozzuoli126. Per questo, nell'antica simbolica, essa significa anche viaggio felice. STAZIO COSÌ prega le divinità salvifiche del viaggio marino : « Vos summis adnectite sipara velis, vos Zephyris aperite sinus »127. In EPITTETO esse sono simbolo della riuscita fuga a gonfie vele dinanzi al pericolo128; in FRONTONE, il simbolo di un retore che sovrasta tutti gli a l t r i m . Insomma, i sipara sono la personificazione della sal­vezza per mare irradiata dalla luce del sole e le sue linee triangolari convergono verso la punta più alta dell'albero e sembrano non saper più nulla del peri­colo di tempesta dell'antenna in forma di croce che si trova al di sotto di esse. Sono insomma il segno della fortuna; per questo Properzio canta: «Iungite extremo felicia lintea malo »130.

Dobbiamo immedesimarci in tutto ciò e tenerlo presente allo spirito, quando leggiamo, ora, l'ultima frase della simbolica ecclesiale di Ippolito: Un punto dopo l'altro diventa chiaro nella sua profondità alle­gorica, e tutta una teologia escatologica si nasconde dietro la semplice immagine della vela di cima. Gli ψίφαροι si trovano « al di là dell'antenna », essi sono

1 2 4 Medea, 327S (BJCHTER, p. 131). 1» Nauigium, s ( R E I T Z III, p. 252). 1M Epist. ad Lucilium, 77, I, 2 (HBNSE, p. 269, 1. 235). 127 Silvae, 3, 2, 27S (VOLLMER, p. 125). l s s Epicteti dissertationes ab Amano digestae, 3, 2, 18 (SCHENKI,

p . 216). 1M Epistola i, 2 (NABER, p. 97, 1. 9-13). 130 Elegie, 3, 21, v. 13 (ROTHSTEIN II, p. 143).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 5 3

dunque in primo luogo simbolo del mistero dell'ai di là, che già ricolma la Chiesa veleggiante sul mare del mondo. Essi « si incontrano in cima » : questo ένούμενοι (che dunque si rivela come l'unica lettura

possibile del testo trasmesso in modo non chiaro),

corrisponde precisamente al iungite di PROPERZIO ed

all'affermazione degli Scholia di Lucano circa la forma

di delta della vela di cima. Ma in Ippolito, questa

forma triangolare riceve una spiegazione simbolica

che solo ora diventa comprensibile: il Tre della vela

di cima significa il numero trinano degli « ordini »

dei profeti, dei martiri e degli apostoli. Nella menta­

lità della teologia primitiva cristiana ciò significa: sono gli ordini di quei membri della Chiesa, che già sono entrati nella regione tranquilla « al di là dell'an­tenna a forma di croce », anche se (e questa è l'esi­genza di tutto lo scritto di Ippolito sull'Anticristo) la venuta trasfigurata finale del Signore, il definitivo levarsi del sole che viene dall'Oriente (e la nave della Chiesa viaggia verso di esso), non è ancor giunto. Per questo, con il semplice, ma significativo impiego dell'accusativo greco, egli dice che questo triplice ordine dei membri glorificati della Chiesa « si riposano nel regno di Cristo », e cioè, finché tutta la nave della Chiesa non sarà entrata nel porto del riposo, essi sono ancora « in attesa del regno di Cristo ». Con ciò, la teologia del mistico albero quale tropaion della vit­toria della croce ha trovato la sua più profonda spiega­zione. Antenna è la croce, ma il medesimo albero, che porta il pennone della croce posto ancora in pe­ricolo, termina nei /elida lintea della contrommezzana, che già brilla infocata per il sole che sorge. Poiché

654 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la Chiesa è sempre ambedue le cose: persecuzione e vittoria, viaggio tempestoso e approdo anticipato, che si spera vittorioso131. Se dovesse essere accettata la frase della tradizione testuale, che dopo άναπαυόμενοι aggiunge ancora: τοϋ διωγμού καΐ της θ-λίφεως 1 3 2, allora essa conterrebbe un rafforzamento dell'immagine ricapitolativa dell'antenna della croce: «al di là del­l'antenna » non c'è più persecuzione e dolore, ma soltanto quiete e regno. In poche parole: la croce sulla nave della Chiesa è tropaion, segnale che indica la di­rezione verso la vittoria.

In base a ciò è sintomatico che il raddoppiamento, in certo qual modo l'essere veduta Funa nell'altra, di queste due serie di immagini desunte dal mondo militare e dal mondo navale, seguiti ancora a vivere: albero e antenna raffigurano sia la croce sulla nave, sia anche il sostegno ligneo degli stendardi militari; l'elemento comune è la simbolica della vittoria sia contro il mare nemico, « cattivo » e « demoniaco », sia contro il nemico dell'esercito assalitore. In una predica greca, che a torto è stata attribuita a METODIO

DI FILIPPI, l'autore enumera i simboli della croce sparsi nel mondo visibile (ciò fa parte ora del topos letterario e lo incontreremo spesso) e dice : « Così noi pensiamo che anche gli imperatori terreni si sono appropriati di quel segno a forma di croce per disperdere le po­tenze cattive e fecero erigere in tale forma quel segno, che nella lingua romana si chiama vexillum. Obbe­dendo volentieri a questo segno, il mare si lascia at-

131 Cfr. sopra, a p. 512S. l 3 i GCS IPPOLITO I, 2, p. 40, nota alla 1. 9.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 5 5

traversare dagli uomini con navi »133. Il testo ci mo­stra che qui ci troviamo già nell'ambiente dell'impe-rialità cristianizzata: chi non penserebbe qui immedia­tamente al labaro di Costantino? In effetti, ascoltando Eusebio circa l'origine di questo segno di vittoria cristiano, ci colpisce immediatamente il vocabolario nautico in esso usato: l'asta di legno dorata è come l'albero, e gli viene aggiunta, come stanga trasversale, un'antenna, così che il tutto assomigli ad una croce: ύψηλον δόρυ χρυσω κατημφιεσμένον κέρας εΐχεν έγκάρσιον, σταυρού σχήματι πεποιημένον1 3 4. Che questa spiegazione nautica del labaro sia giusta è con­fermato dalla ulteriore affermazione riguardante lo stendardo, che fluttua appeso all'antenna: «All'antenna trasversale (του πλαγίου κέρως), che è apposta alla lancia lignea (δόρυ), è appesa, fluttuante, una specie di stoffa di vela (οθόνη τις) dall'alto in basso »135. Già abbiamo ricordato più sopra, come gli imperatori cristiani, soprattutto Costantino e Costanzo, si faces­sero rappresentare sulle immagini delle monete come i detentori della vittoriosa nave dello Stato, sulla quale essi si ergono con il segno vittorioso della croce con­cepito come albero e antenna 136. Da ora in poi i re­tori cristiani avranno pensato a questo segno, quando, in un linguaggio immaginoso che risuona quasi ma­nierato, esaltano la croce come tropaion contro le potenze demoniache, come segno della vittoria contro

133 Homitia de Cruce Christi (PG 18, 400 C). 134 Vita Constantini, I, 31 (GCS EUSEBIO Ι, ρ. 2i, 1. 31-33). Qui

bisogna fare attenzione al fatto che la parola δόρυ ha un significato concomitante nautico come « legname da costruzione per nave ».

1 3 5 Vita Constantini, 1, 31 (GCS, p. 22, 1. 5-7). 1 3 e Cfr. sopra, a p. 543S.

656 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

gli spiriti del terrestre, come difesa contro la morte 137. Il senso nautico non sempre è restato vivo in essi. Leggiamo tuttavia in AMBROGIO, e precisamente in uno scritto dedicato all'imperatore, del tropaion della croce in una connessione immediata con la simbolica della buona nave della Chiesa: « Ο divinum crucis illius sacramentum, in qua haeret infirmitas, virtus libera est, affìguntur vitia, eriguntur tropaea ! » Quindi segue il testo che già abbiamo citato una volta : « Li-gnum igitur illud crucis velut quaedam nostrae navis salutis vettura est, non poena; alia enim salus non est nisi vettura salutis aeternae » 138. Anche qui dunque il tropaion della croce è pensato come albero e antenna della nave, e c'è « salvezza » solo quando questo tro­paion sta intatto sulla nave. Ciò diventa comprensi­bile per l'occhio anche al di là della parola scritta, nella poesia che il tornitore di parole PUBLILIO O P -

TAZIANO PORFIRIO ha dedicato all'imperatore Costan-

137 Così ad esempio in PROCLO (PG 50, p. 849 A) ; P S . - M E T O D I O (PG 18, 400 B).

13S De Spiritu Semcto, 1, 9, 108-110 (PL 16, 730 BC) . - Qui si tratt i certamente di una eco del tema fondamentale che fu toccato già da Giustino : l'albero « intatto » della croce è l'unica garanzia per la « salvezza » del viaggio in mare. Imitando Ambrogio, MASSIMO DI T O R I N O COSÌ dice nella sua Homilia 50 (PL 57, 342 B ) : « Sicut au-tem Ecclesia sine cruce stare non potest, ita et sine arbore navis in­firma est ». E poco prima (p. 341 C) quasi con le identiche parole di Giustino : « Grande ergo crucis est sacramentum, et si intellìgamus, per hoc signum etiam mundus ipse salvatur: nam cum a nautis scin-ditur mare, prius ab ipsis arbor erigitur, velum distenditur, ut, cruce Domini facta, aquarum fluenta rumpantur, et hoc dominico secuti signo por tum salutis petunt ». In un'altra omilia, che già conosciamo come la Predica di Ulisse di MASSIMO (cfr. sopra, a p. 446s), egli dice quindi precisamente : « Arbor enim in navi crux est in Ecclesia, quae inter totius saeculi blanda et perniciosa naufragia incolumis, sola servatur»: Homilia 49 (PL 57, 339 D) .

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 5 7

tino 139. In sé questo poema è già da un punto di vista letterario insopportabilmente artificioso. Ma ciò non basta: il poeta ha scelto in tal modo le sue parole e i suoi versi, che certe lettere dei suoi esametri, se ven­gono dipinte di rosso, attraversando verticalmente le righe, possono essere lette come un nuovo verso, e questo verso inoltre, con le sue lettere così dipinte, rende l'immagine di una nave. Siamo tuttavia debi­tori al poeta aulico, il quale per questo artifizio quasi incredibile ricevette una graziosa lettera di ringra­ziamento dall'imperatore: vediamo così quanto sia stata viva nell'epoca costantiniana la rappresentazione nautica del tropaion dell'antenna a croce. La poesia comincia con questi versi:

« Constantine decus mundi lux aurea saecli quis tua mixta canat mira pietate tropaea ? »

Questo segno celeste è precisamente l'antenna a croce della nave, che si può contemplare nei nuovi versi (e questi in lingua greca) risultanti dalle lettere dipinte in rosso e scritte per dritto e per traverso lungo il corso degli esametri. Il verso greco così suona, in un linguaggio volutamente omerico : « Ora il mari­naio può disprezzare con sicurezza le tempeste marine, ora anche R o m a rassicurata in buona speranza può disprezzare tutte le tempeste »1 4 0 . Questa poesia in immagine è l'ultimo sviluppo di quelle parole del tropaion della croce che Giustino aveva scritto quasi

"· Ptmegyiricus Constantio Augusto dictus IV (PL ly, 397S). - Cfr. M. SCHANZ, Geschichte der romischen Literatur, Monaco, 1904 v. 4, p. 10-13.

140 τ ή ν ναϋν άεί κέ 8έ ίίρμενον είνοικίζεηι οΰροις τεινόμε-νον σής αρετής άνέμοις.

658 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

due secoli prima. Albero e antenna sono divenuti i tropaea della pace costantiniana: da ora in poi si spera per la nave della Chiesa un viaggio vittorioso attra­verso il mare del mondo, che per un momento è cal­mo 141. Quale opposizione con le speranze escato­logiche della ecclesiologia di Ippolito! Ma anche questo grande gesto, con cui il celeste e il terrestre, dogmatica e storia vengono riuniti in un unico sim­bolo, ci dimostra l'inesauribile vitalità, con cui gli antichi cristiani sapevano trasformare i simboli nautici del loro ambiente nell'immagine amata dell'antenna della croce.

L'antenna delia croce sulla nave dell'anima. Nell'espo­sizione della allegoria del tropaion considerato come antenna a croce abbiamo dunque scoperto l'elemento fondamentale, in ogni caso più antico ed essenziale, della simbolica nautica della croce. Vedemmo come la teologia patristica giri attorno a questo simbolo, dalla prima delineazione del paragone in Ippolito, concepita con occhi acuti e con un ancor fresco amore teologico per l'immagine, sino al linguaggio figurato dei tardi retori divenuto un logoro topos. Andando oltre mostreremo ora in qual modo questa domma-tica della croce e la pia devozione (adorazione) del santo segno della redenzione, nella forza ancor sempre viva del pensiero nautico, si sia inserita nella dottrina del destino soprannaturale della Chiesa e dei suoi membri, o, parlando per immagini, in qual modo la nave della Chiesa possa attendersi un « buon viaggio »

141 Cfr. sopra, a p. 500S.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 659

e un felice approdo per sé e per i suoi « passeggeri » 142, soltanto se l'albero e l'antenna della croce restano intatti. La sua sussistenza e l'arrivo in cielo, infatti dipendono soltanto dalla croce. Il cristiano può sol­levare lo sguardo verso questa antenna a croce solo se si trova sull'unica nave della salvezza; soltanto le vele issate su questa antenna ricevono il Pneuma che riconduce in patria; solo dalla cima di quest'albero egli può già sin da ora, come un marinaio di vedetta, scorgere il porto e la « città del grande Regno »143. Così per la dommatica e per l'ascesi del fortunato viaggio cristiano della vita sulla nave della Chiesa, la rappresentazione dell'antenna della croce costituisce la simbolica fondamentale che abbraccia tutte le im­magini.

In primo luogo si tratta di captare anche per l'am­biente cristiano quello stato d'animo dell'antico na­vigante, che pervade i racconti marinareschi greci e le loro imitazioni romane: abbiamo cercato di deli­nearlo nella prima parte di questa ricerca ed A. LESKY

142 Cfr. sopra, a p. 520S, 567, nota 179. 143 Cfr. PS.-CLEMENTE, Epist. ad Jacobum, 13 (PG 2, 49 A). La

trasformazione - a cui abbiamo accennato sopra - dalla pace della bonaccia pensata escatologicamente alla pace terrena di Costantino, corrisponde qui al cambiamento di significato della « città del buon regno » nello PS.-CLEMENTE, nella esaltazione della Città di Bisanzio quale «città del buon R e » nello P S . - M E T O D I O : PG 18, 380 A. - Per il motivo nautico del marinaio che è in osservazione sulla punta più alta dell'antenna, cfr. anche AMBROGIO, Hexaemeron, 6, 9, 59 (CSEL 32, 1, p. 250, 1. 5-9): «In mari quoque positus si quis terrae adpro-pinquare se conicit, in ipsa mali fastigia et celsa antemnarum cornua voti explorator ascendit et adhuc invisibilem reliquis navigantibus eminus terram salutat ». - Egualmente in GEROLAMO, Epistola 125, 3 (CSEL 56, p. 121, 1. I2s): « Ductor in summa mah arbore».

660 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ce ne ha informato ottimamente nel suo libro144. Noi lo facciamo per dimostrare che dinanzi allo spet­tacolo sempre nuovo delle navi, il simbolo dell'an­tenna della croce mai impallidì neppure per i cristiani della tarda antichità, e solo lentamente si atrofizzò in un topos trasmesso tradizionalmente.

Nel poema del Legno della vita, che è stato falsa­mente attribuito a Cipriano, ma che tuttavia risale al terzo secolo, la croce viene così cantata:

« Arboris haec species uno de stipite surgit et mox in geminos extendit brachia ramos, sicut piena graves antemnae carbasa tendunt » 145.

Albero e albero della nave, come già nell'antichità, vengono nuovamente veduti come una sola cosa; le braccia della croce ricordano al poeta quasi natural­mente le brachia delle antenne che si estendono e su cui si sciorinano le stoffe tirate delle vele (carbasa). Per il cristiano che leggeva la poesia, questo era un paragone corrente: ogni nave sul mare gli ricordava la croce del Signore. Ciò diventa palpitante in una poesia di PAOLINO DA NOLA, ripiena di gioia marina ellenistica. Egli descrive il viaggio per mare, che il suo amico, il vescovo Niceta, intraprese nell'Oriente greco: «Tu penetrerai nel mare pacificamente esteso, e la tua nave è equipaggiata con il segno della salvezza, l'antenna della croce ti rende vittorioso e avanzi si­curo attraverso onde e tempeste » :

« Ibis inlabens pelago iacenti et rate armata titulo salutis

144 A. LESKY, Thalatta, Vienna 1947, p. 251-303: la nuova vita di mate dell'ellenismo.

115 De Pascha, v. 7-10 (CSEL 3, p. 305).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 661

Victor antemna crucis ibis undis tutus et austris » 146.

Augura all'amico un teìice approdo: poi i marinai cantano la loro canzoncina del timone (celeuma) e il vescovo grida così forte l'Amen sul mare, che i ceta­cei (cete) spaventati si dileguano e i gentili delfini si accostano giocherellando: una poesia piena di quello spirito marinaro ellenistico, che LESKY ci ha dipinto 147, ma trasferito qui nel mondo cristiano dei simboli. PAOLINO ci ha regalato anche altri di questi quadri di genere nautico, come nella lettera sul pericolo corso in mare da un vecchio divenutogli amico, il quale si trova solo sulla nave che fa acqua e tuttavia riesce a manovrare da esperto la vela anteriore (artemon) : è importante notare, per la comprensione dello stato d'animo cristiano verso il mare, che Paolino racconta tutto ciò perché come dice esplicitamente, vuol dare un equivalente cristiano dei racconti pagani di viaggi marini, specialmente del viaggio degli Argonauti148. Oppure l'altro racconto del naufrago Marziano, che nel suo viaggio da Narbona a Centumcellae (Civita­vecchia), salvò soltanto la vita e il suo caro codice con le lettere di Paolo. La nave era marcia e faceva acqua, ma nel naufragio i cristiani furono tutti salvati, poiché essi portavano in se stessi il vexillum crucis 149. La simbolica nautica, che riempiva il pio navigante

148 Carme 17, ios-108 (CSEL 30, p. 86). - Ivi, 117-124 (p. 87). 147 A. LESKY, Thalatta, p. 139-141; p. 267: lo stato d'animo ma­

rino a cui partecipano il mostro favoloso κήτος, cete, e i delfini. -Per l'applicazione di questo motivo nella mistica marina cristiana, cfr. sopra, p. 488-494.

1 4 8 Epistola 49 (CSEL 29, 39OSS). 1 4 ' Carmen 24, 141 (CSEL 30, p. 211).

662 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

cristiano alla vista dell'antenna della nave, ci diventa ancor più comprensibile, quando leggiamo in GRE­GORIO DI TOURS la narrazione del diacono, che salpa da Roma con tutto un sacro carico di Reliquie; egli sale ad Ostia sulla nave, che parte per Marsiglia e controlla le apparecchiature per la partenza : « Et in-gressus navem erectis velis ac per illuni antemnae, quae modulum crucis gestat, apparatum extensis, flante vento, pelagum altum arripiunt »150. Si sentono ancora risuonare i versi del poeta romano, quando Venanzio Fortunato nella vita di san Martino dipinge una tempesta marina nel mar Tirreno:

« Nutat pinus iners, rapiuntur signa ceruchis levis et antemnae coeuntia cornua frendunt »151.

Qui si pensa all'antenna della croce, come dimo­strano anche le frasi piene di ricordi nautici della let­teratura antica, con le quali GREGORIO DI TOURS de­scrive la tempesta marina del vescovo Baldovino di Tours: neppure la sacra antenna, questo simbolo della croce, sembrava reggere, solo la presenza taumaturgica di san Martino, che si annunciava con il profumo d'incenso, portò la salvezza : « Sed nec antenna residet quae beatae crucis signaculum praeferebat »152.

Questo è lo spirito simbolico, con cui ora l'antico cristiano riempie il ricco mondo d'immagini della sua dottrina del viaggio della vita sulla nave della Chiesa, della fede, della grazia e degli sforzi ascetici.

150 De gloria martyntm, 82 (PL 71, 779 C; MG Scriptor. Merov. I, p. 544, 1- 4)·

151 Vita Martini, IV, 408S (PL 88, 418). 152 De miracuHs Martini, 1, 9 (PL 71, 922 BC; MG Script. Merov.

I, p. 594, 1. 8s).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 663

Noi oggi siamo colpiti dalla naturalezza con cui in quei tempi si parlava dell'antenna della croce: non era neppure necessario spiegare a lungo l'immagine, quasi allo stesso modo in cui i moderni usano al figu­rato, senza ulteriore spiegazione, la parola « antenna » quando parlano ad esempio di un uomo poco dotato di sensibilità, dicono che egli per certe cose non ha « an­tenna ». Ciò è chiaro in GEROLAMO, in un pomposo brano letterario sull'ascesi descritta con terminologia nautica. Egli scrive al suo amico Eliodoro sul punto di rinunciare agli ideali monastici per una più comoda vita nel mondo e lo inette in guardia contro l'appa­rente calma dei venti della buona sistemazione terrena: in realtà la tempesta già lo minaccia ed egli dovrebbe armare la nave della sua vita : « Anche se il liquido mare ti sorride come un liscio stagno, anche se soltanto la pelle del calmo elemento è increspata da un alito; questo specchio liscio ha i suoi monti nascosti, nasco­sto nel suo interno il pericolo incombe minaccioso, nel suo interno risiede il nemico. Sciogli la velatura, appendi la vela! La croce dell'antenna sia impressa sulla fronte: poiché la calma del mare è in verità tem­pesta!»153. E poi canta all'amico il gioioso canto del timone (celeuma) sulla beata pace della solitudine mo­nastica. Da quanto detto sino ad ora, siamo in grado

153 Epistola 14, 6 (CSEL 54, p. 525): «Expedite rudentes, vela suspendite. Crux antemnae figatur in frontibus: tranquillitas ista tempestai est ». - Che l'antenna della croce venga « fissata » sulle «fronti» degli uomini, è cosa che resta inclusa nel paragone nautico tra la figura umana e una nave: il corpo eretto è come l'albero della nave, gli occhi sono per così dire « la coffa di guardia » al di sopra dell'antenna: ad ogni modo, così ha spiegato la cosa AMBROGIO nel testo riferito più sopra, alla nota 143, e che egli predicò esplicitamente nella descrizione della figura umana. Cfr. Sopra, a p. 54$ss-

664 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

di comprendere la fine eloquenza con cui Gerolamo si esprime qui : « Crux antemnae figatur in frontibus », egli dice, e non come dovremmo veramente atten­derci, « crucis antemna ». Egli può per l'appunto sup­porre che anche per il suo amico è cosa naturale, il vedere l'antenna di una nave come se fosse una « croce » ; e pertanto dire semplicemente: La tua nave, pronta ad affrontare la tormenta, ha anche bisogno di una buona antenna, e questa è il segno della croce impresso sulla fronte. Questo segno infatti è vittoria contro il nemico nascosto nel mare del mondo, che suscita le tempeste spirituali154. Le immagini dell'ascetica na­vale si congiungono naturalmente con il simbolo del­l'antenna come tropaion. Ciò diventa ancor più chiaro in una predica sull'Epifania, che un tempo è stata at­tribuita a ORIGENE 155 e che vaga ancora attraverso i codici latini, come un bene privo di padrone 1 5 6 ; MORIN 157 potrebbe aver ragione, quando la rivendica a MASSIMO DI TORINO. Il suo contenuto è un canto di

lode alla croce, che fu data all'uomo deificato nella Epifania come segno della vittoria e che (qui risuonano Giustino e Tertulliano) si può ritrovare misteriosa­mente nascosta in tutte le cose della natura: « Illius

154 Cfr. sopra, p. 483SS. : il mare come sede del nemico maligno. 155 Pubblicato per la prima volta nell'edizione di Origene cu­

rata da JAKOB MERLINUS, Parigi 1512, v. 2, senza numerazione delle pagine. Su questa raccolta di Omelie cfr. D. HUETIUS, Origenianorum liber III, Appendix 5 (PG 17, 12775).

156 Così tra le prediche di GEROLAMO (PL 30, 200s) e tra le omelie di MASSIMO DI TORINO (PL 57, p. 545s).

157 S. Augustim sermones post Maurino* reperti, R o m a 1930, p. 744. M O S I N lascia aperte qui anche altre possibilità. L'assegnazione non è ancora completamente sicura. Noi citiamo il testo della predica secondo l'edizione di Massimo.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 6 5

crux nostra Victoria est, illius patibulum noster trium-phus. Gaudentes levemus hoc signum: in humeris nostris victoriarum vexilla portemus ». Dei segni della croce della natura fa parte ora anche l'antenna della nave con le sue « corna » : « Antennae navium, velorum cornua sub figura nostrae crucis volitant ». Anche qui la concatenazione delle immagini giunge sino al mondo militare, per poi finire, come in Gerolamo, nell'ascesi del segno della croce fatto piamente: « Sed et tropaea ipsa et victoriae triumphorum ornatae cruces sunt. Quas non solum in frontibus sed et in animabus quo­que nostris habere debemus »158 . La nave dell'anima è soltanto una copia della nave della Chiesa, che in virtù dell'antenna della croce va incontro alla vittoria. Per questo AMBROGIO dice concisamente : « Quia navis est, quae pieno dominicae crucis velo Sancii Spiritus flatu in hoc bene navigat mundo »1 5 9 . Si legga inoltre il capitolo nautico della spiegazione dei salmi di Am­brogio : anche qui il « buon viaggio » del cristiano è assicurato dall'albero della croce : « Bene autem navi­gane qui in navibus Christi crucem sicut arborem praeferunt atque inde explorant flabra ventorum »160 . La sorte ascetica della nave dell'anima è soltanto un caso particolare della nave della Chiesa, su cui sta la

159 PL 57, ρ. 540 Β. in» De virginitate, 18, 118 (PL 16, 297 B). - Crucis velum nella

sua abbreviazione sineddocale ci è già noto dal testo di GIUSTINO (cfr. sopra alla nota 99) e doveva essere tradotto semplicemente con « vela all'antenna della croce ».

160 Explan. Psalm. 47, 13 (CSEL 64, p. 355, 1. 8-10). L'espressione « inde explorant flabra ventorum » è, dal punto di vista nautico, tec­nica e richiama alla funzione del ceruchus, di cui gli Scholia di Lucano ci hanno detto : « inde venti probantur ».

666 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

croce; lo abbiamo già indicato più sopra1 6 1 . «Sotto l'immagine della nave dobbiamo intendere la Chiesa, che naviga sul mare di questo mondo », dice lo Ps.-AMBROGIO, e il vento della tempesta è «l'essere fru­stato dalle tentazioni ». Il naufragio non deve essere temuto, sino a che l'albero della croce resta in piedi: « Quia in arbore, id est in cruce, Christus erigitur » 162. Cristo stesso è l'Ulisse legato all'albero della nave, come abbiamo già visto 163, e il cristiano sulla nave della Chiesa lo imita, come continua volentieri P A O ­LINO DA NOLA, nel solco delle immagini del mito omerico : « Essi legano la vela del loro cuore con i legami dell'amore, come con l'attrezzatura delle vele, all'antenna della Croce » : « Cordis sui velum vinculis caritatis ut funibus ad antemnam crucis stringunt »1 6 4 . E ancor più energicamente quando parla dell' « an­tenna dell'amore » : « Con il cordame della nostra fede viene eretta, come albero della nave, l'antenna del­l'amore, su cui possiamo stendere le vele della nostra vita », « rudente fidei nostrae arbor erigatur caritatis antenna, et vitae nostrae vela sinuentur »163 . Nei rac­conti ascetici dei Padri del deserto incontriamo un brano, che risuona come un'ultima eco di quelle ras­segnate massime stoiche, che ricordavano di abbassare l'antenna e di parare i colpi dei venti : « Quando gli uomini vanno in mare », dice l'asceta Sindetica, di-

l a l Cfr. sopra, pag. 554. I i 2 Sermo 46, 4, io (PL 17, 697 B). Qui precisamente la figura del

crocifisso all'albero della nave. 163 Sopra, a p. 446S. - H. RAHNER, Griechische Mythen in christli-

cher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 482S. 181 Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 186, 1. i8s). 1M Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 35).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 667

spiegano le vele e cercano il vento favorevole al viag­gio. Ma poi il vento contrario irrompe su di essi. Ora i marinai immediatamente non offrono più al­cuna superficie a questo vento contrario insorgente, oppure contro il vento, e così ritrovano nuovamente il corso giusto. Così anche noi andiamo contro il cattivo spirito del vento, mentre erigiamo la croce per nostra vela: e così evitando il pericolo che viene da questo mondo, portiamo la nostra navicella in por­to »166. « Crucem prò velo erigamus»: questa breve frase racchiude tutta la storia della simbolica dell'an­tenna della croce.

Le testimonianze bastano per ora: anche in questo capitolo rileviamo un certo sdrucciolamento verso la maniera retorica, come ad esempio nelle limate e ampollose frasi di Proclo : « Alte s'innalzan le onde : ma il pilota è dal cielo. Duramente infuria il turbine: ma la nave porta una croce (άλλα σταυροφόρον το

πλοΐον). Strepitano le raffiche l'una contro l'altra:

ma la chiglia della nave è rafforzata per l'eternità »1 6 7 . FR. J. DOLGER, in un suo studio postumo 168, ha espresso l'opinione che la designazione della nave come « por­tatrice di croce », che incontriamo nella predica bi­zantina dello PS. -METODIO 169 (nel contesto di un flori­legio retorico, che dipinge la conclusione della predica come un approdo della « nave portatrice di croce »), dimostra che le navi dei Greci divenuti cristiani por­tavano semplicemente al posto delle « divinità salvi­

li» De vitis Patrum, 5, 7, 18 (PL 73, p. 896 D). »' Oratio 17, 5 (PG 65, p. 813 B). 168 FR. J. DOLGER, Dioskuroi, in Antike una Christentum 6 (1950)

p. 284. - Cfr. sotto, alla nota 205. "9 De Simeone et Anna, 13 (PG 18, 377 D) .

668 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

fiche » una volta venerate, una croce come segno della nave. Potrebbe trattarsi di una forma oratoria divenuta comune e, come vedemmo, già usata da Proclo, la cui origine va spiegata in base alla teo­logia dell'antenna della croce, proprio come in CRI­

SOSTOMO, il quale parla della croce, che ora si può vedere su mare e su navi 17°. Il fidato simbolo dell'al­bero della nave, che è la santa croce, risuona ancora, senza bisogno di lunghe spiegazioni, in Agostino, nei suoi pensieri sull'umiltà del cristiano, che non scruta verso l'ai di là, come fanno i Platonici con la teoria della loro mistica visione, ma aspira sicuro all'approdo, poiché sulla nave della vita egli tiene strettamente ab­bracciata la c roce m . Un predicatore sconosciuto lo ha imitato : « Qui hoc mare magnum et spatiosum, in quo sunt reptilia, quorum non est numerus, absque naufragio transire desiderai, crucem sequatur, crucem teneat, et eam non deserai, donec ad optatum salutis portum perveniat »172. Concludiamo il capitolo del­l'ascesi della nave dell'anima e della sua antenna della croce, con i pii versi tratti dal poema di VENANZIO

FORTUNATO sulla verginità:

« Opto per hos fluctus animas tu Christe gu-arbore et antenna velificante Crucis, [bernes ut post emensos mundani gurgitis aestus in portum vitae nos tua dextra locet »173.

"' Centra Judaeos, 9 (PG 48, 826 B). 1,1 Tractatus in Ioannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389S). - De Trinitale,

4, 15, 20 (PL 42, gois). - Enanationes in Psalmum 31, 4 (PL 36, 259S), ove si parla del giusto maneggio della vela di prua (artemon).

"* PS.-AGOSTINO, Sermo 247, 7 (PL 39, 2204 A). "3 Miscellanea, 8, 6 (PL 88, 267 C).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 669

« Guida, ο Cristo, ti prego, le anime attraverso

[queste onde con l'albero e l'antenna ornata di vele della croce, sino a che la tua mano destra dopo la risacca

[del terreno vortice

ci accordi il riposo nel porto della vita eterna ».

L'influsso dell'antenna della croce sul vocabolario sim­

bolico e sull'arte. E naturale che un simbolo così popolare e così saldamente affermato produca i suoi effetti su altre immagini simboliche, che nella loro origine im­mediata non hanno nulla a che fare con il mondo nau­tico: ciò avviene secondo le leggi psicologiche del pensiero allegorico, di cui abbiamo già parlato. Solo in base alla storia letteraria del simbolo dell'antenna della croce sin qui esposta possiamo ora affrontare il problema archeologico di sapere se e in qual misura anche l'arte cristiana abbia dato una forma visiva a questo simbolo.

Parliamo perciò in primo luogo di una serie di rappresentazioni simboliche della teologia della croce e della Chiesa, su cui solo più tardi ha esercitato il suo influsso l'elemento nautico dell'antenna del mistico albero della nave: e proprio con ciò, partendo da un lato completamente inatteso, dimostreremo quanto sìa stato grande l'influsso esercitato dall'immagine dell'an­tenna della croce.

C'è innanzitutto l'immagine della Chiesa coniata da Paolo, quale sposa di Cristo « senza macchia né ruga» (Ef 5,27). E. VON DOBSCHUTZ ha dimostrato, con grande erudizione, che durante il periodo patri­stico questa espressione scritturistica è stata intesa dalla

670 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Chiesa e, più tardi, particolarmente dalla Chiesa di R o m a m . Ma egli non ha preso in considerazione una linea per cosi dire laterale di questa storia, la quale scorre, nascosta, in alcuni dimenticati rivoli del mare dell'allegoria patristica; e proprio di questa partico­lare tradizione ci dobbiamo occupare ora, poiché essa diventa comprensibile soltanto in base al nostro sim­bolo nautico dell'antenna della croce. L'uomo antico, soprattutto il latino, nella parola ρυτίς, ruga, udiva non soltanto il significato proprio di « ruga », ossia piega della pelle, ma anche « piega della tela ». Così Petronio, a proposito della biancheria di tela, portata troppo a lungo, dice : « Vestes quoque diutis vinctas ruga consumit »175. E questa è ia ragione per cui un cristiano latino, leggendo le parole di Paolo, pensa naturalmente anche alla « tela della vela », che si gonfia fresca e bianca sull'antenna a forma di croce delle sue navi. Noi pensiamo ancor una volta alle vela in crucem expansa di FESTO. E così la ruga paolina riceve un si­gnificato nautico. AGOSTINO predica in un modo che a prima vista sembra completamente incomprensibile e sorprendente : « Non vis habere rugam ? Extendere in crucem. Non enim tantum opus est ut laveris [ciò in relazione alla precedente macula] sed etiam ut exten-daris, ut sis sine macula aut ruga. Per lavacrum enim auferuntur peccata: per extensionem fit desiderium futuri saeculi, propter quod Christus crucifìxus est » 176. Agostino non ci dice due cose, ma, se il testo deve

174 E. v. DOBSCHUTZ, Das Decretum Gelasianum in kritischem Text hercmsgegeben una tmtersucht, iti TU 38, + (1912) p. 236S.

"* Saturai, 102, 12 (BUECHELER, p. 73, 1. 14). "* Sermo 341, 11 (PL 39, 1501 A).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 671

avere un senso, dobbiamo chiederci quali siano queste due riserve inespresse: come può mai il credente, che non vuol aver alcuna ruga, essere « steso sulla croce » ? E perché mai questa « estensione » significa Γ « aspira­zione verso la futura epoca del mondo, per cui Cristo è stato crocifisso »? Per la seconda domanda potremmo rimandare a Fil 3,13 (ad ea véro quae sunt priora exten-dens meipsutn), e queste parole certamente risuonano qui in qualche modo. Ma Vextendere in crucem, detto senza ulteriori spiegazioni, resta incomprensibile, se non lo spieghiamo nel significato simbolico nautico, come «venir steso sull'antenna della croce». C'inco­raggia a ciò un Anonimo latino, che spesso ha imitato Agostino. In una predica, che viene ottimamente inti­tolata Discorso sulla nave della Chiesa, egli parla delle tempeste delle onde della persecuzione, che vengono scatenate contro la navicella della Chiesa dai potenti di questo mondo : « Super naviculam Christi grandis unda consurgit. Sed in his tentationibus erigatur an­tenna, ut suspensa arbori crucem Christi figuret, hanc christianus respiciat et non deficiat ». Conformemente alla tecnica navale, ciò è detto in modo del tutto pla­stico e giusto : « Sia innalzata l'antenna, affinché, appesa all'albero della nave, rappresenti figuratamente la croce di Cristo ». A questa antenna si appende ora la vela da tendere, la tela lucente di bianco, che non ha alcuna ruga : « Huic ergo antennae, id est, cruci Christi, sim­plex conversatio et pura confessio tamquam candentia vela religentur. Et haec vela nostra fluctibus abluantur, vestique tendatur, ut sine macula et ruga inveniatur »177.

"' PS-AGOSTINO, Sermo 72, 2 (PL 39, 1884S). Per vesf i.s = vela cfr. sopra, a p. 62S, nota 65.

672 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Così dunque va interpretato il rinvio agostiniano. Nel medioevo ci si è ancora serviti dell'immagine della tela stesa sulla croce, senza pensare tuttavia alla sua precisa origine dal simbolo dell'antenna a forma di croce a cui è sospesa la vela. Così CASSIODORO si ri­corda solo vagamente delle parole di Agostino : « Sed ut quidam ait: maculas nostras lavit in sanguine, rugas etiam tetendit in cruce »178. Anche l'introduzione alla Storia dei Franchi, con la sua teologia patristica della Chiesa promanante dal lato trafitto del Croci­fisso, dice: « Lymphis ablutam propter maculam, in cruce extensam propter rugam » 179. Ancora BEDA 18° (se sua è questa spiegazione dei salmi) ed un'opera attribuita a torto ad U G O DI SAN VITTORE 181 ripren­dono la similitudine di Agostino : « veste » significa la Chiesa, che è stesa sulla croce: «Ecclesia tensa in cruce, ut non habeat peccati maculam et duplicitatis rugam ».

Una seconda serie di immagini proviene parimenti da un gruppo di espressioni bibliche, che, per via della psicologia associativa dell'allegoresi, può essere ab­bracciato con lo sguardo in un solo simbolo: nel sim­bolo dei « corni » del Redentore apparso sotto forma umana. Quando i Padri leggono nelle « Benedizioni di Giacobbe » (Gen 49,6 LXX), tanto care a tutti gli allegoristi, che Simeone e Levi avrebbero « snervato il toro con la loro arroganza », essi interpretano ciò della morte del Crocifisso : « Avete ucciso l'autore

1,8 Commenta Psalterii, praefatio 13 (PL 70, 18 D) . 179 GREGORIO DI TOURS, Historia Francorum, 1, 1 (PL 71, 163 D) . 180 In psalmum 44 (PL 93, 721 B). 181 Miscellanea, 3, 16 (PL 177, 694 A).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 7 3

della vita, come se si fosse trattato di un toro », dice IPPOLITO 182. Allo stesso modo egli spiega le parole della benedizione di Mosé alla discendenza di Giuseppe : « La sua bellezza è come un toro primogenito » (Deut 33,17). In questa rappresentazione del «cornuto» si inserisce quella immagine tipologica prefigurativa del Salvatore, che è l'ariete, il quale « pende con le corna dal groviglio di spine» (Gen 22,13) e vi risuonano le parole di Abacuc : « Corna sono nelle sue mani » (Ab 3.4)·

Ci si ricordi ora, che nella lingua nautica le estre­mità esterne dell'antenna vengono chiamate κέρατα e cornua, in totale conformità con il significato, desunto dal regno animale, della parola κεραία, che designa le corna distese per sentire. Già ARTEMIDORO ha pa­

ragonato la struttura dell'antenna alle corna di un toro. Cornu per i latini è semplicemente « antenna », come afferma il Glossario: antenna, κέρας, ìà est cornu 1 8 3 ; si pensi per esempio a quella descrizione della nave da guerra con le sue superbe vele, che ci viene fornita da Sino ITALICO: veìoque superbo capaci quum rapidum hauriret Borean, et cornibus omnis con-fligeret flatus 184. La facilità con cui si poteva passare, con il pensiero, dalle cornua dell'antenna alle corna del toro, può essere rafforzata inoltre da rappresen-

"• Sulle benedizioni di Giacobbe, 14 (TU, 38, 1 (1912), p. 30, 1. 9). - Cfr. per ciò anche TU 26, 1 (1904) p. 22. - Frammento 13 su Gen (GCS Ippolito I, 2, p. 57). - AMBROGIO, De patriarchis, 13 (CSEL 32, 2, p. 131).

183 Thesaurus ghss. emend., alla voce antenna (G. GOETZ) . - D A -REMBERG-SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités, Parigi 1887, v. 1, 2, col. 1511 A.

184 Punica, 14, 388-390 (BAUER II, p. 96).

674 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

tazioni mitiche : « Taurus » era, in ricordo del ratto di Europa da parte del Toro, un'insegna navale molto popolare (ποφάσημον, insigne)185; e Gerolamo ancora si sentiva spinto a registrare questo avvenimento « eu­ropeo » nella sua cronaca mondiale : Europa a Cre-

tensibus rapta est navi cuius fuit insigne Taurus188. In ogni caso, dobbiamo immergerci con il pensiero in questo mondo ronzante di relazioni e sensazioni, se vogliamo comprendere come mai un TERTULLIANO, nella sua polemica contro Marcione e i Giudei, possa applicare a Cristo le parole di Deut 33,17, e ciò con similitudini spiccatamente nautiche. In Giuseppe, al quale toccava questa benedizione, è prefigurato il R e ­dentore: Sed Christus in ilio significabatur, taurus oh utramque dispositionem, aliis ferus ut iudex, aìiis mansue-tus ut salvator, cuius cornua essent crucis extima. Nani et in antemna, quae crucis pars est, extremitates cornua vo-cantur187. La stessa cosa si ritrova, sinanche un pò spiegata, nell'estratto, pure presentato dallo stesso Ter­tulliano nello scritto contro i Giudei: cuius cornua essent crucis extrema. Nani et in antemna navis, quae crucis pars est, hoc extremitates vocantur 188. E se nella benedi­zione di Mosé, Giuseppe viene chiamato unicornis, anche ciò si adempie nell'immagine della croce: uni­cornis autem mediae stipitis palus; con ciò si esprime l'albero della nave, come già sappiamo dalle rifles­sioni di Tertulliano attorno ai supporti lignei degli stendardi. Il Cristo crocifisso pende dunque dalle

186 Cfr. per ciò FR. J. DOLGER, Dioskuroi, in Antike imd Chrìsten-tum 6 (1950) p. 277.

1 8 6 Testo in GCS EUSEBIO VII, 1, p. 53. 187 Adversus Marcionem, 3, 18 (CSEL 47, p. 406, 1. 21-26). 188 Adversus Judaeos, io (CSEL 70, p. 303, 1. 47-49).

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 675

« corna » dell'antenna della sua croce. Questa immagine resta profondamente impressa in seguito, anche se spesso la nota nautica non vi risuona affatto. Il Cro­cifisso è Γ « ariete bicornuto nel roveto », quando ad

crucis cornua clavomm confixione pendebat189. E questo segno dell'Affisso alle corna della croce è, come il tropaion sulla nave della salvezza, il segno onorevole della vittoria, che contrassegna misteriosamente tutto il mondo nelle quattro direzioni: Cristo il Crocifisso è il grande « cornuto », che rende vano l'appello mistico al bicornuto Pan, come dice FIRMICO MATERNO in una preghiera innica al Crocifisso: Tu, Christe, mun-dum ac terram extensis manibus, tu caeleste sustentas irn-perium, tuis immortalibus adhaeret humeris salus nostra 190. Tutto il mondo appunto è modellato dalla croce come tropaion, onde AGOSTINO può semplicemente dire, richiamandosi ad Ab 3,4: Cornua in manibus eius sunt, quid est nisi tropaeum crucis m. Ι suoi discepoli ne hanno ripetuto le parole sino al Medioevo 1 9 2 . A proposito di questa allegoria, ISIDORO DI SIVIGLIA fa notare che si tratta ancora come di un ricordo dell'antica imma­gine fondamentale dell'antenna: crux cornua habet: sic

enim duo Ugna compinguntur in se, cum speciem crucis

reddunt193. Noi pensiamo anche, che la reminiscenza

1 8 9 PS.-AGOSTINO, Sermo 6, 5 (PL 39, 1750). Anche qui il rinvio ad Is 9,6, ossia il trofeo che riposa sulle sue spalle come dominio.

1 8 0 De errore prof, rei., 21, 3-6 (CSEL 2, p . n o s ) . - Cfr. anche E. STOMMEL, Σ η μείον έ κ π ε κ τ ά σ ε ω ς , in Rómische Quartalschrift 48 (1953) P· 21-42.

191 De civitate Dei, 18, 32 (CSEL 40, 2, p. 313, 1. 22s). 182 Cfr. ad esempio FAUSTO DI R I E Z (CSEL 21, p. 297, 1. 19-21);

MASSIMO DI T O S I N O (PL 57, 3 5 6 B ) ; R A B A N O (PL 112, 903 B) ; R u -PERTO DI DEUTZ (PL 167, 1618 B).

193 Quaestio in Vetus Testamenti)!», 18, io (PL 83, 251 B).

676 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

dei suoni nautici della parola κέρας è ancora vivente, quando i Padri greci parlano della croce quale « corno della Chiesa ». A ogni modo, ciò vale di una lode innica alla croce che lo PS.-CRISOSTOMO prende a cantare, servendosi completamente del vocabolario del tropaion : « La croce del Signore si è trasformata in un'arma della vittoria, che sostiene un tropaion, in un'arma dell'Imperatore, contro cui non ci si solleva più, in un'antenna della Chiesa ('Εκκλησίας κέρας), salvezza dei credenti » 1 9 4.

Accenniamo ancora, almeno nelle linee esterne, ad un'ultima serie di immagini, che si forma a partire dalla rappresentazione fondamentale del tropaion del­l'antenna a forma di croce (per una più precisa espo­sizione rimandiamo al prossimo capitolo, dato che il tema è troppo ricco e troppo importante per la com­prensione delle immagini patristiche, sino all'arte me­dievale).

Si tratta della strana dottrina del mistico segno della lettera Tau, che Dio, secondo Ezechiele (9,4), ordinò di disegnare sulla fronte dei salvati. Questo segno alfabetico risulta però in greco come se fosse formato da due stanghe : Γ « asta », che nello stesso tempo rap­presenta un iota, ed una piccola asta trasversale, che gli viene scritta sopra: ancora una volta, l'almanaccare

1 6 4 Oratio in crucis adorationem (PG 52, 836). - Cfr. già T E O D O -RETO, Interpr. Psalmi 91, 11 (PG 80 ,1620B) : το κέρας τ ο ϋ σταυρού δ π λ ο ν κ α τ ά π α θ ώ ν καΐ δ α ι μ ό ν ω ν . - Traducendo « antenne della Chiesa » siamo certamente consapevoli che κέρας in senso biblico può significare anche « corno », dunque « forza ». Ma noi pensiamo che proprio la vicinanza di pensiero e di immagine del simbolo del trofeo della croce condiziona l'antica rappresentazione nautica dell' « antenna intatta » della Chiesa.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 677

nautico dei Padri della Chiesa è già nella sfera dell'al­bero della nave con la sua antenna. Ancor più: proprio questa lìnea trasversale, che trasforma lo iota in tau, è chiamata dai Greci κεραία, e ciò, già in base al suono della parola, ricorda l'antenna che è posta di traverso all'albero e con esso forma il segno della croce. Per i Greci il segno tau significa il numero trecento. E qui converge tutto un complesso di ricordi scrittu-ristici: trecento era la sacra cifra della misura dell'arca, la nave della salvezza (Gen 6,15); trecento erano gli uomini con cui Gedeone strappò la vittoria (Giud 7,6.7). In Ezechiele pertanto il tau sulla fronte dei salvati significa trecento. Questo segno però risulta da iota e dalla keraia, e il Signore stesso ha detto che nessuno iota e nessuna cheraia della legge passerà (Mat 5,18); tutto ciò dunque è un richiamo al mistero del segno salvifico della vittoria, che è la croce in forma di albero e antenna. E finalmente: questa semplice forma fondamentale di croce che colpisce gli occhi nella sua figura a quattro pezzi in linea orizzontale e in linea verticale, ricorda all'allegorista le parole di Paolo circa l'altezza, la profondità, la larghezza e la lunghezza (Ef 3,18) dell'amore di Dio che diviene visibile sulla croce. Questo tropaion che sovrasta tutto il cosmos, che raduna i quattro elementi, che tiene insieme i quattro confini della terra, è la croce. A nostro parere non sussiste alcun dubbio che il pensiero fon­damentale, che raduna questi simboli, lontani l'uno dall'altro, nell'unità di una teologia della croce, è la rappresentazione verbale di κεραία come segno al­fabetico e come antenna, sia anche dalle allegorie, già immerse nel nautico, della nave della salvezza dell'arca

678 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

di Noe costruita con legno di croce (anche su di ciò un capitolo proprio apporterà in seguito le prove op­portune) . In uno dei più antichi trattati, che si occupano esplicitamente dell'allegoria dell'Arca, GREGORIO DI

ELVIRA dice: «Mensura vero arcae trecentorum cu-bitorum longitudo figuram dominicae crucis evidenter ostendit: trecenti etenim apud Graecos tau littera signantur, quae littera cum unum apicem quasi arbo-rem erectam facit, alterum vero ut antemnam in capite extensam, crucis utique habitum demonstrabat »195.

Dall'accenno di Gregorio ai Greci, già si vede che questa allegoria si è formata in primo luogo nella Chiesa orientale, poiché soltanto per il Greco è cosa comprensibile passare dal numero trecento alla simbo­lica della forma della lettera tau; inoltre per i Greci, alla vista della lettera alfabetica tau, è più facile con­cepire, in base alla somiglianza della parola κεραία, la linea trasversale come un'antenna. Gregorio di Nissa lo ha esposto esplicitamente in connessione con la allegoria nautica (conosciamo già parzialmente il pas­so) 19e : « La linea della lettera tirata dall'alto in basso rappresenta un iota. Il trattino, che vi si scrive sopra di traverso, è chiamato κεραία: e ciò può essere ap­preso già dai marinai, poiché il legno, che viene posto di traverso all'albero della nave e da cui si fa pendere la tela della vela, è detto κεραία. Ciò indica, come un'immagine enigmatica e una somiglianza, la figura della croce »197; oppure come egli continua in un altro

1 , 5 De arca Noe (WILMART, p. io, 1. 188-192). "· Cfr. sopra, a p. 636. 1,7 Oratio 1 (PG 46, 624 D; 625 A). Cfr. il medesimo concetto

anche in CROMAZIO, In Matthaeum, 5, 18 (PL 20, 344 A) ; così pure in PS.-GEROLAMO, In Marctim, 15 (PL 30, 638 A ) : « Navis per maria

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 7 9

passo: in ciò vediamo l'altezza, la profondità (l'iota) la larghezza e la lunghezza (antenna) del mistero della croce1 9 8 . La sapienza latina dei retori imita i Greci in questa arte delle parole. Così nei suoi Idilli, A U ­SONIO presenta la lettera tau, che parla così: « Malus ut antemnam fert vertice sic ego sum Tau »199 . Ciò appartiene esattamente anche al patrimonio della teologia latina della croce. È nuovamente GREGORIO DI ELVIRA, che ne parla nella spiegazione allegorica dei trecento eroi di Gedeone : « Trecenti enim apud Graecos tau littera signantur. Quae littera cura unum habeat apicem quasi arborem passionis erectam, aite-rum in capite quasi antemnam extensam, crucis utique manifestum signum ostendit » 200. Come si vede bene, Gregorio ripete se stesso con questa piccola trovata tanto cara all'allegoresi. PAOLINO DI N O L A potrebbe averlo appreso da lui. Egli esalta il mistero della figura della croce con questi versi:

« Forma crucis gemina specie componitur : et antemnae speciem navalis imagine mali [nunc sive notam Graecis solitam signare trecentos explicat existens, cura stipite figitur uno, quaque cacumen habet, transverso vecte iuga-

[tur » 201.

Basti quanto abbiamo detto. A partire di qui la dottrina del mistico Tau come segno della croce vit-

antenna cruci similata suffiatur. Tau littera signum salutis et crucis describitur ».

198 Centra Eunomìum, 5 (PG 45, 696 BC) . Cfr. anche Catech. magna, 32, 2 (PG 45, 81 B).

188 Idyllia, 12 (PL 19, 901 D) . M0 Tractatus Origenis, 14 (BATIFFOL, p. 153, 1. 6-10). 201 Carmen 19, 6i2-6itì (CSEL 30, p. 139).

680 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

toridsa ha conosciuto un ricco impiego sino al medioevo. Un fastoso discorso bizantino sul tro-paion della santissima croce parla ancora dell'anten­na posta di traverso, che trasforma l'incorruttibile iota della Legge nel Tau del segno salvifico della croce 202.

Prima di chiudere questo studio, ancora un breve cen­no ad alcuni vantaggi che esso può offrire all'archeo­logia dell'antica simbolica cristiana della nave, anche se, come è stato detto più sopra, non osiamo emettere un giudizio definitivo sulle molteplici questioni del­l'interpretazione archeologica, neppure in rapporto alla scultura nautica: il nostro compito consiste nel pre­sentare modestamente sì, ma, ove possibile, anche esaurientemente, il materiale letterario agli archeologi. Bisogna ammettere che la materia sin qui presentata si distingue ad esempio, dalla povertà patristica con cui Wilpert ha dimostrato la sua spiegazione dell'im­magine della nave raffigurata nella cappella del sacra­mento del cimitero di Callisto203. Per quanto ci è dato sapere, anche negli ultimi tempi non si è scrit­to nulla di definitivo sull'archeologia dell'immagine della nave; un grande contributo fu portato da G. STUHLFAUTH e Fu. J. DOLGER, che danno un catalo­go delle rappresentazioni navali su sepolcri204; nei suoi studi postumi, Dolger fornisce delle integrazio-

202 TEOFANE CERAMEO, Homilia 4 in exaltationem Crucis (PG 132, 201 BC) .

203 J. WILPERT, Die Malereien der Katakomben Roms, Friburgo 1903, testo p. 419-421: parte illustrata, tav. 39, 2.

204 G. STUHLFAUTH, Das Schiff ah Symbol der altchristlichen Kunst, in Rivista di Archeologia Cristiana 19 (1942) pp. m - 1 4 1 . - FR. J. DOLGER, Sol Salutis, Mìinster 1925, 2 ed., p. 282-286.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 8 1

ni 205. L'archeologia odierna dovrebbe farsi istruire an­cor più dalla patrologia 206. Nel campo dei simboli nau­tici dell'arte cristiana antica, gli studiosi dei secoli XVI e XVII ne sapevano molto di più, anche quanto a do­cumentazione patristica, benché soltanto oggi sia pos­sibile utilizzarla criticamente. Si pensi soltanto ad un BOLDETTI ο all'inesauribile MAMACHI 2 0 7 .

Abbiamo così indicato in quale direzione sembra andare, a nostro parere, il risultato dei due capitoli sull'antenna della croce. In primo luogo abbiamo indicato come vadano interpretate le immagini dei sarcofaghi con Ulisse all'albero della nave208. In se­guito presenteremo il materiale riguardante la simbo­lica della navicella di Pietro; la storia dei testi accom­pagnerà le rappresentazioni in immagini, dal rilievo del sarcofago di Spoleto sino alla Navicella di Giotto 209. Nello studio sulla nave della Chiesa costruita col legno della croce, abbiamo esaminato la questione archeo­logica discussa da GARRUCCI sino a DÒLGER, e cioè se la nave rappresenti Cristo. La simbolica dell'antenna della croce, qui documentata, dovrebbe aver risolto

MS Diosfewroi. Das Rziseschiff des Apostels Paulus una seine Schiitz-gótter, in Antike und Christentum 6 (1950) p. 276-285. - Cfr. la nota posta all'inizio di questo lavoro, ove vengono citati gli studi di Dolger sulla storia del segno della croce.

20« Come caso esemplare citiamo qui J. FINK, Nòe der gereckte, Miinster 1955. Cfr. la recensione di questo lavoro fatta da H. RAHNER, in Zeitschrift /tir katholische Theologie 80 (1958) p. 446-451.

207 M. A. BOLDETTI, Osservazioni sopra i Cimiteri de' santi Martiri e antichi cristiani, R o m a 1720, v. 1, p. 36OSS. - T H . MAMACHI, Ori-gines et antiquitates christianae, R o m a 1846, v. 3, p. 68ss. Per altri studi più antichi sull'archeologia della nave della Chiesa, cfr. sopra, a p. 397, nota, 1.

208 Cfr. sopra, p. 45OSS. 209 V e d i p i ù avan t i , p. 817S; 863 .

682 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la questione. Ciò che l'antichità e il cristianesimo di­cono sulla « forma umana » dell'albero e dell'antenna e suìYadfixi hominis facies (per parlare con MINUCIO FELICE) 2 1°, che l'antico cristiano naturalmente collega alla croce dell'antenna della sua nave, appartiene alla preistoria dell'archeologia, in molti punti ancora così oscura, della rappresentazione plastica del crocifisso. In modo simile abbiamo esposto almeno gli inizi e il compendio di quella rappresentazione, così impor­tante anche archeologicamente, del segno della croce come mistica lettera alfabetica Tau (l'esposizione com­pleta nel capitolo seguente). A partire di qui (dunque, dalla forma della croce come antenna e anche come Tau), sarà abbordata la questione della forma della crux commissa ο itnmissa, di cui si è già occupato nel secolo XVII il lettissimo H. KIPPING, che, a proposito della croce, dice: «Patibulum hoc antenna est alio nomine, quia expanditur transversa, uti in malo na-vis » 2 n . La lista patristica dei segni della croce pre­senti nella « natura » (essa inizia con Giustino, e giunge, attraverso Tertulliano e Minucio Felice, sino a Gre­gorio di Elvira, per fare soltanto alcuni nomi) : ali di uccello, figura umana nuotante, stendardo, timone del carro, e altri, soprattutto però la forma dell'albero della nave con la sua antenna: è una lista nota all'ar­cheologia antica ed ha trovato una rappresentazione in una bella incisione in rame in JUSTUS LIPSIUS 212.

110 Cfr. A. GHILLMEIEE, Der Logos am Kreuz, Monaco 1956, p. 68, nota. z.

211 H. KIPPING, Liber singularis de Cruce et Cruciami, Brema 1671, P- 124·

212 JUSTUS LIPSIUS, De Cruce libri tres ad sacram profanamqm hi-storiam uliles, Anversa 1629, p. 27.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 6 8 3

Nel suo studio sulla simbolica della croce nell'antichità, CLAUDIUS SALMASIUS ha scritto brevemente e con esattezza : « Lignum est in summo mali transversarium, e quo dependent vela vel quibus vela involuta sunt. Extremas partes antennae cornua vocari notant Gram­matici. Propter illa duo cornua, quae sunt extremitates vel extremae partes, κεραία Graecis dicitur anten­na »2 1 3. Si pensi, per limitarci ad un esempio, alla corniola nel Museo Kircheriano, della quale hanno scritto GARRUCCI

2 1 4 e ZÒCKLER 215. La forma arcai­ca semplice, in cui è rappresentata l'antenna della croce su questa immagine di nave, non lascia alcun dubbio, che abbiamo a che fare con quella simbolica, che cer­cammo di dimostrare letterariamente. Persino l'ucello che sta sull'antenna è spiegabile in senso escatologico sepolcrale: si pensi agli uccelli che in PETRONIO si po­sano sull'antenna della nave che entra pacificamente in porto (l'uccello dell'anima sull'antenna della navi­cella della vita significa pace e arrivo nell'approdo dell'ai di là. La stessa cosa vale certamente di una pietra ta­gliata del Britisch Museum, che riproduce una croce sulla prua della nave (galère, trirème, une croix à la proue, les voiles carguées) 216; è il nostro artemon, la vela anteriore e a forma di croce, per significare

2 1 3 C L . SALMASIUS, Epistola de Cruce (allegata a THOMAS B A R -

THOLINUS, De latere Christi aperto dissertatio, Lugduni Batavorum 1646, p. 233).

214 R. GARRUCCI, Appendice di notizie archeologiche, in La Ci­viltà Cattolica 28 (1857) p. 731-739.

215 O. ZÒCKLER, Das Kreuz Christi. Religiongeschichtliche uni kirchlicharchdoiogische Untersuchungen, Giitersloh 1875, p. 143. Cfr. ora G. STUHLFAUTH, op. cit., p. 124 e 134S, sulla genuinità dubbia di questa gemma.

»· DACL VI, 1 (1924) col. 836, fig. n. 5045.

684 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

il « rapido » viaggio della nave della vita. Pensiamo ad AGOSTINO, che rimprovera l'uomo, che tiene abilmente in mano ì'artetnon, e che tuttavia non giunge all'ap­prodo. FR. FICORONIUS ha descritto e spiegato un'altra gemma con rappresentazione cristiana della nave; qui albero e antenna sono rappresentati senza accessori nau­tici come croce, per così dire il simbolo nella forma più pura, e la spiegazione dice appropriatamente: « Crux illa navi superposita nihil aliud est quam ipsius navis malus cum antenna transversa, unde carbasa suspen-duntur »217. Dai risultati del nostro studio possiamo ora anche correggere la descrizione che viene data dagli archeologi, quando parlano della famosa lanterna navale di Valerio Severo Eutropio negli Uffizi di Firenze. WILPERT nella Kraus'schen Realenzyklopàdie ha detto : « La chiara forma di croce dell'albero qui è riconoscibile soprattutto per il fatto che la scritta: Dominus legem dat... proprio come il titolo della croce, è fissato sull'asse trasversale del pennone della vela » 218. Ciò corrisponde esattamente alla descrizione data più tardi nell'opera sui mosaici romani: « L'albero porta una vela con la scritta: Dominus legem dat»219. In realtà, la scritta non è sulla vela, ma là dove gli antichi immaginavano che si trovasse il carchesium ο anche la vela di cima; e questa è, come vediamo, una sim­bolica evidentemente voluta: la scritta con la bene­dizione che il Signore dà dall'altezza dell'ai di là, si

117 FRANCISCUS FICOHONIUS, Gemmile antiquae litteratae aliaeque rariores, Roma 1757, p. 105, alla tavola XI, fig. 8.

! l 8 FR. X. KRAUS, Real-Enzyklopàdie der christlichen AHertùmer, Friburgo i88<5, v. 2, p. 731.

,1* J. WILPERT, Die ramisene Mosaiken und Malereien, Friburgo 1916, testo, v. 1, p. 731.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 685

trova sulla cima della nave, che noi conosciamo, sin dai tempi d'Ippolito, come la raffigurazione dell'esser giunti nell'eterno. Perciò possiamo interpretare l'an­tenna a forma di croce, chiaramente visibile sulle immagini sepolcrali di navi, la cui lista ci è stata pre­sentata da STUHLFAUTH, come simbolo della salvezza che è elargita definitivamente al morto.

Siamo alla fine della nostra navigazione attraverso la simbolica patristica dell'antenna della croce. Anche nel medioevo non si è dimenticato ciò che i Padri della Chiesa avevano detto a proposito di questo mi­stero dell'immagine della croce. La navicella della Chiesa è semplicemente la croce del Signore: navicula aux Christi, dice RABANO

22°, e la forma di croce del simbolo è comprensibile ora che conosciamo le fonti di questo mondo d'immagini. « La croce viene rap­presentata con nave e con legno », diceva NICEFORO

CALLISTOS nella dedica della sua storia della Chiesa, noi navighiamo su questo mare cattivo del mondo « con una vela appesa alla croce » (τω σταυρικω διακυβερνών ίστίω) 2 2 1 . Nella liturgia bizantina l'ini­zio del digiuno solenne viene celebrato con queste parole : « Forniti di ali mediante la vela della croce, dirigiamo la nave salvifica durante questo periodo » 2 2 2. In BEDA la Chiesa è semplicemente Γ « albero della passione » : « Navis est sacratissimae passionis ipsius

2 2 0 AUegoriae in S. Scripturam (PL 112, 1005 A). - Cfr. anche Commcnt. in Matthaeum, 3, 8 (PL 107, 863 CD). - De Universo, 20, 39 (PL i n , 554 C).

*2» Eccl. historiae dedicatiti (PG 145, 580 C). 22! Testo presso J. GEETSEH, De S. Cruce, Ratisbona, 1734, v. 3,

P- 334-

686 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

arbor » 223. Così quasi alla lettera, anche in ANSELMO DI LAON 224. In modo ampio e indimenticabile per il tardo medioevo, ONORIO D 'AUTUN ha esposto la sim­bolica dell'albero della croce ed ogni parola che egli dice proviene dalla tradizione patristica, ancora una volta compresa in modo nuovo dalla tendenza simbo­lica di questo grande conoscitore di simboli. Il salire di Cristo sulla navicella (Mat 8,23: ascendente eo in naviculam) ha per lui lo stesso significato dell' « innal­zamento » dell'albero della croce in mezzo alla Chiesa (come un ultimo eco di Ippolito) : « Navicula est sanctae crucis vexillum, qua de salo huius saeculi per Christi passionerà vehimur ad tutae stationis tran-quillum. In hanc Dominus " ascendit ", dum prò mundi salute crucem subit » 225. Questo vexillum è egualmente, secondo la sua forma nautica, la mistica lettera alfa­betica Tau 2 2 6 . Croce è semplicemente albero della nave e con questa immagine si presentano ancora una volta tutte le immagini nautiche, che abbiamo conosciuto nel corso di questo studio : « Haec crux etiam malus navis Ecclesiae dicitur, in quam velum fidei appenditur, honorum operum rudentibus hinc inde tenentibus: et sic Ecclesia ligno vecto flamine Spiritus Sancii turgentes mundi fluctus secura trans-navigat et optatum perennis vitae portum gaudens applicat » 227. Iniziammo più sopra 228 il nostro studio sulla « Nave della Chiesa » con un catalogo nautico

223 Expositio in Marcum, 2 (PL 92, 173 D) . 224 Enarr. in Matthaeum, 8 (PL 162, 1324 D; 1325 A). 225 Speculimi Ecclesiae (PL 172, 912 BC). "· Speculum Ecclesiae (911 B; 945 B). 227 Speculum Ecclesiae (944 D) . 228 Cfr. sopra, a p. 315-325.

LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA 687

dei paragoni patristici: in Onorio tutto viene ancora una volta messo a fuoco come in uno specchio ustorio, che fa risplendcre i raggi della dottrina patristica, le cui espressioni tecniche ISIDORO DI SIVIGLIA ha cercato di raccogliere229 : « Marc est hoc saeculum multis amaritudinibus turbidum. Navis est Christiana religio. Velum fides. Arbor crux. Funcs opera. Ventus Spiri-tus Sanctus. Portus aeterna requies » 2 3°. Dovrebbe essere esatto dire che i versi del cosiddetto EZZOLEICH, che secondo la tradizione manoscritta dovrebbero esse­re considerati come inseriti nel canto fiorito nel 1065, risalgono immediatamente al modello di Onorio 2 3 1 . I due semplici richiami di J. KELLE al catalogo sim-bolico-nautico dell'Opus imperfectum in Matthaeum232

a noi già noto da quanto detto sopra, e a BEDA 2 3 3

non bastano più ora, dopo il materiale presentato qui, per scoprire le fonti della poesia. Come vediamo, la tradizione è più ricca e più viva. Proprio per la nostra strofa, inoltre, il rinvio alla poesia di Rabano De lau-dibus sanctae crucis non è utile, poiché questi simboli nautici non vi vengono nominati. Il testo dei versi, qui presi in considerazione, è il seguente:

« Ο Crux Salvatoris du unser segelgerte bist. disiu werlt elliu ist daz meri, min trehtìn segei unte vere,

«· Etymol, 19, 1-3 (PL 82, 661-669). 230 Scala caeli maior, 1 (PL 172, 1230 C) . 231 Sitzunberichte der Akademie der Wissmschajten Wien, Hist.

phil. Klasse 129 (1893) p. 35 (E. KELLE). 233 Opus imperfectum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755).

Cfr. sopra, a p. 525. 233 Expositio in Marcum, 2 (PL 92, 174).

688 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

diu rehten werch unser segelseil, di rihtent uns dì vart heim »234.

(Dalla trascrizione in buon tedesco, data da A. Salzer, abbiamo il seguente testo):

Ο Croce del Salvatore, tu sei il nostro pennone. Questo mondo è il mare, ο mio Signore, tu sei vela e barcaiuolo, le opere buone sono le gomene, che guidano il nostro viaggio verso la patria 2 3 5 .

Proprio il paragone delle buone opere con le go­mene della vela potrebbe far pensare precisamente a Onorio, ove dice: funes opera. Conciò, I'EZZOLEICH chiude, come un'ultima melodia, il bel coro dei Padri, che ci hanno cantato la lode della « verga della vela della croce ».

Era un pensiero caro alla tarda retorica antica ter­minare una predica ο una poesia con il pensiero di una felice navigazione. L'ignoto bizantino, a cui dobbiamo il bel discorso su Simeone ed Anna, guida « la nave crociata del discorso » nel porto dell'Amen236. L'an­glosassone ALDELMO termina la sua poesia sulla vergi­nità con l'immagine dell'antenna, che adesso viene abbassata con le funi della vela. E con queste sue pa-

234 Testo, in Kleinere deutsche Gedichte des XI. urici XII. Jahrhun-derts, a cura di A. W A A G , Halle 1916, p. 15S. - Per l'espressione « Se-gelgerte» cfr. J. DIEMER, Deutsche Gedichte des 11. und 12. èahrhun-derts, Vienna 1849, p. 312, 12. - M. LEXER, Mittelhochdeutsches Wor-terbuch, Lipsia 1876, v. 2, p. 846.

235 A. SALZER, Illustrìerie Geschichte der deutschen Literatur, Vienna (s. d.), v. 1, p. 117S.

! 3 t PG 18, 377 D.

i.A CROCE COME ALBERO E ANTENNA 689

role concludiamo anche noi il nostro viaggio, che abbiamo iniziato « a vele spiegate »:

« Turgida ventosis deponens carbasa malis antemnasque simul solvens de parte ruden-

ftum »237.

37 De Virginitate, 2807S (MG Auct. Antiqu. 15, p. 467).

I

5-

IL MISTICO TAU

Chi ci ha seguito sin qui sugli intricati sentieri della simbolica patristica dell'antenna crucis, ha compre­so che solo così possiamo giungere ad una conoscenza veramente precisa della teologia della croce, che si nasconde dietro a queste immagini. Ciò ci incoraggia a seguire sino alle ultime diramazioni, una pista late­rale ancor più tortuosa dell'allegoresi patristica: la dot­trina del significato mistico della lettera greca Tau. Abbiamo già accennato più sopra alla connessione di questa simbolica con quella dell'antenna della croce e in quella occasione abbiamo promesso una trattazione esauriente 1. La presentiamo qui, anche se sembra allon­tanarci per un momento dalla tematica nautica della no­stra ricerca: in realtà, tutte le deviazioni di questo mo-

1 Cfr. sopra, a p. 676S. - Cfr. perciò, E. DINKLER, Zur Geschichte des Kreuzessymbols, in Zeitschrift ftir neologie una Kirche 48 (1951) 148-172. - IDEM, in Neutestamentliche Studienfiir R. Bultmann, Berlino 1954, p. 110-129: l'invito di Gesù a portare la croce. - A. GRIIXMEIER, Der Logos am Kreuz, Monaco 1956, p. 76, nota 30. - J. RIVIÈRE, « Trois cent dix-huit», in Recherches de Théol. Ancienne 6 (1934) 349-367. - Per tutto ciò che segue rimandiamo ancora una volta al lavoro postumo di FR. J. DOLGER, Beitrdge zur Geschichte des Kreuzzeichens, in Jahrbuch fiir Antike una Christentum I (1958) 13-17.

692 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

vimentato labirinto ritornano in modo sorprendente al punto di partenza.

La lettera Tau (corrisponde al semitico Taw) nella cultura greca indica anche il numero trecento. Essa con­siste di una linea basilare, simile allo iota, e del trattino trasversale postovi sopra che veniva chiamato κεραία; esso richiama sia nell'ìminagine che colpisce l'occhio, come pure nel suono orale, l'Albero della nave e la sua antenna trasversale e, per conseguenza anche la croce. Di qui la facilità con cui un Gregorio di Nissa 3

e i Greci che lo seguono 3 vedevano nella forma della lettera Tau un simbolo della croce. Perciò anche le parole del Signore (Mat. 5,18), secondo cui neppure uno iota ο una keraia della legge passeranno, venivano applicate al mysterium della croce, proprio perché iota e keraia, messe insieme, costituiscono il Tau, che sembra una croce e, con ciò, un albero e un'antenna. Pensiamo ad AUSONIO, che metteva queste parole in bocca al Tau: « Come l'albero della nave porta la sua antenna trasversale, così io sono il Tau »4. Dato che anche nella Volgata Latina le parole di Mat 5,18 han conser­vato l'antico suono (Iota unum aut unus apex non prae-teribit), ai Padri latini viene in mente talvolta una spie­gazione simbolica, che tacitamente presuppone la con­sapevolezza che dalle due lettere, dallo iota e dall'apex, risulta un Tau, che è simile al segno della croce. Così un CROMAZIO DI AQUILEIA: «In hoc iota vel apice

5 Cantra Eunomium 5 (PG 45, 696 BC). - In resurrectionem Oratio 1 (PG 46, 624 D).

" TEODORBTO, Historia Etcì., 4, 9, 15 (GCS, p. 246, 1. 1). - TEO­FANE CERAMEO, Homilia 4 in Exaltationem Crucis (PG 132, 201 BC). -TEODORO PRODROMO, Miscellanea (PG 133, 1234 B).

4 Idyll., 12 (PL 19, 901D) = Technopaegnion 12 (MG Auct Anticju., 5, 2, 138).

IL MISTICO TAU 693

legis etiam sacramentum crucis possit intelligi, quia iota et apex quandam in se imaginem crucis ostendunt, quae a lege ac prophetis praedicata nulla ratione po­terai praeteriri »5. Allo stesso tempo l'immagine della lettera Tau spinge chiunque sia stato educato greca­mente a pensare, assieme all'antenna della croce, an­che al numero 300; e immediatamente si aprono tutte le porte dell'arte del ragionamento dell'allegoresi: i 300 gomiti dell'Arca (Gen 6,15), i 318 servi di Abra­mo (Gen 14,14), i 300 uomini di Gedeone (Giud 7,6), i 300 denari dell'unguento prezioso (Mar 14,5): tutto diventa allusione alla croce come mistico segno Tau, la lettera della salvezza. Che oltre a ciò, spesso risuoni insieme anche la rappresentazione nautica del Tau co­me albero con antenna, lo abbiamo già veduto più sopra in PAOLINO DA NOLA

β e in GREGORIO DI ELVIRA 7.

Ciò diventa anche più chiaro presso l'Anonimo spi­rituale del secolo V, che ha composto il Commento al Vangelo di Marco falsamente attribuito a Gerolamo. In una serie di immagini, corrente già sin dai tempi di Minucio Felice, egli vede il segno del mistero della croce scolpito in tutta la struttura del mondo: nelle quattro direzioni celesti che si intersecano a vicenda, nel volo degli uccelli, nella figura dell'uomo che nuota, nella nave con la sua antenna e nella lettera alfabetica Tau : « Navis per maria antenna cruci similata sufflatur, Tau littera signum salutis et crucis describitur »8.

5 Tractatus in Matthaeum, 6 (PL 20, 344 A). » Carmen 19, p. 612-616 (CSEL 30, p. 139). 7 Tractatus Origenis, 14 (BATIFFOL, p. 153, 1. 6-10). - De arca Noe

(WILMART, p. io , 1. 188-192). 8 PS.-GEROLAMO, In Marcum, 15 (PL 30, 638 A).

i

694 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Da ciò vediamo: le due serie di immagini dell'an­tenna della croce, che sembra un Tau, e della lettera alfabetica Tau, che nella sua somiglianza alla croce significa anche trecento, stanno l'una fianco all'altra. Nautica e gematria divenuta cristiana (di cui subito parleremo più a fondo) si condizionano a vicenda. Ma ora dobbiamo seguire il modo in cui la simbolica della croce della lettera Tau diventa indipendente e perde la connessione con la simbolica nautica, per alimentarsi a tale scopo a fonti diverse e nuove del pensiero antico.

Questo processo si sviluppa sotto il potente influsso di un'immagine profetica, che attrasse lo sguardo dei teologi simbolici della patristica e della scolastica pri­mitiva con la stessa irresistibilità dell'immagine del­l'albero e della croce, vista nel loro ambiente culturale. E la visione di Ezechiele profeta (9,4) che vede lo scrit­tore celeste vestito di lino e ode il comando divino: « Vanne attraverso al centro della città, attraverso E1 centro di Gerusalemme, e disegna un Taw sulla fronte degli uomini, che sospirano... ». I LXX traducono questo testo quasi parafrasandolo: δίελθε μέσην τήν Ίηρουσαλήμ καΐ δος το σημεϊον επί τα μέτωπα των ανδρών των καταστεναζόντων. E Gerolamo, più precisamente : « Transi per mediam civitatem in medio Jerusalem et signa tau super frontes virorum gemen-tium ». Ma Origene già leggeva in Aquila e Teodozione, in opposizione ai LXX, che in luogo del ση μείον sen­za significato si traduce meglio con t a u 9 . Così anche nell'Itala di quando in quando si è tradotto volentie-

9 Setecta in Ezechielem, 9 (PG 13, 800 D) .

IL MISTICO TAU 695

ri il Cesto : « Transi mediarti Jerusalem et scribe signum tau in frontibus virorum qui germini »10. La forza immaginifica di questa visione di Ezechiele penetra adesso nel mondo della teologia della croce, che sino ad ora è stato nautico, si nutre di esso, ma si rende indipendente sotto l'influsso determinante della tarda gematria giudaica e dei simbolismi greci della lettera Tau. Presenteremo ora questo sviluppo della spiega­zione patristica di Ez 9,4. Naturalmente non si son mai dimenticate le connessioni originarie del significa­to del mistico Tau con la simbolica nautica. Ancora RABANO MAURO lo sapeva nel suo libro De laudi-bus sanctae crucis, ripieno del tesoro di immagini pa­tristico, quando si rivolge così alla croce: « Ezechiel vero T, tau litteram, tuam effigiem similantem, super frontes virorum gementium et dolentium esse positam asseverat... sic tu quoque, sancta crux, virtus firma, laus praecipua et navis seu portus fidelissimus in suble­vando totius orbis naufragium » n. Così pure nella poe­sia corrispondente alle sue artificiose figure della croce:

« Hiezechiel cernit visu Tau signum eruere plebem atque crucis ducentis ad instar, sic tu, sancta salus, virtus es visa prophetis es placita superis, crux, huic es navita mundo » 12.

10 P. SABATIER, Bibliorum Saaorum Latinae Versiones antiquae, Reims 1743, v. 2, p. 769.

11 De laudibus s. Crucis, 2, 26 (PL 107, 291 BC). 12 lui, 1, figura 26 (PL 107, 251 B). - Η. Β. MEYER, Crux, decus

es mundi. Alkuins Kreuz- und Osterfrommigkut, in Paschatis Soìemnia. Festschrifi fiir J. A. Jungmann, Friburgo 1959, p. 96-107.

696 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

I. LE FONTI PROFANE DELLA SIMBOLICA DEL MISTICO TAU

Per comprendere lo sviluppo della simbolica del mistico segno Tau elaborata dai teologi cristiani, dob­biamo rifarci alla storia dell'alfabeto ebraico. Quale segno ha scolpito il celeste scrittore di Ezechiele sulle fronti degli uomini di Gerusalemme? « Scrivi Taw sulle fronti », così suona il comando. Il Taw ebraico, l'ultima lettera dell'alfabeto, significa « segno ». Nel si­gnificato originario dell'antica scrittura sinaitica, « mar­chio di giudizio », più tardi anche « segno fatto con il fuoco » e « segno di accreditamento di un atto pub­blico» (Giob 31,35) 13. I LXX traducono perfettamen­te la parola di Ez 9,4 con ση μείον, ma così facendo attutiscono un pò il significato enfatico di Taw; biso­gnerebbe infatti dire: « Scrivi una lettera-taw sulle fronti ».

Ciò ci conduce alla vera fonte della spiegazione pa­tristica di questo testo. L'antichissimo segno alfabe­tico Taw, infatti, nella sua forma primitiva, in oppo­sizione allo sviluppo posteriore dell'alfabeto ebraico, era semplicemente una specie di segno di croce, nella forma di un + ο di un X. Ce lo dimostrano le cosid­dette lettere di Lachis scritte verso il 590 a.C, con il loro alfabeto fenicio-ebraico del periodo preesilico, in cui il Taw è reso costantemente con X 14. Il segno fe-

13 Cfr. Encyclopaedia Judaka, Berlino 1928, v. 2, p. 404-407. -The Jewish Encyclopedia, Nuova York 1906, v. 7, col. 68; Nuova York 1901, v. 1, col. 439-454: sviluppo dell'alfabeto ebraico antico e sa­maritano.

14 H. TOECZYNER, The Lachish Letters (The Wellcome Archeolo­gica! Research Expeditìon to the Near East), Londra-New York-Toronto 1938, p. 220 (sviluppo dell'alfabeto ebraico), spiegazione a p. 185-187.

IL MISTICO TAU 697

nicio corrispondente a Taw, al contrario, è reso per lo più con -K simile al Taw maccabaico 15. GEROLAMO

sapeva ancora qualcosa della storia dello sviluppo del­l'antico segno di croce Taw nel nuovo segno quadrato dell'alfabeto ebraico. Nel suo commento ad Ez 9,4 egli dice, difendendo il significato cristiano della let­tera in questione: «Et ut ad nostra veniamus: antiquis Hebraeorum litteris quibus usque hodie utuntur Sa­maritani, extrema tau littera crucis habet similitudinem, quae in christianorum frontibus pingitur et frequenti manus inscriptione signatur »16. Egli dimostra la giu­stezza della spiegazione cristiana del segno di Ezechie­le (come segno di croce scolpito sulla fronte), appel­landosi esplicitamente alla forma di scrittura di tale let­tera, nel frattempo divenuta antiquata, in aperta oppo­sizione alle spiegazioni della simbolica rabbinica a lui contemporanea, di cui parleremo più avanti. In ciò gli fa eco un Anonimo più recente, forse BEDA, quando annota occasionalmente : « Volo noveritis, quia hucu-sque apud Samaritanos Tau littera similitudinem crucis habet, quamquam apud Hebraeos corrupta sit. Ideoque per Tau, quód interpretatur « signa », intelliguntur illi qui signaculum crucis in fronte et in corde ferunt et per fidem passionis Christi credunt se salvari posse »17.

18 Cfr. RE 1, 2 (1894) col. 1612-1616 (SZANTO) per l'origine fenicia del Tau greco.

111 Comment. in Ezechiekm, 3, 9 (PL 25, 88s). 17 PS.-GEROLAMO, In Lament. Jeremiae traci. (PL 25, 792 BC).

Del resto, questa questione della distinzione tra modo di scrivere il Tau nella scrittura ebraica antica e in quella quadratica sostiene ancora una volta (sempre richiamandosi a Gerolamo) una parte quasi buffa nella dotta disputa del cardinal Bellarmino con i suoi avversari calvinisti, che combattevano il culto cattolico della croce fondato sull'esegesi dei Padri ad Ez 9,4. Cfr. per ciò, J. GRETSEH, Mantissa ad Tomum I. de s. Cmee, Ratisbona 1734, p. 45s; p. 79.

698 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Non era tuttavia soltanto la forma sensibile di cro­ce dell'antica lettera alfabetica Taw, che spingeva i cristiani a vedere in questo « segno » una prefigurazio­ne della santa croce. Senza dubbio l'arte interpreta­tiva giudaica più recente si era già forgiata una propria spiegazione per ogni lettera dell'alfabeto. Essa costi­tuiva uno dei fondamenti per ogni ricerca di un si­gnificato recondito : « Dio ha creato il mondo con le 22 lettere dell'alfabeto », come dice il Talmud 18. Ad ogni modo, da Origene sino ad Ambrogio e a Gero­lamo, ne ascoltiamo ancora l'eco spesso interrotta e un pò confusa. Taw, per l'arte interpretativa giudaica, non è soltanto l'immagine della lettera che sta per « segno », ma anche conclusione e fine del santo alfabeto, e inol­tre inizio della parola Torà, dunque incarnazione della Legge santa. Confrontiamo ora tutto ciò con la massa di spiegazioni del Taw presso i Padri: nelle liste di spiegazioni, ad esempio, degli Onomastica sacra l'in­terpretazione insiste su σημεΐον ο σημεία, in latino signum oppure signa 1 9. Ambrogio fa questa annotazio­ne : « Littera Tau quae latina interpretatione significat «erravit»; alia interpretatio habet « consummavit ». Vicesima et secunda littera est quae apud Hebraeos ultima » 2 0. GEROLAMO, piuttosto incerto, inclina verso il significato di « signa » 2 1. Ma tutto ciò è tradizione molto tardiva e in qualche modo già fissata. Possiamo,

u Ber. 55a. Cfr. la precisa esposizione nella Encyclopaedia Judaka, Berlino 1931, v. 7, col. 170-179.

18 Fa. W O T Z , Onomastica Sacra (Texte una Untersuchungen, 41), Lipsia 1915, p. 220s; p. 677.

so Expositio Psalmi 118, homilia 22, 1-4 (CSEL 62, p. 488,1. 13-15). 21 Epistola 30, 5 (CSEL 54, p. 246, 1. 11; p. 244, 1. 7s). - De no-

minibus hebraicis (PL 23, 828).

IL MISTICO TAU 699

invece, cogliere ancora più da vicino l'opposizione po­lemica tra spiegazione cristiana della lettera e spiega­zione tardo-giudaica, in un significativo testo di ORI­GENE. Occupandosi della esposizione di Ez 9,4, il dotto scritturista alessandrino si è sforzato di interrogare anche i contemporanei talmudici circa il significato del Taw di Ezechiele. Alcuni dicevano che Taw, come ultima lettera dell'alfabeto, significa semplicemente la « perfezione » : una seconda spiegazione, data da un altro giudeo, affermava che, in quanto lettera iniziale della parola Torà, significava la totalità della Legge. « Un terzo, invece, che apparteneva a coloro che già cre­devano in Cristo, diceva che l'antico modo di scri­vere le lettere alfabetiche presentava il Taw in una evidente forma di croce e che quindi qui ci troviamo dinanzi ad una profezia del segno, che più tardi tra i cristiani doveva essere impresso sulla fronte, come lo fanno i credenti, ogni volta che danno inizio ad un lavoro e particolarmente prima della preghiera e della santa lettura » 22. Per noi è particolarmente importante, il richiamo del giudeo battezzato agli αρχαία στοιχεία, ossia al modo, ormai antiquato, di scrivere il Taw in forma di croce, che da Gerolamo viene detto samaritano. Possiamo facilmente dedurre che gli interpreti talmudici si richiamavano alla forma moderna del Taw, divenuta quadratica, per escludere una spiegazione del segno ezechieliano accolta volentieri dai cristiani. Non fac­ciamo nessuna ingiustizia a Gerolamo, quando diciamo che egli si è appropriato con gioia di questa piccola scoperta di Origene, garantita da un dotto rabbino. Anche Eusebio sarà ben cosapevole del fatto che l'arte

22 Selecia in Ezechietem, 9 (PG 13, 801 A).

700 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

cristiana della interpretazione delle lettere alfabetiche è un'eredità della scuola ebraica, ed anch'egli spiegherà il Tau come segno che sta per σημεία 2 3.

A proposito della forma arcaica di croce della let­tera Taw e della sua spiegazione talmudica bisogna ora considerare ancora una terza fonte, che è impor­tantissima per l'origine dell'allegoresi patristica: la magia alfabetica greca 24. In conformità alla sua origine dal­l'alfabeto fenicio, la lettera greca Tau veniva per l'ap­punto scritta in forma di croce, ad ogni modo ben presto anche nella forma Τ di una specie di crux com-missa. Non era dunque difficile neppure per i greci vedere nel Tau l'immagine sensibile di una croce, e con ciò sentirla come la raffigurazione della fine della vita e della vergognosa morte degli schiavi. Ciò è per noi vividamente percepibile nel meraviglioso libretto di LUCIANO DI SAMOSATA sul Processo delle lettere. In esso, il Sigma si lamenta che nella pronuncia ellenistica spesso viene cacciato e rimpiazzato dal prepotente Tau, che adesso si dice comunemente Glotta invece del tra­dizionale Glossa, Thalatta invece di Thalassa. Perciò il giudizio sul povero Tau è distruttivo: esso è degno della medesima morte, di cui presenta l'immagine sensibile. « Poiché i tiranni hanno costruito a immagi­ne di questa lettera Tau quel legno, su cui crocifiggono gli uomini condannati a morte » 25. Lo vediamo : Tau

23 Praeparatio evangelica, n, 6 (PG 21, 861 A) ; io, 5 (PG 21, 789 A).

" Cfr. soprattutto FR, DORNSEIFF, Das Alphabet in Mystik uni Magie (Stoicheia, 7), Lipsia-Berlino 1922 (1925, 2 ed.).

as Iudtcium vocalium, 12 (HEMSTERHUYS-REITZ, I, p. 97S). - Per la genuinità dell'opuscolo, cfr. CHRIST-SCHMID-STAHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, Monaco 1924, v. 2, 2, p. 719S. — Luciano giustifica il lamento sul cattivo Tau anche con il fatto che il mitico

IL MISTICO TAU 701

qui è immagine della croce, dunque figura di una cat­tiva fine della vita; e qui ci viene in mente la simboli­ca, ormai familiare ai Greci, dell'albero con la sua antenna come croce. Allo stesso tempo però il Tau era anche il segno numerico per indicare 300. In tal modo la magia delle lettere, influenzata dalle specula­zioni numeriche dei pitagorici, racchiudeva in questo segno ogni sorta di rari significati. 300 è composto infatti da tre volte 100, e 100 è dieci volte io, dieci poi è il numero semplicemente perfetto, Γάριθ-μος τέλειος 2 6 . In ORIGENE questa speculazione entra nel­l'ambiente cristiano, là dove l'Alessandrino si sforza di trovare il significato mistico dei 300 gomiti dell'arca di Noè 27. Così il Tau, questo segno della fine della vita e della morte degli schiavi, diventa, in una dialet­tica profonda, l'incarnazione della vita e del compi­mento. In questo, però, la magia greca delle lettere alfabetiche coincideva con la spiegazione talmudica del Taw come fine e compimento della legge. Tau è trecen­to, e con ciò morte e vita in un uno, fine e compimento nel segno di una croce. La tarda allegoresi giudaica delle lettere alfabetiche si è appropriata di questa spe­culazione dei numeri, comprensibili di per sé soltanto ad un Greco, e ne ha tratto il sistema della sua gematria talmudica28. L'essenza di questa complicata interpre-

Cadmo riportò con sé dalla Fenicia queste lettere per darle ai Greci: « Gli uomini piangono e si lamentano della loto sorte, essi imprecano contro Cadmo, poiché egli Ila introdotto il Tau tra le lettere dell'al­fabeto ». Per Cadmo come inventore della scrittura e importatore delle lettere fenicie cfr. anche ISIDORO DI SIVIGLIA, Oratio 1, 3, 6 (PL 82, 76 A).

26 Cfr. RE II, 1 (1895), col. 1087, 1. 54SS (HUI.TSCH). 27 Homilia 2, 5 in Genesim (GCS ORIGENE VI, p. 34s). 28 Cfr. Encyclopaedia Judaica, Berlino 1931, v. 7, col. 170-179·

702 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

fazione delle lettere delle parole della Sacra Scrittura

consiste nel fatto che le lettere di Certe parole bibli­

che vengono trasportate nel loro valore numerico

greco, ο viceversa, nel fatto che dei dati numerici bi­

blici vengono cambiati in parole significative, per pe­

netrare così dietro i presunti misteri degli annunci

divini che vi si nascondono. FR. DORNSEIFF ci ha re­

galato uno studio erudito sull'origine della gematria

talmudica 29. E qui incontriamo una delle fonti essen­

ziali dell'allegoresi patristica. Già è chiaro nello Ps. -

BARNABA, che l'esegesi e la catechesi antica cristiana

si son servite sin dall'inizio di questo sistema gematri-

co, per sostenere la spiegazione cristiana della Bibbia

nelle controversie con i Giudei.

L'influenza di questa magia delle lettere parzial­

mente giudaica e in parte pitagorica diventa ancor

più chiaramente percepibile nella sfrenata mistica alfa­

betica degli gnostici, come ad esempio in quella di

Markos, di cui ci riferisce TERTULLIANO 30. Ad ogni

buon conto costatiamo questo fatto: la lettera Tau

era per gli uomini del mondo culturale greco-romano

l'immagine sensibile della morte e della vita ad un

tempo. FR. DÒLGER 31 lo ha dimostrato per il Tau

come segno simbolico della vita, e se crediamo ad una

notizia, senza dubbio sporadica, contenuta in ISIDORO

29 Das Alphabet in Mystik uni Magie, p. 9iss. - Sul Tau come croce cfr. ivi p. 23S. ; p. 109S.

30 De praescrìptione haereticorum, 50 (PL 2, 70 A). Cfr. H. L E I -SEGANG, Die Gnosìs, Lipsia 1924, p. 39ss. ~ Sulla magia alfabetica dei Greci cfr. DACL 1 (1907) col. 1268-1288 (H. LECLERCQ).

31 Antike una Christcntum 1 (1929) p. 49.

IL MISTICO TAU 703

DI SIVIGLIA 32, un Tau posto dietro il nome del soldato

nelle liste militari romane significava che il soldato in questione era ancora in vita. Ma non possiamo tra­scurare di prestar attenzione al doppio suono del Tau: esso significa vita ed allo stesso tempo morte, poiché non si può non vedere che ha precisamente l'aspetto di una croce. Soltanto qui diventa finalmente compren­sibile ciò che lo Ps. - GEROLAMO diceva a proposito del Tau come simbolo della croce : « Tau littera si-gnum salutis et crucis describitur »33. Qui risuona chiaro il suo duplice significato dialettico: Tau è se­gno di salvezza, e ciò è conforme al modo di pensare greco; Tau però è anche croce, e questo i cristiani lo hanno saputo sin dall'inizio. Vita e morte si nascon­dono nel medesimo segno. In tal modo ci diventano comprensibili anche le notizie cristiane, che spiegano la croce ansata, ritrovata nelle rovine dei templi egi­ziani e che ha l'aspetto di un Tau, come segno della « vita eterna ». SUIDA si richiama per questo alla te­stimonianza degli Egiziani convertitisi al tempo del­l'imperatore Teodosio e la stessa cosa riferiscono gli storici SOCRATE, SOZOMENE E RUFINO

34. Croce è Tau

32 Oratio i, 24, 1 (PL 82, 100 A ) : «In breviculis quoque mili-tum nomina continebantur ... T, Tau nota in capite versiculi posita superstitem designabat ». - Cfr. anche R U F I N O , Apologia in Hiero-nymum, 2, 36 (PL 21, 615). Questa specie di Tau, che per Isidoro era segno della vita, è per lui anche segno di mor te : « Τ figuram de-monstrans dominicae crucis, unde et Hebraice ' signum ' interpre-tatur; de qua dictum est in Ezechiele angelo: transi per medium et signa Tau» (PL 82, 76 B). - La lettera & significa morte : ARTEMI-DORO, Oneìrokritika, 4, 24 (HERCHER 217, 1. 14).

33 PL 30, p. 638 A. 34 SUIDA, Lexicon, alla voce σταυροί, Cambridge 1705, v.

3, p. 369. - SOCRATE, Historia eccl., 5, 17 (PG 67, 608 AB). - S O Z O ­

MENE, Hist. eccl, 7, 15 (PG 67, 1457 A). R U F I N O , Hist. Eccl., 2, 29

704 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

e raffigura la vita ventura, che ci viene donata mediante la morte umana del Dio crocifisso.

Abbiamo così indicato le fonti essenziali, cui la spiegazione cristiana della croce come segno del mi­stico Tau attinge sin dall'inizio. Questa simbolica rap­presenterà per più di mille anni uno dei più cari topoi dell'allegoresi e sopravviverà ancora nell'arte del pri­mo medioevo.

2. LA TEOLOGIA PATRISTICA DELLA C R O C E C O M E MISTICO T A U

L'interpretazione del Tau, segno alfabetico del nu­mero 300, come croce del Signore si trova per la pri­ma volta in BARNABA

35, ma vi è già così radicata e proposta come cosa così naturale, che possiamo pen­sare che si tratta di un punto dottrinale corrente nella catechesi cristiana della fme del primo secolo. La sua origine va ricercata nella spiegazione talmudica del Taw e nelle esigenze della polemica antigiudaica. Ad ogni modo PH. HAUSER, fa una supposizione seducente, quando designa l'annotazione finale di Barnaba (« Nes­suno ha mai ascoltato da me una dottrina più eccel­lente, ma io so che voi ne siete degni ») 36, come un

(PL 21, 537 AB). - CORNELIO A LAPIDE nella sua esegesi ad Ez 9,4 si riferisce ancora a queste e simili notizie, quando dice : « Unde et Aegyptii Serapidis pectori tau inscribebant quasi signum futurae vitae ». Egli si richiama per questo alle dotte ricerche fatte da JAKOB GRETSER, De s. Cruce, Ratisbona 1734, v. 1, p. 80-82.

35 Ps.-Barnaba, 9, 8: (BIHLMEYER, p. 21, 1. 12-20). 31 Ivi, 9, 9 (p. 21, 1. igs).

IL MISTICO TAU 705

tiro che l'autore intende giocare alla Haggada37. La sua lettera polemizza con i difensori giudei e giu­deo cristiani della necessità salvifica della circoncisione. Per dimostrare che questa veniva sempre intesa solo in senso spirituale, egli adatta artisticamente (non si sa se di proposito oppure in base ad un manoscritto della Bibbia in suo possesso), il testo del Genesi, col­legando Gen 14,14 e Gen 17,23.24 alla proposizione: «E Abramo ne circoncise 18 e 300 della sua casa». Poi inserisce una spiegazione genuinamente geometrica di questi dati numerici, messi cosi in fila l'uno appresso all'altro : « Sappiate che la Scrittura qui dice in primo luogo 18, e poi, con una nuova interruzione, 300. Diciotto è (come segno numerico) iota, lo stesso che io; Età, lo stesso che 8: e qui hai l'inizio del nome di Gesù (Jesus). E poiché nel Tau la croce doveva in­dicare la grazia futura, egli aggiunge trecento. Egli indica Gesù, dunque, nelle prime due lettere, e la cro­ce nell'ultima». Non è impossibile che questa inter­pretazione cristiana del numero 318 del racconto dei 318 servi di Abramo (Gen 14,14. - Gen 17,23 parla certamente della circoncisione dei servi, ma non più del loro numero) sia diretta contro la geometria giu­daica del tempo, che si era impadronita anch'essa di questo misterioso numero e lo aveva spiegato nel senso di Eleazaro e della γνώσις 3 8. Ad ogni modo, da que-

3 7 PH. HAUSER, Der Barnabasbrief neu untersucht und neu erklart (Forschungen zur christl. Literatur- und Dogmengeschichte 11, 2), Paderbon 1912, p. 6os. - Cfr. anche le annotazioni sempre valide a Barnaba 9,8 in C. J. HEFELE, Das Sendschreiben des Apostels Barnabas, Tubinga 1840, p. 83SS. - P. MEINHOLD, Geschichte und Exegese im Barnabasbrief, in Zeitschrift jiir Kirchengeschichte 59 (1940) p. 271S.

3 8 Cfr. FK. DORNSEIFF, Das Alphabet, p. 109, nota 5.

706 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sto momento il numero 318 appartiene anche agli ele­menti fondamentali della scienza cristiana dei numeri su cui si dilunga un testimone importantissimo come il complicato capitolo degli Sfrontata di CLEMENTE

ALESSANDRINO 39. Esso, sempre in diretta dipendenza da Barnaba, ma ripieno della mistica pitagorica dei numeri e di geometria giudaica, afferma: «Dopo che Abramo aveva udito che Lot era caduto prigioniero di guerra, fissò il numero dei propri servi a 318, si recò con essi sul campo e sconfisse un grandissimo numero di nemici. Ora si dice che il segno numerico usato per il 300 sia, in base alla sua forma, un'allusione al semeion del Signore, che invece lo Iota e la Età alludono al nome del Salvatore. Ciò significa, dunque, che coloro i quali appartengono ad Abramo quanto alla redenzione, ossia che hanno fatto ricorso al Se­meion e al Nome, sono diventati padroni di coloro che avevano fatto dei prigionieri di guerra e dei molti pagani increduli, che li seguivano. Il numero 300 però, è anche il terzo numero cento, e il numero io viene considerato generalmente come un numero perfetto » 40.

A noi sembra, come dimostrerebbe questo testo di Clemente, che l'eguaglianza di Tau = 300 = segno di croce, anche se qui e in Barnaba viene usata per l'interpretazione dei servi di Abramo, abbia tuttavia la sua vera origine nella spiegazione di Ez 9,4. Pro­prio perché Clemente nel suo testo dei LXX in que­sto passo legge soltanto ση μείον e non Tau, ma, come è chiaro, comprende questa parola come segno della croce, risulta che egli ora anche qui e spesso

a» Straniata, 6, 11, 84-95 (GCS II, p. 473-480). « Sfrontata, 6, 11, 84, 2-$ (GCS II, p. 473, 1. 21-31).

IL MISTICO TAU 707

altrove, al posto di σταυρός scrive semplicemente ση μείον κυριακόν ο soltanto ση μείον, poiché così viene compreso da tutti. Anche il numero 300, che ri­ferisce in bracci la misura dell'arca, è per lui un sim­bolo del ση μείον. Il segno dunque è semplicemente la « croce ». Per questo, nella nostra traduzione del te­sto suddetto, abbiamo preferito che rimanesse « se-meion», al contrario di Stàhlin, che, giustamente, ma intepretando, traduce costantemente questa parola per mezzo di « croce ». Se per giunta ammettiamo che Clemente con gli uomini armati nominati alcune volte per la dottrina del mistico Tau (« Dicono » 41 ο « Ci sono alcuni, che dicono ») 4 a , andando oltre la lettera di Barnaba, intende i catecheti cristiani, allora ne ri­sulta che qui abbiamo a che fare con un topos della teologia della croce antigiudaico appositamente creato: la misura dei gomiti dell'arca, il numero dei servi di Abramo e la segnazione con il segno del Tau, erano i tre modelli classici della salvezza futura nella croce. Per mille anni, essi restarono nel ricordo dei maestri della fede e degli esegeti sempre strettamente congiunti tra loro. Per convincersene basti leggere una sola volta, immediatamente dopo le testimonianze della Chiesa primitiva, la predica di Pier Damiani sull'innalzamento della croce, nella quale l'arca, i servi di Abramo e il segno del Tau stanno inscindibilmente l'uno accanto all'altro4 3. Questo gruppo di testi si aggrega abba­stanza presto due altri «passi»: il numero trecento dei soldati di Gedeone (Giud 7,7.8) e il numero trecento

" Ivi, p. 473, 1. 24. 4 2 Ivi, p. 475, 1. 11. •3 Sermo 48, De exaltatione s. Crucis (PL 144, 769S).

708 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

del prezzo per l'unguento prezioso (Par 14,5; Giov 12,5). Che in questa esegesi del segno Tau si tratti degli elementi fondamentali della primitiva teologia cristiana della croce, ce lo dimostrano anche le testi­monianze di CIPRIANO, che hanno conservato come è noto il più antico materiale della catechesi antigiu­daica 44. Anche se Cipriano legge nel suo vecchio testo latino della Bibbia in Ez 9,4: « Et notabis signum super frontes virorum qui ingemunt», egli interpreta queste parole come passo dimostrativo per il principio teologico : « Quod in hoc signo crucis salus sit omnibus qui in frontibus notentur». Anche il testo di Origene già citato ci ha mostrato con quale interesse si cercava di trarre spiegazione cristiana da Ez 9,4 contro le inter­pretazioni del dotto giudaismo contemporaneo. Ori­gene ci assicura esplicitamente, che egli ha apposita­mente interpellato gli scritturisti giudei « se avessero una tradizione dottrinale circa il significato del Tau » (in Ez 9,4) : zi χι πάτριον περί τοϋ ταυ εχοιεν λέγειν μάθημα 4 5 .

Percorriamo ora le testimonianze di questa teologia patristica della croce, separando i singoli gruppi gli uni dagli altri e tralasciamo l'interpretazione dei 300 gomiti dell'Arca di Noè che considereremo in un ca­pitolo a parte.

Iniziamo con l'interpretazione della visione di Eze­chiele; essa infatti è il punto di partenza di tutta l'al-legoresi del « segno » Tau come raffigurazione sensi-

41 Testimonia, 2, 22 (CSEL 3, p. 90, 1. 7-9). - Cfr. anche Ad De-metrianum, 22 (CSEL 3, p. 367, 1. ós). - Per l'età delle fonti dei Te­stimonia cfr. sopra, a p. 364SS.

« PG 13, 800 D.

IL MISTICO TAU 709

bile della croce. Già abbiamo interrogato ORIGENE.

Prima di lui e indipendentemente da lui, incontriamo in Tertulliano la testimonianza, secondo cui qui si trat­ta chiaramente di un topos dottrinale conosciuto a tutta la Chiesa, in cui la teologia si sforza continua­mente di dimostrare che la fede cristiana in un Messia sofferente fu predetta già dalla Scrittura dell'Antico Testamento. È quel che ora dimostra anche Tertullia­no contro la cristologia spiritualistica di Marcione. Il cristiano sofferente e segnato con un segno di croce è soltanto l'imitatore del Cristo crocifisso: lo dimostra anche la visione di Ezechiele del « segno Tau ». Il testo biblico, che Tertulliano cita qui, suona (in opposizio­ne ai Testimonia di Cipriano) : « Pertransi medio portae in media Hierusalem et da signum Tau in frontibus virorum ». Ciò facilita l'accettazione dell'esegesi, che proveniva dalla Chiesa e dalla cultura greca e che di­venta comprensibile soltanto se si sa che il segno alfa­betico del numero 300 è precisamente il Tau. Di qui, ora, in Tertulliano (e così più tardi in quasi tutti i Padri latini) il richiamo esplicito al greco : « Ipsa est enim littera Graecorum Tau, nostra autem T, species crucis, quam portentebat futuram in frontibus nostris apud veram et catholicam Hierusalem » 46. La stessa cosa ripeterà l'esegesi contro i Giudei 47. Come si vede, anche qui si tratta di fondare esegeticamente l'antica usanza cristiana, di segnare la fronte con il segno della croce, poiché con questo uso i cristiani intendevano separarsi da qualsiasi concezione giudaica ο pagana.

4« Adversus Martionem, 3, 22 (CSEL 47, p. 416, 1. 2-7); PL, 2, 353 A).

" Adversus Judaeos, n (PL 2, 631 A).

710 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Lo faceva notare già ORIGENE. La stessa cosa attesta GEROLAMO, ove parla della fronte da segnare con la croce : « Facies quam corporis partem in Ezechiel Do-minus iubet Tau litterae impressione signari»48. Se teniamo presente che l'interpretazione del Tau come signutn ο signa è la più frequente nei Padri e si richia­ma costantemente ad Ez 9,4, allora diventa compren­sibile perché mai la segnalazione con il segno della croce sia stata chiamata semplicemente signutn ο si-gnatio: qui risuona la conoscenza del mistico Tau e proprio a partire di qui diventa ancora una volta chia­ro, perché mai Gerolamo abbia potuto parlare sem­plicemente della crux antemnae49. Le due immagini fanno intimamente parte dei fondamenti del pensiero allegorico. Per questo nel dibattito tra Chiesa e Sina­goga dello Ps. - Agostino, la Ecclesia rinvia ad Ez 9,4 (con il testo: notabis signutn...) e dice alla Sinagoga: « Vides ergo signum mihi datum et insigne crucis » 50. La stessa cosa riscontriamo nella cosiddetta Altercatio Simonis et Theophili51 e nel Tractatus Origenis di GRE­GORIO DI ELVIRA

S2. Anzi persino nei momenti domina­tici culminanti della polemica di AGOSTINO con l'eccle­siologia dei Donatisti, questa signatio svolge il ruolo im­portante di un segno invisibile non corporeo, che di­stingue tra buoni e cattivi, come viene promesso nella

« Epìstola 18, 1 (CSEL 54, p. 75, 1. 13). 48 Cfr. sopra, a p. 662s. - Per il segno della croce come signum

Tau cfr. FR. X. KRAUS, Rsalencyklopàdie der christlichen Altertiimer, Friburgo 1886, v. 2, p. 226.

5» PL 42, 1135 AB. sl CSEL 45, p. 34, 1. 12-15. 52 Tractatus 4 (BATIFFOL p. 36, 1. 23-26).

IL MISTICO TAU 711

visione di Ezechiele53. Ma anche la semplice predica­zione non dimentica di inculcare ai fedeli questa dot­trina del mistico Tau, come fa ad es. l'Anonimo (forse si tratta di Massimo da Torino, come vedemmo54

più sopra), al quale dobbiamo un'omelia pseudo-ori-geniana : « Denique in Ezechiele propheta cum omnes qui missus fuerat angelus occidisset, et interfectio coe-pisset a sanctis: illi tantummodo reservarentur quibus T, Tau litterae (id est crucis) pictura signaverat »55. In forza di questo segno Tau i salvati si distinguono dai giudei, dai pagani e dagli eretici e diventano con­sapevoli dell'elezione della grazia e della vittoria su tutti i demoni. Non andiamo affatto errati, se sentiamo risuonare anche qui la conoscenza del segno Tau come segno dei soldati sopravvissuti e della vita ventura; infatti proprio in questo contesto il suddetto predica­tore esplode in un grido di giubilo: «Exsultemus ita-que, fratres carissimi, et ad crucis instar similitudinem sanctas in caelum levemus manus. Cum sic nos daemones armatos viderint, opprimentur ».

Dal consolidamento di questa interpretazione del Tau di Ezechiele diventa comprensibile ora come anche l'interpretazione geometrica piuttosto complicata, data dallo Ps. - Barnaba ai 318 servi di Abramo abbia po­tuto conservare la sua popolarità. Anche qui i latini si richiamano sempre al valore numerico 300 del Tau, evidente soltanto per i Greci. L'ignoto autore dello

" Brevkulus collatioms catti Donatistis, 3, 17 (CSEL 53, p. 67, 1. 11-14). - Contra epistolam Parmeniani, 2, 3, 6 (CSEL 51, p. 50, 1. 4; 3, 2, l i ; p. 112, 1. 2-5). - Psalmus contra partem Donati, v. 164 (CSEL 51, p. io).

64 Cfr. sopra, a p. 6645. 55 PL 30, 221 A; PL 57, 546 AB.

712 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

scritto, ebbro di mistica dei numeri, De Pascha com-putus (redatto prima del 243 in Africa), parla dell'in­terpretazione mistica del Tau per ben tre volte. In primo luogo spiega : « CCC autem apud Graecos per unam litteram notantur, quae dicitur Tau, et manife­ste demonstrat omnibus Tau crucis signum »56. Poi impiega questa sapienza greca dei numeri per l'inter­pretazione dei 318 servi del centenario Abramo: « Prop-ter centenariam nativitatem triplicavit C et fecit si­gnum Tau, quibus et adiecit XVIII id est ιη in nomine Jesu »57. Questo Africano non ha attinto certamente la sua sapienza numerica direttamente da Ps. - Barnaba ο da Clemente; quella dottrina doveva essere ormai di casa nella didattica della sua patria. Oggi non sap­piamo se Origene ne abbia parlato nei libri perduti dei suoi commenti alla Genesi. Se sì, non ci meravi­gliamo più che l'antichissima dottrina affiori con un certo rilievo in AMBROGIO; ma se non proviene da Origene (e, come si comprende, questa volta Filone non ha potuto aggiungere nulla all'interpretazione, dato che si tratta precisamente di una geometria genui­namente cristiana), allora risulta tanto più chiaro, quan­ta deve essere stata la popolarità di questo topos nella antica teologia cristiana della croce. I servi di Abramo sono il « tipo » dei futuri credenti, il loro numero ri­chiama la croce e il nome di Gesù, la loro vittoria è la vittoria della grazia dell'elezione: « Numeravit autem trecentos decem et octo, ut scias non quantitatem numeri, sed meritum electionis expressum. Eos enim

" De Pascha computus 20 (CSEL 30, p. 267, 1. 5-7). 57 De Pascha computus io (p. 257, 1. 9s). - Cfr. anche ivi, 18 (p.

265. 1- 25), ed 1 Ut 22 (p. 268, 1. I i s ) .

IL MISTICO TAU 713

adscivit quos dignos in numero indicavit fidelium, qui in Domini nostri Jesu Christi passionem crederent. Trecentos enim Τ graeca littera signifìcat, decem et odo autem IH Jesu exprimit nomen » 58. Molto inge­gnosamente Agostino si è servito dell'origine greca della spiegazione del mistico Tau = croce, come di una allusione alla forza soprannaturale della croce che abbraccia tutti i popoli, poiché « Greci » in opposizio­ne a « Giudei » significa, secondo il modo di parlare dell'apostolo Paolo, semplicemente tutti gli uomini; e poi prosegue con l'interpretazione allegorica dei 318 servi di Abramo : « Quorum numerus, quia trecenti erant, signum insinuat crucis propter litteram Τ grae-cam, qua iste numerus significatur ; per quam. etiam gentes magis in Crucifixum credituras praefiguratum est, quod littera graeca est. Unde Paulus omnes gentes signifìcat, cum dicit : Judaeo primum et Graeco (Rom 2,9.10), saepe ita commemorans circumcisionem et praeputium, quod in linguis gentium graeca ita excel-lat, ut per hanc omnes decenter significarentur »59. Per quelli tra i Padri che erano greci, una simile an­notazione esplicita non era certamente necessaria, poi­ché nella figura della lettera Tau, come pure nel loro modo di segnare i numeri, la Croce stava immediata­mente dinanzi ai loro occhi. Per questo MASSIMO CON­

FESSORE (prendendo a prestito da CLEMENTE ALESSAN­

DRINO) può interpretare i 318 servi di Abramo per la croce e per il nome di Gesù, poiché il Tau già presen­tava nella sua stessa forma di scrittura la figura della

58 De Abraham, 1, 3, 15 (CSEL 32, 1, p. 513, 1. 7-13). 59 Quaestiones in tieptateuchum, 7, 37 (PL 34, 804 D; 805 A).

714 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

croce: το ταυ γράμμα σταυρού τύπος εστίν, εν τω σχήμκτι σώζων τοϋ σταυρού την εκτυπώσω.

Così negli Scholia alla sua stessa opera 60. Nel relativo pezzo dell'opera principale, Massimo presenta la stessa interpretazione del Tau come segno di trecento e di croce, « perché la lettera Tau ebbe l'onore, per grazia, di ricevere la forma della croce ». E collegandosi a ciò, formula il principio fondamentale gemetrico di questa mistica delle lettere divenuta cristiana : « La Scrittura abbastanza spesso rivela il significato da esse inteso me­diante la forma di scrittura delle lettere, e ciò per coloro, che hanno un senso purificato a tal scopo »61. Questa ultima annotazione ricorda la frase conclusiva dello Ps. - Barnaba e mostra che la mistica dei numeri è stata considerata come una specie di conoscenza gnostica. Così anche il numero dei 318 servi di Abramo è con­siderato « grande Mistero ».

Quanto fosse popolare tale allegoresi della vittoria della croce di Abramo e dei suoi 318 uomini, ce lo mostrano in fine due applicazioni parziali, una asce­tica e una storica. Abramo, con il numero dei suoi servi, ha vinto cinque re, e in ciò è divenuto un « tipo » per l'uomo cristiano, che, in virtù del mistico segno della croce, combatte vittoriosamente i cinque sensi. Lo dice PRUDENZIO, quando, nell'introduzione alla psi­comachia, compone i versi, in se stessi oscuri e così dottamente commentati più tardi da un Faustino Are-vaio, ma che alla luce della tradizione dottrinale sin qui rilevata, diventano chiarissimi.

•° Quaestiones ad Thalassium, 55 (PG 90, 565 D). " PG 90, 545 AB.

IL MISTICO TAU 715

« Si quid trecenti bis novenis additis possint, figura noverimus mystica » 62.

Questa figura mistica è il Tau della croce e il nome di Gesù nascosto nel numero misterioso. La stessa cosa afferma Fausto di Riez, quando in una lettera parla occasionalmente della vittoria della grazia sui vizi pro­venienti dai cinque sensi, che ora siano in grado di combattere nella forza della croce e del nome di Gesù: «Ita per adiutorium Domini et per crucem suam has quinque principalium vitiorum expugnare studeamus inlecebras. Per crucis enim signum et per sacrum Jesu nomen apud Graecos era utriusque supputationis im-primitur » 63. Ancor più interessante per noi è l'influsso di questa dottrina su un evento della storia della Chiesa : il concilio di Nicea e i suoi supposti 318 vescovi par­tecipanti64. Il numero 318, noto dai racconti dei te­stimoni, ha forse in un secondo tempo fatto in modo che I'allegoresi dei 318 servi di Abramo sia stata usata per la sua spiegazione, oppure è successo il contrario, che cioè, proprio sotto l'influsso di questa dottrina popolare sin dai tempi antichi, il numero dei sinodali, già variamente dato dai contemporanei, sia stato arro­tondato nel mistico numero 318? Ad ogni modo è significativo, e fa pensare alla seconda delle sunnomi­nate possibilità, il fatto che la spiegazione «mistica» dei 318 vescovi niceni cominci molto presto. Ne parla

** Psychomachia, Praefatìo, v. 57S (CSEL 61, p. 169). - Π commento di AREVALO è riprodotto in PL 59, 712SS.

" Epistola 9 ad Ruridum (CSEL 21, p. 214., 1. 5-8; Mon. Germ. Auct. ant., 8, p. 268, 1. 11-15).

" Cfr. per la questione storica C. J. HEFBLB, Conciliengeschichte, Friburgo 1873, v. 1, p. 291S. - J. P. KTRSCH, Die Kirche in der antiken griechisch-romischen Umwelt, Friburgo 1930, p. 377, nota 54.

716 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

già papa LIBERIO65, come pure il suo contemporaneo ILARIO66. Per AMBROGIO, COSÌ avido di allegorie, il numero niceno è pieno di misteri e la dottrina dello Ps.-Barnaba conosce ancora una volta una splendida resurrezione, quando il vescovo di Milano la presenta all'imperatore Graziano compromesso dall'arianesimo. I 318 Padri di Nicea sono i vincitori di questa batta­glia veramente abramica : « Tamquam Abrahae electi iudicio, consona fidei virtute victores, velut tropaeum, tot orbe subactis perfidis, extulerint »67. Sentiamo ri­suonare qui, come già precedentemente nell'antenna crucis, la teologia della croce come trofeo; poiché, im­mediatamente prima, Ambrogio così si esprime : « An­che Abramo ha condotto in battaglia 318 ed ha tolto i loro trofei agli innumerevoli nemici vinti; nella cro­ce e nel nome di Gesù egli ha meritato il suo trionfo ». E più sotto, ancora una volta, riferendosi immediata­mente al numero 318 dei Padri conciliari : « Non hu-mana industria, non composito aliquo trecenti decem et octo episcopi ad concilium convenerunt. Sed ut in numero eorum per signum suae passionis et nominis Dominus Jesus suo probaret se adesse concilio : Crux in trecentis, Jesu nomen in decem et octo est sacerdoti-bus »68. Più tardi Fausto di Riez ripeterà queste idee : è sempre la supputatio graeca, che svela dietro il numero il mistero significato : « Et ideo sacer numerus diximus, quod trecenti mera supputatione graeca signum crucis,

«5 Cfr. in SOCRATE, Hist. eccl., 4, 12 (PG 67, 492 C) . ·« Liber de Synodis, 86 (PL io, 538 B). " De fide ad Òratianum, Prologus 1 ,1 , 3 e 5 (PL 16, 528 B; 529 B) . " Ivi, 1, 18, 121: p. 556 AB.

IL MISTICO TAU 717

decem et octo vero Jesu adorandum nomen osten-dunt » 69.

A questi due gruppi classici dell'allegoresi della croce come mistico segno Tau, si aggiunge abbastanza pre­sto un ampliamento : l'interpretazione dei trecento com­battenti di Gedeone (Giud 7,7; 7,16). Ciò è compren­sibile, poiché ci troviamo dinanzi una situazione simile alla guerra di Abramo e l'allegoria del simbolo numeri­co Tau come immagine della croce era già troppo consolidata, perché i Padri della Chiesa primitiva, così avidi di simboli, non la introducessero anche nell'in­terpretazione della scelta dei 300 uomini di Gedeone. La prima testimonianza la incontriamo in ORIGENE70.

Ma è significativo che il numero 300 non viene inter­pretato per il Tau della croce, bensì (nel senso della mistica filosofica dei numeri, che prevale anche in Clemente) quale concetto del compimento, poiché 300 è eguale a tre volte 100, e 100 a dieci volte io, dunque, trinità e compimento vengono significati nel numero dei guerrieri di Gedeone. Ma ben presto l'esegesi tra­dizionale, rafforzata da Ez 9,4, si impadronisce anche del racconto di Giud 7,7. La poesia pseudotertullianea ADVERSUS MARCIONEM, che in molte citazioni ha con­servato del materiale antichissimo dell'opera perduta di Giustino, dice di Gedeone, non senza il richiamo, già comune presso i Latini, all'origine greca dell'allegoria:

«... praedonum stravit acervos

« , FAUSTO DI R I E Z (= Ps.-Pascasio), De Spiriti! Sancto, prae-fatio (PL 62, 9 D ; io A).

70 Homilia 9, 2 in Juiic. (GCS ORIGENE VII, p. 521, 1. 6s).

718 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

trecento equite - numerus Tau littera graeca -Tau signum crucis et comu praeconia vitae » 71.

Fortunatamente nel decimoquarto trattato dei co­siddetti Tractatus Origenis ci è stata conservata anche una predica dal linguaggio popolare su questo tema al­legorico. Essa parla del tantum saaamentum, di questo misterioso numero dei guerrieri di Gedeone; e noi ne conosciamo già un testo : « Trecenti enim apud Graecos tau littera signantur. Quae littera, cum unum habeat apicem. quasi arborem passionis erectam, alterum in ca­pite quasi antemnam extensam, crucis utique manife­stimi signum ostendit » 72. Gedeone è « tipo » di Cri­sto, i suoi 300 soldati sono il modello esemplare dei pochi segnati nella elezione misericordiosa di Dio (Mat 20,16; 22,14), la battaglia è immagine della guerra contro le legioni dei demoni; la discesa nella valle dei nemici è simbolo della discesa di Cristo all'inferno alla testa dei 300 vincitori nella croce: «Per crucem Dominus velut cum trecentis viris descendit, quia tre-centos in crucis imagine signari iam supra monstravi-mus, ut innumerabilem numerum hostium, id est legiones daemoniorum, exterminaret et perderei »73. Un pò dopo, il predicatore non si lascia sfuggire l'al­tra simbolica dei 300 accennata da Origene: che Ge­deone suddivida la sua schiera in tre centinaia, è una allusione alla Trinità, poiché la vera fede nella Trinità consustanziale è possibile soltanto nella forza della

71 Carmen advttsus Marcionitas, 3, v. 90. 92. 97 (CChr TERTULLIA­NO II, p. 1436). Cfr. l'edizione critica di M. MULLER, Untersuchungen zum Carmen adversus Marcionitas, Ochsenfurt-Wiirzburg 1936. - Cfr. anche sopra, p. 363S.

,a Tractatus Origenis, 14 (BATIPFOL, p. 153, 1. 6-10). " Ivi (p. 153, 1. 21 sino a p. 154, 1. 3).

IL MISTICO TAU 719

croce (qui risuonano intenti antiariani, che già cono­sciamo dall'allegoria dei 318 Padri conciliari): «Quia necesse erat ut imago crucis, per quam trecenti in Tau littera figurantur, Trinitatis distributione constaret. Ne-mo enim vincit nisi qui Pattern et Filium et Spiritum Sanctum aequali potestate et indifferenti virtute cre-diderit »74. Verso la fine di questa inesauribile predica sul « mysterium » della battaglia di Gedeone, appare chiaro quanto siano strettamente connessi, nel pen­siero immaginoso di questi allegoristi, i tipi mistico-numerici. Nel giubilo retorico per questa vittoria con­quistata nel segno della croce, gli viene in mente il ricordo dell'altra vittoria, ossia di quella dei 318 servi di Abramo, che sconfissero i cinque re: «O fortissi-mum bellum, ο admirabile praemium et praedicanda Victoria, ut innumerabilem numerum hostium tre­centi homines, qui signum crucis numero suo signa-bant, debellarent! Sic et Abraham quinque reges bar-baros cum exercitibus eorum cum trecentis decem et octo vernaculis vicit ». E ritorna, accuratamente chia­rita, l'antica gematria del numero 318: «Qui numerus vernaculorum trecentis constitutus signum, ut saepe dic-tum est, crucis perspicue lineabat. In decem et octo autem nomen Jesu evidenti ratione monstrabo : decem et octo anim apud Graecos iota et cappa (leggi: età) signantur, quibus litteris nomen Jesu scribitur »75. GREGORIO DI ELVIRA, a cui i Tractatus Origenis van at­tribuiti, è contemporaneo di AMBROGIO, che, forte precisamente della tradizione dottrinale e conforme­mente alla teologia della croce che intesse i suoi pen-

74 Μ (ρ. 157, 1. 9-11)· 75 Ivi (ρ. 158, Ι. 14 sino ρ 159. 1 3)·

720 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sieri spiega l'allegoria degli uomini di Gedeone, poiché tutto ciò che è successo nell'Antico Testamento è « mysterium » in riferimento a Cristo : « Praevidit ergo mysterium sanctus Gedeon. Denique trecentos elegit ad praelium, ut ostenderet non in numero multitu-dinis sed in sacramento crucis mundum ab incursu graviorum hostium liberandum » 76. È di grande inte­resse appurare una buona volta in qual modo questo topos sia stato trasmesso oltre, anche se attraverso una semplice trascrizione. Il testo di Ambrogio appena ci­tato ritorna infatti alla lettera in una predica pseudo­agostiniana, che Morin per primo ha dimostrato essere proprietà genuina di CESARIO DI AELES 77. Soltanto che il predicatore gallo aggiunge ancora una volta la m o ­tivazione quasi mai tralasciata dai Latini : « Trecenti enim in graeca T, Tau, similitudinem crucis osten-dunt ». E alla fine della predica riassume il tutto nel­l'insistente insegnamento, che indica quale valore si fosse riposto, anche catecheticamente, in questa allegoria: « Gedeon, fratres dilectissimi, typnm gessit Domini Sal­vatone. Et quia trecenti secundum graecum computum crucem faciunt, ita tunc Gedeon in trecentis viris Judaeo-rum populum de crudelissimis gentibus eripuit, quo-modo Christus per mysteryum crucis totum genus humanum de potestate diaboli liberavit » 78. Da ora in poi ciò resta indimenticabile anche per il pio medioe­vo. La mistica numerica della lettera Tau, desunta dall'antica Chiesa greca, esposta ininterrottamente ai

,e De Spiritu Sancto, I, I, 5 (PL 16, 705 A). " PS.-AGOSTINO, Sermo, 36, 3(PL 39, I 8 I 6 S ) . - CESARIO DI ARLES,

Sermo 117, 3 (MORIN I, p. 467, 1. 1-4). 78 Sermo 117, 6 ( M O R I N I, p. 468, 1. 16-20).

IL MISTICO TAU 721

Latini, appartiene ai brani più popolari dell'allegoresi. AGOSTINO riassume tutto ciò brevemente nelle sue pre­diche sui Salmi: « 300 in quo numero crucis signum est propter Tau litteram quae in graecis numerorum notis trecentos significat »79 Solo la forma della lettera Tau, più precisamente della lettera latina Τ che gli corrisponde, presenta qua e là agli interpreti alcune difficoltà. Ci volle infatti del tempo prima che nel­la Chiesa latina ci si abituasse a vedere la croce non come una crux commissa, ma come crux immissa. Co­sì è anche importante, archeologicamente, ciò che alla fine dell'epoca patristica GREGORIO MAGNO sa dire nella sua interpretazione, per il resto tradizio­nale, dei soldati di Gedeone e che il medioevo gli ha spesso attribuito. Il Tau, così egli, indicherebbe sol­tanto la somiglianza con una croce e di per sé si do­vrebbe aggiungergli ancora il trattino superiore, che è al di sopra del trattino trasversale, poiché soltanto così rappresenterebbe una vera croce : « Notandum vero est quia iste trecentorum numerus in Tau littera con-tinetur, quae crucis speciem tenet. Cui si super tran-sversam lineam id quod in cruce eminet, adderetur, non iam crucis species, sed ipsa crux esset »80. Come si vede, la sensibilità per così dire « greca » per l'alle­goria è al tramonto, e Gregorio non sa più nulla del­l'origine, ancor così ben nota a Gerolamo, del segno di croce Tau dal modo cruciforme di scrivere il Taw « samaritano ».

" Enarr. in Psalm. 67, 32 (PL 36, 833 B). 80 Moralia in Job, 30, 25 (PL 76, 566 A).

722 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

In fine, per concludere, un richiamo ad uno svi­luppo posteriore, soltanto raramente ripreso, dell'alle­goria del segno trecento della mistica Tau. Lo incon­triamo in IPPOLITO, e comprendiamo questa oscura spiegazione soltanto alla luce della tradizione delineata più sopra, che in ultima analisi promana da Ez 9,4. Ippolito parla dell'unguento prezioso di Mar 14,4. e Giov 12,5, che si sarebbe potuto vendere per trecento denari : « Esso costava alla vendita trecento sicli. Ο uomini, ciò che è stato detto indica una certa imma­gine ! E dunque, chi era questo unguento, se non Cristo stesso? Questo prezzo in sicli non designa forse ancor prima della passione i patimenti stessi? » 81. L'eguaglian­za 300 = croce, qui sottintesa, viene presupposta co­me nota. AMBROGIO ha imitato quest'allegoria, quando parla del prezioso unguento della Maddalena e vede nel suo prezzo un « tipo » della croce : « Trecentorum autem aera crucis insigne declarat » 82.

Con ciò abbiamo terminato la nostra scorsa attra­verso l'allegoresi patristica del mistico segno Tau. Quanto fosse popolare e vivo questo punto dottrinale, lo si può dedurre ancora dalla sua sopravvivenza nel primo medioevo, su cui vale la pena gettare uno sguar­do. Può anche darsi che nei Padri ci sia ancora qualche accenno al significato del Tau come segno della croce e del numero simbolico 300 e molto sarà sfuggito al nostro studio. Ovunque gli antichi allegoristi incon­trino il numero 300, riaffiora immediatamente la ten­denza a trovarvi il mistero di Ezechiele. Così MASSIMO

" Commetti, in Cani. Canticorum, 2 (Texte und Untersuchungen, 23, 2, Lipsia 1902, p. 33, 1. 17-22).

•" Comment. in Lucam, 6, 30 (CSEL 32, 4, p. 244, 1. 9).

IL MISTICO TAU 723

CONFESSORE viene spinto a tracciare la sua teologia del Tau, come segno che indica 300 e il mistero della croce, dai dati numerici del popolo che ritorna dalla cattività babilonese e che Neemia (7,66) fa ammon­tare a 42*360 persone: egli vi intesse sopra un capitolo ricolmo di antica mistica dei numeri sui misteri di questo numero, il cui punto centrale è la interpretazione di 30083. In quell'allegorista del secolo XII, partico­larmente interessato a queste cose, che fu BERENGOSO

DI TREVIRI, incontriamo la mistica interpretazione dei trecento sicli, che Giuseppe egiziano donò al fratello Beniamino (Gen 45,22), e subito segue la nostra alle-goresi del mistico Tau, perché Giuseppe poteva com­piere questo mistero soltanto alla luce delle profezie del futuro : « Haec est illa lux quam interioribus oculis eius spiritualiter insedit, dum Benjamin fratti suo tre-centos argenteos dedit, ut vos, dilectissimi fratres, in eisdem argenteis nihil aliud intelligere debeatis nisi mysterium crucis et fidem sanctae Trinitatis. Haec est illa lux quae per trecentos numeros, qui continentur in urterà Tau, fìguram crucis quotidie nobis ostendit in imagine Jesu»84. Vediamo di qui (qualunque sia la fonte, a cui ha attinto questa interpretazione) ciò che pensava il pio uomo di quei giorni, quando guar­dava all'immagine della croce del Signore: egli vi ve­deva sempre il segno Tau e il mistero della redenzione che vi si nasconde.

Il primo medioevo trovava l'ingresso più facile in questo mondo di idee, per il fatto che Isidoro di Si­viglia, che aveva letto tutti i testi dei Padri, aveva ri-

83 Quaestiones ad Thalassium, 55 (PG 90, S36ss). 84 De mysterio Ugni dominici (PL 160, 993 C).

724 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

levato accuratamente e radunato vari filoni dell'allego-resi del mistico Tau. Ancora una volta sfilano di­nanzi ai nostri occhi i servi di Abramo, gli uomini di Gedeone e l'angelo che segna il mistico Tau 85. Per lui, tutto è un rinvio al mysterium della croce: « Ge-deon qui cum trecentis viris perrexit ad praelium, typum Christi gestavit, qui in signo crucis de mundo victoriam reportavit. Trecentorum enim numerus in Tau littera continetur, per quam crucis species osten-ditur »86. Isidoro e, dopo di lui, la Glossa ordinaria sono i punti focali, in cui si concentra l'allegoria dei Padri per irradiare sul medioevo la sua luce. Mediante essi, l'allegoresi medievale resta consapevole di ciò che già si trovava negli Onomastica sacra dell'antichità cri­stiana e sa benissimo che per i Greci Tau significa signum 87. A sua volta signum per essi è sempre sempli­cemente il segno della croce. Oltre a ciò, ci sono gli allegoristi del periodo carolingio e poi quelli del XII secolo, così eruditi negli scritti dei Padri, che sanno citare i testi per lo più senza notarne la fonte. Così ad esempio, parla un DUNGAL,

88 (restando nel contesto nautico della antenna crucis e della traversata della vita, che avviene in virtù della croce), per esporre la sua dottrina del mistico Tau con le parole di Gerolamo, che anche BEDA ha conosciuto, come vedemmo allo inizio. PASCASIO RADBERTO sviluppa la teologia della croce partendo dal concetto che il Tau è l'ultima let-

8S Per ricordare qualche passo (PL 83, 230 B. 231 A. 239 A 534 BC) .

8« Allegoriae, 76 (PL 83, 111 B). *' Cfr. ad esempio RABANO M A U R O (PL n i , 1183 B) . - R E ­

MIGIO D'AUXERRE, (PL 131, 145 A). 88 Advetsus Ckudium (PL 105, 488 D).

IL MISTICO TAU 725

tera dell'alfabeto greco e con ciò il « segno » di tutta la salvezza e del compimento89. Infatti cosi afferma nella sua frase, che rivela ancora una volta la legge fon­damentale di questa mistica dei numeri: « Omnes lit-terae signa sunt verborum, verba rursus signa sunt rerum». BERENGOSO DI TREVIRI, senza citare la fonte, fa sue le parole di Gregorio Magno, ove interpreta i servi di Gedeone e la segnazione di Ezechiele come Tau della croce90. Lo Ps. - UGO DI SAN VITTORE

spiega allegoricamente gli uomini di Gedeone con le parole desunte da Agostino, sempre senza citare la fonte91. RUPERTO DI DEUTZ prende parola per parola da Gregorio la sua allegoria dei 318 servi di Abramo, senza fare il nome di Gregorio 92. La cosa è evidente : i Padri sopravvivono. La dottrina del mistico Tau tro­va forse la sua più bella applicazione in Innocenzo III. Le sue parole sono come il commiato dalla compren­sione della recondita bellezza di questa teologia pa­tristica della croce. Scrivendo al Katholicos dell'Armenia a proposito della crociata, che deve salpare da Venezia, egli la vede in spirito come i segnati con il segno Tau in Ezechiele93. E nell'allocuzione al Concilio Latera-nense IV del 1215 riprende ancora una volta i concetti dell'allegoria, di cui ora conosciamo la storia: « Hinc transire praecipitur per mediam civitatem et signare Tau super frontes virorum gementium et dolentium.

89 Expositio in Lament. Jeremitte, 1 (PL 120, noos ) . 90 PL 160, 1005 BC. 81 Miscellanea, 1, 181 (PL 177, 579 BC.) 92 In librum ludic, 11 (PL 167, 1038 C) . - Cfr. anche PL 167,

380 D. 381 A. - Inoltre i versi di ILDEBERTO DI LE MANS sul mistico

segno di croce del Tau. 93 Epistola 46 (PL 214, 1012A).

726 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Tau est ultima littera hebraici alphabeti, exprimens forman crucis, qualis erat antequam Domino crucifixo Pilatus titulum superponeret » 94.

Si osservi come venga superata la difficoltà, che affiora sin dal tempo di Gregorio, di conciliare la forma di croce del Tau con la forma divenuta usuale della croce come crux immissa; il trattino che si eleva al di sopra della stanga trasversale e che toglie alla croce la sua forma originaria di Tau, viene spiegato come il pezzo del titolo della croce che si eleva al di sopra della stanga trasversale del Tau. In un altro passo, ciò da a questo papa, amante della liturgia, la possibilità di immettere nell'ambito dell'antica teologia del mistico Tau la let­tera Τ (del Te igitur clementissime Pater), con cui è adornato ora il Canone dei messali; Innocenzo vi vede un'ordinazione della divina provvidenza: «Et for­te divina factum est prowidentia, licet humana non sit industria procuratum, ut ab ea littera Τ Canon inci-peret, quae sui forma signum crucis ostendit et expri-mit in figura. Τ namque mysterium crucis insinuat, dicente Domino per prophetam: signa Tau in fron-tibus virorum gementium»9 5. Ciò potrebbe costituire la ragione per cui l'arte di dipingere i libri nel medio­evo abbia dato alla Τ della prima parola del Canone l'immagine della croce e molto presto l'abbia posta spontaneamente sulla pagina opposta a quella ove ini­zia tale preghiera.

" Sermo 6 (PL 217, 676 BC; Ó77A). •s De sacro altaris mysterio, 3, 2 (PL 217, 84OS).

IL MISTICO TA.U 727

3. LA CROCE COME MISTICO TAU NELL'ARCHEOLOGIA

Dalla storia letteraria dell'allegoria del segno della croce come mistico Tau sorge ora una serie di doman­de, imposteci dalla indagine archeologica e storico-artistica della rappresentazione della croce. Natural­mente qui ci accontenteremo di porre in più chiara luce solo questo ο quel punto del materiale archeo­logico illustrato dagli specialisti96. La storia letteraria, che, gli archeologi sino ad ora non avevano a loro dispo­sizione con questa completezza, ci sarà di valido aiuto.

In primo luogo è importante per una più precisa conoscenza dello sviluppo archeologico della rappre­sentazione della croce, ricordare le testimonianze che abbiamo presentato dopo il dubbio di Gregorio Magno circa la genuina e completa forma di croce della let­tera Tau: esse non sono soltanto delle trascrizioni let­terarie, ma dimostrano chiaramente che la compren­sione immediata della simbolica del Tau doveva ne­cessariamente sfuggire al medioevo a causa della for­ma di croce usata da esso. Questo problema non esi­steva ancora per il cristiano antico al quale la aux com-missa era molto più familiare che non al tempo in cui la rappresentazione della croce ritenuta da tutti come « storica », portava di solito la scritta della croce ο persino

" Per l'archeologia della croce come mistico segno del Tau cfr. J. GHETSEK, De s. Cruce, Ratisbona 1734, v. I, p. iss (alla sua erudi­zione attingono gli autori del sec. XIX). - R. GARRUCCI, Storia del­l'arte cristiana, Prato 1881, v. I, pp. 155-158. - J. B. DE ROSSI Roma sotteranea, Roma 1877, v. 2, tav. XXIX sino a XLIV. - J. WILPEET, La croce sui monumenti delle catacombe, in Nuovo Bullettino, 1902, tav. VII, n. I, 3 e 4. - C. M. KAUPMANN, Handbuch der chrìstlichen Archao-logie, Paderborn 1922, 3 ed., p. 269S. - FR. J. DÓ'LGER, Ichthys, 1, 1928, p . 321.

728 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

il corpo del crocifisso, e perciò la crux immissa era la for­ma che veniva quasi esclusivamente in mente. Senza ad­dentrarci più a fondo nella storia archeologica per molti aspetti complicata di questo sviluppo, ci limitiamo a notare che, per quel che ne sappiamo, non si è prestato sufficiente attenzione a questa difficoltà sorta dal tempo di Gregorio, e che è di grande importanza per lo svi­luppo della storia dell'arte della forma della croce.

Basandosi sulla somiglianza tra Tau e croce, così naturale per il cristiano greco e continuamente incul­cata ai cristiani latini, varie opere d'arte dell'antichità cristiana e varie rappresentazioni, su cui gli archeologi sono discordi, potrebbero essere più coraggiosamente interpretate nel senso di una croce rappresentata con­sapevolmente, anche se in modo misterioso. Le pie­tre sepolcrali delle catacombe, sbarrate con una Τ chiaramente dipinta, delle quali dava notizia già il DE Rossi 97

( significano (lo possiamo dire senza timore, oggi) la vita aeterna nell'immagine della mistica croce del Tau. La stessa cosa possiamo dire a proposito della rappresentazione della croce con il segno Tau, che tro­viamo su sculture, come ad esempio per una corniola del Museo Kaiser Friedrich di Berlino, che FR. DÒLGER

ha interpretato98; lo stesso si dica della corniola, già menzionata in connessione con Γantenna crucis: GAR-RUCCI, già cento anni fa, ha riconosciuto lo stretto le­game dei due simboli, di quello nautico dell'antenna e di quello mistico letterario del Tau (e noi possiamo confermarlo ora in base alla storia letteraria da noi esposta) : L'albero e l'antenna sono congiunti per modo

97 Cfr. anche DACL I, 2, col. 2010, n. 561. - Col. 2022, a. 578. 98 Ichthys I (192S) p. 321.

IL MISTICO TAU 729

che per la terza volta (si può vedere sulla stessa car­inola, al fianco del vero Tau, anche un'asta dell'ancora in forma di Tau) ci rappresentano il Tau " . WILPERT

cita altri esempi di croci significate con la lettera Tau. Tutto ciò è ben noto agli archeologi e non è il caso di insistervi.

Ben altrimenti stanno le cose quanto al problema, che - se la nostra modesta conoscenza archeologica non c'inganna - sino ad oggi non è stato mai impo­stato e risolto con precisione. Si tratta del significato da dare al raro segno alfabetico, che nelle rappresen­tazioni antiche cristiane così spesso si trova sul lembo del mantello ο della toga di Cristo ο di uomini biblici ο di martiri 10°. WILPERT era propenso a vedervi sol­tanto dei semplici ornamenti. A nostro avviso, non c'è dubbio (se si conosce la mistica delle lettere nel­l'antichità cristiana), che qui si tratta di segni, che ri­cevono la spiegazione del loro significato dal mondo della simbolica gematrica dell'alfabeto, in cui ci ha introdotti il « topos » del mistico Tau. In questa ricer­ca noi partiamo dal fatto che molti di questi segni sono evidenti segni della croce: così, ad esempio, sul­l'orlo del mantello di Mosé nella forma del Tau sa­maritano + 101, così sul mantello dell'angelo di Tobia

ss La Civiltà Cattolica 28 (1857) p. 737S. - Cfr. sopra, a p. 683, nota 214.

100 II materiale più fàcilmente ritrovabile in J. WILPERT, Die Malereien der Katakomben Roms, Friburgo 1903, testo p. 355; tavola 40, 2 (Cristo con il segno iota) ; tav. 54, 1 (santo con iota) ; tav. 60 (Mosé con iota); tav. 101 (idem); tav. 98 (Mosé con tau), per no­minarne soltanto alcune. - Cfr. anche J. WILPERT, Die romischen Mo-saiken una Malereien, Friburgo 1916, tavola 102 (Cristo con iota ο zeta).

1 0 ! Die Malereien der Katakomben, tav. 122, 1.

730 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

come croce uncinata chiaramente disegnata 102. Ora le rimanenti lettere che spesso appaiono sugli abiti sono lo Iota, il Gamma, la Zeta e il Tau. Queste lettere non potrebbero essere un simbolo del segno della cro­ce? Il significato loro comune non sarebbe la signatio con il segno della salvezza e della vita? Quanto alla marcatura con un Tau chiaramente visibile, quale quella sul mantello di Mosè, la domanda dovrebbe senz'altro ricevere una risposta affermativa. Ora noi osiamo affermarlo anche per tutte le altre lettere. Ci incoraggia a ciò, anche se potremmo sbagliarci in questo nostro entusiasmo per i simboli, un testo piut­tosto tardivo di RABANO Μ ALTRO, la cui opera De laudibus crucis è piena di conoscenze, svanite per noi posteri, della gematria e della mistica delle lettere del­l'antichità cristiana. Rabano presenta una lista delle lettere dell'alfabeto greco, le quali sono tutte un segno simbolico della croce: e, molto sorprendentemente, sono proprio le stesse lettere, che incontriamo sugli antichi dipinti cristiani: « Quattuor igitur sunt litterae quae crucis effigiem conficiunt, Γ videlicet, Ζ, Τ et X »103. Quindi esse vengono interpretate anche nel senso dei testi patristici secondo il loro valore numerico valido nella gematria cristiana: Gamma è lo stesso che tre e significa la fiàes Trìnìtatis. Zeta è lo stesso che sette e significa la spes fidelium. Tau è lo stesso che tre­cento e significa la caritas, che si manifesta nella morte di croce di Dio : « Caritas quoque per Tau exprimitur quae sanctae crucis tenet imaginem ». La lettera Chi, in­fine, è Io stesso che mille e significa la aeterna beatitudo.

10a Ivi, tav. 212. 103 R A B A N O , De laudibus Crucis, I, fig. 14 (PL 107, 205 B C ) .

IL MISTICO TAU 731

Se si pensa inoltre, che lo Iota, che ricorre spesso pro­prio sulle immagini catacombali, nell'alfabeto greco sovente è lo stesso che Zeta e per giunta, assieme alla Età, come vedemmo (e anche questa lettera s'incontra nelle marcature di vestiti), rappresenta precisamente anche il valore numerico diciotto e dunque l'inizio del nome di Gesù; e se aggiungiamo inoltre ciò che RABANO stesso sapeva quanto alla simbolica della let­tera Chi104 e più tardi ONORIO DI AUTUN poteva an­cora dire: «Littera Chi prima in nomine Christi decem significat et formam crucis exprimit »105 : allora non dovrebbe essere più troppo arrischiato vedere nei rari segni alfabetici dell'antica arte cristiana la simbolica del « signum » della croce e dei suoi effetti redentivi. Questo testo di Rabano, sino ad ora trascurato, non dovrebbe dunque aprirci una strada verso la spiegazione di quei segni alfabetici, nei quali la viva conoscenza dei simboli degli antichi artisti cristiani ha veduto il segno dei sal­vati nella croce, da Abramo e Mosè sino ai martiri? Noi poniamo ad ogni buon conto la domanda.

Un ultimo problema dell'archeologia e della storia dell'arte del segno della croce riceve ora una risposta ancor più precisa, dopo che abbiamo presentato la storia dei testi del mistico segno Tau. È noto che già nell'antichità cristiana le architravi dei santuari e delle abitazioni erano volentieri adornate di un segno di croce, senza dubbio in ricordo della marcatura delle porte con il sangue dell'agnello pasquale, come fu prescritto agli Israeliti in Egitto da Es 12,7.7.13. FR. J. DOLGER ha dato questo significato ad un'antica be-

104 PL 107, 284 D . « s PL 172, 878 D .

732 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

riedizione cristiana di una porta, conservata su un pa­piro, contenente una formula del sangue di Cristo 106. E J. WILPERT ha richiamato l'attenzione sul segno di croce tracciato con minio nella forma del Chi greco, che si vede sull'ingresso dell'ipogeo in San Callisto 107. In base alla storia del mistico segno Tau ora compren­diamo più chiaramente la forma in cui si è escogitata per lo più questa marcatura con la croce: l'allegoria dal racconto di Ez 9,4 influisce anche sulla conforma­zione di queste croci delle porte. Si benedicono case e chiese con il Tau. Bisogna pensare a un uso veramen­te reale, quando ZENO DI VERONA dipinge la Chiesa come un tempio consacrato a Dio, sulle cui porte si eleva il segno della croce nella forma del mistico Tau: « Et patentes semper duodecim portae, quas ab hostili defendit impulsu in modum Tau litterae prominens lignum »108. Così possiamo farci un'idea anche dei segni di croce posti sulle abitazioni profane dei cristia­ni, che, secondo quanto riferisce CIRILLO ALESSANDRINO,

l'imperatore Giuliano l'Apostata ha visto dovunque: è semplicemente il « semeion », secondo il testo dei LXX di Ez 9,4 109. E che sia così, lo dimostra la predica di un'anonimo Greco sulla croce come semeion, là dove l'oratore dice: «Per questo noi dipingiamo con grande zelo questo semeion sulle case, sui muri e sulle porte

10* Fu. J. DOLGER, Ein Tursegen mit der Blut-Christi-Formel und cine Blut-Christi-Littmei, in Antike una Christentum 5 (1936) p. 248-254.

«" Die Malereien der Katakomben Roms, testo, p. 495S., fig. 46. 108 De spirituali aedificatione domus Dei, 1, tr. 14, 3 (PL 11, 358 A). 109 Contro Julianum, 6 (PG 76, 797 A). - Cfr. anche PAOLINO

DA N O L A , Epistola 32, 12 (CSEL 29, p. 287, 1. 26-28).

IL MISTICO TAU 733

della città sulla fronte e sui cuori »110. Non è altro che il Tau.

Anche questo (parallelamente al rinnovamento al­legorico su esposto, avvenuto nei secoli XI e XII) non è stato completamente dimenticato nel medioevo. Quanto ADAMO DI SAN VITTORE afferma poetica­mente nella sua sequenza della croce era ancora cosa nota:

« Nulla salus est in domo nisi cruce munit homo superliminaria » m .

Questa marcatura delle porte con la croce è una signatio con il mistico segno del Tau. Perciò la leg­genda scritta intorno al cavaliere romano scolpito sulla porta d'ingresso della chiesa di Holzkirchen, compren­sibile soltanto in base alla nostra storia dei testi, suona così:

« Aedibus in nostris sit Tau tua dextera Chri-[ste »112.

E ancora all'inizio del secolo XVI un monaco ci­stercense di Bobenhausen pone sulla porta della sua cella il Tau con le parole:

« Tau super has postes signatum terreat hostes » 113.

110 Ps.-Crisostomo, Homilia de adoratione Crucis (PG 52, 838 A; 841 C ) . - Cfr. anche CRISOSTOMO, Adversus Judaeos, 9 (PG 48, 826 A).

111 Sequenza della Croce, Strofa 6 (ed. FRANZ WELLNER, Adam voti St. Victor, Sàmtliche Sequenzen, Vienna 1937, p. 144.

112 Reso noto da FR. J. DOLGER, in Antike und Christentum 5 (1936) p. 251.

1 1 3 Egualmente in DOLGER, op. cit.

734 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Un inno del secolo XII alla santa croce canta pari­menti in ricordo della protezione degli Israeliti contro l'angelo sterminatore elargita mediante la marcatura con il sangue dell'agnello:

«Per te salvatur Israel ab hostis exterminio praesignavit Ezechiel sub Tau te mysterio » 114.

In questo senso l'arte romanica di preferenza ha rappresentato la marcatura delle architravi delle porte degli Israeliti con il mistico Tau, allo stesso modo la marcatura degli eletti in Ezechiele 115. Sul medaglione di una vetrata di Saint Denis c'è la scritta, che riassume tutta la nostra storia testuale in un'immagine visibile e leggibile: Signum Tau116.

114 Analecta Hymnka, 43, Lipsia 1903, p. 22. - Cfr. pet ciò un altro Inno, anch'esso del secolo XII, in cui viene descritta la figura umana nella sua somiglianza con la croce:

«Est quoque Tau vivifico insignitus signaculo, prodens per hoc quod proprius sit Crucifixi servulus ».

MONE, Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, ν. ι, p. 313. 1 1 5 Per la rappresentazione della signatio ezechieliana con il segno

di croce del Tau, cfr. W. NEUSS, Das Buch Ezechiel in Theologie una Kunst bis zum Ende des 12. Jahrhunderts, Miinster 1912, fig. 66, p. 260. Cfr. anche p. 32, nota 6; p. 108; p. 134, nota 1. - Una rappre­sentazione non ricordata da Neuss è quella di cui E. G. MILLAR, Les prtndpaux manuscripts a peinture du Lambeth Paìace à Londres, Parigi 1924, tav. 7. - Per la segnatura degli Ebrei con la lettera tau cfr. in E. MALE, L'art religìeux du Xlle siede en Frante, Parigi 1928, 3 ed., p. 160.

il° Riproduzione in E. MALE, op. cit., p. 155, fig. 122 e 123. -Cfr. anche una rappresentazione un pò più tardiva appartenente al periodo gotico in E. MALE, L'art religieux du XlIIe siede en Frante, Parigi 1931, p. 143 e 158.

IL MISTICO TAU 735

È stato un lungo sentiero, quello di cui abbiamo riscoperto le traccie in questo capitolo quasi dimenti­cato dell'allegoresi patristica; esso ci ha apparentemente portati lontano dal tema fondamentale dell'antenna crucis. Ma in realtà soltanto ora ci troviamo proprio al centro di quel mondo di simboli costituito, in ultima analisi, da rappresentazioni nautiche. Poiché tutto gira misteriosamente attorno al popolare mistero della croce e cerca di esprimerlo in migliaia di immagini, che di­cono sempre e soltanto una cosa: la salvezza è nel legno della croce del Signore, dunque, parlando per immagini, nel legno della nave, nell'albero e nell'an­tenna, proprio come nel mistico segno Tau. Si tratta della scientia Crucifixi, di cui PAOLINO DA NOLA scrisse, dove raduna ancora una volta tutte le nostre immagini, per poi trasferirle al simbolo nautico, a cui sarà dedi­cato un capitolo specifico: alla nave della salvezza, che qui è l'arca di Noè, le cui misure ancora una volta portano il mistero del segno Tau. Così, come Abramo consegui la vittoria nella forza del segno Tau, allo stesso modo le misure dell'arca del mistico Noè assi­curano la vittoria e la vita eterna : « In sacramento crucis, cuius figura per litteram Tau numero trecen-torum exprimitur, adversarios principes debellavit: cuius mysterii virtute trecentis in longum texta cubitis su­perava arca diluvium, ut nunc Ecclesia hoc saeculum supernavigat. Ita et nos non nostris opibus aut viribus freti sed unica Crucifixi scientia elevemus ad ipsum oculos nostros»117. Le due cose vanno insieme: la nave della Chiesa, che viene prefigurata nell'arca, e il mistico segno Tau, in cui veniamo salvati. Anche

"' Epistola 24, 23 (CSEL 29, p. 222, sino a p. 223,1. 7).

736 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

il poeta del tempo romano le vede insieme in un'unica immagine :

« Ligno crucis fabricatur arca Noe qua salvatur mundus a miseria. Carnem nostrani sic confige vitiisque crucifige Signo Tau nos inscribe » 118.

118 Attuicela Hymnka 8, Lipsia 1890, p. 29S.

6.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA

La dommatica patristica della salvezza dell'anima, della sua certezza e della sua precarietà, è racchiusa nel­l'immagine della nave della Chiesa, che è costruita col legno della croce e il cui albero con l'antenna costi­tuisce la figura salvifica della croce. Sinora siamo andati alla ricerca delle orme di questa teologia simbolica. Ora, secondo quanto avevamo promesso 1, dovremmo parlare dei due prototipi biblici di questa nave sicura e ad un tempo in pericolo: dell'arca di Noè e della nave di Pietro, che occupano ambedue un posto im­portante nella teologia patristica della Chiesa e, a par­tire da questa, anche nell'antica archeologia cristiana. Ma prima di soddisfare a questa promessa, è necessario indicare ancor più precisamente ove sia il pericolo mor­tale, verso cui si dirige il cristiano, quando si affida per la vita e per la morte alla nave della Chiesa, sicura, ma pur sottoposta a tempeste. Infatti solo in questa dialettica nautica di pericolo e di approdo, di naufra­gio e di tavola di salvezza, di tempesta di onde e di

1 Cfr. sopra, p. 735.

738 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

porto tranquillo, espressa in immagini, si comprende la dommatica che vi sta dietro e che dice come la sal­vezza è certa ed incerta ad un tempo, la fede è giu­stificante e tuttavia si può perdere per propria colpa, la grazia del battesimo una volta perduta può essere recuperata mediante la penitenza. Siamo così giunti a quel settore della teologia simbolica, in cui si è formata la dottrina della penitenza come secunda post naufragium tabula, rimasta famosa sino al Concilio di Trento. La tavola della salvezza recuperata ancor una volta nella penitenza è, come già accennavamo più sopra, « una tavola del legno della croce, un ultimo pezzo della partecipazione salvifica alla nave della Chiesa costruita con il legno della croce » 2. « Tu crux desperatis tabula suprema », cantava il medioevo 3 : e si tratta di una eco lontana della teologia simbolica, che ora comin­ciamo a spiegare. Questa tavola della penitenza è Γΐκριον, l'asse di legno, a cui il Signore fu inchiodato e che porta « il mondo divenuto naufrago » sino al porto tranquillo. Essa è il « piccolo legno, a cui gli uomini affidano le loro anime » (Sap 14,5 LXX) 4.

Pertanto ricominciamo la nostra traversata patri­stica e cerchiamo di esplorare il settore nautico della antica teologia cristiana della penitenza. Per compren­dere la ricchezza di questo mondo patristico di imma­gini, e in esso la dommatica patristica della Chiesa, è necessario anche qui dimostrare con la letteratura antica quanto fosse familiare ai naviganti greci e ro­mani la realtà, e quindi anche il significato simbolico,

2 Cfr. sopra, p. 604. 8 F. J. M O N E , Lateinische Hymnen des Mittelelters, 1853, v. 1, p. 142. 4 Cfr. sopra, p. 575; 595.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 3 9

del naufragio e della tavola della salvezza: soltanto per questo trarremo dal materiale sterminato della lette­ratura classica alcuni elementi più importanti, che ci permetteranno di passare poi a commentare l'espres­sione immaginifica e familiare anche a Paolo, del « nau­fragio nella fede»: τί\ιες περί τήν πίστιν έναυάγησκν (Tim 1,19)· Infatti per comprendere questa espressione e la spiegazione datane dai Padri della Chiesa è neces­sario conoscere quel mare, sul quale Paolo subì per ben tre volte naufragio (2Cor 11,25) ed una volta salvò la vita su tavole e rottami di nave (At 27,44).

1. IL NAUFRAGIO

Quando l'imperatore Nerone era alla ricerca di mezzi per sbarazzarsi di sua madre Agrippina, il li­berto Aniceto gli diede il consiglio di inscenare un naufragio. Poiché, così diceva il consigliere : « Nihil tam capax fortuitorum quam mare»5. Ciò vuol dire: in mare può succedere di tutto, il mare è il luogo di ogni sventura. Quanto ne fosse convinto l'uomo antico, lo abbiamo già spiegato più sopra 6. Il marinaio, proprio perché ama i flutti marini, è sempre un « vicino della morte » 7. Egli si sente esposto, impotente, alle insidie del mare cattivo e tuttavia non può permettersi di rinunciare continuamente al temerario ed economi­camente vantaggioso viaggio. Qui il naufragio fa parte degli avvenimenti quotidiani, anzi, come si esprime NEMBSIO, delle conseguenze logicamente calcolate dalla

1 TACITO, Annales, 14, 3 (HALM, I, p. 284, 1. 16). 6 Cfr. sopra, p. 459-468. 7 Cfr. sopra, p. 530.

740 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

libera determinazione di affidarsi ad una nave 8. Questa mentalità dell'uomo antico ci è stata dipinta vivida­mente da A. LESKY 9. Essa viene espressa nel modo più immediato nei numerosi epigrammi sui naufraghi, che ci sono conservati nell'Anthologia Graeca 10. Il nau­fragio non porta soltanto morte, ma per lo più anche la perdita, cosi raccapricciante per l'uomo antico, di un luogo di sepoltura u. Il cadavere dell'annegato nuota nudo e freddo tra le onde, diventa pasto degli empi pesci12 ed anche se gli si erige un monumento sulla riva, si tratta pur sempre di un monumento vuoto, nella cui scritta il morto si lamenta : « Ο se non fosse mai esistita alcuna nave veloce » 1 3. Questi epigrammi sono certamente dei semplici prodotti di una maniera letteraria, ma nella loro profusione risuona anche la voce della triste esperienza degli abitanti delle coste, i quali, quasi ogni giorno esperimentano che· il mare sospinge a terra i cadaveri dei naufraghi e invitano i tristi e cogitabondi uomini della terra così sicura a piangere la vita fugace 14. Qui giace, nudo e insepolto

B De natura homims, 38 (PG 40, 756 A). * A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Vienna

1947, p. 188 sino a p. 214. Cfr. soprattutto i pensieri sul naufragio in Archiloco (p. 198) e Simonide (p. 202). Da Lesky mi sono stati suggeriti anche: J. KAHLMEYER, Seesturm und Sckijfbruch ah Bild im antiken Schrifttum (Dissertation), Greifswald 1934. - J. DE SAINT-DENIS, Le lòie de la mer dans la poesie latine, Parigi 1935.

10 Anthologia Graeca, 7, 263-279; 282-294; 494-503; 51°; 539; 584-587; 651-654. Nuova edizione di H. BECKBY, Monaco 1957-1958, 4 voli. - Cfr. anche LESKY, p. 326, nota 344, con richiamo a Zeitschrift fùr katholische Theologie 6$ (1941) p. 126S.

11 LESKY, p. 36; p. 284S. 12 Anthologia Graeca, 7, 273-276; 294; 506. 13 Ivi, 271. 14 Ivi, 277.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 4 1

il ricco commerciante viaggiatore, il rischioso viaggio termina con la morte, il padrone della nave, una volta così temuto, spesso non ha trovato neppure una ta­vola di salvezza nella sua stessa nave. In PETRONIO, dopo un naufragio, lo schiavo Eumolpo trova sulla spiaggia il cadavere del dispotico padrone della nave, Licas, e dice tra le lagrime : « Qui paulo ante iactabas vires imperii tui, de tam magna nave ne tabulam quidem naufragus habes ». E vi aggiunge dei pensieri funebri morali: « Ite nunc, mortales, et magnis cogitationibus pectora implete » 15 ! L'ultima conseguenza di ciò, se­condo lui, è questa: nessuno è sicuro di fronte alla morte, si può perire dovunque, che tutto l'essere umano non è altro che un unico naufragio : « Si bene calculum ponas, ubique naufragium est »1 6 . Questo è bene co­mune dell'antichità ed allo stesso modo pensano gli oratori cristiani, che non si lasciano sfuggire questa immagine impressionante: AMBROGIO parla del « rapido dirottamento del navigante, che nella caccia al guada­gno subisce misero naufragio » 17. E AGOSTINO predica ai pescatori d'Ippona, che hanno visto spesso cose si­mili: «Naufragi forte negotiatoris corpus in littore inspexeris, reddis lacrimas miseratus et dicis: Vae huic nomini, propter aurum perdidit animam suam » 1 8 ! Ciò fa parte dell'esperienza quotidiana. Si legga inol­tre la poesia di PAOLINO DA N O L A sul naufragio del

suo amico Marziano 19, oppure la lettera consolatoria di GREGORIO MAGNO ad un suo conoscente salvato dal

15 Saturai, 115 (BtìCHLER, p. 85, 1. 17-19). 16 Ivi (p. 85, 1. 275). " De offuiis, 1, 49, 243 (PL io , 95 B) . 18 Sermo 344, 7 (PL 39, 1517). 19 Carmen 24 (CSEL 30, p. 21OS.)

742 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

pericolo del mare 2 0, ο ancora l'iscrizione funeraria cri­stiana di una fanciulla annegata in mare : « Eufronia Eufronii fìlia et maris naufragio enecta » 21.

Cosi, ogni viaggio per mare è un'impresa rischiosa, paragonabile a quel mitico primo viaggio umano sulla nave Argo, che era chiamata anche « l'Ardita », Τόλμα 2 2. Di qui l'uomo antico derivava un pensiero, che sarà importante più tardi per la nostra teologia simbolica: Chi, dopo un naufragio superato fortunatamente, si arrischia ancora una volta a salire su un legno che viaggia per mare, deve ascrivere un nuovo affondamento sol­tanto alla sua temerarietà, poiché egli tenta i Celesti. « Chi va due volte per mare, dia la colpa soltanto alla sua temerarietà», dice un epigramma23. Lo σχέτλιοε, ossia l'uomo criminosamente audace, vi trova un ναυηγος τάφος, dice DIOSCURIDE 2 4. Subire due volte naufragio, è morte quasi sicura. « Improbe Neptunum accusai qui iterum naufragium facit», dice un prover­bio di PUBLILIO SIRO al tempo di Nerone, che fu lun­gamente citato 25. Ciò è pensato in modo genuinamente romano, e ancora in AMBROGIO torna questo timore

20 Epistola g, 73 (MG Epistolae II, p. 91, 1. 26). Cfr. anche il rac­conto del naufragio nei Diahgi, 3, 36 (PL 77, 3045).

21 E. DIEHL, Inscriptiones latinae velerei christianae, Berlino 1925, v. 1, p . 294, n. 1540.

22 Cfr. sopra, p. 529. - Fu. KXINGNER, Catuììs Peleus-Epos, in Bayr. Akademie d. Wiss., Hist.-Phil. Klasse, Monaco 1956, quaderno 6, p . 9s.

23 Anthologia Graeca, 7, 264. 24 DIOSCURIDE, Epigr., 21, 5 (Anthologia Graeca, ed. JACOBS, I,

p. 249). Cfr. anche SENECA, Ad Lucilium epistola, 81, 2 (HENSE, p. 307, 1. 9s.) : « dopo un naufragio si tenta di nuovo il mare ».

25 Minor Latin Poets (The Loeb Classical Library, ed. W I G H T -DUFP, Londra, 1935, p . 3-11). - MACROBIO, Set., 2, 7, 11 (EYSSEN-

HARDT, p. 158, 1. 5).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 4 3

quasi romantico del secondo naufragio : « Utique accu-satis crebra naufragia: quis vos navigare compellit? Mare non ad navigandum Deus fecit sed propter ele­menti pulchritudinem. Denique qui non navigat nescit timere naufragium » 26. Pensiamo che bisogna tener a mente questo pio timore dell'uomo antico di fronte a un secondo disastro in mare, quando più in là leggere­mo nell'antica teologia cristiana della penitenza, che la salvezza è « difficilmente » sperabile sulla tavola della penitenza, dopo il naufragio della grazia battesimale. Δυσκόλως γαρ ζήσεταΛ, si dice in una famosa frase del Pastore di ERMA 2 7 . E non senza ragione TERTUL­

LIANO giunge a parlare, proprio nel suo libro sulla penitenza, di questo comportamento dell'uomo che viaggia per mare: « Molti, che furono salvati una volta dal loro naufragio, danno da allora in poi il loro sa­luto definitivo alla nave e al mare. Essi onorano i doni di Dio, ossia la loro vita corporea, ricordandosi del passato pericolo » 2 8.

A partire da questa realtà del naufragio spesso espe­rimentato, ora ci diventa comprensibile anche l'antica simbolica, che vede in questa disgrazia un'immagine sensibile della disposizione dell'uomo alla necessità di morire. «È terribile morire tra le onde»: questa espres­sione di ESIODO ci dà una specie di preludio 29. Un epi­gramma dello PS.-TEOCRITO dice: «Sii, ο uomo, parsimonioso con la vita. Non partire mai più per nave in un brutto momento: anche cosi la vita sarebbe sol-

*· De Helia et ieiunio, 19, 70 (CSEL 32, 2, p. 453, 1- 7) . " Mandatum, 4, 3, 6 (FUNK I, p. 480, 1. 8).

*• De poenitentia, 7, 5 (Corp. Christ. I, p. 333, 1. 14-17). 2" Erga, 687 e 691 (MAZON, p. 111).

744 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

tanto corta » 30. Dunque, dal momento che il naviga­tore sta sempre tra vita e morte e ad ogni istante il mare potrebbe diventare per lui la porta dell'Ade (lo abbiamo esposto già con più precisione) 31, il naufragio diventa giustamente l'immagine appropriata della mor­te. In un canto di morte pressoché innico, AMBROGIO dice : « Mare mergit naufragos, exspuit nudos, vestitos exuit, insepultos relinquit » 32. Conformemente a que­sto modo di pensare costante nell'antichità, la morte di suo fratello Satiro, che si spense a terra dopo un nau­fragio superato felicemente, diventa per lui un naufra-gium in terra33. Vita e morte del viaggiatore stanno sotto l'incomprensibile legge del fato, di Tiche e delle crudeli stelle, nelle cui costellazioni si legge il naufra­gio incombente 34. Uno dei più lambiccati detti della scuola di Democrito chiedeva : « Donde viene che il buon pilota a volte incorre naufragio e un uomo corag­gioso soggiace a Tiche ? » 35. Si legga inoltre in LUCIANO DI SAMOSATA la lagnanza, impressionante per la sua comicità, che l 'uomo, alle prese con il destino, porta dinanzia a Giove, a riguardo della nave del mondo, regolata così insensatamente dagli dei, la quale è in babà di mille naufragi 36. Tyche rende ricco il commer-

30 Anthologia Graeca, 7, 534. Cfr. l'edizione di Teocrito a cura di C. GALLAVOTTI, R o m a 1946, p. 240.

31 Cfr. sopra, p. 529SS. 32 De Tobia, $, 16 (CSEL 32, 2, p. 526, 1. 75). 33 De excessu fratris Satyri, 1, 27 (CSEL 73, p. 224, 1. 2-6). 3 4 VETTIUS VALENS, Anthologiarum, 4, 13 (KROLL, p . 182, 1. 6). -

FIRMICO MATERNO, Mathes., 6, 39, 2 (KROLL-SKUTSCH, II, p. 205,

1. 12-14). 35 H. DIELS, Fragmente der Vorsokratiker, Berlino 1935, 5 ed.,

p . 222 , 1. 29S. 33 Juppiter tragoedus, 47 (JACOBITZ, II, p. 374S).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 4 5

dante viaggiatore e mendico il naufrago; lo dice lo stoico ZENONE, quando la disgrazia per mare gli lasciò soltanto il frusto mantello quasi come camicia da mor­te: « Suvvia, Tyche, così tu ci rendi costoso il povero mantelletto » ! I Padri cappadoci ameranno ancora que­ste parole dell'antica sapienza 37. E si comprende come il naufragio abbia sostenuto un grande ruolo nell'oni-romanzia ellenistica. Innumerevoli visioni in sogno si­gnificano un futuro naufragio, come sappiamo da ARTE-

MIDORO 38; e il sogno di una disgrazia per mare signi­

fica grave disgrazia e morte 39. Se si sogna che tutta la testa viene tosata, ciò significa naufragio, ma senza esito mortale, « poiché, nel pericolo marino, gli uomini si prendono cura di farsi tagliare i capelli»40. Si tratta di quei fortunati disgraziati che, nel momento del mas­simo pericolo, consacrano i loro capelli agli dei: nau-fragorum ultimum votum, lo chiama PETRONIO

41, poiché essi « propriamente » sono già diventati preda della morte e dell'Ade e quindi, dopo la salvezza sulla tavola sacrificano i loro capelli ai Celesti 42 ; allo stesso modo, più tardi, il monaco cristiano si raserà, quando darà

3 7 BASILIO, Epistola 4, 1 (PG 32, 257 A). - GREGORIO DI Ν Α ­

ΖΙΑΝΖΌ, Poem. moralia, 2, io, vv. 236-242 (PG 37, p. 697). 38 Così per es. il fendersi del bocchiere; Oneirokritika, 1, 66 (HER-

CHER, p. 61, 1. 8s); un animale infuriato significa naufragio a causa della rottura dell'antenna: 2, 12 (p. 102, 1. 6) ; un pes:e nel letto: 2, 18 (p. i n , 1. i o ) ; uno schiavo che balla: I, 76 (p. 69, 1. 6s); un bue nero : 5, 56 (p. 264, 1. 9) ; Afrodite Anadiomène: 2, 37 (p. 142, 1. 21).

38 Oneirokritika, 2, 23 (HERCHER, p. 117, 1. 2). 40 Ivi, 1, 22 (p. 24, 1. 1-5). 41 Saturae, 103 (BUCHELER, p. 74; 1. 14S). 42 Per il sacrificio dei capelli dei naufraghi cfr. FR. J. DOLGER,

Ichthys, Miinster 1922, v. 2, p. 301. - RE VII, 2, col. 2106. - In A T A ­NASIO la notizia che gli Sciti sacrificano alle divinità i naufraghi (PG 25, 49 B).

746 ^'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

inizio alla vita di penitenza e lascerà dietro di sé il nau­fragio del mondo cattivo. Dunque anche presso i Pa­dri della Chiesa si ammette in modo del tutto generale che colui che va per mare, si trova già in mezzo al mon­do sotterraneo 43, in una specie di morte anticipata, e perciò la morte del peccato è un vero naufragio della vita, come dice AMBROGIO : « Denique iustis mors quietis est portus, nocentibus naufragium putatur » 44.

Sempre in previsione della teologia patristica del naufragio nella Chiesa tentiamo ora di approfondire ancor più questa simbolica, tentando di inserire l'e­guaglianza mors=naufragium nella dialettica delle estreme contrapposizioni. Viene in primo luogo l'antica e quasi prenautica disposizione di spirito dell'uomo antico, di­venuta più tardi romantica, che dalla stabile riva guar­da il mare e i rottami delle navi affondate con orrore e ad un tempo con gratitudine per la propria sicurezza. « Quanto è bello guardare il mare dalla terraferma », dice già un frammento di ARCHIPPO

45. La poesia ro­mana se ne è fatta eco. LUCREZIO scriveva : « Suave mari magno turbantibus aequora ventis ,e terra magnum alterius spectare laborem » 46. ORAZIO si augura di poter vivere solitario a Lebedo e di li contemplare il rabbio­so Nettuno stando su suolo sicuro 47. Il valente marinaio aveva poca comprensione per questa visione egoisti-

43 GREGORIO NAZIANZENO, Poem. moralia, 2, 16, 20 (PG 37, 780 A). Per la nave dell'Ade cfr. Zeitschrift fiir kath. Theologie 66 (1942) p. 217. - FR. CUMONT, LUX perpetua, Parigi 1949, p. 283-286.

44 De bono mortis, 8, 31 (CSEL 32, I, p. 730, 1. 22s). 45 Frammento 43 (KOCK I, p. 688); STOBEO, Fior., 59, 8 (HENSE

II, p. 402). 46 Rer. nat., II, 1 (MARTIN, p. 43). 47 Epistola 1, 11, 10 (KIESSLING-HEINZE III, ρ. 103). - Cfr. An­

tologia Graeca 7, 586; sopra, a p. 405.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 4 7

ca e così si formò il detto romano per condannare colui che è facile a dare consigli : « E terra ne gubernave-rit » 48 ; esso risuona ancora in GREGORIO NAZIANZENO 49, nella sua forma greca. In un momento tempestoso del­la politica romana, quando dovette lasciare la nave dello Stato che affondava, CICERONE ha gridato : « Nunc vero, cum cogar exire de navi, non abiectis sed ereptis gubernaculis, cupio istorum naufragia e terra intueri » 50. L'elemento dialetticamente opposto a ciò è rappresen­tato da un pensiero, che per l'uomo antico divenne la personificazione di ogni pericolo e di ogni disgrazia: anche in porto sicuro si può incorrere in naufragio. Ναυηγοί δ'είσΐν εσω λιμένος, si legge in un epigram­ma della Anthologia Graeca s l . Così accadde, come scris­se POLIBIO, agli Ateniesi, quando dopo tante vittorie mandarono tutto in rovina con le lotte intestine52. Colare a fondo nel porto era un motivo particolar­mente popolare nell'epigrammatica nautica53. E il proverbio romano diceva ad un uomo ancor dis­soluto in età avanzata : « Navem in portu mergis » 5i. Anche i teologi cristiani dei primi tempi utilizzano queste contrapposizioni, quando d'un lato dipingono la sicurezza della salvezza con Γ « approdo » nel porto

4 8 LIVIO, 44, 22, 14 (WEISSENBORN-MULLER, p. 138, 1. n s ) . 4 9 Epistola 138 (PG 37, 276 B). Cfr. anche AGOSTINO, De civitate

Dei, 22, 24 (CSEL 40, 2, p. 648, 1. 12-18). 5 0 Epistola ad Atticum, 2, 7, 4 (ORELL, III, p. 408, 1. 13-15). 5 1 EMILIANO N I C E O , Epigr. 3, 6 (Anthologia Graeca, ed. JACOBS,

Π, ρ. 251). 6 2 POLIBIO, Histor., 6, 44 (BUTTNER-WOBST, II, p . 294, 1. 26-28). 63 Anthologia Graeca, 7, 625; 9, 34; 36; 106; 398; 11, 248) - K.

MULLER, Die Epigramme des Antiphilos von Bysanz, Berlino 1935, p . 70. - LESKY, p. 286.

6 4 A. O T T O , Die Sprichwórter und sprkhwortlichen Redensarten dei Ròmer, Lipsia 1890, p. 284S.

748 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sicuro, e d'altro lato la catastrofe nella fede di coloro che sono colati a picco proprio in questo porto. « In portu, ut dicitur, naufragami», aggiunge GEROLAMO

nella polemica sull'Origenismo55. E papa CELESTINO

scrive alle Gallie, durante i tumulti pelagiani, sollevati da alcuni sacerdoti : « Conantur saepe naufragio mer-gere quos intra portum stantes statio facit fida securos. Fides quippe est omnium statio »56. Certamente, pre­dica AGOSTINO, persino nel calmo porto della Chiesa bisogna temere ancora la tempesta e il naufragio, poiché non ci è stata ancora donata la sicurezza : « Ubi ergo securitas si nec in portu?»57.

A partire da questa simbolica diventa anche com­prensibile, che l'immagine riceva soprattutto quella forma filosofico-morale, che più tardi sarà nuovamente presente in Paolo e nei Padri della Chiesa. L' « affondato » morale è naufrago. Già PINDARO canta, con una fre­schezza letteraria non ancora consunta, il naufragio della vita58. Nel periodo ellenistico questo diventa un potos moralizzante. Nel trattato di KEBES intitolato « Pinax » si dice, a proposito degli uomini che vengono cacciati per la loro mancanza di autodominio e per la loro millanteria: ώς ναυάγουσιν εν τω βίω και πλανώνται καΐ άγονται κατακεκρατημένοι ώσπερ ύπο πολεμίων 5 9 ! FILONE DI ALESSANDRIA dipinge il

pericoloso viaggio della nave delle anime sulle onde del piacere e della ricchezza, che all'inizio sembra an-

55 Centra loannem Hieros., 37 (PL 23, 390 A). Cfr. anche Adversus Rufinum, 2, 15 (PL 23, 437 C ) .

5 8 Epistola 21, 1 (PL 50, 529 A ) ; M A N S I , 4, p . 455. 57 Enarr. in Psalmum 99, io (PL 37, 1277). M Isthm., 1, 35S (SCHROEDEE, p. 231). Cfr. LESKY, p. 210. " Pinax, 24, 2 (PRAECHTEH, p . 20, 1. 11-13).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 4 9

dare bene, ma poi finisce in un naufragio morale, « quando con tutta la nave dell'anima diamo negli scogli e subiamo naufragio »60. Proprio l'uomo che, dopo una vita calma dell'anima, affonda ancora, da vecchio, a causa di tardive passioni, è per lui un naufra­go in porto 61. In LUCIANO Epicuro difende un disce­polo, che si è sottratto alle regole della filosofia stoica e « nuota desideroso di quiete » 62 verso il porto come da un naufragio. La sorte toccata a Creso e a Dionisio è un naufragio del fato e3. Si potrebbero citare ancora molti altri brani: l'immagine diventa trita e ritrita. Si pensi soltanto al fatto che per naufragio della coscien­za si intendeva soprattutto la sconfitta nell'amore sen­suale. Così prega il giovane, agitato dall'infelice pas­sione, rivolgendosi a Venere ciprigna, che impera sul­le onde : « Se tu, ο Ciprigna, salvi coloro che veleggiano sul mare: salvami, ο amata, poiché io, pur stando a terra affondo in un naufragio » 64. Così, Cleopatra di­venne per Cesare scoglio di naufragio65, e nella sa­pienza dei proverbi generalmente si trova : « Naufra-gium rerum est mulier male fida marito » 65. Gli uomini però ebbero cura, come vediamo in FIRMICO M A ­

TERNO, di attribuire i loro vizi ad una determinata co-

w De mut. nominum, 215 ( C O H N - W E N D L A N D , III, p. 193S). " De somniis, 2, 147 ( C O H N - W I N D L A N D , III, p. 282, 1. 19). 62 Bis accusatus, 21 (JACOBITZ, III, p. 16, 1. 3). 63 Somnium seu Gallus, 23 (JACOBITZ, II, p. 394, 1. ss). 84 Anthologia Graeca, 5, 11 (BECKBY, I, p. 246). Impudicizia come

naufragio ; le ragazze peripatetiche sono « navi pirate di Afrodite » : Anthologia Graeca, 5, 44 (BECKBY, I, 264). Cfr. anche LESKY, p. 279-281.

65 PLUTARCO, De fortuna Romanorum, 7 (319 F). 66 Dalle cosiddette Sentenze di Catone, in Anthologia Graeca (ed.

RIESE, p. 716).

750 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

stellazione e di scusare così il loro « naufragium pudoris et existimationis » 67.

Tutto ciò aiuta a conoscere più da vicino l'ambien­te, in cui anche Paolo parla, così naturalmente, di « naufragio nella fede » provocato da una coscienza soffocata. Per la comprensione della teologia dei Padri, soprattutto di Tertulliano, è significativo che questo mondo d'immagini divenga vivente ancora una volta nella lingua giuridico-politica di CICERONE. Qui Ca-tilina e i suoi compagni sono il typus delle « esistenze naufragate ». Di qui l'appello alla gioventù romana : « Contra illam naufragorum eiectam ac debilitatam manum florem totius Italiae ac robur educite »68 ! Il filosofo politico è certo che « i più gravi e dolorosi naufragi » avvengono quando uomini pessimi ricevono in mano il timone di R o m a 6 9 . Anche nel campo del diritto privato, in Cicerone, parlare di naufragio del potere del denaro è una immagine continuamente im­piegata 70 (e anche, come mostreremo, della tavola di salvezza, che conduce ancora i naufraghi in porto).

<" Mathes., 6, n (KROLL-SKUTSCH, II, p. 94, 1. 9s). - Quando TACITO, Annales, 14, 11 (HALM, I, p. 289, l. I2s) chiama Agrippina una mulier naufraga, non significa solo il destino mortale che l'attende, ma anche la sua moralità discutibile. - Cosi « naufragio » diventa la trita immagine di qualsiasi disgrazia. APULEIO, 6, 5 parla del nau­

fragium fortunae dell'anima ; un pranzo non riuscito è naufragato: PLUTARCO, Mar., 622 B; un recipiente scoppiato (ESCHILO, frammento 180) ο un carro sfracellato (DEMOSTENE, 61, 29) sono « affondati ». Cfr. per ciò, KITTEL, Wórterbuch ζ. Ν. T., v. 4, p. 895S. - A propo­sito di un pazzo si diceva con un proverbio : β La nave viene implo­rando aiuto verso lo scoglio»: SUIDA, (GAISFORD, II, 940).

8 8 In Catilinam, 2, n (ORELL, II, 1, p . 683, 1. 17S). 6 9 De inventione, I, 4 (ORELL, I, p . 90, 1. 6).

™ Pro C. Rabirio, 9 (ORELL, II, 1, p. 653, 1. 225). - Pro Sulla, 14 (II, 2, p. 767, 1. 15). - Verr., 5, 50, 131 (II, 1, p. 423, 1. 13). - Sext. Rose, 50, 147 (II, 1, p. 170,1. 75.). - Risone, 4, 9 (II, 2, p. 1069,1. 31). -

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 5 1

Il modo in cui, nelle pagine precedenti, abbiamo presentato l'antica simbolica del naufragio, abbisogna forse di quella giustificazione, che già abbiamo tentato più sopra71. Noi non vogliamo presentare qui un erudito cumulo di testi, ma un esauriente materiale di fonti in vista di quel « consenso », che solo ci permette di riconoscere se nell'applicazione dell'immagine nella teologia patristica ciò è semplice somiglianza spiegabile con la storia culturale e con l'ambiente, cioè soltanto tradizione letteraria, oppure se tutto il topos sta al servizio dell'espressione immaginifica di una conoscen­za completamente nuova della verità. Quando, ad esem­pio, C. SPIC nel suo Commento alle Lettere Pasto­rali, a proposito di iTim 1,19 presenta soltanto qual­che comunissimo accenno desunto dalla psicologia del­l'antichità, espressa con termini nautici, notando che l'immagine del naufragio è «une métaphore courante dans la philosophie grecque », con ciò le parole di Paolo non possono essere sufficientemente chiarite nel loro logorante impiego letterario e nel loro profondo significato reale 72.

Cerchiamo dunque di presentare la teologia patri­stica del naufragio nei suoi capitoli tematici fondamen­tali in modo che non solo diventi più chiara l'estensione

FIKMICO MATERNO, Mathes., I, 7, 25 (KROLL-SKUTSCH, I, p. 25, 1.

18) sui naufragi politici di Siila. 71 Cfr. sopra, a p. 636S. 7a C. SPICQ, Les Èpitres Pastorale*, Parigi 1947, p. 49S. - Altri

commenti a i T i m 1,19 che portano materiali antichi: J. J. WETSTE-NIUS, Novum Testamentum Graecum, Amsterdam 1752, v. 2, p. 231. -"W. LOCK, A criticai and exegetical Commentary on the Pastora! Epistles, Edimburgo 1924, p. 19. - M. DIBELIUS, Die Pastoralbriefe, Tubinga I93I, P- * i · - KITTEL, Theol. Wòrterbuch zum NT, Stoccarda 1942, v. 4, p. 895S.

752 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

della sua parentela letteraria con l'antichità, ma si deli­nei anche il posto in cui va inserito il tema dottrinale, così importante per la teologia penitenziale, della secun-da post naufragium tabula.

Di fondamentale importanza per quanto segue, è qui innanzitutto la dommatica dei Padri, che noi chia­miamo la simbolica cosmico-sacramentale del nau­fragio. In questo tema dottrinale risuona l'antico or­rore del mare e dei suoi letali pericoli, che ora, però, è trasferito nella conoscenza rivelata dell'essenza del­l'uomo mortale e peccatore, e quindi della salvezza sacramentale nella nave della Chiesa, che è sicura e, ad un tempo, in pericolo. Questa teologia giunge sino alle radici della contingenza creata del mondo e del­l'uomo. Tutto ciò che non esiste da se stesso è « nau­fragante », soprattutto l'uomo al momento della na­scita e della morte. AMBROGIO lo ha espresso in una frase melanconica, il cui esile suono è percepibile solo in base al « consenso » che abbiamo cercato di racco­gliere sopra dalle antiche fonti. La terra, apparente­mente così solida, che Dio creò il terzo giorno e se­parò dall'acqua, è in realtà come un'isola galleggiante, la cui contingenza creata il predicatore difende contro i filosofemi greci di un mondo eternamente esistente: « Essa viene descritta immersa nell'acqua, come se in certo qual modo sin dai suoi inizi fosse stata destinata a subire naufragio » 73. Anche la natura corporea uma­na partecipa di questo « essere posta in pericolo » dato con l'essenza, e ciò è espresso ancora una volta nel modo più tangibile con l'immagine del naufragio:

« Hexaemeron, ι, η, 27 (CSEL 32, 1, p. 26, 1. is). - Ivi, 3, 1, 1:

P- 59, 1- " ·

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 5 3

l'antropologia patristica ne è piena. La nascita dal seno materno è paragonabile al momento in cui i naufra­ghi vengono gettati nudi sulla terra ferma : « Quos naufragos in hanc vitam quidam naturae fluctus ex-spuit »74 . La stessa cosa vale per la morte, che viene descritta platonicamente come separazione di spirito e corpo che distrugge la persona. Già PLATONE ha pla­smato l'immagine, indimenticabile per i Padri, dei rot­tami del corpo vaganti sull'Acheronte 75, e l'imperatore COSTANTINO, che lo ha imitato nel discorso « All'as­semblea dei santi », lo ha corretto cristianamente : « Le anime dei cattivi vagano sui flutti dell'Acheronte e del Piriplegetonte come relitti di un naufragio sbattuti con­tinuamente qua e là »76 (si pensa, senza volerlo, alle visioni infernali di Dante). Ma già ALESSANDRO DI ALESSANDRIA (spinto forse da uno scritto di MELITONE DI SARDI), dipinge la morte come naufragio 77 e GRE­GORIO DI NISSA nella psicologia della morte del suo dialogo platonizzante con Macrina, si pone l'obiezione, se anche dopo la morte le anime debbono restare unite con elementi corporei che in qualche modo una volta sono stati i loro : « Un marinaio, quando la sua nave si sfracella nel naufragio, non può nuotare su tutti i rottami sparsi intorno qua e là. Egli afferrerà piutto-

74 De obitu Theodosii, 26 (CSEL 73, p. 384, 1. n s ) . 75 Fedone, 62 (114). 78 Ad sanctum Coetum, 9 (GCS EUSEBIO I, p. 164, 1. 20-22). -

Morte come naufragio anche in TERTULLIANO, De anima, 52, 4 (Corp. Christ. II, p. 859, 1. 32-35): « N o n secus naufragia sunt vitae etiam tranquillae morcis eventus. Nihilo refert integram abire corporis navem an dissipatam, dum animae navigatio evertatur ».

77 Sermo de anima et corpore, 3 (PG 18, p. 590S). - Cfr. O. PER-LER, Recherches de Science religieuse 51 (1963) p. 407-421.

754 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sto il più vicino di essi » 78. Dietro a ciò si trova natu­ralmente tutta la dottrina della « nave dell'anima », che noi abbiamo già esposto più sopra79. Morte è anche semplicemente naufragium aetatis80. E le umane sorti, che si trovano tra nascita e morte, consistono anch'esse nell'incessante pericolo del naufragio nel « ma­re cattivo di questo mondo ». Così nella teologia della morte di AMBROGIO : « Nam si laudari ante gubernator non potest quam in portum navem deduxerit, quo-modo laudabis hominem, priusquam in stationem mor-tis successerit? Et ipse sui est gubernator et ipse vitae huius iactatur profundo; quamdiu in salo isto, tamdiu inter naufragia » 81.

Ora però il cristiano sa bene che in questa naufra-gabilità della natura umana votata alla morte e del cosmos, si cela un'altra catastrofe: il peccato originale dei protoparenti. Questo evento della storia della sal­vezza è il naufragio soprannaturale e le tempeste che lo causarono si aggirano pur sempre sulla terra della stirpe adamitica. Noi lo chiamiamo morte, peccato e giudizio; ma, ciononostante, è data anche nuova sal­vezza in quell'uomo che « comanda al vento e alle onde » (Mar 4,40) e che sulla nave della Chiesa salva gli uomini dal naufragio. Tutto ciò, nel linguaggio nau­tico dei Padri, significa: originariamente c'era soltanto terra ferma ο porto sicuro della quiete e dell'impassi­bilità. Adamo incorse nel naufragio in mezzo al porto. Da allora la salvezza è data soltanto in una nuova e

'a De anima et resurreciione, 7, 3 (PG 46, p. 45 D) . " Cfr. sopra, a p. 546-550. 80 ENNODIO, Epistola 1 (CSEL 6, p. 40, 1. 9). - Carmen 1, io ,

275 (CSEL 6, p. 540). 81 De bona mortis, 8, 35 (CSEL 32, 1, p. 734, I. 5-9).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 5 5

ferma guida del pilota dell'universo: nell'Arca, nella Legge, nella Chiesa. TEODOHETO nel settimo discorso Della provvidenza ha così espresso questa conseguenza del naufragio del peccato originale, e ciò era compren­sibile per ogni cristiano greco : « Dopo che la nostra natura umana si era infranta contro il peccato come contro gli scogli, e l'anima spirituale, circondata e sommersa dai flutti delle passioni, abbandonato il cor­po, lo lasciò trascinare qua e là come una nave senza zavorra, allora furono necessarie le nostre leggi, che come un'ancora tenevano ferma la nave e abilitavano il nocchiero a raccogliere le sue forze e a riafferrare il timone »8a. CRISOSTOMO sa esporre ancor più pla­sticamente il medesimo pensiero teologico. Egli si appropria di un paragone, di cui già abbiamo parlato sopra: l'uomo antico parla volentieri di «foratura del corpo della nave » come di un'azione particolarmente perfida. Poiché è soltanto questa tavola che lo separa precisamente dalla morte 83. Ora, ciò avvenne in Para­diso. « Ecco Adamo », predica Boccadoro, « in mezzo al porto subisce un naufragio (εν λιμένι παθόντα ναυάγιον) ». E perché ? Il perfido diavolo lo indusse al peccato, « come quando un uomo cattivo fora il corpo della nave con un piccolo chiodo e vi lascia scorrere dentro tutto il mare »84. Ora il viaggio salvifico del cristiano continua grazie alla bontà redentrice di Dio, in mezzo ad ogni sorta di tempeste, sulla nave sicura di giungere in porto, ossia allo stato originale della guarigione paradisiaca del corpo e dell'anima. Ma an-

8a De providentia, sermo 7 (PG 83, 672 AB). 83 Cfr. sopra, a p. 533. si Daemones non gubernare mundum, 1 (PG 49, 247 BC).

i

756 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

che in questo viaggio incombe il naufragio, ossia, il singolo uomo può « cadere in mare », vale a dire nella stessa sorte, che toccò al naufragato Adamo. Per­ciò TEODORETO conchiude il suo nono discorso sulla provvidenza con l'espressione, anch'essa familiare ad ogni greco conoscitore del mare: «Riconciliatevi dun­que con il vostro Creatore, affinché egli vi governi come suoi amici e non debba gettarvi come nemici in mare dalla sua nave »85. E PAOLINO DA NOLA in un

dittico dipinge nel naufragio del suo amico Marziano la salvezza e la perdizione del giudizio finale. Nella disgrazia marina dell'amico erano affondati gli infedeli e quelli che già prima erano venuti meno alla Chiesa mentre i cristiani si erano salvati: ciò è per lui un sim­bolo del giudizio finale, e gli fa dire del capitano, che per primo aveva subito naufragio nella fede ed era affondato per pr imo:

« Nauarchus ipse, perditae princeps ratis pereuntibus primus fuit namque ante pelago quam periret naufragus iam mente naufragaverat » 86.

Soltanto la sicura nave della salvezza, che Dio stesso ha costruito, salva l 'uomo redento dal naufragio co­smico ed escatologico: è la nave della Chiesa, che è stata presagita nell'Arca di Noè. Ne parleremo più ampiamente in seguito, quando esporremo la teologia patristica dell'arca. Qui ci sia permesso accennare che la simbolica del diluvio universale come seconda ca­tastrofe del naufragio del mondo, permea tutta la dot-

85 De Prouidentia, sermo 9 (PG 83, 740 B). •e Carmen 24, w. 151-154 (CSEL 30, p. 211).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 5 7

trina dei Padri. Essa comincia con ORIGENE, per il quale l'arca è la salvezza in orbis naufragio 87. Ma pro­prio questo naufragio nell'acqua del « cataclisma » è l'inizio della nuova salvezza, separazione dei salvati nella nave da coloro che annegano nei marosi, salvez­za e perdizione (questa dialettica è ineliminabile dalla teologia dei Padri) mediante « l'acqua ». Per questo se­condo DIDIMO il diluvio universale è simbolo della pu­rificazione del mondo nel battesimo88. E GREGORIO DI

ELVIRA riassume tale dottrina (già nota mediante Ter­tulliano)89, con le parole: «In cataclysmo nemo nau-fragium orbis evasit nisi qui in arca Noe meruit reser-vari quae typum Ecclesiae portendebat »90. Il medesi­mo pensiero percorre la teologia del passaggio del Mar Rosso: ciò che ivi per gli Israeliti fu salvezza, è dive­nuto naufragio per l'esercito del Faraone. « In eadem aqua baptismatis, in qua nos liberamur, Pharao, id est diabolus, naufragio perit»91. Il non battezzato è un naufrago, poiché dietro di lui c'è il naufragio del pec­cato di Adamo. Nel battesimo egli viene preso sulla tavola di salvezza della nave della Chiesa, ossia sulla prima tavola della salvezza»; a sua volta il risanamento penitenziale, a volte ancor necessario dopo il battesimo, diventa « seconda tavola » dopo il naufragio. L'acqua salutifera del battesimo è il mare, di cui ZENONE DI

VERONA predica : « Non quod naufragos facit, sed

" Homilia in Ezechielem, 4, 8 (GCS ORIGENE Vili, p. 369, 1. 25). 88 De Trinitate, 2, 14 (PG 39, 696 AB). 89 De baptismo, 8, 4 (Corp. Christ. I, p. 283, 1. 27). 90 Tractatus Origenis, 12 (BATIFFOL, p. 139, 1. 21-23). Cfr. anche

BEDA (PL 91, 85 C) .

•l Tractatus Origenis, 9 (BATIFFOL, p. 102, 1. 7s). - AHATOH, 2,

50 (CSEL 72, p. 80).

Ϊ

75S L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

quod naufragos ad vitata suavem perducat » 9 2. E Οτ-TATO DI MILEVI può affermare : il battesimo è « peccato-rum naufragium » 93.

La salvezza, pertanto, viene dall'acqua e dal legno. Il battesimo nell'acqua pone il salvato sulla nave della Chiesa, che è costruita con il legno della croce, e per­sino la seconda tavola salvifica della penitenza confe-ferisce salvezza soltanto perché è costruita con lo stesso legno della nave. Teologicamente ciò significa: la sal­vezza penitenziale è un rinnovamento della salvezza avvenuta nel battesimo, è nuova partecipazione alla nave della Chiesa, è arrivo in porto. Il legno della croce è « salvezza per la natura naufraga », dice PROCLO

94, e la stessa cosa ripete RABANO con una immagine nau­tica : « Crux portus est in totius orbis naufragio »95. Il felice successo finale di questo salvataggio dal nau­fragio cosmico è la resurrezione dei corpi, il portus con-summationis gloriae, la fida statio, di cui parla AMBROGIO

in una predica traboccante di immagini marine: solo là non c'è più alcun naufragio96. Così, come anche per la buona nave della Chiesa in quanto tale non c'è più alcun affondamento, poiché su di essa è eretto l'albero della croce : « Numquam potest sustinere nau­fragium, quia in arbore, id est in cruce, Christus eri-gitur » e7.

" Tract., i, 14, 3 IPL 11, p. 357 A). •3 Cantra Parmenitmum, 5, 1 (CSEL 26, p. 121, 1. 20s). •4 Sermo de Ascensione Domini, 2 (PG 65, 833 C). ·* De laudibus crucis, 2, 26 (PL 107, 291 C) . " Explan. in Psalmum 47, 13 (CSEL 64, p. 355, 1. 5-15). " PS.-AMBROGIO, Sermo 4.6, 4, io (PL 17, 697 AB). Cfr. sopra,

p . 514.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 759

Questa simbolica sacramentale del naufragio ha ora anche un aspetto teologico-morale : e qui giungiamo al punto più intimo della dottrina della Penitenza come « seconda tavola dopo il naufragio », che espor­remo più avanti. Finché, cioè, il cristiano non è giunto definitivamente nel porto della trasfigurazione, la sua salvezza è in pericolo nonostante le risorse ma­rittime della nave della Chiesa. Nella teologia nautica dei Padri ciò è detto in due immagini, che spesso si compenetrano (poiché la salvezza è sempre una fac­cenda sociale consistente nell'appartenenza alla Chiesa ed è una faccenda pur sempre personale consistente nella libertà della propria decisione): il cristiano può « cadere in mare » venendo meno alla fede ; oppure : la nave dell'anima del singolo cristiano può subire nau­fragio con il peccato. Invece c'è soltanto una salvezza: venire ripreso a bordo nella pace con la Chiesa, oppure afferrare la tavola della penitenza e cosi nuotare fati­cosamente verso il porto della salute. Ambedue le im­magini significano teologicamente la medesima cosa. Il loro punto cumune è la forza salutifera del « legno », sia che con esso si indichi la nave, oppure la tavola. Poiché ambedue salvano soltanto nella virtù della croce.

Parliamo perciò in primo luogo del naufragio della fedess, poiché proprio questo simbolo, a causa dell'e­spressione paolina (iTim 1,19), è divenuto classico ed occupa anche il primo posto dal punto di vista della teologia penitenziale, dato che tutti i problemi della antica storia cristiana della penitenza sono sorti pro­prio dinanzi al problema della possibilità di salvezza di un cristiano, che abbia rinnegato la fede.

Cfr. sopra, p. 501-507.

760 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Si comprende che sin dall'inizio (e poi continua­mente) l'immagine paolina abbia dato la spinta alla teologia patristica del naufragio nella fede. Che iTim 1,19 appartenesse all'elemento fondamentale dell'an­tica dottrina cristiana della possibilità di una caduta nella fede, ce lo dimostra l'interessante argomentazio­ne di ORIGENE". Celso si era fatto un'immagine ro­mantica della Chiesa primitiva come di un piccolo porticciuolo raccolto in unità. Contro di ciò, Origene dimostra che la « gnosi » è esistita come eresia sin dal­l'inizio (egli mescola un pò volontariamente iTim 6,20.21 con iTim 1,19) e che essa è stata la ragione della caduta dei due discepoli di Paolo. Ciò diventa ancor più chiaro, quando si legge l'esegesi sofisticata del montanista TERTULLIANO su iTim 1,19: per giunta tutta la sua argomentazione presuppone una dottrina già completamente formata della « nave della Chiesa », che faceva parte della primitiva catechesi cristiana del battesimo. Al rigoroso montanista sta a cuore dimo­strare, che la caduta nella fede dei due uomini di Efeso è stato il peccato irremissibile della blasphemia; per questo Paolo li avrebbe consegnati a Satana: « Unde et naufragos eos iuxta fidem pronuntiavit, non habentes iam solacium navis Ecclesiae. Illis enirn venia negatur qui de fide in blasphemia impegerunt » 10°. La caduta dalla fede è, secondo Tertulliano, paragonabile al pa­ganesimo. Poiché fides in senso pieno è la stessa cosa che la nave della Chiesa, che con vele gonfie di Spirito corre attraverso gli scogli. Chi cade giù da questa nave è come un naufrago definitivo; egli va a fondo nella

""> Adversus Celsum, 3, 11 (GCS ORIGENE Ι, ρ. 2ΐι). 1 0 0 De pudkitia, 13, 19, 20 (Corp. Christ. II, p. 1305, 1. 73S).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 6 1

profondità, a cui non può più sfuggire : « Inter hos scopulos et sinus, inter haec vada et freta idololatriae velificata spiritu fides navigat, tuta, si cauta, secura si attonita. Ceterum inenatabile excussis profundum est, inextricabile inpactis naufragium est » 101. Questo è il Tertulliano montanista, che (come vedremo più sotto) ha rigettato la dottrina del suo periodo cattolico della salute conseguibile ancora sulla tabula post nau­fragium.

Dalla teologia della polemica penitenziale dopo la persecuzione deciana appare chiaro che in quel tempo (in parte come eredità tertullianea) ci si richiama con­sapevolmente alla dottrina della nave della Chiesa, per dedurre la possibilità di una riconciliazione dei lapsi, oppure per negarla. In una lettera a papa Cornelio, secondo Cipriano tutti gli scomunicati sono semplice­mente dei naufragi102 ; per il confessore romano Ce­lerino la caduta nella fede è naufragium mortale1 0 3 . L'ex-vescovo Evaristo, come riferisce Cipriano a Roma, avrebbe cercato di trascinare altri al mortale naufragio: « Veritas ac fidei naufragium factum circa quosdam sui similes paria naufragia concitare »1 0 4 . Del resto ve­diamo in EUSEBIO che nell'Oriente greco si pensava con le stesse immagini divenute come dei luoghi retori­ci comuni. Coloro che sotto Diocleziano avevano ab­bandonato la Chiesa, cosi egli dice, sarebbero « stati indotti in tentazione mediante la persecuzione e avreb-

101 De idololatria, 24, 1 (Corp. Christ. II, p. 1124, 1· IS-18). 102 Epistola 59, 11 (CSEL 3, p. 678, 1. 20). "s Epistola 21, 2 (CSEL 3, p. 530, 1. 24). «* Epistola 52, 1 (CSEL 3, p. 616, 1. i8s).

762 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

bero subito completo naufragio nella loro salute, per essersi gettati volontariamente nei flutti »105.

All'inizio del secolo quarto l'immagine del naufra­gio nella fede è precisamente un motivo ricorrente della storia delle eresie. Tipo degli ariani negatori di Cristo sono i perfidi Judaei : poiché, secondo un'espres­sione di AMBROGIO, i naufragia Judaeorum consistevano nel negare Cristo come nocchiero mandato da Dio loe. Ciò era già stato espresso da ORIGENE con un'altra immagine nel commento al Cantico dei Cantici. Lo inverno è passato: ciò significa la primavera, in cui si ricominciano i viaggi per mare, e pertanto il periodo d'inverno con le sue tempeste marine era il periodo dei Giudei: « Israel turbine incredulitatis correptus nau­fragio fidei submersus est »107. E tanto più dolorosa­mente si avverte, dopo la tempesta della persecuzione, l'ondata della polemica ariana, che fa quasi affondare la nave della Chiesa. Le interminabili discussioni degli eretici richiamano alla mente di AMBROGIO Scilla e Car-riddi con i loro famosa naufragia 108. « Quotidianamente ci minacciano i pericoli del naufragio »109. Con fine sensibilità morale-psicologica il vescovo di Milano ve­de la causa di questo pericolo in cui è posta la fede, nella struttura quasi naufragante dell'uomo, composto di anima e di corpo : « Fides titubavit et caro coeperat sentire naufragium. Quod non improprie dictum est,

105 Hist. Eccles., 8, 2, 3 (GCS EUSEBIO, II, p. 742). ιοβ £,e Patriarchis, 5, 27 (CSEL 32, 2, p. 139, 1. 23S). 1 0 7 Comment. in Cantic. Ctmt., 4 (GCS OHIGENE Vili, p . 226,

1· 3-5). 1 0 8 De fide ad Cratianum, 3, 1 (PL 16, 589 D ) ; 1, 6 (PL 16, p.

539 A). ,M De Cairi et Abeì, 2, 9, 37 (CSEL 32, ι, p. 408, 1. 4).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 6 3

quia caro navis est animae »110. Di qui l'uomo sente continuamente l'incombente naufragio del cuore : « At-que in se ipso grave esse naufragium, in suo corpore tempestatem » U 1 . Durante queste tempeste, Basilio si ricorda dei beati tempi della Chiesa primitiva. Infatti, così egli chiede al vescovo Acolio di Tessalonica, cosa esperimentiamo noi oggi? « Nient'altro che dei solen­ni naufragi nella fede »112. E tutto il suo dolore va verso il grande Atanasio : « Ovunque la Chiesa si dis­solve nei suoi pezzi», ovunque c'è la confusione delle navi che si trovano in porto, ovunque incombe il nau­fragio a causa della tempesta politica dall'esterno e a causa della incapacità dei vescovi all'interno 113. Viene spontaneamente in taglio il quadro drammatico di PIETRO

CRISOLOGO, che abbiamo già ricordato una volta: « Le spiagge della cristianità urlano, i rottami del nau­fragio dei caduti vanno alla deriva tutt'attorno » 114. E ci porta a pensare alla figura anticamente notissima del cadavere di un naufrago che va alla deriva nudo e freddo sulle onde, quando nello spirituale AMBRO-

SIASTER troviamo così spiegata l'espressione di iTim 1,19: «Qui deserentes fidem naufragi facti sunt, id est nudi veritate aut privati vita »115. In AGOSTINO,

110 De interpell. Job et David, 1, 5, 15 (CSEL 32, 2, p. 220,1. 16-18). 1 1 1 Ivi, 4, 8, 30 (p. 291, 1. I2s). » l a Epistola 164, 2 (PG 32, 637 A). 1 1 3 Epistola 82 (PG 32, 460 AB). 1 1 4 Sermo 20 (PL 52, 254S). Cfr. sopra, 511S. 115 In epist. ad Timotheum, 1, 1 (PL 17, 465 C) . - Cfr. anche G E ­

ROLAMO, Epistola 22, 38, 1 (CSEL 54, p. 203, 1. 3s). - Π pericolo de] naufragio nella disputa con gli Ariani: ILARIO, De Trinitate, 7, 3 (PL io, 200 C ) ; 6, 5 (197 C ) ; 12, 1 (434 C D ) . - PS.-AGOSTINO, Ser-

764 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

in modo speciale, la polemica antieretica è svolta total­mente attraverso l'immagine nautica del naufragio nel­la fede. Di fronte alle questioni sul libero arbitrio, sulla salvezza dei bambini non nati, sulla Chiesa pura e peccatrice, l'uomo può subire naufragio come Pelagio e i Donatisti116. « Pelagius maluit per naufragium mi­serabile exire quam temerarium cursum velis depositis et remis suae disputationis inhibitis provida delibera-tione frenare »117. Anche nel porto delle opinioni del grande Cipriano si può ancora subire naufragio, come egli obietta ai Donatisti,118 a proposito dei quali, consapevole della propria vittoria, annota: «Tota causa Donatistarum penitus naufragavit » 119.

La certezza cristiana di salvarsi va paragonata con questo mortale e quotidiano pericolo del disastro: vo­gliamo dire, cioè, la certezza del cristiano che si trova sulla nave della Chiesa ο nel porto della Chiesa. Nave e porto: sono due cose che vanno sempre insieme e che, nella loro diversità dialettica, significano la sicu­rezza contro il naufragio. Infatti la Chiesa è sempre ambedue le cose: essa è sempre in pericoloso viaggio ed è nello stesso tempo sempre giunta già al porto. AMBROGIO ha esposto in un capitolo questa inscindi­bile dualità dell'esistenza cristiana 12°. L'uomo antico

mo 119, 11 ( M A I I, p. 258), ove la Chiesa viaggia come una buona nave tra i due pericoli di Sabellio e di Ario : « Gubernet Catholica Ecclesia inter utrosque fidei suae navigium, quoniam timendum est in utroque naufragium ». - CRISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 257 B; 258 B).

118 Epistola 55, 13 (CSEL 34, p. 183, 1. 12). - De natura et origine animae, 1, 7 (CSEL 60, p. 308, 1. 7).

117 De natura et origine animae, 2, 13 (CSEL 60, p. 353, 1. 13-15). 118 Epistola 93, 39 (CSEL 34, p. 483, 1. 25S). 111 De baptismo, 5, 1 (CSEL 51, p. 262, 1. is). 120 De Jacob, 1, 6, 23. 24 (CSEL 32, 2, p. i8s) : «Adde quia ne-

scit naufragia qui semper in portu tranquillitatis est» (p. 19, 1. 7s).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 6 5

diceva : « Quanto è bello guardare il mare dalla terra ferma » ; ora questo atteggiamento è trasferito dalla teologia cristiana simbolica all'umile sicurezza dell'uomo « sbarcato ». IPPOLITO spiega l'espressione della benedi­zione dei Patriarchi (Gen 49,13): «Zàbulon abiterà sulle rive del mare », applicandola alla Chiesa come porto sicuro in ogni naufragio dei pagani121. AMBRO­

GIO lo imitava quasi alla lettera. Zàbulon, questo tipo dei salvati, si trova sulle rive del mare, « ut videat alio-rum naufragia ipse immunis periculi ». Tale è la Chiesa : « Sicut est sacrosancta Ecclesia radicata atque fundata in fide, spectans haereticorum procellas et naufragia Judaeorum, quoniam gubernatorem quem habuerant abnegaverunt »122. Naturalmente è possibile che le Chiese particolari subiscano naufragio, soprattutto quan­do i persecutori riescono ad indurre in caduta il vescovo quale pilota della nave; CIPRIANO, in una lettera a papa Cornelio, lo ha additato precisamente come un pericolo incombente del diavolo : « Ut gubernatore su­blato atrocius atque violentius circa Ecclesiae naufra­gia grassetur » 123. Ma la Chiesa universale non cono­sce naufragio, dice fieramente AMBROGIO : « Spectat aliorum naufragia ipsa immunis et exors periculi »124.

121 Le benedizioni di Giacobbe, 20 (TU 38, 1912, col. 35, 1. 11-18). 122 £>e Patriarchis, 5, 27 ( C S E L 32 , 2, p. 139, 1. 19 -p . 140, 1. 2 ) . 123 Epistola 59, tì (CSEL 3, p. 674, 1. is). 184 De Abraham, 2, 3, 11 (CSEL 32, 1, p. 573, i. -js). Ciò vale

anche della singola anima, in quanto resta tempio di Dio e così può essere paragonata alla Chiesa (ivi, p. 573, 1. 3s). Perciò il cristiano deve pregare per evitare il naufragio, fidei ignorare naufragia: Hexae-meron, 3, 5, 24 (CSEL 32, 1, p. 75, 1. 13S). - Il cristiano battezzato in questa sicurezza è paragonabile anche ad un'isola, su di cui è salvo da ogni naufragio: De interpell. Job et David, 4, 9, 34 (CSEL 32, 2, p. 294).

766 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Essa è nave, che viaggia sicura, e porto; e il cristiano sa bene che tra questa buona nave del legno della cro­ce e il porto della salvezza definitivamente assicurata per il singolo, per quanto spesso e per quali peccati che siano, egli abbia perduto la salvezza del battesimo, ha sempre la mediazione della tavola di salvezza della Penitenza. AGOSTINO ha fatto sperare ancora questa possibilità finale persino per il naufrago Pelagio : « A fide catholica naufragavo:, nisi paenitendo refecit, quod fregit »125. Il singolo cristiano dunque, che deve pilo­tare la nave della propria anima, ossia la sua decisione salvifica personale, anche se sostenuta dalla grazia, sta quaggiù sempre in pericolo di naufragio e deve stare all'erta ; così afferma Agostino « Navis tua cor tuum. Jesus in navi, fides in corde. Si meministi fidei tuae, non fluctuat cor tuum: si oblitus es fidem tuam, dor-mit Christus - observa naufragium » m.

Ora, come sappiamo dall'antica storia cristiana della penitenza, non è soltanto la caduta nella fede che viene paragonata ad un naufragio. La medesima disgrazia salvifica si verifica in quello che viene chiamato peccato mortale. Ci sia permesso parlare brevemente anche di ciò, (così, fin da ora proponiamo ciò che è espiabile con la penitenza e che deve essere espiato aggrappandosi alla tavola della salute che salva dal naufragio). Già iTim 1,19 lascia intendere che la causa più profonda del naufragio nella fede è stata la deviazione volontaria della «buona coscienza» (άγαθ-ή συνείδησις). «Cupi­digia » nel senso più ampio della parola è, anche per TERTULLIANO, il motivo morale per ogni caduta nella

l" De natura et origine animae, 2, 13 (CSEL 60, p. 353, 1. 23$). m Enarr. in Psalmum 34, 3 (PL 36, 324 CD) .

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 6 7

fede: « Inprimis cupiditatem radicem omnium malorum, qua quidem inretiti circa fidem naufragium sunt pas­si »127. Anche nel catalogo nautico col quale lo Ps. -CLEMENTE descrive la nave della Chiesa, naufragio vie­ne identificato semplicemente con peccato 128. Si tratta della tradizione della filosofia morale alessandrina, che abbiamo costatata in Filone, quando anche CLEMENTE

ALESSANDRINO parla preferibilmente di questo aspetto morale del naufragio. Alcoolismo e « voluttuosità » nel senso ampio della parola, preparano il cristiano al « cattivo naufragio » dell'anima 129, proprio come Ter­tulliano (forse influenzato da Clemente), nella sua ri­gorosa invettiva contro le arti muliebri, predica sulla forma naufraga delle frivole dame cartaginesi130. È di nuovo la sottile psicologia morale di AMBROGIO che parla, quando egli definisce la gioventù dell'uomo co­me l'età del naufragio morale131 e, nell'interpreta­zione allegorica del diluvio universale, paragona l'ina­bissamento del mondo nei flutti alle tempeste, che sor­gono in noi dall'opposizione tra spirito e carne : « Ma­gna igitur naufragia quando mentis pariter et corporis sensuumque omnium turbo et procella miscentur »132.

127 De idoiolatria, n, ι (Corp. Christ II, p. i n o , 1. IOS). 1 2 8 PS.-CLEMENTE, Epistola ad Jacobum, 15 (PG 2, 52 A). Cfr.

sopra, p. 519S. 1 2 3 Paidagogos, 2, 2, 28 (GCS CLEMENTE I, p . 173, 1. 14); - 2, 2,

22 (p. 169, 1. 21); - 3, 7, 37 (p. 258, 1. 4). 1 3 0 De cultu feminarum, 2, 9, 2 (Corp. Christ. I, p. 258, 1. 4). 1 3 1 De ìnterpell. Job et David, 1, 7, 21 (CSEL 32, 2, p. 225,1. 1-5);

1, 7, 23 (CSEL 32, 2, p. 226,1. 10-12). - Viceversa, il vecchio sapiente è giunto nel porto della tranquillità e là non può subire più naufragio : De Jacob, 2, io , 44 (CSEL 32, 2, p. 60, 1. I4s). Leggerezza e loquacità come naufragio della pudicizia: Expl. in Psalmum 36, 28 (CSEL 64, p. 94, 1. 6s).

132 £)e Noe et arca, 14, 49 (CSEL 32, ι, ρ. 447, l. 12-14).

768 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Ne abbiamo già parlato più sopra nel capitolo sulla ' Nave dell'anima ' 133. Così in una lettera pasquale (che ci è stata conservata nella corrispondenza di Ge­rolamo), il patriarca TEOHLO DI ALESSANDRIA ammonisce i suoi fedeli, buoni conoscitori del mare : « Ne diffèra-mus tumentibus carnis fluctibus liberati inter diversa voluptatum bine inde naufragia clavum tenere virtutum et post grandia maris pericula tutissimum caelorum intrare portum »134. Detto con immagine antica (an­che di ciò parlammo all'inizio del nostro studio)135: il cristiano è come un Ulisse preso tra i pericoli delle Sirene, e perciò dobbiamo essere sempre in attesa del pericolo del naufragio morale : « Ne sollicitati delecta-tione mortifera in criminum saxa rapiamur et scopulo mortis adfixi naufragium salutis obeamus »136.

Questa teologia del naufragio morale trovò un'ul­tima forma nel linguaggio ascetico della letteratura monastica. Il cristiano, che ha rinunciato al « mondo perverso », è in modo del tutto speciale lo « sbarcato » ; la pace del convento e del deserto è il suo beato porto di pace. Se egli, come dice lo Ps. MACARIO, è caduto in acqua nudo come un naufrago, lo ha fatto per sal­vare la sua vita eterna 137. Ma, così pensa lo sperimen­tato GEROLAMO, egli può incontrare ancora il naufragio

133 Cfr. sopra, p. 545-552. ia« Epistola 98, 1 (CSEL 55, P· 185, 1. 15-17). 135 Cfr. sopra, p. 404SS. ia« PAOLINO DA N O L A , Epistola 16, 7 (CSEL 29, p. 122, 1. is). -

Cfr. PIETRO CRISOLOGO, Sermo 8 (PL 52, p. 208 C ) : «Delictorum naufragium ». Per l'impiego medievale di naufragium e naufragus quale concetto di « fallito », affondato, arenato, cfr. DUCANGE, Gios-sarium, Niort , 1885, v. 5, p. 578.

137 PS . -MACARIO, Omelia 5, 6 (PG 34, 508 A). - Cfr. sotto, a p. 955-959-

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 6 9

persino sulle strade della grande città 138. E ci sembra sentire il detto di Agostino sulla navicella dell'anima, che citammo più sopra, allorché lo Ps. - MACARIO ammonisce : « Guai alla nave che non ha più nocchiero ! Essa verrà sbattuta qua e là dalle onde del mare e andrà a fondo. Guai ad un'anima che non ha in sé Cristo il vero nocchiero! Essa verrà trascinata alla deriva dalle onde delle passioni sul mare amaro delle tenebre, la sua sorte finale è la rovina » 139. Anche l 'uomo pneu­matico non è sicuro della sua salvezza, ossia, nell'antica simbolica, anch'egli può ancor subire naufragio pur essendo in porto. « Egli credeva di essere già approdato in porto tranquillo. Ed ecco che le onde si levano con­tro di lui, così che egli si ritrova di nuovo in mezzo al mare e viene trasportato là dove si ha dinanzi agli occhi ancora soltanto mare, cielo e morte » 140. Soltanto l'obbedienza sottrae a questo pericolo, senza la υπακοή, insegna CLIMACO, il naufragio minaccia continuamen­te il m o n a c o 1 4 1 . Ancora nel medioevo, O N O R I O DI

A U T U N , nel suo piccolo trattato sulla vita monastica, presenta al monaco il pericolo di subire naufragio nel porto 1 4 2 .

Abbiamo così indicato i caratteri fondamentali del­la simbolica antica e patristica del naufragio. Vi si può già riconoscere in qualche modo il posto, ove va situata l'immagine della tavola della salvezza. Esporremo ora dettagliatamente la storia e il senso di questo sim-

13* Epistola 125, 9 (CSEL 56, p. 128, 1. I I ) . Cfr. anche Tractatus in Psalmum 103 ( M O R I N , p. 167, 1. 15-17).

13» Homilia 28, 2 (PG 34, 712 B). i« Homilia 38, 4 (PG 34, 760 D ) . i" Scala, 4. (PG 88, 680 D) . i" De vita claustrali (PL 172, 1247 AB).

770 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

bolo. Ci ripromettiamo di dare in tal modo un con­tributo alla dottrina dogmatica della penitenza, che si cela dietro queste immagini. La nota espressione della tabula post naufragium, dopo una lunga preistoria antica, entra nella dottrina patristica della penitenza, viene scoperta in Gerolamo e ha fortuna nei manoscritti della scolastica primitiva, viene trasmessa dal Lombardo ai principi della Scuola e sarà infine dommaticamente consacrata nei Canoni tridentini. Nella conchiglia pie­trificata di questo simbolo patristico udiamo ancora il mormorio del mare greco.

2. LA TAVOLA DELLA SALVEZZA

Anche la tabula post naufragium ha la sua preistoria, la cui conoscenza ci dà la possibilità di comprendere più profondamente il valore dogmatico dell'immagine patristica. Non c'è alcun simbolo più appropriato per l'esistenza dell'uomo ondeggiante tra vita e morte, che questo misero pezzo di legno, che sta tra il mare cat­tivo e il navigante. « Soltanto una tavola ci separa dal­la morte », si diceva 143. « Essa è larga soltanto quattro dita e di tanto noi siamo separati dal naufragio » 144. « Non una tavola di pino spessa tre dita salva l 'uomo, ma soltanto Tyche » 145. Lo abbiamo esposto sopra 146. « Tabula distinguitur unda », diceva Giovenale 147.

1 4 3 ALCIFRONE, Epistolae ptscatoriae, 3 (SCHEPERS, p . 4s). LESKY

p. 274. 1 , 4 ARCHITA in Diogene Laerzio, 1, 103 (HICKS I, p. 108, 1. 1-3). 1 4 5 D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64 ( B U D E II, p . 190, 1. 23-25). 1 4 i Cfr. sopra, a p. 40US.; 573. 147 Sat., 14, 289 (Friedlander, p. 570).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 771

La storia letteraria della nostra tabula inizia con le storie classiche di "viaggi marini, l'Odissea e la saga degli Argonauti. Nei canti dei naufraghi di questa sto­ria si tratta sempre della salvezza degli eroi su una tavola di legno della nave lamentevolmente spezzata. Questo legno salvatore in Omero è un pezzo degli assiti con cui Ulisse costruisce la sua zattera (σχεδία) (V.323), oppure un pezzo della carena (XIX,278), oppure un tavolone (δόρυ), su cui il naufrago si getta come su di un cavallo (V,37o), ο infine un pezzo dell'albero spaccato, che Zeus Kronios offre benigno (XIV,3ii). Il legno della salvezza è un pezzo delle pareti della nave, di cui parla il canto: « Acqua scatenata strap­pava gli assiti (σανίδες) dalla chiglia» (XII,420ss). Queste sono le parole della storia primitiva della tabula naufraga. Ritorno e felicità di Ulisse sono decise su queste tavole del supremo pericolo di vita. Ciò ci ricorda (in una digressione, che mostra quanto fosse cara e vicina all'uomo navigatore questa immagine) l'altra classica storia di avventura e di naufragio, Sind-bad il Navigatore, il quale racconta : « Io combattevo per la dolce vita, fino a che Allah l'Onnipotente mi gettò sul cammino una tavola della nave, a cui mi afferrai e su cui mi issai » 148. La letteratura ellenistica degli Argonauti ha imitato il canto omerico. APOL­LONIO RODIO fa salvare i quattro figli di Phrisso da rabbiosa tempesta marina su un vigoroso pezzo di trave (κρατερω δούρατι) 1 4 9. Ai tempi dei Romani si venerava ancora una tavola dell'antica nave leggen-

1 4 8 Die Erzàhlungen aus den tausend una ein Ndchten (ed. FELIX P. GKEVE), Lipsia 1908, v. 7, p. 158S.

14s Argonautka, 2, 1120S (MEECKEL, p. 259).

772 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

darla degli Argonauti come vera tabula salutis. MAR­

ZIALE l'ha così cantata:

« Fragmentum quod vile putas et inutile lignum haec fuit ignoti prima carina maris. Saecula vicerunt. Sed quamvis cesserit annis sanctior est salva parva tabella rate »150.

I rottami di nave erano quindi per gli antichi non soltanto un passato mitico, ma un presente quotidia­no, spesso temibile. Il mare sputa tutto sulla terra, dice STRABONE: sugaro, cadaveri umani e tavole di nave 151. Si credeva che simili rottami di antichi nau­fragi si trovassero pietrificati nel tempio di Ammone in Egitto152. I Tessali, come narra ERODOTO

153, si costruivano una parete con i tavoloni di navi naufra­gate. E, con una forza immaginifica intramontabile, ESCHILO canta nei Persiani la memorabile battaglia na­vale di Salamina: « ... non si poteva più vedere il mare, pieno di rottami e di morti »154.

Cosa farai in un naufragio, chiede EPITTETO, quando l'albero si sfascia e tu levi grida verso gli dei? « Non afferrerai un pezzo di legno e non ti porrai su di es­so »155 ? SENECA nelle Troadi conta con stoica saggezza di un naufrago che fu rigettato nudo sulla terra, ma si consola al pensiero, che è una disgrazia accaduta

150 Epigr., 7, 19 (FRIEDLANDEK I, p. 482S). 151 Geogr,, 1 (MULLER-DUBNER, p. 44, 1. 43). 152 Ivi (p. 41, 1. 5). 153 Hist., 7, 191, 1 (KAIXENBERG II, p. 230, 1. 7s). i54 persimit 4195 (MURRAY, p. 69). 155 Dissert., 2, 19, 16 (SCHENKL, p. 192, 1. 9).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 7 3

a moltissimi, come attestano le tabulae gettate qua e là a riva sulle coste:

« Qui secans fluctum rate singulari nudus in portus cecidit petitos aequior casum tulit et procellas mille qui ponto pariter carinas obrui vidit tabulasque latus naufraga »156.

Ciò che il romano chiama tabula, presso i greci era denominato σανίς (anche gli Atti degli Apostoli, nel descrivere il naufragio, si servono di questa espres­sione (27,44), che la Volgata traduce con tabulae). In LUCIANO le σανίδες sono i tavoloni bagnati che con­ducono giù verso la αντλία, la sentina, verso l'ambien­te inferiore della nave 1 5 7. Su una simile σανίς si è salvato una volta un naufrago sulle coste tessaliche, ma era appena giunto a terra nella notte della tempe­sta marina, che un leone lo dilaniò : « Ο flutto marino, come sei più fidato che la terra ferma » ! esclama l'epi­grammista 158. In TERTULLIANO, come mostreremo più sotto, incontriamo anche la parola planca, ed anche questa significa rozzo tavolone 159. Ora colui che veniva salvato da un naufragio su di una simile tabula, era sem­pre uno reso insperatamente alla vita ed era pieno di

ΐ5β i^ Ttoadi, 1030-35 (HERMANN, p. 99). - Cfr. anche Ercole Oet., n j s : « N o n puppis lacerae fragmina conligit, ut litus medio speret in aequore ».

" ' Jupiter trag., 48 (JACOBITZ II, p . 374, 1. 3is). 1 5 8 Anthologia graeca, 7, 289 (BECKBY II, p . 172). 1 5 9 U n termine altrimenti raro. In PALLADIO, De re rustica, 1,

21 (SCHMITT, p. 24) significa i tavoloni con cui si ricoprivano le scu­derie : « Plancae roboreae supponantur stationibus equorum ».

774 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

riconoscenza verso i Celesti. Sappiamo da GIOVENALE

che i naufraghi salvati votavano a Iside delle raffigu­razioni della disgrazia 160. Il povero diavolo, che veniva sputato nudo sulla terra ferma, elemosinava qualche moneta, mostrando una raffigurazione del naufragio 161. Egli cerca consolazione presso i compagni della me­desima sventura, come dimostra un frammento di PETRONIO:

« Naufragus eiecta nudas rate quaerit eodem percussum telo qui sua fata legat »162.

Perciò MARZIALE mette in guardia contro quei mendi­canti, che mostrano un pezzo di rottame di un nau­fragio avvolto nella lana e con molte parole chiedono la elemosina : « Nec fasciato naufragus loquax trunco » 163. Ciò era talmente risaputo, che Orazio poteva servir­sene immaginosamente, là ove descrive come se si fosse salvato a stento dal naufragio dell'amore: prova di ciò sarebbe la tabula votiva, che egli ha offerto al potente dio del mare appendendola alla parete del san­to tempio assieme alle vesti bagnate:

«... me tabula sacer votiva paries indicat uvida suspendisse potenti vestimenta maris deo » 164.

160 Sat., 12, 22-28 (FRIEDLANDER, p. 513). G. LAFAYE, Histoire du eulte des divinités d'Alexandrie hors de l'Egypte, Parigi 1884, p. 20OS, narra delle piccole navi votive consacrate a Iside, che furono trovate presso S. Maria in Navicella a Roma.

181 Giovenale, Sat., 14, 301S (FRIEDLANDER, p. 571). 162 Frammento 32 (BUCHELER, p. 121). 103 Epigr., 12, 57, 12 (FRIEDLANDER II, p. 249). 1 8 4 Ode I, 5, 13-16 (KIESSLING-HEINZE, I, p. 33).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 7 5

La tabula post naufragium era l'ultima cosa che re­stituiva tuttavia la vita al naufrago. E così ora possia­mo comprendere meglio, quando, nelle Saturae di PETRONIO, Eumalpo si rivolge al cadavere di Lichas, il padrone della nave rigettato sulla spiaggia, con le parole : « De tam magna nave ne tabulam quidem naufragus habes »165.

Da quanto detto si comprende che dalla forza del­la viva esperienza navale poteva sorgere anche un'im­magine oratoria popolare e espressiva. Gli antichi par­lano continuamente della tavola della salvezza. La σχεδία, il pezzo di legno salutifero della zattera di Ulisse, ha ricevuto nel Fedone di PLATONE una nuova indimenticabile forza simbolica. Adesso è la filosofia, che diventa l'audace ma pericoloso viaggio marino dell'uomo che pensa: anche in essa si danno dei nau­fragi, dai quali ci riconduce a terra, non più una buona nave, ma una semplice tavola di legno. Il saggio « deve lasciarsi dire come vanno le cose, anche se ciò nella vita attuale è molto diffìcile ο impossibile, oppure lo deve trovare egli stesso, oppure ancora se ciò fosse impossibile, deve assicurarsi almeno la migliore e ir­refutabile dimostrazione umana e su di essa, come su di una zattera (ώσπερ επί σχεδίας κινδινεύοντα διαπλεϋσαι τον βίον), pilotare fiducioso attraverso la vita, nel caso che qualcuno non abbia la ventura di veleggiare, sicuro e senza pericoli, su una forte nave, ossia una parola quasi divina »166. Un frammento di EURIPIDE, conservatoci da PLUTARCO, dice soltanto con

una debole applicazione dell'immagine : « Persino su

1 6 6 Sat., 115, 13 (BUCHELEH, p. 8 j , 1. 17S). 1 8 i Fedone, 85 D.

776 L 'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

di un giunco tu puoi viaggiare per mare, se dio lo vuole »167. LUCIANO lo ha imitato 168. Tale salvezza è propriamente un dono divino. Tahulam naufrago dare è anche per il Romano il concetto figurato di un be­neficio che salva la vita, la cui incomparabilità con­siste in un sorprendente contrasto con la pochezza del piccolo pezzo di legno. La tavola ha più valore di un patrimonio. Lo ha detto SENECA: « Dedi ubi pa-trimonium-sed ego naufrago tahulam » 169 ! In un esercizio retorico di declamazione dello Ps. QUINTILIANO si narra che ad una città affamata, dopo lunga esitazione, viene mandato un mercantile carico d'ogni bene, che però trova soltanto dei morti. Questo è un naufragio nel porto; invece del piccolo aiuto, che avrebbe salvato la vita, giunge ora un tesoro divenuto inutile : « In portu naufragami fecimus et frumentum ad ancora perdidi-mus... naufrago tabulani abstulisti, mortuo applicas navem » 17°. L'immagine fa dunque parte dell'arse­nale dei retori. VALERIO MASSIMO narra che a Bo­logna un galante signore fu colto in flagrante e fu denunciato per adulterio, ma potè salvarsi con una fuga difficile: egli ha trovato una tavola giuridica di salvezza nel minaccioso naufragio : « Inter maximos et gravissimos infamiae fluctus emersit, tamquam fra-gmentum naufragii leve admodum genus defensionis amplexus » m. Questo è l'ambiente spirituale e lette­rario, in cui ora comprendiamo, come la nostra tabula

1 , 7 De Pythiae oraculis, 22 (POHLENZ-SIEVEKING IH, p. 49 ,1 . 11) = EURIPIDE, frammento 397.

1S3 Hermot., 28 (JACOBITZ I, p. 352, 1. 23s). 168 De beneficiis III, 9 (Hosius, p. 57, 1. 26). 170 Dedam. 12, 23: Pasti cadaveris (ed. Bipontina III, p. 273). 171 Facta et dieta memorabilia, 8, 1, 12 (KEMPF, p. 371, 1. iós).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 777

naufragii potesse penetrare anche nella retorica filoso­fica, morale e giuridica di CICERONE e non c'è alcun dubbio che proprio da questo ambiente anche TERTUL­

LIANO e LATTANZIO, i retori e moralisti cristiani, ab­biano desunto l'immagine della tavola della salvezza. Nel libro Sui doveri Cicerone, seguendo il modello di Ecatone, propone il seguente caso: cosa succede, quando un naufrago saggio e uno stolto si disputano l'unica tavola della salvezza? « Si tabulam de naufragio stultus arripuerit, extorquebitne eam sapiens, si potue-rit ? » Ecatone ha definito la cosa immorale e ne ha trat­tato a fondo nel sesto libro della sua opera : « Quid, si una tabula sit, duo naufragi eique sapientes, sibi uter-que rapiat an alter cedat alteri»?172. Il caso morale viene quindi discusso ulteriormente e ci mostra che per questi uomini antichi era naturale fissare l'attenzione su questi eventi quotidiani (non altrimenti avverrà in Tertulliano e Gerolamo). LATTANZIO a sua volta ha ripreso direttamente da Cicerone il medesimo proble­ma : « Sed concedamus posse fieri quod proponit phi-losophus: quid ergo iustus faciet, si nactus fuerit aut in equo saucium aut in tabula naufragum ? Non invitus confiteor : morietur potius quam occidat » 173. Questa è la soluzione cristiana del caso della tabula naufragii. Concludiamo questo viaggio attraverso la preistoria della tabula con una frase della storia tempestosa della politica romana al tempo di Cesare. CICERONE va in giro gloriandosi dell'amicizia con il temuto potente, che gli è restata come unico bene nel naufragio della politica e se ne ricorda con amara commozione: «Et

"a De offiàL·, 3, 29, 30 (OHELL IV, p. 73IS). "» Div. Inst., 5, 17, 20 (CSEL 19, p. 455, 1. 14-16).

778 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

mehercule cum Caesare suavissimam coniunctionem -haec enim me una ex hoc naufragio tabula delectat » 174.

Passando ora a descrivere la storia cristiana della tabula naufragii, dobbiamo affermare sin dall'inizio: non la teologia greca, ma soltanto quella latina si è servita di questa immagine in un contesto dogmaticamente importante sotto l'influsso determinante di TERTULLIANO,

che ha reso popolare tale simbolo nautico nella dottri­na penitenziale. Ciò conferma il nostro assunto, che qui, da un punto di vista della storia letteraria, si tratta di un tema ereditato dalla retorica romana, che abbia­mo incontrato in Cicerone e Quintiliano. È perciò tanto più importante stabilire che cosa abbia inteso dire effettivamente la teologia penitenziale latina, quando parlava della tabula naufragii.

Si tratta, come si sa dagli studi sulla storia antica della penitenza cristiana17S, della difficile questione, che in tutti i tempi ha occupato le menti dei teologi: può un cristiano riacquistare la salvezza perduta dopo il battesimo a causa del peccato? Detto ora in termini nautici: c'è ancora per lui una salvezza, quando per sua colpa è « caduto in mare » dalla nave della Chiesa oppure quando la nave dell'anima della sua fede e del­la sua moralità è andata perduta nel naufragio del pec-

"4 Epistola ad Attìcum, 4, 18, 3 (OKELL HI, p. 464, 1. 2$s). 1 ,5 Per la teologia penitenziale di Tertulliano ricordiamo il re­

cente studio in J. QUASTEN, Patrology, Utrecht-Antwerpen 1953, v. 2, p. 301S; 314S; 335. - Cfr. B. POSCHMANN, Paenitentia Secunda. Die kirchliche Busse im altesten Christentum bis Cyprian una Origenes, Bonn 1940, p. 283-34S. - K. RAHNER, Zur Theologie der Busse bei Tertullian (Festschrìft fur Karl Adam), Dusseldorf, 1952, p. 139-167 (vers. ital. in La penitenza della Chiesa, Roma , 2 ed., 1969). - J. GROTZ, Die Entwicklung des Bussstufenwesens in der vomizànischen Kirche, Fri­burgo 1955, p. 343-370.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 7 9

cato? C'è anche in questa sfera della salvezza eterna un qualcosa di simile ad una tavola, che faccia da me­diatrice tra morte e vita? Gerolamo ha formulato acu­tamente la risposta in una lettera che parla della tabula naufragii : « Non c'è cosa intermedia tra morte e vita. Le due cose stanno tra di loro in netta opposizione; e tuttavia vengono connesse insieme mediante la peni­tenza »176.

Iniziamo dunque con l'esposizione della simbolica nautica nella teologia penitenziale di TERTULLIANO. LO

sappiamo già: è il Tertulliano ancora cattolico, che parla e può parlare della tabula della penitenza. Cosa abbia pensato di questa questione da montanista, ce lo ha indicato la sua esegesi di iTim 1,19: dopo il nau­fragio nella fede, per il peccatore non c'è più speranza di ottenere la salvezza che viene data attraverso la Chie­sa 177. Ben altrimenti parla nel suo periodo cattolico; l'opuscolo della penitenza ne è il classico testimone. Nel quarto libro incontriamo per la prima volta nella let­teratura cristiana l'immagine della tavola della salvez­za. In questa prima parte dell'opera si tratta, com'è risaputo, dei sentimenti penitenziali prebattismali del catecumeno, i quali preparano a ricevere effettivamente la remissione dei peccati nel battesimo. A tale scopo Tertulliano predica (e non si può perdere di vista que­sto carattere omiletico del libro, ragion per cui, anche l'immagine della tabula appartiene agli elementi fonda-damentali della catechesi battesimale latina) : « Ergo pae-nitentia vita est, quae proponitur morti. Eam tu, pec-cator...ita invade, ita amplexare, ut naufragus alicuius

"· Epistola 122, 3 (CSEL 56, p. 66, 1. 2s). i" De pudicitia, 13 (Corp. Christ. II, p. 13055).

780 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

tabulae fidem. Haec te peccatorum fluctibus mersum prolevabit et in portum divinae clementiae protela-bit » 178. « Così, come un naufrago si affida ad un qual­siasi pezzo di legno »: ricordiamo l'esperienza che l'uo­mo antico aveva del naufragio e del salvataggio, per sentire quanto fosse eloquente questa immagine per i catecumeni dell'Africa. Il naufragio, che qui viene sup­posto, è in ultima analisi il peccato originale di Adamo, da cui derivano tutti i peccati degli uomini non redenti. Adamo infatti viene chiamato poi espressamente « stir-pis humanae et offensae in Dominum princeps »179. La tempesta marina, che provoca continuamente il nau­fragio, è lo stato di peccaminosità dopo il peccato ori­ginale : « Tot et tanta delieta humanae temeritatis a principe Adam auspicata » 18°. Il porto della misericor­dia divina è la salvezza mediante il battesimo e in questo porto si giunge dopo il naufragio sulla tavola dei sen­timenti della penitenza. Questa « prima » tabula post naufragium è dunque la penitenza prebattismale.

Lo vediamo: le immagini provenienti dal campo nautico si compenetrano l'un l'altra. Questa prima ta­vola della salvezza porta come immediatamente al por­to salvifico, in una sicurezza apparentemente defini­tiva. In questa abbreviazione retorica dell'immagine, non si parla della nave della Chiesa sulla quale (secon­do la dottrina di Tertulliano riferita altrove) 181 si viene

178 De paenitentia, 4, 2, 3 (Corp. Christ. I, p. 326, 1. 6-12). "· De paenitentia, 12, 9 (Corp. Christ., I, p. 340, 1. 395). 180 De paenitentia, 2, 3 (Corp. Christ. I, p. 322, 1. 8s). 181 Per il simbolismo della nave di TERTULLIANO, cfr. De bap-

tismo, 12 (Corp. Christ. I, p. 288, 1. 38-43): « Navicula illa figuram Ecclesiae praeferebat ». - De pudicitia, 13, 20 (Corp. Christ. II, p. 1306, 1. 1): « Solarium navis Ecclesiae». - L'uomo come nave: De

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 8 1

presi mediante il battesimo. Ma così il problema della teologia penitenziale diviene tanto più acuto: anche questo salvato nel porto del battesimo può come dimo­stra l'esperienza, subire ancora naufragio. Come può allora conciliarsi la possibilità di una rinnovata salvezza con l'unicità definitiva dell'arrivo in porto? Può uno « sbarcato » subire ancora naufragio nel porto ? D'altra parte è cosa certa per Tertulliano che mediante il bat­tesimo « la chiave del perdono » 182 fu chiusa una volta per sempre. Qui s'inserisce la sua dottrina della paeni-tentia secunda. Solo una volta ancora Dio porge al pec­catore battezzato il rimedio della penitenza presente nella Chiesa. In linguaggio nautico: al cristiano dive­nuto nuovamente naufrago nel porto del battesimo, Dio ancora una volta invia una tavola salvifica quale secunda, immo iatn ultima spes183. È l'exomologesi, la penitenza sacramentale che riconcilia alla Chiesa e ri­conduce nuovamente al porto. Tertulliano ne parla a partire dal settimo libro. Egli lo fa però con esitazione, per evitare che i cristiani si lascino andare facilmente all'immoralità a causa di questa possibilità di remissio­ne rinnovata ο rinnovabile a piacere. Proprio questa strana esitazione diviene più comprensibile mediante la immagine della tabula post naufragium offerta ancora una volta da Dio. Il cristiano dovrebbe essere veramente co­me un navigatore, che non sfida il cielo con naufragi provocati più volte (da quanto detto sopra conoscia­mo quest'atteggiamento dell'uomo antico). Siamo sfug-

resurr. carnis, 60, 6 (Corp. Christ. II, p. 1009, 1. 30-35). De anima, 52, <5 (p· 859). - Altri ricordi nautici: De corona (p. 1051, 1. 15S). Adversus Vaientimanos, 12, 2, 3 (p. 763, 1. 7-11).

«a De paenitentia, 7, io (Corp. Christ. I, p. 333, 1. 35). 183 Ivi, 7, 2 (p. 332, 1. 4s).

782 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

giti una volta al naufragio dell'anima salvandoci sulla tavola della penitenza battismale; una sola esperienza può bastare, poiché tutte quelle ulteriori significhereb­bero tentare Dio : « Evasimus semel : hactenus pericu-losis nosmetispsos inferamus etsi iterum evasuri vide-rtiur. Plerique naufragio liberati exinde repudium et navi et mari dicunt »1 8 4 . Tuttavia, anche il Tertullia­no già severo sin da allora non può passare sotto si­lenzio il potere di rimettere i peccati per lo meno una volta, dato da Dio nella Chiesa. Se il battesimo era la « prima » tavola della salvezza, ora l'exomologesi è la seconda tavola su cui possiamo salvarci. L'una e l'altra vengono numerate come prima e seconda in base al loro rapporto col naufragio del peccato originale e dei peccati postbattismali dei cristiani derivanti dalla colpa di Adamo. Anche questi peccati infatti, non sono altro che nuove partecipazioni al delictum di Adamo, all'unico decisivo naufragio dell'umanità. E la salvezza è precisamente soltanto una: il ritorno nel porto, os­sia: divenire insieme ad Adamo un restìtutus in para-disum 185. Battesimo e penitenza sono dunque le dune humanae salutis quasi plancae lse.

Proprio in questa contrapposizione tertullianea delle due tavole quali simboli del battesimo e della peniten­za, c'è un punto di inserzione per molti problemi teo­logici che solo molto più tardi furono ripresi, ο che, quando sono stati trattati nell'antichità cristiana, non lo furono con l'ausilio dell'immagine delle tabulae 187.

184 Ivi, 7, 4. 5 (p. 333, 1. 13-16). 185 Ivi, 12, 9 (p. 340, 1. 40S). 186 Ivi (1. 3 Ss). 187 Cfr. i testi patristici in P. GALTIER, De Paenitentia, Parigi 1931,

P- 97-100.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 8 3

Le cose stanno così: se, a partire da Tertulliano, seguia­mo il motivo della tabula post naufragium attraverso la teologia dei Padri, costatiamo che essa viene usata ra­ramente e che quel punto di vista della teologia peni­tenziale non svolge il compito, che, in base a Tertul­liano, ci si sarebbe aspettato. Giò dipende da due moti­vi. Primo: la mentalità nautica va perdendosi presso i Padri della « terra ferma » e con essa anche la compren­sione di questa immagine, alimentata dalla vita, al punto che il comune simbolo del naufragio resta un semplice topos letterario. L'espressione della tabula so­pravvive al massimo nella sapienza dei proverbi ο presso l'uno ο l'altro Padre, la cui retorica deriva dalla scuola di Cicerone. Secondo: a questa immagine, con­siderata dal punto di vista della storia del dogma, è collegata troppa di quella « irrepetibilità » dell'antica prassi penitenziale cristiana, prassi che per Tertulliano e per il periodo che va sino alla fine dell'antichità era ancora naturale in diversa misura. Per questi motivi l'ulteriore storia della nostra tabula si sviluppa così: il simbolo diventa ancora una volta vivido in GEROLAMO,

che non ha mai dimenticato la scuola retorica romana: affiora qua e là dove si può supporre l'influsso immedia­to di Tertulliano; ma, in tutto il periodo carolingio e prescolastico (per quanto abbiamo potuto appurare dopo faticose ricerche), non viene mai usato. Solo nella scolastica primitiva, con il suo nuovo e profondo inte­resse per i problemi di teologia sacramentaria, fu nuo­vamente scoperta (e precisamente in Gerolamo) e ri­cevette nella teologia penitenziale quell'importanza, contro cui Lutero e Calvino elevarono la loro protesta. Per conseguenza la tabula naufragii ebbe il dovuto ri-

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conoscimento anche nel Concilio di Trento e nelle opere dei teologi posttridentini viene citata come una classica glossa antica.

Descriviamo in breve questo sviluppo. La teologia penitenziale del quarto secolo aveva dovuto difendersi contro la negazione della possibilità della remissione dei peccati capitali fatta dai Novaziani, la cui dottrina in ultima analisi aveva lo stesso spirito di quella del mon-tanista Tertulliano. Senza dubbio in queste polemiche ci si ricordava anche della possibilità, sostenuta dal Ter­tulliano cattolico, di una salvezza possibile almeno una volta al peccatore battezzato sulla « seconda tavola della salvezza ». Nell'opera classica di questa polemica con­tro i Novaziani, il libro De paenitentia di AMBROGIO,

non si incontra (per quanto gli sia vicino in molti passi) l'immagine della tabula. Ma che questa non fosse stata dimenticata, lo dimostra la prima lettera di PA-CIANO DA BARCELLONA, che si occupa a fondo della dottrina penitenziale dei Novaziani. In fondo Paciano si trova ancora sulle posizioni del cattolico Tertulliano: parla con esitazione della possibilità di una sola remis­sione penitenziale e si augura che questa penitenza sa­cramentale non sia mai necessaria: « De paenitentia vero Deus praestet, ut nullis fidelibus necessaria sit, nemo post sacri fontis auxilium foveam mortis incurrat »18S. Tuttavia Dio ha lasciata aperta questa possibilità ed essa va difesa con ogni premura contro la superba iu-stìtia dei Novaziani. Se la remissione penitenziale è un dono che Dio concede nella Chiesa, la remissione me­diante il sacerdote è operazione di Dio : · « Non largi-

Epistola i, s (PL 13, 1055 C) .

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 8 5

mur ista de nostro »189. E qui Padano si ricorda del­l'immagine della tabula (forse in dipendenza da Ter­tulliano, ma più probabilmente dalla sapienza dei pro­verbi dell'uomo antico, di cui parlammo più sopra). Naufrago tabularti dare : questa era a suo tempo per Seneca la personificazione della bontà che dona: naufrago ta­bularti eripere, questa era in Cicerone e Lattanzio la per­sonificazione della mancanza di misericordia. Di que­sta mancanza di cuore spirituale sono colpevoli i No-vaziani, così fieri della loro purezza dai peccati, quando negano la possibilità della penitenza. Invece il cristiano cattolico (la cui natura « cattolica » Paciano loda in questa lettera) non deve più peccare dopo il battesimo, ma qualora pecchi, va incoraggiato a sottomettersi alla penitenza, poiché ha ancora la tavola, che i Nova-ziani gli vogliono sottrarre : « Pigeat sane peccare, sed paenitere non pigeat. Pudeat periclitari, sed non pudeat liberari. Quis naufrago tabulam, ne evadat, eripiet » 190 ?

Che nell'espressione tabula naufragii spesso si tratti di una reminiscenza dalla letteratura classica, ce lo di­mostra una lettera di PAOLINO DA NOLA in un conte­sto che con la vera storia della penitenza non ha nulla a che vedere. Un suo amico di nome Giovio, un colto fantasticone, sentiva la tempesta del mare di questa vita come effetto di un triste fato. Paolino lo tranquil­lizza, dimostrandogli ch'egli non sa vedere la meravi-

ia> Ivi (1056 A). 190 Ivi (p. 1056 A). Cfr. per ciò B. POSCHMANN, Die abendlin-

dische Kirchenbusse im Ausgang der christlichen Altertums, Monaco 1928, p. 144-147. - E. GOILER, Analekten zur Bussgeschichte des vierten Jahr-hunderts, in Rom. Quartalschrifi 36 (1928) p. 245-261. - Che PACIANO sia stato influenzato da TERTULLIANO, lo dimostra per un altro passo B. POSCHMANN, Paenitentia Secunda, p. 323, nota 2.

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gliosa struttura di questa « nave del mondo » (mirabi-lem illam navis iactatae salutem) 191. Il cristiano invece la sa scorgere, ma soltanto quando sfugge ai flutti del mare del mondo ed evita le tentazioni dei lotofagi e delle sirene, come un Ulisse spirituale sulla tavola della salvezza. Infatti ovunque ci minaccia il naufragium salu-tis. Qui si inserisce il ricordo del pezzo di legno, su cui si salvò Ulisse: è la tabula della salvezza, che il cri­stiano deve afferrare. Questo legno salva soltanto nella forza della croce di Cristo: così Paolino trasfigura la immagine antica in una profondamente cristiana. Egli scrive all'amico: « Atque utinam vel nudis nobis ex istius mundi salo liceat evadere, si in tempore isto quo in fragilitate corporea et possessionum lubrico tam-quam in, navigli fatiscentis infida compage fluitamus... fidem salutarem qua in virtute Christi Dei vexillo crucis nitimur, quasi tabulam perfugii meminerimus invadere » 192. Già Tertulliano aveva parlato del invadere tabulam; forse Paolino se ne ricorda. In ogni caso egli parla chiaramente di penitenza che salva dal naufragio utilizzando l'immagine del legno della croce, con il quale la nave della Chiesa è costruita.

Della salvezza penitenziale su questa tavola parla anche l'autore, ancora sconosciuto (forse si tratta di NICETA DI R_EMESIANA)

193, di una ammonizione ad una vergine caduta, che per i suoi peccati si era assogget­tata alla penitenza a vita. Essa viene cosi esortata dal vescovo : « Sed tu quae iam ingressa es agonem pae-

191 Epistola 16, 6 (CSEL 29, p. 120, 1. 3s). 1M Epistola 16, 8 (p. 122, 1. 3-9). 193 Cfr. Clavis Patrum Latinorum, Steenbrugge, 1951, ρ. ι ό ,

n. 651.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 8 7

nitentiae, insiste misera. Fortiter inhaere tamquam in naufragiis tabulae, sperans per ipsam te de profundo criminum liberari. Inhaere paenitentiae usque ad extre-mum vitae, nec tibi praesumas ab humana die veniam dari » 1 9 4 . Proprio da questa testimonianza vediamo che l'immagine della tavola della salvezza si regge in piedi ο cade in dipendenza dalla prassi penitenziale antica di un perdono dato soltanto una volta. La distinzione dei peccati capitali dalle altre trasgressioni cristiane si de­linea anche nella simbolica nautica penitenziale: quel­li sono un naufragio, questi sono soltanto la nave del­l'anima che si è messa a far acqua. Così, comprendiamo le prediche penitenziali di CESARIO DI ARLES e i suoi paragoni marittimi. Egli ammonisce i cristiani a rat­toppare continuamente la nave dell'anima, quando si è rotta a causa della superbia ο si è messa a imbarcare acqua a causa della sensualità 195. Altrimenti vi penetrano « le onde del peccato »196. Ma c'è anche un vero naufra­gio, soprattutto nel peccato capitale della lussuria, e da questa disgrazia ci salva ancora una volta soltanto la tavola proveniente dalla nave che, essendo stata co­struita da Dio stesso, ha una vivificante partecipazione alla fecondità salvifica della Chiesa: essa porta il pec­catore al portus paenitentiae, ove gli viene restituita vita e salvezza. « Qui se cognoscit de litore continen-tiae tempestate libidinis in pelago luxuriae fuisse iacta-tum et castitatis incurrisse naufragium, peccatorum con-

1.4 De lapsu virginis consecratae, 8 (PL 16, 397 A). 1 .5 Sermo 56, 2 (MORIN I, p. 239). 194 Sermo 196, 4 (MORIN I, p. 751). Sermo 136 (p. 576).

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fessionem velut tabulam fractae navis velociter ad-prehendat »197.

Abbiamo già accennato, che in GEROLAMO, sotto lo influsso della retorica romana, soprattutto di Quinti­liano e di Cicerone 198, l'immagine della tabula torna in tutta la sua freschezza non solo in connessione con la dottrina penitenziale, ma, ampliando molto di più il suo significato, anche come trito proverbio popolare. Gerolamo, che nei suoi viaggi marittimi si ricorda vo­lentieri delle avventure di Ulisse e di Enea, ama le im­magini e i paragoni nautici199. Il mugghio del mare e lo squallore del naufragio corrispondono al suo tem­peramento passionale. Mentre le onde della polemica origenista erano ancora alte, egli si ricorda della pro­pria educazione: in gioventù ha amato caldamente Origene, mentre poi lo ha avversato con uguale ca­lore come doromaticamente sospetto. In una lettera agli amici romani Pammachio e Oceano dipinge que­sto periodo giovanile e il pericolo del naufragio nella fede, in cui venne a trovarsi a causa di Origene. Egli ne ha fatto in certo qual modo penitenza, avendo ri­conosciuto questi peccati scientifici di gioventù; nes­suno dovrebbe seguirlo nei peccati, bensì imitare la

1 9 ' Sermo 66, ι (p. 270). Per la dottrina penitenziale di Cesario cfr. C. VOGEL, La discipline pénitentielle en Gante des origmes a la fin du Vile siede, Parigi 1952, p. 79-148.

1 , 8 Cfr. in QUINTILIANO, 8, 6, 44-50 (RADERMACHER, ρ. 124-126) la raccolta di paragoni nautici di Cicerone, ove tra l 'altro afferma che il linguaggio poetico a volte dice anche abietes invece di tabellae: 8, 6, 20 (p. 117, 1. 25). La nostra tabula dunque va identificata con quel legno di abete, con cui si costruivano le pareti della nave e la croce.

1 9 8 Apologia adversus Rufinum, 22 (PL 23, 473 B). Altre immagini nautiche nelle lettere di GEROLAMO: EJJ. 123, 14. 15 (CSEL 56, p. 89, 1. 7; p . 91, 1. 17). _ Ep. 125, 9 (p. 128, 1. 11).

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sua conversione: e proprio qui gli sovviene la sapien­za sentenziosa della tavola nel naufragio. « Secunda post naufragium tabula est, culpam simpliciter confìteri. Imitati estis errantem, imitamini et correctum » 20°. Teniamolo bene a mente: questo è il linguaggio di Gerolamo nel suo contesto vivo, che poi, come un fossile pietrificato, mediante il Decretum Gratiani do­veva sopravvivere nella dottrina penitenziale della sco­lastica primitiva sotto forma di glossa di una auctoritas. Nella sua origine immediata esso non ha nulla a che ve­dere con la teologia della penitenza: un classico esem­pio, questo, dell'avventura verbale di un cosiddetto « luogo patristico ». Tuttavia, dal modo in cui Gerola­mo usa qui l'espressione, possiamo dedurre che essa gli è pervenuta dall'ambito della teologia penitenziale cri­stiana. Egli infatti parla della « seconda » tavola dopo il naufragio: cosa che, in verità, si comprende sol­tanto nel contesto della dottrina penitenziale, che co­nosciamo da Tertulliano e che certamente continuava ancora a vivere nella catechesi battesimale. Che sia così, ce lo dimostrano chiaramente altre lettere di Gerola­mo. Nella sua poderosa missiva alla vergine Demetria, anch'egli parla della possibilità che ha il battezzato di compiere la penitenza. Ammette anche lui che per il cri­stiano battezzato non ci dovrebbe essere più alcuna peni­tenza, e in particolar modo quando si tratta di una ver­gine consacrata. Ma ora sentiamo quella che è forse l'eco più pura della catechesi battesimale : « Veruna nos igno-remus paenitentiam, ne facile peccemus. Illa quasi se­cunda post naufragium miseris tabula sit: in virgine

»° Epistola 84, 6 (CSEL 55, p. 12S, 1. Ss).

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integra servetur navis» 201. Cosi la sua parola ammoni­trice si rivolge (con la stessa problematica dell'opusco­lo dello Ps. - AMBROGIO ad una vergine caduta), ad una fanciulla in Gallia, che viveva in circostanze moral­mente dubbiose con un chierico sotto uno stesso tetto e di cui si parlava molto. Il predicatore della penitenza l'ammonisce di ristabilire la sua fama almeno median­te un matrimonio pubblico, poiché questa è l'ultima e migliore maniera di far penitenza: « Si corrupta es, cur non palam nubis? Secunda post naufragium tabula est, quod male coeperis saltem hoc remedio tempera­re » 202. Un brano ancor più oscuro della storia della teologia del peccato nel cristianesimo antico è la let­tera, che Gerolamo scrive allo scellerato diacono Sabi-niano. Anche qui la possibilità di penitenza appare come grazia concessa ancora una volta, però Dìo parla così al peccatore utilizzando Amos 1,3: «Io porgo al caduto la mia mano e lo supplico, lui che si è imbrat­tato con il suo proprio sangue, di purificarsi con le lagrime della penitenza. Se egli non compie la peni­tenza e dopo il naufragio non vuole afferrare la tavola salvifica (quodsi nec paenitentiam vult agere etfracto navigio tabularti, per quam salvati poterai, non retentai), allora io sono costretto a dirgli: ' Non debbo io, dopo tre ο quattro sue defezioni, volgere il mio sguardo lontano da lui?' » 2 0 3. Ricordiamo un ultimo testo di Gerolamo, che fu conosciuto più tardi mediante la Glossa interli-nearis e che, a causa della sua oscurità procurò molti rompicapo ai teologi dell'alta scolastica. Essa proviene

*01 Epistola 130, 9 (CSEL 56, p. 189, 1. 3-6). Ma Epistola 117, 3 (CSEL 55, p. 425, 1. 13-15). 203 Epistola 147, 3 (CSEL 56, p. 317, 1. n s ) .

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dal commento a Isaia. Is 3,9 paragona i peccati di Ge­rusalemme a quelli dei sodomiti, che si macchiavano senza vergogna: « Et peccatum suum quasi Sodoma praedicaverunt nec absconderunt ». Gerolamo nota : « Secunda enim post naufragium tabula est et conso­latio miseriarum impietatem suam abscondere » 204. Il testo, con un ragionamento un pò tortuoso, vuol dire: l'inizio di un ritorno penitente comporterebbe almeno di non commettere più pubblicamente i peccati come facevano i sodomiti. E poiché parla di penitenza, Gero­lamo pensa all'espressione a lui familiare, della tavola della penitenza; il che prova, una volta ancora, che si tratta di un luogo comune della catechesi, di cui più tardi non ci si ricorda più, dato che la connessione ori­ginaria delle sue piaticele salutis, il battesimo e la peni­tenza, non viene più vista cosi chiaramente nella dot­trina dommatica. Non si ha più alcuna sensibilità per la espressività dell'immagine, che vede nelle due tavole un pezzo della nave della Chiesa, che, essendo costruita con il legno della croce, conferisce una forza salvi­fica alla tabula della penitenza. Sembra di udire come un'ultima eco dell'antica dottrina cristiana della tabula post naufragium, allorché GREGORIO MAGNO, alla fine della sua Regala pastoralis, invoca la « tavola della preghiera » e dice umilmente : « Alios ad perfectionis litus dirigo qui adhuc in delictorum fluctibus versor. Sed in huius, quaeso, vitae naufragio orationis tuae me tabula su-stine, ut quia pondus proprium deprimit, tui meriti manus me levet » 205.

Commetti, in Isaiam, 2, 3 (PL 24, 65 D). Regala pastoralis, 4 (PL 77, 128 A).

792 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

La teologia, un tempo così avida di simboli, da Isi­doro di Siviglia sino alla scolastica primitiva non sa nulla del nostro simbolo, almeno per quel che ne sap­piamo. In tutte la sue esposizioni di teologia peniten­ziale, che esercitarono tanto influsso, Isidoro non lo ha mai registrato, anche se sarebbe stato naturale farlo precisamente là, dove egli parla della relazione tra bat­tesimo e penitenza (lacrimae poenitentium apud Deum prò baptismate reputantur 206, come aveva già detto Gregorio Magno) 207. Anche nell'elogio della penitenza, che non appartiene certamente ad Isidoro, non si riscontra al­cuna espressione presa dal mondo simbolico nautico 208. Solo nel quarto libro pseudoisidoriano delle Senten-tiae si dice con un concetto a noi ben noto sin dall'an­tichità : « Peccata experti saltem post naufragium mare metuant »209. E nel cosiddetto Lamentum paenitentiae, anch'esso non attribuibile a Isidoro, l'uomo peccatore cosi prega : « Placeat, Christe, damnatum reparare nau-fragum de interitus errore »210. Ma anche su queste onde sommesse del grande mare dell'antichità e dei ?adri non galleggia alcuna tabula.

Nei commenti appartenenti ai cinque secoli che vanno sino all'inizio della scolastica primitiva, quando si giunge al passo del naufragio in iTim 1,19 sarebbe naturale incontrarvi il concetto della tavola della peni­tenza. ATTONE

2 n cita semplicemente (senza far nomi)

"· De eccl. officiis, 2, 17 (PL 83, 805 A). - Sententiae, 2, 12. 13 (PL 83, 613-617). - Etymol., 6, 71-79 (PL 82, 258S).

«" Homilia, io (PL 76, 1114B). 208 De numeris, 14 (PL 83, 1300 BD). MS Sent. IV, 55 (PL 83, U87 CD). al° Lamentum, vv. 293-295 (PL 83, 1261). Anche la lunga Oratio

prò correptione vitae (PL 83, 1261-1274) non contiene l'immagine. a l1 Expositio in epistolam I ad Timotheum (PL 134, 667 C).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 9 3

l'Ambrosiaste; lo Ps.-Aimone 212 dà una libera para­frasi dello stesso autore. Ma neppure una parola della tabula naufragii.

Così, nella storia del nostro simbolo assistiamo ad una vera rigenerazione, quando verso il 1140 GRAZIANO

scrive il suo Decretimi e nel capitolo De paenitentia, attingendo alla sua imponente conoscenza delle opere patristiche (bisognerebbe studiare più a fondo quali sono le sue fonti) 213, vi cita un'espressione, prove­niente proprio da una lettera di Gerolamo, che a dir la verità non ha nulla a che fare con la teologia della penitenza : « Secunda post naufragium tabula est culpam simpliciter confkeri» 214. Con ciò veniva spalancata una porta, che non si doveva più chiudere. Tanto più che Graziano, nell'ulteriore esposizione del suo diritto penitenziale, cita ancora una volta Gerolamo (anche con la falsa indicazione « in Malachia ») 215 e con ciò stesso indica la sfera nella quale resterà l'espressione della tabula naufragii, cioè la questione teologica del rapporto tra battesimo e peni­tenza : « Ut quod facit baptisma hoc faciat poeniten-tia » 216.

2" PL 117, 787 D. C£r. anche R A B A N O (PL 112, 587 CD) . -

ERVEO DI B O U H G - D I E U (PL 181, 1412 B). 213 Cfr. P. ANCIAUX, La théologie du sacrement de Pénitence au

Xlle siede, Lovanio 1949, p. n o s . 214 De paenitentia, dist. 1, e. 72 (FRIEDBESG I, p. 1179). 215 In realtà l'espressione si trova in GEROLAMO, Comment. in

Os., 3, 12 (PL 25, 928 C) . Alla stessa dottrina aderisce anche Comment. in Sophon., 1, io (PL 25, 1349 A ) : «Per has enim duas portas, bap-tisnii et paenitentiae, in Ierusalem, id est in Ecclesiam Dei, vel introi-tus vel retroitus est ».

218 De paenitentia, dist. 1, e. 74 (FRIEDBERG I, p. 1179). Per la teo­logia del naufragium della penitenza citiamo anche « Augustinus ad Felicianum»: De paenitentia, dist. i, e. 81 (FRIEDBERG I, p. 1181):

794 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Una « accensione iniziale » qviasi contemporanea a Graziano e forse già da lui conosciuta, si ebbe quando dalla scuola di ANSELMO DI LAON uscì la Glossa che ebbe tanta importanza per la teologia posteriore 217. Rife­rendosi ad Isaia 3,9, la Glossa interlinearis cita, senza farne il nome, l'espressione a noi già nota del commento a Isaia di Gerolamo : « Secunda post naufragium tabula est impietatem abscondere » 218. E nella glossa margi­nale ad Ezechiele 16,52 [porta confusionem tuam) viene detto : « Porta confusionem : secunda post naufragium tabula est, cum peccaveris erubescere » 219. Le parole vengono citate ancora una volta anonimamente, ma, immediatamente dopo, in una seconda glossa viene nominato Gerolamo in una frase presa dal' suo commen­to ad Ezechiele 220.

Questo bastò a rendere indimenticabile la nostra tabula nel contesto della teologia della penitenza. Nel breve lasso di tempo che va sino all'apparizione delle Sentenze di Pietro Lombardo, possiamo elencare alme­no cinque citazioni dell'espressione tabula naufragii, ora nuovamente conosciuta, le quali si trovano nella teolo­gia dei maestri prelombardiani, che sono così impor­tanti per comprendere bene il Maestro delle Sentenze.

« Quid enim interest ad naufragium utrum non grandi fiuctu navis opperiatur an paularim subrepans aqua in sentinam submergat ». È una frase di AGOSTINO, Epistola 265, 8 (PL 33, 1089 A; CSEL 57, p. 646, 1. 10-13).

217 Per le recenti questioni sull'origine della Glossa (Anselmo di Laon e sua scuola) cfr. P. ANCIAUX, op. cit., p. 105, nota 3. - B. SMALLEY, The Study of the Bible in the Middle Ages, Oxford 1952.

218 L'edizione secondo cui citiamo il testo della Glossa è: Bi-blia sacra cum Glossa interlineari, ordinaria et Nycolai Lyrani Postilla, Venezia 1588. Il nostro passo: v. IV, fol. n v .

al» Voi. 4, fol. 233V. SM Comment. in Ezechielem, 16, 52 (PL 25, 155 D) .

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 9 5

Il testo più antico si trova nella Summa Sententiarum, la cui paternità è discussa : « Est enim poenitentia se­cunda tabula post naufragium, quia post baptismum, si quis vestem innocentiae peccando amittit, per poe-nitentiam recuperare poterit » 221. Si osservi la connes­sione della nostra immagine con quella della « veste dell'innocenza»: vi si coglie la mutua dipendenza dei singoli autori. Nella cosiddetta Ysagoge in theologiam si legge: « Redeuntibus enim ad Deum semper neces-sarium est penitencie sacramentum. Et hec est post nau­fragium tabula secunda. Si quis enim post baptisma innocentiae vestem culpa aliqua amisit, non nisi peni-tencia recuperabit » m . UGO DI SAN VITTORE

223 e R O ­

BERTO PULLUS 224 trattano in modo autonomo di questa

immagine. Nelle Sententiae divinitatis si dice : « Postquam. tractavimus de sacramento altaris et baptismi, sequi tur consequenter de paenitentia. Est enim secunda tabula post naufragium, parasceve ante pascila. Si con-tingit aliquem peccatis inquinari post baptismum amis-sa veste innocentiae, adhaereat huic tabulae et ducet eum per mare istud undosum ad litus aeternae pa-triae » 225.

221 Summa Sententiarum, 6, io (PL 176, 146 C). 222 Ysagoge in theologiam, II (ed. A. LANDGRAF, Ecrits théohgiques

de fecole d'Abélard, in Spicilegium Sacrum Lovaniense, fase. 14, Lo-vanio 1934, p. 209, 1. 8-12).

223 Miscellanea, 5, 62 (PL 177. 789 CD). 224 Sententiarum, 5, 30 (PL 186, 851 D): « Secundum post nau­

fragium nobis refugium eonstituitur confessici ». 225 Sententiae divinitatis, 5, 4 (ed. B. GEYER, in Beitràge zur Ce-

schichte der Philosophie des Mittelalters, VII, 2/3, Miinster 1909, p. 142*). Geyer indica come fonte YEpistola 130, 9 di GEROLAMO. Ma questo passo (di fatto non fuori posto qui) per quanto io sappia non è mai citato in tutta la letteratura delle Sentenze; bisogna riconoscere alle parole della Glossa ο del Decreto di Graziano.

796 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Il Lombardo è pertanto già preparato, quando nelle Sentenze, base della teologia della grande scolastica, parla della tabula naufragii. Nel Collectanea alle lettere di Paolo si ricorda a proposito di iTim 1,19 dell'espres­sione di AGOSTINO, già citata in Graziano, riguardante la nave della fede, che, a causa della tempesta oppure a causa di lenta infiltrazione delle acque nella sentina, può affondare 226. Il testo più importante per il futuro si trova però nel libro delle Sentenze. Gerolamo vi vie­ne citato rettamente : « Est enim, ut ait Hieronymus, secunda tabula post naufragium (poenitentia), quia si quis vestem innocentiae in baptismo perceptam pec­cando corruperit, poenitentiae remedio reparare po-test. Prima tabula est baptismus, ubi deponitur vetus homo et induitur novus. Secunda poenitentia, qua post lapsum resurgimus, dum vetustas reversa repellitur et novitas perdita resumitur » 227. Da questo testo si vede che l'espressione della tabula viene trasmessa (senza al­tra citazione più precisa) semplicemente come aucto-ritas di Gerolamo e che così viene fissato il posto pre­ciso del suo valore teologico: il fatto che questa sia la « seconda » tabula della salvezza, indica appunto il rapporto sacramentale tra battesimo e penitenza, visto nello sfondo dell'unico naufragio che deriva dal pec­cato originale di Adamo. È precisamente ciò che ab­biamo visto già in Tertulliano e che ora viene inserito in tutta la problematica della speculazione della sco­lastica primitiva sull'essenza della remissione sacramen­tale dei peccati.

226 Collectanea in epistolas Pauli (PL 192, 90 A; 334 D) . 227 Liber Sententiarum, IV, 14 (QUARACCHI, 1916, v. 2, p. 819;

PL 192, 868s).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 9 7

Si andrebbe troppo lontano, se volessimo far par­lare tutti i teologi della teologia penitenziale postlom-bardiana della scolastica primitiva. Essi riferiscono quasi tutto il testo delle Sentenze, spesso anche con un inte­ressante commento 228. Potrebbe essere utile citare al­cune testimonianze sin qui inedite229. La Summa del PBEPOSITINO dice : « Diximus de baptismo et confirma-tione. Sed quia penitentia est secunda tabula post nau-fragium, de ea subiciendum est, primo quid sit sacra-mentum in penitentia et quid res sacramenti »230. Come si vede, la designazione tertullianea della tavola come « secunda », ora serve soltanto a giustificare il posto che la penitenza ha nella serie dei sette sacramen­ti. Citiamo la Somma del Maestro UDO soltanto per mostrare che per lo più ci si atteneva letteralmente al lombardo : « Post hec de penitentia est agendum, que dicitur secunda tabula post naufragium. Prima tabula est baptismus, ubi vetus homo deponitur, et novus induitur. Secunda est penitentia, id est qua post lap-sum resurgimus, dum vetustas depellitur et novitas per­dita resumitur». ROBERTO COURSON insegna nella sua Summa : « Unde Ieronimus : penitentia est secunda ta-

228 Cfr. ANCIAUX, op. cii., p. 98, nota 6; p. 141, note 1-4.; p. 356, note 1-3; p. 386; p. 497. Indichiamo le testimonianze più im­portanti: MAGISTER BANDINUS (PL 192, 1097 C). - GANDOLFO DI

BOLOGNA, (J. DE WALTER, Magistri Gandulphi Bononiensis sententiarttm libri quattuor, Vienna-Breslavia 1924, p. 458S). - PIETRO COMESTOR (R. M. MARTIN, Pierre le Mangeur De Sacramentis, in Spicilegium Sa­crimi Lovaniense, 17, Lovanio 1937, p. 59*)- - RADULFO ARDENTE

(ANCIAUX, op. cit., p. 95, nota 1). 229 Ne siamo venuti a conoscenza grazie alla gentile comunica­

zione del vescovo ausiliare Dr. A. Landgraf (Bamberga). 230 Somma (Cod. lat. 353 della Biblioteca Universitaria di Erlan-

gen, fol. 5ov). Cfr. anche due altri manoscritti in ANCIAUX, op. cit., p. 98, nota 6.

798 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

buia post naufragium, cura baptismus sit prima tabula, qua pervenitur ad portum salutis »231. GOFFREDO DI

POIITERS solleva il problema tipico per la scolastica primitiva, se cioè si possa ο si debba far penitenza sa­cramentale anche dei peccati veniali, e la dottrina che insegna non essere obbligatoria la loro confessione vie­ne corroborata con l'espressione : « Secundum hanc as-signationem penitentia secunda tabula est post naufra­gium. Sed cum non fiat naufragium per veniale, non est necesse ut per venialia homo ascendat secundam tabulam. Et ita non est necessarium peniteri de venia-libus »2 3 2. La summa Ne ad mensam, dipendente da Gandolfo di Bologna, aggiunge al testo del Lombardo una propria spiegazione alquanto contorta, applicando la parola « tabula » anche nel senso di « immagine ». L'immagine di Dio, che era data nel battesimo e che a causa del peccato era stata deturpata, viene restau­rata nella penitenza : « Penitentia dicitur secunda tabula, quia imago, quam aliquis post baptismum per pecca-tum deformavit, per penitentiam reformabitur et repa-rabitur » 2 3 3 . Per lo sviluppo storico sono di gran lun­ga più interessanti le spiegazioni di ALANO DI LILLA,

che evidentemente disponeva di conoscenze, che non erano a portata di mano degli altri scolastici primitivi. In una rimarchevole esposizione della dottrina peniten­ziale di Origene e di Ambrogio, egli si ricorda, pren­dendole dal Lombardo, anche delle parole del monaco

231 Somma (Cod. patr. 127 della Biblioteca Statale di Bamberga, fol. tìp).

232 Somma (Cod. lat. 220 della Bibliothèque de la Ville, Bruges, fol. u sv ) .

233 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Plut. 20, Cod. 38, fol. 77. Cfr. anche ANCIAUX, p. 364.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 7 9 9

di Betlemme: «Poenitentia vero est quasi secunda post naufragium tabula. Primum enim naufragium est in originali peccato, contra quod valet baptismus; secun-dum, naufragium est in actuali peccato, contra quod est secunda tabula, scilicet poenitentia »2 3 4 . Nelle Theologicae Regulae egli è in grado di riferire quell'an­tica usanza dei naufraghi, che abbiamo appreso da Gio­venale e Marziale, di dipingere cioè il disastro sulla tavola che aveva salvato il superstite e di rendere così più redditizio l'accattonaggio: « Quandoque qui nau­f ragante in mari confugientes ad aliquem navis tabu-latum ipso perducuntur ad portum. Primo naufragus in originali (peccato) confugit ad baptismum. Si iterum naufragatur actuali peccato, tabulam poenitentiae ». E qui aggiunge : « Naufragi enim solent tabulam secum ferre in qua naufragii describitur totus eventus, quo viso homines ad misericordiam moti consueverunt sic naufragis subvenire. Similiter per baptismum Deus omnibus subvenit primo, secundo per poenitentiam » 235.

Giungiamo nel settore dell'alta scolastica. Quanto alla dottrina della tabula naufragii, la dottrina peniten­ziale dei grandi Maestri non aggiunge nulla al Lom­bardo, soprattutto perché lo fanno per lo più nell 'am­bito dei commenti al Maestro delle Sentenze, che da ora in poi si moltiplicheranno 236. Tuttavia in essi in­contriamo una migliore critica dell'origine letteraria dell'immagine e TOMMASO ne tratta in un articolo spe­cifico : « Ut rum paenitentia sit secunda tabula post nau­fragium ». I grandi scolastici inoltre parlano della ta-

a31 Contra haereticos, i, 48 (PL 210, 353 D). a3s Theologicae regulae, 112 (PL 210, 680 B). 238 Cfr. FR. STEGMULLER, Repertorium Commetitanomm in Sen-

tentias Petri Lombardi, Wiirzburg 1947, v. 1.

800 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

vola della salvezza anche nelle loro opere esegetiche. Come esempio di questa sopravvivenza del nostro sim­bolo nell'alta scolastica, citiamo ALBERTO MAGNO.

Nella sua Postilla ad Isaia così spiega Is 3,9: « Hic dicit Glossa interlinearis : secunda post naufragium tabula est impietatem abscondere. Contra hoc est, quod di­cit alia Glossa Matth. 3,2 super illud: ' poenitentiam agite ' : prima tabula post naufragium est innocentia, secunda paenitentia237. Adhuc Ezech. 16,52 super il­lud : ' porta confusionem tuam ' Glossa : secunda ta­bula post naufragium est, cum peccaveris, erubescere... Ad hoc dicendum, quod Glossa quae hic ponitur ma­le posita est. In originali enim dicit Hieronymus sic: ' Secunda post naufragium tabula est paenitentia a38 et consolatio miseriarum est impietatem suam abscondere '. Tamen si quis eam sustinere vult, sicut iacet, quod prò certo dicitur est, quod prima tabula post naufra­gium primi peccati, cuius naufragii causa in nobis est originale, est innocentia. Quae tabula si frangitur per actuale, secunda tabula, per quam evadimus, est pae­nitentia » 239.

Tommaso d'Aquino spiega la dottrina del Maestro delle Sentenze con il pensiero, felicissimo dal punto di vista nautico-simbolico, della navìs integra della grazia battesimale. Se la penitenza, cioè, è una tavola per i

a" Nella nostra edizione citata sopra, la Glossa marginale a Mat 3,2 non contiene nulla delle parole riguardanti la tabula naufragii, ma soltanto la dottrina (citata senza fare il nome) presa da Agostino, riguardante la triplice penitenza: Sermo 351, 2 (PL 39, 1537).

238 Si faccia attenzione: proprio le parole che per Alberto qui sono determinanti «paenitentia et» non si trovano in Gerolamo. Se Alberto se le sia create da solo, ο se le abbia trovate nella sua Glossa, è cosa che non possiamo appurare.

235 Opera omnia, Miinster 1952, v. 19, p. 53, 1. 66-84.

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naufraghi, così egli conclude, allora essa evidentemente non è necessaria per la salvezza a coloro che non hanno subito alcun naufragio nella grazia : « Illi qui prospero itinere mare navigant prima tabula sustentantur, scilicet ipsa navi integra ». La ' prima tavola e la nave ' sono la stessa cosa: questo era stato invero anche il pensiero della simbolica patristica. Pertanto bisogna dire: «Ergo baptismus est prima tabula, et paenitentia secunda. Baptismus liberat a peccato originali, quod est primum naufragium ». Ciò viene espresso con maggior esattezza in un'immagine nautica così descritta: « Gratia baptismalis per quam in Ecclesia collocamur, cuius figu­ra fuit arca Noe, dicitur prima tabula ante naufragium. Sed quia per peccatum mortale naufragium passis... non restat aliquod remedium nisi paenitentia, ideo paeni­tentia tabula secunda dicitur » 240. Anche Tommaso ave­va letto nel passo del Lombardo l'espressione di Ge­rolamo e allora si ricorda della seconda citazione del medesimo simbolo nella Glossa. Non c'è dubbio che proprio questa citazione della Glossa, presa dal commen­to di Gerolamo al libro di Isaia, presentava nella di­sputa scolastica alcune difficoltà, poiché si trattava sem­pre di una auctoritas, che non poteva essere trascurata. La cosa si fece acuta nell'Aquinate, poiché nella sua edizione della Glossa egli leggeva che il peccata abscon­dere è la seconda tavola della salvezza, e non (come stava nel testo di Gerolamo) Yimpietatem abscondere. D'altra parte già nella scolastica primitiva c'era stato

240 In IV Sent., dist. 14, q. 1, a. 2, 4. - Cfr. anche dist. 2, q. 1, a. 3, ad 5. - Dist. 15, q. 4, a. 1, 1: sulla Glossa di Gerolamo ad Is 3, ove Tommaso legge: peccata abscondere, invece di impietatem abscon­dere. - Per il significato cfr. L. BILLOT, De Ecclesiae Sacramenti;, II, 7, Roma 1929, p. 35.

802 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

il tentativo di mettere il sacramento della penitenza, nella serie dei sette sacramenti, immediatamente dopo il battesimo, servendosi dell'espressione ' secunda ' tabula. Queste obiezioni spinsero Tommaso a scrivere un arti­colo proprio nella Terza Parte della Summa, di cui abbiamo dato il titolo 241. Cosa vuol dire dunque, che il ' peccata abscondere ' è la tabula secunda post naufraghimi I maestri della Scuola, nella loro riverenza verso Yaucto-ritas, non si peritavano di pensare che questa espres­sione sia venuta in bocca a Gerolamo, che dettava speditamente, come un modo di dire proverbiale non propriamente adatto. La risposta un pò tortuosa, con cui Tommaso cerca di spiegare la citazione patristica, mostra che egli era in difficoltà: si limita a dire che il peccato, che avviene occultamente e non sfacciatamen­te in pubblico, è già una specie di primo inizio di peni­tenza. La seconda obiezione era anche più pesante: Perché la penitenza è la ' secunda ' tabula, se il suo po­sto reale viene dopo i tre sacramenti dello stato di gra­zia integro, il battesimo, la confermazione e l'Eucari­stia? A questa domanda risponde nella Summa con la teologia simbolica della navis integra. I primi tre sacra­menti « pertinent ad navem integram, id est ad statum integritatis, respectu cuius paenitentia dicitur secunda tabula ». E così suona poi la soluzione generale nel cor­po dell'articolo, la cui forza è tutta simbolica nautica dell'epoca patristica e che, nello stesso tempo, è come la chiusura classica della nostra storia, in seguito non più dimenticata, : « Nani sicut primum remedium mare transeuntibus est, ut conserventur in navi integra, se-cundum autem remedium est post navem fractam, ut

! 4 1 Summa theolo%ka, III, q. 84, a. 6.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 8 0 3

quis tabulae adhaereat. Ita etiam primum remedium in mari huius vitae est quod homo integritatem servet; secundum autem remedium est, si per peccatum inte­gritatem perdiderit, quod per paenitentiam redeat ».

Andremmo nuovamente lontano, se volessimo se­guire la storia della nostra tabula anche attraverso i commenti alle Sentenze dell'alta e tarda scolastica.' Ci limitiamo a richiamare l'attenzione su di un capitolo nautico-simbolico di BONAVENTUHA, che ancora una volta è pieno della luce patristica, che abbiamo cercato di far rivivere in questo capitolo. Anche Bonaventura è alle prese con la spiegazione del testo della Glossa preso da Gerolamo e lo fa anch'egli in un articolo speciale, il cui titolo suona così: « Utrum paenitentia habeat rationem tabulae » 242. In esso applica mare, na­ve, naufragio e tavola al mistero teologico della unitas ecclesiastica, in cui soltanto c'è salvezza. Ancor più chia­ramente si esprime nell'esposizione del testo princi­pale del Lombardo, per cui non possiamo tralasciare di riportare questa ricca eco della simbolica patristica: «Mare est mundus iste secundum illud Psalmi: hoc mare magnum. Navis per quam homo transit super undas huius maris, est gratia Spiritus Sancti, vel navis est Ecclesia quae iuncta est glutino caritatis secundum illud Proverbiorum ultimo: facta est quasi navis insti-toris. Naufragium vero fuit corruptio et fractio in Adam, in qui fractione omnes filii eius iactati sunt su­per undas huius maris per concupiscentiam et per poe-nam. Ab hoc naufragio primo liberatur homo per bap-tismum. qui restituit innocentiam et gratiam perditam,

142 In IV Sent., dist. 22, a. 3, q. 2 (Opera omnia, Quaracchi, 1889, t. 4, p. 584S).

804 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

et ideo est prima tabula. Et quia frequenter relinquunt plures gratiam baptismalem et illam tabulam, per quam liberantur in undis maris et per illam amplius non possunt se defendere: ideo indigent secunda, et haec est paenitentia. Utraque tamen dicitur tabula, quia su-stinet ne quis periclitetur per culpam, non tamen ita ponit in tuto, sicut erat homo in statu innocentiae » 243. Ciò che qui trovò la sua espressione nella classica chia­rezza di una teologia ancora riscaldata dai Padri, risuo­na anche nei pii canti dell'alto medioevo:

« Ο crux, inter pericula tu naufraganti tabula 2 4 4 . Tu scala, tu ratis, tu, crux, desperatis tabula suprema » 2 4 5 .

Come epilogo della storia della tabula naufragii indi­chiamo brevemente la ragione per cui il Concilio di Trento si servì in forma solenne dell'antica immagine della tavola della salvezza per parlare del sacramento della penitenza. L'espressione, consacrata dal Lombardo e dalla Glossa, svolse in tutta la tarda scolastica il ruolo che aveva avuto in Tommaso e in Bonaventura: era

zia jn ly Sent. dist. 14, p. 1, dub. 1 (Opera, t. 4, p. 328S). - In DUNS SCOTO (In IV Sent., dist. 14, q. 4, n. 6-7) il termine tabula viene impiegato per spiegare la causalità strumentale del sacramento della penitenza. Poiché altrimenti non si vedrebbe « quomodo sacramen-tum paenitentiae posset esse secunda tabula, quia numquam liberaret naufragum a periculo submersionis ». Cfr. per ciò J. GALTIEB, De paenitentia, Parigi 1931, p. 128.

214 Analecta Hymnica, 43, p. 22 (da un prosarlo parigino del se­colo XIII).

245 F. J. MONE, Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, ν. ι, ρ. 142 (Inno alla s. croce, manoscritto di San Gallo, sec. XV).

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 8 0 5

un'espressione tecnica corrente, di cui ci si serviva quasi senza accorgersene allorché si parlava del rapporto tra battesimo e penitenza. Non fa meraviglia che questa dottrina, rinvigorita dalla pietà penitenziale a volte un pò esuberante del tardo medioevo, potesse provocare l'opposizione dei riformatori: LUTERO si considerò sem­pre come un acerrimo avversario dell'ascetico Gerolamo e dell'importanza che egli dava alle opere 24e. Lutero, vedeva nella designazione della penitenza sacramentale come tavola della salvezza, una minaccia all'initerabi-lità del battesimo. E così già nel De captivitate babylo-nica Ecclesiae esprime tutto il suo sdegno contro la ci-tatissima espressione di Gerolamo e, per conseguenza, contro la dottrina sacramentale degli scolastici ivi contenuta: « Simul vides quam periculosum, immo falsum sit opinari, poenitentiam esse secundam tabulam post naufragium, et quam perniciosus sit error putare per peccatum exidisse vim baptismi et navem hanc esse illisam. Manet illa solida et invicta navis, nec umquam dissolvitur in ullas tabulas, in qua omnes vehuntur qui ad portum salutis vehuntur quae est veritas Dei in sa-cramentis promittens... verum navis ipsa permanet et transit integra cursu suo; quod si qua gratia ad navem reverti potest, nulla tabula, sed solida ipsa nave feretur ad vitam » 247. Questo teologumeno, il quale male in­terpreta il pensiero di Agostino sulla grazia che elegge e che assicura la salvezza, dimostra quanto sia radicata nella dottrina di Lutero sulla grazia anche la negazione della penitenza come sacramento e quindi delle parole

·*· Cfr. H. GRISAH, Luther, Friburgo 1911, v. 1, 427. 2 4 7 D. MARTINI LUTHERI, Opera Latina, ed. H. SCHMIDT, Franco­

forte, 1868, v. 5, p. 59.

806 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

di Gerolamo. Con linguaggio ancor più chiaro e vigo­roso egli lo afferma nel Grande Catechismo Tedesco: «Per questo San Gerolamo ha scritto che la penitenza è la seconda tavola, con cui dobbiamo galleggiare e arrivare, dopo che la nave, su cui salimmo e viag­giavamo, quando venimmo al cristianesimo, si è sfa­sciata... Ma tale affermazione è sbagliata: la nave, infatti, non si sfascia, poiché essa è ordinazione divina e non cosa nostra » 248. Anche CALVINO era della stessa opi­nione e afferma facendo esplicito riferimento alla for­mulazione della teologia penitenziale del Lombardo: « Questo sacramento mendace fu poi anche descritto da essi col debito elogio e definito la seconda tavola dopo il naufragio. Infatti quando uno ha macchiato coi peccati la veste dell'innocenza, ricevuta nel batte­simo, la può restaurare nuovamente mediante la peni­tenza. E questo è, essi dicono, una sentenza di Gerolamo ! Tale sentenza può provenire da chi vuoi, ma non po­trai mai, assolvere il suo autore dall'accusa di essere ateo, quando viene interpretato secondo la concezione dei romani » 249. Anche MARTIN KJEMNITZ

250 si richiama a Lutero. Per questo il Concilio di Trento fu costret­to a riformulare con chiarezza la dottrina cattolica della giustificazione del peccatore battezzato e della necessità del sacramento della penitenza distinto dal battesimo: tale dottrina fu proposta per mezzo dell'in­terpretazione della tabula post naufragium. La salvezza che il cristiano peccatore riacquista viene esaminata

248 Martin Luthers katechetische deutsche Schriften (ed. J. K. IH-MISCHÉR, Erlangen 1832, v. 1, p. 141.

21!> Institutiones christianae, 4, 19, 7 (Edizione tedesca di O. WEBER, Neukirchen 1938, v. 3, p. 599).

250 Examinis Concila Tridentini, Francoforte 1585, v. 2, p. 44S.

IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA 8 0 7

nella sesta sessione : « Hic enim iustificationis modus est lapsi reparatio, quam ' secundam post naufragium deper-ditae gratiae tabulam ' sancii Patres apte nuncupa-runt » 251. Chi siano stati questi santi Padri, la nostra ricerca ora ce l'ha mostrato in una misura sconosciuta al Concilio (che pure in prima linea pensava a Gerolamo) Tuttavia il nostro inventario patristico certifica che i periti del Concilio hanno descritto l'essenza della giu­stificazione, che viene restituita nella penitenza, pro­prio secondo il sentimento della Chiesa antica. Ciò vale in egual misura della dottrina, circa il rapporto tra battesimo e penitenza, definita nella quattordicesi­ma sessione, che ancora una volta sottolinea col lin-linguaggio dei Padri l'intrinseco rapporto esistente tra penitenza e battesimo, poiché chiama la penitenza ìabo-riosus quidam baptismus252 : ma proprio questo è, con un'altra immagine, ciò che si voleva esprimere con il sim­bolo delle due tavole della salvezza. Il canone infatti lo riconosce: « Si quis sacramenta confundens, ipsum baptismum poenitentiae sacramentum esse dixerit, quasi haec duo sacramenta distincta non sint, atque ideo poenitentiam non recte secundam post naufragium ta­bulam appellari: Anathema sit»253. SUAREZ ha difeso la dottrina del Concilio con la ricchezza della sua cul­tura patristica254, e BELLARMINO ha mostrato contro Lutero, che la « pericolosa espressione di Gerolamo » viene male interpretata, quando vi si vede l'espressione di una decadente teologia penitenziale : « Et inde gra-

«" Sessio VI, e. 14 (Denz. 807). MZ Sessio XIV, e. 1 e 2 (Denz. 894. 895). 253 Sessio XIV, canone 2 (Denz. 912). 264 De paenitentia, disp. I, 4 (Opera omnia, Parigi 1861, v. 22,

P· 3)-

808 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

vissime invehuntur in eos qui dicunt poenitentiam esse tabulam naufragii, quasi non liceat ad ipsam navim baptismi amplius redire » 255.

Con ciò abbiamo terminato questo capitolo della teologia della « nave della Chiesa ». Molto più pene­trante si farà questa teologia espressa con termini sim­bolici, quando tratteremo i due grandi modelli biblici della nave della Chiesa: la barca di Pietro e l'Arca di Noè. Ambedue sono « navi della salvezza » e ambedue sono ancor oggi vive nella nostra mentalità simbolica, per altri versi talmente impoveritasi.

*** Controvers., De Sacramento paenitentiae, I, 12 (Napoli 1857, v. 3, p. 6oos).

LA NAVICELLA DI PIETRO PER LA STORIA DEL SIMBOLO

DEL PRIMATO ROMANO

Il simbolo della nave di Pietro, ancor oggi vivida­mente eloquente, ha una storia lunga e ricca. Ha inizio coi primordi della teologia, nelle Ps. - Clementine, e va sino alla dottrina di Innocenzo III. Lungo questo tortuoso cammino diventa una vera storia del simbolo del primato romano. Che la Chiesa nella sua totalità venga identificata con la navicella di Pietro e che que­sto simbolo ecclesiale, inizialmente universale, si con­cretizzi poi nell'identificazione della Chiesa romana con la nave di Pietro, fa di questo simbolo, preso dalla dom-matica nautica dell'antichità, un caso particolarmente istruttivo dello sviluppo dell'ecclesiologia patristica e medievale. Il pensiero e, se così si può dire, lo stato d'animo fondamentale della dottrina della Chiesa come nave di Pietro esprime nuovamente la dialettica - quasi dimenticata nel pensiero teologico odierno e che più sopra abbiamo riconosciuto * come la convinzione pro-

1 Cfr. sopra, a p. 5Hss.

810 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

fonda che sta dietro il mondo dei simboli - secondo cui la nave della Chiesa è continuamente sbattuta dalle tempeste, ma non va mai a fondo. Il pericolo del mare è la sua storia: il viaggio fortunato è la promessa che le viene dalla fede. La Chiesa è sempre e soltanto navìcuìa ο navicella del Pietro peccatore. Noi dovremo scrivere precisamente la storia dommatica di questo diminu­tivo quando afFermiamo che anche la nave della Chiesa romana è soltanto una barca di legno, simile al « pic­colo legno » a cui è affidata la nostra salvezza. Il timo­niere della navicella è Cristo, che grida al pilota Pietro la parola salvifica dottrinale e pastorale. Anche le tavole della salvezza della navicella romana sono costruite con il legno della croce.

Già IPPOLITO, il teologo dell'antica Roma cristiana, ha visto questa antinomia di minaccia e sicurezza, ra­dicata nell'essenza più profonda della Chiesa : « La Chie­sa è come una nave in alto mare: essa è certamente scossa da tempeste, ma non va a fondo», χειμάζεται μεν, άλλ'ούκ άπόλλυται 2. Ciò era vero per i giorni della persecuzione statale; ma anche AGOSTINO poteva affermare ai tempi della malsicura calma, quando il grande numero di cattivi pesci appesantiva la nave della Chiesa : « Premi potest, mergi non potest » 3. In seguito non si dimenticherà più la densità di significato della bella espressione «tunditur, non mergitur», che PIE­TRO CRISOLOGO aveva coniato a proposito della navi­cella di Pietro 4. E BEDA, nello spiegare il pericolo ma-

* De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. I3s). ' Sermo 13, 2 Wilmart (G. MORIN, Augustini Sermones post Mau-

rìnos reperti, Roma, 1930, p. 713, 1. 6). 4 Sermo 21 (PL 52, 258 A).

LA NAVICELLA DI PIETRO 811

rino, in cui si troveranno gli Apostoli dirà : « Così anche la Chiesa naviga attraverso le tempeste verso la sua meta; poiché essa attende Cristo, per giungere con il suo aiuto al porto della quiete: laborat, sed non mer-gitur » 5.

Nelle pagine che seguono portiamo avanti lo studio della simbolica della nave della Chiesa6, cercando di far vedere lo sviluppo storico di un simbolo parziale, che è sopravvissuto sino ad oggi a partire dal mondo, per altro così dimenticato, della nautica sacra dei Padri della Chiesa: la Chiesa come navicella di Pietro. Non si tratta della storia di un'allegoria di secondaria impor­tanza, che i Padri hanno elaborato sull'espressione bi­blica di Luca 5,3. Il frutto di questo studio è domma-ticamente importante. Da esso apparirà come nella spie­gazione esegetica e nell'applicazione politica dell'im­magine biblica della navicella di Pietro si manifesta lo sviluppo della coscienza del primato romano, che co­statiamo nella storia dell'interpretazione, certo più in­teressante teologicamente, di Matteo 16,18 7, ο che si manifesta nella storia del nome designante l'ufficio: papa 8, come pure nel cambiamento di significato della Mater Ecclesia da Paolo (Gal 4,26) sino alla Chiesa romana come « Madre di tutte le Chiese » nello Ps. -

s Expositio in Ioannem, 6 (PL 92, 709 D). * La nave di legno; cit. sopra, p. 511-609. ' Cfr. E. CASPAR, Primatus Vetri, Eine philologisch-historische Un-

tersuchung iiber Urspriinge àer Primatslehre, Weimar 1927. - P. BÀTIP-FOL, Cathedra Petri. Etudes d'histoire ancienne de l'Eglise, Parigi 1938.

8 P. BATTITOI., Papa, Sedes Apostolica, Apostolatus, in Rivista di Archeologia cristiana 1 (1925) p. 99-103. - H. LECLERCQ, Papa, in Dictionnaire d'Archeologie chrétienne et de Liturgie 13 (Parigi 1937) col. 1097-im.

812 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Isidoro e in Gregorio VII9. Per comprendere l'impor­tanza teologica della storia di questo simbolo è quindi necessario premettere un'avvertenza. Lo sviluppo del­l'immagine e della verità in essa racchiusa va dalla Chiesa universale alla Chiesa Romana particolare. Non nel senso che Roma, lentamente e a ragion ve­duta, avrebbe usurpato ciò che prima era detto invece della Chiesa cattolica. Il processo si è sviluppato piut­tosto nel senso che nella Ecclesia Romana, come in una personificazione e come nella parte centrale e nel capo, si è manifestata nel modo più chiaro l'essenza della Chiesa universale. Cattolico e romano vengono rico­nosciuti come sinonimi con una chiarezza che aumenta lentamente, pur essendo già presente sin dall'inizio. Anche se tale convinzione non viene espressa sin dal­l'inizio in un linguaggio teologico riflesso, tuttavia anche qui si applica la norma fondamentale di ogni studio della storia del domma: Il fatto che una cosa non sia stata annunziata espressamente prima, non si­gnifica che sia contraddittoria e ciò che si forma lenta­mente può imporsi a lungo andare, purché non mani­festi alcuna contraddizione, purché nel vivo svolgi­mento dei fatti diventino chiare quelle certezze che erano

8 J. LEBBETON, Mater Ecclesìa, in Recherches àe scìence reììgieuse 2 (1911) p. 572S. - H. KOCH, Cathedra Petri. Neue Untersuchungen iiber die Anfànge der Primatslehre, Giessen 1930, p. 78-89. La storia dello sviluppo del simbolo della mater ecclesia delineata dal Koch viene però pesantemente deformata a causa dell'impiego di una let­tera falsificata a papa Ilario. Cfr. per ciò H. RAHNER, Die gefdlschten Papstbriefe aus dem Nachlass uon Jerome Vignier, Friburgo 1935, p. 132. - J. C. PLUMPE, Mater Ecclesia. An Inquiry into the Concepì of the Church as Mother in early Christianity, Washington 1943. - H. RAHNER, Mater Ecclesia. Lobpreis der Kirche aus dem ersten Jahrtausend, Einsiedeln 1944.

LA NAVICELLA DI PIETRO 813

presenti già prima in nuce. In questo modo, ciò che vie­ne detto durante il corso dello sviluppo della rifles­sione circa la posizione di primato del vescovo romano, non è stato mai enunciato in opposizione ο in sfavore della Chiesa universale. E ciò neppure in Cipriano, nonostante tutte le arti interpretative messe in opera da UGO KOCH 10 : a questi manca anche quel fine senso della storia del dogma, con il quale si può percepire ciò che cresce vitalmente come qualcosa che c'è sem­pre stato ; egli, infatti trascura il fondamento dommati-co. Applicando questi principi alla storia del simbolo, che qui studiamo, diciamo: se la Chiesa universale è la navicella di Pietro, dalla quale il Signore istruisce gli uomini, ciò va detto in particolare della Chiesa romana ove siede, come pilota, il successore di Pietro, Delineeremo dunque la storia di questo simbolo della Chiesa nel suo lento restringersi a Roma e al suo primato. Percorreremo un lasso di tempo di mille anni, tra papa Callisto e papa Innocenzo III, dalla navicella Petri di Agostino alla navicella di Giotto nell'atrio di San Pie­tro, dall'antico onice cristiano di Pietro di Alessandro n

sino ai giorni, in cui i papi sigillano le loro lettere con l'anello del pescatore. In questa storia spiccano due linee, che sono intimamente intrecciate e si rafforzano vicendevolmente e che tuttavia sono distinguibili l'una dall'altra: la spiegazione esegetica della navicella di Pietro in Luca, e l'impiego, nel campo della politica ecclesiastica, di questa immagine per dimostrare il pri­mato romano.

10 Cyprian und der romische frimai. Bine kirchen- und dogmen-geschichtliche Studie (Texte und Untersuchungen, 35, 1), Lipsia 1910.

11 Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Ichthys, Miinster 1943, v. 5, p. 285-291.

814 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

I. LA STORIA DELLA SPIEGAZIONE ESEGETICA DEL SIMBOLO

Il testo da cui prese il via la simbolica della Chiesa come navicella di Pietro, si trova in Luca 5,3: έμβάς δέ εις εν των πλοίων, δήν Σίμωνος, ήρώτησεν αυτόν άπα της γης έπανκγαγεΐν ο λ ί γ ο ν καθίσας δέ έκ του πλοίου έδίδασκεν τους όχλους. La Vol­gata traduce la parola πλοίο ν con navis e poi con navicula, ma già l'antica traduzione latina non fa alcuna distinzione tra questi due termini e così nella lingua dei Padri ha preso cittadinanza l'espressione navicula Petri. In un solo passo, per- quanto io veda, un imita­tore di Agostino 12 in una predica su Matteo 14,22 parla della Chiesa come navicella, un diminuitivo cor­risponde più esattamente al biblico πλοιάριον di Mar 3,9 3 Giov 6,23, e che poi, molto più tardi, risuona nella lingua e nell'arte italiana come designazione della piccola nave ecclesiale di Pietro. I Padri della Chiesa sogliono vedere volentieri assieme questa nave di Pie­tro di cui Lue 5,3 e l'altra nave guidata da Pietro, che venne messa a dura prova nella tempesta marina (Mat 8,23-27; 14,27-33; Mar 4,36-39; 6,45-52; Lue 8,22-25; Giov 6,16^21). Ma che queste narrazioni dei pericoli e dei successi della navicella dell'Apostolo siano state applicate alla Chiesa sin dagli esordi dell'Esegesi, non ha certamente alcun fondamento in Lue 5,3. In verità, come abbiamo già accennato nei precedenti studi qui interviene la simbolica della cultura nautica che era tanto familiare all'antico cristiano, e che lo circondava da ogni parte: la Chiesa è per l'appunto la «buona

" Sermo 72, 2 (PL 39, 1884).

LA NAVICELLA DI PIETRO 815

nave », così il cosmo, lo Stato e l'anima possono essere paragonati ad una nave. Una cosa feconda l'altra: in­terpretazione biblica e simbolica profana, nota a tutti, si uniscono, per esprimere la storia e il destino della Chiesa nell'immagine della nave. Abbiamo già visto più sopra, in Giustino e in Minucio Felice, che si tratta di un antico tema della simbolica teologica. Qui rile­viamo pertanto solo ciò che sembra provenire immedia­tamente dai riferimenti biblici. Nell'opuscolo di TER­TULLIANO sul battesimo, la barca degli apostoli viene per la prima volta paragonata alla Chiesa, in connes­sione con la questione dogmatica, se anche gli apostoli siano stati battezzati. Tale applicazione simbolica viene chiaramente presentata come una cosa normale : « Ce-terum navicula illa figuram Ecclesiae praeferebat, quod in mari, id est in saeculo, fluctibus, id est persecutio-nibus et temptationibus, inquietatur, Domino per pa-tientiam velut dormiente, donec orationibus sanctorum inquietatur, Domino per patientiam velut dormiente, donec orationibus sanctorum in ultimis suscitatus com-pescat saeculum et tranquillitatem suis reddat » 13. C'era­no a quel tempo i cristiani, che pensavano seriamente che gli apostoli fossero stati battezzati durante la tem­pesta marina. Tertulliano polemizza contro di essi; que­sto brano dottrinale biblico (egli pensa evidentemente soprattutto a Mar 4,37-39) ha già la sua inequivoca­bile interpretazione: la navicella è la Chiesa, la tempe­sta marina la persecuzione e la tentazione, il Signore che dorme è l'Addormentato sulla croce 14, gli apo-

13 De baptismo, 12 (CSEL 20, p. 212, 1. 2-7). 14 L'espressione « Domino per patientiam velut dormiente » si

riferisce al sonno della morte sulla croce e non può quindi essere tra­dotta con KEIXNER (BKV, 2 ed., v. 7, p. 290) : « Mentre il Signore,

816 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADKI

stoli supplicanti sono i santi che impetrano sulla nave della Chiesa, la calma del mare raffigura l'eternità. Si tratta di un'interpretazione, che, nella sua ricchezza, suona come un capitolo dell'antica catechesi battesimale e ricorda il grande tema dottrinale della nave della Chiesa, che poco dopo sarà ripreso in Roma da IPPO­

LITO 15 e che, più tardi, risuona nell'anonimo spiritua­le di Roma del quinto secolo 16. Che la navicella degli Apostoli raffigurasse la Chiesa, era cosa naturale per l'esegesi dei Padri e sarebbe semplicemente una pedan­teria presentarne tutte e singole le testimonianze. Eccle-siae est instar navis, dice ILARIO nella spiegazione della tempesta marina, « e quando noi saliamo sulla navicella di Cristo, ossia sulla Chiesa, siamo minacciati dalla tem­pesta di ogni sorta di pericoli; infatti sappiamo che ora

nella sua pazienza, dorme ». - Cfr. anche GEROLAMO, Comment. in Matthaeum, i, 9 (su Mat 8,24): «Imperio ac sacramento passionis suae liberat suscitantes ». Ciò proviene certamente dalla parte perduta del commento di Origene al vangelo di Matteo. - L'interpretazione che vede nel sonno di Cristo sulla nave il sonno della morte sulla croce ci sembra assicurata dalla serie di testimonianze patristiche, che abbiamo già presentato sopra a p. 596S. e a p. 607S., ed in cui l'« ascen­dere navem » fu sempre interpretato come riferimento alla morte sulla croce. Cfr. ORIGENE, Omelie sul Cantico dei Cantici, 2, I2(GCS Vili , p. 58, 1. 17-23). Cfr. per ciò H. RAHNER, Euploia, in Perennità*. Festschrift fiir Thomas Michels, Munster 1963, p. 3, nota 21. - Ps.-GEROLAMO, Comm. in Marcum 4 (PL 30, 605 A). - BEDA (PL 92, 174 C) . - O N O R I O DI A U T U N (PL 172, 912 BC) . - Per Tertulliano qui

si tratta della sorte escatologica della nave della Chiesa, come dimo­stra l'espressione « in ultimis ». E. PETERSON, Friihkirche, Judentum, und Gnosis, Friburgo 1959, p. 92, e REEOULÉ, in Sources Chrétiennes 35 (1952) p. 84, respingono l'interpretazione del « per patientiam » ter-tullianeo come riferentesi alla morte del Signore.

15 De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO, I, 2, p. 39S). - Cfr. sopra, p. 516S.

18 PS.-GEROLAMO, Commentarium in Marcum, 4 (PL 30, 605S). Cfr. sopra, p. 597S-

LA NAVICELLA DI PIETRO 817

noi siamo una preda ricercata da onde e da vento » 17. Nello stesso contesto GEROLAMO fa suo, trascrivendolo alla lettera, un dubbio di ORIGENE 18, che è tipico del­le difficoltà allegoriche, in cui si dibatteva l'esegesi del­la navicella della Chiesa : « S i , se noi sapessimo che cosa significa nella nostra lingua la parola ' Genesareth ', allora comprenderemmo anche meglio che Gesù, sotto il ' tipo ' degli apostoli e della navicella, libera la Chiesa dal naufragio della persecuzione, la fa navigare presso le coste e la conduce alla quiete del porto »1 9 .

Tutto ciò si riferisce tuttavia alla Chiesa in generale, e cioè alla navicella, il cui pilota è Cristo, e che viene guidata dagli apostoli : si pensi a quella rappresentazione della nave della Chiesa sul rilievo del sarcofago di Spoleto, sulla quale Gesù come pilota impartisce con la mano levata gli ordini ai quattro evangelisti che re­mano 20. Noi compiamo un passo ulteriore nella storia della spiegazione, quando la nostra attenzione viene concentrata su quelle testimonianze, che si occupano di Pietro come proprietario della navicella: qui infatti ha la sua radice lo sviluppo da cui risulterà l'applicazione, strettamente limitata, alla Chiesa di Roma.

Iniziamo con un testo, la cui origine e la cui inter­pretazione fu molto discussa sino ai nostri giorni, e che noi abbiamo già ricordato una volta più sopra2 1 . È la lettera dello Ps.-Clemente all'apostolo Giacomo, che come introduzione all'Omelie Clementine, va sicuramen-

" Commentarium in Matthaeum, 7, 9 (PL 9, 957 B). 18 Commetti, in Matthaeum, 11,6 (GCS OHIGENE X, p. 43, 1. 6s). 19 Commetti, in Matthaeum, 2, 14, 34 (PL 26, 104 B). M Puproduzione in R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana, Prato

1879, v. 5, tav. 395, 6. - Cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 1925, 2 ed., p. 278S.

21 Sopra, a p. 519S.

818 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

te datata al terzo secolo. HARNACK aveva spiegato con buone ragioni che deve essere stata composta a Ro­ma 22. Ciò è stato poi combattuto aspramente, soprat­tutto da C. SCHMIDT

23 e da H. KOCH 24. Ma H. WAITZ

ne ha difeso l'origine romana 25 e ci sono buone ragio­ni per attenerci a questa spiegazione: non è la regione ad oriente del Giordano che ci ha regalato questo ri­marchevole brano dottrinale, ma Roma stessa. E ciò soprattutto se, come C. CASPAR ha giustamente so­stenuto, la datazione della lettera, proposta anche da Harnack, va posta dopo il 260 : « Questa lettera, in cui Pietro parla della sua cathedra romana, non può essere stata composta prima della coniazione della Cathedra Petri ad opera di Cipriano, ossia prima del cinquan­tesimo anno del terzo secolo. Essa ne rappresenta fa­cilmente la più antica testimonianza letteraria su ter­ritorio romano » ae. Tuttavia ciò non è veramente pro-

22 Die Chronologie der altchristlkhen Literatur bis Eusebius, Lipsia 1904, v. 2, p. 53OS.

23 Studiai zu den Pseudo-Clementinen (Texte und Untersuchungen, 46, i ) , Lipsia 1929, p. 91-124. - Cfr. i due precedenti studi: H. W A I T Z , Die Pseudoklementinen (Texte und Untersuchungen, 25, 4), Lipsia 1904, p. 2ss. - H. HEINTZE, Der Klemensroman und seine griechischen Quellen (Texte und Untersuchungen, 40, 2), Lipsia 1914, p. 36ss.

24 Cathedra Petri, Giessen 1930, p. 29, nota 1; p. I73s; p. 184. ** Die Pseudoklementinen und ihre Quellenschriften, in Zeitschrift

fiir die neuetst. Wiss. 28 (1929) p. 27ISS. - Per le fonti e la dottrina delle Pseudoclementine cfr. J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Chri-stianisme, Parigi 1958, p. 71-76. - H. J. SCHOEPS, Théologie und Ge-schichte des Judenchristentums der Pseudoklementinen, in Neutest. Studien f. R. Bultmann, Berlino 1954, p. 35-51. - Per l'origine e la datazione della lettera, cfr. ora la introduzione all'edizione delle Omelie, di J. IHMSCHER: GCS Ps.-Clementine I (Berlino, 1953), p. 7. Irmscher sostiene che lo scritto fondamentale, e dunque anche la lettera di Clemente a Giacomo, sono originarie della Siria intorno al 200-230.

28 Primatus Petri, Weimar 1927, p. 74, nota 2. - Geschichte des Papstums, Tubinga 1930, v. 1, p. 75.

LA NAVICELLA DI PIETRO 819

babile, poiché l'espressione cathedra del vescovo roma­no si trova già nel Frammento Muratoriano; e se hanno ragione coloro che attribuiscono il Muratorianum a Ippolito romano27, possiamo tranquillamente situare anche l'origine della lettera di Giacomo nei primi de­cenni del terzo secolo, vicino alla teologia di Ippolito, con la cui simbolica della nave della Chiesa mostra una così stretta parentela.

La lettera presenta l'apostolo Pietro che così parla nel consacrare Clemente : « Io consacro vescovo anche questo Clemente, a cui affido la mia cathedra della dot­trina» (φ την έμήν των λόγων πιστεύω κα&έδραν) 2 8. Più tardi Rufino ha sottolineato ciò in modo anche più marcato nella sua traduzione: « Cui soli meae prae-dicationis et doctrinae cathedram credo » 29. Clemente rifiuta di accettare questa dignità e Pietro continua: « Se temi il pericolo del peccato e non prendi su di te il governo (τήν διοίκησι-ί] della Chiesa, guarda hene che pecchi Tnaggiormente, nel caso che, sebbene in grado di farlo, non voglia venire in aiuto agli uomini timorati di Dio, ovunque essi si trovino in viaggio di mare e in pericolo » 3 0. La cattedra del vescovo ro­mano diventa qui, nel pensiero simbolico, il seggio del pilota, che guida il minacciato battello della Chiesa. Ciò viene sviluppato quindi nel discorso di Pietro con un'immagine altamente espressiva e non c'è alcun

»' A. VON HARNACK, Uber dm Verfasser und dm Uterarischtn Cha-rakler des Muratorischen Fragments, in Zeitschrift f. d. neutest. Wiss. 24 (1925) p. 1-16. - M. J. LAGRANGE, L'auteur du Canon de Muratori, in Revue Biblique 35 (1926) p. 83-88.

» e. 2 (PG 2, 36 A; GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 6, 1. ios). 20 Riprodotta in Migne PG 2, 35 D. - GCS PS.CLEMENTINE I,

p . 6, 1. 26s. 30 e. 3, 5 (PG 2, 37 Β ; GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 75).

820 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

dubbio, che qui abbiamo a che fare con un tema dot­trinale, che applica alla Chiesa romana l'antico topos della Chiesa come navicella di Pietro: « Se voi conser­vate l'unità di pensiero, allora potrete dirigervi verso il porto della calma, là dove si trova la pacifica città del grande regno. Tutta l'essenza della Chiesa somiglia ad una grande nave, che in tutte le tempeste alberga in sé quegli uomini di diversa origine, che soltanto ad una cosa aspirano, abitare nella città del buon regno. Perciò, Dio sia per voi come il proprietario della nave. E il pilota sia l'immagine di Cristo. Il pilota di prua rappresenti il vescovo, i marinai di ciurma i preti, i sorveglianti dei rematori i diaconi, gli arrolatori i ca­techisti, i viaggiatori poi la massa dei fratelli ... Perciò i compagni di viaggio debbono sedere ordinatamente e calmi ai posti loro assegnati, affinché la nave non ven­ga scossa dal disordine e si pieghi sul lato. Gli arrola­tori debbono esigere il salario. I diaconi non debbono trascurare ciò che fa parte del loro ufficio. I preti, co­me buoni marinari pieni di zelo, debbono fornire a ciascuno il necessario. Il vescovo, come pilota di prua (πρφρεύς), sia vigilante e gridi unicamente al timo­niere la risposta dell'ordine ripetuto (άντιβαλλέτω). Cristo, poi, come salvatore, sia amato come il timo­niere e venga spiegato fedelmente soltanto ciò che egli dice. Tutti poi debbono pregare Dio per un viaggio felice... Voi tutti lo sapete: il vescovo porta il più gran­de peso tra di voi. Poiché ciascuno di voi deve portare soltanto il proprio affanno: egli invece porta e il suo e l'affanno di tutti gli altri. Tieni dunque la presiden­za (προκαθ-έσθ-ητι), ο Clemente, pronto a soccorrere ognuno, per quanto tu possa, poiché tu porti le cure di

LA NAVICELLA DI PIETRO 821

tutti. Sii coraggioso e porta tutto con animo: tu sai, infatti, che quando approderai al porto della tranquil­lità, Dio ti donerà la pienezza del bene e la ricompensa incorruttibile. Poiché per la salute spirituale di tutti gli uomini ti sei sobbarcato alla grande fatica... E voi, miei cari fratelli e conservi, obbedite al presidente del­la verità ( τ φ προκαθ-εζωμένω αληθείας) in ogni cosa. Lo sapete infatti: chi lo contrista, non riceve Cristo, la cui cattedra gli è stata affidata. E chi non riceve Cristo, sia per voi come uno che ha rinnegato il Padre: egli sarà gettato fuori dal buon regno » 31. Sotto l'in­volucro dell'immagine di questo testo c'è una dottrina chiara, si potrebbe quasi dire, un brano di diritto ca­nonico: poiché soltanto così si spiega la appropriatezza di questa simbolica divenuta già quasi di maniera. Quando HARNACK

32 sosteneva che proprio questa ricca elaborazione della comunità ecclesistica, presupposta da tale simbolica, sarebbe una prova in favore della da­tazione a dopo il 260 (e proprio questa fissazione tar­diva servì tanto a HUGO KOCH nella sua artificiosa storia dell'espressione cathedra Petri) e aggiungeva che essa si distinguerebbe considerevolmente dal capitolo più arcaico sulla nave in Ippolito, si vede bene che egli è già prigioniero della sua ipotesi dello sviluppo del Primato. Basti soltanto confrontare l'ordinamento ec­clesiastico di Ippolito con la costituzione della comu­nità del nostro brano; qui ci troviamo nell'ambito, così vivamente operoso e ben strutturato dal punto di

31 e. 13, 3; 14, 1-3; 15, 1-3; 16, 1-5; 17,1-2 (PG 2, 49A-53 A; GCS, p. 16-19).

32 Die Chronologie d. altchristl. Literatur, v. 2, p. 530, nota 1 (di P- 529).

822 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

vista del diritto ecclesiastico, della Chiesa romana del periodo di pace sotto gli imperatori siri. Anche Harnack, nonostante tutto, deve affermare che « le attribuzioni del vescovo, secondo il nostro scritto, sono quelle che si sono sviluppate al tempo di Callisto. Il vescovo ha oltre al potere magisteriale, il pieno potere delle chiavi (secondo Mat 16,19). Egli detiene nella comunità il posto del massimo dottore della verità e del medico ».

Pertanto il nostro testo è la prima testimonianza, in cui la Chiesa di Roma è considerata come la buona nave di Pietro. Clemente siede sulla cattedra di Pietro e questa è la cattedra di Cristo. Espresso in simboli nautici, ciò rappresenta con molta proprietà il posto del « Vicario di Cristo » : il vescovo romano è il pro­reta della nave della Chiesa, il pilota in seconda ο il pilota di prua, che deve soltanto ripetere gli ordini gridati dal pilota che siede sulla sua Cattedra a poppa. Egli è per così dire l'eco di Cristo; e ciò è anche ben pensato all'antica, poiché, come vedemmo più sopra, già in Senofonte e Aristotele il profeta è concepito come il « diacono e lo strumento animato del pilota » 33. Con ciò però viene assegnato al vescovo romano un potere ministeriale, che si estende in qualche modo su la Chiesa universale. « Per la salvezza di tutti gli uo­mini » egli si è sobbarcato a questa fatica e in rapporto a lui si decide la salvezza di tutti: chi lo ripudia, viene « gettato fuori dal buon regno ». Egli è il « presidente della verità », cosi come cento anni prima Ignazio ave­va salutato la Chiesa romana come « colei che presiede alla carità», una prova, questa, del valore dommatico di questo προκαθίζεσθ-οα, per la cui interpretazione

" Cfr. sopra, a p. 519, nota 15.

LA NAVICELLA DI PIETRO 823

si è disputato tanto. Cristo a poppa, Pietro e il suo successore a prua: questa è, i simboli nautici, la dot­trina della Chiesa antica sul primato. Qui echeggia som­messamente Mar 4,38: Cristo siedeva a poppa. La na­vicala è divenuta una nave di mare, dalla cui cathedra Cristo istruisce i popoli: καθίσας δε έκ τοϋ πλοίου έδίδασκεν τους όχλους (Lue 5,3)· Questa cathedra doctrinae è affidata a Pietro e a Clemente.

Il simbolo della nave della lettera di Clemente ha conosciuto una strana storia. In Oriente, le Costituzio­ni Apostoliche l'hanno ulteriormente sviluppato'34. In Occidente, attraverso la traduzione di RUFINO, è re­stato indimenticabile sino al momento in cui lo PSEU­

DO-ISIDORO se ne impossessò come di un testo adatto alla dimostrazione di una dottrina del Primato romano, che si era sviluppata lentamente sino alla piena matu­rità. Isidoro fa ripetere tutto il capitolo dalla fittizia lettera di papa Anacleto 35. E in un'altra lettera pre­senta lo stesso papa che dice: « Ecclesiae in qua Apo-stolus residens docuit, quodammodo nos gubernacula tenemus »36. Ora il papa siede a poppa, mentre in Clemente vi siedeva Cristo, il pilota; ma ciò non si­gnifica che nel frattempo si era radicata la pretesa ro­mana; si tratta di uno sviluppo di quella identificazione giusta, che era già alla base della identificazione di gubemator e proreta. Il papa governa il timone della Chiesa: questa è un'immagine che fu continuamente impiegata molto tempo prima dei Deaetali di Isidoro,

34 Constitutiones Apostolkae, 2, 57, 2-4.; 9-11 (FUNK I, p. 159-163). 35 Epistola Anadeti, e. 2 (PL 130, 6os). P. HINSCHIUS, Deaetales

Pseudo-Isidorianae, Lipsia, 1863, p. 67. 311 PL 130, 67 D; Hinschius, p. 75,-Cfr. anche l'Epistola Alexandre,

I (PL 130, 98 D ; Hinscius, p. 103).

824 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

nello sviluppo organico dell'antica dottrina romana, come, mostreremo meglio nella seconda parte di questo lavoro. Il Sacramentario Leoniano così prega per il ve­scovo di Roma morto : « Quem in corpore constitu-tum Sedis Apostolicae gubernacula tenere voluisti, in electorum numero constitue sacerdotum »37. La col­lezione di canoni del cardinal Deusdedit è ancora sotto l'influsso dell'immagine della Lettera di Clemente co­nosciuta mediante Isidoro. Nel Prologo a papa Vittore III (1087) egli difende appunto la genuinità delle lette­re in cui si trovano questi testi nautici, e li applica alla nave della Chiesa come navicula Petti provata dalle tempeste : « Haec Ecclesia, etsi interdirmi adversis mundi flatibus opprimitur, meritis tamen principum aposto-lorum, qui in ea vivunt et praesident, non obruitur » 38.

Ciò che abbiamo presentato sino ad ora circa la storia del simbolo della nave di Pietro, era appena ac­cennato dall'espressione biblica e deve la sua ricca ela­borazione piuttosto alla forza dell'immagine della nau­tica profana, che era così adatta ad esprimere la dottrina del primato. Ora torniamo alla storia della spiegazio­ne vera e propria del paragone evangelico.

Se fin dai primordi dell'esegesi allegorista l'equi­parazione della navicella di Pietro in Lue 5,3 con la Chiesa è stata tanto popolare, allo stesso modo gli espositori, così amanti dei simboli, preferirono appli­care al destinò della Chiesa la pesca miracolosa di Pie­tro e dei compagni accorsi in suo aiuto. La Chiesa non

37 MURATORI, Ι, ρ. 453. 3 8 V. W. GIAITWEIX, Die Kanonensammlung des Kardinah Deusdedit,

Piderbom 1905, p. 2s. - Anche nel Decretum di GRAZIANO la Lettera di Clemente viene citata molto spesso.

LA NAVICELLA DI PIETRO 825

è soltanto a prova di tempesta, non è soltanto cattedra di Cristo insegnante, ma è il veicolo carico di pesci viventi del pescatore di Galilea, Pietro. È chiaro che vi contribuì anche il fatto che il cristiano veniva pa­ragonato ad un pesce, proveniente da altri settori del­l'antica simbolica cristiana. Si aggiunga a ciò la straor­dinaria incisività delle parole del Signore, che parlano di «pescatori di uomini» (Mat 4,19; Mar 1,17; Lue 5,10). La ricca simbolica di questa pesca apostolica si trova già pienamente elaborata in ORIGENE

39. Dipen­dentemente da quest'ultimo, METODIO DI FILIPPI

40 e GEROLAMO

41 spiegano la pesca come l'opera degli apo­stoli che, dalla nave della Chiesa, attirano gli uomini dai cattivi flutti del mare alla rete della nuova vita. « Anche oggi viene ancor gettata la rete della pesca », dice CIRILLO DI ALESSANDRIA, « ed è Cristo che la riempie. Poiché egli chiama alla conversione gli uo­mini che nuotano nella profondità del mare, ossia nel­l'amarezza e nelle onde del mondo » 42.

Ma anche qui la spiegazione va dal generale al par­ticolare: ciò che gli apostoli eseguono, è l'opera ese­guita da Pietro, e ciò che vale della nave della Chiesa, si rende manifesto in Roma. EUSEBIO, con la partico­lare sensibilità che aveva per la storia, ci ha lasciato una spiegazione, che neppure nell'Oriente greco è stata

3» Homiliae in Jeremiam, 16, 1 (GCS ORIGENE III, p. 131-133; 18, 5: p. 156S). Con speciale considerazione per Pietro quale pescatore evangelico: Comment. iti evemgelium Matthaei, 13, io (GCS ORIGENE X, p. 207, 1. 30ss). - Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Ichthys, Miinster 1922, v. 2, p. 30ss. - Homiliae in Leviticum, 7, 7 (GCS VI, p. 391, 1. 27ss).

40 De sanguisuga, 5, 3 (GCS METODICI, p. 483, 1. 1-8). 41 Epistola, 71, 1 (CSEL 55, 2, 1. 2-6). Altri testi, sopra a p. 508,

nota 211. 42 Commetti, in Lucani (PG 72, 553 D) .

826 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

più dimenticata. Mosé e i profeti, così egli spiega il Vangelo, « hanno lavorato tutta la notte e non hanno preso nulla ». Ma ciò che essi non poterono fare, « lo ha compiuto proprio quel Simone, l'uomo di Galilea, il povero, il barbaro quanto a lingua. Lo dimostrano le Chiese, ancor oggi luminose, che sono più piene di pesci spirituali che non quella navicella: quella di Ce­sarea in Palestina, di Antiochia in Siria, e la Chiesa nella città di Roma » 43. Qui si sente risuonare la fiera consapevolezza del vescovo di Cesarea, che pone la sua Chiesa come una buona navicella di Pietro a fianco alle altre due Chiese di Pietro: è la stessa fierezza, con cui più tardi CRISOSTOMO, nella «Palaia» dell'antica basilica di Antiochia, che si credeva fondata dagli apo­stoli, tiene la sua scintillante predica sulla tempesta marina della navicella di Pietro ed esalta la valentia di questa nave con le parole di Matteo 16,18 44. Da An­tiochia Pietro si recò a Roma, « il pescatore ha con­quistato la città imperiale » 45. E « Pietro, che una volta gettò la sua rete in un mare, ecco, ha pescato il mondo »46. Mostreremo in seguito che questi toni romani della spiegazione scritturistica si uniscono al linguaggio po­litico ecclesiastico, che dall'Oriente, scompigliato dalla tempesta, passa a Roma. E proprio in questo conte­sto è un fatto degno di nota che un BASILIO DI SELEU-

CIA, il quale a Calcedonia sottoscrive il Tomus di Papa Leone, spiega con parole retoriche il vangelo del pe­scatore di uomini: «Potremo guadagnare le anime de-

43 Teofania siriana, 6, 6 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 173, 1. 2^-34; PG 24, 627 C).

44 Homilia in Inscriptionem Adomm, 1 (PG 51, 78 AB). 45 Expositio in Psalmum 48, 6 (PG 55, 232 A). *· in illuà Vidi Dommum, Homilia 4, 3 (PG 56, 123 C).

LA NAVICELLA DI PIETRO 827

gli imperatori con il nostro linguaggio di barcaioli ? », così egli fa chiedere dagli apostoli. Eppure il loro viag­gio vittorioso va verso Roma : « E Roma depone il diadema imperiale, per gettarsi nella polvere dinanzi all'annuncio della croce » 47.

L'Occidente latino ha elaborato con particolare a-more precisamente il tema dottrinale di Pietro pesca­tore di uomini. Esso viene sviluppato mediante l'im­magine di Pietro pescatore con amo, desunta da Mat 17,26: «Va al mare e getta l'amo». Qui nella spiega­zione allegorica la persuasione del potere magisteriale di Pietro esercita un ruolo sin dall'inizio. Infatti l'amo è la parola di Dio, come dichiara AGOSTINO : « Sic enim est sermo Dei et sic esse debet fìdelibus: tamquam pi­sci hamus. Tunc capit quando capitur » 48. Pietro è il pescatore, a cui viene affidato l'amo: questa immagine dice la stessa cosa dell'immagine del pilota di prua che grida e del presidente della verità. « Destinatus enim ad praedicationem Petrus et piscator hominum factus, doctrinae hamum misit in saeculo, quo appositi sibi dulcedine vagos ex eo flucruantesque protraheret », di­ce ILARIO 49. Ed è una eco di Origene, che dipinge appropriatamente la morte e la rianimazione del pe­sciolino preso all'amo di Pietro, quando AMBROGIO

arringa i cristiani : « Noli igitur, ο bone piscis, Petri hamum timere: non occidit, sed consecrat »50. Amo, rete e la sbarra del timone: tutto raffigura che Pietro

"' Oratia 30, 1 (PG 85, 336 A; 337 A). 48 Traci, in Ioannem 42, 1 (PL 35, 1700. Cfr. sopra, p. 2923). *» Comment. in Matthaeum 17, 13 (PL 9, 1018 A). 5 0 Exameron, 5, 6, 16 (CSEL 32, 1, p . 151, 1. 19S). - Cfr. ZENONE

DI VERONA, Tract. II, 13, 2 (PL 11, 430 B) . - Per tutto ciò anche F. J. DOLGER, Ichthys, Munster 1943, v. 5, p. 313SS.

828 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

anche oggi, e per giunta per tutta l'umanità, è la per­sonificazione della doctrina. « Ipse est apostolicus pisca-tor electus - così predica Pietro Crisologo - qui ad se turbas errorum fluctibus mersas hamo sanctitatis in-vitat, et doctrinae suae rete concludit ad fidem homi-num multitudine copiosam » 51. Ancora una volta rie­cheggia la dottrina origenista della mistica morte e vita dei pesciolini, che vengono portati nel chiuso della nave della Chiesa, quando MASSIMO DI TORINO così si esprime in un'omelia a proposito della pesca aposto­lica : « Navis Ecclesiae liberatos de turbine homines ani-mat, cuna capescat, animat intra se, inquam, Ecclesia, et velut intermortuos vivificat ». Il capo nel pescherec­cio della Chiesa è Pietro : « Velut saucios ergo mundi turbinibus et praefocatos saeculi fluctibus homines vivi-ficaturus dicitur Petrus, ut qui mirabatur refertam na-viculam palpitantium piscium numero, viventium onu-stam Ecclesiam hominum multitudine plus mirare-tur » 52. La mano, che una volta ha guidato l'amo, sta ora al clavus, alla barra del timone della nave, dalla quale viene intrapresa la pesca di tutto il genere umano : questa è la teologia del primato, che ARATORE espone nella sua parafrasi poetica degli Atti degli Apostoli. Egli dedica la sua opera a papa Vigilio, proprio nel periodo in cui le onde particolarmente tempestose sbattono qua e là la navicella di Pietro: «Ma Pietro, che una volta camminò con piede asciutto in mezzo alle onde, ha preparato alle nostre navi un porto sicuro »S3. I versi sul pescatore di uomini suonano così:

51 Sermo 107 (PL 52, 498 B). - Sermo 28 (PL 52, 279 B). «» Sermo 95 (PL 57, 723 B-D). 53 Lettera dedicatoria metrica a Papa Virgilio, ·ν. 135 (PL 68,

P- 77 A).

LA NAVICELLA DI PIETRO 829

« Primus apostolico, parva de puppe vocatus, agmine Petrus erat, quo piscatore solebat squamea turba capit: subito de littore visus, dum trahit, ipse trahi meruit: piscatio Christi discipulum dignata rapit, qui retia laxet humanum captura genus: quae gesserai hamum ad clavum est translata manus... » 54.

È dunque perfettamente naturale che la teologia del primo medioevo e che i papi consapevoli del loro uffi­cio si servano volentieri di questa immagine del pesca­tore romano di uomini. Infatti la Glossa Ordinaria dice espressamente che questa promessa del Signore era in­dirizzata in maniera speciale a Pietro : « Hoc ad ipsum Petrum specialiter pertinet, cui exponitur, quid captura significet piscium. Sed sicut tunc per retia pisces, sic per verba aliquando capiet homines, in quo Petrus est typus totius Ecclesiae »55. Papa NICOLA I, per nomi­nare soltanto uno dei grandi, saluta un vescovo franco come suo collaboratore nella pesca delle anime56. E quando nell'alto medioevo, dopo i giorni del grande Innocenzo, i papi cominciano a sigillare le loro lettere con ì'anulus piscatoris, probabilmente per la prima volta

sl De actibus Apostolorum, versi 69-75 (PI- 69, 97S). Secondo il Protocollo aggiunto (PL 68, 55 A) Arator ha letto questi versi nel­l'aprile del 544. nella chiesa di S. Pietro ad Vincula dinanzi al papa e al popolo. - Nell'ultimo verso alcuni manoscritti danno la lezione « clavum » invece del « davem » che si legge nel Migne. Che si debba leggere « clavum » è assodato sia dallo spirito nautico di questo brano, sia perché così si rende molto meglio il giuoco di parole hamum-clavum.

55 Su Lue 5,10 con un'espressione di Beda (PL 114, 256 C). 58 Epistola 82 (PL 119, 918 C). - Cfr. anche AIMONE, Homilia

de sanctis, 1 (PL 118, 751 B).

830 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sotto Clemente IV in una lettera del marzo 1265 57, si tratta soltanto dell'ultima conseguenza, sopravvissuta sino ad oggi, della teologia del primato che si cela nel simbolo di Pietro pescatore e padrone della nave.

Giungiamo così al punto centrale della spiegazione allegorica della pericope lucana riguardante la nave di Pietro. L'immagine della nave carica di pesci del pe­scatore di uomini si tinge di dramma nella pericope della tempesta marina. Tutto diventa quasi dialettico: la Chiesa è carica, ma con ciò va quasi a fondo ; ci sono due navi, e tuttavia solo una è la nave di Pietro; c'è tempesta, ma in pari tempo enorme successo.

È Ambrogio che, nella sua forte oratoria antitetica, fa risonare i motivi fondamentali, di cui per mille anni si percepirà la eco nell'esegesi allegorica. Ci troviamo di fronte ad un classico esempio del modo in cui il testo di un Padre della Chiesa ha influenzato la litur­gia, l'oratoria e il diritto ecclesiastico del primo medio­evo. Ancor oggi la Chiesa universale nella preghiera delle ore della quarta domenica dopo la Pentecoste, legge l'omelia di Ambrogio sulla navicella di Pietro.

Cerchiamo ora di mettere in risalto i pensieri fon­damentali della teologia della Chiesa e del Primato, che si celano sotto la pienezza dell'immagine impie­gata da Ambrogio. Sin dall'inizio l'essere e il destino della Chiesa sono espressi nell'irriducibile antitesi di pericolo e di sicurezza, di minaccia e di preda: «Et ideo ascendit (Christus) in Petri navem. Haec est illa

87 A. POTTHAST, Regesta Pontificum Romanorum, Berlino 1875, p. 1544, n. 19051: « N o n scribimus tibi nec famujaribus nostris sub bulla, sed sub piscatoris sigillo, quo Romani Pontifices in suis secretis utuntur». - MANSI , 23, p. 1124. - Cfr. anche A. STIEGLER, Lexikon f. Theo!, una Kircke, 1960, v. 4, col. 157: Fischerring.

LA NAVICELLA. DI PIETRO 831

navis, quae adhuc secundum Mattheum fluctuat, secun-dum Lucam repletur piscibus, ut et principia Eccle-siae fluctuantis et posteriora exuberantis agnoscas: pi-sces enim sunt qui hanc enavigant vitam. Ibi adhuc di-scipulis Christus dormit, hic praecipit »58. Il mistero umano-divino del Cristo dormiente e tuttavia impe­rante come Signore, continua nella Chiesa. Il suo ini­zio storico è pericolo marino, il suo sviluppo è ricco bottino: in ambedue i casi però essa è la navicula Vetri, nave del Pescatore, che solleva i pesci viventi dal mare del mondo. Ambrogio suppone l'identità della Chiesa con la nave di Pietro come cosa nota agli uditori; così pure si dica dell'immagine del cristiano come pe­sciolino: si tratta di un antico simbolo. Ciò che egli vi aggiunge come pensiero proprio, è la dialettica de­gli opposti. Il pesciolino, che viene catturato dalla rete, deve morire per poter vivere (vi si sente sommessa­mente parlare Origene), l'acqua è per il battezzato tomba ed ad un tempo rinascita, come Ambrogio ha spiegato ai fedeli nei giorni di Pasqua59. Ma è nella nave di Pietro che avviene questo mistero : « Et bene apostolica instrumenta piscandi retia sunt, quae non captos perimunt, sed reservant et de profundo ad lu­men extrahunt, fluctuantes de infimis ad superna trans-ducunt »60. Viceversa, questo ricco bottino del pesca­tore a sua volta è molto pericoloso per la Chiesa: un pensiero questo, che ha fatto profonda impressione su Agostino. « Questa grande quantità suscita in me

68 Expositio evangeli! secundum Lucani, 4, 68 (CSEL 32, 4, p. 174, 1. 4-9).

58 De mysteriis, 4, 21 (CSEL 73, p. 97). - De sacramento, 3, 3 (CSEL 73, p. 38s).

•° Expositio Lucae, 4, 72 (CSEL 32, 4, p. 176, 1. 6-8).

832 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

preoccupazioni; la navicella potrebbe affondare a causa del proprio peso; ci debbono essere anche degli errori, affinché i buoni vengano provati »61. Proprio in ciò consiste la preoccupazione del timoniere Pietro : « Ecce alia sollicitudo Petri, cui sua iam praeda suspecta est » : « Tuttavia, da uomo perfetto, egli sa preservare i pe­sciolini messi al sicuro, come sa prendere quelli che guizzano ancora non presi. Egli li prende nella parola; egli li consacra alla parola » 62.

È così che Ambrogio sviluppa la teologia del pri­mato. La nave che, secondo Matteo, è minacciata dalla tempesta marina, porta anche Giuda, ma la navicella, che pesca un così ricco bottino, appartiene soltanto a Pietro. « Non turbatur ista quae Petrum habet, turba-tur illa, quae Judam habet » 63. Certo si tratta di pura allegoria dell'indipendente Ambrogio: ma così facendo egli tenta soltanto di inserire nella pericope la sua per­suasione dogmatica della sicurezza della navicella di Pietro. Egli predica infatti in un periodo in cui, nelle ultime tempeste dell'arianesimo, combatte unitamente assieme a papa Damaso per la cattedra di quel Pietro che insegna in Roma. Dobbiamo situare la sua parola in questo contesto : « Ergo non turbatur haec navis, in qua prudentia navigat, abest perfidia, fides spirat. Que-madmodum enim turbari poterai, cui praeerat is, in quo Ecclesiae firmamentum est?»64. Il suo sguardo si rivolge al tempo presente, in cui i pericoli della perfidia ariana, sempre in agguato, cercano di svuotare il mi-

81 Ivi, 4, 77 (P· 177. 1. 24s) • ! Ivi, 4> 78 (p- 178. 1. 4-7). «3 Ivi, 4, 70 (p. 175, 1. is). " Ivi, 4, 70 (p. 175, ). 6-9).

LA NAVICELLA DI PIETRO 833

stero della divinità di Cristo. Unica sicurezza in que­ste tempeste marine è la navicella di Pietro. Anche se l'ordine di gettare le reti è stato rivolto a tutti gli apo­stoli, tuttavia solo a Pietro son rivolte le parole : « Con­duci verso l'alto ». E questo ' alto mare ' è la dottrina secondo cui Cristo è Dio. « Soli tamen Petro dicitur: due in altum, hoc est in profundum disputationum. Quid enim tana altum quam altitudinem divitiarum videre, scire Dei filium et professionem divinae gene-rationis adsumere ? » Verso questo alto mare di Dio esce con sicurezza soltanto la nave petriana della Chie­sa: «In hoc altum disputationis Ecclesia a Petro duci-tur » 65. Dietro l'immagine si nasconde quindi la mede­sima convinzione del primato dottrinale del successore di Pietro, che abbiamo trovato nella lettera dello Pseu­do-Clemente. Ritorna nuovamente Mat 16,18, quando Ambrogio chiama il timoniere Pietro firmamentum Ec-clesiae. La nave di Pietro è simbolo dell'unità della Chie­sa e i collaboratori dell'« altra navicella », che Ambro­gio applica alla sinagoga, vengono qua per mettere al riparo assieme a Pietro la pesca. In Pietro la Chiesa è diventata una: « Ad navem Petri, hoc est ad Ecclesiam, convenerunt, ut implerent ambas naviculas. Omnes enim in nomine Jesu gemi flectunt, sive Judeaus sive Graecus : omnia et in omnibus Christus » 66.

Questa dottrina non è stata mai dimenticata, dal momento che PAOLO DIACONO stabilì il capitolo del commento a Luca come lettura per quella domenica dopo Pentecoste, che aveva come pericope evangeli-

li"', 4. 71 (p- 175. 1- Ϊ Ι - Ι 4 ) · Ivi, 4, 77 (p. 177, 1. 20-23).

834 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ca Lue 5,1-11 67. Oggi nel messale romano è la quarta domenica dopo Pentecoste, alle cui orazioni scritturi-stiche abbiamo accennato più sopra 68. Nel primo me­dioevo questa pericope, e con essa anche la lezione ambrosiana, cadeva in una domenica ante natale Apo-stolorum69, e gli studi hanno accertato che proprio la vicinanza della festa di San Pietro ha esercitato un in­flusso su questa scelta70. Noi possediamo ancora una predica sul capitolo quinto di Luca, tenuta nel quinto secolo da un imitatore di Ambrogio, la quale ci mostra in che modo la dottrina del primato del successore di Pietro viene suggerita dal commentario a Luca del vescovo di Milano : « Hanc igitur solam Ecclesiae na-vem ascendit Dominus, in qua Petrus magister est con-stitutus, dicente Domino : super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam. Quae navis in altum saeculi ita natat, ut pereunte mundo omnes quos suscipit servet illae-sos » 71.

Può anche darsi che l'omelia vada attribuita al ve­scovo MASSIMO DI TORINO. Essa sarebbe in ogni caso conforme alla dottrina del primato insegnata da questo fedele seguace di Ambrogio. Egli, infatti, in

" PL 95, 1369 C. Cft. ST. BEISSEL, Entstehung der Periiwpen des Rómischen Messbuchs, Friburgo 1907, p. 148.

68 Cft. sopra, p. 558, nota 147. 69 T H . KLAUSER, Das Ròmische Capitolare Evangeliorum (Litur-

giegeschichtliche Quellen imd Forschungen, 28), Miinster 1935, v. 1, p. 30, n. 140; p. 178, n. 168. - In PAOLO DIACONO, Lue 5,iss e

l'omilia di Ambrogio per la prima domenica sono letti « post natale Apostolorum » : cfr. BEISSEL, op. cit., p. 149 e 152.

,0 Cfr. anche A. VOGEL, Der Einfluss voti Heiligenfesten auf die Perikopenwahl an den Sonntagen nach Pfingsten, in Zeitschrifì fiir katho-Hsche Theologie 69 (1947) p. 100-118.

71 PS.-AMBROGIO, Sernio 37, 5 (PL 17, 678 AB). Stampato anche tra le omilie di MASSIMO DI TORINO, Sermo 94 (PL 57, 722 A).

LA NAVICELLA DI PIETRO 8 3 5

una sua predica così si esprime a proposito di Pietro: « Quantum igitur meriti apud Deum suum Petrus erat, ut eipost naviculae parvae remigium totius Ecclesiae gubernacula traderentur » 72. Comunque stiano le cose, una cosa è certa: sia il commento a Luca di Ambrogio, sia la predica del suo imitatore, hanno profondamente influenzato la dottrina e il vocabolario teologico del medioevo. Infatti sono entrati nel Decretimi di GRA­

ZIANO 73 e ANSELMO DI LUCCA si richiama ad ambedue i testi nella sua collezione di canoni, quando dimostra la tesi : « Quod navis beati Petri non turbatur », e quando spiega la proposizione: « Quod Petrus a soliditate fidei petra dicitur et in navi eius omnes tuti sunt » 74. Con il richiamo, di origine pseudo-ambrosiana, alla Chiesa come unica nave della salve2za, un tema dottrinale del­l'antica teologia simbolica cristiana viene introdotto nell'allegoria della navicella di Pietro, che ora inten­diamo per l'appunto ricordare brevemente: la Chiesa è l'arca di Noe e fuori delle sue tavole salvatrici c'è soltanto naufragio e affondamento. Ciò che colpisce, è il fatto che soltanto Pietro è paragonato a Noe, am­bedue sono i « timonieri di una nuova epoca del mon­do »75. « Sicut enim Noe arca naufragante mundo cunctos quos susceperat incolumes reservavit, ita Petri Ecclesia conflagrante saeculo omnes quos amplectitur repraesentabit illaesos »76. Da Gregorio Magno sino a

72 Homiìia 70 (PL 57, 399 A). " C. II, q. 4, e. 2 (FRIEDBERG I, p. 422). 71 Collectio Canonum, I, 37 (a cura di FR. THANER, Innsbruck

1906, p. 22). - I, 69 (p. 36). 75 CRISOLOGO, Homiliit 163 (PL 52, 628 D. 629 A). 76 Ps.-AMBROGIO Ο MASSIMO (PL 57, 722 A).

836 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Bonifacio Vili vi si vide un simbolo della Chiesa, fuori della quale non c'è salvezza 77.

La storia ulteriore dell'allegoria dogmatica della na­vicella di Pietro può essere riassunta rapidamente, tanto numerose son ora le testimonianze. Ovunque risuona­no le parole di Ambrogio. Dagli amboni degli ultimi Padri della Chiesa e nelle aule scolastiche dei monaci carolingi, ovunque echeggia la lode alla Chiesa e a Pie­tro, il suo buon timoniere. La Chiesa è la nave di Pie­tro provata dalla tempesta, di cui AGOSTINO predica: « Quia etsi turbatur navis, navis est tamen. Sola portat discipulos et recipit Christum. Periclitatur quidem in mari, sed sine illa statini peritur » 78. Pietro è il ' tipo ' e la personificazione della nave della Chiesa: « Gestat enim Petrus Ecclesiae plerumque personam » 79. Il mare raffigura il mondo presente; Pietro Apostolo è il tipo dell'unica Chiesa »80. Le due navi sul lago di Gene-sareth diventano il simbolo della Chiesa dei giudei e dei pagani81, proprio come in Ambrogio. La nave di Pietro viene caricata sino quasi ad affondare con la enorme massa di cattivi cristiani82, ancor più che al tempo di Ambrogio. Ma viene il giorno, in cui Cristo glorificato starà sulla riva dell'eternità, per tirare a terra

" Cfr. ad esempio GREGORIO M A G N O (PL 76; 982 CD) . - Ps.-

ISIDORO (PL 130, 191 A). - INNOCENZO III (PL 215, 278 C; 622 D) . -

BONIFACIO Vili nella Bolla Ausculta fili, in C. J. HEPELE, Concilienge-schichte, Friburgo 1890, v. 6, p. 325. - Per i testi antichi in favore della simbolica arca-Chiesa, cfr. F. J. DOLGBR, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed . , p. 273SS.

78 Sermo 75, 3 (PL 38, 475). '" Sermo 75, 9 (PL 38, 478). «0 Sermo 76, 1 (PL 38, 479). 81 Tractatus de sexta feria Paschae (MORIN, p. 488S). 82 Sermo 13, 2 Wilmart (MORIN, p. 713).

LA NAVICELLA DI PIETRO 837

per sempre la navicella, la Ecclesia gloriosa 83. A causa dei Santi, che appartengono inseparabilmente al misti­co Corpo di Cristo, il timone della Chiesa fu affidato a Pietro in mezzo alle tempeste di questo mare terre­no 84. Un ignoto discepolo di Agostino, che ci ha la­sciato una predica piena d'immagini marine, esclama: « Navicellam. quippe istara, fratres, Ecclesiam cogitate, turbulentum mare, hoc saeculum ». Cristo è il vigile timoniere sulla nave di Pietro, perciò l'approdo è cer­to : « Naviget ergo, carissimi, naviget haec dominica navis inter procellas saeculi Christo protegente secura, Deo donante sollicita »85. Tutto ciò è così ben noto ai credenti, che Gregorio Magno ha appena bisogno di accennarvi : « Per navem Petri quid aliud quam com-missa Petro Ecclesia designatur ? » 86. Attraverso la col­lezione di excerpta di PATEHIO (e di Bruno), questa domanda retorica giunge al medioevo87. Beda riallac­ciandosi alla nota spiegazione di Ambrogio, dà ancora una volta a questa simbolica una più decisa colorazione romana. La navicella di Pietro è la figura dell'antica Chiesa dei giudei : « Navis Simonis est Ecclesia primi­tiva... de qua Christus docebat turbas, quia de aucto-ritate Ecclesiae docet usque hodie gentes »88. Questo usque hodie, con lo sguardo rivolto verso l'autorità dot­trinale romana, viene continuamente ritrascritto nel

83 Sermo 248, 3 (PL 38, 1159S). - Sermo 250, 3 (PL 38, 1155S). 84 Tractatus in Joannem, 124, 7 (PL 35, 1976). 85 Sermo 72, 2. 3 (PL 39, 18845). 86 Moralia in Job, 17, 26 (PL 76, 28 A). Cfr. anche l'omelia 24,

3, 4 (PL 76, 1185B-D): il concetto agostiniano delle due navi, la Chiesa terrestre e quella gloriosa di Pietro : « Ipsi quippe sancta Ec­clesia est commissa ».

87 Expositio super Lucam (PL 79, 1060 A; 1206 B). 88 Expositio in Lucani, 2, 5 (PL 92, 302 C) .

838 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

medioevo 89. Lo vediamo chiaramente nello P S . - A I M O -NE DI HALBERSTADT : « Navis Simonis primitiva Ecclesia ex Judaeis collccta, quae ideo Simonis dicitur, quia specialiter ei est commissa. Illi enim a Domino dicami est: tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ec-clesiam meam »90. La stessa cosa va detta della Chiesa dei pagani: anche la sua certezza di salvarsi riposa sulla roccia, che ha a sua volta in Cristo la sua forza sosteni­trice 91. Così la navicella della Chiesa non può mai af­fondare, nonostante tutte le tempeste degli eretici: « Mergi non potuit, quia Christum in fondamento habuit, ipso dicente: super hanc petram aedificabo Ec-clesiam meam » 92. Gesù insegna soltanto dalla nave di Pietro: ciò indica l'unica ecclesiastica dottrina, che deve essere annunziata dai predicatori93 , e il fatto di Pietro che discende dalla sua navicella, per andare incontro a Gesù si ripete ogni volta che un maestro inviato da R o m a espone la parola di Dio : « quoties quilibet sanctus doctor de gremio Matris Ecclesiae, ubi fuerit educatus, pia condescensione perrexit ad illos, qui foris erant, ut eis viam salutis ostenderet » 94.

Siamo così giunti alla seconda parte della nostra ri­cerca, in cui udiremo l'eco politico-ecclesiastica di tale esegesi. Citiamo ancora due testimoni per concludere la storia esegetica del simbolo; essi infatti, più chiara-

89 Cfr. ad esempio SMARAGDO DI ST. MIHIEL (PL 102, 375 D). -WERNER DI SAN BIAGIO (PL 157, 1045 C ) ; BRUNO DI SEGNI (PL 165,

374 B). 80 Homilia 117 (PL 118, 626 A). 91 Ivi (626 B). Qualcosa di simile anche in BEDA (PL 92, 383 A). 9! Ivi (628 Β). Cfr. anche Homilia de Sanciti, 3 (PL 117, 762 B). 9 3 Ivi (626 B). Anche in PASCASIO RADBERTO, Expositio in Mat-

thaeum, 5, 8 (PL 120, 359 D) . 9 a ANSELMO DI CANTERBURY (?), Homilia 3 (PL 158, 600 C D ) .

LA NAVICELLA DI PIETRO 839

mente che gli altri, mostrano come si applicava il ri­sultato della spiegazione occidentale della pericope lu­cana per gridare all'altra barchetta, all'Oriente separato, la parola ammonitrice di Pietro: la storia dell'esegesi della nave di Pietro, che ora possiamo abbracciare con uno sguardo, ci dimostra che si tratta di uno sviluppo spiccatamente latino-occidentale, a cui la tardiva ese­gesi greca e quella bizantina non prendono più parte. ANSELMO DI HAVELBERG, nelle discussioni con Niceta di Nicodemia sull'unità della Chiesa e sul primato del vescovo romano (avvenuta nel 1135), esalta Pietro co­me il buon timoniere della Chiesa, a cui il Signore ha detto: «Tu però rafforza i tuoi fratelli » (Lue 22,32). « Ac si aperte dicat : tu qui hanc gratiam accepisti, ut aliis in fide naufragantibus semper in fide immobilis et constane permaneas » 95. Il secondo documento è co­me il brillante epilogo della nostra storia, scritto da Innocenzo III in un momento drammatico per la sto­ria papale, quando le schiere della quarta crociata erano entrate nella Hagia Sophia di Bisanzio e per un momento sembrò che la cristianità greca dovesse essere ricondot­ta all'unità della nave di Pietro. Il 21 gennaio 1205 il papa scrive al clero di Costantinopoli una lettera piena di gioia sulla ricostituita « unità » e ogni parola di essa è come il frutto maturo della storia del nostro tema: « Sicut per mare saeculum, ita per navem Ecclesia et per rete praedicatio designatur. Navis ergo Simonis est Ecclesia Petri, quae benedicitur una, quia catholica Ecclesia una est, quam Christus commisit Petro regen-dam, ut unitas divisionem excludat »96. Cristo che si

" Dialogi, 3, 5 (PL 188, 1214S). "6 Epistola 203 (PL 215, 512-517). POTTHAST, n. 2382.

840 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

mette sulla nave di Pietro, per istruire di li i popoli, significa : « Sedens docebat de navicula turbas, quia extunc fecit Petrum stabilem sedem habere, sive in Laterano, sive in Vaticano ». A Pietro fu indirizzato il comando: «Due in altum et laxa retia in capturam». Queste parole si son di nuovo adempiute ora e con sommesso orgoglio Innocenzo getta il suo sguardo sulle Chiese occidentali ed orientali, dalla Livonia, alla Bul­garia, sino all'Armenia: veramente la nave di Pietro è in alto mare, mentre Innocenzo getta le reti : « Hoc unum audacter affirmo, quia laxavi retia in capturam ». Bisogna leggere la lettera spassionatamente, per car­pire di frase in frase l'eco della teologia di Agostino e di Ambrogio sul primato del timoniere romano. Questa è la buona nave, che mille anni prima il cri­stiano romano sotto Callisto ha esaltato e che da allora è andata attraverso tempeste e alte onde, così che le sue fracide tavole scricchiolavano, come una volta si lamenta il grande Avversario all'inizio del suo ponti­ficato 97. Adesso apprenderemo, in che modo il tem­porale politico ecclesiastico minaccia la nave di Pietro. Ma anche qui restano valide le parole : « Tunditur, non mergitur ».

2. L'IMPIEGO POLITICO-ECCLESIASTICO DEL SIMBOLO

Anche questa linea della storia del simbolo si svi­luppa secondo le medesime leggi della spiegazione dommatica: l'immagine è usata in primo luogo in genere, in quanto viene applicata, in un contesto

" Epistola i, 4 (PL 77, 447 A).

LA NAVICELLA DI PIETRO 841

politico e giuridico ecclesiastico, alla Chiesa come nave degli Apostoli e alle Chiese particolari, che vengono rappresentate come le navi a prova di mare, pilotate dal vescovo in veste di timoniere. Tra queste « navicu-lae Apostolorum. » la Chiesa di Roma è la nave del primo tra i pescatori. Con crescente autocoscienza i successori di Pietro riconoscono il proprio compito di reggere i « gubernacula totius Ecclesiae », e i colleghi nell'episcopato lo riconoscono volentieri. Quando per­corriamo con lo sguardo le testimonianze di questa storia, allora, dal modo in cui Roma si serve della collaborazione episcopale dei timonieri apostolici e dal modo in cui, a loro volta, questi, specialmente nelle tempeste delle eresie e della politica, si rivolgono di continuo al capo timoniere della nave di Pietro, diventa chiaro il convincimento teologico, presente dietro que­ste immagini e parole nautiche. Non resta alcun posto per una « presunzione romana » storicamente dimostra­bile. Il lento formarsi della teologia del primato è una crescita vivente: essa avviene secondo una legge esi­stente sin dall'inizio, e cioè in forza di una convin­zione sempre presente, la quale, sebbene inizialmente soltanto implicita, è presente come dato storico affer­rabile ed enunciabile. Il primato del vescovo romano non è sorto da un oscuro impulso, né come semplice risultato di fatto di fattori storici molto meno ancora come risultato imposto da un'abile politica d'interessi. K. HOLL ha ragione quando scrive : « La Chiesa catto­lica non può mai impegnarsi in una considerazione storica, che pone all'inizio dello sviluppo un semplice impulso, un'idea, un seme non sviluppato... la Chiesa cattolica deve mettere già come punto di partenza del-

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la storia del cristianesimo qualcosa di formato, qualcosa di relativamente compiuto »98. Questo qualcosa di compiuto, che va tenuto presente nel caso del lento di­venire del primato, è il tema di cui ci occupiamo ora esponendo l'applicazione politico-ecclesiastica del sim­bolo della nave di Pietro, sullo sfondo della conoscen­za ormai acquisita dal suo sviluppo esegetico.

Il pensiero fondamentale, che si estende attraverso testimonianze del millennio che va tra Callisto e In­nocenzo III. non è determinato tanto dal racconto bi­blico di Luca 5, quanto piuttosto dalle pericopi della tempesta marina, che sbatte qua e là la nave di Pietro. La Chiesa è la nave, che, sotto una immane minaccia, naviga attraverso il « mare cattivo del mondo » : per­secuzione politica dall'esterno ed eresie dall'interno la pongono in pericolo di naufragare. Lo abbiamo già esposto sopra basandoci su innumeri testi della teolo­gia patristica ". I vescovi e i teologi, specialmente nei momenti di pericolo, esaltano la navicella degli Apo­stoli così atta alla navigazione. GEROLAMO ne ha scritto in quel tornante drammatico, quando si placò la tem­pesta rabbiosa degli ariani con la morte improvvisa dell'imperatore Costanzo, la grande « bestia ». Era co­me dopo la tempesta nel mare di Galilea (Mat 8,26): tutto in una volta si fece gran calma : « Periclitabatur navicula Apostolorum, urgebant venti, fluctibus latera tundebantur, nihil iam supererai spei: Dominus exci-tatur, imperat ventis, bestia moritur, tranquillitas re-diit » 1 0°. In tale tempesta lo sguardo dei marinai e dei

ss Gesammelte Aujsàtze zur Kirchengeschkhte, Tubinga 1938, v. 3. P- 455·

"" Cfr. sopra, p. 499-507. 100 Dialogus adversus Luciferianos, 19 (PL 23, 172S).

LA NAVICELLA DI PIETRO 843

passeggeri va verso la poppa, ove il timoniere governa e ha in suo potere l'unico gubernaculum che salva, poi­ché tiene in mano, impugnandolo con calma, il clavus (οΐαξ), il manico ligneo del timone. Costui, nella nave della Chiesa, è il vescovo: egli è l'uomo, a cui è stato elargito il dono spirituale della κυβερνήσις (iCor 12,28) 1 0 1, ed è stato costituito guhernator della Chiesa ο come proreta del divin timoniere, Cristo. In questo linguaggio simbolico navale è contenuta la persuasione giuridico-ecclesiastica della posizione del vescovo. Sce­gliamo nella massa di testimonianze che si potrebbero portare in favore di ciò, qualcuna delle più significa­tive. Il vescovo, in collaborazione con i sacerdoti, è il timoniere della nave, come spiega" già CIPRIANO in una lettera 102. In uno scritto al suo vescovo, Agostino, che era ancor semplice sacerdote, riconosce che egli non è capace di assumere neppure questo « secondo posto » sulla nave della Chiesa d'Ippona guidata da Aurelio: « Ut secundus locus gubernaculorum mihi tra-deretur, qui remum tenere non noveram »103. TEODO-

RETO ci riferisce, a proposito della Chiesa di Antiochia, che il vescovo Alessandro vi « dirigeva il timone » 104 ; e, a proposito di Stefano vescovo della medesima città divenuto eretico, ricorda : « Egli teneva in mano il ti­mone di quella Chiesa e guidava la navicella verso l'affondamento » 105. Questo diventa sempre più un lin­guaggio giuridico sacro e quindi levigato, si potrebbe

101 Cfr. il materiale patristico in G. KITTEL, Theol. Wòrterbuch z. Neuen Testament, Stoccarda 1938, v. 3, p. 1036 (BEYEH).

loa Epistola 14, 1 (CSEL 3, 2, p. 510, 1. 2s). 103 Epistola 21, 1 (CSEL 34, 1, p. 50, 1. 6s). 104 Historia ecclesiastica, $, 35 (GCS TEODORETO, p. 337, 1. 14S). 105 Histor. eccles., 2, 9 (GCS, p. 119, 1. I2s).

844 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

anche dire lontano dall'immagine, come, ad esempio, quando LEONE MAGNO parla degli « episcopalia gu-bernacula »106, ο EUCHERIO della « dioecesis guberna-tio »107, proprio come aveva già detto CIPRIANO

108. Lo si vede anche nella traduzione che RUFINO dà al testo di Eusebio: in esso narra che papa Alessandro ha ricevuto l'ufficio come quinto vescovo dopo Pietro (την έπισκοπήν ύπολαμβάνει); Rufino traduce la frase con le seguenti parole : « Plebis guberanacula sor-titus est »109. Il concetto dell'ufficio episcopale è « Na-vim Ecclesiae gubernare » 110.

Rivolgiamo ora l'attenzione alla Chiesa romana. Anche qui, conformemente alla tendenza antica del simbolismo cristiano, si parla del vescovo come timo­niere della propria nave, esattamente come a Cartagine ο ad Antiochia. Ma ciò che colpisce, che è interessante per la storia giuridica del primato e che dimostra chia­ramente come la priorità del timoniere romano sulla nave della Chiesa non può essere una usurpazione, è il fatto, ampiamente documentabile, che Roma non ha mai contrastato la posizione dei singoli vescovi co­me capi nave (servendosi, ad esempio, dell'argomento, apparentemente ovvio, che sulla nave della Chiesa ci può essere soltanto un timoniere); al contrario i papi romani hanno sempre salutato i loro fratelli nel mi­nistero come i timonieri delle loro Chiese. Nel sarca­smo con cui TERTULLIANO burla il ricco armatore Mar­

io» Epistola 12, io (PL 54, 654 B). 107 Instructiones, 2 (CSEL 31, p. 160, 1. 13). 108 Sententiae episcoporum, praefatio (CSEL 3, i, p. 416, 1. io). 109 Historia ecclesiastica, 4, 1 (GCS EUSEBIO, 2, 1, p. 301, 1. 5s). 110 Così in CESARIO DI ARLES, Suggestio humilis (ed. MALNOEY,

Bibliothèque de Γ Ecole des Hautes Etudes 103, 1894, p. 305).

LA NAVICELLA DI PIETRO 845

cione, che in Roma vuol spacciarsi come il nauclerus della comunità e come successore dei pescatori della bar­ca galilaica, ascoltiamo già come una eco e una remini­scenza della gubernatio episcopale m . CIPRIANO, proprio nelle sue lettere indirizzate a Roma, si sforza di far suo il linguaggio nautico sacro, di cui ci si serviva volen­tieri nelle lettere che giungevano dalle rive del Tevere. Nella commovente autodifesa, che al tempo dello scisma di Fortunato egli indirizzò a papa Cornelio, spiega che gli assalti contro l'unità episcopale della Chiesa cartaginese venivano in ultima istanza dal dia­volo: questi ha suscitato le tempeste marine, che mi­nacciano la nave della Chiesa, poiché, quando si riesce ad eliminare il timoniere, allora il naufragio è inevi­tabile : « Ille qui Christo adversarius et Ecclesiae eius inimicus ad hoc Ecclesiae praepositum sua infèstatione persequitur, et gubernatore sublato atrocius atque vio-lentius circa Ecclesiae naufragia grassetur » 112. Il sim­bolo viene applicato in maniera realistica anche quando Cipriano afferma che i cinque apostati consacrati dall'antivescovo veleggiarono con nave veloce alla volta di Roma, per diffamare il vescovo legittimo presso il papa : « Essi sono partiti con il loro carico di bugie alla volta di Roma, questi compagni di nau­fragio, come se dietro di essi non potesse veleggiare a sua volta anche la verità »113. La consapevolezza che Cipriano ha di se stesso si manifesta nella sua fie­rezza: a Cartagine, e questa è la Chiesa, c'è soltanto un timoniere ora, poiché l'unità di questa Chiesa è

111 Adversus Mardonem, 4, 9 (CSEL 47, p. 44.0, 1. 16-19). 112 Epistola 59, 6 (CSEL 3, 2, p. 673, 1. 20 - p. 674, 1. 2). 113 Epistola 59, 11 (p. 678, 1. 20s).

846 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

l'unità di tutta la Chiesa, e ciò che avviene contro un vescovo, viene fatto a tutta la Chiesa. Ogni vescovo è sulla sua nave il magister navis inviato da Dio. Mai è venuto in niente ad un vescovo di Roma di negarlo, per innalzare la propria sede. Papa Anastasio I, che è uno dei costruttori della dottrina del primato, du­rante i disordini suscitati dalla polemica di Origene, scrisse al vescovo di Milano e lo informò su ciò che Teofilo, vescovo di Alessandria, aveva fatto in questa questione così importante per la purezza della fede. Ma non si attribuisce il diritto di decisione, bensì loda la vigilanza del timoniere alessandrino : « Magi­ster providus navis hora tempestatis et periculi magnani patitur animi iactationem, ne procellis atque asper-rimis fluctibus navis elidatur in saxa. Pari animo vir sanctus et honorabilis Theophilus, frater et coepisco-pus noster, circa salutis commoda non desinit vigilare, ne Dei populus per diversas Ecclesias Origenem le-gendo in magnas incurrat blasphemias »1 1 4 . Tuttavia, nonostante il riconoscimento dei diritti dei vescovi e nonostante la gioia con cui è accettato il servizio della loro collaborazione sulla nave della Chiesa, nella scelta dei simboli nautici, che si riscontrano nelle lettere del papa, si percepisce una delicata sen­sibilità per la posizione unica del vescovo di R o ­ma: nello sfondo infatti c'è sempre la figura di Pie­tro, che nella Chiesa universale è il primo timo­niere; e i vescovi, a cui le lettere erano indirizzate, non lo hanno contestato, dal momento che volevano restare nell'unità della navicuìa Petri. Dal punto di

1 1 4 Epistola 2, ι (PL 20, 74A), JAFFÉ 276 MANSI , V. 3, p . 945.

LA NAVICELLA DI PIETRO 847

vista della storia dello sviluppo del primato, tutto ciò diviene chiaro soprattutto all'inizio del quinto secolo, allorché gli imperatori orientali si misero a favorire l'ascesa della Chiesa episcopale della capitale situata sul Bosforo e dopo che dall'Oriente si levarono le tempeste delle eresie cristologiche. Chi è il t imo­niere responsabile, che manovra il manico del timone della nave di Pietro, per guidarla sicura attraverso ogni tempesta? Questa è la questione giuridica, contenuta nell'immagine simbolica, di cui ora cominciamo ad occuparci. In queste tempeste, Roma diventa consa­pevole della sua posizione stabilita da Dio, il papa difende il suo posto sull'alta poppa della nave della Chiesa, ma sempre in modo da lasciare intatti i diritti dei vescovi. La situazione diventò incandescente nella controversia sui diritti di vicariato della diocesi di Tessalonica, ove Bisanzio e Roma si urtarono a vi­cenda. Nel marzo del 422 papa BONIFACIO scrive a Rufo di Tessalonica un'ammonizione, affinché conservi il suo Vicariato sull'Illiria concesso da R o m a : infatti il beato Apostolo Pietro stesso si batterà come suo difensore. « Nolo perturbatione maris conciti terrearis. In nullo te turbo, in nullo penitus procella vexabit. Non patitur ille sedis suae perire privilegium, te la-borante, piscator. Omnis tumor fluctuum, omnis procella cessabit, eo favente, nisibus tuis, cui soli mare pervium fuit » U 5 . Con fine diplomazia e dommatica chiarezza, il Vicario del Papa viene designato come « collaboratore » di Pietro e del suo successore. Del tutto simile è il modo di esprimersi di una lettera con

1 1 5 Epistola 13, 1 (PL 20, 775 B). JAFFE, 363. MANSI , V. 8, p. 754. -

C&. E. CASPAK, GeschicHte àes Papsttums, Tubinga 1930, ν. ι, ρ. 37tìs.

848 L 'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

cui, cinque anni dopo, papa SIMPLICIO concede al vescovo Zeno di Siviglia i diritti di Vicario papale. Zeno è degno dell'ufficio, perché, da buon pilota, sa guidare la navicella della propria Chiesa: «Pluri-morum relatu comperimus, dilectionem tuam fervore Spiritus Sancti ita navis ecclesiasticae gubernatorem existere, ut naufragii detrimenta Deo auctore non sentiat » U 6 .

Dall'Oriente si levano le tempeste dell'eresia e mi­nacciano di affondare la nave della Chiesa. Papa CE­LESTINO è al suo posto con Cirillo di Alessandria e quando, dopo la grave crisi del Concilio di Efeso, le dottrine ereticali dell'infido pilota di Costantino­poli, Nestorio, furono sconfitte e la pace fu restaurata, una lettera piena di gioia giunge al nuovo vescovo della città imperiale orientale, che lo saluta come il timoniere della nave tanto gravemente minacciata·. « Ancora ti sbattono qua e là le onde sollevate da Nestorio e ti minacciano i flutti ammucchiati in alto e le tempeste. Resisti con ogni vigilanza e poni cura come maestro della nave che ti è stata affidata, nel migliore dei modi, per la salvezza di coloro che sono nelle tue mani. Calma di nuovo il mare, su cui navi­ghi, abbi cura che la nave, da te guidata, mediante la tua arte, dopo tutte le tempeste, viaggi sicura ». Nestorio è affogato nel naufragio, poiché si arrogava l'ufficio di un pilota maestro. « Ma tu, prendi in mano il legno del timone della nave affidatati »: « Sume gubernacula notae tibi navis eamque, ut didicisse te a tuis prioribus novimus, rege. Obsiste undis, quas

1 1 8 Epistola 21 (THIEL, ρ. 213S). JAFFÉ, 590. MANSI , V. 7, p . 972. -

E. CASPAR, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1933, v. 2, p. 14 e p. 766.

LA NAVICELLA DI PIETRO 849

ille ventus, qui et a navi vectores abegerat, sed omni­bus inimicus excivit, omni eam laterum cupiens com­page dissolvere ». Ma anche in questo notevole rico­noscimento del timoniere bizantino, il papa fa risuo­nare la dottrina di Pietro, l'unico timoniere di tutta la nave : « Segui quel pescatore, che con i piedi cam­mina sul mare, per poter giungere a Cristo nostro Signore »117.

L'Oriente non ha mai voluto comprendere piena­mente questo linguaggio delicato e fermo ad un tempo. Subito dopo il trionfo del potere magisteriale di Roma, che è contrassegnato dal Tomus dommatico di Leone e dal Concilio di Calcedonia, scoppia lo scisma di Acacio, primo annuncio della futura separazione. In Roma tiene il timone papa Felice II, e il suo magna­nimo ispiratore è Gelasio, il futuro papa 118. Nel marzo del 483 parte la prima lettera per Acacio, tutta piena del sentimento romano per la grandezza del successore di Pietro, il quale sa che è a proposito della nave della Chiesa che sono dette le parole: Le porte dell'inferno non possono annientarla e quanto più violenta è la tempesta, tanto più alta sarà portata la nave. A questo punto la lettera adotta « un fiero linguaggio nuovo, con un sottotono minaccioso » 119. Il naufragio minac-

1 1 7 Epìstola 24 (PL 50, 547 BC) . JAFFÉ, 387. MANSI , V. 5, p. 269.

E. SCHWAKTZ, Ada Cotte, oec, 1, 2, p. 90, 1. 19-28. 118 Cfr. H. K O C H , Gelasius im kirchenpolitischen Oienst seiner Vor-

ganger, der Pdpste Simplicius und Felix IH, in Sitzungsberichte der Bayri-schen Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Klasse, v. VI, Monaco 1935. - H. RAHNER, Kirche und Staat im fruiteti Christentum, Moncao i960, p. 222. - Cfr. W. HAACKE, Die Glaubensformel des Papstes Hor-misdas im Acacianischen Schisma (Analecta Gregoriana, 20), Roma 1939. P- 8, nota 33.

"· E. CASPAR, Geschichte des Papsttums, v. 2, p. 28.

850 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

eia l'infedele timoniere della nuova Roma : « Ubi pro-spiciendum est, ne Ecclesiam, quae nullis potest obrui molibus procellarum, quicumque submergere nititur in huius saeculi pelago fluctuantem, ipse potius guberna-tione salutari in profonda deiectus, illa praevalente, mergatur »1 2 0 . La gioia era tanto più grande, per il fatto che dopo anni di apprensione la pace tra Roma e Bisanzio poteva essere conclusa. Il 9 Luglio del 519, papa ORMISDA invia il suo primo scritto di saluto al successore episcopale dell'inglorioso naufrago Acacio e rafforza nel patriarca imperiale la coscienza episcopale: « Ricordati che sei il timoniere della nave, che ti fu gra­ziosamente affidata da Cristo, e non ti far strappare di mano il timone della nave del Signore » : « Memento nunc clementer te adsignatae a Christo navis esse recto-rem. Fac cogites diabolicae contumaciae spiritus quieti itineris secura turbantes, nec te lateant fluctus tempe-statis incertae, quos evigili mente prospicias et erecta in Deum ratione compescas. Nulla tibi commissi ne-gotii negligentia clavum dominicae ratis extorqueat » 121. Quanto lealmente, e ad un tempo saggiamente, Or­misda, il papa della classica teologia del primato 122, sa applicare qui la simbolica della nave della Chiesa! Giovanni di Costantinopoli è effettivamente il signore sulla propria nave, ma (così bisogna intendere), soltan­to su quella che Cristo gli ha affidato. E tuttavia la sua Chiesa è ratis dominica nel pieno senso della parola,

1 2 0 Epistola 2, 7 (THIEL, p. 237). JAFFÉ 592. MANSI , V. 7, p. 1028. -

H. RAHNER, ivi, p. 224S.

i" Epistola 80, 3 (THIEL, p. 880). Avellana, 169 (CSEL 35, p. 625, 1. 21-26). JAFFÉ, 820. CASPAK, V. 2, p. 163. HAACKE, ρ. 75.

1 , 1 Cfr. anche HAACKE, p. 122-150. A p. 2-8 p a r k del ruolo

importante esercitato dalla formula di Ormisda sul Concilio Vati­cano I.

LA NAVICELLA DI PIETRO 851

appartenente alla stessa unica nave, che Pietro guida da Roma.

Cerchiamo ora di comprendere anche dal lato op­posto lo sviluppo della consapevolezza del primato alla luce del nostro simbolo e cioè: nelle espressioni che parlano del posto speciale, del posto di guida all'in­terno della nave della Chiesa, come fu formulato spesso da parte di Roma rivolgendosi al mondo cattolico. La controprova di ciò è la eco, che dalle Chiese epi­scopali risponde al timoniere romano riconoscendo i suoi diritti di capo; e proprio qui si trova la migliore dimostrazione in favore del primato giuridico. È que­sto comandare con piena consapevolezza dell'ufficio, è questo gioioso riconoscimento che sono precisamente il mistico άντιβάλλειν tra il vicario del timoniere Cristo e i suoi proretae episcopali, appello e controap-pello, comando e risposta dalla poppa alla prua della nave di Pietro 1 2 3 .

N o n andiamo errati, quando consideriamo il bel capitolo navale presente nella lettera dello P S . - C L E -MENTE come un'espressione del sentimento ecclesiale ro­mano, il quale, al tempo di papa Callisto, viene già ad assumere la forma concreta di esigenza de facto del primato. Basterà aspettare soltanto qualche altro de­cennio e ciò che nella lettera di Clemente forse sem­brava ancora un'allegoria non obbligatoria, nelle lette­re del clero romano diventa chiaro linguaggio giuri­dico latino. Dopo la morte di papa Fabiano (250), mentre la sede era vacante, NOVAZIANO, a nome del clero romano, scrive a Cartagine una lettera riguar-

123 Cfr. la traduzione che abbiamo dato più sopra (p. 820) al-Γάντφαλλέτω della lettera dello PS.-CLEMENTE.

852 L 'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

dante la disciplina penitenziale. In modo misurato e nella piena e ferma consapevolezza di parlare per tutta la Chiesa, vi vengono tracciate le linee direzionali. HARNACK ammirava la grandezza romana di questa lettera e il modo « in cui il clero romano teneva in mano il timone della Chiesa e delle Chiese, anche se gli mancava il vescovo » 124. È necessario, come è detto nella lettera al vescovo Cipriano, è necessario per la salvezza della Chiesa che la severità penitenziale venga regolata in modo unitario, nel ricevere i caduti è ne­cessaria la « debita severitas divini rigoris » : « Quam qui remiserit, instabili rerum cursu erret semper necesse est, et huc atque illuc variis et incertis negotiorum tempe-statibus dissipetur et quasi extorto de manibus consi-liorum gubernaculo navem ecclesiasticae salutis inlidat in scopulos, ut adpareat non aliter saluti ecclesiasticae constili posse, nisi si qui et contra ipsam faciunt quasi quidam adversi fluctus repellantur et disciplinae ip-sius semper custodita ratio quasi salutare aliquod guber-naculum in tempestate servetur »125. Come si vede, Roma ha saldamente in mano il timone della questio­ne penitenziale, ed è esatto, quando E. CASPAR, a pro­posito delle righe appena citate della lettera, dice che in esse « la fermezza e la fierezza romana trovano una piena ed imponente espressione »126. Questo clero, da cui veniva scelto il papa, era informato del posto che,

124 Die Briefe des rò'mischen Klerus aus der Zeit des Sedivacanz im Jahre 350, in Theobgische Ahhcmdlungen C. Weizsàcker gewidmet, Lipsia 1892, p. 1-36. - Dogmengeschichte, Tubinga 1909, 4 ed., v. 1, p. 491.

125 N e l corpus delle lettere di CIPRIANO, Epistola 30, 2 (CSEL 3,

2, p. 549s)· 126 Geschichte des Papsttums, v. 1, p. 65.

LA NAVICELLA DI PIETRO 853

secondo la tradizione primitiva, compete alla Chiesa romana, e, immediatamente dopo la frase riguardante il timone della salvezza ecclesiastica e dell'antica di­sciplina penitenziale, scrive : « Questa non è una deci­sione nuova, emessa ora per la prima volta, né un im­provvisato mezzo di aiuto, a cui ora la prima volta avremmo fatto ricorso contro i cattivi. Al contrario, presso di noi è antica la severità, antica la fede, antica la disciplina, che è scritta, altrimenti l'Apostolo non avrebbe pronunciato su di noi una così alta lode con le parole : « La vostra fede è lodata in tutto il mondo » (Rom 1,18), se questa forza non avesse le sue radici già in quei tempi » 127.

Non ci meravigliamo, quando incontriamo nuova­mente questo linguaggio giuridico investe nautica ne­gli scritti di Damaso: questo vescovo romano infatti è uno dei grandi nella storia del primato. È lui che ha reso classica l'espressione Sedes Apostolica, in uso sino ad oggi per indicare i diritti papali128, ed è lui (con un altro simbolo biblico, la cui storia meriterebbe di essere studiata) che conia per l'unità della Chiesa e del­le Chiese l'indimenticabile espressione di « una sola stanza nuziale », in cui alla Chiesa di Roma spetta il primo posto 129. « Poiché è da qui che i diritti della comunità degna di onore vanno a tutte le Chiese » 13°.

"' Epistola 30, 2 (CSEL 3, 2, p. 550). 1 M Cfr. H. RAHNER, Kirche uni Staat,, p . 105-107. - E. CASPAR,

Geschichte ies Papsttums, v. 1, p. 242S. 1 2 ! Nel terzo capitolo del Deaetum Celasianum, che fu edito dal

Sinodo romano sotto Damaso nell'anno 3 82. Testo in E. VON D O B -SCHUTZ, Das Deaetum Gelasianum in kritischem Text (Texte und Unter-suchungen, 38, 3), Lipsia 1912, p. 7. - Cfr. E. CASPAR, Geschichte ies Papsttums, v. 1, p. 2473 e p. 598s. - H. RAHNER, ivi, p. 109.

1 3 0 AMBROGIO, Epistola 11, 4 (PL 16, 946 A).

854 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Egli interviene con forza nei disordini ereticali dei suoi giorni, soprattutto nelle questioni su Apollinare. Dietro richiesta dei chierici di Beirut, manda in Oriente una lettera che ci è stata conservata soltanto in greco: « Fa anche a noi il massimo onore, reverendi fratelli, che il vostro amore mostri il debito rispetto alla Sede Apo­stolica (τη αποστολική καθέδρα). Anche se il santo apostolo, stando in trono, ha insegnato, (καθεξόμενος έδίδαξε), soprattutto (τα μάλιστα) in questa santa Chiesa, allo stesso modo in cui noi dobbiamo mano­vrare rettamente il timone affidatoci (τους ο'ίακας ίθ-ύνειν), tuttavia confessiamo di non essere all'altezza di questo onore. Ci sforziamo però in ogni maniera di poter giungere alla fama della sua santità » 131. Que­sta è la navicella di Pietro : quella in cui Cristo « sedette ed insegnò » (κα&ίσας έδίδασκεν Lue 5,3), quella in cui Pietro sedette e insegnò (καθ-εζόμενος έδίδαξε) e questa è la Cattedra apostolica di Damaso di Roma. Dalla prua dell'unica nave egli insegna e guida le Chie­se del mondo. Si vede ancora dalla lettera, con cui pa­pa Innocenzo I nell'anno 401 annuncia la sua ascesa al Pontificato all'Oriente greco, quanto fosse corrente dovunque la simbolica nautica e quanto naturalmente il vescovo romano si considerasse come il pilota ti­moniere della Chiesa universale: egli sarebbe stato elet­to dopo la morte di papa Anastasio, « ne eius Ecclesia sine rectoris gubernaculo remaneret » 132 .

E come una eco di questa lettera, ciò che CRISO­STOMO nel 407, durante l'esilio, circondato da peste,

131 In TEODOHETO, Historia Ecclesiastica, 5, io (GCS TEODORETO' p. 295, 1. 7-10). JAFFE, p. 234.

1 3 2 Epistola 1 (PL 20, 464 D ) . JAFFE, 285. MANSI , V. 8, p . 750.

LA NAVICELLA DI PIETRO 855

fame e spade, scrive al vescovo di Roma, unico rifu­gio del diritto ecclesiastico in mezzo al dispotismo sta­tale, al quale papa Innocenzo aveva resistito invano nel caso della tragedia del vescovo costantipolitano. Ora assume significato politico ecclesiastico ciò che Bocca­doro aveva predicato una volta a proposito di Pietro il pescatore e della sua navicella: lassù, nell'antica Roma, siede al timone l 'uomo che solo ha diritto di dirigere la nave di tutta la Chiesa attraverso le onde minaccio­se. Ciò che gli scrive il proscritto Crisostomo è più che retorica, è la più profonda convinzione del fedele uomo di Chiesa : « I buoni timonieri lo imitano sem­pre e sono continuamente vigili, quando le onde si alzano, quando il mare si gonfia, le acque spumeggia­no e la notte profonda irrompe ». L'immutato amore e cura del papa è come il molo protettore del porto, in cui la navicella della sua vita, sferzata dalla tempesta, sta al riparo: l'attaccamento del papa al diritto è per il vescovo perseguitato « muro e sicurezza e porto re­sistente alla tempesta», τοϋτο ήμΐν τείχος, τοϋτο ασφάλεια, τοϋτο λιμήν ακύμαντος 1 3 3 . Ancora una volta: qui non si tratta di semplice retorica non impe­gnativa ο di linguaggio immaginoso, ma siamo nel campo di quelle solenni confessioni del primato della Sede Apostolica, che sempre, nei periodi di pericolo politico ecclesiastico, dall'Oriente si dirigevano verso R o m a . Durante le tempeste della medesima tirannia civile di cui cadde vittima il Crisostomo, un vescovo

1 3 3 PG 52, p. 535 B. MANSI, V. 3, p. 1113S. Pei un cauto apprez­zamento di queste testimonianze dei vescovi orientali sul primato di Pietro, cfr. CHR. BAUR, Johannes Chrysostomus uni seine Zeit, Mo­naco 1929, v. 1, p. 29OS.

856 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

orientale così scrisse al papa, dopo gli orrori del la­trocinio dì Efeso : « La sede Apostolica di Roma sin dall'inizio ha avuto cura di difendere colui, a cui viene fatta ingiustizia »134. Ciò in linguaggio piano e senza immagini, è la stessa cosa che, con simbolo nautico, aveva voluto dire il Crisostomo, quando aveva chia­mato la Chiesa di Roma il porto sicuro dalle tempeste. Quanto sia giusta questa spiegazione canonica giuridica e dommatica, che attribuiamo al simbolo, appare chia­ramente alla fine del tempestoso quinto secolo, quando il genio politico ecclesiastico di papa Gelasio riassume la dottrina del primato: è lo sviluppo e la chiarifica­zione della dottrina ciprianea e culmina nell'immagine, parimenti già impiegata da Cipriano, di Roma come porto sicuro della nave della Chiesa 135. « Dodici erano gli Apostoli, è certo, e tutti erano muniti della stessa dignità e dello stesso merito (paribus mentis parique dignitate suffulti). Eppure: sebbene tutti fossero illumi­nati dalla medesima luce spirituale, tuttavia fu volontà di Cristo che soltanto uno di essi fosse il capo (princeps) e con meravigliosa disposizione lo guidò verso la Si­gnora dei popoli, verso Roma: affinché Cristo qui, nella più degna, nella prima tra tutte le città, guidi Pietro il più alto locato, il primo. A questa Sede, che egli stesso ha benedetto, egli concede con promessa divina che le porte dell'inferno non prevarranno mai su di essa e che in tal modo sia il più sicuro dei porti per tutti gli uomini, che si trovano in pericolo marino (ut a portis inferi numquam prò Domini promissione vin-

134 A cura di T H . MOMMSEN, Notes Archiv li (1886) p. 364. -Cfr. H. RAHNER, Kirche una Staat, p. 230.

»« Epistola 68, 3 (CSEL 3, 2, p. 746, 1. 8-12).

LA NAVICELLA DI PIETRO 8 5 7

catur, omniumque sit fluctuantium tutissimus portus). Chi sta all'ancora in questo porto può contare su un ap­prodo beato ed eterno (beata et aeterna statione gaude-bit) » 136. Anche papa NICOLA I, facendo sua la dottrina e il vocabolario gelasiano, ha esaltato la Chiesa romana come l'unico porto salvifico in mezzo ad ogni tempe­sta ; verso di essa tutti i vescovi piloti guidano i minac­ciati vascelli, poiché qui è la Cattedra di Pietro : « Se-des illius cui divino oraculo dictum est: tu aliquando conversus confirma fratres tuos » 137.

Il pensiero cattolico dei fratelli nell'episcopato era così cosciente del potere giuridico del vescovo di Roma espresso in queste immagini, che, nei turbini e nelle tempeste di quei secoli agitati, persino i capi di oppo­sti partiti si rivolgevano alla Sede di Pietro per con­siglio ed aiuto; anzi, c'è ancor dì più: vescovi corag­giosi ο semplici chierici, spinti da apostolica franchez­za, si permettevano di difendere la minacciata unità della navicella di Pietro, quando il pilotaggio della poppa romana sembrava loro troppo debole. Così due seguaci della cristologia nestoriana moderata si rivol­gono a papa Sisto III (433) per protestare contro il simbolo dell'unione di Cirillo. Quando E. CASPAR 138

afferma che questo « ardente grido di aiuto rivolto a Roma » non avrebbe nulla a che vedere con la dottrina papale di Pietro, egli trascura precisamente l'espressio­ne determinante della lettera. I vescovi dì Tiana e Tarso, che cercavano aiuto, riconoscono apertamente

1 3 ' Tractatus 2, io (THIEL, p. 530). Lo stesso concetto già in SISTO III, Epistola 1, 4 (PL 50, 583 A). JAFFÉ, 390. MANSI , V. 5, p.

375-l 3 ' Epistola 28 (PL 119, 813). JAFFÉ, 2716. 138 Geschichte des Papsttums, v. 1, p. 418.

858 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

che il vescovo di Roma è il pilota di tutta la nave della Chiesa e che egli « preserva il mondo dal naufra­gio » in mezzo ai pericoli, tesi dall'astuzia dei « pirati »: « Nostrum quidem est, qui triplices multiplicesque pa-timur tempestates et paene in piratas incidimus, ad eum clamare, qui a Deo productus est gubernator » 139.

Il peso di questa dommatica che si nasconde nel simbolo del pilota unico e supremo della navicella di Pietro doveva rivelarsi in quei frangenti tempestosi, in cui la nave venne minacciata da discordia e debolezza dall'interno. Nei disordini, che si ebbero in Roma tra il 499 e il 501 dopo l'elezione di papa SIMMACO, si voleva trarre in giudizio il timoniere romano dinanzi al foro di un potere giudiziario sinodale ο al foro po­litico. Con questo ammutinamento veniva sollevata la questione fondamentale di tutto l'ordinamento giuri­dico ecclesiastico. Il papato trovò un difensore in E N -NODIO DI PAVIA, che prese parte al Sinodo romano del 501 in qualità di accompagnatore del vescovo Lorenzo di Milano: in lui infatti la dottrina gelasiana di Pietro era ancora viva. Dalle vette retoriche della sua confu­tazione di un libello di quei giorni, che metteva in ri­dicolo il papa e il confuso disordine della nave di Pie­tro, egli presenta il Principe degli Apostoli che si leva a parlare per difendere la navicella, sulla quale tutti sghignazzano : « Antiquo adhuc utor reti post hominem, et inrisam a sapientibus saeculi cumbulam non reliqui; illa me per mundi freta sustentat, ditat probatum in captione hominum rete, quod cernitis » 140. Allo stesso

"» E. SCHWARTZ, Ada cerne, oec, v. 1, 4, p. 145, 1. 28-30. MANSI , v. 5. p. 893.

110 Libellus prò synodo (= Epistola 49) MG Auct. antiqu. VII, p. 63, 1. 8-10. CSEL 6, p. 319, 1. 13-16).

LA NAVICELLA DI PIETRO 859

tempo, dalla più famosa bocca dell'episcopato restato fedele a Roma, viene una difesa del primato papale, la cui dignità era intaccata in Simmaco; è in questa difesa che si trova la famosa espressione riguardante l'unità giuridica tra papato ed Episcopato, che sarà ri­presa nel Concilio Vaticano I : « Noi sentiamo che lo stato di tutti vacilla, quando lo stato del Capo supremo {Princeps) viene scosso sotto i colpi delle accuse. Se negli altri vescovi qualcosa si mette a vacillare, si può sempre riparare; ma quando il papa della Città eterna viene posto in discussione, allora si vedrà andar vacillante non soltanto un vescovo, ma l'ufficio stesso episcopale ». E AVITO DI VIENNE che ha coniato queste parole. Per

la nostra storia però è significativo leggere anche il contesto in cui si trovano: poiché è proprio lì che il significato dogmatico della simbolica della nave di Pietro diventa più immediatamente afferrabile. Il papa è e rimane l'unico gubemator e magister della nave di Pietro e al di sopra della sua parola autoritativa non c'è alcun altra istanza terrena. Il testo, le cui singole parole sono spiegate dalla storia del simbolo esposta precedentemente, suona così: « At si papa urbis voca-tur in dubium, episcopatus iam videbitur, non episco-pus, vacillare. Notis bene, inter quas haeresum tempe-states, veluti ventis circumflantibus fìdei puppi duca-mur. Si nobiscum huiuscemodi pericula formidatis, expedit, ut gubernatorem vestrum participato labore tueamini. Alias autem, quae ultio est, si nautae sine magistro fuerint »1 4 1 . Questo appello all'ordinamento giuridico ecclesiastico acquista maggior significato per il fatto che è indirizzato a laici influenti, ai senatori

141 Epistola 34 (MG Auct. antiqu. VI, 2, p. 6$, 1. 4-8).

860 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

Fausto e Simmaco, ossia a quei « passeggeri » nella na­ve della Chiesa, che - per usare l'immagine della let­tera di Clemente - « debbono restare seduti ai loro posti calmi e ordinati»; nessun dubbio che, in ultima analisi, con ciò si intendeva parlare del potere politico che, in Bisanzio e nella regina Teodorica, si arrogava il regime della Chiesa. Eppure: dalla zona dei semplici marinai, nelle ore del pericolo marino, possono levarsi anche appelli verso la poppa romana del timoniere, appelli che non risuonano inascoltati, quando sono espressi da vera preoccupazione per la Chiesa. Qualche decennio più tardi, la nave della Chiesa, guidata dal debole papa Vigilio, va attraverso le gole delle onde, e l'Occidente, di per sé così fedele al papato, si crede per lungo tempo autorizzato a protestare scismatica­mente contro la politica del tentennante Vigilio nella questione dei Tre Capitoli. Nell'Italia settentrionale so­prattutto questo rifiuto, nato da un amore adirato, dura sino all'inizio del settimo secolo; ed è stato il grande monaco irlandese COLOMBANO, che ha indiriz­zato al papa Bonifacio IV uno scritto ammonitore, pie­no del riconoscimento fondamentale del primato, ma anche pieno di schietta critica, in cui si trova l'espressio­ne : « Vigila, quaeso, papa, vigila, et iterum dico, vi­gila: quia forte non bene vigilavit Vigilius ». Nella me­desima lettera egli si rivolge al papa come mistico ti­moniere e pilota di poppa, come vigile marinaio della navicella di Pietro: «Ego enim libere eloquar nostris utpote magistris ac spiritualis navis gubernatoribus ac mysticis proretis dicens: Vigilitate, quia mare procello-sum est... totius elementi nimirum undique consurgen-tis et undique commoti mysticae navis naufragium in-

LA NAVICELLA DI PIETRO 861

tentat. Ideo addo tumidus nauta clamare: vigilate, quia aqua intravit in Ecclesiae navem et navis periclitatur » 142.

Non è affondata questa nave di Pietro idonea alla navigazione, le cui tavole già il predecessore di Boni­facio, il grande Gregorio, udì scricchiolare, quando la tempesta longobarda e le pretese bizantine la sbatterono qua e là e fecero credere che la fine dei tempi fosse venuta 143. Nel mezzo millennio che va dal primo al settimo Gregorio, la Chiesa è stata gettata attraverso le gole delle onde ed è stata sollevata a superbe altezze; ma fu sempre la sicurezza di giungere in porto, che diede al timoniere romano animo e coraggio per resistere, nella tempesta e nella calma, sulla poppa del­la cattedra papale. E così anche la storia politico-ec­clesiastica del nostro simbolo, come quella della sua interpretazione esegetica, giunge nel primo e nell'alto medioevo a quell'applicazione alla nave di Pietro della Chiesa Romana, che nelle fonti di quel periodo ha trovato una espressione così immaginosamente bella e così profondamente dommatica, oggi ancor viva nel nostro pensiero, per altri versi così spoglio di immagini, quando parliamo della barca di Pietro. Della santa Madre, la Chiesa di Roma, Gregorio VII parla come di navicella quasi naufraga e lasciata in balia di ogni tempesta, in mezzo ai temporali della lotta delle inve­stiture 144. Suona amaramente tragico, quando anche

142 Epistola 5, 2 (MG Epistolae III, p. 171S.; PL 80, 275 AB). -Cfr. per ciò, H. VON SCHUBERT, Geschichte der christlichen Kirche im Friìhmittel alter, Tubinga 1921, p. 2125.

143 Epistola 1, 4 (PL 77, 447 A). 1 4 4 Reg. I, 25 (PL 148, 309 C) . JAFFÉ, p. 4796. - E. CASFAH, Das

Resister Gregors VII., Berlino 1920, p. 42, 1. 28-33. - Reg-, I> 42 (PL 148, 322 D) . JAFFÉ, 4819. CASPAR, p. 64, 1. 31-33. - Reg., I, 39 (PL

148, 320 D) . JAFFÉ, 4813. CASPAR, p. 61, 1. 29-32.

862 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

l'antipapa imperiale WIBERTO prende le armi traditrici contro Gregorio con le parole : « Hac itaque necessitate compulsi, ne beati Petri navicula tot pertubationum fluctibus et paene ad naufragium discrimen inflexa la-beretur, ad arma nos convertimus »1 4 5 . Imperatore e antipapa sono affondati nel naufragio, ma la nave del successore di Pietro naviga verso il porto. INNOCENZO IH lo ha annunciato dalla vetta del potere occidentale del papato, non soltanto in quella lettera piena di orgo­gliosa gioia per la vittoria, con cui abbiamo conclusa la prima parte di questa storia, ma anche durante le pericolose tempeste, che gli eretici del suo tempo pre­paravano alla nave di Pietro : « Anche se la navicella del Pescatore viene trascinata qua e là dai flutti marini e percossa ovunque dalle tempeste sferzanti, essa confida tuttavia nella protezione di Colui che sollevò dal pro­fondo Pietro che camminava sulle onde, e piena di sicurezza fa assegnamento sulle parole: Le porte del­l'inferno non supereranno la Chiesa » 146. Infatti que­sta nave è, nello stesso tempo, la sposa del divin pilota Cristo, l'unica imbarcazione della salvezza eterna: per quanto gli imperatori e gli antipapi si rallegrino della loro apparente vittoria, soltanto la Chiesa vince. Nel bel mezzo della lotta contro la strapotenza del Barba-rossa e contro l'antipapa imperiale, Alessandro III si affida alla parola del Signore, che ha promesso alla Chiesa : « Io sono con voi sino alla fine del mondo ». « Procul dubio Ecclesiam suam in suo statu et ordine, licet ad instar naviculae Petri fluctuare aliquando videa-tur, perpetuo faciet permanere. Christus, auctor et ca-

l 4 s Epistola s (PL 148, 833 B) . JAPPÉ, 5330. MANSI, V. 20, p. 596. 14e Reg., VII, 76 (PL 215, 358 A). POTTHAST, 2229.

LA NAVICELLA DI PIETRO 863

put Ecclesiae, eam veluti unicam sponsam suam. pro-vida gubernatione tuetur et navcm egregii piscatoris, licet saepe et saepius quatiatur a fluctibus, non permit-tet naufragium. sustinerc » 147. Mentre il medioevo ter­minava tra le tempeste e papa Bonifacio Vili ancora una volta riassumeva l'insegnamento della verità del primato della Chiesa Romana, nell'atrio di San Pietro Giotto nel 1208., per incarico del cardinal Stefaneschi, dipingeva la sua immortale navicella 14S. Ancor oggi l'immagine può essere veduta come un prezioso saluto proveniente dal medioevo, in mezzo allo sfarzo barocco delle generazioni posteriori. Ciò che essa vuol dire, lo ha detto al mondo, in nome di papa Bonifacio Vili, un altro cardinale negli anni in cui essa veniva eseguita. Oggi come sempre quelle parole si possono applicare al vescovo, che ha la sua cattedra in San Pietro e di lì dirige la nave del santo pescatore del lago di Gene-sareth: « Nella Chiesa, che è la nave di Cristo e di Pie­tro, c'è un solo timoniere e un solo capo, i cui ordini debbono essere obbediti da ognuno » 149.

147 Epistola 1 (PL 200, óy BC) . JAFFÉ, 10584. 1 4 8 Cfr. C. VITZTHUM e W. F. VOLBACH, Die Molerei uni Plastik

des Mittelalters in Italien (Handbuch der Kunstwissenschaft), Potsdam 1924, p. 258S. - C. H. WEIGFXT, Giotto. Des Meisters Gemàlde (Klassi-ker der Kunst in Gesamtausgaben, 29), Stoccarda 1925, p. Xlls., riproduzione I. Quivi, a p. XIII, anche la riproduzione della Navi­cella di Andrea da Firenze nella cappella spagnola di S. Maria Novella in Firenze. - Su di una moneta di papa Niccolò V è riprodotta una nave, con il papa che siede al timone tenendo in mano una bandiera crociata, e la scritta dice: Ecclesia. Riproduzione nel Lexikon fiir Theo-logie u. Kirche (1935), v. 7, col. 588.

149 II cardinale di Porto nel discorso in difesa di Bonifacio Vili (agosto 1302). Testo in C. H. VON HEFELE, Conciliengeschichte, Fri­burgo 1890, v. 6, p. 342.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA

La dottrina cLom.rn.ati.ca dei Padri della Chiesa, espressa nel simbolo della nave e soprattutto nel sim­bolo della navicella di Pietro, trapassa ora nella ricca storia del paragone tra l'arca di Noe e la Chiesa 1. Quanto siano vicine le due immagini ci è noto; il

1 Tra la più importante, e soprattutto più recente bibliografia sulla teologia e l'archeologia dell'arca di Noè cfr. F. X. KEAUS, Rea-lenzyklopàdie der christlichen Alterttimer, Friburgo 1886, v. 2, p. 499-501. - C. M. KAUFMANN, Handbuch der christlichen Archàologie, Pa-derbom 1922, 3 ed., p. 301-303. - Realenzykìopddie f. Antike u. Chri-stentum, 1950, v. 1, p. 597-602 (FR. SCHMIDTXE). - E. PETERSON, Das Schiff als Symbol der Kirche in der Eschatologie, in Theol. Zeitschrifl (Basilea), 6 (1959) p. 77-79. - IDEM, Friihkirche, Judentum und Gnosis, Friburgo 1959, p. 92-96. - K. GOLDAMMER, Das Schiff der Kirche. Eifi antiker Symbolbegriff aus der politìschen Metaphorik in eschatolo-gischer und ekklesiologischer Umdeutung, in Theol. Zeitschrifl (Basilea) 6 (i95°) p· 232-237. - IDEM, Navis Ecdesiae. Eine unbekannte altchri-stiiche Darstellung der Schiffallegorie, in Zeitschtifi f. d. ntl. Wissenschaft 40 (1941) p. 76-86. - D A C L 1 (1907) 2709-2732, Arche. - D A C L XII ( IQ35) 1397-1400, Noe. - D. FORSTNEH, Die Welt der Symbole, Inn-sbruck, 1961, p. 542S. - J . FINK, Noe der Gerechte in der friihchristlichen Kunst, Miinster 1955. - J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Christianisme, Tournai 1958, p. 317-339. - IDEM Les Symboles chrétiens pritnitifs, Parigi 1961, p. 65-76: Le navire de l'Eglise. - IDEM, Sacrametttum futuri, Parigi 1950, p. 55-94. - IDEM, Déluge, Baptème, Jugement, in Dieu

866 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

raffronto tra la navicella di Pietro e l'arca di Noe era già presente nella teologia dei Padri, quando parlavano della necessità della Chiesa in ordine alla salvezza2. Cercheremo di spiegare i caratteri fondamentali della teologia simbolica dell'arca di Noe come esemplare della Chiesa quale unico messo salvifico. A questo scopo è necessario rifarci, come già GIROLAMO a suo tempo, alla polemica, cosi importante per la storia dei dommi,

vivant 8 (1947) p. 97-112. - H. U. VON BALTHASAR, Sponsa Verbi, Einsiedeln 1961, p. 225SS. - L. BUDDE, Die retiende Arche Noes, in Rivista di Archeologia Cristiana 32 (1956) p. 41-58. R. HOOYMAN, Die Noedarstellung in der Jrtihchristlkhen Kunst, in Vigiliae Christianae 12 (1958) p. 113-135. - H. DE LUBAC, Exégèse Medievale, Parigi, 1959, v. 1, 2, p. 463SS; Parigi 1961, v. 2, p. 317-328 (vers. ital. Roma , 1962). - G. STRECKER, Das Judenchristentum in den Pseudokletnentinen, Berlino 1958, p. 105S; p. 113S. - A. PARROT, De'luge et Arche de Noe, Neuchàtel 1952. - P. LUNDBERG, La Typologie baptismaìe dans Van-cienne Eglise, Lipsia-Uppsala 1942.

a Cfr. PS. -AMBROGIO, Sermo 37, 5 (PL 17, 678). Lo stesso discorso si trova anche sotto il nome di Massimo di Torino come Sermo 94 (PL 57, 722) : « Questa nave di Pietro galleggia sulle alte onde, in modo che nell'affondamento del mondo, si salva incolume tutto ciò che essa prende su di sé. La prefigurazione di questa nave possiamo ve­derla nell'Antico Testamento. Come infatti l'arca di Noe, nel nau­fragio del mondo, conservò incolume tutto ciò che essa prese su di sé, così la Chiesa di Pietro, quando il mondo brucerà, presenterà incolume a Dio tutto ciò che essa conserva e protegge. Quando il giudizio sarà passato, Cristo porterà alla Chiesa di Pietro la gioia della pace ». - Cfr. PS.-AMBROGIO, Commento all'Apocalisse, 3, 6 (PL 17, 814S). - CRISOLOGO, Homilia 163 (PL 52, 628s): N o è e Pietro sono i padroni della nave dell'ultima epoca (yectores novi saeculi). - Il pa­ragone tra Noè e Pietro riceve nel medioevo un significato politico. Cfr. PS.-ISIDORO (PL 130, 191 A). - INNOCENZO III (PL 215, 278 C). -

Ancora in un momento di altissima emozione politica, BONIFACIO Vili si richiama, nel suo scritto al re francese, all'immagine dell'arca: « Mediante il battesimo tu sei entrato nell'arca del vero Noe, fuori della quale nessuno verrà salvato, ossia nella Chiesa cattolica, questa unica sposa di Cristo, in cui il vicario di Cristo e successore di Pietro detiene il primato » (Cfr. J. HEFELE, Conciliengeschichte, v. 6, p. 325 ; Bullarium Magnum, v. 9, p. 121).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 867

suscitata contro l'ecclesiologia dei vescovi, che com­battevano fanaticamente adunati attorno a Lucifero di Cagliari. Essi cercavano di fondare la loro dottrina della salvezza nella Chiesa, settariamente unilaterale, richia­mandosi all'arca di Noe. Gerolamo, che conosce il mondo del simbolismo dell'arca di Noè come esemplare della Chiesa con le sue numerose applicazioni tipolo­giche, scrive: « Dies me deficiet, si omnia arcae sacra­menta cum ecclesia componens edisseram » 3. In una situazione simile a questa, nella lotta contro il rigori­smo dei Donatisti in Africa, AGOSTINO scrive : « Nes­suno di noi dubita, che con l'arca di Noe, senza meno­mare la fede nei fatti narrati, è anche presignificata la Chiesa. Ciò potrebbe certamente sembrare a qual­cuno come una intromissione del pensiero puramente umano, se l'Apostolo Pietro non avesse già accennato alla stessa cosa nella sua lettera » 4. E in questo contesto narra della predica di un vescovo donatista in Ippona, il quale difende la sua dottrina dell'invalidità del bat­tesimo fuori della Chiesa richiamandosi al fatto che l'Arca fu resa impermeabile dal di fuori con pece5. Da questi due esempi desunti dalla storia del domina del IV secolo si vede chiaramente sino a che punto la spiegazione tipologica persino di piccole allusioni con­tenute nel racconto della Genesi porgesse l'occasione per esprimere una convinzione dommatica già da tempo fermamente stabilita dalla tipologia. Ancora Lutero nel

3 Dialogus adversus Luciferianos, 22 (PL 23, 176 C) . 4 De untiate Ecclesiae, 5, 9 (PL 43, 397). - Questa applicazione

di iPet 3,20 alla Chiesa si trova anche in GEROLAMO, Adversus Iovi-nianum, 1, 17 (PL 23, 236 B). Cfr. Fu. J. D O L C E » , SO! Salutis, Munster 1925, 2 ed., p. 273.

6 PL 43, 397S. - Cfr. CIPRIANO, Epistola 73, 21 (CSEL 3, p. 759): « Salus extra Ecclesiam non est ».

868 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

suo opuscolo sul battesimo dell'anno 1523 esprimeva nella seguente preghiera la sua dottrina del battesimo e della Chiesa, conforme al pensiero della teologia me­dievale, che a sua volta si era formata sulla teologia simbolica dei Padri della Chiesa : « Onnipotente, sem­piterno Dio, che con il diluvio universale hai annegato il mondo incredulo e, secondo la tua grande miseri­cordia, hai salvato il credente Noe... hai santificato e istituito il Giordano e tutte le acque mediante il beato diluvio ... affinché mediante questo salutare diluvio ven­ga inondato e sommerso ciò che (nel battezzato) è contratto da Adamo ... venga separato dal numero de­gli infedeli, conservato asciutto e sicuro nell'arca della cristianità » 6.

Nella nostra trattazione studieremo più da vicino le origini della simbolica dell'arca seguendo lo schema, che già sta alla base della più antica teologia del II se­colo : la salvezza ci viene elargita mediante « legno ed acqua ». Ciò significa che l'acqua del battesimo è di­venuta salvifica mediante il legno della croce; vice­versa: il diluvio è acqua mortifera ed allo stesso tempo conserva la vita nel legno dell'arca. Nelle ricerche più recenti si è giustamente rilevato che il simbolismo del-1 arca ha la sua origine già nella teologia del tardo giudaismo, in cui Noe e la sua famiglia vengono intesi come esemplari del « resto di Israele »7, e, per conse-

• Citato da P. LUNDBERG, La typologie baptismale, p. 1, nota 1. 7 Eccli 44, 17: «Noè il giusto fu trovato perfetto e al tempo

dell'ira egli divenne denaro di riscatto. A causa di lui un resto della terra sopravvisse e a causa del patto fatto con lui il diluvio cessò ». -Per la teologia del « resto di Israele », che non possiamo indugiarci ad esporre ulteriormente e che tuttavia, a nostro avviso, è di somma importanza per la ecclesiologia della Chiesa primitiva, cfr. ThWNT,

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 869

guenza, l'arca rappresenta l'esemplare della comunità dei salvati sul « tenue legno »8. Noi siamo convinti, che nell'antica teologia cristiana l'arca non sia stata tanto il tipo del legno della croce e del battesimo, ma sin dall'inizio sia stata primariamente il tipo della Ec­clesia9. La precedente trattazione sulla nave costruita col legno della croce ci ha mostrato quanto ci mancas­se poco all'identificazione tra arca e Chiesa e ad esten­dere il paragone dell'arca all'acqua battesimale e al le­gno della croce. Solo a partire dal tipo arca=Chiesa comprendiamo il significato che questo simbolo ebbe nella storia del dogma e nelle polemiche intorno alla dottrina ecclesiastica della penitenza e della salvezza du­rante il terzo e quarto secolo, come già abbiamo cer­cato di indicare nel capitolo sulla « Tavola nel naufra­gio ». Dopo un breve studio sull'origine di questa teo­logia simbolica nelle ultime fonti giudaiche esporremo in primo luogo la teologia della Chiesa antica, in cui l'arca è il modello della comunità ecclesiale presa nel suo significato salvifico, vedremo poi i rapporti del­l'arca con il legno della croce della salvezza e con l'acqua del battesimo, l'arca insomma come modello della Chiesa, come grembo materno della vita per la generazione ventura, che promana da Noè come da un nuovo Adamo e trova il suo vertice nella storia

v. 4, p. 200-221. - H. HAAG, Bibel-Lexikon, Einsiedelti 1951, p. 1427. -J. DANIÉLOU, Sacramentttm Futuri, Parigi 1950, p. 6os. - R. DE V A U X , Le reste d'Israel d'après les prophètes, in Revue Biblique 42 (1933) p. 526-539. - G. VON R A D , Theologie des Alien Testamentes, Monaco 1962, v. 2, p . 34S.; p . 175S.

s Sap 10,4. 8 F. J. DOLGBR, Sol Salutis, p. 273, nota 2, dice che il paragone

tra arca e Chiesa è una « interpretazione posteriore ». Cfr, LTJND-BERG, p. 86-90.

870 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

della salvezza, nel Noe della nuova generazione, che è Cristo. Soltanto descrivendo in modo ordinato la dottrina simbolica della Chiesa, della croce e del bat­tesimo comprendiamo l'influsso che ebbe nella storia dei dogmi la dogmatica patristica della salvezza e della Chiesa che si cela dietro le immagini del racconto ge-nesiaco. A noi pare cosa più importante mettere in luce l'influsso di questa simbolica nella storia del dogma, che non limitarci a raccogliere testi patristici generici.

i. L'ARCA DI NOÈ NELLA TEOLOGIA GIUDEO-CRISTIANA DEI PRIMI TEMPI

Per comprendere il mondo di immagini e di con­vincimenti, da cui siamo in grado di far rivivere pri­mordi cristiani della simbolica dell'arca e della Chiesa, prendiamo le mosse da una « Meditazione sull'arca di Noe » del tardo giudaismo, sino ad oggi non ancora valorizzata troppo. Questa strana tradizione nasce dalle parole di Gen 8,4 (LXX): «L'arca si adagiò sui monti dell'Ararat » (Volg. : montes Armeniae). Rifacendosi a Berossos e ad altre fonti giudaiche, GIUSEPPE FLAVIO ci informa : « Il luogo dove l'arca si posò, dagli Armeni è chiamato Apobaterion, ossia Uscita, e sino ad oggi vi si mostrano i resti di legno (λε ίψανα)» 1 0 . Inoltre ricorda che già Nicola di Damasco parlava dei λείψανα των ξύλων dell'arca e che si usavano dei frammenti della pece dell'arca come mezzi magici benefici (προς τους αποτροπιασμούς). Queste reliquie dell'arca era-

1 0 Antiquitales, 1, 3, 5 (NIESE I, p. 2iss).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 871

no note anche all'antica teologia cristiana. Ce ne in­forma TEOFILO DI ANTIOCHIA: «Gli avanzi dell'arca vengono mostrati sino ad oggi sui monti dell'Arme­nia » n . Un frammento probabilmente non autentico del commento di IPPOLITO DI ROMA al libro della Ge­nesi dice che l'arca era approdata sul monte di Kardu e che « nessun uomo sa cosa ci sia sul monte, eccetto che sulla cima, ove c'è ancora una parte dell'arca di Noe »12. Anche IPPOLITO lo ha appreso dalle Antichità di Giuseppe : « Le dimensioni e i resti dell'arca vengono mostrati ancor oggi sul monte, che si chiama Ararat » 13. Per il predicatore CRISOSTOMO, le reliquie dell'arca sui monti armeni sono come un simbolo reificato dell'ira divina che perdura : « Non son forse le reliquie dell'arca conservate sino ad oggi sul monte per essere nostro ammonimento? » 14. La stessa cosa predica anche BASI-

LEIO DI SELEUCIA 1S e GEROLAMO menziona le reliquie (vestigia) dell'arca sull'Ararat16. In qual modo questa conoscenza della strana archeologia della tarda tradi­zione giudaica abbia influenzato l'esegesi mistica del medioevo, lo vediamo in RABANO MAURO, che cita alla lettera il testo di Giuseppe 17. In BEDA questa stra­na storia diventa un modello della salita ascetica de-

11 Ad Autolycum, 3, 19 ( O T T O Vili , p. 232). 12 GCS IPPOLITO I, 2, 91, 23S. - 90, 29. 13 Elenchos, io , 30 (GCS IPPOLITO III, p. 286, 1. i6s). 14 De perfetta cantale, 7 (PG 56, p. 288 A). 15 Oratio 6, In Noe 4 (PG 85, 100 B). 10 De situ et nominibus lacorum Hebraicorum, 1 (PL 23, 859 A). -

Secondo la leggenda armena, Giacomo di Nisibi nei suoi viaggi missionari portò con sé una reliquia dell'arca. Cfr. E. T E R - M I N A S -SIANTZ, Die armenische Kirche (TU N.F . XI, 4, 9 ) ; cfr. J. FINK, Noe der Gerechte, Miinster 1955, p. 98, nota 453.

17 Comment. in Genesim, 2, 8 (PL 107, 519S).

872 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

gli uomini, che nell'arca della Chiesa giungono al­l'eterno approdo attraverso la navigazione della vita: « Ma l'arca andò a posarsi sui monti di Armenia, allo stesso modo in cui l'uomo, che disprezza la tentazione dello splendore mondano e in questo pellegrinaggio plasma la sua vita, si accosta in spirito alla gioia cele­ste »18. L'immagine allegorica del riposo finale è po­polare nel medioevo : « Arca requievit in montibus Armeniae, et sancta Ecclesia requiescet in sublimitate vitae aeternae »19.

La storia antica della simbolica cristiana dell'arca di Noè può essere illuminata ancora da un altro lato. I cristiani appartenenti alla cultura ellenistica erano pro­clivi a pensare al racconto del diluvio della mitologia greca, alla storia di Deucalione e della sua salvezza in un'arca 20. Sappiamo da ORIGENE che il motteggiatore Celso si divertiva sulla « strana cassa, che conteneva tutto » e definiva il racconto biblico di Noè come una

18 Hexaemeron, 2 (PL 91, 99 B) . " Ps . -Uco Di S. VITTORE, Allegatine in Vetus Testamentum, 1,

13 (PL 175, p. 642 B). - Il « riposo » dell'arca sul monte Ararat si rifa naturalmente a Gen 8,4 (LXX): καΐ έκά-8-ισεν ή κ ι β ω τ ό ς ε π ί τά δρη τα ' Α ρ α ρ ά τ . Cfr. per ciò D A C L XII, 1397-1400. Alcuni testi chiariranno meglio la cosa. Il Libro dei Giubilei 5,28 (CHARLES II, 21) afferma: « L'arca si diresse ivi e approdò sulla vetta del Lubar, uno dei monti dell'Ararat ». - Caverna dei tesori siriaca, 19, 6 (RIESSLER 964): «L'arca navigò per 150 giorni verso quel luogo e giunse in un sito calmo sul monte Kardo». - AMBROGIO, De Noe et arca, 17, 60 (CSEL 32, 1, p. 457): «Tunc ergo sedit arca super montem Qua-rati ». - Circa la leggenda dell'approdo dell'arca in Apameia di Frigia, che portava il nome di κ ι β ω τ ό ς , cfr. J. F I N E , op. cit., 9. 15. 30. 104. -Oracula Sybillina, 1, 261-267. - Per le monete di Noe di Apameia cfr. anche T H . RLAUSER, in Jahrbuch d. Antike u. Christentum 4 (1961) p. 142S.

2 0 J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, 70. - R A C III (1957) p. 784-794. - PAULY-WISSOWA, 5 (1903) p. 261-276.

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 873

superficiale imitazione del mito di Deucalione 21. Anzi, già molto tempo prima nell'antica teologia e apologe­tica cristiana, l'ellenistico Deucalione viene paragonato al biblico Noè. GIUSTINO argomenta in modo confor­me alle idee della teologia giudeocristiana, quando di­fende l'ardita afférmazione secondo cui Dio ritarda la catastrofe della conflagrazione universale soltanto a causa del seme dei cristiani cosi come anticamente tra­sformò la catastrofe del diluvio universale nella sal­vezza « del solo Noe e dei suoi (ιόν μόνον συν τοις ιδίοις), cioè di quell'unico salvato, che da noi si chia­ma Noe, mentre voi lo chiamate Deucalione » 22. È vero che ORIGENE ripudia questa identificazione al­quanto semplicista delle due catastrofi diluviali; tutta­via nella più antica spiegazione della Genesi, TEOFILO

DI ANTIOCHIA con una artificiosa etimologia identifica Noe con Deucalione 23, rifacendosi a FILONE DI ALES­

SANDRIA, il quale aveva scritto : « Il Creatore volle che uno stesso uomo fosse ad un tempo l'ultimo della stirpe dannata e il primo anche di quella innocente. Gli Elleni lo chiamano Deucalione, ma i Caldei Noè » 24. In tal modo Filone indica i fondamenti, in base ai quali più tardi la teologia cristiana parlerà della posizione salvi­fica di Noè come padre di una nuova stirpe e della importanza salvifica della Chiesa come grembo mater-

" Adversus Celsum, 4, 41 (GCS ORIGENE I, p. 314S). - I, 19 (GCS 1, p. 70, 1- 25).

22 Apologia, 2, 7,2 ( O T T O I, 1, p. 216). 23 Ad Autolycum, 3, 18; 19 ( O T T O Vili, p. 230-232). - 2, 30 (p.

144)· 24 De praemiis etpoenis, 23 ( C O H N , 5, p. 3405). - Cfr. anche Marty-

rium Pionii, 4, 23 (KNOPF, p. 45, 1. 15). - PS.-CLEMENTE, Homilia 2, 16 (PG 2, 85 D) . - FiLASTHio, Haer., 122 (Corp. Christ. IX, p. 286). -BEDA conosce ancora il paragone tra Noè e Deucalione (PL 91, 86 C) .

874 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

no della nuova vita. Sembra di sentire un motivo conduttore greco che annuncia la futura spiegazione cristiana dell'arca, quando Luciano di Samosata, usando una immagine platonica, denomina l'arca di Deucalio-ne « la scintilla vivente dell'umana posterità » 25.

Per comprendere con più precisione le origini e le fonti dell'antica teologia cristiana dell'arca di Noe co­me « tipo » della Ecclesia, è necessario rifarsi alle opere della teologia giudeo cristiana. E certamente esatto dire che negli scritti del cristianesimo primitivo l'arca appa­re come modello in primo luogo della croce e poi del battesimo, ma non è esatto affermare che l'esemplari­tà dell'arca nei confronti della Ecclesia è di origine po­steriore. Noi siamo dell'opinione che, come eredità della teologia del tardo giudaismo, la simbologia del­l'arca applicata alla Chiesa come comunità di salvezza rappresenta la forma originaria e quindi uno dei temi più antichi della teologia del primo e del secondo se­colo. Tra i primi elementi costitutivi di questa teologia simbolista includiamo qualcosa di quell'evento storico, che J. DANIÉLOU definisce come uno dei più importanti fattori nel nascere della riflessione teologica : « Molto presto la Chiesa, riflettendo su se stessa, diventa con­sapevole della propria esistenza come dato teologi­co » 26. La Chiesa è l'arca, in cui la famiglia dei salvati

S5 Timon, 3 (RETZ Ι, ρ. 106): "ζωπυρόν τι τοϋ ανθρωπίνου σπέρματος. Cfr. PLATONE, Leggi, 3 (667 Β).

Ζβ J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Chrisiianisme, p. 317. Per il processo della cosiddetta concretizzazione del simbolo dell'arca in nave e Chiesa, cfr. J. DANIÉLOU, Les Symboles chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 74SS. Ciò ha avuto un influsso anche sull'archeologia dell'arca e della nave come Chiesa. J. FINE, Noe der Gerechte, 16, dice: « L'arte figurativa, a differenza della letteratura, non conosce l'arca come simbolo a sé, che rappresenta la Chiesa ». Contro di ciò è L.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 875

scampa al diluvio universale e supera il giudizio del fuoco finale, così come una volta il giudizio dell'acqua divenne salvezza per l'arca di Noè.

Già nei libri sapienziali si riscontrano quasi tutti gli elementi per la teologia di Noe e dell'arca che si avrà nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo. Ciò che allora avvenne nel modello, si verifica nel de­stino del popolo d'Israele. « Noè venne trovato perfetto e giusto; al tempo dell'ira egli è divenuto riconcilia­zione. Mediante questo Noè « fu preservato un resto (κατάλειμμα) per la terra, quando il diluvio esplose. Un patto eterno fu stipulato con lui, di non distruggere più tutta la carne mediante il diluvio » (Eccli 44,17.18). Sin da ora bisogna rilevare, perché saranno fondamen­tali più tardi, i seguenti elementi di questa riflessione sulla esemplarità di Noè: è il solo Noe, che viene sal­vato, ma con lui e per causa di lui prima la sua fami­glia, che raffigura il « resto di Israele », il quale, come sola e unica comunità salvifica, diventa partecipe della salvezza dal diluvio. A ciò il libro della Sapienza ag­giunge un secondo elemento: questa salvezza escatolo­gica viene concessa al resto salvato, mediante l'arca di legno, mediante « l'insignificante legno » ( Si' εύτελοϋς ξύλου, Sap 10,4), onde la speranza del mondo riposa su una tavola di legno (έπί σχεδίας). Sia lodato

BUDDE, Die rettende Arche Noes, in Rivista di Archeologia Cristiana 32 (1956) p. 50: «L'identificazione, sempre dimostrabile letteraria­mente, dell'arca con la Chiesa è menzionata per la prima volta con certezza anche nell'arte figurativa dal mosaico di Mopsuestia ». -K. GOLDAMMER, in Theol. Zeitsch. 6 (1950) p. 233 dice della simbolica della nave rispetto alla Chiesa : « Se il significato ecclesiologico della nave nel pensiero cristiano possa essere affermato già prima di Ter­tulliano ed Ippolito, come pensano Peterson e Rahner, mi sembra dubbio, ο per lo meno non sicuro ».

876 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dunque il legno, mediante il quale ci viene la giu­stificazione (Sap 14,6.7).

Per valutare l'importanza di questa teologia del re­sto di Israele per la nostra simbolica, bisognerebbe spie­gare qui tutta la dottrina del κατάλειμμα 2 7. Accen­niamo soltanto ad un punto, che risulta importante per l'applicazione teologica dell'arca alla Chiesa. Gen 7,23 (LXX) dice: καΐ κατελείφ&η μόνος Νώε και οι μετ'άυτοΰ εν τ^ κιβωτω. Noe «soltanto» viene salvato, ma questo « soltanto » si riferisce anche alla sua famiglia, che viene tenuta insieme mediante le ta­vole lignee dell'arca e che quindi richiama alla mente la futura comunità di salvezza della Chiesa. Anche la Chiesa viene costruita e pilotata dall'unico Cristo-Noè, e ciò in virtù del legno della croce, mediante il quale l'ondata, altrimenti letale, può essere attraversata sino all'approdo sull'eterno Ararat. Gli avvenimenti che avranno luogo nei giorni della parusia finale del Figlio dell'uomo assomigliano ai « giorni di Noè ». L'avveni­mento decisivo della salvezza è l'entrata di Noe nel­l'arca, nella quale soltanto il resto di Israele raggiunge la salvezza (Mat 24,37.38; Lue 17,26.27). La lettera agli Ebrei (11,7) dice a proposito di Noe che egli ha costruito l'arca είς σωτηρίαν του οΐχου αύτοΰ, cioè per la comunità dei salvati, che nella 2Pet 2,5 viene chiamata il numero otto di Noe (ογδοον Νώε) 2 S. Noe diventa il modello dell'unico giusto, Cristo; e, a

27 Cfr. sopra, nota 7. 28 " Ο γ δ ο ο ς è detto Noè in quanto ottavo nell'enumerazione

dei padri delle origini a partire da Adarno, ma anche a causa del nu­mero otto dei salvati nell'arca (iPet 3,20). LUTERO ha tradotto «sel-bacht» (= assieme con otto); DANIÉLOU, Sacramentimi Futuri, p. 66: « lui huitième ». Per la simbolica del numero otto cfr. F. J. DÒLGER,

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 877

causa della giustizia di uno solo, l'arca diventa il seno materno di una vita nuova e mai più minacciata in futuro da un diluvio universale, la vita che supererà l'ultima prova giudiziaria, il diluvio universale del fuo­co 29. Questi sono, naturalmente a brevi tratti, i pen­sieri fondamentali correnti ai primordi della teologia giudeo-cristiana. Ora sia che questa simbolica venga riferita immediatamente al legno della croce oppure al battesimo, in ogni caso l'idea essenziale di queste al­legorie sta nel rapporto dell'arca alla Ecclesia come comunità di salvezza del resto israelitico salvato. È quanto ora dimostreremo con una serie di testi, per lumeggiare in qualche modo l'ambiente nel quale è sorto il « tipo » Arca=Ecclesia 30. Nel farlo non affron­tiamo a fondo il problema di sapere quali opere del primo e secondo secolo siano di origine genuinamente giudaica, oppure rimaneggiate in senso cristiano, ο più

in Antike una Christentum 4 (1934) p. 153-187. - H. RAHNEK, Grie-chische Mythen in christlicher Deutung, Zurigo, 1957, 2 ed-, p. 107-111, ove a p. 108 viene presentato il capitolo determinante di GIUSTINO, Dialogo 138, 1, nella traduzione tedesca. - Le Ps.-Clementine, 1, 29 (PG i, 1223S) dicono: « Unus tamen tunc inventus est iustus, nomine Noe, qui in arca liberatus... mundi habitator effectus est ». - Rico­gnizioni, 4, 12 (PG 1, 1320 B), dicono a proposito del diluvio quale battesimo del mondo cattivo: « Quo mundus purificationem acci-peret et is, qui ad posterioritatem generis fuerat reservatus, per aquam mundus effectus mundum denuo repararet ». - Nel testo slavo del Libro di Henoch, 35 (CHARLES II, p. 453) Dio parla così: « Io lascio d'avanzo un giusto con tutta la sua casa e dal suo ceppo sorge una nuova generazione».

29 Nella cosiddetta Vita di Adamo ed Eva, 49 (CHARLES II, p. 152), Eva morente dice ai figli : « Quando io e il vostro padre disobbedimmo al comandamento di Dio, l'arcangelo Michele ci disse: ' Il nostro Signore a causa dei vostri peccati porterà il suo giudizio d'ira sui vostri discendenti, prima con l'acqua e poi con il fuoco ' ». Cfr. 2Piet 3,6.

30 Cfr. E. PETERSON, Fruhkirche, p. 92-96.

878 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

semplicemente giudeocristiane31. In ogni caso oggi possiamo riconoscere come opere genuinamente cri­stiane la Ascensio Isaiae, il Libro di Enoch e soprattut­to il Testamento dei 12 Patriarchi, il cui autore è torse un Esseno convertito proveniente dall'ambiente spiri­tuale di Qumran32. Nello Scritto di Damasco 1,4 il pensiero fondamentale è che alla fine dei giorni il re­sto di Israele verrà salvato : « Poiché si ricordò del patto con i Patriarchi, lasciò un resto in Israele » 33. La comu­nità dei fedeli di Qumran sente di essere lei stessa que­sto resto, che verrà salvato prima del giudizio del fuo­co, pur trovandosi ancora « in mezzo alle acque della menzogna » 34, e si sente scelta sin dagli antichi giorni come la comunità risparmiata per i meriti di Noe. Il patto di Dio con i Patriarchi comincia dunque con Noè, ma viene distrutto dalla cattiveria dei figli di questo ultimo e loro discendenti, così che il patto si restringe ad Abramo e a Giacobbe : « I figli di Noè sbagliarono e perciò vennero sterminati » 35. Nel rotolo degli Inni Hodayot, « il maestro della giustizia » viene paragonato con il timoniere di una nave presa nella tempesta; alcuni elementi di questo inno poeticamente bello po-

31 J. DANIÉLOU, Théologie iu Judéo-Christianisme, p. 17-30. 32 lui, p. 24. - R. DE JONGE, The Testamenti of the 12 Patriarchs,

Asseti 1953. 33 Saìtto di Damasco, 1, 4, edizione francese di A. D U P O N T -

SOMMER, Les écrits esséniens découverts près de la Mer Morte, Parigi I9S9> P· 137· - Edizione tedesca di J. MAIER, Die Texten vom Toten Meer, Monaco-Basilea i960, ν. ι, ρ. 46.

3 4 Scritto di Damasco, i, 15 (MAIER, p. 47); 2, 7-8 (p. 48). 3 5 Ivi, 3, 1 (p. 49).

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 879

trebberò derivare dal paragone della comunità con l'ar­ca di Noe:

« Io divenni come un pilota sulla nave nell'imperversare dei mari. I suoi cavalloni e tutte le sue onde infuriavano contro di me. Scroscia l'antica onda ed io gemo, e la mia anima giunge alle porte della morte. E io divenni come uno che giunge in una città fortificata, munita di altissimo muro, per la salvezza. Ed io mi rallegro della tua verità, ο mio Dio » M.

Si vede che l'immagine della comunità salvifica quale nave si trasforma immediatamente nell'irnmagine della Città di Dio, come poco prima aveva cantato il « Mae­stro della Giustizia » :

« Essi mi resero simile ad una nave in alto mare e simile ad una città fortificata di fronte al ne-

[mico » 37.

La comunità è paragonabile ad una nave e ad una fortezza. A buon diritto, noi poniamo questi due canti della navigazione della comunità pilotata dal « Maestro della giustizia » in rapporto con il significato salvifico dell'arca, proprio come più tardi ritroviamo in Ippolito romano il medesimo passaggio dalla im­magine dell'arca a quella di una nave capace di affron-

3 6 ι QH VI 22s (MAIEH, I , p . 89).

»' 1 QH III, 6 ( M A I E E , 1, p. 77S).

880 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tare il mare 38. Il diluvio universale come « tipo » del giudizio universale fa parte dei temi fondamentali della escatologia del tardo giudaismo 39. Nella teologia del primo libro della Sibilla incontriamo Noe come aral­do della penitenza40. Qui l'arca viene chiamata espli­citamente una « casa di legno », che viene guidata con la « celeste arte del pilotaggio » attraverso i flutti del giudizio sino all'approdo in Frigia (Apameia) 41. L'ap­partenenza al numero otto dei salvati è il prerequisito per superare felicemente il secondo giudizio finale at-

38 Cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 273S. - Il raffronto dell'arca con una città è frequente anche nella teologia cristiana: ORIGENE, Adversus Celsum, 4, 41. - BASILIO DI SELEUCIA (PG 85, 97 C): πλείουσα πόλις. - Cfr. anche la descrizione dell'arca come nave sbattuta dalla tempesta: Sibilla, 1, 225-229 (ed. A. KUKPESS, Sybillinische Weissagungen, Monaco, 1959, p. 44).

" P. GRELOT, L'eschatologie des Esséniens, in Revue de Qumran 1 (1958) p. 113-131. - P. VOLZ, Die Eschatologie der jùdischen Gemeinde, Tubinga 1934, 2 ed., p. 3. - P. LUNDBERG, Typologie baptismale, p. 109, nota 1.

40 Noè come araldo della penitenza, già nella Lettera di Cle­mente, 7, 6. - Cfr. la relazione di acqua (diluvio) e fuoco (giudizio finale), in PS.-MELITO (OTTO, IX, p. 132). - Per Noè quale predi­catore di penitenza tra i due giudizi cfr. anche Sibilla, 1, 128S (KUR-FESS, p. 38): Dio disse a Noe: Κήρυξον μετάνοιαν, δπως σωθώσιν άπαντες. Anche qui viene sottolineato (ν. 125) che Noè soltanto era giusto e perciò fu salvato.

41 L'arca come «casa di legno»: Sibilla, 1, 133; 212. - La predica penitenziale di Noe: Sibilla, 1, 150-198. - La celeste arte nautica di Noè: Sibilla, 1, 257-259: «Ma mentre l'arca navigava sulle onde rumorose, spingendola con immortale pilotaggio qua e là sulle onde del flutto marino ». La posterità di Noè riceve il compito di trasmet­tere di generazione in generazione la giustizia. - Per la celeste τέχνη ο arte del pilotaggio cfr. Sap 14,6, ove si dice che l'arca è guidata dalla divina πρόνοια e ciò senza che Noè conosca l'arte del pilo­tare: άνευ τέχνης.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 881

traverso il fuoco 42. Dio parlò a Noe quale pilota di quella casa di legno salvatrice dicendogli che non sa­rebbe affondata « sino a che un giorno ogni genera­zione umana verrà al giudizio, poiché il giorno del giu­dizio aspetta tutti » 43. Nel terzo libro della Sibilla la attesa del giudizio finale si fa ancora più chiara, là dove la nuora di Noè predice profeticamente la sorte, che a causa dei meriti del solo Noè sarà riservata a tutta la famiglia : « Il mondo era sommerso dalle acque e un solo uomo gradito era rimasto, che nella casa co­struita con legno abbattuto continuava il viaggio sui flutti marini, affinché il mondo si popolasse di nuovo » 44. Noe è precisamente l'« unico » tra tutti i salvati, poiché i rimanenti uomini che viaggiano sull'arca sono stati salvati soltanto a causa sua: «Solo Noe, tra tutti gli uomini, fu scampato »45. L'esegesi biblica del tardo giudaismo e, al suo seguito, la teologia giudeocristiana accentuano il fatto che a causa del solo Noè fu salvata tutta la sua casa. Così GIUSEPPE FLAVIO : « Noè fu sal­vato insieme ai suoi familiari, perché Dio lo amava a causa della giustizia e perché da lui doveva uscire

42 Cfr. LATTANZIO, De ira Dei, 23, 4 (CSEL 27, 1, p. 126), che cita la Sibilla, 4, 51-52 (KURFESS, 114): «Alia quoque Sybilla per indignationem Dei adversus iniustos per cataclysmum priore saeculo factum esse dixit, ut malitia generis humani extingueretur » ; subito dopo, 23, 5, per il giudizio finale nel diluvio del fuoco, cita Sybilla 4, 159-161 (KURFESS, 118): «Simili modo deflagrationem postea futuram vaticinata est, qua rursus impietas hominum deleatur».

13 Sibilla, 1, 273S (KURFESS, 46). Noè abbandona l'arca per « ot­tavo » (8γδοος), ossia come inizio di una nuova generazione: Si­billa, 1, 281 (KURFESS, 46).

4 4 Sibilla, 3, 823-828 (KURFESS, H O ) ; Verso 824: καί τις άνήρ μόνος έλείφθη.

4 5 Sibilla, 7, 8 (KURFESS, 150): έκ πάντων μοϋνος.

882 L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

un'altra stirpe che fosse libera dai vizi »46. La stessa affermazione si trova nel libro sulle antichità bibliche dello PS.-FILONE : « Noe era un grande uomo e nella sua generazione era senza macchia. Perciò fu accetto al Signore ». Il diluvio di acqua sarebbe modello del­l'avvenimento escatologico finale, il diluvio universale di fuoco : « Dopo quel giudizio finale, il mondo si placa e la morte scompare; nessuno, che sia stato giu­stificato in me, resta impuro; allora un'altra terra e un altro cielo saranno la dimora permanente » 47. Così il solo Noe, come il solo Adamo e il solo seme di Abramo diventano figura esemplare dell'unico Cristo, che è sem­pre uno nella molteplicità di coloro che, con lui e per lui, vengono salvati. Nella teosofia di Filone di Ales­sandria Noe diviene la fine del mondo peccaminoso e per questo l'inizio di un nuovo mondo, il « punto angolare dei due mondi » 48. In Filone Noe è sempre il δίκαιος, il nuovo inizio di una schiatta innocente, « il giusto Noe, che nella grande inondazione proseguì salvo il suo viaggio sulle onde » 49. Per questo Filone,

« Antiquitates, i, 3, 2 (NIESE, I, 18, 1. 20s): μ ε τ ά τ ω ν ο ι κ ε ί ω ν .

" PS.-FILONE, Libro dell'antichità biblica, 3, 4 (RIESSLER, 738); 3, 9-10 (RIESSLER, 7395). Cfr. per ciò la teologia del duplice giudizio nell'acqua e nel fuoco in 2Piet 3,12. 13. Può essere interessante vedere qui come anche nella teologia simbolica del pr imo medioevo il co­lore blu significa il diluvio universale che non viene più ripetuto, il colore rosso il giudizio finale mediante il fuoco, che ancora non è giunto: R A B A N O (PL H O , J45SS), si serve per ciò delle parole di G B E -GORIO M A G N O (PL 76, 865SS). Cfr. anche H. B. MEYER, Zur Symbolik friihmittelalterlicher Majestasbilder, in Das Munster 14 (1961) p. 80, 83.

48 J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, p. 61. " De migratione Abraham 125 ( C O H N - W E N D L A N D , II, p. 292), -

Noè come primo giusto ( π ρ ώ τ ο ς δίκαιος) : De congressu erudi-tianis gratta, 17 ( C O H N - W E N D L A N D , III, p . 90, l. 14). Altri passi su N o e giusto ( Ν ώ ε δίκαιος) in C O H N - W E N D L A N D , IH, p. 59, 1. 17. -

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 883

in base a Gen 5,29 rende l'etimologia del nome di Noe come άνάπα,υοις, in ciò seguito dai Padri della Chiesa50. Il Libro di Enoch, che, come sappiamo da TERTULLIANO 51, fu così importante per l'antica teolo­gia cristiana, parla dell'arca come casa di legno, da cui scaturisce una nuova generazione. Essa, a motivo di Noè, verrà conservata attraverso tutte le generazioni del mondo 5 2 . Il diluvio universale e la salvezza de­gli eletti chiudono la prima tappa della storia della salvezza, « ed in essa un solo uomo viene salvato. Dopo quella data, l'ingiustizia aumenta ed una legge viene stabilita per i peccatori »53 . Il patto di Dio con gli uomini viene concluso con Abramo, che verrà dato agli uomini come « pianta della giustìzia » per preparare alla giustizia definitiva. In tono profetico Enoch annuncia al nipote N o è : «Dio ha stabilito il tuo nome tra i santi, ti salverà tra tutti gli abitanti della terra. Egli ha stabilito che la tua posterità regni ed abbia grande onore » 54. E in occasione della nascita di Noe afferma : « Viene un grande diluvio, ma questo figlio resterà su­perstite sulla terra, e i suoi tre figli saranno salvati con

Noe come inizio della generazione innocente: De praemus et poenis, 23 ( C O H N , V, p. 34OS).

50 Leg. allegor., 3, 77 ( C O H N , I, p. 129, 1. 22). - De Abraham, 27 ( C O H N , IV, p. 7, 1. 8 ) : ά ν ά π α υ σ ι ς ή δέκατος; cfr. anche Quoà deterius, 121 ( C O H N , I, p. 285, 1. 25-30).

51 De cultu feminarum, 1, 3 (Cor. Christ. I, p. 346S). 52 Henoch 10, 3 (CHARLES II, p. 193). 53 Ivi, 93, 4 (II, p. 263). Del medesimo diluvio finale mediante

il giudizio di fuoco parla Henoch 91, 1-17 (II, p. 26is). 54 Henoch 63, 12 (CHARLES II, p. 231). Per la teologia della Chiesa

quale fonte di acqua viva è importante l'espressione del medesimo capitolo, nella profezia di Enoch al nipote Noe ; vien detto : « E dalla tua posterità promanerà una fonte di acqua della giustizia e della santità senza misura e per sempre ».

884 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

lui. Chiamalo con il nome di Noe, poiché egli resta superstite e con i suoi figli verrà salvato dalla rovina » 55. Nei frammenti latini di una Apocalisse di Noe, Enoch proclama il posto del patriarca nella storia della sal­vezza : « Mittet Deus cataclismum aquae, ut deleat omnem creaturam ... et ipse vocabitur Noe, qui inter-pretatur requies, quia requiem praestabit in arcam»56. Anche nel Libro dei giubilei la persona di Noe presenta il medesimo significato escatologico: « Soltanto Noè trovò grazia dinanzi agli occhi del Signore. Tutti af­fogarono eccetto il solo Noe, poiché la sua persona trovò grazia in favore dei suoi figli, i quali furono sal­vati dal diluvio a causa di lui. Tutto ciò che si trovava sulla terra, fu annientato, eccetto coloro che si trova­vano con lui nell'arca»57. Nel quarto libro di Esdra, il salvato prega Dio, accentuando l'unicità di Noe, per causa del quale soltanto i pii vengono salvati : « Come una volta la morte discese su Adamo, così l'onda sugli abitanti del mondo. Tu hai lasciato soltanto un super­stite tra di essi, Noe e la sua casa, tutti i pii che da lui provenivano »58. Noè occupa il centro della teologia del tardo giudaismo e di quella giudeo-cristiana come esemplare dell'unico Messia futuro, a causa del quale i suoi saranno salvati nell'arca. Nel punto centrale c'è

55 Henoch, 106, 15-18 (CHARLES, II, p. 279). 56 Frammento dall'Apocalisse di Noè, Henoch, 106, 1-19 (CHARLES,

II, p. 278S). " Libro dei Giubilei, 5, 5; 19; 6, 2 (CHARLES, II, p. 20s). Nella

benedizione di Abramo a Giacobbe, il Patriarca dice: «L'altissimo Dio ti diede tutte le benedizioni, con cui egli mi ha benedetto e con cui ha benedetto N o e ed Adamo, affinché essi riposino sulla santa cima del tuo seme per tutte le generazioni in eterno » : Libro dei Giu­bilei, 22, 13 (CHARLES, II, p. 45S).

58 IV Esdra, 1, 9-11 (CHARLES, II, p. 562).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 885

l'arca di Noe come simbolo della Chiesa quale comu­nità definitiva della famiglia salvata nell'unico Noe. Nel libro siriaco dell'inizio del quinto secolo cristiano, che porta il nome di Grotta del tesoro 59, troviamo nuo­vamente riuniti gli elementi della teologia giudeo-cri­stiana su Noe e sull'arca. Noè e la sua famiglia, con il loro numero otto sono la personificazione del « re­sto »60. Noè e i suoi figli hanno preso sull'arca il ca­davere di Adamo, per salvare, se così vogliamo espri­merci, la grazia che una volta era stata data ad Adamo e preservarla per l'epoca futura della grazia dell'unico e vero Adamo61. « L'arca era chiusa e sigillata e su in cima al tetto c'era un angelo del Signore come pi-Iota »62. Il viaggio è diretto verso il paradiso, « porto e luogo di angeli » 63. « Il cadavere di Adamo era po­sto in mezzo all'arca, poiché vi erano rappresentati tutti i misteri della Chiesa » 84. Dopo il diluvio, Noè e i suoi figli deposero il cadavere del protoparente nel punto centrale del mondo, ossia sul monte Golgota65. Si tratta certamente di una speculazione teologica di un'epoca relativamente tardiva, ma essa dimostra an­cora una volta le connessioni esistenti tra arca e Chiesa, che si erano andate formando sin dai primordi della riflessione sulla Chiesa. La Chiesa come unica arca della salvezza è costruita con il legno della croce. Essa

58 I. O R T I Z DE UHBINA, Patrologia Syriaca, R o m a 1958, p. 88. ,0 La caverna dei tesori siriaca, 16, 6 (RIESSLER, p. 960). 61 Ivi, 16, 14 (p. 960). 82 lui, 18, 14 (p. 963). Cfr. la πρόνοια quale timoniere della

arca: Sap 14,3. - Σ ο φ ί α quaie pilota dell'arca: Sap 10,4. - Providentia divina quale timoniere dell'arca: CHISOSTOMO (PG 48, 1037).

83 Caverna dei tesori siriaca, 17, 15 (p. 962). 8 4 Ivi, 18, 3 (p. 962). 85 Ivi, 22 e 23 (p. 967-969).

886 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sola somministra il sacramento dell'acqua, poiché, por­tata dal « misero legno » vince precisamente l'acqua. Ancor oggi la Chiesa prega nella consacrazione del­l'acqua lustrale : « Ut unius eiusdemque elementi myste-rio et finis esset vitiis et origo virtutibus ». In una in­terpolazione cristiana dell'Apocalisse di Baruch, presu­mibilmente del secondo secolo, si accenna acutamente al medesimo rapporto sacramentale di Noe nei riguardi di Cristo e dell'arca come « tipo » dei misteri della Chiesa. Il salvato Noè viene incaricato da Dio di pian­tare una vite, che era stata trascinata via dal paradiso terrestre mediante il diluvio: «Alzati, Noe, e pianta la vite ... La maledizione, che gli è attaccata, sarà trasfor­mata in benedizione, e ciò che verrà ottenuto da essa, diventerà sangue di Dio »m .

2. L ' A R C A C O M E NAVE DELLA SALVEZZA NELLA TEOLOGIA DELLA CHIESA ANTICA

Come già abbiamo accennato, negli studi più re­centi sul simbolismo dell'arca è stato detto che la ti­pologia più antica non paragona l'arca alla Chiesa, bensì alla croce e al battesimo; e ciò avverrebbe preci­samente in quel settore della primitiva teologia giudeo-cristiana, che a buon diritto è stata denominata « Sal­vezza mediante il legno e l'acqua »67. Croce e batte­simo sarebbero dunque gli elementi originari, che in-

β ί Apocalisse greca di Baruch, 4, 15 (CHARLES, II, p . 536).

" Cfr. per ciò LUNDBERG, p. 167-200; soprattutto a p. 186. -J. DANIÉLOU, Théologie tìu Juiéo-Christianisme, p. 289-315; soprat­tutto p. 300 s. Le due liste, date da ambedue gli autori, della relazione tipologica di acqua e legno provengono certamente da un'antichis­sima serie di Testimonia riguardanti la croce. DANIÉLOU la chiama

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 887

contriamo nella 2Pet 2,s e nella iPet 3,20s, ed ai quali Giustino, nel Dialogo con Trifone, ha dato una forma che probabilmente possedevano già da un pezzo. Noi invece pensiamo che l'elemento originario di questa tipologia presentava l'arca come presagio della comu­nità salvifica degli ultimi tempi, quindi la nave della Chiesa, la cui efhcenza salvifica unica nel naufragio del mondo, risiede nel fatto che essa è costruita con il le­gno della croce e che nel sacramento del battesimo tra­sforma l'acqua della distruzione del mondo in acqua della salvezza. I tre elementi della tipologia dell'arca sono dunque la Chiesa, il legno della croce e l'acqua battesimale, ma in modo tale che il presagio della Chiesa come comunità di salvezza radunata nell'arca va pre­supposto, se si vuole comprendere il riferimento al legno della croce e all'acqua del battesimo. Verso la fine dell'antica teologìa cristiana la cosa era ancora ben nota a un imitatore di Agostino e noi mostreremo più chiaramente che si trattava qui di un tema essenziale della catechesi battesimale. In una predica sulle prefi­gurazioni della Chiesa, che, come vera Madre dei vi­venti, è promanata dalla ferita del costato dell'Adamo-Cristo dormente sulla croce, egli dice : « Ecclesia intra arcam diluvio exundante servata crucis beneficium et baptismatis mysterium praesignavit » 68.

a buon diritto un « état archai'que de la théologie» (p. 301). Cfr. per ciò anche alcuni recenti lavori sulla storia del simbolo della croce: L. DOIGNON, Le salut par le jet et le bois chez Irenée, in Recherches de Science Religieuse 43 (i95S) P· 535-545- - E. DINKLER, Zur Geschichte des Kreuzsymbols, in Zeitschrift ftir Théologie u. Kirche 48 (1956) p. 148-172. - J. CARCOPINO, Le mystère d'un symbole chrétien, Parigi 1955, P- 69-76.

88 PS. -AGOSTINO, Sermo 230, 1 (PL 39, 2171). - Il medesimo testo in MASSIMO DI TORINO (PL 57, 883).

888 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Perciò cominciamo con la tipologia dell'arca ri­spetto al legno della croce. Si tratta di un tema fonda­mentale della teologia sacramentale dei Padri, a comin­ciare da Giustino sino alla teologia delle omelie su Noe di CRISOSTOMO69, nell'esposizione della Genesi di CIRILLO DI ALESSANDRIA70 e nel piccolo trattato di GREGORIO DI ELVIRA sull'arca di Noe.71. BASILIO DI

SELEUCIA, in una delle sue prediche sul patriarca ha precisato lo spirito teologico simbolico con cui i Pa­dri concepivano il mistero dell'arca nell'opposizione dia­lettica tra salvezza e perdizione, tra la salvezza dal nau­fragio del diluvio universale, che si estende a tutto il mondo e l'umile insignificante legno della croce : « Ο paradossale nave della salvezza (σκάφος ποφάδοξον σωτηρίου), immagine umbratile del legno della croce, tu mostri a coloro che navigano per mare, quanto sia necessaria la croce; tu salvi nell'acqua e ci strappi dal­le acque ... Ritratto dell'intero mondo è l'arca. Essa è una città navigante, essa porta come nel seno materno tutta la creazione, porta in sé come un embrione il cosmo intero, è il corpo materno di tutte le diverse creature » 72. « Noe fu salvato come timoniere in mez­zo al naufragio di tutto il mondo »73. La storia del­l'arca di Noe, scrive CIRILLO DI ALESSANDRIA, è una immagine e un « tipo » della salvezza restituita in Cri-

" Homiliae 22-29 (PG 53, 185-273). 70 Glaphyra in Genesim, 2, 1 (PG 69, 49-68). 71 Edizione di A. WILMART, in Revue Bénédictine 26 (1909) p.

1-12. - Cfr. J. SINT, Die Arche ah Typ der Kirche im Traktat ' De arca Noe ' des Gregorius voti Elvira (dissertazione non stampata), Innsbruck 1946.

72 Oratio 6 in Noe (PG 85, 97 C; 101 A). 73 Oratio 14 (PG 85, 184 B). Cfr. CRISOSTOMO, Homilia 12, 3

in Matthaeum (PG 57, 205 B).

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 889

sto , 4 . Il diluvio universale diventa il battesimo, Noè diventa modello di Cristo. La parola conclusiva di questa teologia simbolica fu scritta per l'Occidente da AGOSTINO, quando ancora una volta egli vede i rap­porti della Chiesa con il legno della croce prefigurati nell'immagine dell'arca: «Procul dubio arca figura est peregrinantis in hoc saeculo civitatis Dei, hoc est ec-clesiae, quae fit salva per lignum, in quo pependit me­diato! Dei et hominum, homo Christus Jesus »75. Il primo paragone chiaro tra l'arca e la salvezza donataci nel legno della croce e nell'acqua del battesimo dal vero Noè-Cristo, l'incontriamo nel dialogo di GIU­

STINO 76. Cristo, quale primogenito, è allo stesso tem­

po l'inizio di una nuova generazione, così come Noè fu il giusto, nella cui arca furono raccolte le otto ani­me, il cui numero rappresenta l'ogdoas, ossia il numero otto del giorno della resurrezione di Cristo che fu inizio dei novissimi e primordio della eterna generazio­ne. Solo nell'arca di Noè il vero popolo evita il giudizio futuro. Tutti i posteri di Noè sono stati radunati nel­l'arca di Noè per costituire una sola comunità dome­stica (συνοικία). Già qui troviamo quindi il pensiero che la salvezza venne elargita a Noè e mediante lui alla comunità domestica, che si trovava nell'arca. Con­seguentemente GIUSTINO può dire a proposito di Cri­sto quale novello Noè : « Egli è divenuto l'origine pri­ma di una novella generazione, che mediante lui è ri­generata dall'acqua, dalla fede e dal legno, che porta in sé il mistero della croce, cosi come una volta Noè

'* PG 69, 49 C. "> De Civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, 116). " Dialogo con Trifone, 138 139 ( O T T O I, 2, 486-492).

890 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

venne salvato sul legno, navigando sulle acque, assieme ai suoi (μετά των ίδιων) ». La tipologia dell'arca e del legno della croce ci pone nel bel mezzo dell'antica dottrina cristiana della redenzione. Ciò giustifica il ten­tativo di sviluppare ancor più profondamente la stau-rocentrica dell'arca rispetto alla croce. Il pensiero dom-matico viene espresso attraverso una contrapposizione dialettica di immagini. In fondo si tratta sempre della tensione sacramentale tra il piccolo esemplare e l'im­mane realtà salvifica. Lo vediamo ad esempio, quando nel Pastore di Ermas la Chiesa viene chiamata la costru­zione, le cui fondamenta stanno sull'acqua 77 : ο quan­do nella teologia giudeo-cristiana l'invisibilità della co­munità salvifica viene contrapposta alla grandezza della Chiesa, che in un vero senso è coeva con la creazione e quindi era sempre là, ove la storia di Dio con la ge­nerazione umana entrava in una nuova fase78. Anche la natura salvifica dell'arca viene compresa soltanto quando si pensa alla futilità delle sue tavole e con tutto ciò non si dimentica che la salvezza dell'universo vie­ne operata dal suo « spregevole legno » (Sap 14,7). Essa infatti viene lodata precisamente quale « legno » me­diante il quale ci venne la giustificazione ». I Padri greci hanno sempre considerato il piccolo legno di Noe come modello del legno insignificante della croce il quale, proprio perché tale, è redentore dell'universo. Efrem chiamava l'arca la « terra di legno »79. AMBRO-

" Hermas Visio, I, 3, 4 (FUNK, p. 422). 78 Anche qui nella simbolica dell'arca agitiamo una questione es­

senziale dell'antica ecclesiologia cristiana, la questione del senso della Chiesa preesistente. Cfr. per ciò J. BEUMER, Die altchristliche Idee einer praexistenten Kirche, in Wissenschaft uni Weisheit, 9 (1942) p. 13-22. - J. DANIÉLOU, Théohgie, p. 3185.

79 Carmina Nisibena, 1, 1 (BKV, 2 ed., EPHREM, p. 254).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 891

Gio applica Sap 14,7 al legno benedetto8 0 . La stessa cosa fanno una omilia sulla croce, che sta tra le opere di CRISOSTOMO 8 1 e una predica di TEODORO DI STU-

DION 8 2 . P. LUNDBERG e J. DANIELOU hanno detto lo

essenziale circa i primordi di questa teologia dei rap­porti tra legno e acqua, ossia tra croce e acqua 83. Già nella lettera dello Ps.-Barnaba c'è un midrasch giudai­co, che echeggia il quarto libro di Esdra, ove, a propo­sito del tempo della redenzione, vien detto : « Dagli alberi di legno colerà sangue » 8 4 . N o n ci sbagliamo se leggiamo la interpretazione di queste parole nella lettera di Barnaba come indicante l'importanza salvifica esca­tologica dell'arca quale modello del legno della croce. Infatti alla domanda circa il momento in cui tutte le cose saranno compiute, Barnaba risponde : « Quando il legno riposa e sta dritto e quando dal legno gocciola san­gue » 75. Dovremmo parlare più a lungo del significato tipologico dell'arca di Noe rispetto alla futura redenzio­ne, espresso nelle innumerevoli testimonianze, che desi­gnano Noe come il primo giusto e ad un tempo come l 'uomo dell'ottava ο decima generazione dopo Adamo e profeta rispetto alla Chiesa. Ma è giocoforza limitarci ad indicare gli elementi fondamentali. Per AMBROGIO, Noè è il modello del Crocifisso e perciò anche della

80 Sermo 8 sul Salmo 118 (CSEL 62, p. 164, 1. 6ss). 81 PG 52, 839 C. a ! PG 99, 696 C. 83 Cfr. nota 67. 84 IV Esdra, 5, 5 (CHARLES II, p. 569). 85 Lettera ài Barnaba, 12, 1 (BIHLMEYER-SCHNEEMELCHER, 25, 1.

2s). - Non andremmo certamente errati se mettessimo in relazione con l'arca e il suo approdo anche il legno che « riposa e risorge ». Altre testimonianze in favore di ciò, in J. DANIELOU, Théologie, p. 29OS.

892 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

Chiesa : « Per crucem et sanguinem credimus Christi, cuius Noe gratiam in typo ecclesiae figuratam spiri­tuali cognitione praesensit »86. AGOSTINO vuole che nell'istruzione battesimale si parli del modello dell'arca : « Nel mistero del diluvio (dilitvii sacramento), in cui i giusti furono salvati in virtù del legno, viene presi­gnificata la Chiesa futura, che il suo Re e Dio Cristo ha salvato mediante il mistero della croce dall'affonda­mento in questo tempo del mondo »87. FIRMICO M A ­

TERNO scrive : « La stirpe umana venne salvata dal di­luvio mediante un'arca di legno. Così pure la salvezza è stata elargita a tutti gli uomini mediante il legno della croce e perciò il legno della croce sostiene tutto in cielo, rafforza le fondamenta della terra e conduce gli uomini, che si lasciano mettere in croce, alla vita eterna »88. Una preghiera della liturgia armena per la Epifania suona così: « Tu, ο Dio, hai salvato il giusto Noe dal flusso dell'acqua nell'arca simile alla croce (in the crosslike ark) »89. L'insignificante legno dell'arca salva l'umanità e la povera croce della redenzione di­venta il segno cosmico, che tiene eternamente insieme cielo e terra. Non possiamo dilungarci a trattare la dottrina simbolica patristica della croce, che come l'arca che viaggia verso tutte le direzioni, penetra nelle quat­tro direzioni celesti e forma le coordinate del cosmo 90.

88 Comment. in Lucam, HI, 23 (CSEL 32, 4, p. 114, 1. 18-22). « De catechizandis rudibus, 19, 32 (PL 40, 334 B). 88 De errore prof, rei., 27 (CSEL 2, p. I20s). «· CONYBEARE, 45. - Cfr. LUNDBEHG, ρ. i86s. - Arca come croce

anche presso GIOVANNI DAMASCENO (PG 96, 624 B). M Per la teologia della croce come segno cosmico, cfr. le testi­

monianze in J. DANIÉLOU, Théologie, p. 303-315: La aoix cosmique. Egualmente in H. RAHNER, Griechische Mythen, p. 73-89. Il più bel­l'inno di lode alla croce che abbraccia tutto l'universo, si trova nel-

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 893

È la teologia, che Ireneo ha già in mente, quando scrive che Dio ha dato a Noè le dimensioni dell'arca e che in ciò sono significate misteriosamente le dimen­sioni del mondo per la seconda generazione91.

Il secondo riferimento dell'arca di Noe all'opera sal­vifica in Cristo è, secondo il modo di vedere di compe­tenti studiosi, il più originario, poiché garantito dalle parole di iPet 3,20; si tratterebbe cioè della esemplarità dell'arca riguardo all'acqua del battesimo cristiano. Noi pensiamo che l'arca fu concepita in primo luogo come tipo della Chiesa, ossia della comunità dei salvati per i meriti dell'unico Noè-Cristo, e quindi che il suo rap­porto con il battesimo è « posteriore » ; tuttavia rico­nosciamo che la tipologia rispetto al battesimo svolge sin dall'antichità una parte fondamentale, che ritrove­remo soprattutto nella polemica sul battesimo degli eretici. Che questo problema sia stato intravisto anche nella spiegazione esegetica dell'arca, ce lo dimostrano le parole di AGOSTINO nell'opuscolo sull'unità della Chiesa : « Nulli nostrum dubium est per arcam Noe, salva rerum gestarum fide, ut deletis peccatoribus do-mus iusti a diluvio liberaretur, etiam ecclesiam fuisse figuratam. Quod forte humani ingenii coniectura vi-deretur, nisi hoc Petrus Apostolus in epistola sua di-ceret » 92. Noi non possiamo fornire qui molto di nuovo rispetto al materiale già presentato da Lundberg e Daniélou 93. L'immagine del diluvio dell'acqua che uc-

YOmelia pasquale molto discussa, che si voleva attribuire ad IPPOLITO (PG 59, 743). - Sourees Chrctiennes 27, Parigi, 1950, p. 177S.

91 Adversus haer., 4, io , 1 e 16, 2 (HARVEY II, p. 172; p. 190). " De untiate Ecclesiae, 9 (PL 43, 397 B). 03 P. LUNDBERG, Tipologie, p. 98-116: Le déluge et le Baptème.

- J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, p. 74-78.

894 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ride e che ad un tempo salva in virtù del legno, ap­partiene al fondo originario della riflessione arcaica sul­la tipologia « acqua e legno ». L'efficacia dell'acqua viene dalla croce. Gli ολίγοι ο gli « otto » designano la comunità dei salvati nella Chiesa dal giudizio finale e perciò la comunità di coloro che attraverso il battesi­mo sono stati destinati alla salvezza definitiva. Batte­simo e chiesa, dunque, già si corrispondono e non pos­siamo parlare della tipologia dell'arca rispetto al bat­tesimo, senza pensare alla croce e alla Chiesa e, inoltre, al diluvio finale del giudizio di fuoco. Alla fine del quarto secolo, EPIFANIO chiama l'arca di Noe un m o ­dello della παλιγγενεσία mediante il bat tes imo 9 4 . Il diluvio universale, come abbiamo già ascoltato nella catechesi battesimale di Tertulliano, è un bagno puri­ficatore dei peccati per tutto il mondo e ciò precisa­mente per il fatto che, per via del giusto Noe, dall'arca uscì la futura generazione di coloro che credono in Cristo e nella virtù del legno della sua croce. Acqua, legno e Chiesa sono quindi connessi tra di loro tipo­logicamente e teologicamente, e tuttavia è una que­stione inevitabile precisare quale dei tre elementi sia quello originario. Nelle Quaestiones in epistolas S. Pauli, falsamente attribuite ad Anastasio e probabilmente bi­zantine, si riuniscono gli elementi della suesposta teo­logia della nave, il cui albero è la croce, che riunisce i credenti nella Chiesa e che, attraverso le tempeste, si dirige verso il porto celeste : « Tre volte l'umanità ha sofferto naufragio spirituale (μυστικώς): la prima volta a causa del peccato originale, la seconda volta nel diluvio di Noe e la terza volta quando trasgredì la

·* Ancoratus, 96 (PG 43, 189).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 895

Legge, finché Cristo venne come timoniere delle ani­me, eresse l'albero della croce e diresse la nostra nave attraverso le onde sino in cielo »95. Si vede come la immagine della nave trapassa nell'immagine dell'arca di legno della croce e nell'immagine del vero Noé-Cristo, tanto che l'autore ha potuto anche dire, che « il primo battesimo è stato il diluvio universale per l'estirpazione di ogni peccato »96. Nei Titilli composti da AMBROGIO, il sacramento del battesimo viene assi­milato alla discesa della colomba sull'arca di Noe e il suo frutto è la pace, che viene data in seno alla Chiesa:

« Arca Noe nostri typus est et spiritus ales qui pacem populis ramo praetendit olivae » 97.

Nel commento a Luca, Ambrogio interpreta così questi versi : « Arca ista quae sola fuit diluvii immunis typus est pacis Ecclesiae » 98. Quanta parte occupino nel fondo originario dell'antica catechesi battesimale cri­stiana la teologia del battesimo e i suoi rapporti alla arca di Noe, lo abbiamo già mostrato con le parole della catechesi battesimale di CIRILLO DI GERUSALEM­M E 9 9 e lo possiamo intuire nelle vivaci domande del­la catechesi battesimale di AMBROGIO. Il vescovo di Milano conclude per l'appunto la teologia dell'« acqua

« Quaestio, 105 (PG 28, 761 A). 86 Quaestio, 101 (PG 28, 760 A). 97 Titulus 19: Testo in Ramisene Quartahchrift io (1896) p. 221. 98 Comtnent, in Lucani, 2, 92 (CSEL 32, 4, p. 95). 89 Catech., 17, io (PG 33, 981 A). - Caverna dei tesori siriaca, 19,

13 (RIESSLER, p. 964), ove le due colombe dell'arca vengono iden­tificate con i due Testamenti: « La prima non trovò riposo nel popolo contrario a Dio, nel secondo (Testamento) invece la colomba si adagiò tranquilla sul popolo attraverso l'acqua del battesimo ».

896 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

e del legno», divenuta quasi un «t ipo» arcaico, con il rinvio al mistero dell'arca e chiede agli ascolta­tori : « Tu vedi l'acqua, tu vedi il legno, tu vedi la colomba, quali dubbi hai ancora su questo mistero? ... Il legno è quel legno, a cui fu inchiodato il Signore Gesù, quando patì per noi » 10°. Vediamo come i tre elementi stiano incessantemente insieme: legno della croce, acqua del battesimo, arca della Chiesa. Perciò Ambrogio alla fine riassume così : « In diluvio quoque fuit iam tunc figura baptismatis » 1 0 1 e nel commento a Luca scioglie una lode magistrale al mistero dell'ac­qua, la cui virtù salvifica viene presignificata dal dilu­vio universale : « Ο aqua, quae sacramentum Christi esse meruisti... tu incipis prima, tu comples perfecta mysteria... ο aqua, quae humo aspersimi sanguine ut praesentium lavacrorum figura praecederet, orbem ter-rarum lavasti » 1 8 2 . Il mistero della salvezza, che Cristo morente sul legno della croce ci ha procurato e che la­sciò scorrere simbolicamente nell'acqua della ferita del costato, viene accennato anche da GEROLAMO in una delle sue lettere : « Il mondo ha peccato e non verrà purificato se non nell'inondazione mediante l'acqua del diluvio, allorché la colomba dello Spirito Santo venne a Noe - come più tardi su Cristo nel Giordano - ad annunciare all'universo la pace con il ramoscello del­l'olio nutriente e illuminante »1 0 3 . In un'altra lettera, Gerolamo suppone la conoscenza del rapporto tipolo­gico tra diluvio universale e battesimo, e chiama il di-

100 De mysteriis, 3, io, 11 (CSEL 73, p. 92s). 101 De sacramento, 1, 6, 23 (CSEL 73, p. 25). 102 Commetti, in Lucam. io , 48 (CSEL 32, 4, p. 473, 1 7-11). ""> Epistola 69, 6 (CSEL 54, p. 6Sgs).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 897

luvio « il bagno purificatore dell'universo dopo il nau­fragio di tutta l'umanità »1 0 4 . GAUDENZIO DA BRESCIA, imbevuto dello spirito delle traduzioni latine di Ori ­gene, predicava : « Nei giorni del santo Noe la Prov­videnza purificò con il diluvio il mondo insozzato da innumerevoli peccati, distrusse il male e dopo riedificò il mondo » 105. Parleremo ancora una volta del diluvio universale quale battesimo salvifico dell'universo, quan­do approfondiremo il significato storico-dommatico del raffronto tra diluvio e battesimo. Un testo poetico del­l'ultimo periodo della patristica latina dimostra quanto la teologia dell'arca, del battesimo e della Chiesa, co­mune sin dal tempo di Tertulliano, sia coerente. In un'opera sugli Atti degli Apostoli, poco rilevante dal punto di vista teologico, troviamo questi versi:

« Ecclesiae speciem pracstabat machina quondam temporibus constructa Noe quae sola recepii omne genus clausique ferens baptismatis instar cum vaga lethales pateretur turba procellas ad vitam convertit aquas » 106.

Uno sguardo alla storia del testo della consacra­zione dell'acqua battesimale107 mostra che la cono-

104 Epistola io , ι (CSEL 54, P· 35. 1. io) . 1 0 5 Tractatus io, 3 (CSEL 68, p. 93, 1. 30-32). - Per la relazione

tra arca e battesimo, cfr. anche CIRILLO DI ALESSANDRIA (PG 77, 976 Β ; PG 69, 65 B) - D I D I M O (PG 29, 697). - CRISOSTOMO: PG 48, 1037S. - O T T A T O MILEVITANO (CSEL 26, p. 8, 1. is) .

10« De actibus apostolorum (PL 68, 148). " " Cfr. H. SCHEIDT, Die Taufwasser-Weihegebete (=Liturgische

Quellen una Forschungen, 29), Miinster 1935, p- 80. - Lo studio più recente per il testo della consacrazione romana dell'acqua battesi­male di S. BENZ, in Revue Béiédictine 66 (1956) p. 218-255; soprat­tutto, p. 226.

15 — L'ecclesiologia dei Padri

898 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

scenza patristica di questa applicazione simbolica del­l'arca di Noè al sacramento del battesimo restò viva proprio a motivo della trasmissione riverente di questi testi. Nella consacrazione dell'acqua battesimale con­tenuta nel Messale Romano ricorre quest'espressione da noi citata ma che ora rivela meglio il suo significato teologico : « Deus qui nocentis mundi crimina per aquas abluens regenerationis speciem in ipsa diluvii effusione signasti, ut unius eiusdemque elementi my-sterio et finis esset vitiis et origo virtutibus ». E molto istruttivo vedere che, immediatamente dopo, si parla anche della tipologia dell'arca quale seno materno di una nuova progenie « Respice Domine in faciem Eccle-siae tuae et multiplica in ea regenerationes tuas ». Que­sta opposizione dialettica, secondo cui mediante la me­desima onda che distrusse il peccato, viene ricevuta la vita in virtù del legno, viene espressa anche nel Messale di Bobbio: « Exuis nos mortem et induis nos vitam » 108. Nel Testamentum Domini arabico, l'innocente Noè vie­ne designato come colui, per la cui innocenza il dilu­vio divenne salvezza : « Dio ha salvato dall'acqua del diluvio quegli uomini, che erano all'interno dell'arca, a causa dell'innocente Noe »109. Nella consacrazione greca dell'acqua per l'Epifania c'è una preghiera che, muovendosi nell'ambito della teologia della fine del secondo secolo, si esprime così: « Ma tu, ο nostro Dio, sei colui che, nell'acqua e nello spirito, rinnovi la natura umana invecchiata a causa dei peccati. Sei stato tu, che hai distrutto i peccati nell'acqua del diluvio, per

1 M Messale di Bobbio (MURATORI, V. 2, ρ. 849S). - E. A. LOWE, The Bobbio Missal, Londra, 1920, p . 72S. - SCHEIDT, p. 58.

i m SCHEIDT, p . 44. - A. BAUMSTARK, Eine iigyptische Mess - uni Tauflitutgie, in Oriens Christianus 1 (1901) p . 39. - LUNDBERG, p. IOS.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 899

amore di Noè » n 0 . La stessa cosa leggiamo in un can­tico di lode all'acqua, scritto da OPTATO MILEVITANO : « Ο aqua, quae, ut purum, faceres orbem, lavasti ter-ram » 1 1 X. Infine nella consacrazione spagnola dell'acqua battesimale risuona ancora una volta l'antica dialettica cristiana del diluvio, il cui effetto viene riprodotto dalla grazia del fonte battesimale: « Una eademque es: salus fidelium et ultio criminum » 1 1 2 . Nel suo opuscolo sul battesimo Tertulliano condensa in una breve sentenza tutto ciò che riguarda la teologia battesimale e i suoi tipi: « Numquam sine aqua Christus » 113.

II rapporto tipologico dell'arca al legno della croce e all'onda del battesimo può essere compresa, a nostro avviso, soltanto se ammettiamo, quale elemento ori­ginario dell'antica simbolica cristiana, il rapporto del­l'arca alla Chiesa in genere, anche là dove questo rap­porto non viene enunciato esplicitamente. Per questo soltanto adesso parliamo dell'arca come simbolo della Chiesa. « Nessun tema è più frequente presso i Padri quanto il simbolismo dell'arca di Noè come modello della Chiesa, nel cui grembo gli uomini vennero ri­sparmiati dal giudizio di Dio mediante l'acqua » m . Il concetto fondamentale di questa ecclesiologia esca­tologica vede nel diluvio il modello del giudizio che verrà alla fine nel fuoco; la morte e la resurrezione del Signore sono l'anticipazione della beatitudine finale

1 1 0 SCHEIDT, p. 24; p. 26. - CONYBEAKE, p. 418. I I I CSEL 26, p. 153S. 112 FÉHOTiN, p. 30S. - SCHEIDT, p. 98. 113 De baptismo, 9, 4 (Cor. Christ., TERTULLIANO I, p. 284, 1.

16). 1 1 4 J. DANIÉLOU, Sacrameiitiim Futuri, p. 55; cfr. anche p. 80-82.

IDEM, Thcohgie du Judéo-Christianisme, p. 317-339.

900 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

o, in termini biblici, dell'approdo sul monte Ararat; la storia di questa salvezza procede per mezzo dell'arca, ossia nella Chiesa. Il primo testo dell'antica letteratura cristiana, che chiama esplicitamente l'arca modello del­la Chiesa, è stato individuato nel cap. 8 dell'opuscolo DI TERTULLIANO sul battesimo. Ma la prima lettera di Clemente dimostra che, a partire dalla teologia giudeo-cristiana, il paragone tra arca e Chiesa era frequente già molto prima di Tertulliano. Lo scopo dottrinale di questo scritto, come è risaputo, è il richiamo alla concordia in seno alla comunità di Corinto. L'autore si ricorda in modo naturale dell'arca di Noe come esem­pio della concorde coabitazione di tutti gli esseri vi­venti : « Noe fu trovato fedele mediante il suo obbe­diente servizio (δια της λειτουργίας) e annunciò al mondo la rinascita; è a causa Ai lui che il Signore salvò tutti gli esseri viventi, che con concordia entra­rono nell'arca »115. L'arca della concordia è evidente­mente la comunità di Corinto. Proseguendo nella mede­sima linea di pensiero Tertulliano definisce perciò il diluvio universale « il battesimo dell'universo » 116. Co­me la colomba dello spirito scese su Gesù dopo il bat­tesimo, così discende sopra i cristiani. Questo ragio­namento che faceva parte degli antichi elementi della catechesi battesimale, richiama l'immagine dell'altra colomba, che annuncia alla famiglia di Noe la fine del diluvio : « Conformemente alla medesima disposi­zione, la colomba dello Spirito Santo volteggia sulla

115 Lettera di Clemente, 9, 4 (FUNX-BIHLMEYEH, p. 40, 1. 7-9. -Cfr. un'interpretazione simile in B. KNOPF, Handbucn zum NT. Dii Apostolkhen VMer, Tubinga 1920, p. 59.

11» De baptismo, 8; 4 (CSEL 20, p. 207, 1. 25s).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 901

terra, ossia sulla nostra carne, quando, dopo la vecchia vita di peccato, usciamo dal bagno battesimale; essa apporta la pace con Dio; essa è stata mandata dal cielo, ove la Chiesa è la figura dell'arca » U 7 . Secondo la teo­logia di IRENEO, il paradosso dell'arca quale modello della Chiesa consiste nel fatto che è sempre il Signore a mandare l'acqua letale del diluvio e l'acqua vivente della Chiesa. Questo pensiero si trova già in GIUSEPPE FLAVIO,

il quale designa come « paradoxon » il fatto che l'acqua del diluvio sia stata principio di salvezza per alcuni118. Occorre pertanto considerare un po' più da vicino la ecclesiologia di Ireneo, poiché ha esercitato un grande influsso sulla ecclesiologia dei secoli posteriori e allo stesso tempo contiene nel modo più chiaro gli elemen­ti della teologia giudeo-cristiana del II secolo. La Chie­sa può essere paragonata all'arca costruita con legno immarcescibile 119. Nella Demonstratio, Ireneo richiama espressamente l'attenzione sulla unicità di Noe, a noi già nota dalla teologia giudeo-cristiana, nella quale è stata preannunciata l'unicità del redentore Cristo: « Quando attraverso il diluvio il giudizio di Dio venne sul mondo, nella decima generazione dopo la creazione del mondo, si trovò un unico giusto, Noe. Mediante

117 De baptismo, S, 4 (CSEL 20, p. 207, 1. 28 - p. 2C8, 1. 1): qui il testo viene reso secondo la lezione di un'unica trasmissione: « de caelis, ubi Ecclesia est arca figurata ». Nel testo di Cor. Ckrist. I, p. 283, 1. 77 si trova: « Dal cielo, ove si trova la chiesa raffigurata dal­l'arca ». - Secondo la teologia biblica di Tertulliano, Noè è, assieme ad Adamo, una prefigurazione di Cristo e della Chiesa, e cioè del « Christus monogamus in Spiritu, unam habens Ecclesiam sponsani » : De monogamia, 5, 4-7 (Cor. Christ., II, p. 1235, 1. 44-48).

118 Antiquitates, 2, 16, 5, § 347. - Per il medesimo concetto del paradosso del diluvio che uccide e che salva nella teologia di Ireneo, cfr. J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, p. 71.

118 Adv. haer., 3, 24, 1 (HARVEY II, p. 131).

902 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

la sua giustizia, egli trovò salvezza per sé, per sua mo­glie e per i suoi figli, rinchiusi nell'arca » 12°. Come il messaggio di Cristo è contenuto nei quattro vangeli, così la preparazione della salvezza operata da Dio ha conosciuto quattro testamenti: il patto con Noè, con Abramo, con Mosé e con Cristo m. La funzione de­terminante che vi esercita il diluvio universale e la sal­vezza sul legno dell'arca, è espresso nel miglior modo nel simbolo della fede, quando Ireneo parla della let­tera di Clemente e ricorda esplicitamente il diluvio in­tercorrente tra Adamo e Abramo : « Unum Deum om-nipotentem, factorem caeli et terrae, plasmatorem ho-minis, qui induxerit cataclysmum et advocaverit Abra­ham » 122. In seguito al diluvio l'unico salvato, Noe, rappresenta la continuazione ininterrotta del seme ada­mitico ed ha, nella storia della salvezza, il compito di conservare il « tipo primitivo dell'uomo, la figura di Adamo » 123. L'arca è come l'albero del paradiso, la immagine della caduta e della redenzione della stirpe di Adamo in virtù del legno124. Allorché Dio gli diede l'incarico di costruire l'arca, « Noe ricevette la misura del mondo per la seconda generazione » 125. Noè dunque, per questa dommatica biblico-teologica, è come il secondo Adamo e il modello di Cristo, che costruisce l'arca della Chiesa come nave della salvezza prima del cataclisma definitivo del giudizio finale. Con-

120 Demonstratio, i, 2, 19 (BKV, 2 ed., IRENEO, II, p. 596). 121 Adv. haer., 3, 11, 8 (HARVEY II, p. 50). 122 Adv. haer., 3, 3, 3 (HARVEY II, p. 11). 123 Adv. haer., 4, 36, 4 (HARVEY II, p. 279). Ci ricordiamo delle

espressioni della Caverna dei tesori siriaca a proposito del cadavere di Adamo nell'arca e della sua inumazione sul monte Golgotha.

124 Adv. haer., 5, 16, 3 e 5, 17, 4 (HARVEY II, p. 368; p. 371). 125 Adv. haer., 4, 16, 2 (HARVEY, II, p. 190).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 903

seguentemente in un frammento siriano di Ireneo, il Logos viene chiamato il « pilota dell'arca di Noe » : « Hic (Logos) enim est qui Noemo fuit nauta, ipse di-rexit Noemum in navi »126. Ciò richiama alla mente le parole della Caverna siriana dei tesori: « Sul tetto del­l'arca c'era l'angelo del Signore quale pilota »127. Di grande importanza, soprattutto per Ambrogio e per la formazione di testi liturgici, è stata la teologia del­l'arca che si trovava in IPPOLITO DI ROMA, il quale ha senza dubbio raccolto pensieri della primitiva teologia simbolica giudeo-cristiana soprattutto mediante Ireneo. Nel commento al Cantico dei Cantici, Ippolito dice esplicitamente che Noe fu giustificato e fu salvato nel­l'arca in virtù del Redentore futuro 128. Forse il più bel brano teologico della tipologia dell'arca rispetto a Cristo e alla croce si trova nei frammenti ippolitiani sul Pentateuco (lasciamo da parte il problema della lo­ro autenticità). In essi l'arca diventa una grande nave a prova di mare : « La nave si sollevò dai piedi del monte santo, l'acqua la trasportò, ed essa solcò il mondo in tutte e quattro le direzioni, tracciando una croce e dirigendosi dal monte santo verso occidente, in su ver­so il nord e quindi verso il sud; dopo ritornò verso oriente e si posò sul monte Kardu. Ciò allude alla croce; e l'arca, ossia la nave, è il Cristo atteso; l'arca infatti era la fonte della salvezza di Noe e dei suoi figli e degli animali domestici, delle belve e degli uccelli, poiché Cristo morì per noi in croce e ci ha salvati da satana e dal peccato ... e come l'arca ritornò verso

la* Frammento siriaco di Ireneo, 30 (HARVEY II, p. 461S). 127 Cfr. sopra, nota 62. 188 Comment. in Cani. Cani., 2 (TU 23, p. 29, 1. 5-11).

904 L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI

l'oriente e si posò sul monte Kardu, così Cristo compì il suo faticoso viaggio e tornò in cielo, nel seno del Pa­dre, e sedette sul trono glorioso alla destra di que­sti »129. Molti brani di questi frammenti di Ippolito ritornano nella Caverna dei tesori siriaca, ove è detto: « E l'arca volò sulle onde con le ali del vento, da orien­te verso occidente, da nord verso sud, e così descrisse una croce sull'acqua » 130. La seconda omelia di ORI­GENE sulla Genes i m vede ancora più chiaramente nel­l'arca una nave costruita dal vero Noe Cristo e nel diluvio l'immagine degli avvenimenti del giudizio esca­tologico 132. Il vero Noe della storia della salvezza è Gesù Cristo, che salva il suo popolo nell'arca della Chiesa, da lui costruita quale « architectus Ecclesiae » 133 : « Spiritualis Noe Christus in arca, id est in Ecclesia sua » 134. Segue un'artificiosa ed elegante allegoresi delle dimensioni dell'arca, già accennata a suo tempo da Ireneo, e della quale qui non intendiamo trattare a fondo, anche se, al dire di Origene, in essa sono con-

129 Frammenti arabi al Pentateuco IV iti Gen 8,1 (GCS IPPOLITO I , 2, p. 91).

130 Caverna dei tesori, 19, 5 (RJESSLER, p. 964). 111 GCS ORIGENE VI, p. 22-39. - Per la sua allegoresi dell'arca,

Origene si richiama sia alla tradizioned ell'insegnamento ecclesiastico (quae nobis sunt a maioribus tradita: p. 22, 1. 18), sia alla tradizione giudaica (hebraicarum traditionum: p. 29, 1. is).

132 GCS VI, p. 30, 1. 7: «Formam tenens finis illius qui vere futurus est mundi ». Indi rinvia espressamente a Lue I7,26s. Una riguardevole allegoresi alessandrina accenna al futuro diluvio di fuo­co. L'arca di Noè è costruita in forma piramidale come simbolo della futura purificazione del mondo mediante il fuoco, Così già in CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 6, 11, 86 (GCS CLEMENTE II,

p. 475,1. 5). - ORIGENE, Homilia 1 in Genesim (GCS VI), p. 23,1. 18). " 3 GCS VI, p. 33, 1. 17S. 1 5 1 GCS VI, p. 34, 1. 29S.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 905

tenute molte prefigurazioni della Chiesa 135. Ciò che intendiamo mettere in evidenza è il rapporto dell'arca e della Chiesa con Cristo, poiché « anche al nostro Noè, l'unico veramente giusto e perfetto, e cioè al nostro Signore Gesù Cristo, fu impartito l'ordine di costruir­si l'arca dalle dimensioni piene di celesti misteri. Il vero Noè è nostro Signor Gesù Cristo ; se ' Noè ' si­gnifica ' riposo ', oppure ' giusto ', diciamo che soltan­to Gesù è tale »136. Da tutto ciò vediamo ancora una volta che il rapporto tra arca e croce e, più precisa­mente, tra arca e Chiesa, sono inscindibili. È impossi­bile condensare anche nei suoi soli elementi principa­li la messe dei pensieri patristici riguardanti la tipolo­gia dell'arca rispetto alla Chiesa. Agostino si richiama esplicitamente a Origene per la tipologia dell'arca e delle sue dimensioni137. Nelle celebri parole della Città di Dio, che tanto influsso esercitarono sulla tipologia, AGOSTINO esalta l'arca come modello della Chiesa, co­me « compagine molto ben connessa » e unitaria che abbraccia puri e impuri sino al momento della loro separazione alla fine della storia138. Nello stesso pe­riodo, DIDIMO DI ALESSANDRIA riassume per la teologia greca tale tipologia: «Il diluvio, che ha purificato il

135 In connessione con Eph 3,18 le dimensioni dell'arca vengono spiegate qui (p. 33s) nelle loro quattro direzioni cosmiche. Un'alle-goresi questa, che avrà ancora una ricca storia.

136 GCS VI, p. 30, 1. 7-19; p. 31, 1. 6s e 15S: « Ingentium sacra-mentorum figurae»; p. 34, 1. 4:. - « Mensurae caelestibus sacramen-tis repletae»: p. 30, 1. 19.

137 Quaestiones in Heptateuchum, 1, 4 (CSEL 28, p. 5s). - De Ci-vitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 120,1. 4). - Ancora BEDA si richia­ma ad Origene (PL 91, 92 A), cosi pure REMIGIO DI AUXEHBE (PL 75 A). - Cfr. per ciò H. DE LUBAC, Exéghe Medievale, Parigi, 1959, v. 1, 2, p. 463-465 (vers. ital., Roma, 1962).

133 De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 11-16).

906 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

mondo da una peccaminosità esistente da molto tempo, è come una profezia del battesimo; e l'arca che salvò gli uomini raccolti nel suo interno è il modello della santa Chiesa e l'immagine della nostra buona speranza che su di essa si fonda »139. Ricordiamo ancora una volta il già menzionato scritto latino, il trattato di GREGORIO DI ELVIRA sull'arca, poiché in esso si incon­trano e fondono le ecclesiologie di Giustino, Ireneo, Origene e Cipriano, che di qui giungeranno alla teo­logia del primo medioevo, passando attraverso Isidoro di Siviglia. L'arca e le sue tavole incorruttibili diven­tano l'immagine della Chiesa, che resta con Cristo nel suo splendore finale: « Arca est Ecclesia semper cum Christo mansura ». Noe, inteso come « quiete » e come « giusto », è il modello di Cristo. Le dimensioni del­l'arca vengono interpretate sulla base del numero 300, simbolo della croce. I 30 bracci sono immagine della vita di Gesù, la costruzione dell'arca sino al vertice significa che la natura umana, assunta dalla Parola Eterna, è il fine supremo e il significato più profondo della redenzione mediante il legno della croce 14°. Anche nel Tractatus Origenis egli espone la tipologia dell'arca nei confronti della Chiesa, restando pienamen-

l a < DIDIMO, De Trinitate, 2, 14 (PG 39, 696 AB). 140 Edizione di A. WILMAET, in Revue Bénédictine 26 (1909) p.

1-12: tldeo in unum cubitum arcae fabrica consummatur, quia in uno Christi torpore et in gratta passionum eius omnis plenitudo trai Ectlesiae redigendo* (1. 159-161). - « Usque ad unum cubitum, id est usque ad mensuram suscepti kominis qttem induit Dominus » (1. 148-150). - Anche Agostino, che paragona le dimensioni dell'arca con la statura del cor­po umano, passa immediatamente a parlare del corpo del Verbo incarnato : « Mensurae ipsae longitudini! et Iatitudinis eius (arcae) signi­ficai corpus humanum in cuius ventate ad homines praenuntìatus est ventu-rus et venti*: De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. uós).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 907

te fedele al pensiero del maestro alessandrino: «In ca-taclysmo nemo naufragium orbis evasit nisi qui in arca Noe meruit reservari quae typum Ecclesiae por-tendebat »141. In base a quanto detto sin qui, ci sembra importante sottolineare il cristocentrismo della eccle­siologia patristica, elaborata a partire dal tipo dell'arca. Crediamo che proprio questa sia la migliore eredità del­la teologia giudeo-cristiana del primo e secondo se­colo e cioè il concetto così spesso enunciato della uni­cità di Noe e della salvezza data agli altri uomini ra­dunati nell'arca, salvezza che viene concessa loro sol­tanto a cagione di Noe. La tipologia della dommati-ca patristica descrive così la posizione unica del Messia quale vero Noe. Come già diceva Giustino, Cristo e la sua Chiesa sono la fine dell'antica stirpe del peccato e il nuovo inizio della vita data soltanto in lui, della nuova ed eterna generazione, che è salvata nell'arca del­la Chiesa. Cristo è Noè1 4 2 . Anche EFREM SIRO ci ha conservato questa eredità della teologia siriana : « Noe offri il sacrificio ed arrestò i flutti ». In ciò egli è dive­nuto il modello di Cristo. La poetica preghiera efre-

141 Tractatus Origenis, XII (ed. P. BATITFOL, Parigi 1900, p. 139, 1. 21-23).

142 Qualche altro testo: PS.-IPPOUTO (PG io, 857 C). - EPIFANIO (PG 41, 647 AB). - CIRILLO ALESSANDRINO (PG 69, 67 AB). - CRI­SOSTOMO (PG 48, 1037 CD; PG 57, 205). - PROCLO (PG 65, 760 C). - GIOVANNI DAMASCENO (PG 96, 6245). - AGOSTINO. Centra Fau-stum, 12, 16 (CSEL 25, p. 345). - Viceversa anche Ambrogio chiama Noe « aedificator Ecclesiae», in Commetti, in Lucam, 3, 48 (CSEL 32, 4, p. 135, 1. 23). - Del resto ciò è già una tradizione della teolo­gia del tardo giudaismo. Il libro di Enoch, 71, 14 dice di Noe: «Tu sei il figlio dell'uomo, che è stato generato alla giustizia ». Cfr. per ciò H. GRESSMANN, Der Messias, Gottinga 1929, p. 350; p. 356; p. 378. - Cfr. anche LUNDBERG, p, 75. - DANIÉIOU, Sacramentum Futuri, p. 64-66.

908 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

miana è rivolta direttamente a Cristo : « La tua croce solcherà il mare. La tua grazia creò una terra di legno e l'arca generò nuova vita sul monte ». « L'arca scivolò via sulle onde, portata dal tuo amore »143. IPPOLITO

DI ROMA enuncia la tipologia di Noe nei confronti di Cristo con un'espressione quasi contraddittoria, con cui Noe viene detto il pio ed amato da Dio, che è salvato « solo » e ad un tempo con tutta la sua famiglia : μόνος άμα γυναικί και τέκνοις 1 4 4 . Γη queste due parole μόνος άμα, « solo, ma insieme », è contenuto tutto il mistero dell'importanza salvifica della Chiesa. La salvezza è stata promessa soltanto a Noè, ma in pari tempo anche a coloro che vengono salvati mediante il legno dell'arca. Nell'opuscolo chiamato Caena, fal­samente attribuito a Cipriano, Noe viene paragonato a Cristo, e l'entrata nella nave di legno alla salita del legno della croce : « Includitur Noe, suffigitur Chri-stus »145. Nella catechesi battesimale di CIRILLO DI GE­

RUSALEMME la tipologia di Noè rispetto a Cristo viene spiegata ai semplici fedeli secondo la tradizione pri­mitiva: « Come a quegli (Noè) fu elargita la salvezza per mezzo di legno e di acqua, ossia come inizio di una nuova generazione, così pure lo Spirito Santo di-

143 Carmina Nisibena, ι, ι (BKV, a ed., EFREM I, p. 2525; p. 254). 1 4 4 Elenchos, io, 30 (GCS IPPOLITO III, p. 286, 1. i6s). - Questa

dialettica tra « solo » e « insieme » si fonda naturalmente sulle parole di Gen 7, 1 LXX: σύ καΐ πας ό οίκος σου, e viene continuamente espressa nella teologia dei Padri. Cfr. ad esempio ORIGENE, Homiliae in Ezechielem, 4, 8 (GCS 8, p. 369, 1. 25) : solus cum filiis suis. - AGO­STINO, Contra Faustum, 12, 15 (GCS 25, p. 345, 1. 19-24): «Che Noè assieme ai suoi (ipse cum suis) raggiungessero il numero otto, signi­fica che in Cristo si è manifestata la speranza della nostra resurrezione, poiché egli risuscitò dai morti l'ottavo giorno ».

145 TU, Nuova Serie, 4, 3D, p. 13. - Cfr. per ciò J. FINK, Noe der Gerechte, p. 98, nota 453.

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 909

scese sul vero Noe, il creatore di una nuova stirpe ... affinché sia chiaro che è lui stesso che sul legno della croce ha salvato i credenti »146. Una predica indebi­tamente attribuita a Gregorio il Taumaturgo, e che dipende dalla suesposta dottrina di Cirillo di Gerusa­lemme, afferma : « Dio Padre aprì le porte del cielo e inviò lo Spirito Santo sotto forma di colomba sul capo di Cristo quale nuovo Noe, il buon pilota della natura naufraga » 147. Cristo solo è la vera quiete (Mat 11,28), il vero Noè, come dice ILARIO nel suo trattato sui misteri : « Erit ergo huic Noe Dominus noster, qui Verbum caro factum est, comparatus » 148. E ANASTA­

SIO SINAITA dice a proposito di Noe e della sua arca, che essi prefiguravano il Cristo futuro : « Quae quidam est verus et ccrtus typus Christi »149.

L'influsso esercitato dal confronto tra arca e Chiesa, che torna continuamente nella catechesi battesimale e nella dommatica ecclesiale dei Padri, si spiega col fatto che molto presto anche la Chiesa particolare ο Chiesa episcopale viene designata come arca del vero e spiri-

1 4 6 Cattai., 17, io (PG 33, 981 AB). 1 4 7 In S. Theophaniam, 4 (PG io, 1188 C ) . Per il problema del­

l'origine di questa predica cfr. BARDENHEWER, V. 2, p. 332. 1 4 8 Tractatus mysteriorum, 1, 13 (CSEL 65, p. 13, 1. ios). - Cfr.

1, 13 (p. 14, 1. Is) : «Christus oh imminens iudicium in dottrinai et ec-clesiae suae arcam filios et genitos recondit ». - Per la teologia del solus Noe cfr. ad esempio ancora GREGORIO D I ELVIRA, De arca, 1. 24-26; «Ipse solus cum domo sua salvatus est». - CIPRIANO, De ìapsis, 19 (CSEL 3, p. 251): «Solus iustus inventus est in terris ». Cfr. per ciò

J. FINK, Noe der Gerechte, p. 72. - AMBROGIO, De qfficiis, 1, 25 (PL 16, 50 B) : « Solus ex omnibus superstes ». - ISIDORO DI SIVIGLIA, Quaest. in Vet. Test., 7 (PG 83, 230 C ) : « Solus Christus iustus atout perjectus... sicut Noe Me cum suis per lignum et aquam salvatur, sic familia Christi per baptìsmum et crucis passìonem salvatur ». - N o è come re in prefi­gurazione di Cristo, cfr. in J. FINK, Noe, p. 97, nota 448.

149 Hexaemeron, 5 (PG 89, 914S).

910 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tuale Noe, Cristo. In una lettera GEROLAMO paragona la Chiesa romana all'arca di Noè 150. Nell'orazione fu­nebre per il proprio padre, GREGORIO NAZIANZENO,

dopo aver detto che la Chiesa episcopale di Nazianzo è un'arca, così continua : « Il vescovo trasformò la sua Chiesa in una nuova Gerusalemme, e come il grande Noe, padre di questo mondo nuovo, la trasformò in una seconda arca navigante sulle onde » 1S1. La medesima immagine torna nel discorso in lode di Basilio : « A Noe fu data l'arca e la semenza di un secondo mondo, afEdata al legno e salvata di mezzo alle acque ... Così Basilio trasformò la sua città nell'arca della salvezza, che navigò leggera sulle onde delle eresie » 152. Citiamo ancora alcuni testi presi dalla tarda latinità patristica: nella Vita di san Remigio, la Chiesa di Remis viene chiamata arca e il suo timoniere diventa un vero Noe: « In eo quod inter amarissimos huius saeculi fluctus rneritorum atque virtutum, orationum ac praedicatio-num remigiis sanctam ecclesiam ad portum aeternae salutis gubernavit, sicut Noe qui arcam praesignantem ecclesiam in diluvio rexit » l53. Anche nella biografia di Cesario di Arles, il vescovo viene lodato come un nuovo Noè, proprio perché fondò nella sua città epi-

150 Epistola, 15, 2 al papa Damaso (CSEL 54, p. 64, 1. 39). Egli dice a proposito della Chiesa romana : « Chi non abita nell'arca di Noè, affonderà nei giorni del diluvio ». - Anche per Ambrogio la Chie­sa è paragonabile all'arca: De Noe et arca, 19, 70 (CSEL 32, 1, p. 464, 1. 22s).

151 Oratio 18, 17 (PG 35, 1005 B) . "· Oratio 43, 70 (PG 36, 592). - Cfr. anche GREGORIO N A Z I A N ­

ZENO, Cantra Iulianum, 1, 18 (PG 35, 545): « N o e venne salvato e salvò in una piccola nave il mondo, i semi dei popoli ». - Per l'arca come simbolo della Chiesa universale, cfr. PG 37, 1243 A.

I5S Vita Remigli, 30 (MG Script. Merov. Ili, p. 327, 1. 4-7).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 911

scopale un convento per donne, simile ad un'arca: « Quasi recentior temporis nostri Noe »154. Come si vede, l'immagine dell'arca si stringe sino a divenire, nella pietà del primo medioevo, un simbolo molto usi-tato e perciò logoro.

La ecclesiologia patristica è interessante anche da un altro punto di vista, a motivo di un'immagine, che già abbiamo incontrato spesso nella teologia del tardo giu­daismo e in quella giudeo cristiana, e che qui va stu­diata data la sua importanza. L'arca di Noe è divenuta il principio della nuova stirpe dei salvati, poiché essa, a somiglianza di un seno materno, conteneva i germi del­la nuova vita innocente. Su questa base la teologia dei Padri ha sviluppato uno dei suoi temi dottrinali più profondi: la dommatica del seno materno della Chiesa, da cui promanano i figli di una nuova stirpe salvati nel battesimo155. Già le omilie dello PS.-CLEMENTE

parlano dell'arca come inizio della nuova progenie 15e. FILONE designava la sorte della famiglia di Noe come il nuovo principio di una stirpe innocente 157. Nel IV Libro dei Maccabei, un giudeo alessandrino del primo secolo paragonava l'eroica madre dei Macca­bei all'arca : « Essa era simile all'arca di Noè nel diluvio che sommergeva l'universo; conteneva in

154 Vita Caesarii, i, 35 (MG Script. Merov. Ili, p. 470, 1. 7s). 155 Per la dottrina del fonte battesimale, e quindi dell'arca come

seno materno, dobbiamo ricordare quanto abbiamo detto più sopra a proposito del carattere muliebre della nave nella cultura ellenisti­ca. - Cfr. anche H. RAHNER, Griechische Mythen, p. 114-117.

15« PS-CLEMENTE, Homilia 8, 17 (PG 2,236 C ) ; (GCS PS . -CLEMEN-TINE I, p. 128, 1. 21-25): ένί τ ιν ι δ ι α κ α ί ψ όίμα τ ο ι ς λ ο ι π ο ΐ ς . -N o è in quanto δ ί κ α ι ο ς anche in Homilia 17, 4 (PG 2, 385 C ) ; Homilia 18, 13 (PG 2, 416 A).

1 5 7 De praemiis et poenis, 23 ( C O H N V, p . 340S). - Legendae alle-goricae, 3, 24 ( C O H N I, p. 129).

912 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sé il mondo vivente e resisteva a ondate gigante­sche »158. Nel « Libro dei Giubilei » Noe viene chia­mato « padre della stirpe pia » 159 : Ci troviamo quin­di sempre nella linea di questa teologia della sal­vezza che ha inizio in Noe e i suoi, quando GIUSTINO

afferma le stesse cose a proposito di Cristo considerato come novello Noe, e fa iniziare il compimento della salvezza con la rigenerazione dell'acqua nella virtù del legno della croce: Cristo è αρχή πάλιν άλλου γέν­ους 1 6 0 . Attingendo immediatamente da Filone, ORI­GENE dice che Noe è il progenitore di tutti i nati dopo il diluvio e che l'arca raccoglie in sé tutti gli esseri viventi. Nella seconda omilia sulla Genesi, asserisce che la dimensione dell'arca è cosi grande da poter contenere tutto il mondo : « Quae vere totius mundi reparanda germina et universorum animantium capere potuerint rediviva seminarla » 1 β 1. Spieghiamo quindi brevemen­te il significato che ha nella storia della salvezza l'arca quale seno materno e la funzione che svolge come ini­zio e modello della comunità dei rinati in Cristo, la Chiesa, che, per dirla con IRENEO

162, conserva per sem­pre in se stessa il « germe della giustizia ». Data la di­pendenza spesso anche letterale di AMBROGIO da Filone, è evidente quale sia la ragione precisa per cui gli stia tanto a cuore il parlare di questa esemplarità di Noè rispetto alla nuova stirpe. Noè è auctor generationis fu­tura;, il progenitore di tutti gli uomini futuri, che, as-

1 5 8 4 Macc 15, 3is (CHARLES II, p. 681. - RIESSLER, p . 724). 1S8 Libro dei Giubilei, io , 3-6 (CHARLES II, p. 28). »° Dialogus, 138, 6 ( O T T O II, p. 486). l e l Homiliae in Genesin, 2, 2 (GCS ORIGENES VI, p. 29, 1. <>-I2).

- Adversus Ceìsum, 4, 41 (GCS ORIGENE I, p. 314): N o è quale seme di tutti i viventi.

1,2 Demonstratio, 1, 2, 18 (BKV, 2 ed., IRENEO, II, p. 545).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 913

sieme alla sua famiglia salvata, come « resto della stirpe passata, fu generato più per il mondo che non per se stesso »163. Nel suo opuscolo su Noe e l'arca, egli così scrive : « In diluvio per arcam Noe servatae sunt reli-quiae generis humani ad seminarium reparationis et renovationis futurae »164. Egli paragona Noe a Cristo quale costruttore della Chiesa. « Quando si tratta della genealogia di nostro Signore, non si può omettere di menzionare Noe, poiché il costruttore della Chiesa lo aveva mandato innanzi come progenitore della stirpe umana, come colui che ha istituito la Chiesa nel pro­totipo »165. « Noe il giusto è il seme di tutte le cose future »166. GREGORIO NAZIANZENO chiama l'arca e tut­to ciò che vi era dentro « il seme del secondo mondo, il legno di poco conto, che contiene la salvezza sulle onde »167. Noe è il modello di Cristo, « poiché salva tutto il mondo su di un miserabile legno »168. Serven­dosi dell'immagine della scintilla, a noi già nota, Cri­sostomo, generalmente così contrario alle spiegazioni allegoriche, parla dei μυστήρια dell'arca come mo­dello esemplare delle cose future, compiutesi in Cristo.

1 6 3 De qfficiis, i, 25,121 (PL 16, 59). 1 6 4 De Noe, 5, 11 (CSEL 32, i, p. 421, 1. 2-4). Per le « reliquiae

generis humani » si pensa anche senza volerlo a ciò che già dicevamo a proposito delle reliquie dell'arca.

1115 Comment. in Lucani, 3, 48 (CSEL 32, 4, p. 135SS). - Cfr. Noè nella genealogia di Cristo in Lue 3, 26.

1M Cfr. AMBROGIO, In Psalmum 39, 6 (PL 14, 1060 A) : « Noe iustus semen futurorum». - Cfr. ancora De Noe, 1, 1 (CSEL 32, 1, p. 413, 1. ss) : « Noe, quem Dominus Deus ad renovandum semen hominum reservavit, ut esset iustitiae seminarium ».

197 Oratio 43, 70 (PG 36, 592 Β ) : κ ό σ μ ο υ δευτέρου σ π έ ρ μ α τ α ξ ύ λ ω μ ι κ ρ φ σ ω ζ ό μ ε ν α . - Orario 4. 18 (PG 35, 545 C ) : τοϋ δευτέρου κ ό σ μ ο υ π α τ ή ρ .

i e a Oratio 28, 18 (PG 36, 49 A). - Oratio 18, 17 (PG 35, 1006 Β).

914 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

« Noè è la scintilla della nostra stirpe, una scintilla in mezzo alle onde marine. Perciò l'arca non può subire naufragio, poiché imbarca, quale timoniere, il Signore di tutte le cose. La Chiesa dunque è simile all'arca, e Noè significa Cristo, e la colomba lo Spirito Santo. E come l'arca salva in mezzo alle onde coloro che sono in lei, così la Chiesa salva tutti gli erranti »169. Noè è il principio e la radice di quelli che sono nati dopo il diluvio 17°. Questa dommatica della necessità salvifica della Chiesa e di Cristo novello Noè, pervade le omelie che Boccadoro ha tenuto su Noè e l'arca m. Ma poiché ora questa salvezza viene data agli uomini nella Chiesa soltanto mediante la rigenerazione dal sacramento del battesimo, per questo i Padri greci paragonano volen­tieri il sacramento del battesimo e quindi l'arca con il seno materno (μήτρα) 1 7 2 : «L'arca di Noè divenne, nel naufragio, il seno materno della nuova vita »173. E siccome il numero di coloro che si salvarono nell'arca era di otto, e otto rappresenta il giorno della resurre­zione di Cristo, la croce e la resurrezione divengono

169 Hotnilia de Lazaro, 6, η (PG 48, 1037S). - Cfr. anche l'umilia penitenziale 7, 1 (PG 49, 336s). - Homilia 22 in Genesim (PG 53, 187 A).

1 , 0 Homilia 26 in Genesim (PG 53, 236). Noè qui viene chiamato ζύμη τις καΐ αρχή καΐ ρίζα.

1 7 1 Homiliae 22-29 '« Genesim (PG 53, 185-273)· "• Per la dottrina greca della vasca battesimale come μήτρα,

cfr. PS.-DIONIGI, Hierarchia ecclesiastica, 2, § 7 (PG 3, 396 C): μήτρα υίο&εσίας. - CRISOSTOMO, Homilia 26, I In Ioannem (PG 59, 153 B): « Pertanto ciò che è il seno materno per l'embrione, ciò procura al credente l'acqua. Nell'acqua egli viene trasformato e formato ». Cfr. H. RAHNER, Griechische Mythen, p. iiós.

173 PROCLO, Oratio 2 in S. Andream (PG 65, 824 C) : « Guarda come l'arca nel naufragio diventa seno materno della vita ». Già co­nosciamo l'espressione di una predica di BASILIO DI SELEUCIA, che chiama l'arca l'embrione e il seno gravido della creazione (PG 85, 97 C).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 915

la vera rigenerazione della nuova stirpe, al cui capo, quale nuovo Noe, c'è il Cristo 174. È ancora una volta GIOVANNI DAMASCENO che conclude e trasmette que­sta ecclesiologia riccamente immaginifica : « Noè ha salvato nell'arca le virtù seminali del secondo cosmo, e cosi è diventato il principio di una nuova stirpe, quale tipo di Cristo, che sul legno della croce ha sal­vato la nuova stirpe »175. Per accennare alla continui­tà di questa dottrina sino alla teologia bizantina, ri­cordiamo ancora una predica di MACARIO CRISOCEFALO

per l'esaltazione della croce: In mezzo al naufragio del­l'universo, l'arca rappresenta il tipo della croce; perciò salvò i semi germinali di una nuova stirpe, che ebbe inizio l'ottavo giorno, nella Pasqua del Signore, quale principio dell'eternità senza fine, che è già presente in Cristo e che fu preannunciata nel mistero dell'arca 176. Tale simbolica dell'arca come inizio prefigurativo della nuova progenie dei salvati nella Chiesa, restò viva anche presso i Padri latini. GEROLAMO parla di Noe come della « secunda radix humano generi »177. Così a suo tempo aveva detto anche ORIGENE. Noe è « quodam modo secundi rursus orbis creator »178. Cassiodoro riunisce come in un mosaico le immagini che ormai ci sono tanto familiari. Per lui la Chiesa è l'arca di Noè quale

1,4 Cfr. ASTEKIO, Sermo in Psalmum 6 (PG 40, 488 BD). - Cfr. per ciò J. DANIÉLOU, Saaamentum Futuri, 79. Del resto in ASTERIO (PG 40, 448 C) si trova anche il paragone dell'arca con il sepolcro di Cristo, in cui il Signore riposa e perciò diventa Noè, ossia άνά-παυσις, così come nella leggenda il corpo del primo Adamo ripo­sava nell'arca.

"» Homilia 4> 25 in Sabb. Sanctum (PG 96, 624 B). " · PG 150, 181 BC. "* Aduersus Iovinianum, 1, 17 (PL 23, p. 236 B). "· Homiliae in Ezechielem, 4, 8 (GCS Vili, p. 369, 1. 27).

916 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

seno materno della vita; perciò, come in un inno, egli così le parla : « Tu attraversi sicura il mare di que­sto tempo terrestre e la tremenda tempesta delle ere­sie, poiché sei simile a quell'arca di Noe che porta palesemente in sé la tua immagine. Tu attraversi il tempo seguendo una rotta senza pericoli per i credenti, senza che ti sovrasti la minaccia di un nuovo diluvio universale; e ciò che si trova al di fuori del tuo seno vitale, non può che finire in un mortale naufragio » 179. Il poema Contro Marciane, dipendente da Tertulliano, afferma che Noè fu preservato, assieme con la sua famiglia, in mezzo al mortale pericolo delle onde, per dare inizio ad una seconda generazione : « Promeruit tantis ereptus mortis ab undis et cum prole sua servatus in altera gente »180. Né la teologia della tarda latinità si è dimenticata della dottrina dell'arca quale seno ma­terno della nuova generazione in Cristo. Leggiamo in­fatti nella esposizione del gallico CIPRIANO sulla Genesi: « Arca venturisque parens servabat semina saeclis, nau­fragio secura suo »181. Anche nell'introduzione alla

178 Expositio in Psalterium, Praef. 17 (PL 70, 23 AB) : «Quidquid enim repcritur praeter vitale gremium tuum mortiferum constai esse nau-fragium ». - Cfr. per ciò H. R_AHNER, Mater Ecclesia, Einsiedeln 1944, p. 119. - Cfr. anche Expositio in Psalmum 118 (PL 70, 901 A). Expo­sitio in Psalmum 131 (PL 70, 950 B). - Il paragone tra nave (arca) e seno materno viene richiesto in latino dalla somiglianza delle parole alveus=alveo ο carena, e alvus=seno materno. Cfr. E N N O D I O , Dic-tio 13, il (CSEL 6, p. 467, 1. 7s), ove, a proposito del fonte batte­simale, vien detto : « Mater virgo sacri fontis alvus effudit ». - V I T ­TORE D I VITA, Historia 2, 50 (CSEL 7, p . 43, 1. 231): « Crispantem benedixit alveum fontis ». - In greco ά μ φ ι μ ή τ ρ ι ο ν significa il ventre della nave e il seno materno. Cfr. POLLUX, Onomastikon, i , 87 (ed. D I N D O R F , Lipsia 1824, p. 26). - Cfr. anche PG io, 777, nota 1.

1 8 0 Carmen adversus Marcionitas, III, p. 23-28 (Cor. Christ. T E R ­TULLIANO II, p. 1434).

1 8 1 Heptateuchos, Genesis 295S (CSEL 23, p. 12).

L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA 917

storia ecclesiastica dei Franchi, scritta da GREGORIO DI

TOURS, si legge: «Non dubito che quest'arca sia stata il modello della madre Chiesa; la Chiesa infatti at­traversa le onde e gli scogli di questo tempo terreno e ci salva dai mali minacciosi, portandoci nel suo seno materno e circondandoci con un pio abbraccio (mater­no gestamine fovens pio amplexu) 182.

Qui bisogna almeno accennare ad un'ultimo tratto della teologia dell'arca. Generalmente FILONE DI ALES­

SANDRIA paragona l'arca al corpo umano: την κιβωτον λέγω δε το σώμα 1 8 3 . Oppure, in un altro passo: «L'ar­ca è un simbolo del corpo umano, che attraversa ine­luttabilmente i selvaggi e furiosi semi di corruzione delle passioni »184. Questo aftievolimento della tipo­logia dell'arca in favore di un moralismo psicologico è caratteristico di Filone, e quindi anche di Ambrogio, dato che il suo opuscolo sull'arca dipende quasi esclu­sivamente da Filone e generalmente diluisce l'esem­plarità dell'arca in una antropologia moralizzante 185. Anche per lui, le dimensioni dell'arca, date da Dio a Noe, sono un richiamo all'armonia delle dimensioni del corpo umano : « In (arcae) exaedificatione descriptam humani figuram corporis » 186. Più precisamente: l'arca

182 Hist. Frane, i, 4 (PL 71, 164 B). 183 De conf. ling., 105 ( C O H N - W E N D L A N D II, p . 249, 1. 6). 184 De plantatione, 43 ( C O H N - W E N D L A N D II, p. 142, 1. 11-13).

- Quod deterius, 170 ( C O H N I, p. 296). 185 Tuttavia Ambrogio interrompe a volte il suo trattato un pò

troppo filosofico con inserzioni per cosi dire « sacramentali », dovute certamente all'influsso di Ippolito. Come esempio ricordiamo l'inno di lode alla resurrezione della carne, prefigurata dall'arca: De Noe, 13, 45 (CSEL 32, 1, p. 442S).

ise £>e N 0 E I g^ !j (CSEL 32, 1, p. 422, 1. is). - Cfr. Exameron, 6, 9, 72 (CSEL 32, 1, p. 258, 1. 23S): «Denique etiam in Genesi arca Noe ad fabricam humani corporis ordinatur ».

918 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

è il simbolo del principale animae, άεΙΓήγεμονικόν, del centro più intimo del cuore umano; è quindi il simbolo dell'isolamento morale della persona umana, che, a somiglianza dell'arca, manovra in mezzo al di­luvio del pericolo morale. L'arca è il « principale cordis vel animae ... foris diluvium, foris periculum »187. Ma proprio qui si impone anche l'interpretazione « sacra­mentale » della tipologia dell'arca. E stato soprattutto AGOSTINO ad accettare la dottrina di Ambrogio del­l'arca come simbolo del corpo umano, elevandolo però al corpo del Verbo Incarnato 188. L'arca è il simbolo del corpo umano salvifico di Cristo. Anche in questa suprema identificazione di Chiesa e Corpo di Cristo, possiamo applicare all'ecclesiologia dei Padri la famosa espressione di Tertulliano : « Caro salutis est cardo » 189.

Soltanto se supponiamo questa identificazione tipo­logica tra arca e corpo di Cristo, comprendiamo me­glio una dottrina immediatamente connessa con la devozione diffusa sin dai tempi di Giustino, Ireneo e Ippolito, e quindi popolare nell'antica tradizione del-

18 ' De Noe, i l , 38 (CSEL 32, 1, p. 437, 1. 5-12). 188 De Civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 116,1. 25-p. 117, 1. 1):

« Mensurae arcae significant corpus humanum, in cuius ventate ad homines praenuntiatus est venturus et venit». - Contra Faustum, 12, 14 (CSEL 25, p. 344, 1. 4 ) : Le dimensioni dell'arca raffigurano il corpo di Cristo (quia in corpore humano Christus adparuit). - Cfr. AGOSTINO, Epistola 187, 38 (CSEL 57, ρ. 115, l. 20s): il corpo umano è tempio di Dio, t quod templum quamdiu sicut arca Noe in hoc saeculo fluctuat, fit quod in psalmo scriptum est: Dominus diluvium inhabitat». - GREGORIO DI ELVIRA, De Noe (WILMART 2, p. 64S):

l'arca è « corpus Christi integrum ». - La medesima teologia cristo-centrica della simbolica dell'arca ancora in BEDA, Hexaemeron, 2, (PL 91, 88s).

1 , 8 De resurrectione mortuorum, 8, 2 (Cor. Chris., TERTUIXIANO Π, ρ. 931, 1. 6s).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 919

l'Asia Minore: la devozione alla ferita del costato tra­fitto del Crocifisso, considerata come fonte della vita della Chiesa, che di là promana. Ne abbiamo già par­lato nel capitolo sulla fonte promanante dal corpo di Cristo. Quanto le due linee siano vicine lo vediamo in IRENEO, il quale dice a proposito della Chiesa: «Lo spirito Santo ha racchiuso la fede in un vaso prezio­sissimo e conserva giovanile il vaso, in cui si trova la fede. Nella Chiesa si trova la comunità con Cristo, ossia lo Spirito Santo, l'arca incorruttibile, la scala ce­leste per andare verso Dio ... Dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio là è anche la Chiesa ... Coloro però che non accolgono lo Spirito della verità, non ricevono la zampillante fonte di acqua che promana dal corpo di Cristo » 19°. L'acqua viva della grazia cola dal fianco di colui che è morto sulla croce: ciò porta involontariamente l'uo­mo pio dei primi tempi a pensare alla porta dell'arca. Nel più recente studio su Ippolito è stata attirata la attenzione sull'importanza che ha in quella teologia il mistero del sangue e dell'acqua sgorganti dal costato di Cristo 191. Ancora una volta, alla fine della teologia greca, GIOVANNI DAMASCENO, nella sua profonda pre­dica sul Sabato Santo, riassume il mistero del Verbo Eterno addormentato sulla croce; egli si serve dell'im­magine dell'arca che ci porta a pensare alla leggenda, dommaticamente importante, di Adamo morto rac­chiuso nell'arca, ed allo stesso tempo richiama alla men-

l'° Adv. haer., 3, 24, 1 (HARVEY Π, p. 131S). - La lettura di Harvey « arrha incorruptelae » deve essere certamente mutata in « arca ».

1 9 1 Nell'edizione critica dell'omelia pasquale falsamente attribui­ta a Ippolito (Sources chrétiennes, 27, Parigi 1950, p. 99, nota 2), P. NAUTDJ raccoglie i testi delle fonti dagli scritti autentici di Ippolito.

920 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

te l'antiteticità del redentore morto e salvatore : «Noe era rinchiuso nell'arca e così salvò il seme per il secondo mondo e divenne la sorgente di una nuova generazio­ne: proprio in ciò egli è divenuto il tipo del Cristo sepolto, che lava i peccati con il sangue e con l'acqua, che colano dal suo costato trafitto, e che quindi, me­diante il legno della croce, ha redento tutta la nostra stirpe ed è diventato la guida verso una nuova vita e verso una nuova forma di esistenza »192. Questa spie­gazione della porta situata sulla fiancata dell'arca fu portata a conoscenza della pietà occidentale attraverso la cristologia di Agostino e da quel tempo fa parte degli elementi originari della devozione patristica al cuore trafitto del Signore. Nella Città di Dio AGOSTI­

NO così spiega le parole di Gen 6,16: « L'arca aveva sul fianco una porta: ciò significa palesemente quella fe­rita, che la lancia aprì nel costato del Crocifisso; at­traverso questa porta, infatti, entrano tutti coloro che vengono a Cristo, poiché da essa sono sgorgati i sa­cramenti, mediante i quali i fedeli sono iniziati ai mi­steri »193. A questo punto Agostino si richiama espli­citamente alla dottrina, che aveva già esposto nell'ope­ra contro il manicheo Fausto. L'arca si restringe in alto, egli dice, sino a misurare un solo piede, « così come la Chiesa è radunata nell'unità del Corpo di Cristo. Che sul fianco dell'arca sia stata praticata una porta d'ingresso significa che nessuno può entrare vi­sibilmente nella Chiesa senza il sacramento della re­missione dei peccati (battesimo), il quale sgorgò dal

l" Homilia in Sabbatum Sanctum, 25 (PG 96, 624 BC). "» De Ciuitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 117, 1. 11-14).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 921

costato squarciato di Cristo »194. Le parole che forse esercitarono il maggior influsso nella storia della devo­zione alla ferita del costato del Signore si trovano nelle prediche di Agostino sul vangelo di Giovanni; esse ve­dono il mistero nella immagine di Adamo dormente e della porta praticata sulla fiancata dell'arca : « Bisogna aprire la porta della vita, da cui scorrono i sacramenti della Chiesa, senza i quali nessuno va alla vita vera ... Abbiamo un'immagine di ciò nel fatto che a Noè fu ordinato di praticare una porta sulla fiancata dell'arca, attraverso la quale dovevano entrare gli animali non destinati a perire; in ciò veniva prefigurata la Chie­sa »195. Il vescovo AVITO DI VIENNE verso l'inizio del secolo VI, imita in questo punto il maestro Agostino. In una predica sulla passione del Signore prende lo spunto dalle parole del Salmo 131,8 {Surge, Domine, in requiem tuam, tu et arca sanctificationis tuaé), le mescola stranamente con le parole riguardanti l'arca approdata in cima al monte e le applica al corpo del Redentore crocifisso ; poi così continua : « Ancor oggi riconosco tutto ciò in nostro Signore, il quale attraverso la morte di croce giunge al suo riposo, lui e l'arca della sua san­tificazione, ossia la sua carne. Io riconosco, dico, sul fianco di quest'arca il nostro ingresso in quel luogo ove la fonte dell'acqua viva si nascose nel corpo del mo­rente »196. Noè è Cristo. Perciò, nel suo poema sul diluvio universale, Avito, parlando del patriarca, af­ferma : « Tu sei il secondo progenitore proveniente dalla stirpe annientata. Per mezzo della tua paternità,

191 Contra Faustum, 12, 16 (CSEL 25, p. 345, 1. 28- p. 346, 1. 1). 195 Tractatus in Ioannem, 120, 2 (PL 35, 1935 AB). 198 Sermo 2 de Passione Domini (MG Auct. antiqu. VI, 2, p.

106, 1. 2-4).

922 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dopo il primo progenitore, il mondo viene nuova­mente popolato » 197. E nel medesimo poema : « Il mon­do è stato salvato dalle onde mediante il legno vivifi­cante della croce ». Il Liber de promissionibus, che non appartiene a Prospero di Aquitania, bensì ad un disce­polo cartaginese di Agostino, dice a proposito del Re­dentore crocifisso : « Appeso al legno della croce, egli emise il suo sangue prezioso dalla ferita del costato come dalla porta dell'arca » 198. Per dimostrare l'influs­so esercitato da Agostino sulla pietà del primo medio­evo, accenniamo ancora all'esposizione della tipologia dell'arca contenuta nel commento di BEDA alla Genesi: « È giusto che Noe venga descritto nell'atto di prati­care una porta sul fianco dell'arca; questa infatti indi­ca chiaramente la porta che venne aperta dalla lancia del soldato nel costato del Signore e Redentore pen­dente dalla croce »199. Ancor all'inizio del secolo X ascoltiamo nel commento di REMIGIO DI AUXERRB alla Genesi l'antica spiegazione escatologica dell'arca e della porta : « Misticamente Noe significa l'uomo giusto e anche, secondo il nome e secondo le opere, il perfetto, il Cristo. Il suo nome infatti viene interpretato come riposo, poiché alla fine delle fatiche di questo mondo, Cristo condurrà gli eletti al riposo eterno. La porta sulla fiancata raffigura la ferita del costato di Cristo, da cui è venuta la Chiesa con i suoi sacramenti del sangue e dell'acqua » 200. Nella predica sulla passione, composta da un benedettino di nome Drogone (113 7),

1,7 Carmen IV de diluvio mandi, v. 257S (MG Auct. Antìqu. VI, 2, P- 245)·

198 Liber de promissionibus, 1, 7, 11 (PL 51, 739 BC). 199 Hexaemeron, 2 (PL 91, 90 A). ,M Comment. in Genesim, 6, io (PL 131, 75 BC).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 923

questa bella teologia simbolica si rivolge con una pre­ghiera a Cristo : « Aprici, ο Signore, aprici la porta del tuo costato, ossia della tua arca. Tu sei il vero Noè, l'unico che Dio, tuo Padre, trovò giusto al suo cospetto. Facci penetrare in te attraverso la porta del tuo costato, che è la fede della tua Chiesa »201.

1. L'IMPORTANZA DELL'ARCA COME NAVE DELLA SALVEZZA NELLA STORIA DEL DOGMA

Di fronte alla pia interiorità della devozione alla ferita del costato del Signore sta l'applicazione che della simbolica dell'arca viene fatta nella storia del dogma e nella simbolica ecclesiale. La dottrina del­l'arca come simbolo della Chiesa una ed unica, nella quale soltanto l'uomo raggiunge la salvezza definitiva, ha acquistato via via importanza nel corso dell'antica storia cristiana del dogma. Come avvenne per i sim­boli della nave di Pietro e della tavola della penitenza, cosi anche l'esegesi allegorica dei racconti della Genesi riguardanti l'albero e il viaggio dell'arca ha esercitato un profondo influsso sulla formazione delle convinzio­ni dommatiche riguardanti l'essenza e il destino della Chiesa. Realtà e immagine, qui come altrove, sono strettamente connesse in un preciso rapporto: non c'è

"» Sermo de Passione Dominka (PL 166, p. 1527 BC). - Cfr. anche PL 184, p. 753-55. - Per gli inizi della devozione del primo medioevo al cuore di Gesù, che si forma da questo simbolo della porta dell'arca, cfr. J. LECLERCQ, Le Sacré-Coeur darti la tradition bé-nédktine au moyen~age, in Cor lesti, Commentationes in Litteras Ency-clkas Pii XII Haurietis aquas, Roma 1959, v. 2, p. 7-10. - IDEM, Dro-gon et S. Bernard, in Revue Bénédktine 63 (1943) p. 124-128.

924 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

dubbio infatti che se anteriormente alla formazione di una immagine c'è sempre una convinzione dommatica, che sceglie appunto l'immagine appropriata, è anche vero che a volte, a causa di un allegorismo eccessivo, l'immagine ha aperto la via a spiegazioni non sempre giustificabili. E così che l'arca esercita un ruolo deter­minante nella discussione teologica sul peccato in seno alla Chiesa, sulla possibilità di salvezza al di fuori della Chiesa e inoltre nella questione della validità del bat­tesimo degli eretici. Queste questioni sono strettamente connesse tra loro: la Chiesa è una Chiesa dei peccatori, in linguaggio simbolico, è un'arca, che accoglie anche animali immondi e selvatici, ed è allo stesso tempo la unica Chiesa dei salvati ai quali la grazia della redenzio­ne viene elargita soltanto all'interno di essa. La solu­zione di questa aporia fu cercata già a suo tempo da AGOSTINO, là dove paragona la Chiesa all'arca, che è ancora in viaggio e tuttavia è già arrivata sul monte dell'eternità 202. E risaputo che il problema dell'appar­tenenza alla Chiesa restò sempre vivo sino al dibattito del Vaticano I proprio per via del simbolo dell'arca. Nei progetti della dottrina ecclesiologica che furono

202 De Ciuitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 11-18). - La dottrina di Agostino passa chiaramente da un atteggiamento rigo­ristico ad una grandiosa soluzione del problema. Nel Cantra Fatistum, 12, 20 (CSEL 25, p. 349,1. 2-5) sviluppa la dottrina secondo cui molti che furono battezzati al di fuori dell'arca, in quanto manca loro al­meno il ramoscello di ulivo, ritrovano poi la via del ritorno nell'arca, come avvenne alla colomba. Giungono cioè ad appartenere all'unico Noe, alla famiglia di Cristo, che in ultima analisi consiste in quel­l'amore, che la teologia odierna chiamerebbe il votum baptismi. Lo sguardo di Agostino, quando paragona la città di Dio con l'arca, va sempre verso la fine del pellegrinaggio : « La nostra città di Dio, che è straniera in questo mondo come in un diluvio universale»: De civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 117, 1. 24S).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 925

accantonati nel 1870, e che in seguito non vennero più ripresi, si afferma esplicitamente : « Non può rice­vere la giustificazione e la vita eterna colui che, separato per propria colpa dall'unità della fede e dalla comunità della Chiesa, si allontana dalla vita. Se uno non è in quest'arca, perirà nella tempesta del diluvio »203. Si tratta della medesima dottrina enunciata già da Pio IX nel 1854: « È verità di fede che al di fuori della Chiesa apostolica romana nessuno può essere salvato, poiché essa è la sola arca della salvezza e chiunque non entra in essa, perisce nel diluvio. Dobbiamo tenere però con pari certezza che chiunque viva in una ignoranza in­vincibile della vera religione, non andrà soggetto a questa colpa dinanzi al Signore » 204. Il simbolo della arca diventa così l'immagine della proposizione : « Fuori della Chiesa, non c'è salvezza » 205. Qui possiamo solo accennare alle linee principali di questo complesso pro­blema della storia del domma. Si tratta di sapere come mai il semplice paragone della Chiesa con l'arca, così caro alle catechesi battesimali del periodo primitivo, abbia prodotto un'impressione così profonda, che i mi­gliori maestri della teologia, cominciando da Origene 206

203 Coli. Lac, 7, 569· 204 Allocutio « Singultiti quadam » del 9 Dicembre 1854: Denz.

1647. - Per l'esposizione dommatica di questo problema, cfr. K. RAHNER. L'appartenenza alla Chiesa, in Saggi sulla Chiesa, ediz. Pao-line, R o m a 1966, p. 6ass.

205 Cfr. per ciò J. BEUMER, Extra Ecclesiam nulla salus, in Lexikon j'ùr Theologie una Kirche, Friburgo 1959, 2 ed., v. 3, col. 132OS. Qui si dice effettivamente: « Il principio si rifa all'immagine dell'arca di Noe ».

209 Homilia injosue 3, 4 (GCS ORIGENE Vili, p. 304-306); Homilia 6, 4 (p. 320). - Cfr. per ciò H. U R S VON BALTHASAR, Sponsa Verbi, Einsiedeln 1961, p. 225-227.

926 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

sino alla Chiesa papale del medioevo 207, non si siano potuti accordare sulla retta interpretazione dommatica del simbolo.

Diamo anzitutto uno sguardo al problema della Chiesa dei peccatori. È noto che la storia letteraria dell'arca come nave della salvezza inizia con le parole di TERTULLIANO, che furono scritte sotto le prime im­pressioni della problematica montanista sulla santità della Chiesa : « Facciamo attenzione che, per rimanere fedeli all'immagine dell'arca, non permettiamo che nella Chie­sa ci siano anche dei corvi, dei nibbi, dei lupi, dei cani e dei serpenti. Se l'arca è il suo prototipo, allora al suo interno non ci sono degli idolatri. Nessun ani­male dell'arca è un tipo dell'idolatria. E ciò che non c'era nell'arca, non deve esserci neanche nella Chiesa » 208. Come si vede la speculazione dommatica sulla possi­bilità che nella Chiesa ci siano dei peccatori si serve dell'immagine degli animali impuri e selvatici salvati nell'arca sia per dimostrare l'impossibilità di mettere insieme Chiesa e idolatri, e sia, in un senso contrario, per ammettere la possibilità di membri peccatori della Chiesa finché questa è in cammino. Poco tempo dopo udiamo in IPPOLITO DI ROMA che papa Callisto si serve

so? Nello scisma papale e al Concilio del 1139, BERNARDO DI CHIARA VALLE parlò in tono conciliante a Pietro di Pisa : « Noi vo­gliamo entrare tutti in quest'arca e abitarvi con sicurezza ». Cfr. HEFELE, Conciliengeschichte, Friburgo 1886, v. 5, p. 440. - Sono note le parole della bolla « Unam Sanctam » di papa Bonifacio Vili (Denz. 468) : « Ai tempi del diluvio ci fu infatti soltanto un'arca, quella di Noe, che era immagine esemplare dell'unica Chiesa, che si restringeva in alto sino alla dimensione di un solo piede ed aveva soltanto un Noe come pilota e timoniere; fuori di questa Chiesa, cosi leggiamo, ogni essere sulla terra fu annientato ».

208 De idololatria, 24 (CSEL 20, p. 58, 1. 4-8). - Per il significato di questo passo cfr. F. J. DÒLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 275.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 927

delle medesime immagini per la questione della riam­missione dei settari: « Anche la parabola dell'erba cat­tiva, egli dice, si deve riferire a ciò [alla possibilità di membri peccatori all'interno della Chiesa], Lascia pure che la gramigna cresca assieme al frumento, ossia i peccatori nella Chiesa. Si, egli diceva, anche l'arca di Noe è una similitudine per la Chiesa; in essa si trovavano cani e lupi e corvi, tutto il puro e l'impuro, e così deve essere nella Chiesa » 209. Anche Ippolito, nella sua esposizione positiva della fede, accetta la tradizione ri­guardante Noe propria della teologia giudeo-cristiana e di Ireneo, e, come vedemmo già, richiama l'attenzio­ne sul fatto che Noè solo con i suoi fu salvato : « Noè era sommamente pio e amico di Dio, e perciò egli solo con la moglie e i figli e le loro mogli sfuggì al di­luvio, essendo stato salvato in un'arca, le cui dimensio­ni e i cui resti sono mostrati ancor oggi sul monte detto Ararat » 210. Nel III secolo la medesima proble­matica si ripresenta contro la dottrina rigorista di No-vaziano riguardante la santità della Chiesa. Nel tratta-tello Contro Novaziano, attribuito falsamente a Cipria­no, l'autore spiega : « In quell'arca, che ai tempi di Noè fu costruita dalla divina Provvidenza prima del diluvio, erano racchiusi non soltanto gli animali puri,

20i Elenchos 9, 12 (GCS IPPOLITO III, 250, 1. 4-7) : per l'interpreta­zione di questo testo e il suo significato per la storia della penitenza del secolo III, cfr. E CASPAR, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1930, v. I, p. 24S. - A. D'ALÉS, La théologie de S. Hippolyte, Parigi 1906, p. 217-227. - K. VON PSEYSWG, in Zeitschrift /tir katholische Théologie 43 (I9I9) P- 358-362. - B. POSCHMANN, Poenitentia secunda, Bonn 1940, p. 342-367. - J. GROTZ, Die Entwicklung des Bussstufenwesens in der vornicànischen Kirche, Friburgo 1955, p. 392-396. - A. HAMEL. Kirche bei Hippolyt von Rom, Gutersloh 1951, p. 77-81.

210 Elenchos, io, 30 (GCS IH, p. 286).

928 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

ma anche gli impuri... Soltanto quest'arca, assieme con quelli che vi erano racchiusi dentro, fu salvata in mezzo all'acqua. I rimanenti, invece, che non vennero trovati al suo interno, affogarono a causa del diluvio » 211. Questa divisione degli animi all'interno dell'arca che naviga ancora attraverso il mare del mondo, si estende sino ai figli di Noe, come possiamo leggere nella Di­dascalia siriana e quindi nelle Constitutiones Apostolicae: « Poiché nell'arca di Noe sono stati salvati e benedetti due dei suoi figli, mentre Cam, figlio di Noè, non lo fu, ma la sua posteriorità fu maledetta » 212. L'immagine degli animali puri e impuri ha esercitato un ruolo anche nella teologia del IV secolo. GEROLAMO, ad esem­pio, che pure aveva scritto con precisione dommatica: « Si quis in Noe arca non fuerit, perit regnante dilu­vio » 213, tuttavia nella polemica con Gioviniano parla dell'arca come tipo della Chiesa in cui vivono i vari animali 214. Il medesimo problema tormenta lo spirito di Agostino. Nel famoso capitolo della Città di Dio egli trova la soluzione nella struttura escatologica della esistenza della Chiesa 215. Nelle prediche sul vangelo di Giovanni così parla ai discepoli: « Se l'arca prefigura

211 Ad Novatianum, 2 (CSEL 3, p. ss, 1. 1-5). 212 Didaskalia, 2, 14, 9 (FUNK, I, p. 52, 1. 5s). - Constitutiones

Apostolicae, z, 14, 8 (FUNK 1, p. 53, 1. I2s). «3 Epistola 15, 2 (CSEL 54, p. 64, 1. 3s). 214 Adversus Iovinianum, 1, 17 (PL 23, p. 236 B ) ; 2, 22 (PL 23,

p. 317 A). - Cfr. il problema della riammissione di coloro che erano stati battezzati come Ariani: Adversus Luciferianos, 22 (PL 23, p. 176 A), con rinvio al mistero del numero otto in 1 Piet 3, 20.

2 i5 De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 14-16): «I popoli hanno già riempito la Chiesa, puri e impuri, sino alla divisio­ne finale, ed hanno preso posto nella ben strutturata compagine della sua unità». - Cfr. anche Centra Faustum, 12, 15 (CSEL 25, p. 345, 1. 9) : « in Ecclesiac sacramentis et boni et mali versantur ».

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 929

la Chiesa, voi vedete bene che nel diluvio di questo mondo la Chiesa contiene ambedue i generi, i corvi e i colombi »216. Ed in una predica sul Salmo 103 impiega l'immagine dei diversi animali dell'arca per vedervi una prefigurazione di tutti i popoli, che verran­no salvati nell'arca per il tempo finale. In tal modo il problema della simbolica degli animali impuri nel­l'arca viene affievolito un poco218 e PROSPERO DI

AQUITANIA potrà dire a proposito del medesimo ver­setto del Salmo 103,16: gli animali dell'arca «rappre­sentano tutti i popoli che vengono chiamati all'unità nella Chiesa » 219.

Il simbolo dell'arca riveste grande importanza anche in un altro problema della dommatica della Chiesa

216 Tract. in Ioannem, 6, 2 (PL 35, 1426 A). "' Enarrationes in Psalmum 103, Sermo 3, 2 (PL 37, 1358). 216 Detto più chiaramente, secondo una soluzione non rigori­

stica, come quella prospettata da Agostino nell'opera Centra Fau-stum. (cfr. sopra nota 202). - Un'altra soluzione, pedagogico-salvifica, del problema dei peccatori nella Chiesa, è accennata da O S I C E N E : gli animali selvatici potrebbero essere stati addomesticati un poco alla volta nell'arca: « Quorum ferocitatis saevitiam nec fìdei dulcedo mollivit » (GCS ORIGENE VI, ρ. 30, l. 34).

2 1 9 Espostilo super Psalmum 103, 11 (PL 51, 291 C). - N o n c'è da meravigliarsi che GREGORIO DI ELVIRA, da compagno di combat­

timento di Lucifero di Cagliari, cerchi di dimostrare il suo rigori­smo anche con il simbolo dell'arca. Cfr. Tractatus Origenis, 12 (ed. BATIFFOL, p . 139, 1. 2is). - De arca Noe (ed. W I L M A R T , 1. 88-91):

« Cosi come nessuno potè sfuggire al diluvio delle acque, ad ecce­zione di chi era nell'arca, così nel giorno del giudizio divino nessuno sfuggirà, eccetto colui che è albergato dall'arca della Chiesa cattolica ». Ed alla fine del trattato ammonisce i cristiani (WILMART, 1. 211-215): « Vedete dunque, cari fratelli, che nella costruzione di quell'arca tutto fu detto in previsione del sacramento della Chiesa santissima, e l 'uomo non può sfuggire altrimenti al naufragio di tutto il mondo, così co­me nel diluvio nessuno scampò all'infuori di quelli che l'arca albergava in se stessa». - Cfr. la dottrina di Agostino anche in BEDA (PL 91, 91 C D ,· 223 D) .

10 — L'ecclesiologia dei Padri

930 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

antica: nella storia della penitenza del III secolo e nel problema ad essa connesso della validità del battesimo amministrato dagli eretici. Quanto sia importante la storia del sacramento della penitenza per la spiegazio­ne iconografica delle immagini dell'arca nella Chiesa antica, ce lo ha mostrato JOSEPH FINK

220. L'argomen­tazione della maggior parte dei teologi del III secolo quanto a questo problema è molto semplice: Se l'arca significa la Chiesa, allora chiunque ne è fuori non verrà salvato, e perciò non si può neanche amministrare va­lidamente il battesimo al di fuori dell'arca. Noi ci ricordiamo della predica piuttosto ingenua sulla pe­ce dell'arca, tenuta dal vescovo donatista che cercava un fondamento biblico alla sua dottrina dell'invalidità del battesimo degli eretici : « Eandem arcam Noe ideo bituminatam intrinsecus ne aquam emitteret suam; ideo autem edam extrinsecus, ne admitteret alienam » 221. Egli avrebbe potuto richiamarsi anche a CIPRIANO, la cui dottrina dell'invalidità del battesimo degli eretici è nota. Così, ad esempio, nella lettera 74, ove l'arca è additata come una personificazione del mistero del­l'unità ecclesiale: «Poiché, come in quel battesimo del mondo, con il quale fu lavata l'antica peccaminosità, chi non era nell'arca di Noe neanche potè essere sal­vato mediante l'acqua, così anche oggi non può essere salvato mediante il battesimo, chi non è battezzato dentro la Chiesa, la quale, a somiglianza dell'unica arca, è fondata sull'unità del Signore » 222. Le parole di Ci-

220 J. FINK, Noe der Gerechte in der fruhchristlichen Kunst, Miiri-ster-Colonia 1955, P· 70-85.

221 AGOSTINO, De unitale Ecclesiae contra Donatisias, s, 9 (PL 43, 397 C) .

«2 Epistola 74, 11 (CSEL 3, 1, p. 809, 1. 10-14).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 931

priano, non più dimenticate fino ad oggi, dimostrano la fruttuosità, ma anche la pericolosità di una teologia dell'immagine che chiede troppo all'immagine : « Habere non potest Deum patrem, qui ecclesiam non habet ma-trem. Si potuit evadere quisquam qui extra arcam Noe fuit, et qui extra ecclesiam foris fuerit evadit » 223. Per la conoscenza di questa teologia battesimale, che era così scottante quasi esclusivamente nella Chiesa latina occidentale, ha una particolare importanza la lettera, che il vescovo Firmiliano scrisse a CIPRIANO dall'Asia Minore: «Poiché l'arca di Noè non era altro che un mistero rispetto alla Chiesa di Cristo e poiché a suo tempo l'arca ha salvato soltanto coloro che si trovano all'interno di essa, mentre tutti coloro che ne erano fuori annegarono, ci viene insegnato chiaramente che dobbiamo fare ogni sforzo per l'unità della Chiesa » 224. Ora questa unità viene data soltanto nel bagno unico e salvifico del battesimo. Nella difesa dell'eresia ariana del IV secolo ritorna la medesima argomentazione, ma semplificata. Il partito del vescovo LUCIFERO DI CA­

GLIARI, a cui apparteneva anche Gregorio di Elvira, non è d'accordo con la politica dommatica canonica, ap­parentemente troppo rinunciataria, di papa Liberio e degli uomini dell'attempato Atanasio. Questo partito degli oltranzisti luciferiani, per giustificare il proprio rigorismo, si richiama al simbolo dell'arca. Lucifero

223 De untiate Ecclesiae, 6 (CSEL 3, ι, ρ. 214, 1. 23-25). *2* Conservato nella trasmissione latina tra le lettere di Cipriano,

come Epistola 75, 15 (CSEL 3, 1, p. 820, 1. 13-23). - Cfr. anche Epi­stola 69, 2 (CSEL 3, 1, p. 751, 1. 10-18). - Sull'influsso dell'immagine dell'unica arca di Noè sulla dommatica nella polemica sul battesimo degli eretici cfr. E. ERNST, Die Stellung der romischen Kirche zur Ket-zertauffrage, in Zeitschrift fiir katholische Tlteologie 29 (1905) p. 81 ; p. 276.

932 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

grida agli eretici: « Ut enim illi positi extra arcarti sai-vari non potuerunt, ita nec vos, sed sic sitis interituri, nisi credentes in unicum Dei filium. eius in sancta Ec­clesia fueritis commorantes nobiscum » 225. Richiaman­dosi a Cipriano, FULGENZIO DI RUSPE tratta dello stesso problema: l'eretico battezzato validamente, il quale non si trova nella Chiesa visibile, appartiene a coloro che annegano fuori della Chiesa. « L'acqua uc­cide, mentre solleva verso il cielo tutti coloro che essa trova nell'arca. L'acqua solleva l'arca in alto verso il cie­lo, ma ciò che si trova al di fuori, lo inghiottisce e lo uccide » 226. Ci voleva, lo diciamo ancora una volta, il ge­nio di un AGOSTINO, che sapesse concordare la simulta­neità dell'esistenza terrena della Chiesa con il suo approdo escatologico nel porto. Chiunque è stato battezzato va­lidamente, è « dentro » ; e viceversa, ci sono molti che sembrano stare nella Chiesa, ma in realtà ne sono già fuori 227. Questa divisione degli spiriti diventerà palese soltanto il giorno dell'approdo, anche se essa si attua già « dentro », in ogni momento dell'esistenza terrena dell'arca. Richiamandosi alla lettera 73 di Cipriano, AGOSTINO, nel suo trattato sul battesimo contro i Do­natisti, così scrive con la sua inimitabile densità di con­cetti : « Eadem quippe arcae unitas eos salvos fecit, in qua nemo nisi per aquam salvatus est... Si non per

225 De s. Athanasio, 2, 18 (CSEL 14, p. 181, 1. 6-10). - La replica di Gerolamo è consapevole della difficoltà del problema : « Iste scru-pulus multos titillat »: Dialogus adversus Luciferianos, 21 (PL 23, 175 D).

226 De remissione peccatorum, i, 20; 21 (PL 65, p. 543S). Cfr. anche ILARIO, Tractatus in Psalmum 146, 12 (PL 9, p. 874 B). - GEROLAMO, Epistola 22, 38 (CSEL 54, p. 204). - GAUDENZIO DI BRESCIA, Sermo 8 (CSEL 68, p. 74, 1. 4-8).

227 De imitate Ecclesiae contra Donatistas, 5, 9 (PL 43, 397 BD). - Breviculus collationis cum Donatistis, 9, 16 (PL 43, 633 AB).

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 933

aquam, quomodo in arca? Si non in arca, quomodo in ecclesia? Si autem in ecclesia, utique in arca: et si in arca, utique per aquam » 228.

Terminiamo qui l'indagine sulla tipologia dell'arca nei confronti di Cristo e della Chiesa. Ciò che ora segue, meriterebbe d'essere attentamente considerato: si tratta infatti della sopravvivenza di tale dottrina nel primo medioevo, a partire da ISIDORO DI SIVIGLIA229

sino al trattato De arca Noe di UGO DI S. VITTORE 230.

Anche in questo caso si vedrebbe che, con la fine del XII secolo nella teologia occidentale muore la capacità di comprendere la teologia simbolica patristica, che non trova più posto nella scolastica nascente. Molto più ricchi sono i cinque secoli della ecclesiologia dei carolingi e dei primi benedettini, che attinsero a piene mani nei tesori patristici, raccolti da ISIDORO DI SIVI­

GLIA. In essa, la proposizione fondamentale della tipo­logia dell'arca è sempre l'espressione di Isidoro: «Ma Noe, in tutto ciò che egli è e compie, rappresenta sol­tanto Cristo » 231. « Noe significa quiete e in ciò egli è l'immagine esemplare del Signore, nella cui Chiesa tro­vano la quiete coloro che vengono salvati dal diluvio di questo mondo come in un'arca » 232. Leggiamo an­cora in Ugo di S. Vittore: «La Chiesa è l'arca che l'ultimo Noe, ossia nostro Signor Gesù Cristo, guida

228 De baptismo cantra Donatistas, 5, 28, 39 (PL 43, 196 C) . 229 Cfr. soprattutto le sue Quaestiones in Vetus Testamentum, in

Genesim 7 (PL 83, 229-235). 230 De arca Noe Libri IX (PL 176, 617-681). Ivi soprattutto la

sezione De arca Noe morali, i, 4 (PL 176, 629-634). - H. DE LUBAC, Exégèse medievale, Parigi 1961, v. 2, p. 317- 328 (vers. ital., R o m a 1962).

231 PL 83, 229. 232 PL 83, 102 A.

934 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

come un timoniere e conduce al porto attraverso le onde di questa vita; egli la riconduce mediante se stesso ed a se stesso » 233. La dottrina più brillante e più indi­pendente della tipologia dell'arca si trova nella esposi­zione della Genesi 234 e nello Hexaemeron 23s di BEDA VENERABILE. Anche qui l'affermazione fondamentale è questa: «Ma Noè raffigura in tutto Cristo che ci re­dime nel legno e nell'acqua, ossia mediante la croce e il battesimo » 236. L'arca della Chiesa è l'unica salvezza tra i due giudizi divini, quello dell'acqua del diluvio e quello del fuoco del giudizio finale, tra il blu e il rosso dell'arcobaleno 237. Con una spiegazione svinco­lata dalla tipologia di Origene 2S8 e dalla sua ricca al-legoresi delle dimensioni dell'arca e della loro riduzione all'unica dimensione del corpo umano di Cristo, Beda riprende e arricchisce la dottrina dei Padri, distinguen­do accuratamente tra la spiegazione escatologica e quella sacramentale ecclesiologica dei misteri dell'arca 239. Nello sfondo della sua dottrina brilla un'immagine inte­riore e profondamente pensata della Chiesa. Poco pri­ma dell'opera teologica di Beda, l'anglosassone Caed-mon240, un figlio di contadini, aveva cantato le sue

»»» PL 176, 629 D . «4 In Cenesim, 5-8 (PL 91, 221-226). "5 Hexaemeron, 2 (PL 91, 85-106). »»· PL 91, 222 A. 237 PL 91, 110B. ·"· PL 91, p . 109 C D ; PL 91, 92 A. ,M PL 91, 86 B C . - La stessa teologia ecclesiologica dell'arca è

espressa da BEDA brevemente e chiaramente in una delle sue omelie: Homitia i, 14 (Cor. Chris. 122, p. 100, 1. I59ss).

240 Resta ancora a vedersi se la Vita di Noè, trasmessa tra le poe­sie di Caedmon, sia veramente sua. La poesia sull'arca di Noè , ad ogni modo, è una ragguardevole testimonianza della permanenza e del cambiamento dell'allegoresi patristica. Cfr. per ciò C. W. GREIN, Dichtungen der Angelsachsen, Heidelberg 1930, 2 ed.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 935

rozze allitterazioni nella spiegazione della Genesi; e nella poetica merovingia del VII secolo si incontrano gli aspri versi su Noè e sull'arca, che attestano il cri-stocentrismo di tutta la dottrina simbolica di quei tempi:

« Noe iustus Dominus arcam iussit fieri. Arcae per diluvium guberantor quis fuit? Benedictus Dominus Christus Dei filius » 241.

L'inizio e la coscienza della teologia carolingia sono caratterizzati dall'introduzione al primo libro dei Libri Carolini, nei quali Carlo Magno è lodato come pilota dell'arca, che è la nave della Chiesa 242. Nelle sue do­mande e risposte sulla Genesi, ALCtnNO, servendosi della mediazione di Beda, presenta alquanto scolasticamente l'eredità patristica e anche nelle sue poesie giunge a parlare di Noe come padre della nuova stirpe e come riposo per il mondo, sempre secondo il pensiero ago­stiniano 243. Bisognerebbe dire la stessa cosa anche per RABANO MAURO 2 4 4 , TEODULFO DI ORLEANS 2 4 5 , ER-

MENRICO DI EIXWANGEN 246 e altri poeti carolingi. La

lil Ritmo Merovingio 25, v. 13-18 (MG Poetae Latini IV, 2, p. 649).

z4* Cfr. la traduzione tedesca in HEFELE, Conciliengeschkhte, v. 3, P- 699.

a4a Interrogationes et responsione* in Genesim, 101-137 (PL 100, p. 527-532)· - Carmina, 69, v. 45-48 (MG Poet. Lat. I, p. 289).

!" Comment. in Genesim, 2, 6 (PL 107, 515-18). - Una poesia di RASANO SU Noè: cfr. in MG Poet. lat. II, p. 195.

215 Carmen 21, 13S (MG Poet. lat. I, p. 478). "· MG Epist. V, p. 539, 1. 353; p. 558, 1. 37SS. - Cfr. anche la

poesia di MILO (MG Poet. lat. Ili, p. 620).

936 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

tematica è ovunque la medesima. Due ulteriori fasi di questo ultimo sviluppo degli elementi patristici stanno ad attestare il passaggio al pensiero propriamente me­dievale. L'arca di Noe diventa l'immagine dell'anima interiore, come dice un mistico del secolo XII : « Arca est anima. In arca debemus salvari, ad ipsam redeuntes, ipsam intrantes, sicut scriptum est : redite ad cor » 247. Un'altra interpretazione medievale si collega ai pen­sieri che abbiamo già recensito presso i Padri a propo­sito dell'arca come seno materno della nuova vita: l'arca significa il seno materno della santa Vergine, da cui fu generata la nuova vita in Cristo. Così già in un inno del secolo X di Reichenau 248. Così pure nell'o­pera di un discepolo di Bernardo di Clairvaux : « Co­me dunque mediante quell'arca tutti sfuggirono al di­luvio, così mediante Maria tutti sfuggono al naufragio del peccato »249. Del resto, questa applicazione ma-riologica dell'allegoresi dell'arca è frequente anche nella teologia bizantina 250. L'immagine di Maria come arca della salvezza fu ed è ancor oggi ravvivata nella teolo­gia per il fatto che nella bolla « InefFabilis Deus » del 1854, Pio IX chiama la Madre di Dio arca della sal­vezza 251.

La storia della tipologia dell'arca è esattamente un riflesso dello sviluppo della teologia di mille anni, da

247 P S . - U G O DI S. VITTOHE, Allegoriae in Vetus Testamentum, I, 14 (PL 175, 642 D).

248 F. M O N E , Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, v. 2, p. 386.

148 Sermo de Beata Maria Virgine (PL 184, 1017 C D ) . 2 5 0 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO (PG 96, 712 C.) - PROCLO (PG

65, 760 C) . 251 Cfr. A. BEA, Das Marienbild des Alteri Bundes, in P. STRATER,

Katholische Marienkunde, Paderborn 1952, 2 ed-, ν. ι, ρ. 39.

L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA 937

Origene sino a Bonaventura. All'inizio di questa sto­ria, Origene ha così ammonito i suoi fedeli « Ex ipsa arca mysterium magnum, quod in Christo et in Eccle­sia impletur agnosce » 252. Alla fine del periodo romani­co, un orante scrisse i versi, che poi risuoneranno nella mistica francescana della croce di Bonaventura e rie­cheggiano ancora una volta tutta la bellezza della teo­logia patristica (già li conosciamo in parte):

« Ligno crucis fabricatur arca Noe qua salvatur mundus a miseria. Servos tuae crucis, Christe, mundi maris due per triste, Crucifer, naufragium » 253.

Così la nostra esposizione della mistica dell'immagine della nave della Chiesa passa nella escatologia propria­mente detta, nell'immagine del beato approdo della Chiesa nel porto del riposo eterno. Agostino ha con­cluso la tipologia dell'arca con una delle più grandiose espressioni, con lo sguardo alle ultime cose e all'ini­zio dell'eternità, a partire dal quale soltanto si com­prende la storia dell'arca e di coloro che si salvano in essa : « Il fatto che la colomba fu nuovamente rilascia­ta da Noè sette giorni dopo e non ritornò, rappresenta la fine del mondo, quando per i santi giunge il riposo, non più soltanto nel sacramento della speranza, nel quale durante l'epoca presente la Chiesa si amalgama, bevendo continuamente ciò che sgorga dal costato tra-

"· GCS Origene VI, p. 38, 1. 3S. "' Analecta Hymnica, 8 (Lipsia, 1890), p. 29S.

938 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

fitto di Cristo: ma nel vero compimento della salvezza eterna, quando il regno verrà consegnato a Dio Padre, ove noi, nella luminosa visione della Verità immuta­bile non avremo più bisogno di misteri corporalmen­te visibili»254.

·»* Centra Faustum, 12, 20 (CSEL 25, p. 349, 1. 5-12).

9-

L'ARRIVO IN PORTO

Ciò che ora segue nello studio da noi posto sotto il titolo generale di « Antenna Crucis », è come un epi­logo e contiene la parola definitiva, senza cui non si comprenderebbe quanto siamo andati dicendo sin qui: la dommatica della escatologia della Chiesa, espressa con l'immagine del beato approdo, del porto e dell'anco­raggio dell'eternità. Quanto sia importante la teologia della Chiesa come nave, che è ancora in viaggio e, non di meno, dopo la morte in croce di Dio e la sua resurrezione, è già giunta in senso vero e proprio, lo vediamo dalla massa di pensieri patristici, che siano andati presentando attorno a questo tema nelle pagine precedenti. La Chiesa è la nave che solca il cielo, che veleggia attraverso il mare del mondo, che è certa di arrivare, perché Cristo non soltanto ci ha elargito il legno della croce per costruirla, ma, mediante la sua resurrezione, ha anche compiuto anticipatamente il mi­stero dell'« arrivo nel porto » l. Egli ha affidato tale mi-

1 Questo il titolo di una liturgia siriaca. Cfr. A. RUCKEH, Die t Ankunft im Hafen » des syrisch-jakobitischen Festrituals una vertvandte Riten, in Jahrbuch fiir Liturgiewissenschafì 3 (1923) p. 78-92. Cfr. sotto, alla nota 73.

940 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

stero alla Chiesa, la quale pertanto è sicura della salvezza ; i suoi membri, nel mistero pasquale, si sentono sempre certi della salvezza e si preparano a diventare partecipi del paradiso e del riposo nel porto dell'eternità. I Pa­dri hanno visto questo destino della Chiesa raffigurato, come in una bella immagine, nel racconto di Noè e della sua famiglia (Gen 8,15-18): dopo l'approdo del­l'arca sul monte Ararat, cosi dice Agostino, Noe e i suoi figli raffigurano l'arrivo alia pace finale della per­fetta città di Dio2 . Nella ecclesiologia di BEDA tale immagine è un tipo del mistero esistente tra Cristo e la Chiesa, che si svela nel suo significato più profondo soltanto a partire dalle ultime cose 3. Già per CLEMEN­

TE ALESSANDRINO lo scopo del viaggio cristiano della vita è l'approdo nella città di Dio 4. Secondo la tra­dizione del giudeo-cristianesimo, alla quale hanno ri­chiamato la nostra attenzione il PETEHSON5 e il D A -

NIFXOU6, questo momento escatologico dell'approdo nel « porto del riposo » è già accennato nel Testamen­to di Neftali, ove la nave di Giacobbe raffigura la comu­nità salvifica ecclesiale, che viene salvata nonostante il il naufragio: « E quando la tempesta cessò, la nave toc­cò terra e fu in pace » 7. In questa teologia simbolica delle origini, il porto è la raffigurazione dell'άνάπαυσις ; esso raffigura contemporaneamente anche il battesimo, che in virtù della morte di croce già anticipa la possi­bilità finale di salvezza e fa della Chiesa il porto sem-

2 Cantra Faustum, 19, 21 (CSEL 25, p. 350, 1. 2-6). 3 PL 91, 226 B. 4 Paidagogos, 3, 12, 101 (GCS CLEMENTE I, p. 291, 1. 4-6). 5 Friihkirche, Judentum una Gnosis, Friburgo i960, p. 92-96. * Les symbotes chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 68-70. ' Testamentum Nephtali, 6, 1-9 (CHARLES II, p.338).

L'ARRIVO IN PORTO 941

pre sicuro 8. Dio ha preparato la città di Gerusalemme come luogo di riposo per l'arca9. Nel paragone na­vale contenuto nella lettera di Clemente a Giacomo, il tema fondamentale della simbolica patristica del porto della salvezza viene così delineato : « Se siete d'accordo, allora potete essere portati al porto della salvezza, là dove è la città pacifica del grande Re » 10. La città della pace è Gerusalemme, Cristo ne è il « buon Re » u . e i fedeli abitanti vengono esortati alla preghiera e al buon viaggio, « affinché, viaggiando a gonfie vele, pos­siate dirigervi con minor pericolo verso il porto della città sperata » 12.

Non sarà male pertanto se chiariremo innanzitutto il simbolo del porto del riposo e dell'approdo nell'eter­nità dopo la traversata di questa vita, servendoci della simbolica ellenistica. Ancora una volta, come abbiamo fatto per Ulisse e per la tavola della salvezza dopo il naufragio, passeremo in rassegna le testimonianze che ci permetteranno di comprendere perché mai, nelle loro prediche e catechesi, i Padri della Chiesa parlino così volentieri e così insistentemente dell'approdo nel porto dell'eternità.

Tutto ciò che è connesso con il porto e con i suoi moli protettivi (in greco λιμήν e δρμος) era di vitale importanza per il navigante dell'antichità. Per questo

8 Cfr. i testi in P. LUNDBEHG, La typologie baptismale dans l'an-cienne Eglise, Uppsala 1942, p. 75-85.

8 J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, Parigi 1950, p. 78S. 10 Epistola Ckmentis, 13, 3 (GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 16, 1.

3s; PG 1, 49 A). 11 Ivi, 4, 3 (I, p . 9, 1. 1). l a Ivi, 14, 6 (I, p. 17, 1. 5-7).

942 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

egli giunse persino a personificare il porto 13. C'è nel-l'Anthologia Graeca una graziosa poesia sul porto di Pozzuoli, ove un giorno era approdato anche Paolo con la nave alessandrina consacrata a Castore e Polluce (Atti 28,11-13). Il molo del porto è imponente e se ne vanta con queste parole : « Io accolgo la flotta del mondo. Guarda sopra di te verso Roma: credi che io abbia il porto che basti alle sue dimensioni? » 14. Nelle sue lettere, CASSIODORO, loderà il porto di Roma, do­ve si cominciano a gustare le deliciae romanae 15 ; e an­che Crisostomo scrivendo, con un linguaggio biblico (di cui conosciamo già le espressioni), a papa Innocenzo, parlerà della Chiesa di Roma come molo protettore nella tempesta 16. Di qui si comprende come l'uomo antico parli continuamente della traversata della vita e quindi del porto del riposo e della morte. Già SO­FOCLE paragonava il porto al rassicurante seno mater­no 17. Nave e porto sono inseparabili; per questo ESCHILO parla del giubilo della nave giunta nel porto sicuro (δρμω ναϋν θρασυν&ήνοα) 1 8. Lo stato d'animo del navigatore dell'antichità rivive nel modo più im­mediato nelle poesie aell'Anthologia Graeca. Incappato nel pericolo, il timoniere prega Giove di concedergli un buon viaggio (εΰπλοια:): «Danne anche ora un viaggio propizio, sii oggi il mio salvatore e conducimi

1 3 Cfr. W H. ROSCHER, Lexikon der griechischen uni romischen Mythologie, Lipsia 1894, v· 2, 2, p. 2130S.

1 4 Anthologia Graeca VII, p . 379 (BECKBY, Monaco 1957, v. 2, p. 222).

" Var., 7, 9 (PL 79, 715 AB). " P G 52, p . 535 B. - M A N S I , V. 3, p. 11135. 1 7 Oed. T., 1208. 1 8 Supl., p. 772.

L'ARRIVO IN PORTO 943

dal pericolo al porto della tranquillità »19. Oppure in un inno a Τύχη : « Le navi, che il tuo aiuto salva dal mare ondoso, trovano consolante rifugio e tranquillità nel silenzio del porto » 20. Abbiamo già citato più so­pra 21 la bella poesia di PALLADE sulla traversata della vita, ma la presentiamo di nuovo qui, nella seguente traduzione:

« La vita è un viaggio sul mare. Tutto attorno sono appostati i pericoli, e spesso una tempesta di vento ci colpisce peggio di un naufragio in mare. Altezzosa siede al timone della vita Tyche, la dea; noi veleggiamo nel blu come sulle onde del mare. Alcuni viaggiano felici, altri ne sbatte la bufera, tutti però andiamo sottoterra, alla fine, verso il medesimo porto »22.

Al medesimo Pallade dobbiamo i versi in cui parla la rinuncia e la rassegnazione stoica: versi che bisogna tener dinanzi agli occhi, quando più tardi si ascolteran­no le parole del cristiano sicuro del suo arrivo nell'ai di là:

« Io sto al di là della speranza e della felicità, le vostre bugie non mi possono più ingannare: finalmente son giunto in porto » 23.

19 9, 9 (BECKBY, v. 3, p. i<5). » 9, 788 (p. 452). 21 Cfr. sopra « Ulisse all'albero della nave », p. 409, nota 29. aa io, 65 (BECKBY, V. 3, p. 509). " 9, 172 (p. 108).

944 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

In SENECA notiamo lo stesso atteggiamento espres­so sotto l'immagine della traversata dell'anima, quando egli ammonisce l'amico Paolino : « Tienti lontano dalla massa e ritraiti dalla confusione nel porto tranquillo » 24. Lo stesso ideale di un al di là che finisce nella pace del porto viene espresso negli scritti neoplatonici, ad esempio nella vita di Plotino, ove l'oracolo di Apollo dice di lui: « Via dall'ondeggiamento che agita le mem­bra, con una forte spinta dello spirito nuota verso la sabbia della calma riva » 25. Qualcosa di simile si trova in APULEIO a proposito del porto della tranquillità 26.

L'immagine del porto della tranquillità nella let­teratura antica si materializza nell'immagine del porto della morte. « Ahimè, ο porto dell'Ade, ο implacabi­le », leggiamo nell'Antigone di SOFOCLE 2 7 . Frequente è

il tema della tragicità della morte per naufragio soprag­giunto nel porto stesso. Un epigramma su di una nave af­fondata termina così: « E a cosa giova anche giungere in porto ... poiché morta è la ciurma, morta! Soltanto dei naufraghi son giunti in porto » 28. Come abbiamo già visto, questa immagine fu ripresa quasi alla lettera dai Romani : « In portu naufragium fecimus » 29. C I ­CERONE dice : « Sepulcrum vocat Ennius portum cor-poris » 30. E SENECA : « In hoc procelloso mari, navigan-

24 De breuitate vitae, 18. 25 PORFIRIO, Vita Plotini, 128 (edizione di HARDER, V, ρ. 192). a e Metamorfosi, 11, 15: «Et maximis actus procellis ad portum

quietis et aram misericordiae tandem venisti ». - Cfr. W. W I T T M A N N , Das Isisbuch des Apuleius, Stoccarda 1938, p. 78S.

27 Antigone, 1284. 2 8 Anthologia graeca, 9, 218 (BECKBY, III, p . 132). Cfr. anche VII,

p . 625; p. 630; p. 639. 2 9 P S . - Q U I N T I L I A N O , Declam., 12, 23. - Cfr. sopra, p. 74.8. 20 Tusculanae, 1, 44.

L'ARRIVO IN PORTO 9 4 5

tibus nullus portus nisi mortis » 3 1. Sempre Seneca can­ta nell'Agamennone il placido porto del riposo eterno (« portus aeterna placidus quiete ») 3 2. Qui interviene nuovamente la dialettica, che sente il mare come un essere vivificante e letale ad un tempo : « Io cerco di conservare la mia vita in mare, in mare sono andato a cercare la morte » 3 3.

In questo stato d'animo pessimista l'antico naviga­tore lascia trapelare qualche barlume di speranza. Nei momenti del supremo pericolo si rivolge agli dei: la sua preghiera implora Γεΰπλοια. Altrove abbiamo già esposto e dimostrato quanto fosse importante il tema del buon viaggio per comprendere la simbolica pa­tristica 34. Ricordiamo ancora due altre immagini, che sono egualmente importanti per comprendere la eccle­siologia escatologica dei Padri: il simbolo del faro e l'immagine della bonaccia, che i Greci chiamavano γαλήνη e i Romani serenitas. Già F. ]. DÒLGER, nel-l'interpretare le raffigurazioni delle catacombe, che or­navano le lapidi mortuarie con un faro e con la nave che naviga verso di esso, aveva accennato a questa sim­bolica: «Il viaggio è diretto verso il faro. Il faro raf­figura la meta, la luce celeste, la gloria, la luce perpe­tua » 35. L'esemplare di tutti i fari dei porti antichi era il Pharos del porto di Alessandria. Già OMERO aveva cantato l'isola, su cui si eleva la torre con il segnale di fuoco : « Isola in mezzo al mare rumoreggiante con

31 Dialogus ad Helviam, 12, 9, 7. 32 Agamennone, 589-592. 33 Angiologia graeca VII, p. 287 (BECKBY II, p. 170). '4 H. RAHNER, Euploia: in Perenitas. Festgabe fiir Th. Michela,

Miinster 1963, p. 1-7. 35 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 285.

946 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

fracasso, vicina all'Egitto, essa, è chiamata Pharos... Là è un porto sicuro »36. Nell'Anthohgia Graeca c'è un distico sul faro di Smirne e un altro sul Pharos di Ales­sandria 37. Nei glossari latini il faro viene descritto co­me « altum aedificium vel turris vel facula vel specu-latoria supra mare, ubi portus est » 38. Iside è la « re­gina phari » 39. Non si va certamente errati, dicenc ο che nella terza visione di Erma la « torre sul mare, fatta di belle pietre quadre », è un faro. L'interpretazione della visione dice: «La torre sono io, la Chiesa. E per­ché fui costruita sulle acque? Perché la vostra vita fu salvata e sarà salvata con l'acqua » 40. La simbolica del faro non esercita alcun ruolo ulteriore nella letteratura cristiana antica. Soltanto BASILIO, citando evidente­mente un proverbio greco, afferma una volta che il ricevere una lettera lo ha tanto rallegrato, « come quando i naviganti vedono tra le onde il faro, che dif­fonde il suo segno luminoso (πυρσον έν πελάγει) » 4 1 . Al contrario, un altro gruppo di immagini ha eserci­tato un grande influsso prima sulla mentalità greca e poi nella simbolica cristiana. I navigatori dell'antichità pregavano, soprattutto nel primo viaggio di primavera, per ottenere γαλήνη, ossia mare tranquillo. A. LESKY,

che su questo soggetto ha raccolto accuratamente il

3* Odissea, 4, 355S. - Altri testi probativi in PAULY-WISSOWÀ, Reaknzykbpadie, 12, 2 (1925) col. 2150-2152.

37 IX, 671 (III, p. 400); 9, 675 (III, p. 402). - Sul Faro di Ales­sandria cfr. IX, 674 (HI, p. 402); IX, 60 (III, p. 44).

38 Corpus Glossariorum latinorum, Lipsia 1894, v. 5, p. 619, 1. 38. 33 STATIO, Silv., 3, 2, v. 102. 40 Visio 3, 2, 4; 3, 3 e 5 (FUNK I, p. 436; p. 438). 41 Epistola 2, 100 (PG 32, 504 C). - Cfr. GREGORIO DI NISSA

(PG 44, 301 D) : i « segni di fuoco » che danno la direzione giusta ai naviganti.

L'ARRIVO IN PORTO 947

materiale della letteratura greca, dice: «La γαλήνη, il mare calmo, non agitato da alcun soffio -di vento, era cara ai Greci della fine dell'antichità »42. Il mito in­ventò persino una personificazione di « Galena », facen­done una figlia di Pontos e una dispensatrice sempre sor­ridente della sospirata bonaccia » 43. Nelle poesie alla pri­mavera, raccolte nell'Anthologia, si parla spesso del sor­riso di Galena: «Calmo sorride il mare (γαληναίη δε θάλασσα μειδιάει) » 4 4 . Così già cantava ESCHILO nel sublime inno a Prometeo : « Ο soffio di aria leggera dei santi dei, voi fonti di ruscelli, sorrisi smisurati della fluttuante onda marina » 4 5 ; e così predica ancora GRE­

GORIO NAZIANZENO nella medesima poesia ellenistica, parlando della primavera pasquale, in cui « ci sorride la bonaccia » 46. L'immagine di Galena fu intagliata anche su di un berillo, come sappiamo da un epigramma 47. Per esprimere ciò a cui aspirava la sapienza greca e specialmente quella stoica, e che la teologia cristiana interpretò poi come l'attesa finale del porto celeste e della sua serena tranquillità, non c'era dunque simbolo più appropriato dell'immagine di Galena 48. Nel libro dei sogni di ARTEMTDORO, il porto significa fortuna e

48 A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Vienna 1947, p. 158. - Cfr. anche ivi, p. 229S. su γαλήνη in Eschilo ed Eu­ripide.

« LESKY, p. 247. - Anthologia Graeca V, 156 (Ι,' ρ. 320); VII, 668 (II, p. 392).

44 Anthologia Graeca X, 6 (III, p. 476). 45 Prometeo incatenato, 89S. « Oratio 24, 5 (PG 35, 1176A). 47 Anthologia Graeca IX, 544 (III, p. 332). 48 Cfr. sopra « Mare del mondo », p. 464, nota 38 : le antiche te­

stimonianze sulla γαλήνη spirituale; nota 40: testimonianze cristia­ne sullo stesso atteggiamento.

948 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tranquillità 49. In un distico di MELEAGRO si parla di Galena sul mare ondoso dell'amore50; e il poema di un discepolo stoico di Epitteto così dipinge la tranquil­lità spirituale dell'uomo dell'ai di là:

« Chi ha adempiuto la volontà esigente di Epit­teto, il sapiente,

veleggia con serena tranquillità e calma sul mare [della vita;

quindi termina il viaggio della vita sulle onde e giunge al vertice del cielo, sii fino alla contem-

[plazione delle stelle » 51.

In questa sapienza della tarda antichità tocchiamo con mano l'ideale della tranquillità dell'anima, di cui aveva già scritto PLATONE52. E questo è il mondo ideale, a cui si ricollega la dottrina cristiana della sere-nitas animae, che dobbiamo ora far oggetto della nostra considerazione. Recentemente è stato dimostrato che persino l'antico titolo imperiale di γαληνότης e se-renitas si è trasformato nel titolo principesco di Sere-nissimus, per esprimere così il sorridente favore che il sacro imperatore elargisce in dono 53. Ma la teologia simbolica cristiana poteva riallacciarsi anche alla γαλήνη di cui parla il Nuovo Testamento (Mat 8,26; Mar 4,39; Lue 8,24). CIPRIANO ha scritto una delle più belle espres­sioni in questo settore sinora quasi dimenticato della

49 Oneirokritika, 2, 23 (HERCHER, p. 117). 50 Anthologia Graeca V, 155 (I, p. 320). 51 Anthologia Graeca IX, 208 (III, p. 128). sa Leg., 791 A. - Cfr. ad esempio ESCHILO, Agamennone, 740. 53 H, : HOFMANN, Serenissimus. Ein furstliches Prddikat in funfzehn

Jahrhunderten, in Historisches Jahrbuch 80 (1961) p. 240-251.

L'ARRIVO IN PORTO 949

antica simbolica cristiana, quando così descrive il vero cristiano : « Si enim christianus a furore et contentione carnali tamquam de maris turbinibus excessit, tranquil-lus ac lenis in portu Christi esse iam coepit » 54. Di qui comprendiamo come soprattutto nella teologia greca si parli della γαλήνη della primavera pasquale. EUSE­

BIO, in una predica pasquale perfettamente intonata a una poesia primaverile aél'Anthologia, scrive: « Galena già rende calma l'acqua ai naviganti » 5S. Anche la pre­dica pasquale di un discepolo di Agostino menziona la bonaccia sorridente, epressa nel giubilo pasquale pri­maverile, in cui la Chiesa, come una buona nave, sal­pa verso le rive eterne : « Mira serenitas mundo arri-det »56. Persino la pace della Chiesa, che iniziò dopo la tempesta degli errori ariani, viene sentita dai Padri come γαλήνη e «serenitas»57. Lo stesso BEDA vedrà ancora nel porto della Chiesa la « aeterna serenitas » 58.

Sotto l'immagine della nave che approda e del por­to che salva, lasciando da parte gli altri elementi ca­ratteristici di questa ricca simbolica, si cela l'escatologia patristica della Chiesa. La Chiesa è la nave costruita con il legno della croce, che, dopo la passione pasqua­le, è in viaggio ed è sicura di giungere in virtù della morte del Signore: si tratta della medesima dialettica,

64 De borio patientiae, 16 (CSEL 3, p. 409, 1. 9-11). - Cfr. C A M P ­BELL BONNER, Desired Haven, in Harvard Theoì. Review 34 (1941) p. 49-67.

55 De sol. paschali, 2 (PG 24, p. 696 D) : cfr. H. RAHNER, Oester-Hche Fruhlingslyrik bei Kyrillos von Alexandreia, in Paschatis Solennità, Friburgo 1959, p. 68-75.

56 Sermo 164 (PL 39, 2067). 5 7 GREGORIO DI Ν Α Ζ Ι Α Ν Ζ Ό , Oratio 42, 20 (PG 36, 481 D ) . - A M ­

BROGIO, Camment. in Lucani, io, 32 (CSEL 32, 4, p . 450, 1. 14S). 5 8 PL 92, 710.

950 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

che più sopra abbiamo presentato sotto l'immagine della Selene morente. In ogni momento del suo viag­gio terreno la Chiesa è un « sacramentum futurae vi-tae », e il cristiano, il compagno di viaggio su questa nave vittoriosa, giunge al porto della illuminazione finale, soltanto per il fatto che egli, assieme con il Si­gnore, sopporta la pena di morte su questa terra. C I ­PRIANO predicava così ai fedeli questa mutua compe­netrazione di presente e futuro nell'esistenza cristiana: «Il regno di Dio, fratelli dilettissimi, è molto vicino. La ricompensa della vita eterna e la gioia dell'eterna salvezza, la felicità intramontabile e il possesso del pa­radiso una volta perduto già si preannunciano con il passaggio imminente del mondo. Il celeste già fa se­guito al terrestre, il grande al piccolo, l'eterno al tran­sitorio. Deve temer la morte soltanto colui che non vuole camminare con Cristo ... Noi servi di Dio avre­mo pace piena e indisturbata tranquillità, solo quando ci saremo allontanati dalla tempesta di questo mondo e saremo entrati nel porto della patria e della sicurezza eterna, quando avremo scontato quaggiù la pena di morte che ci incombe e saremo giunti all'eternità; questa infatti è la pace immortale, questa è tranquillità duratura, questa è stabile, ferma ed eterna sicurezza » 59. Questo canto di lode, magistrale anche dal punto di vista della retorica, elevato alla tranquillitas escatologica, dimostra quanto fosse familiare ai Padri il paragone tra morte e porto. Negli Atti di Giovanni leggiamo che, come il pilota è sicuro soltanto in porto, così la fede è

M De mortalitate, 2 e 3 (CSEL 3, 1, p. 298, 1. 7-14; p. 299,1. 5-9).

L'ARRIVO IN PORTO 951

sicura soltanto dopo la morte 6 0. Nel terzo libro del Περί άρχω ORIGENE parla della έπί τον λιμένα άποκκτάσταοις 6 1. La morte anticipa semplice­mente per il singolo cristiano quella distinzione finale tra bene e male, che si compie nell'approdo della Chiesa universale, ma che è iniziata sin da ora. Per questo nel suo opuscolo sulla morte, AMBROGIO afferma : « Iustis mors quietis est portus, nocentibus naufragium puta-tur »62 ; e nel commento al Libro di Giacobbe scrive a proposito della vecchiaia: « Senectus portus debet esse, non naufragium vitae superioris » 63. La « requies aeterna », per cui già si pregava nella Chiesa antica64, non è soltanto la άνάπαυσις, che ci è stata promessa dal celeste Noè, Cristo, non è soltanto il giorno eter­no del riposo dopo l'Hexaemeron di questo tempo ter­reno, ma è anche il compimento della aspirazione ver­so la sempiterna γαλήνη. La vita umana è effettiva­mente « il viaggio dell'uomo verso il porto della pace eterna » 65, oppure, come predicava GREGORIO NAZIAN-

ZENO: «Per i combattenti di questa terra, il passaggio nell'ai di là è ciò che è per i naviganti l'approdo nel porto tranquillo » w.

Questa teologia della sicurezza salvifica nella morte si fonda sulla teologia della morte in croce del Signore,

*° Atti di Giovanni, 67 e 68 (E. HENNECKE, Neutestamentlkhe Apo-kryphen, Tubinga 1924, p. 182. LIPSIUS-BONNET II, 1, p. 183S).

" De princ, 3, i, 19 (GCS ORIGENE V, p. 233, 1. 1). La versione latina (ivi, 1. 17) dice : « Ad por tum salva pervenit ».

ea De botto mortis, 8, 3 (CSEL 32, 1, p. 30 1. 22s). " De Jacob, 2, io , 40 (CSEL 32, 2, p. 60, 1. 14S). " Cfr. per ciò F. C U M O N T , LUX perpetua, Parigi 1949, p. 459,

nota 1. •5 F. J. DOLGEE, Sol Salutis, Monaco 1925, 2 ed., p. 272. ·' Oratio 18, 3 (PG 35, 988 D) .

952 L 'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

che è strettamente connessa con l'essenza della Chiesa. Quando a primavera iniziava la navigazione e le pre­ghiere per la γαλήνη si levavano anche dalla bocca dei cristiani, nella Chiesa si celebrava l'annuale mi­stero della Pasqua, del passaggio di tutto il mondo alla trasfigurazione in virtù del Verbo morto in croce e della resurrezione della sua carne. A primavera è stato creato Adamo, a primavera vi fu il battesimo del mondo mediante il diluvio e il salvataggio di Noè e della sua famiglia, come sappiamo soprattutto dalla teologia della primavera di AMBROGIO 67. A primavera Cristo è risorto dai morti, e questo avvenimento, che anticipa e fonda la gloria futura, sta sempre al centro della teologia patristica della Chiesa, che è la nave della salvezza tra diluvio e approdo, e nella quale già si rispecchia in anticipo tutto ciò che si compirà nella « requies aeterna ». « A primavera germogliano nuo­vamente i semi e la primavera è simile all'infanzia di una nuova estate della natura risuscitata. A primavera è Pasqua, il tempo in cui io fui redento; a primavera è Pentecoste, quando festeggiamo ancora una volta la gloriosa resurrezione come immagine del futuro (ad instar futuri) »68 . Ricordando quanto sopra abbiamo detto del Pharos e della torre dell'isola di Alessandria, comprendiamo meglio perché mai il suo vescovo C I ­RILLO affermi così spesso che Pasqua è una festa che noi celebriamo είσω των λιμένων, « dentro alle mura protettrici del porto »6 9. La certezza della salute, che

·' De Noe, 14, 48 (CSEL 32, 1, p. 445, 1. 19- p. 446, 1. a i ) . -17, 60 (p. 456, 1. 15- p. 457, 1. 4)·

ae Comment. in Lucam, io, 34 (CSEL 32, 4, p. 468, 1. 5-9). «9 PG 77, 4 2 4 B ; 436 C D ; 536 A.

L'ARRIVO I N PORTO 953

nella celebrazione della Pasqua viene continuamente rinnovata in virtù della morte in croce del Signore, è enunciata in una predica di GEROLAMO per la vigilia di Pasqua : « Ossia, come nel diluvio nessuno fu salvato se non mediante il sacrificio dell'Agnello, che, quale vero agnello pasquale, fu ucciso per una sola fami­glia »70. Cristo che appare agli apostoli sulla riva del lago significa, secondo la nota allegoria di papa GRE­

GORIO, l'eterna certezza della salvezza: «Quid per soli-ditatem littoris nisi illa perpetuitas quietis aeternae fi-guratur? »71. Cristo è il porto dell'approdo, come già dicevano gli Atti di Tommaso'72; e con molta proprietà i cristiani siriani hanno denominato una loro festa « Ar­rivo nel porto»73. In essa si recitava questa preghiera: « In questa notte possa la nostra stirpe pensare che fu liberata dall'errore per mezzo di lui (Cristo), e potè entrare nella pace e nella tranquillità dell'Agnello pa­squale vivente, nel porto della pace destinata a chiun­que lavora nella giustizia ... Un porto di vita è la pas­sione del Figlio di Dio ... Noi siamo giunti al porto della vita, noi che siamo venuti dal digiuno e dalla passione. La nave della passione si è avvicinata al por­to »74. Alla luce di tali testi comprendiamo il paragone tra croce e porto tanto caro ai Padri, di cui abbiamo già parlato. La dialettica insolubile tra pericolo e cer-

10 De exodo in vigilia Paschae (Cor. Chris. 78, p. 537, 1. 20-25). 71 Homilia 24, 2 (PL 76, 118+D; p. 1185 A). - Homilia 11, 4 (PL

76, 1116B). 72 Ada Thomae, 37 e 156 (LIPSIUS-BONNET II, 2. p. 155, 1. 14

e p. 265, 1. 1). 73 A. RUCKER, Die « Ankunft im Hafen » des syrisch-jakobitischen

Festrituals una verwandte Riten, in Jahrbuch fiir Liturgiewissenschaft 3 (1923) p. 78-92·

74 Ivi, p. 82-84.

954 L 'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

tezza in cui ondeggia la Chiesa, tra morte di Dio in croce e il vero arrivo, viene espressa da ANDREA DI

CRETA, quando dice che la croce è il « pilota ed il por­to ad un tempo, in mezzo alla tempesta delle onde » 75. i La festa del mistero pasquale è quindi il vero ingresso j nel porto della tranquillità : « Paschae portum, gaudia resurrectionis intremus»76. In una predica greca, che venne attribuita a Crisostomo, l'oratore termina con un inno di lode alla santa croce : « La croce è un pilota per i naviganti; la croce è un porto per coloro che sono sbattuti dalla tempesta »77. Questo transito generatore di eternità, dalla morte alla vita, dal faro al porto della pace, ha luogo per il singolo cristiano nella penitenza, che precede il battesimo pasquale. Scrive LATTANZIO: « Cristo nella sua bontà ha aperto all'uomo il porto della salvezza con il rimedio della penitenza » 78. Tutta la quaresima è porto della salvezza per la navicella del- j le anime che sulla nave della Chiesa vengono guidate dal pilota Cristo verso il porto del digiuno e, mediante questo, verso il porto del paradiso, come dice CESARIO

DI ARLES 79. Comprendiamo allora perché mai anche il battesimo amministrato la notte di Pasqua sia stato chiamato un porto tranquillo. Una liturgia battesimale orientale afferma a proposito del neofita : « Tu viaggi verso quel luogo, attraverso la nera pianura della terra

75 PG 97, 1020 D ; 1021 A. 16 CRISOLOGO, Sermo 8 (PL 52, 208 C) . " PG 50, 819 A: σταυρός π λ ε ό ν τ ω ν κ υ β ε ρ ν ή τ η ς , σταυρός

χ ε ι μ α ζ ό ν τ ω ν λ ι μ ή ν . 78 Divinae Institutiones, 6, 24, 9 (CSEL 19, ρ. Sii·'- · 3s)· - Inst.

Epitome, 62 (CSEL 19, ρ. 749, l. 8). 7 8 Sermo 196, 4 ( M O R I N I, 2, p . 751). - Ivi (p. 238, 6; p. 264, 1.

30; p. 270, 1. 19: « Portus poenitentiae »).

L'ARRIVO I N PORTO 955

come su di un mare. Ο tu, che non sei stato ancora battezzato, affrettati ad entrare nel glorioso porto del battesimo. Dio ti conduce verso il porto, noi siamo giunti alla gloriosa resurrezione di Cristo, nostro Re­dentore »80. Nel Libro dei Salmi dei Manichei viene espressa la profonda contraddittorietà del battezzato an­cora esposto ai pericoli della navigazione e che tutta­via è già arrivato : « Il battesimo della vita è il porto per coloro che sono ancora in mare »81. Il battesimo è «acqua della tranquillità», ΰδωρ αναπαύσεως, « aqua quietis », e ancora una volta questa designazione ci rin­via a Noe, il cui nome significa άνάπαυσις 8 2. Anche per la teologia battesimale latina il battesimo della notte pasquale è l'arrivo in porto. OTTATO DI MILEVI chiama il battesimo «innocentiae portus, peccatorum naufra-gium »83. In poche parole : la vita del cristiano non è soltanto una traversata insicura, ma un approdo, già certo della salvezza, nel porto di Cristo. CLEMENTE

ALESSANDRINO ne parlava come di un « gettare l'ancora presso il Salvatore »84. E l'Anonimo greco, a noi già noto, riassume l'ideale cristiano della vita in queste parole: «Il cristiano è un buon pilota, che siede alla barra del timone di legno e fa entrare la sua nave nel

80 F. C. CONYBEARE, Rituale Armenarum, Oxford, 1905, p. 335. - Cfr. H. R.AHNER, Griechische Mythen, p. 120.

81 C. R. ALLBERRY, A Manichaean Psalm-Book, Stoccarda 1938, p. 139, 1. 19. - LUNDBERG, Typologie baptismale, p. 77.

82 LUNDBERG, Typologie, p. 79-83. - Cfr. CONYBEARE, p. 401. - H. DENZINGER, Ritus Orientalium, Wiirzburg 1863, p. 275.

83 Cantra Parmenianum, 5, 1 (CSEL 26, p. 121, 1. 20s). 84 Quis dives, 8, 5 (GCS CLEMENTE 3, p. 165, 1. 13S). Cfr. anche

26, 2: la nave della vita con Cristo quale pilota in direzione del­l'ancoraggio (GCS CLEMENTE 3, p. 177, 1. 7-9).

956 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

porto sereno »85. Egli, come predica CRISOLOGO, frui­sce di un viaggio tranquillo verso la patria celeste86. Secondo la bella descrizione di EPIFANIO, è in viaggio verso il porto di Cristo 87. L'anima della sua esistenza terrena è fondata speranza della futura salvezza nel porto dell'eternità; per questo ZENO DI VERONA am­monisce : « Perché un navigatore affida la sua nave ad un profondo flutto, se non spera un guadagno e se non raggiunge il sospirato porto? Perché il cristiano crede in Cristo, se egli non crede che presto verrà il tempo dell'eterna beatitudine promessa dal Signore ? » 88.

A partire dalla teologia pasquale del porto troviamo ancora una pista collaterale, che appartiene alla storia di questa escatologia in qualche modo anticipata. È ri­saputo che nel medioevo cristiano il monachesimo era designato come una quaresima a vita e come un secon­do battesimo. Il cristiano che diventa monaco ha la­sciato definitivamente dietro di sé il mare del mondo e, nonostante tutti i pericoli, è più certo della sua salvezza che non il secolare. Ma anche in questo stato di vita riaffiora nuovamente la dialettica, di cui abbiamo par­lato tanto spesso: il monaco è, ad un tempo, ancora in mare e tuttavia è già giunto in porto. Egli, come dice uno scritto attribuito a Basilio, si trova « già all'interno delle mura del porto (εΐσω των >αμένων)»89. Tale del resto è già l'ideale ascetico dei cristiani che tendono alla perfezione nel periodo premonastico. CLE-

85 PS.-CRISOSTOMO, Homilia in penerabilem crucem (PG 50, 817 A). 88 Sermo 50 (PL 52, 340 B). 87 Nella lettera di PALLADIO DI SUEDRA ad Epifanio, introduzio­

ne ah'Ancoratus (PG 43, itì B). 88 Tractatus, 1, 2, 1 (PL 11, 270 A). 89 PG 32, 637 B.

L'ARRIVO IN PORTO 957

MENTE ALESSANDRINO così dipinge lo gnostico nella sua opposizione al cristiano comune : « Ci sono di quelli che sono ancora più eletti degli altri eletti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno si fanno avanti esterior­mente; essi si salvano in certa misura dai marosi del mondo rifugiandosi nel porto e così si portano al sicuro. Nascondono nel fondo del loro cuore i misteri ineffabili » 90. Qui parla certamente anche l'ideale gre­co della tranquillità dell'anima, come vediamo ad esempio AMBROGIO, quando nell'opuscolo sulla Fuga del mondo, così ammonisce il cristiano: « Totum por-tum invenias sapientiae quae te non sinat tamquam in naufragio fluctuare » 91. In una lettera di GEROLAMO il luogo calmo, in cui la vergine Celanzia compie la sua tranquilla contemplazione, viene detto « portus tran-quillitatis » 92. Anche AGOSTINO sa che la vita contem­plativa e ritirata del cristiano che tende alla perfezione è paragonabile ad un porto, in cui può incorrere anche la tempesta del mondo e sbattere l'una contro le altre le navi apparentemente sicure: C'è uno che dice: io voglio ritirarmi con alcuni buoni, cosa ho a che vedere con la massa? Ma anche il porto ha da qualche parte un ingresso, altrimenti non vi si troverebbe neanche una nave. La tempesta si scatena, e sebbene nel porto non ci siano scogli, le navi cozzano l'una contro l'altra e si fendono »93. Così preparato, il paragone tra la tranquillità claustrale e il porto, esercita un ruolo im-

90 Quis dives, 36, 1 (GCS CLEMENTE 3, p. 183, 1. 17-22). " De fuga saeculi, 4, 21 (CSEL 32, 2, p. 181, 1. itìs). 82 Epistola 148, 24 (CSEL 56, p. 350, 1. 9-12). " Enarr. in Psalmum 99, io (PL 37, 1277 A). - Cfr. AGOSTINO,

Ueber die Psaimen, scelti e tradotti in tedesco da H. U. VON BALTHASAR, Lipsia 1936, p. 208.

958 L 'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI

portante nell'antica letteratura monastica cristiana ed entra nella storia della γαλήνη ascetica ο della « tran-quillitas animae ». Ancora qualche esempio. Per BAR-SANUFIO'ÌI monachesimo è il porto della ησυχία spi­rituale 9 4. CLIMACO denomina lo stato religioso λιμήν σωτηρίας καί κινδύνων πρόξενος 9 5. Le omelie del­lo PS.-MACARIO, anche a causa dell'influsso messalia-no, sono piene delle immagini della certezza della sal­vezza che si prova nel porto della tranquillità. La méta della navigazione è la Gerusalemme celeste, la città del Regno96. Nella seconda lettera di Macario l'esercizio della preghiera continua è così descritto : « Come saggi timonieri dobbiamo dirigere i pensieri alla preghiera, e non permettere che la nostra mente sia turbata dallo pneuma maligno e venga sbattuta qua e là dalle onde. Guardiamo sempre dritto verso il porto supremo e renderemo immacolata a Dio la nostra anima»97. « Molte navi in mare vengono coperte dalle onde e affondano. Ma non ce ne sono forse anche di quelle che vengono a galla, si muovono sopra le onde e giungono al porto della salvezza?»98. La Storia Eccle­siastica di TEODORETO indica il monaco Lucio come uno giunto « già nel porto della tranquillità » ". Papa

84 Cfr. J. HAUSHEKR, Dictionnaire de Spiritualité, Parigi 1937, v. 1, col. 1259.

« PG 88, 657 C. Cfr. anche 708 C D ; 712 D. »e Homilia 43, 4 (PG 34, 773 D) . Cfr. anche Homilia 44, 6. 7

(PG 34, 78 is). - A questo proposito bisognerebbe vedere anche la edizione critica più recente: Macarius-Homilien, ed. H. DORRIES, Berlino 1963.

·' Lettera di Macario, 2 (PG 34, 436 A). 98 Homilia 5, 6 (PG 34, 509 B). *» Storia ecclesiastica, 4, 21, 7 (GCS TEODORETO, 1954, 2 ed., p.

248, 1. is) .

L'ARRIVO IN PORTO 959

GREGORIO MAGNO chiama la comunità monastica il porto della tranquillità, nel quale egli desidererebbe ri­tirarsi quando è assalito dalle preoccupazioni; e sente la consacrazione e i compiti del papato come un venir nuovamente spinto dalla tempesta verso il mare aperto delle preoccupazioni mondane : « Una volta fuggii soler­te tutte le preoccupazioni del mondo, ricercai il porto del convento, abbandonai tutto ciò che appartiene a questo mondo e scampai nudo al naufragio di questa vita. Tuttavia, come una nave ormeggiata senza cura, quando si scatena la tempesta, spesso viene di nuovo strappata via dall'insenatura della riva dalle onde, così anch'io mi ritrovai improvvisamente nel mare delle preoccupazioni mondane » 10°. Nel primo medioevo, nell'opuscolo De vita claustrali, ONORIO DI AUTUN ri­prenderà questa nautica monastica del porto della tran­quillità 101.

Concludendo lo studio sulla escatologia della Chiesa racchiusa nel mondo simbolico dei Padri, ritorniamo a toccare un tema, di cui abbiamo già intravisto la struttura nel capitolo sulla Chiesa come arca della sal­vezza : la croce del Signore e il sacramento del battesimo sono diventati il porto salvifico sicuro dell'eterno appro­do, poiché è la Chiesa che, nel mistero del legno e della acqua, ci guida sul mare in modo tale che giungiamo al­l'approdo prima ancora che i nuovissimi si attuino effet­tivamente. Per questo parliamo della Chiesa come del « porto anticipato », ossia della comunità salvifica di coloro, sui quali, per dirla con Paolo, la « fine dei tem­pi è già arrivata» (Cor 10,11). Questa anticipazione

ino Nella lettera a Leandro di Siviglia (Reg., V, 53 a). - Cfr. E. CASPAH, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1933, v. 2, p. 341S.

101 PL 172, 1247 A.

960 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

della salvezza definitiva, che è già iniziata con la re­surrezione del Signore, era il pensiero dommatico ope­rante dietro tutte le immagini, in forza del quale sin dall'inizio la teologia dei Padri fu spinta a chiamare la Chiesa non soltanto una nave, ma anche un porto. In ogni momento della sua esistenza terrena la Chiesa è sempre in pericolo e sicura, in viaggio e già approdata, partecipe della vita terrena del Signore e della sua gloria ancora nascosta e in via di compimento nel destino della comunità cristiana. Gli studi sulla ecclesiologia dei Padri qui raccolti avevano l'unica aspirazione di rile­vare questo pensiero dommatico delle immagini e del­le similitudini e così far gustare qualcosa del tesoro della teologia dei Padri.

A questo rapporto tra dogma e immagine possiamo applicare le parole che GIUSTINO ha scritto nel Dialo­go con Trifone: «I profeti hanno rivestito con similitu­dini e tipi tutto ciò che dicevano e facevano, così che la maggior parte di ciò che dicono non viene compre­so da tutti. Essi hanno nascosto la verità che vi si cela dietro, affinché chi vuole trovarla e conoscerla, compia degli sforzi »1 0 2 .

Abbiamo costatato l'antichità del paragone tra Chiesa e porto, già presente nella teologia giudeo-cri­stiana del Testamento di Ne/tali e nelle Pseudo-Clemen­tine. Questa teologia dei primordi risuona pure quando il martire IGNAZIO prega la comunità cristiana di Smir­ne di mandare un messaggio ad Antiochia, per congra­tularsi con quella Chiesa che ha nuovamente raggiunto la pace. Tale pace viene denominata ευδία, che cor­risponde perfettamente al concetto della γαλήνη, e

1 0 2 Dial., 90, 2 ( O T T O II, p. 338).

L ARRIVO IN PORTO 961

il vescovo si rallegra « che, per le preghiere dei fratelli, la Chiesa di Antiochia sia già arrivata in porto: δτι λιμένος ήδη έτυχον εν τη προσευχή υ μ ώ ν » 1 0 3 .

Un'immagine desunta dalla spiegazione della Genesi di TEOFILO DI ANTIOCHIA ci mostra con quanta forza fosse sentita nel II secolo l'antitesi tra la Chiesa, sicura della salvezza, e la tempesta del pericolo e dell'eresia. Parlando delle isole ben fondate del mare del mondo, le paragona alla Chiesa: «Le isole sono le comunità, chiamate sante Chiese, nelle quali sono erette le catte­dre della verità come nei porti protetti da buone tor­ri »1 0 4 . Perciò IPPOLITO DI R O M A , che in tutte le sue opere dimostra predilezione per questa teologia nautica, termina il suo ordinamento ecclesiastico con queste pa­role : « Carissimi, se abbiamo tralasciato qualcosa, Dio lo manifesterà a coloro che ne sono degni, poiché egli pilota la santa Chiesa verso il suo approdo nel porto del­la tranquillità » 18S. Il cristocentrismo di questa escatolo­gia ecclesiastica diventa anche più chiaro, quando Ippoli­to paragona il porto precisamente con il Signore Cristo, che è il tranquillo punto di approdo delle navi delle Chiese 106. Nel commento alle Benedizioni di Giacob-

103 Smyrn., i l , 3 (BIHLMEYER, p. 109, 1. 20). Per ε υ δ ί α cfr. ESCHILO, Sette contro Tebe, v. 795: π ό λ ι ς δ'έν ε υ δ ί α . - Cfr. an­che IGNAZIO a Policarpo 2, 3 (BIHLMEYER, p. i n , 1. I2s), ove al ve­scovo viene detto : « Il tempo ti desidera, come uno colpito dalla tempesta desidera il porto ». J.B. LIGHTFOOT, The Apostolk Fathers, Londra 1886, v. I, p. 339S, ha raccolto molte testimonianze per il paragone tra Chiesa e nave (porto).

10·> Ad Autolycum, 2, 14 ( O T T O Vili, p. 98). 1 0 5 Apost. Tradii., 38, 4 (ed. Gr. Dix, Londra 1937, p. 72). - Te­

sto copto in TU 58 (1954) p. 45, 1. 34s. - Ordinamento ecclesiasti­co egiziano 38 (FUNK II, p. 119, 1. 21).

io» Benedizioni di Mosé 17 (TU 26, 1, 69. - PO 27, 1954, p. 176). - Cfr. J. DANIÉLOU, Les Symboles chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 76.

962 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

be (Gen 49,13) egli cosi dice: «I popoli pagani si ri­fugiano nei porti, ossia nelle Chiese. L'ancoraggio per le navi è costituito dalle Chiese, che nel mondo aprono le braccia come mura portuali, per dare rifugio a co­loro che vengono alla fede » 107.

Cerchiamo ora di sviluppare più a fondo questa dia­lettica dommatica della Chiesa come porto anticipato. Allo stesso modo in cui Cristo crocifisso fu chiamato pilota e porto, così la Chiesa, la cui salvezza è ancora in pericolo, è sempre anche colei che è già arrivata. Se­guendo Ippolito, AMBROGIO ha spiegato la medesima benedizione di Giacobbe a Zàbulon con queste parole: « Praesto sit Ecclesia tamquam portus salutis, quae expansis bracchiis, in gremium tranquillitatis suae vo -cet periclitantes, locum fidae stationis ostendens. Eccle-siae igitur in hoc saeculo tamquam portus maritimi per litora diffusi occurrunt laborantibus » 108. La Chiesa, per esprimerci con un paradosso, durante il periodo ter­restre è sempre in viaggio verso se stessa, proprio allo stesso modo in cui, come abbiamo già dimostrato più sopra, morendo come luna spirituale, si accosta al so­le, oppure, come si esprime BEDA con incomparabile profondità : « Ecclesia gignit Ecclesiam ». Le parole di Ambrogio, che parlano del porto che stende le braccia materne, richiama alla mente qualcosa di simile in GREGORIO NISSENO, che paragona il porto della vita alla smisurata fortuna di essere al riparo nel seno mater­no 109. Nella sua predica sul battesimo di Cristo il

107 Le benedizioni di Giacobbe, 20 ( T U 38, p. 35 , 1. 11-18) . 108 De Patriarchio, 5, 27 ( C S E L 32, 2, p. 140, 1. 5-8) . 108 De anima et resurrectione, 1 1 , 2 ( P G 46, 84 C ) .

L'ARRIVO IN PORTO 963

CRISOSTOMO dice che le Chiese sono come porti tran­quilli nei tempi burrascosi di questo mondo u o .

Definendo la Chiesa porto sicuro, i Padri pensano soprattutto al fatto che ad essa è stato affidato il tesoro immutabile della verità, che è il Vangelo di Cristo. Pre­cisamente la certezza dell'infallibile preservazione della verità manifesta una caretteristica della sua escatologia. La verità non soltanto non è mutabile, ma non è neanche aumentabile. La tradizione apostolica, che viene pre­servata nella Chiesa, è uno degli indizi principali che la Chiesa, proprio mentre attraversa indenne il mare amaro e cattivo delle eresie, è già giunta dove si apre il porto tranquillo della verità. Già nella prefazione al quinto libro dell'opera Contro gli eretici, IRENEO dice all'amico, a cui dedica il libro, che vorrebbe che gli eretici non affondassero più nel mare dell'ignoranza, ma giungessero al « porto della verità » U 1 . Nella lotta contro gli gnostici questo era un elemento fisso del­l'istruzione. Vediamo infatti che IPPOLITO parla molto volentieri del porto sereno della verità (της άληθ-είας έυδιον λιμένα) 1 1 2 . Anche CLEMENTE ALESSANDRINO

conosce la stessa terminologia 1 1 3 . Nella tempesta della polemica sulla penitenza, seguita alla persecuzione de­ciana, CIPRIANO ammonisce i confratelli vescovi ca­duti a rivolgersi alle Chiese, alle quali veniva ricono­sciuta la conservazione incontaminata della verità: « Perché quando un porto di mare, in seguito alla rot-

110 PG 49, 363 B C . 1 1 1 Adv. haer., 4, Prol. 1 (HAKVEY II, p. 144). li' Elenchos, 4, 46 (GCS IPPOLITO III, p. 68, 1. I J S ) . - Cfr. anche

Elenchos, 7, 13 (GCS III, p. 190, 1. 23s): τον ε ΰ δ ι ο ν λ ιμένα. 1 1 3 Paidagogos, 2, 2, 28, 3 (GCS CLEMENTE I, p. 173, 1. 20). In

un brillante discorso contro l'ebrità.

964 L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI

tura delle sue dighe protettive, diventa una minaccia alla sicurezza delle navi, non cercano forse i marinai di dirigere le loro imbarcazioni verso altri porti vicini, ove si possa attraccare senza pericolo?... Così noi dob­biamo accogliere con generosa e benevola gioia i fra­telli, che fanno rotta verso il porto salvifico della Chie­sa »114. Per AMBROGIO il sinodo indetto per lo scisma melaziano è un « porto della tranquillità dopo il nau­fragio della pace ecclesiastica»115; e nel Commonito-rium VINCENZO DI LÉRINS ammonisce gli eretici a vo­lersi « ritirare nel sicuro ancoraggio della loro dolce e buona madre, per poter così dissetarsi nuovamente al rivolo dell'acqua viva e zampillante » 116. Il porto della fede immutabile conservata dalla Chiesa è l'immagine costantemente opposta al « naufragium fidei » 117. In essa è racchiusa l'antica convinzione cristiana di ciò che noi chiamiamo l'infallibilità della Chiesa. Secondo una espressione di ISIDORO DI SIVIGLIA, la Chiesa è « il porto della fede per tutti coloro che sono in pericolo di per­derla »118 ; in lui risuona ancora una volta ciò che, ri­salendo attraverso Ambrogio sino ad Ippolito, è stato detto a proposito della benedizione di Giacobbe a Zà­bulon: « La Chiesa ha già eretto la sua abitazione al di là delle ondate di questa vita e così può superare le tentazioni e tempeste di questo periodo terreno »119.

La Chiesa non è soltanto il porto della verità, ma, nella sua mistica identità con il Cristo risorto, che già

114 Epistola 68, 3 (CSEL 3, p. 746, 1. 8-12). 115 Epistola 5(5, 2 (PL 16, 1170B). "' Commonitorium, 20 (PL 50, 666 B). "> Cfr. ad esempio VITTRICIO DI R O U E N (PL 20, 456 A). 118 PL 83, 281 A. " · PL 83, 106 B.

L'ARRIVO IN PORTO 965

si trova sull'altra riva, è anche, in senso molto ampio, il « porto della salvezza », come la chiama EUSEBIO

(σωτηρίας όρμος) 120. La barca della Chiesa è già nel­la pace e ormai giunta in porto, predica Pier CRISO-

LOGO m . Essa è il « porto senza tempesta di Cristo » 122. In una sua predica AGOSTINO ha descritto con vivaci­tà questa dommatica della certezza della salvezza, espres­sa in immagini, descrivendo con tutta l'arte della sua eloquenza una tempesta marina, in cui la nave in pe­ricolo non può servirsi del timone né della vela : « Tut­to ciò che resta ai marinai è rivolgere preghiere e grida al Signore. Egli dunque, che accorda ai naviganti lo ingresso nel porto, dovrebbe forse venir meno alla sua Chiesa e non condurla alla tranquillità? » 123. Certo, i Padri a volte dipìngono anche il naufragio della sal­vezza, che può aver luogo in mezzo alla calma non ancora completa del porto, e in questa dottrina espressa in immagini l'antico detto del « nufragio in porto » ri­ceve un completamento dommaticamente profondo m. Ma la gioia cristiana per la salvezza assicurata e defi­nitivamente iniziata nella croce e nella resurrezione del Signore ha sempre l'ultima parola nell'antica ecclesio­logia cristiana. La salvezza infatti è assicurata dalla

120 Vita Constantini, 3, 63 (PG 20, 1139B). - GCS Eusebio I, p. i l i , 1. 12).

121 Homilia 149 (PL 52, 598 B): nHodie ecclesiae navis in portu est et haereticorum furor iactatur in fluctibus ».

122 Nella lettera di PALLADIO DI SUEDRA ad Epifanio all'inizio déH'Ancoratus (PG 43, 16 B).

123 Sermo 75, 3 (PL 38, 476 A). - cfr. una raccolta della simboli­ca della nave e del porto in Ilario nell'introduzione di W. ANTWEILER, BKV, 2 ed., Ilario I, 1933, p. 22-24 .

124 Oltre ai testi che abbiamo già presentato nel capitolo sul « Naufragio ». cfr. ad esempio CIRILLO ALESSANDRINO (PG 77, 996 A). - AMBROGIO, De qfficiis, 2, 2, 7 (PL 16, 105 C).

966 L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI

morte in croce del Signore. La Chiesa, per citare an­cora una volta un'espressione di IPPOLITO, è « come una nave; ha con sé Cristo in qualità di esperto pilota e porta nel suo centro la croce del Signore, il segno di vittoria contro la morte »125. Perciò, a buon diritto, abbiamo presentato questa trattazione sotto il titolo generale di « Antenna Crucis ». Ed ora, giunti alla fine, ritorniamo all'inizio, ove CLEMENTE ALESSANDRINO di­ce : « Il Logos di Dio guiderà la tua nave, il santo Pneu-ma ti farà ritornare nel porto del cielo »126.

La Chiesa è in pellegrinaggio e tuttavia è già ar­rivata. La sua celeste terrestrità è incancellabile della sua fisionomia. Come la teologia odierna torna a sot­tolineare e come i Padri dell'antichità già sapevano per­fettamente, essa è il grande sacramento del Regno di Dio, la Madre che muore nel diffondere la vita, la luna che decresce accostandosi al sole Cristo, l'arca da cui esce salvata la famiglia di Dio quando è approdata nel regno della pace. Non abbiamo incontrato nella teo­logia patristica nessuna espressione più bella di quella scritta da IPPOLITO nella esegesi a Prov 25,54 (LXX), per esprimere questo transito escatologico della Chiesa visibile nel Regno invisibile. Il Sapiente dei Proverbi si meraviglia che la nave viaggia per mare non lasci alcuna orma dietro di sé. A questo proposito IPPOLITO dice:

« Cosi neanche la Chiesa. Essa viaggia ancora at­traverso il mare. Ma ha lasciato la propria speranza die­tro di sé sulla riva, poiché la sua vita è già ancorata in cielo »127.

128 De antkhristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39S). 121 Ptotrepticon, 12, 118, 4 (GCS I, p. 83, 1. 27). 127 Frammento 27 su Prov. 30,19 (Volgata) (GCS IPPOLITO I, 2,

P- 165)·

I N D I C E

INDICE ANALITICO

NB. - L ' e s p o n e n t e rimanda alla n o t a del la pag ina ci tata .

A

ABRAMO, significato allegorico dei 318 servi, 711SS.

ABYSSUS, profondo del mare, se­de del diavolo, 483SS, 4981 '5.

ACQUA E LEGNO, 758; = croce

e battesimo, 886, 889, 959. ACQUA LUNARE, 235SS.

ACTA ARCHELAI, 55313°, 560155. ADAMO, il suo corpo giacente

nell'arca di Noè, 885, 915"*; peccato originale, 780, 884; la tomba sul Golgota, 885; Adamo-Noè-Cristo, 902; tipo di.Cristo, 887; naufrago, 755.

ADAMO DI S. VITTORE, 733.

AGOSTINO, dottrina del Verbum coriìs, 19S, 23; dottrina della nascita di Dio dalla Chiesa, 97-103; in Eckehart, 140S, 149S; allegoria della luna, 155, I 6 I 1 2 , 16213; teologia lunare, 216-227; 269S; resurrezione della carne, 277S, 284; esegesi di Giov 7, 37, 328, 331; 339126, 402; canto dei marinai, 405S, 447s, 457; simbolica del mare, 468, 487S; Neptunalia, 474, 485; 500, 5124; dottrina della navicella della vita, 554, 55413a; 56o1M, 564, 577, 581; dia­lettica del legno della croce e della Chiesa, 599S; 608, 668, 670S, 675S; su Ezechiele 9, 4, 7ios; 713, 721, 741, 74748,

748, 763s, 766; Pietro come pescatore, 827; 836, 843; Chie­sa come arca di Noè, 867; 889, 892, 905, 918, 92OS, 924S, 9302", 932S, 937, 940, 957, 9°5-

Aio, come fanciullo, 34. AIMONE DI HALBERSTADT (?),

2 3 " . ALANO DI LILLA, 267127, 457',

526. ALBERO E ANTENNA nell'antica

mitologia, 62os; albero = cro­ce, 581; 582-590, 614S; albero e antenna come croce, 634; come trofeo della nave della Chiesa, 611-659.

ALBERTO M A G N O , 116, 800.

ALCEO, 537-

ALCIFRONE, 530 S S .

ALCMANE, 240S, 417, 583. ALCUINO, 935.

ALDELMO, 232 a , 434, 688s. ALESSANDRIA, 544.

ALESSANDRO D'ALESSANDRIA, 222°,

549, 595, 753-ALESSANDRO III, papa, 862. ALPENO, 634.

ALTERCATIO SIMONIS ET T H E O -

PHILI, 22, 710.

ALTIBURO, mosaici nautici, 615, 620, 648.

AMBROGIO, I8» , 1910, 22 1 9 . 2 0 , 2 3 M ; dottrina della nascita di Dio, 92-98 ; senso mariano, 96S; mariologia, 95ss; 1527; alle­goria della luna, 15315, 155S;

970 INDICE ANALITICO

teologia lunare, 205-216; 263-266; 248" , 254a>; 27626, 28os, 28682.63, 29613; teologia del­l'acqua viva, 321-326; senso di Giov 7, 37, 32Ss, 382-390; 334s; 401 ' , 410" , 414; le sirene, 421S, 43 i s ; Ulisse, 444SS; 45912, 484S, 490, 495, 502; la Chiesa come nave, 509; 511, 523, 536, 548111, 552S, 559151, 585S, S89, 598 ; la croce come trofeo della Chiesa, 656; 659143, 665, 698, 712S, 716, 719S, 722, 741, 742S; canto funebre per il naufragio, 744; 746, 752S; 758; naufragio nella fede, 762S; 764S, 765124, 767; dottrina della penitenza, 784; Pietro come pescatore, 827; dottrina della Chiesa co­me nave di Pietro, 830S; 8S3130, 87219, 89is, 895S, 912, 917, 95L 952. 957. 962, 964-

AMBROSIASTER, 6052, 763. AMMONIO, 1539.

ANAITIDE, 246.

ANARCHIDE, 572186, 574. ANASTASIO I, papa, 846S. ANASTASIO SINAITA, 74, 15310,

169; C o m m . in Exaemeron, selenologia dommatica, 199-205; 229 1 " , 246*°; mistica lunare della Chiesa, 257-262; 284S, 288, 909.

ANDREA DI CRETA, ÓOOS, 606302,

954-ANELLO DEL PESCATORE, del papa,

829S. ANFILOCHIO D'ICONIO, 668.

ANGELO come timoniere del­l'arca, 885, 885»2.

ANSELMO DI CANTERBURY, 838.

ANSELMO DI HAVELBERG, 839.

ANSELMO DI LAON, I I J M , 604,

686, 794. ANSELMO DI LUCCA, 835.

ANTENNA (xspaloc, antemna, an­tenna), etimologia, 617S; tecni­ca dell'antenna, 6 I 8 S S ; fortuna e pericolo per la nave, 625S; nel mito ellenistico, 627S ; sim­bolo etico, 629-633; croce, an­cor prima del cristianesimo, 63 3s; simbolo della ' buona nave ', 624S ; croce sulla nave dell'anima, 657-669; a. della Chiesa = la croce, 676, a. della croce e archeologia, 680-685.

ANTHOLOGIA GRAECA (sei.), 405,

4092».ss, 508, 584, 740".1 2 .1 3 .1 4 ; 74223, 744s», 747, 749", 773158, 942, 948 5 0 . " .

ANTICHITÀ E CRISTIANESIMO, 148S,

638S. ANTIFILO, 5293V, 53353, 575S, 586. APAMEIA, 880; monete di Noè ,

872" . APOCALISSE DI BARUC, 886.

APOLLINARE DI GERAPOLI, 362.

APOLLINARE SIDONIO, 624S.

APOLLIONE, 483.

APOLLONIO R O D I O , 771.

APONIO, 330.

APULEIO, 161, 16525, 233, 236" , 238, 239" , 241, 272S, 27523, 558, 591, 615S, 619S, 94426.

AQIBA, Rabbi, 310. ARATO, 405" , 460, 529311, 558,

S7S-ARATORE, 828.

arbor = albero della nave = cro­ce, 6145, 758.

ARCA DI N O È , letteratura, 865 l , 87426; reliquie dell'A., 78OSS; nave della salvezza nella tradi­zione tardogiudaica e giudeo-cristiana, 870-886; nella storia del dogma della chiesa primi­tiva, 923-938; Arca (Chiesa) nelle controversie sulla peniten­za del III secolo, 929-933; fi-

INDICE ANALITICO 971

gura della Chiesa dei peccatori, 926-929; simbolo della Chiesa, 577, 75<S, 835. 869S, 876, 88ós, 899-911, 923SS; A. e legno della croce, 707, 888-893 ; Arca e battesimo, 893-899; nella consacrazione dell'acqua batte­simale, 897SS; misura dell'A., 905S, 912, 917, 920; Arca = corpo umano (corpo di Cr i ­sto), 917S, 934; Arca e ' Città di D i o ' , 88038; grembo ma­terno del nuovo mondo, 869, 889S, 911-917; figura del grem­bo materno della Vergine Ma­ria. 936; 565, 58is, 591-

ARCHIPPO, 746.

ARGONAUTI, la santa nave, 529S, 582, 628, 742, 771S.

ARISTIDE, 1683», 169", 282" , 567"».

ARISTOFANE, 532, fin, 63os, 637. ARISTOTELE, 160, i6422, 236, 242,

2714, 274S, S i 9 " , S2i l a , 540, 546. 617.

ARNOBIO, 16212, 563. ARNOBIO IL GIOVANE, 232 8 .

' ARRIVO I N PORTO ' , titolo di

una liturgia siriaca, 9391, 953. ARTEMIDE e Selene, 245. ARTEMIDOHO, Libro dei sogni,

243, 531» 59i, 634, 703" , 745. artemon = vela anteriore, 616, 683. ascendere nauim, espressione nau­

tica, S9ó272. ATANASIO, 22*0, 191, 198116,

3 2 1 " ; lettere pasquali, 313S. ATENAGORA, I 6 8 S , 557.

ATENEO, 618.

A T T I DI APOLLONIO, 2013.

A T T I DI GIOVANNI, 9$i e° .

A T T I DI TOMMASO, 95372.

ATTONE, 792S. AUSONIO, 679, 692.

AVIENO, 4.06.

AVITO DI VIENNE, 5 7 1 " 5 , 859,

921.

B

BALENA (cete), 488183. BARSANUFIO, 958.

BASILIO, 1 9 " , 6810 , 15311, 211, 247, 2 5 4 " , 270', 27626, 316S, 404, 503S, 506, 585, 605, 7453 ' . 763. 94<5-

BASILIO DI SELEUCU, 536, 826S,

871, 888. BATTESIMO, formazione della

Chiesa, 15S; principio della na­scita di Cristo nel cuore della Chiesa e dei credenti, 2Sss; raffigurazione della nascita del Logos, 26s ; nascita di Dio, 44S ; battesimo di Cristo come na­scita, 6052; grazia battesimale come nascita e trasformazione, 76; nascita di Cristo dalla Chie­sa, 98 2 0 ; nascita dalla Chiesa, 251S, 255; acqua lunare, 254»0; dal grembo materno del fonte battesimale, 26OS, 266s; vi t to­ria sul fato, 279; croce e acqua, 359s, 36ÓS, 443S; apotaxis nel battesimo, 4259 3 ; B. come pri­ma tavola della salvezza, 757; B. e Mar Rosso, 757; B. e nave della Chiesa, 780S ; diluvio uni­versale, 889; B. e Arca, 893-899; fonte battesimale come grembo materno, 9I41™. 916179; principio dell'ultimo approdo, 955; ' acqua della pace ', 955 ; consacrazione del­l'acqua battesimale, 897S; Bat­tistero del Laterano, 394.

BEATO, 113.

BEDA, 172, 2325, 1081, 1152*, 602, 608, 672, 685S, 687, 697, 7 5 7 " , 8ios, 829", 871S, 922, 934, 940, 949-

972 INDICE ANALITICO

BELLARMINO R., 807S BERENGOSO DI TREVIRI, 723, 725-

BERNARDINO DA SIENA, 526.

BERNARDO DA CHIARAVALLE, 2 4 " ,

109, i n ; la sua Scuola, I26s, 434, 9 2 6 " ' .

BEROSSOS, 162" .

BOEZIO, 159, 404, 463, 464, 566.

BONAVENTURA, 112, 589, 6o4a95, 803S.

BONIFACIO I, papa, 847. BONIFACIO IV, papa, 860. BONIFACIO Vili, papa, 836", 863,

866*. BRUNO DI SEGNI, 131.

C C A D M O , scopritore della lettera

Tau, 700" . CAEDMON, 934.

CALCIDIO, 2348. CALLISTO, papa, 926S. CALVINO, 806.

CARLO M A G N O , timoniere del­l'Arca (Chiesa), 935.

CARMEN ADV. MARCIONEM, 372,

718, 916. CARMEN DE PROVIDENTIA, 330.

CARONTE, barca dei morti , 527S, 550, 586.

CASSIO D I O N E , 541S.

CASSIODORO, 188, 4 4 1 " 6 , 5293B, 584, 602, 672, 942.

CASTORE DI R O D I , significato

simbolico dello stare sopra la luna, 2762S, 27834.

Cathedra Petri, 817-823. CATONE, 4 5 9 " .

CATULLO, 629.

CELESTINO, papa, 748, 848. CELSO, 309S, 403, 469, 594. CESARE, 45910, 622, 627. CESARIO D'ARLES, 103S, 2703, 327,

377, 468, 474, 720, 787, 844»», 9ios, 954-

cetus, simbolo del diavolo, 488SS. CHIESA, posizione nel sistema

dommatico, 8s ; nel sistema teo­logico dei Padri, ios ; la C pre­esistente, 890'8, 901; fine della creazione, 567; C. e cosmo, 565; C. quale polis, psyche e cosmos del mondo, 569; dialettica della sua esistenza, 45 5s, 5 I I S , 6o8s, 966; in viag­gio verso se stessa, 962S; ge­nera se stessa, 15S; previsto porto dell'incerta sicurezza, 41OS, 413S, 939S, 958s; nave e porto nello stesso tempo, 764 ; meraviglioso viaggio mortale, 608 ; C. dei peccatori, 924, 926 ; imitazione della vita e della morte di Cristo, 593; teologia della C. votata alla morte, in Origene, 178-185, in Cirillo Aless., 195-198, in Teodoreto, 192SS, in Ambrogio, 209-216, in Agostino, 2i6s, 224SS; extra Ecclesiam nulla salus, 867', 92OS, 925205; C. e anima singola,

4415, 55, 73, I77S, 5M, 554, 6o8s, 665, 668, 7651 2 4; fonte del Paradiso, 345; fonte del­l'acqua viva, 352SS; paradiso con quattro fiumi, 367, 372; arca (v. Arca), 400, 835, 865, 870, 886, 899-911; C. = navi­cella di Pietro, 400, 811, 813, 814, 820,824,829-838; madre di Cristo, 39SS, 48S, 57, 73 ; don­na dell'Apocalisse, 58,113-116; virginea madre dei credenti, 29S ; C. di R o m a come ' Madre di tutte le Chiese ', 8 n s ; sposa ' senza macchia né ruga ', 669; luna (Selene), 149, 169-186, 203S, 225S, 246-268; dalla piaga del costato di Cristo, 346s, 367S, 370, 375, 37<5101, 388, 922;

INDICE ANALITICO 973

C e Maria, 3 1 " , 55, IOIS , 353;

Chiesa come nave, letteratura, 3971; C. come nave, 410, 411, 455S, 515-527. 545, 646; nave che porta il popolo, 536; pa­drona della nave, 543 M ; C. = viaggio in nave, 399; C. e pesca nel mare cattivo, 508; C. come nave nel mare diabo­lico, 497, 499, 501 ; C. univer­sale al sicuro dal naufragio, 765; salvezza dei naufraghi, 759; forza antidemoniaca, 482; in viaggio verso la ' Città del grande Re ', 659143; C. e croce, 224S, 453; C. e legno della croce, 402S; nave costruita col legno della croce, 456, 571-590, 592; C. = nave di legno e chiodi, 59is; nave e t imone costruiti col legno della croce, 607; nave della Chiesa = Cri­sto crocifisso, 599; C. ed esca­tologia, 226SS, 269S, 453S, 939; C. e resurrezione della carne, 270S, 283, 565; porto dell'ul­t imo sbarco, 513, 600, 962-966.

CHIESA VESCOVILE come arca,

9ioss. C H I O D I di ferro nella nave e nella

croce, 59OS; pratiche magi­che con i chiodi della croce, 591-

CICERONE, 2 3 4 " , 23514, 244, 245, 272, 420, 461, 516, 532, 53356.57,58; 53581, 5 3 9 7 8 > 5 4 2 ;

556. 559, 6 4 2 " . 747, 750, 777. 944-

CIPRIANO, 21 1 6 , 29611; teologia della Chiesa, 367S; Testimonia, 3655, 708, 761, 765, 843, 845, 852, 85613S, 8675; polemica sul battesimo degli eretici, 930, 931, 948S, 950, 963-

CIPRIANO GALLO, 916.

CIRILLO D'ALESSANDRIA, 1910,

63S; dottrina della nascita di Dio, 69-73; I53 a ; selenologia mistica, 195-198; 315; 334,423, 429, 732, 825, 888, 89710S, 952.

I CIRILLO DI GERUSALEMME, 283",

| 316, 332SS, 895, 908. CLAUDIANO MAMERTO, 462" .

1 CLAUDIO CLAUDIANO, 626, 629.

| CLAVIS MELITONIS, H O 1 1 , 267,

j 389 1 " , 488133. CLEANTE, 235.

CLEMENTE D'ALESSANDRIA, I 8 S ,

26", 27 s . 9. 10, 2 8 " . 14, 2915. 3ni6_ I?# 18 ^o19 5950 7730,

ì 165S, 2 3 5 " , 246", 27521, 279, 285, 301, 310, 41OS, 412S; le

1 sirene, 418, 424S; Ulisse, 412S, : 440, 441, 442, 464" , 467; sim­

bolica del mare, 475; 506, 531, 553, 7o6s, 713S, 767, 90413!, 940, 955" , 956S, 963. 9 6 6 -

CLEMENTE IV, papa, 830.

CLEMENTE R O M A N O , 900.

CLIMACO, 769, 958.

COCCODRILLO, simbolo del dia­volo, 478*', 481, 477.

COLOMBANO, 860.

COLUMELLA, 46019.

CONCILIO LATERANENSE (1215),

725-CONCILIO DI N I C E A , 318 vescovi,

715-CONCILIO VATICANO I, 924S. CONSTITUTIONES APOSTOLICAE,68. CONSULTATIONES ZACHAEI ET

APOLLONII, 373.

cor = Y)YE(J"ovlxov in Origene, 3051 8 ; in Ambrogio, 322; cor— xotWot = venter=uterus, 363S, 368S, 372, 379-

corna — antenna, 673 ; 617, 624. COSMO, come nave, 555. COSTANTINO, imperatore, come

timoniere, 543, 550, 753.

974 INDICE ANALITICO

COSTA MTINO POHFIROGENITO, im­

peratore, 544. COSTITUZIONI APOSTOLICHE, nave

della Chiesa, 52OSS; 823. CRISIPPO, 235, 551.

CRISOLOGO, 498, 511S, 523, 568,

763, 768"», 810, 828, 8662, 954™, 956, 9ÓS-

CRISOSTOMO, 68S, 6811 , 15314, 248, 318, 320, 333, 506, 522, 568, 635, 668, 755, 826, 854S, 871, 888, 913S, 942, 963.

CRISTO, nalq 8-soù, 26s; luogo di riposo dello Spirito Santo, 384S; il ' trafitto ', 307, 362, 364, 371S, 375; roccia, 363, 366-369, 372, 373, 375. 377, 388, 39OS; roccia dell'acqua viva (1 Cor 10, 4), 306S, 345, 355s; Cristo e la Chiesa 147; timoniere della Chiesa, 513, 608, 554; 843, 954, 966; dor­miente sulla nave, significato escatologico, 596, 605, 815S, 8 1 5 " ; nella tempesta, rappre­sentazione pittorica, 6032 9 1 ; Cristo = navis, 593 ; alto abete, 589; Ulisse, 444s; crocifisso all'albero della Chiesa, 666; sulla croce dell'antenna, 674S; timoniere, 820; Cristo come Noè, 870, 876, 889, 891, 893, 901, 904, 907112, 909, 912, 921, 933; il corpo di Cristo come arca, 9181 8 8 ; timoniere del­l'arca, 895, 903, 909; Cristo e i Vescovi della nave della Chie­sa, 851; approdo per le barche delle Chiese, 961; porto del­l 'ultimo sbarco, 953.

CROCE come nave, 577; di legno e chiodi, 59OS, 593; chiodi della croce come strumento magico, 591; C di tre specie di legno, 587S; segno cosmico,

8929 0; legno della croce ed arca di Noè, 868, 888-892; tavola della salvezza, 738 ; legno della croce e battesimo, 758; legno della croce e acqua, 359; come signum, 706S, 724; lettera Tau, 709, 72OS; crux commissa et immissa, 721, 726, 727S; legno della vita, 594; forma di croce nel corpo umano, 5481 1 1 ; C e Cristo crocifisso nell'ar­cheologia, 68 is ; segno della croce, 6126, 6911 , 693, 698, 71049; 7115 5 ; segno della croce come antenna, 6óos; C. e an­tenna, influsso sul simbolo e l'arte, 669S; C. e Chiesa, 399, 456, 57is, 589S; C. come albero della nave della Chiesa, 436, 443, 444, 446S; antenna della Chiesa, 676 ; costruita con l'al­bero e l'antenna, 634; come albero della nave e segno di vittoria, 966 ; come trofeo nella nave della Chiesa, 611, 664S; timoniere e porto della Chiesa, 954; sicurezza della nave, 9S2S.

CROMAZIO, 6 7 8 " ' , 692S. CUORE, cfr. cor; sorgente e sim­

bolo della vita, 17-24; antica psicologia del C, 17S; simbolo dell 'uomo interiore, i8s; fonte dei pensieri, 17S; grembo ma­terno della sapienza, 18; dot­trina del Verbum ccrdis, tgs; C dei credenti come grembo materno per Cristo, 42; Eckhart, 139.

cursus, termine nautico, 567178. CURZIO R U F O , 627" .

D

DAMASO, papa, 853S. DANTE, 267, 286s; Ulisse in Dan­

te, 441 1 5 9 , 462.

INDICE ANALITICO 975

DECRETUM GELASIANUM, 8531". DEMOCRITO, 744.

DEMONOLOGIA, cristiana e antica, 48os.

DEMOSTENE, 540.

DEUCALIONE, mito dell'arca, 873S. DEUSDEDIT, 824.

DIDACH, 2013.

D I D I M O D'ALESSANDRIA, 314,

334"*, 489, 757, 905S. DILUVIO UNIVEBSALE nella pri­

mavera pasquale, 952; batte­simo del mondo, 896, 900, 905S; tipo del giudizio del mondo nel fuoco, 880, 882, 88247.

D I O N E CRISOSTOMO, S31, 574.

DIONIGI D'ALESSANDRIA, 1910,

2 1 " , 187. DIONISO, sorridente fanciullo di­

vino, 34. D I O S C U R I , 6 3 I , 6 3 I 7 2 , 6 Ó 7 1 6 S , 942.

DIOSCUHIDE, 742.

DIOSCURIDE LATINO, 591261.

DRACONZIO, 62862.

DRAGO, simbolo del diavolo, 490-

496, 497S-DROGONE, 922S, 9 2 3 2 0 1 . DUNGAL SCOTO, 414" , 434,

4411 5 6 , 724-D U N S SCOTO, 804243.

E

ECKHART, 4 4 " , 8451, 89, 9922,

105, 107, 109, 113, 115S, H7s ; fonti patristiche della dottrina, 125S, 133-143; E. e Origene, I35S.

ECUMENICO, ruolo del Vescovo di Roma , 844-851.

EEREM SIRO, 502, 907S.

EMPEDOCLE, 160, 1631B.

ENNODIO DI PAVIA, 624, 858.

EPIFANIO DI SALAMINA, I I 8 8 5 ,

526", 894, 956.

EPITTETO, 562, 772.

ERACLIO, gnostico, 332 e . " . ERACLITO, 419, 439.

ERMA, 5 1 " ; teologia penitenziale, 743, 890", 946.

ERMENRICO DI ELLWANGEN, 935.

ERODOTO, 772.

ERRATO DI LANDSPERG, 434,

449-ESCHILO, 463, 4Ó438, 538, 582,

625, 628, 772, 947, 948" . ESDRA, 4° libro, 884, 891.

ESICHIO, 423.

ESIODO, 217, 417, 743.

EUCHEBIO, 331.

EÙSia, 960, 961 I o a , 963. sij7tAoia, 94534. EURIPIDE, 417S, 424S, 42593, 531,

586. EUSEBIO, 198116, 2311 , 245" , 2495,

316, 423, 43°119> 543, 555, S57. 561, 569, 575, 655, 699S, 761; la barca di Pietro come Chiesa di Cesarea, Antiochia e Roma , 825S, 949, 965-

EVA, 87729. EVAGRIO PONTICO, 8o 4 ° .

EZECHIELE, visione e. 4, 9, 6945, 708 ; visione, raffigurazione, 734115. u t ,

EZNIK DI KOLB, 250, 27312.

E Z Z O H E D , 399, 668.

F

FARO, simbolica, 945S. FAUSTO DI R I E Z , 6751B2, 715,

71789. FELICE II, papa, 849.

FERECIDE, 244" , 470, 471.

FESTO, 636, 651123 .

FILOLAO. 235" , 250.

FILONE D'ALESSANDRIA, 184, 1 9 " ,

161, 238, 249, 272, 302, 306, 30929, 321, 495, 748. 873, 912. 917.

976 INDICE ANALITICO

FILOTEO DI COSTANTINOPOLI,

57i1 8 s , 601. FIRMICO MATERNO, 163, 1662',

256" . 373, 552129. 675. 74434, 749. 75°'°-

FlRMILIANO, 931. FISIOLOGO, 389 1 " , 429, 430115. FOCHE, simbolo degli eretici, 504. FRAMMENTO MURATORIANO, 819.

FRONTONE, 563S, 652.

FULGENZIO AFRICANO, 529".

FULGENZIO DI RUSPE, 2 3 2 \ 932.

G "{a.Xr^-1) [serenitas), calma come

simbolo, 945, 946, 947, 948, 949» 95 is ; 4Ó438. 4 0 ; significato morale, 464, 4Ó4S«.40; pace ecclesiastica e politica, 96os; virtù del monaco, 958.

GAUDENZIO DA BRESCIA, 285 B » ,

329, 897, 9322M. GEDEONE e i 300 uomini, 707S. GELASIO, papa, 849, 856.

GEMATRIA nel Talmud, 702, 704;

cristiana, 714, 721, 729S. GENNADIO DI MARSIGLIA, 114.

GBRHOH VON REICHERSBERG,

393145-GERMANO DI COSTANTINOPOLI,

447, 606. GEROLAMO, 18'. ", 222176, 2271»5,

2814 7 ,295; esegesi di Giov 7,37, 326S, 379S, 385; 335S, 33®, 4O0s, 414, 422, 430, 432, 484, 490, 492, 496, 504, 508211, 53353 56)

583, 597, 612, 6591" ; il segno di croce, 663 ; 697, 698, 710, 748, 7 6 3 " 5 , 768S, 779, 783, 788, 817, 825, 842S, 86ós, 871, 896, 910, 915, 928, 932225. 2 2 \ 953, 957-

GEROLAMO DI GERUSALEMME, 74S.

GIACOMO DI . SARUG, 600.

GIOTTO, Navicella Petri, 863.

GIOVANNI APOSTOLO, come pro­

feta, 348" . GIOVANNI CALECA, 3i750 .

j GIOVANNI DAMASCENO, 571 " * ,

607, 915, 919. GIOVANNI LIDO, 246.

GIOVENALE, 407, 574, 625, 774.

GISLEBERTO DI WESTMINSTER,

2281 M . I GIULIANO DI ALICARNASSO, 433.

GIULIANO L'APOSTATA, 420, 732.

GIUSEPPE FLAVIO, 870, 88is.

GIUSEPPE DI TESSALONICA, 577,

606. GIUSTINO, 1910, 2 1 " , 28», 5950,

6052, 2548s , 279; dottrina del­l'acqua viva, 357s; 399, 43613 ' , 580; teologia nautica, 639-642; 873, 889S, 912, 960.

GLOSSA ORDINARIA, 794 2 " , 829.

GNOSI , cristologia, 33.

GOFFREDO BASTONE, 1096.

j GRAZIANO, Decreto, 793, 835.

GREGORIO DI ELVIRA, 2221; Trac-

tatus Origenis, 374; 6785, 693, 710, 719, 757, 888, 906, 92921».

GREGORIO M A G N O , 2325 , 1071,

io82 , I4013 , 148=, 330S, 3391", 457; simbolica del mare, 486; 490, 494, 498, 501, 5135. 721. 741, 791S, 836", 837, 861, 953, 959-

GREGORIO NAZIANZENO, dottrina

della nascita di Dio, 65S, 7730, 8ys8; p r e 2 2 0 del plenilunio pa­squale, 191; 317, 407S, 409S, 448, 462" , 467S, 535, 5°416 ' , 565, 570183, 577, 592, 626, 745" , 746" , 74749, 910, 913, 947, 949" , 9SI-

GREGORIO NISSENO, 173 ,188 , 2220,

641 ; dottrina della nascita di Dio, 75-80; 9 4 " , 1 6 3 " , 192, 31238, 317, 4Ó228, 549S, 557,

INDICE ANALITICO 977

564, 585, 613, 636, Ó78S, 692,

753. 962.. GREGORIO II, papa, n o s . GREGORIO VII, papa, 812, 861. GREGORIO DI TOURS, 622, 6721'»,

917. GROTTA DEI TESORO SIRIACA, 885,

8 9 5 " , 904. GUERRICO, I I I S .

I

IDROMANZIA, 477S. IGINO, 472, 529.

IGNAZIO DI ANTIOCHIA, 2013. M ,

960. txpiov = legno della croce = ta­

vola della nave o albero della nave, 595, 617, 738.

ILARIO, 2 3 " , 6052, 331, 458, 484, 495, 500, 716, 763115, 8itì, 827, 909, 932225; simbolica della nave e del porto, 965123.

INNOCENZO III, papa, 130, 414S, 462*"', 468»*; lettera al Katho­likos di Armenia, 725; 809, 839, 862, 866=.

IPPOLITO, i72 , 2 1 " , 2 2 " , 3 3 3 0 . 3 1 ; dottrina della nascita di Dio, 37-42; Maria e la Chiesa, 39S; 9 i s ; 923, 162, 23516, 2714, 269»; esegesi di Giov 7, 37, 344-348; 401' . a, 410; 429, 43is; Ulisse, 4I3S, 436112, 443S, S02, 5I24 ; catalogo navale, 5iós; 565 1" , 578205, 585, 606; teologia nau­tica della croce, 645SS; 652, 722, 765, 810, 816, 871; l'arca, 903; 908, 9 1 3 1 " ; 926S, 961, 963112 , 966.

IRENEO, 8S, I O ; teologia batte­simale, 305; 51 3 4 ; Chiesa e Maria, 31 , 291, 2958; teologia di Giov 7, 37, 348-355, 357; 57i l a b , 893, 901, 902, 912, 919, 963-

ISACCO DELLA STELLA, I H 1 6 .

ISIDE, luna, i6639 , 240, 242; are-talogia di Iside, 2466»; Iside = Selene, 275; Iside e naviga­zione, 529; Iside e nave, S44', nome di nave, 615.

ISIDORO DI SIVIGLIA, 16213, 228195, 267, 392, 468, 539 , g , 675, 687S, 70025, 70332, 723, 933, 964.

ITA VON W E Z Z I K O N , 551.

KEBES, Pinax, 748. ; KEMNITZ M., 806.

L

LABARO, 544, 655.

LAICI nella Chiesa, 522, 52220; i nella nave della Chiesa, 566, j $66"". ! LATTANZIO, 173, 6o52; 408, 542, j 54<5, 559, 777, 881, 954-I LEANDRO DI SIVIGLIA, 462" .

LEGNO, principio di peccato e di salvezza, 57IS; il legno sprege­vole: dialettica sul mare, 573; antica simbolica cristiana del L-, 579s; espressione a Ugno in

1 Sai 95, io, 579S; i tipi di legno coi quali si costruisce la nave e ia croce; abete, pino, cipresso, 582-588; legno della vita = croce, 594; legno e acqua, c ro­ce e battesimo, 895S, 908S.

LEONE M A G N O , 208136, 394, 844.

LETTERA DI BARNABA, 2 0 " , 251 ,

359, 379, 891. LETTERA DI DIOGNETE, 279; p ro­

blematica del capitolo conclu­sivo, 4212.

LETTERE DELL'ALFABETO come m o ­

tivi ornamentali nelle antiche rappresentazioni cristiane, 728SS.

LEVIATHAN, simbolo del diavolo, | 487, 488, 492.

978 INDICE ANALITICO

LlBANIO, 403, 41864. LIBERIO, papa, 716. LIBRI CAROLINI, 935.

LIBRO DI ENOCH, 8772a, 878, 883.

LIBRO DEI GIUBILEI, 87219, 884.

LIBRO DELLA SAPIENZA, simbolica

nautica, 575, 576. LIONE, Lettera dei Martiri, 296" ,

353-357-LITURGIA BIZANTINA, adorazione

della croce, 601. LIVIO, 535, 627

LOGOS, nascita dal cuore del Pa­dre, 22S, 93S; la dottrina del ' V e r b o saltante' , 22s; t imo­niere del mondo, 562.

LUCANO, 586, 619, 651.

LUCIANO DI SAMOSATA, 242, 5275,

534, 5<5o, 563. 59i, 62is, 625, 636, 652, 700, 744, 749, 773, 776, 874.

LUCIFERO DI CAGLIARI, 93 is.

LUCILIO, 615.

LUCINA = luna, 24564. LUCREZIO, 6 2 9 M , 633, 746.

LUDOLFO DI SASSONIA, 551.

LUNA (cfr. Selene), nell'arte cri­stiana, 227196; luce propria o luce del sole, 162SS; Luna = Gerico, 15522, 222; teologia lunare: latina, 205-229, in A m ­brogio, 15315, 207SS; in Ago­

stino, 216-227; in Gerolamo, 2271B5.

LUNA, nella S. Scrittura, 154S. Lunulae, ornamento delle donne

come simbolo della Chiesa, 2 8 1 " .

LUTERO M., opuscolo sul batte­simo, del 1523, 867S; teologia penitenziale, 805S.

M

MACARIO, Omelie, 468, 513, 553132, 554"S 576, 958.

MACARIO CRISOCEFALO, 915.

MACCABEI, 4° libro, 911. MACROBIO, 1910, 234«, 237, 240,

245, 249, 260105, 273, 6i92S. MANICHEI , culto della luna, 23930. MANILIO, $2g3', 552129, 560. MANUEL PHILES, 420.

M A R C O EREMITA, 31756.

MARE, del mondo, 458; M. ama­ro, 459-468; M. infido, 406; simbolo del mondo, 402; sede dei demoni e del diavolo, 477-509; nella retorica, 46is; sim­bolo della vita dura, 462S; immagine del male morale, 463S; nella S. Scrittura, 465S; nella teologia patristica, 466S; simbolo del male e del dia­bolico, 469-509; il M. cattivo negli gnostici, 475S, 4851 1 9 ; simbolica del Mar Rosso, 494S.

MARIA, 482 8 ; M. e la Chiesa, 3 i 2 5 ; 103; in Ireneo, 353; nella teologia di Ippolito, 39; in Origene, 45S ; in Metodio, 54S ; in Ambrogio, 96; in Agostino, I O I S ; modello della nascita di Dio dalla Chiesa e dall'anima, 72s, 74S, n o ; 95; M. e grazia battesimale, 45S; portatrice del Logos, 398; significato della donna dell' Apocalisse non ap­plicabile a Maria, secondo Me­todio, 57S; M. madre del t imo­niere della Chiesa, 601 ; arca e grembo materno della salvezza, 936-

M A R I O VITTORINO, I91 0 , 377S.

MARZIALE, 5842S1, 772, 774. MARZIANO CATELLA, 241.

MASSIMO CONFESSORE, 773 0 ; dot­trina della nascita di Dio, 80-88; 117, 713, 722S.

MASSIMO DI TORINO, 104, 2 2 7 " ' ,

265S, 280", 412, 414; predica

INDICE ANALITICO 979

su Ulisse, 446S, 656138, 664; 6 7 S m , 711, 828, 834.

MATTEO CANTACUZENO, 31756.

M E I R , Rabbi , 310. MELEAGRO, 634, 948.

M E I I T O N E DI SARDI, 753.

M E T O D I O DI FILIPPI, teologia bat­tesimale, 54; esegesi di Apoc 12, 57s; i6s, 2 1 1 7 ; dottrina della nascita di Dio, 53-61; protesta contro l'interpretazione ma­riana di Apoc 12, 57S, 113; allegoria della luna, i88s; teo­logia lunare del battesimo, 251-257; 444, 428, 430S; allegoria di Ulisse, 439S; 464, 825.

MICHELANGELO, 551123 . M I N U C I O FELICE, 436 1 " , 438,

559S, 614; teologia della croce, 645S.

MISTICA LUNARE, ellenistica, 150-

169. MONACHESIMO come quaresima

a vita e secondo battesimo, chiostro come porto della tran­quillità, 956S.

MORTE, come naufragio, 549, 742-748, 752S; come porto, 409, 465"».

N

NASCITA DI D I O , nel sincretismo ellenistico, 3 4 " ; dal cuore del Padre, 21 ; nella lettera di Dio-gnete, 4 2 l a ; nella mistica gre­ca, 64S ; dommatica dei Cappa-doci, 64SS; dottrina post-ago­stiniana, 104S ; dottrina del pri­mo medioevo, 107S.

NATALE, origine della festa, 207S. NAUFRAGIO, antica simbolica,

739-750; nella dommatica pa­tristica, 751-770; nei proverbi romani, 75067; nel porto, 7475, 755. 7<53S, 767131, 769, 944,

957, 965 ; simbolica del nau­fragio, 739-770; simbolo della morte, 549; nascita e morte co­me naufragio, 752; N. nella fede (1 T im 1, 19), 501-506, 739* 759-766, 964; naufragio, Nestorio e Acacio, 848-850; N. = peccato originale, 755, 780; i peccati come naufragio, 5o6s, 749s; peccato mortale come N. , 766; simbolo dei naufragi morali, 748; nel m o ­nachesimo, 768; N. nel con­testo escatologico, 756S.

N A V E , letteratura sulla tecnica, S i 5 u ; tecnica della costruzione, 532S, 6148 ; nautica antica e sua tecnica, S1713; nave = corpo umano, 546; concetto femmi­nino, 532; nomi della N . , 409, 532, 562; scafo della nave, divide la vita dalla morte, 407S, 573. 77°; letteratura sulla sim­bolica della N. , 3971; simbolica nautica nella letteratura antica, 527-537; N. dello stato, 537-545; dell'anima, 545-554; del mondo, 555-571; nel sigillo, 411 ; simbolo della Chiesa, 514-527; catalogo nautico dei Padri della Chiesa, 515-525; 52627; Nave = £ùXov, 58624 ' ; di legno, figura della Chiesa, 571S; di legno della croce, 576; di legno e chiodi, 590S; Nave = Cristo crocifisso, 578; Nave della Chiesa, espone ai rischi e protegge, 737S, 752s; navi­cella di Pietro come simbolo della Chiesa, 810-817; 820; N. e porto come simbolo della Chiesa, 939; nel linguaggio li­turgico romano, 567; vita uma­na come pericoloso viaggio in nave, 408, 410, 411 4 1 ; viaggio

980 INDICE ANALITICO

in nave come ' meraviglioso pe­ricolo ', 406, 421, 529; viaggio dell'amore, 53353; viaggio in nave = anticipazione della morte, 745S.

N A V E DELL'ANIMA = navkula ani­mae, 548-552; raffigurazione,

55i-navictila, 810, 811, 813, 814, 815. navkula animae e nave della Chie­

sa, 551; n. Petri, 810. nebulo, il diavolo come n., 485'2 0 ,

498, 506. vr)Sùc; = cor — venter, 356S. NEMESIO, 332, 532, 546, 556,

739s. NETTUNO, Neptunalia, 472SS. NICEFORO CALLISTO, 685.

NICEFORO XANTOPULOS, 581,

582»1. NLCETA DI REMESIANA, 7 8 6 .

NICETA STETATO, 317" .

N I C O L A I, papa, 829, 857. NICOLAOS KALLIKLES, 588.

N I L O , 235" , 26o10B, 276. N O È (Cristo), l'unico salvato, 875,

881, 901S, 908, 908144, 909 1 " ; figura di Cristo, 889, 890, 895, 901S, 904, 907, 907142, 908, 909S, 912, 920-933; ' res to di Israele ', 876 ; araldo della pe­nitenza, 880; N. e Pietro, 86ó2.

N O N N O S , 238, 31759. NOVAZIANO, 851S.

O OCEANO, 472S; antico mito di O.,

472" . O D I DI SALOMONE, 2013, 36i"4. OFFERTA DEI CAPELLI dei nau­

fraghi, 745. OFIONEO, lotta dei Titani, 470. OGDOAS nell'arca di Noè (sim­

bolo della perfezione), 87Ó38, 889, 893, oo8»«, 928*".

OMERO, Ulisse all'albero della nave, 439, 478»", 585, 586, 595, 616, Ó254a, 771, 945S.

O N O R I O D ' A U T U N , 2 3 " , 129*',

139, 412, 434, 44i , 450, 605, j 686, 731, 769, 959. I OPHTHALMOS alla prua della na­

ve, 563"». O P U S IMPERFECTUM IN M A T -

THAEUM, simbolica della nave, 525, 687.

ORAZIO, 40721,46016, 462" , 4Ó338, 537, 626, 746.

ORIGENE, 18 5 . 8 , 21 1 8 , 2219 , 27", 5950 ; O. e il Maestro Eckehart, 4 4 " , 52" , 135S; dottrina della nascita di Dio, 43-53; 793B, 94, n 8 3 s , 152", 154; domma-tica lunare della Chiesa, 169-186 ; raffigurazione astromi-stica del mondo, 170S; Chiesa come Selene, 174; la Chiesa sposa di Cristo, 185SS; 270 l a

280, 287; mistica del Logos e l'acqua viva, 299-308; esegesi di Giov 7, 37, 308-312; in Ce­sario d'Arles, 377; 403, 41 is, 423, 46440; simbolica del mare, 467S, 471, 486; demonologia del mare, 488, 489, 491, 494S, 499. 507, 57I1 8 5 ; 594, 59<5, 694S, 699, 701, 708S, 718, 757, 760, 762, 81614, 817; la nave di Pietro, 825, 872; teologia dell'arca, 904; citato da Beda, 905137, 934; 912. 915; 937, 951-

ORMISDA, papa, 525, 850. O T T A T O DI MILEVI, 758, 897105,

95S-O V I D I O , 407, 420, 463, 465, 547,

615, 62238, 629, 632SS.

P

PACIANO DA BARCELLONA, 784.

PALLADE, 943.

INDICE ANALITICO 981

PALLADIO, 773"" . PAOLINO DA N O L A , 329S, 433,

448, 589, 66os, 666, 679, 693, 732108, 735, 741, 756. 768139, 785.

PAOLO D I A C O N O , 8335.

papa, 811. PARIA, 200120. PARMENIDE, 163, 236" .

PASQUA e plenilunio, 217S, 226s. PASQUA come arrivo in porto,

952. PASTOPORIE, 5 2 1 " .

PATERIO, 2 3 " , 837.

PERLA, simbolo, 241, 2611 0 6 . PETRARCA, 55i1 3 3 . PETRONIO, 46019, 46i24, 622, 670,

683, 74i , 745, 774-PIAGA DEL COSTATO DI CRISTO,

come porta dell'arca, 920. PIER DAMIANI , 707.

PIETISMO tedesco su Giov 7, 37, 393146-

PIETRO, pescatore, 826S; P. e Noè , 835, 866*.

PIETRO LOMBARDO, 16213, 794S. PINDARO, 748.

Pio IX, papa, 925, 936. P io XII, papa, 292. planca, 77316>, 782. PLATONE, 7730, 162, 256, 261,

409, 413, 417, 438s, 4 5 9 " , 460" , 462" , 4Ó438, 472" , 539, 545S, 558, 583, 753, 775, 874", 948; platonici, 402.

PLAUTO, 439, 533=*, 625. PLINIO, 1910, 159, 1 6 1 l l , 237,

406, 410, 584, 585, 591, 615, 62030.

PLOTINO, 548S, 944. PLUTARCO, 160, 163, 164, 166,

233s, 235, 236, 240, 242S, 24564, 249, 272, 27625, 475, 476s, 532, 541, 552, 556, S58, 570, 591, 631, 749as, 775S.

POLICARPO, 579.

PORFIRIO, 24244. PORTO della morte, 408S; 4 6 5 " ;

del cielo, 411; della Chiesa, 4ios; simbolo dell'estremo ap­prodo; 939; simbolica antica, 941-948 ; grembo materno, 94217; simbolo della morte, 944s; porto e approdo, sim­bolo della Chiesa, 95OS; sim­bolo delle verità dommatiche, 963S.

POSEIDONIO, 271, 53IS. PRASSI MAGICA col legno e i

chiodi d'una croce, 591. PREGHIERA come nascita di Dio,

in Origene, 51S. PRIMASIO, I5522. PRIMATO, romano, 809. PRISCIANO, 161.

PROCLO DI COSTANTINOPOLI,

I 6 4 2 3 , 570, 667, 758, 914173. PROCOPIO DI GAZA, 73, 33411!-

PROPERZIO, 407" , 461, 53146, 574, 6s2s.

proreta, 823S; pr. della nave della Chiesa = il vescovo di R o m a , 822, cfr. 51915; vescovo come pr., 851.

PROSPERO D'AQUITANIA, 929.

PROVEREI, nautici, presso i greci e i romani, 628s.

PRUDENZIO, 2 3 " , 714S.

Ps. AGOSTINO, 668, 671, 6 7 5 1 " , 710, 763115 , 814, 837, 887" ,

949-Ps. AIMONE DI HALBERSTADT,

115S, 838. Ps. AMBROGIO, S14, 59326S, 666,

758, 834, 866=. Ps. ARISTOTELE, 558" ' . Ps. ATANASIO, 894.

Ps. BARNABA, 702, 704.

Ps. BASILIO, 423, 956.

Ps. BEDA, 588S.

982 INDICE ANALITICO

Ps. CIPRIANO, De montibus Sina et Sion, 296" , 369S, 580; De rebaptismate, 371; De Pascha computus, 712; Caena, 660, 908, 927.

Ps. CLEMENTE R O M A N O , 167,

519, 7Ó7, 817-822, 87738, 911, 960.

Ps. CRISOSTOMO, 67», 588, 601,

606, 607, 676, 733, 954, 956. Ps. D I O N I G I , 8 I , 886°. Ps. EUSTACHIO, 15313. Ps. FILONE, 882.

Ps. GEROLAMO, 597, 6781 9 ' , 693, 703, 8 i ó " .

Ps. GIUSTINO, discorso ai Greci, 427.

Ps. GREGORIO NISSENO, 1910.

Ps. IPPOLITO, 346'.

Ps. ISIDORO, 522, 823, 83677, 866*. Ps. MACARIO, 8 I 4 2 ; cfr. Omelie

di Macario. Ps. METODIO DI FILIPPI, 654,

65613 ' , 667. Ps. ORIGENE, 664.

Ps. PROSPERO D'AQUITANIA, 922.

Ps. QUINTILIANO, 776.

Ps. TEOCRITO, 743S. Ps. U G O DI S. VITTORE, 725,

872" , 936. PUBLICIO SIRO, 742.

PUBLILIO O T T A Z I A N O PORFIRIO,

6s6s.

Q QUARESIMA = navigazione verso

il porto pasquale, 954. QUINTILIANO, 538.

QUMSAM, scritti e teologia del­l'arca, 878.

R

R A S A N O M A U R O , IO8«, 468" ,

479101, 526", 603, 67S1M , 685, 695, 724" , 730, 758, 871, 935.

RELIGIONSGESPRACH am Hof der

Sassaniden, 2813. REMIGIO DI AUXERRE, 526, 922.

requies aeterna come fine della Chiesa (Arca), 952.

' R E S T O D'ISRAELE', 868', 878**,

885. RICCARDO DI S. VITTORE, 109,

116, 128, 13915. ROBERTO PULLUS, 795.

R O M A come nave, 541 ; chiesa romana come nave, 844-863; come navicella di Pietro, 824S, 826, 837S, 840-863 ; arca, 9101 6 0 ; molo di protezione, 942 ; senti­menti romani dei vescovi orientali, 849-858.

R U F I N O , 35746, 38IS. RUGIADA [ros) = grazia, 264120,

266, 329S, 356. RUPERTO D I D E U T Z , I I 6 2 ' , 393145,

6751 '2 , 725. R U R I C I O , 330.

R U T I L I O NAMAZIANO, 625.

S

SALONIO DI GINEVRA, 536.

SCENUTE D ' A T B I P A , 2 7 0 a .

SCILLA E CARIDDI, 504S.

SCOTO ERIUGENA, 23 s s , 87, 89,

117-128, 137. SCUOLA ALESSANDRINA, esegesi di

Giov 7, 37. 38, 300-308, 313SS. SCUOLA ANTIOCHENA, esegesi di

Giov 7, 37. 38, 318SS, 333. SECONDO, 2081311, 530, 572. SELENE, letteratura, 1571; S. ed

Elio; 159; si ' veste ' della luce del sole, iÓ2s; = véov créXtt?, 256, 261 ; femminea, sposa e sorella di Elio, 1595; ' media­trice ' nel mondo, 233 ; confine tra terra e cielo, 272; supersti­zioni sull'oscuramento della luna, 27OS, 277, 28os; lunula

INDICE ANALITICO 983

come ornamento delle donne, bullulae, 276, 281; S. e fato astrologico, 274S ; apologetica contro il culto di S., 28os; dispensatrice d'acqua, nell'an­tica mitologia, 231-246; mi­stura di caldo e umido, 250, 256; tiepida acqua lunare e bat­tesimo, 2S489, 2S590; 260, 270'*; materna dispensatrice della vita, 231-246; S. = domina aquae, 267; signora di tutte le nascite, 244; come nave, 23930; tarda mistica lunare greco-cristiana, 186-205 ; simbolica dello stare sopra la luna, 276S; S. ed escatologia cristiana, 194S.

SENECA, 407, 409, 460, 534, 552,

560, 623, 625, 632, 652, 74224, 772, 944S-

SENOCRATE, 2439. SENOFONTE, 519" .

SENTENT1AE DLVINITATIS, 7 9 5 .

SERAPIONE, 54a». SEVERIANO DI GABALA, 248, 255'°,

283, 28fiM. SIBILLA, 3o2°, 361" , 582, 880. SIDONIO APOLLINARE, 434.

oi9apoi ; = supparum = contro-velaccia, 620, 623, 636, 644, 649-654.

signum = croce, 724, 732S, 734. SILIO ITALICO, 627, 673.

SIMEONE IL GIOVANE, 317".

SIMMACO, papa, 858. SIMPLICIO, 848.

SINCLETICA, asceta, 666. SINESIO DI CIRENE, 273 l l , 403,

4 0 5 " , 420, 433, 460, 46019, 626. SIRENE, mito, 415-420; interpre­

tazione cristiana, 41654, 420-435; nella S. Scrittura, 421; nel primo medioevo, 434S; so­pravvivenza del mito, 434138.

SISTO III, papa, 857, 857"».

SOFOCLE, 41864, 463, 4Ó438, 465, 467, 539, 942, 944.

SOFRONIO DI GERUSALEMME, 600.

STAZIO, 408, 631, 652.

STOBEO, 531.

STRABONE, 772.

SUIDA, 423.

ouvT|&£i,a, 410S, 413, 424, 425.

Tabula, cfr. tavola, 770. T A C I T O , 739.

TALMUD e la dottrina dell'acqua viva, 310.

TARTARO nella liturgia funebre, 472" .

T A U (lettera), 691-736; nella scrit­tura e tradizione ebraica, 696S, 701S; antica simbolica della lettera T., 694-704; forma del­l'antenna come il segno greco per ' 300 ', 676S; 692S, 70OS, 703, 7045, 706, 708S, 717S, 721S; forma di croce, 692, 696, 704, 7o8s, 717, 721, 726, 735s; sim­bolo della morte e della vita, 702, 703" , 703S, 708, 711; T. = albero e antenna, 692; = croce nell'archeologia, 727-733 ; 72786; segno di croce sulle porte, 733SS: disegno della croce al principio del Canon Missae, 726.

TAULERO G., 131.

TAVOLA, nel naufragio, preistoria, 770-778; 407S, 573s; della sal­vezza = tabula secunda post naufragium, 770-808; della pe­nitenza, di legno della croce, 604; della penitenza, prima e seconda, 780-781S; della sal­vezza, nell'antica storia cristiana della penitenza, 779-791; nel pr imo medioevo, 792-799 ; nel­la Scolastica, 799-804.

984 INDICE ANALITICO

TAZIANO 2Ó3.

TEODOLFO D'ORLÈANS, 935.

TEODOHETO DI C I R O , i531 2 , 192S,

198116, 426104, 505, 545, 556, 564, 591, 595, 676194, 692=, 755, 843, 854131, 958.

TEODORO DI MOPSUESTIA, 318S,

333-TEODORO PRODROMO, 592, 692'.

TEODORO DI STUDION, 891.

TEOFANE CERAMEO, 68O 2 0 2 , 692'.

TEOFILATTO, 321"". TEOFILO D'ALESSANDRIA, 282,

768. TEOFILO ANTIOCHENO, 2 1 " , 22z0,

1494, 247, 871, 961. TEOFRASTO, 160, 236, 584.

TEOGNIDE, 537.

TEOLOGIA DELLA PENITENZA del

III secolo, 761S. TEOLOGIA SIMBOLICA dei Padri,

9, I47S, 526. TERTULLIANO, 21 1 6 , 25590 , 282,

283S, 366, 417, 436140; simbo­lica del mare, 484S, 486S; 499s, 552128, 560, 567176; simbolo dell'antenna come croce, 643 ; 674, 702, 709; teologia peni­tenziale, 743; 7 5 3 " ; teologia della caduta dalla fede, 760; 766S, 773, 777s; dottrina della penitenza e tavola della sal­vezza, 779-783 ; la navicula Pe­tti, 815S; 844S, 883, 899, 900, 926.

TESEO, nave di T. in Atene, 532, 616, 628.

TESTAMENTUM IUDAE, 36 I« 4 .

TESTAMENTUM NEPHTALI, 960.

TIBULLO, 460.

T I C O N I O , 113.

TIFONE, 476S. TIMEO DI LOKROI, 233.

TIMONE della Chiesa, di legno della croce, 6o6s.

T I R O , 545.

TOLOMEO, 238.

TOMMASO D ' A Q U I N O , 2 0 " , 108,

i i 2 l s , 12040, 131, 1368, 13812, 140", 228186, 331S, 339, 546, 799-803.

TRE NASCITE, dottrina mistica, 1305.

TRIDENTINO, dottrina della peni­tenza, 8o6s.

TUCIDIDE, 460" .

TYCHE, signora della navigazione,

744S-

U

U G O DI S. VITTORE, 672, 795,

933-ULISSE, 403 s; figura dei cristiani,

413SS, 436-454; mito di Ulisse nel medioevo cristiano, 414S; in Dante, 4411 5 B ; figura di Cristo crocifisso, 446, 666; 768, 775; sarcofago di U . , 452S, 681.

V

VALENTINO, visione del Logos, 33. VALERIO FLACCO, 628.

VALERIO MASSIMO, 776.

VARRONE, 244S. VEGEZIO, 584.

VELA, simbolica della nave della Chiesa, 670S.

VELLEIO PATERCOLO, 622.

VENANZIO FORTUNATO, 580, 598S,

662, 668. VESCOVO, come timoniere, 842SS;

come Magister navis, 846S. VETTIO VALENTE, 74434.

VIBERTO, antipapa, 862. VINCENZO DI BEAUVAIS, 2Ó712?.

VINCENZO DI LÈRINS, 4Ó22', 964.

VIRGILIO, 460, 584S, 616, 634. VIRGO CAELESTIS di Cartagine,.

i6629 .

INDICE ANALITICO 985

' V ITA DI ADAMO ED EVA ', 877" .

VITRUVIO, 584.

VITTORINO DI PETTAU, 113.

£I!>AOV e TTVEÙ^a, 57Ss; i;t!>Xov = croce e nave, 578, 579.

Y

YSAGOGE, 7952M.

Z

ZACCARIA, retore, 428. ZENO DI VERONA, 732, 757S,

827s«, 956. ZENONE, stoico, 745.

I N D I C E

Prefazione 7

LA NASCITA DI DIO

Introduzione 15 1. - La preparazione della dottrina nella teologia più

antica 25

2. - La dottrina nell'antica teologia greca 37

3. - La dottrina nella dommatica e mistica greca classica 63

4. - La continuazione della dottrina nella teologia latina 91

5. - Lo sviluppo della dottrina fino al Medioevo 107

6. - La questione delle fonti di Eckehart 133

MYSTERIUM LUNAE

Introduzione 147

1. - La chiesa morente 157

2. - La chiesa partoriente 231

1. Antiche fonti 233

2. La dottrina dei padri della chiesa 246

3. - La chiesa Raggiante 269

FLUMINA DE VENTRE CHRISTI

Premessa 291

Introduzione 293

1. - La tradizione alessandrina 299

2. - La tradizione dell'Asia Minore 343

938 INDICE

ANTENNA CRUCIS

1. - Ulisse all'albero della nave 397

1. Il cristiano come navigatore in viaggio verso la patria celeste 404

2. La tentazione delle sirene 415

2. - Il mare del mondo 455

1. Il mare amaro 459

2. il mare cattivo 469

3. - La nave di legno 511

1. 17 catalogo navale della teologia patristica 515

2. L'antica simbolica della nave 527

3. La nave di legno della croce 571

4. - La croce come albero e antenna 611

1. Albero della nave e antenna nella tecnica e nella letteratura dell'antichità 613

2. Albero e antenna come simbolo della croce cristiana 636

5. - Il mistico Tau 691

1. Le fonti profane della simbolica del mistico tau 696

2. La teologia patristica della croce come mistico tau 704

3. La croce come mistico tau nell'archeologia 727

6. - Il naufragio e le tavole della salvezza 737

1. Il naufragio 739

2. La tavola della salvezza 770

7. - La navicella di Pietro per la storia del simbolo del

primato romano 809

1. La storia della spiegazione esegetica del simbolo 814

2. L'impiego politico-ecclesiastico del simbolo 840

8. - L'arca di Noè come nave della salvezza 865

1. L'arca di Noè nella teologia giudeo-cristiana dei primi tempi 870

INDICE 9S9

2. L'arca come nave della salvezza nella teologia della chiesa antica 886

3. L'importanza dell'arca come nave della salvezza nella storia del dogma 923

9. - L'arrivo in porto 939

INDICE ANALITICO 969

INDICE 987

Stampa: 1995 G. Canale & C. S.p.A. - Borgaro T.se (TO) Printed in Italy

REPRINT

La collana ripropone in fedeli ristampe anastati­che le opere migliori pubblicate dalle Edizioni San Paolo negli anni passati. Reintroducendo in catalogo questi scritti di autori illustri, l'edito­re intende soddisfare le giuste richieste dì un pubblico intelligente e affezionato.

1. A. Gerken, Teologia dell'eucaristia, 2a ed. 2. E. Schillebeeckx, // matrimonio. Realtà ter­

rena e mistero di salvezza, 5a ed. 3. E. Schillebeeckx, Cristo, sacramento del­

l'incontro con Dio, 10a ed. 4. E. Schillebeeckx, Maria, madre della re­

denzione, 4a ed. 5. A. Dagnino, La vita cristiana, o il mistero

pasquale del Cristo mistico, 7" ed. 6. P. Grelot, Introduzione alla Bibbia, 8a ed. 7. J. Schreiner e coli., Introduzione letteraria

e teologica all'Antico Testamento, 5a ed. 8. J. Schreiner, G. Dautzenberg, Introduzio­

ne letteraria e teologica al Nuovo Testa­mento, 3" ed.

9. A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, 9" ed.

10. C. Vagaggini (ed.), La preghiera nella Bib­bia e nella tradizione patristica e monasti­ca, 2" ed.

11. Z. Alszeghy, M. Flick, Come si fa la teolo­gia. Introduzione allo studio della teologia dogmatica, 4a ed.

12. J. Dupont, Le Beatitudini, l-ll: Il problema letterario; La buona novella, 5a ed. - III: Gli evangelisti, 2a ed.

14. T. D'Aquino (san), Summa theologiae 15. P. de Bergomo, Tabula aurea 16. J. Dupont, // testamento pastorale di san

Paolo. Il discorso di Mileto (Atti 20,18-36), 3sed.

17. C. Vagaggini, // senso teologico della litur­gia, 4a ed.

18. K. Rahner, La penitenza della Chiesa, 3aed.

19. H. Rahner, Simboli della Chiesa. L'eccle­siologia dei Padri, 2a ed.