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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA Povertà in montagna “Caduta massi”, la fragilità sociale ha volti inattesi Grecia Paese al collasso, ora anche i greci mangiano in Caritas Sud Sudan Terra e petrolio, risorse e maledizione del paese “neonato” Italia Caritas MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 3- WWW.CARITASITALIANA.IT aprile 2012 spesa La F-35 e altre armi: budget militari in costante crescita, nell’ultimo decennio. Eppure la crisi consiglierebbe di investire altrove… che non conviene

Italia Caritas · di Francesco Soddu 4 parola e parole di Benedetta Rossi 10 database di Walter Nanni 14 dall’altro mondo di Franco Pittau 19 contrappunto di Domenico Rosati 20

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Page 1: Italia Caritas · di Francesco Soddu 4 parola e parole di Benedetta Rossi 10 database di Walter Nanni 14 dall’altro mondo di Franco Pittau 19 contrappunto di Domenico Rosati 20

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Povertà in montagna“Caduta massi”, la fragilità sociale ha volti inattesiGrecia Paese al collasso, ora anche i greci mangiano in CaritasSud Sudan Terra e petrolio, risorse e maledizione del paese “neonato”

Italia Caritas

MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT

aprile 2012

spesaLaF-35 e altre armi: budget militari in costante crescita, nell’ultimo decennio.

Eppure la crisi consiglierebbe di investire altrove…

che non conviene

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Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected] FUCINE IN PARROCCHIA,

I PILASTRI DELL’ESSERE CARITAS

editorialedi Francesco Soddu

ABBONAMENTIwww.caritasitaliana.it – c/c postale n. 4763223,intestato a Idos rivista Italia Caritas (15 euro)

OFFERTEVanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:

.Versamento su c/c postale n. 347013

.Bonifico una tantum o permanente a:- UniCredit, via Taranto 49, Roma Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119- Intesa Sanpaolo, via Aurelia 396/A, Roma Iban: IT 95 M 03069 05098 100000005384- Banca Prossima, via Aurelia 796, Roma Iban: IT06A0335901600100000012474- Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113

.Donazione con CartaSi e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 66177001

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.

5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi e indicare il codice fiscale 80102590587

LASCITIInformazioni a Caritas Italiana, via Aurelia 796,00165 Roma, tel. 06 66177205, fax 06 66177601,e-mail: [email protected])

Italia Caritas

direttoreFrancesco Soddudirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Ugo Battaglia, Paolo Beccegato,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro, FrancescoMarsico, Sergio Pierantoni, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona [email protected] Sambuca Pistoiese, 56 - 00138 Romatel. 06 83962660 - fax 06 83962655sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177215-249inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie [email protected] abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 23/3/2012

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Si ringrazia Asal (www.asalong.org - [email protected])per l’utilizzo gratuito della Carta di Peters

AZIONI MICRO,VALORI MACRO.

AZIONI MICRO, VALORI MACRO. Sono quelli che CaritasItaliana realizza, in 321 nazioni di 5 continenti, grazieanche ai fondi 5xmille che le sono stati destinati nel 2011:277 mila euro, da 7.519 cittadini italiani.

Diritto alla salute, opportunità di lavoro, accessoall’acqua: i 321 microprogetti vengono condottisoprattutto in questi ambiti. Sono piccoli stanziamenti, ma consentono realizzazioni decisive per affermare i diritti e modificare la qualità della vita di tante persone, tante famiglie, intere comunità di villaggio.

Destinando la quota 5xmille della tua dichiarazione deiredditi, puoi contribuire alle attività internazionali di CaritasItaliana: azioni “micro”, che hanno per orizzonte valoriuniversali. Perché sviluppo e pace nascono dallacondivisione delle risorse e dalla pratica della giustizia.Caritas ci lavora, tu sottoscrivi.

80102590587

SOTTOSCRIVI?Caritas Italiana nel mondo, con i fondi

Firma il primo dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi

e indica il codice fiscale

di azione della vita ecclesiale, senza le quali manche-rebbe l’operatività propria e concreta dell’organismo.

La Caritas diocesana, infatti, esiste ed è effettivamen-te operativa nel territorio nella misura in cui essa è pre-sente nelle parrocchie mediante le Caritas parrocchiali.L’esperienza di questi anni insegna che, per poter ren-dere efficace quanto enunciato, è necessaria la sinergiadi tutte le componenti del tessuto-Caritas. Così il labo-ratorio di promozione e accompagnamento delle Cari-tas parrocchiali è e deve sempre più qualificarsi comeuna fucina, entro cui convergono la ricchezza delle aree,dei servizi e di tutto quanto si muove in Caritas, trasfor-mandole in azioni di animazione per le parrocchie. Laparrocchia, e in essa ciascun cristiano che la compone,sarà «chiamata a dare il suo contributo affinché l’amorecon cui siamo da sempre amati da Dio divenga opero-sità della vita, forza di servizio, consapevolezza della re-sponsabilità».

determinato dagli andamenti altale-nanti di chi detiene il potere econo-mico e politico, in cui gli avveni-menti macroscopici sembrano fago-citare i microeventi, ingoiandoli senon nel nulla almeno nel vacuo,compromettendo così la stessa sto-ria mondiale e personale, il messag-gio cristiano emerge nello splendoredella sua freschezza, squarciandoancora e sempre tutte le incrostazio-ni. E lanciando un forte richiamo af-finché ciascuno, toccato dall’amoree animato dallo Spirito, sentendositale, sia araldo, testimone e dunqueanimatore nella diffusione del me-desimo amore ricevuto. È questo ilvalore aggiunto di ogni nostra azio-ne: «L’amore di Cristo – che – ci pos-siede” (2Cor 5,14) e che esprimiamocon la vita.

Unitamente al tema ecclesiale ge-nerale, il papa ricorda la capillaritàdi tale azione. Come l’amore di Dioarriva e tocca tutti, così tutti sonocoinvolti nella testimonianza. A taleriguardo è necessario riaffermarel’assoluta preziosità delle Caritasparrocchiali, vero e proprio terreno

la sostanza dell’essere battezzato e laspecificava come «il distintivo cristia-no: la fede che si rende operosa nellacarità». Subito dopo esortava: «Èquesta prospettiva che dovete rende-re sempre più presente nelle Chieseparticolari in cui vivete».

Da questo semplicissimo approc-cio al discorso del pontefice emer-gono alcuni pilastri, colonne por-tanti dell’edificio Caritas, che vannoa compattare la “prevalente funzio-ne pedagogica” che lo caratterizza.Senza in nessun modo dar per scon-tato il fondamentale discorso sullafede – come ammonito dalla lettera apostolica di indi-zione per l’Anno della fede –, mi par di vedere ribaditacon sovrabbondante chiarezza la visione di chiesa-co-munione emersa dal concilio ecumenico Vaticano II. Ilpopolo di Dio, da Lui creato, amato e redento, è chiama-to in ogni suo membro a essere testimone attivo e pro-tagonista responsabile delle dimensioni che ne deter-minano la vita e il funzionamento: l’annuncio, la cele-brazione e la testimonianza della carità. La funzionepedagogica della Caritas, in questo specifico, richiamail bel compito che appartiene a ciascun cristiano: essereinterprete, vivo e vitale nel tessuto della chiesa e nellasocietà. Il papa sottolinea che questa è una «prospetti-va» dinamica, da rendere «sempre più presente nellechiese particolari».

Sinergia in laboratorioImmersi in un mondo in cui il tempo oggettivo è talora

Giovedì 24 novembre, in occasione del quarantesimo anniver-sario di Caritas Italiana, papa Benedetto XVI restituiva alle Ca-ritas diocesane il mandato primigenio, che fu del Servo di Dio

Paolo VI e ormai felicemente traboccante della preziosa esperienzadi quattro decenni di vita.

Il messaggio, in alcuni tratti salienti, da una parte dà l’opportu-nità di essere confermati nel ministero, e dall’altra, orientando, con-sente di non perdere di vista i fondamenti del nostro essere e delnostro operare.

Citando la lettera di san Paolo ai Galati (5,5-6), il papa richiamava

Il messaggio diBenedetto XVI peril quarantennale

di Caritas Italiana offremolteplici spunti per

rivisitare i fondamentidell’azione pastoraledell’organismo. A tutti

i suoi livelli: restaessenziale

il radicamento nellerealtà parrocchiali

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sommario

rubriche3 editoriale

di Francesco Soddu

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

10 databasedi Walter Nanni

14 dall’altro mondodi Franco Pittau

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia CITTADINANZA, FAMIGLIE

24 poster FAME NEL SAHEL

29 zero povertydi Marinos Reguzzos

33 nell’occhiodel ciclonedi Paolo Beccegato

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondo TERRA FUTURA, LAVORO

45 a tu per tuDOMINIQUE LAPIERRE: «GLI ULTIMI, I PRIMI» di Danilo Angelelli

47 generatoridi speranzaPATROCINIO PER TUTTIdi Barbara Garavaglia

nazionale6 IL CORAGGIO

(E LA CONVENIENZA) DEL DISARMOdi Sergio Paronetto

11 OLIVERO (ACLI),INTERVISTA SULLA CRISI:««DOPO L’ACCUMULO, TEMPODI ECONOMIA CIVILE»di Paolo Brivioe Ferruccio Ferrante

15 “CADUTA MASSI”,IN MONTAGNAPOVERI D’ALTA QUOTAdi Walter Nanni

internazionale26 ORA ANCHE I GRECI

MANGIANO IN CARITASdi Begoña Kalliga

30 INVESTIREIN AGRICOLTURAPER BATTERE LA FAMEdi Michel Roy

32 SAHEL SULL’ORLODEL PRECIPIZIO.CARITAS: «PREVENIRELA CARESTIA»

34 TERRA E PETROLIODEL SUD (SUDAN),RISORSA E MALEDIZIONEtesti e foto di Angelo Pittaluga

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Povertà in montagna“Caduta massi”, la fragilità sociale ha volti inattesiGrecia Paese al collasso, ora anche i greci mangiano in CaritasSud Sudan Terra e petrolio, risorse e maledizione del paese “neonato”

Italia Caritas

MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLV - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT

aprile 2012

spesaLaF-35 e altre armi: budget militari in costante crescita, nell’ultimo decennio.

Eppure la crisi consiglierebbe di investire altrove…

che non conviene

anno XLV numero 3

IN COPERTINAUn cacciabombardiere, precursoredei contestati F-35 di cui l’Italias’è impegnata ad acquistare diversiesemplari: come contenerela spesa militare, in tempi di crisi?

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nella polvere. La speculazione è resa possibile da unamenzogna ben organizzata: vengono modificati i pesi ele bilance («perché si possa smerciare il frumento dimi-nuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance fal-se», Am 8,5). In questo modo, il venditore è avvantaggia-to e il cliente viene astutamente ingannato proprio nelmomento di un acquisto apparentemente legale, la cuicorrettezza pare garantita dall’uso di una bilancia, sim-bolo stesso di equità.

«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere» (8,7):è questo il giuramento del Signore, posto a chiusuradell’oracolo. Una conclusione, che è anche un appello al-la memoria, rivolto al lettore. Un invito a non dimentica-re: non si uniscano i nostri piedi, magari calzati di sandaliche sono il prezzo della vita di un uomo, alla processionedi coloro che calpestano la faccia dei poveri!

ti, compito di queste ultime preleva-re, in tempi favorevoli, una parte del-le risorse, così da creare una riservacui attingere in casi di emergenza.

Persino il frumentoSu questo sfondo, i destinatari del-l’oracolo, coloro i quali detengono isacchi di derrate alimentari, sareb-bero le autorità di Samaria che, fin-gendo di mettere in atto politiche so-ciali favorevoli, di fatto vedono nellacarestia il momento propizio per an-nientare i miseri, spingendoli fino al-la schiavitù. Sotto i morsi della famee della miseria, la gente si vende perun nulla: così vengono comprati condenaro gli indigenti e un uomo è ba-rattato facilmente per un paio disandali (8,6).

È il tempo propizio per dare viapersino lo scarto del grano (8,6),quello che certamente in altri mo-menti e su altri mercati non avrebbetrovato compratori. Così persino ilfrumento, prodotto alimentare diprima necessità, diventa motivo disfruttamento, di arricchimento sfre-nato ai danni di fratelli calpestati

parolaeparoledi Benedetta Rossi

«A scoltate questo, voi che vi preoccupate del povero e chespariscano gli umili dal paese» (Am 8,4): potrebbe esse-re questa una possibile traduzione del monito che il

profeta Amos indirizza alle orecchie dei commercianti in Israele,di coloro che smerciano materie di prima necessità, prodotti ali-mentari essenziali, quali il frumento. Dalle sue parole emerge lapreoccupazione per i poveri, al punto tale che la cessazione del-l’attività economica in occasione del Sabato o del novilunio – con-formemente alle prescrizioni religiose in Israele – sembra quasiun ostacolo per l’attuazione di un progetto di vita, rivolto a chi è

BILANCE FALSEPER STERMINARE GLI UMILI

in difficoltà. Su questo sfondo, paredi sentire quasi l’urgenza del bene, ildesiderio che il povero viva, dietroalla domanda: «Quando sarà passatoil novilunio e si potrà vendere il gra-no? E il sabato perché si possa smer-ciare il frumento?» (Am 8,5).

Ma il testo ebraico è aperto a unadoppia possibilità interpretativa, checi mette di fronte a una lettura bendiversa dell’appello iniziale: «Ascol-tate questo, voi che calpestate i po-veri e sterminate gli umili del paese»;l’ambiguità del testo ben rappresen-ta l’ambiguità di certe strategie eco-nomiche. A un occhio attento non sfugge, infatti, l’even-tualità concreta che dietro quello che può apparire comeil giusto desiderio di eliminare la povertà dalla terra, sinasconda in realtà un progetto di oppressione del mise-ro, il quale viene fatto sparire dal paese attraverso unapolitica commerciale fraudolenta e oppressiva, giocatacrudelmente proprio sul cibo, su quel grano necessarioperché ciascuno possa vivere.

Coloro che pianificano e mettono in atto questa com-pravendita sono senza dubbio i ricchi, opposti alla schie-ra di poveri, umili e indigenti descritti in Am 8,4-6. L’ac-cusa profetica potrebbe collocarsi persino nel contestodi una calamità naturale: una carestia causata dalla sic-cità o un’invasione di cavallette (Am 7,1-2.4); la scarsitàdel raccolto potrebbe aver spinto il popolo a rivolgersialle autorità per ottenere i beni di sussistenza. Era, infat-

Speculazioni sui prezzidei beni alimentari:

non è solouno sporco business

dei nostri giorni.Ma una vecchia storia,

narrata dal profetaAmos. Che rivolge

un appello ai lettori:non si uniscano i nostri

piedi a chi calpestala faccia degli umili

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È in gioco il futuro. Siamo entrati in unafase inedita della vicenda umana: ineditodev’essere l’intervento politico, che colga

nel disarmo l’occasione per liberare risorse,educare alla fiducia e ripensare la difesa

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143 asili nido, impiegando più di due-mila educatori. Il ministro della dife-sa, Gianpaolo De Paola, nelle audizio-ni svoltesi in parlamento, ha parlatodi riduzione delle spese militari; in re-altà, si tratta di una “riconfigurazione”o “riequilibrio”, nella prospettiva diuna “crescita” intesa come penetra-zione nei mercati internazionali (au-dizione in senato, 1 dicembre 2011).Bisogna cambiare strada.

Come e più del paneÈ in gioco il futuro. Se è vero che sia-mo entrati in una fase inedita dellavicenda umana, inedito deve esserel’intervento politico, che può coglierenel disarmo l’occasione per liberarerisorse, plasmare una politica del be-

ne comune, educare alla fiducia e ri-pensare la politica della difesa, chepuò essere costruita con armi stret-tamente difensive (“transarmo”) esenza programmi anticostituzionalidi sistemi votati all’attacco, con la ri-conversione civile della produzionebellica, con una vera cooperazioneinternazionale, con la tutela e la curadel territorio, la sicurezza sociale,una ricerca scientifica e una pro-grammazione scolastica orientate al-la pace, il rilancio del servizio civile.Il quale, per non morire, può essereprogettato come servizio universale,pratica di cittadinanza responsabile,nucleo di corpi civili di pace, “percor-so di vita buona” (Orientamenti pa-storali per il decennio, Cei).

L’ARCOBALENO, L’INCROCIATOREManifestanti per la pacee un’imbarcazione da guerradella Marina italiana

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È necessario, insomma, attuareCostituzione e Carta dell’Onu. Maper i credenti, è ancora inesplorato ilmagistero di pace della chiesa. La Po-pulorum progressio (1967) dichiaraad esempio che “ogni estenuantecorsa agli armamenti diviene unoscandalo intollerabile”. Per un bel do-cumento vaticano del 1976 il riarmoè “aggressione che si fa crimine”. Permonsignor Tonino Bello “un’incredi-bile oscenità”, “un’eresia trinitaria”.Del 1998 è il documento episcopaleEducare alla pace. Vibrante è stata latestimonianza di Giovanni Paolo IIcontro la guerra “avventura senza ri-torno”. Ogni anno escono messaggiper le Giornate mondiali della pace(l’ultimo, Educare i giovani alla giu-stizia e alla pace). Il 1° gennaio scorsoBenedetto XVI ha detto che il mondo“ha bisogno della pace come e piùdel pane”.

E dell’ottobre 2011 è la nota, delPontificio consiglio giustizia e pace,intitolata Per una riforma del sistemafinanziario e monetario internazio-nale, orientata, sulla scia dell’ecnicli-ca Caritas in veritate, a una rifonda-zione etica dell’economia. È possibi-le “rifondarsi su pensieri lunghi ealti”, osservava il cardinale AngeloBagnasco, presidente dei vescovi ita-liani, il 23 gennaio al Consiglio per-manente Cei. Decise sono state le sueparole sulla responsabilità di un «ca-pitalismo sfrenato», che «sembra da-re il meglio di sé non nel risolvere iproblemi, ma nel crearli, dissolvendoil proprio storico legame con il lavo-ro, il lavoro stabile, preferendo il la-voro-campeggio: si va dove momen-taneamente l’industria sta meglio,come se l’“altro” non esistesse”.

Come accettare le cifre colossaliimpegnate per progetti d’arma, comese i poveri non esistessero? L’analisi diBagnasco denunciava «il formarsi dicoaguli soprannazionali talmente po-tenti e senza scrupoli, da rendere lapolitica sempre più debole e sotto-messa», «una tecnocrazia transnazio-nale anonima», per la quale «la sovra-nità dei cittadini è ormai usurpatadall’imperiosità del mercato». Comedimenticare, allora, le grandi aziendeattive nel produrre sistemi d’armasempre più distruttivi, pericolosi, co-stosi, o il mercato delle armi, con l’Ita-lia protagonista? Come trascurare, in-fine, l’estesa, soffocante militarizza-

sciamo da un decennio didolore e di guerre, che hareso il mondo più insicuro eha prodotto uno spreco cri-minale di vite e di risorse,

aggravando la voragine finanziariadei nostri stati. La crisi in cui siamoimmersi è globale. Pensare di risol-verla con l’espansione di strumentimilitari e interventi bellici è una tra-gica illusione. Le esperienze del XXsecolo hanno portato a due guerremondiali, alla guerra fredda, al ricat-to atomico, a neo-colonialismi pre-datori, a devastazioni ambientali, aterrorismi di vario tipo. Oggi, un arcodi instabilità coinvolge Pakistan, Af-ghanistan, Iran, Siria, Israele, Cornod’Africa. Sono in cantiere nuoveguerre (anche atomiche). Occorreuscire dalla spirale della follia.

Questo vale anche per l’Italia. C’èchi ha calcolato che ogni ora il nostropaese spende circa 3 milioni di euroin armamenti e missioni militari.

Spendiamo in Afghanistan 700 milio-ni di euro l’anno (contro la Libia neabbiamo spesi il doppio). La spesamilitare italiana annua è sempre su-periore ai 20 miliardi di euro, com-prende non solo i soldi per il ministe-ro della difesa, ma anche quelli permissioni all’estero, l’industria milita-re, sistemi d’arma vincolanti per de-cenni. Siamo impegnati in 71 pro-grammi d’armamento proiettati, inalcuni casi, al 2026. Negli ultimi treanni, i costi hanno raggiunto i 3,5 mi-liardi di euro all’anno e sono destinatia crescere. Il contestato progetto dicostruzione degli F-35, oggetto negliultimi mesi di serrate polemiche, an-che se ridimensionato continua: cosaci facciamo con 90 cacciabombardie-ri che costano 150 milioni di eurol’uno? Con tale cifra si potrebberopromuovere molti beni comuni(scuole, famiglie in difficoltà, sanità,ambiente, infrastrutture). Col costo diun solo caccia si potrebbero aprire

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nazionale spesa militare

Il coraggio

Un decennio di guerrecostosissime ha reso il mondo più insicuro.E appesantito i bilancipubblici, compresoquello italiano.“Tagliare le ali alle armi” significa, in una fase di crisi,liberare risorse per puntare sui benicomuni. Dunque,investire sul futuro

(e la convenienza)

di Sergio Paronetto

* vicepresidente Pax Christi Italia

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del disarmo

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disarmo, contrastare i traffici e il com-mercio delle armi, tagliare le spese mi-litari, riconvertire l’industria bellica”.

Tali argomenti, ripresi il 31 dicem-bre a Brescia al convegno di Pax Chri-sti “Disarmo vuol dire futuro”, stannoalla base della campagna “Taglia le alialle armi”. È un impegno per tutti. Nelsuo saluto per i 40 anni della Caritas,il papa affermava che, premessi tuttigli obblighi della giustizia, “la crisieconomica globale è segno dei tempiche richiede il coraggio della fraterni-tà”, il “farsi prossimo”, “la fantasia del-la carità”, la condivisione di “gesti disperanza”. Il disarmo è un modo perinverare questo coraggio.

Fondi ridotti del 40% e partenze diluite:muore il servizio civile? I prossimi mesici diranno se l’allarme sul futuro resterà

inascoltato e se dovremo dire addio a un’esperienza di servizio e cittadinanza

nazionale spesa militare

zione di territori, denunciata dalla Ca-ritas sarda nel 2009, nel testo I grandidella terra. I poveri del mondo?

Il decalogo di AssisiA conclusione della marcia Perugia-Assisi del 25 settembre 2011, è statopubblicato un decalogo, in cui spicca-vano due punti. Il 4: “Disarmare la fi-nanza e costruire un’economia di giu-stizia, tassare le transazioni finanzia-rie, lottare contro la corruzione,l’evasione fiscale, le disuguaglianzesociali”. Il 5: “Ripudiare la guerra, ta-gliare le spese militari, investire sullaprevenzione dei conflitti e sulla lorosoluzione nonviolenta, promuovere il

di Diego Cipriani

COSTANO MILIARDIUna manifestazione dellaRete disarmo contro l’acquistodegli F-35 da parte dell’Italia

dei progetti, ma la soluzione dellaquestione se al servizio civile possapartecipare anche un cittadino nonitaliano è stata rinviata, magari nellasede più opportuna, quella parla-mentare.

Nel frattempo, a metà novembre ilnuovo ministro per la cooperazioneinternazionale e l’integrazione, An-drea Riccardi, ha ricevuto anche ladelega per il servizio civile. A febbra-io, parlando alla Camera, ha lanciatol’allarme: senza nuove risorse non cisaranno nuove partenze di volontarinel 2013.

I prossimi mesi ci diranno se taleallarme resterà inascoltato e se do-vremo dire addio a un’esperienzache, in dieci anni, ha visto coinvoltiquasi 300 mila giovani. Gli stessi ve-scovi italiani, per bocca del segretariodella Cei, monsignor Mariano Cro-ciata, avevano un anno fa stigmatiz-zato «il progressivo inaridimento de-gli spazi offerti ai giovani per formedi educazione alla cittadinanza e alservizio» e denunciato la «progressi-va disattenzione dello stato nei con-fronti di questa esperienza».

Negli ultimi mesi, dopo il decreto“Salva Italia!”, si è parlato molto di“Cresci Italia!”: siamo proprio con-vinti che il servizio civile non centrinulla con la crescita del paese?

68 milioni). L’Ufficio nazionale servi-zio civile, allora, è corso ai ripari: cal-colando che le risorse disponibilinon saranno sufficienti a coprire i co-sti dell’avvio dei progetti finanziati asettembre, ha deciso di dilazionaregli avvii durante tutto il 2012. In pra-tica, i volontari che inizieranno il ser-vizio a luglio, ad esempio, incideran-no sulle casse dello stato solo per seimesi, mentre per i restanti sei mesiverranno coperti coi fondi 2013. Conquesto meccanismo, un volontarioselezionato a novembre 2011 potreb-be iniziare il suo servizio a ottobre2012: sembra di essere tornati indie-tro di vent’anni, quando gli obiettoridi coscienza aspettavano mesi sumesi prima di essere precettati!

Integrare, non bloccareIn ogni caso, da gennaio l’avvio deiprogetti avviene col contagocce. Ma

proprio a gennaio è successo un fattoimprevisto. Il tribunale di Milano haaccolto il ricorso di un ragazzo di ori-gine pakistana che, da molti anni inItalia, aveva fatto richiesta di fare ser-vizio civile in quello che ormai con-sidera il “suo” paese, ma si era vistorespinta la domanda. La legge, infat-ti, richiede esplicitamente il requisitodella cittadinanza italiana, cosa di-chiarata discriminatoria dal giudicemilanese, che ha imposto all’Ufficionazionale di sospendere le partenzeed eliminare dal bando ogni discri-minazione. Il mondo del servizio ci-vile è in subbuglio, diviso tra bisognodi confermare la naturale vocazionea essere luogo di integrazione e for-mazione alla cittadinanza e la neces-sità di non bloccare un sistema giàfortemente penalizzato e a rischio dinaufragio. A fine gennaio una parzia-le schiarita: sono riprese le partenze

uore il servizio ci-vile?”. Era la do-manda che ci era-vamo posti sullepagine di IC un an-

no fa (Italia Caritas, marzo 2011),quando il servizio civile nazionaleaveva compiuto dieci anni. Dopo unanno, parrebbe che l’allarme sulla“morte” del servizio civile abbia rag-giunto il livello istituzionale, se per-sino il ministro Andrea Riccardi (cheha la delega in materia) qualche set-timana fa lo ha fatto proprio.

Nell’ultimo anno, vi sono state al-cune novità. Il 20 settembre l’Ufficionazionale per il servizio civile hapubblicato il bando annuale col qua-le si dà la possibilità ai giovani italianidi svolgere il servizio civile: 20.123posti, di cui 784 all’estero. Un mesedopo, il governo Berlusconi ha pre-sentato in parlamento la legge di sta-bilità 2012 (la cosiddetta “finanzia-ria”), poi approvata il 12 novembre.Con quella legge, i fondi destinatiquest’anno a finanziare il servizio ci-vile vengono ridotti del 40% (da pocopiù di 110 milioni di euro del 2011 a

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Il servizio civile sta morendo,sicuri che non fa crescere il paese?I recenti tagli rischiano di azzerare un’esperienza di educazione alla pacee alla cittadinanza, che ha coinvolto 300 mila giovani in dieci anni

Come educare oggi alla pace? Genova oltre l’appiattimento informativo

Educare alla pace e alla non violenza: una sfida da adattare ai cambiamenti, dellasocietà e della cultura, della politica e dell’economia. Per formatori ed educatoricon anni di esperienze, significa osare nuove strade. In un contesto assai differen-te, per esempio, da quello degli anni Settanta, quando, in Italia, l’obiezione di co-scienza divenne luogo principe dell’educazione alla pace per decine di migliaia dipersone. E quando la Caritas diocesana di Genova, precisamente nel 1977 (tra leprime in Italia), cominciò ad avere giovani in servizio civile.

Quell’esperienza si sviluppò, dal 1996, in “LaborPace”, laboratorio di educazione allanon violenza, che coinvolge persone di diverse età. «Il contesto è cambiato – ammetteFabrizio Lertola, formatore e responsabile di “LaborPace” –. Oggi fare il servizio civile èdiverso rispetto a una volta: è una scelta, è aperto alle ragazze, mette in gioco esperien-ze di lavoro sociale che orientano fortemente i giovani. È cambiato lo scenario mondia-le, e dopo la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre è mutato persino il modo diintendere la pace. Sono più evidenti i legami fra guerra, economia e squilibri. E sonocambiati i ragazzi… La gioventù che si affaccia a queste esperienze è più autocentratadi un tempo, più accudita; cerca di fare molte cose, ma fatica a progettare a lungo ter-mine, ad aderire a impegni stabili». Un contesto diverso dal 1995, quando Fabrizio fecel’obiettore: «Oggi ci sono molte offerte di impegno sociale e volontario, ma maggioreframmentazione, con evidenti ricadute sulla capacità di andare in profondità».

E gli adulti che ruolo giocano in questi percorsi di educazione alla pace? «Sonomeno in grado – commenta Lertola con Paolo Bruzzo, responsabile dell’area Giovanie servizio civile di Caritas Genova – di suggerire approfondimenti; rischiano di daremolte cose per scontate. Per i giovani che arrivano da noi, alcuni argomenti sonouna vera e propria scoperta». Un punto sul quale insistono i formatori di Genova èl’approccio alle informazioni: «Il flusso informativo che hanno a disposizione oggi i ra-gazzi è enorme; rischia però di appiattire, se non ci sono adulti ed educatori che aiu-tino a “leggere” le notizie. Lo abbiamo sperimentato l’anno scorso con la “Primaveraaraba”: abbiamo lavorato sulle informazioni, per poter interpretare il nostro tempo».

In questo scenario in cui si moltiplicano offerte, notizie e informazioni, ma in cuiè difficile progettare a lungo termine, vivendo forti appartenenze, “LaborPace” co-me sopravvive? «È uno spazio dedicato a scuole, gruppi, educatori, catechisti, nelquale è possibile maturare un modo nuovo di guardare al proprio quotidiano. Ab-biamo scoperto che c’era, e c’è, una grande povertà relazionale. Che ci sono diffi-coltà nel guardare al conflitto come occasione di crescita. Occorre, sia per i giovaniche per gli adulti, un reciproco aiuto». [barbara garavaglia]

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I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 11

di Paolo Brivio e Ferruccio Ferrante

nazionale interviste sulla crisi / 2

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CINGHIA STRETTAMA NON PER LA DIFESA

pacifiche, e una consistente quantitàdi risorse economiche, da investirenel settore delle industrie belliche.

Nel complesso, il bilancio preven-tivo 2011 per la difesa ammontava a20 miliardi 557 milioni di euro(+0,9% rispetto all’anno preceden-te) e corrispondeva all’1,28% del Pil(1,31% nel 2010). Riclassificando laspesa, e detraendo alcune voci nonrelative all’azione di difesa dello sta-to, tra cui le spese per la sicurezza delterritorio (carabinieri), si ottiene unaspesa pari a 16 mi liardi 304 mi-lioni di euro (1,02% del Pil).

Anche altri ministeriLa Nota aggiuntiva allo stato di pre-visione per la Difesa per l’anno 2011,il documento programmatico chedefinisce gli stanziamenti economicieffettivamente afferenti al funziona-mento dello strumento militare(escluse quindi ulteriori voci di spe-sa, come quelle per il mantenimentodell’organizzazione ministeriale) faattestare la spesa preventiva per la“Funzione di difesa”, per il 2011, a 14miliardi 360 milioni di euro, di cui 9,46 destinatialla voce “personale” (stipendi dei militari: il governoMonti ha annunciato robusti tagli degli effettivi); 1,44all’“esercizio” (addestramento e formazione del perso-nale, manutenzione di mezzi ed equipaggiamenti, scorte

di munizionamento e di carbo-lubri-ficanti); 3,45 al settore “investimen-to” (acquisto di nuovi mezzi ed equi-paggiamenti, inclusi i programmi in-ternazionali di sviluppo).

Rispetto al 2010, la spesa per l’inve-stimento è aumentata di 266,3 mi-lioni di euro (+8,4%); il rapportodell’Archivio Disarmo presenta i datidisaggregati: 1,45 miliardi di euroin mezzi aerei, di cui 468,6 milioniper il programma Joint Strike Fighter(Jsf), finalizzato alla produzione di unnuovo velivolo multiruolo, che sosti-tuirà, a partire dal 2015, aeromobili at-tualmente in servizio (sono i conte-stati F35, il cui ordinativo verrà ridot-to, secondo quanto annunciato dalgoverno a febbraio); 324,7 milionidi euro per mezzi navali, di cui 168,9milioni per la produzione di som-mergibili di nuova generazione U-212e 46,2 milioni per la nuova portae-rei Cavour (completamento previsto:2016); 298,5 milioni per sistemi dicomando e controllo; 248,3 milio-ni per sistemi missilistici; 231,7 mi-lioni per sistemi d’arma e materialid’armamento; 78,9 milioni permezzi terrestri; 62,5 milioni per ri-cerca scientifica e sviluppo, di cui59,9 milioni per programmi di ri-cerca tecnologica militare, spesso rea-lizzati in regime di cooperazione eu-ropea o internazionale.

A tali voci di bilancio del ministerovanno aggiunti circa 3 miliardi dieuro per scopi militari, inscritti neibilanci di altri ministeri, tra cui han-no particolare peso gli investimentidel ministero dello sviluppo econo-mico: 255 milioni per il Fondo per

gli interventi agevolativi alle imprese; 1.483 milioni(98,3 in più rispetto al 2010) per interventi agevolativiper il settore aereonautico; 510 milioni destinati a in-terventi per lo sviluppo e l’acquisizione delle unità navalidella classe Fremm (fregata europea multimissione).

Q uanto spende l’Italia con le stellette? Lo documenta il rapportoLa spesa militare in Italia 2011, elaborato dall’istituto di ricer-che internazionali Archivio Disarmo e presentato a gennaio. Il

lavoro evidenzia incongruenze e aspetti problematici: in un contestodi crisi economica, che richiede ingenti sacrifici a tutti i cittadini, siregistra un incremento della spesa militare nel nostro paese. Inoltre,la partecipazione dell’Italia alla Nato e alla Politica di sicurezza e difesacomune (Psdc) dell’Ue determina di fatto un appiattimento del nostropaese rispetto alle politiche militari di queste due organizzazioni, cherichiedono la partecipazione a missioni internazionali, più o meno

La spesa militare?In Italia costanti

aumenti, negli ultimianni, nonostante il generale clima

di austerità. Ultimo datoufficiale, il preventivo

2011: forti aumentiper gli investimenti

in armi. Aerei,sottomarini e portaerei:

quanto ci costano!

databasedi Walter Nanni

Trend in salita16,3 miliardi gli eurospesi per la difesa nel 2011,1,02%del Pil italiano+0,9% l’aumento del bilanciopreventivo 2011 per la difesarispetto all’anno precedente266,3 milioni l’aumentodella spesa per investimentoin strumenti ed equipaggiamenti:8,4% rispetto al 2010

10 I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2

«Dopo l’accumulo,tempo di economia

civile»tore: attori sociali che possono offrirerisposte “di senso”, oltre che politicheed economiche. Andrea Olivero, pre-sidente nazionale delle Acli, guida unmovimento che sta al crocevia tra igrandi temi del lavoro, del welfare,del protagonismo della società civile:

on solo spread e debiti. Lacrisi che ci avvolge è anchecrisi di senso, fase terminaledi una cultura dell’accumu-lo che innesca precarietà

strutturali e nutre povertà e solitudi-ni. Volontariato, non profit, terzo set-

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Andrea Olivero,presidente Acli: «La crisi è culturale,non solo finanziaria: il neoliberismo,sconfitto dai mercati,non lo è nella testadelle persone. Il terzo settoredeve riconoscerela propria duplicefunzione: attoredi democraziapartecipata e di un’economia“rispettosa”. Con Caritaslavoriamo a una“poverty lobby”»

CONSUMI O RELAZIONI?Comprare, comprare,per sostenere una crescitaindefinita della ricchezza:un modello culturale,prima ancora che economico, che ormai mostra la corda

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I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 13

Dopo decenni di un’ideologia a sostegnodi un’economia basata sulla crescitaquantitativa, si scorge la necessità di una

crescita qualitativa, in ambito relazionale.È ciò che determina la felicità delle persone

Reggio Calabria: in principioera il manicomio, l’Albanuovaè un hotel quattro stelle

L’hotel Albanuova (www.albanuovahotel.it, foto a de-stra) è un albergo quattro stelle, nato nel 2010 dauna cooperativa sociale, Altamarea. Sito nel centrostorico di Reggio Calabria, dà lavoro a 12 persone(sotto, lo staff), di cui 4 disabili psichici. Nonostante lacrisi, ha tanti clienti: dimostra come un’idea nata inambito sociale, e con finalità solidali, possa concorrerea ricostruire l’economia, e la fiducia, di un territorio.

«Albanuova viene da lontano –spiega Rino Cavalie-ri, presidente di Altamarea –: nel 1986 un gruppo diamici decide di assistere un amico comune che ave-va avuto un incidente a Napoli, dove era ricoverato.Non poteva muoversi, aveva bisogno di assistenzacontinua. Per qualche mese andiamo avanti e indie-tro da Napoli, poi purtroppo lui muore. Molti di noi giàfacevano volontariato in Caritas: insieme decidiamoche donare tempo e volontà alle persone in difficoltàè la strada giusta per la nostra esistenza».

Nasce così l’associazione di volontariato Albanuo-va. Che si dedica ai portatori di disagio psichiatricodell’ospedale psichiatrico di Reggio, nel quartiere Mo-

dena. «Abbiamo comin-ciato facendo animazio-ne – ricorda Rino –. Maci rendevamo conto chela nostra presenza nonbastava per dare dignitàa quel luogo. La situa-zione era aberrante. La

Caritas locale e varie associazioni di sinistra conduce-vano battaglie civili per farlo chiudere, ma c'eranotroppi interessi. Ogni ospite costava alla comunità450 mila lire, soldi non certo spesi per i degenti…».

Il manicomio verrà chiuso nel 1992, solo perché icarabinieri ci costruiranno una caserma. Nello stessoanno, Albanuova si trasforma in cooperativa sociale, LaCittà del Sole, e fonda una casa-famiglia e una comuni-tà alloggio: molti ospiti del manicomio vengono accoltinelle due strutture. Nasce anche un laboratorio teatra-le: molti degli attori sono disabili psichiatrici; la piccolacompagnia cresce, fa spettacoli in scuole e teatri di tut-ta la Calabria (ancora oggi) e arriva anche a Roma.

Sono gli anni in cui matura l’impresa sociale. Dauna costola della Città del Sole nasce, nel 1996, Alta-marea, cooperativa sociale di tipo A, che collaboracon la Caritas diocesana di Reggio e gestisce una bir-reria dove, ancora oggi, lavorano persone con disagiopsichiatrico. Quando poi vince un bando nazionalecon un progetto sociale che prevede la costruzione diun albergo per l’inserimento lavorativo di personesvantaggiate, il gruppo storico dei “ragazzi dell’86”non ha dubbi sul nome: si chiamerà Hotel Albanuova.E farà fortuna. [daniela palumbo]

di allargamento dei diritti e prospet-tiva di benessere per i paesi che nefanno parte. L’integrazione verso estcompiuta negli ultimi anni ha porta-to con rapidità paesi in condizionimolto difficili a vivere un relativo be-nessere. La strada è lunga, ma il pro-getto europeo è estremamente posi-tivo. E come tale dev’essere vissutodai nostri popoli.

Quali risposte si possono dare aun mondo giovanile sempre piùsegnato da disillusione, disoccu-pazione, crisi delle agenzie for-mative?

Noi dobbiamo scommettere sui gio-vani. Lo si dice sempre, ma per farlodavvero bisogna mettere nelle manidei giovani progetti concreti e oppor-tunità autentiche, nelle quali possa-no cimentarsi. Molte volte le nostreorganizzazioni sociali, la nostra stes-sa chiesa, parlano dei giovani, li ana-

lizzano dal punto di vista sociologico,offrono loro magari dei servizi, manon li mettono mai nelle condizionidi essere fino in fondo protagonisti.Tale protagonismo comporta scelteprecise anche sul piano politico-eco-nomico: revisione del modello diwelfare, che garantisca ai giovani piùrisorse di quelle date fino a oggi; rie-quilibrio dei pesi tra generazioni al-l’interno della spesa pubblica; ridu-zione della sperequazione tra lavora-tori giovani e lavoratori anziani;accesso possibile per i giovani ai po-sti di responsabilità, anche nelle or-ganizzazioni sociali.

Acli e Caritas spesso operano in-sieme. Quali sono gli ambiti dicollaborazione da privilegiare?

In primo luogo il servizio civile, bat-taglia di civiltà rispetto alla qualedobbiamo rilanciare un messaggio alpaese: senza giovani volontari non si

creano i presupposti per la crescitadel terzo settore, del volontariato,della solidarietà, del bene comune.Poi le iniziative a favore della dignitàdei lavoratori e dei cittadini migran-ti, come si sta facendo con la campa-gna sulla cittadinanza “L’Italia sonoanch’io”. Ancora: l’accompagnamen-to e l’assistenza alle famiglie in diffi-coltà, sia sul piano pratico (i fondidiocesani di solidarietà) che sul pia-no educativo. Ancora, una grandescommessa che stiamo affrontandoinsieme: la costruzione di una vera epropria poverty lobby, cioè di ungruppo di pressione democratico epopolare che spinga anche l’Italia adotarsi di uno strumento universaledi contrasto della povertà assoluta.Caritas e Acli, insieme ad altri, comeSant’Egidio, possono diventare leprime forze di coagulo di questagrande iniziativa, di cui c’è un biso-gno fortissimo.

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sono ripensare il proprio contri-buto ai processi economici, socia-li e politici del paese?

Gli attori della società civile organiz-zata, laici e cattolici, devono impara-re a leggersi nella loro complessità.Come promotori di nuova socialità,di nuove relazioni tra le persone,quindi in fondo di nuova democra-zia partecipativa. Ma anche come at-tori economici: le opere che nel tem-po hanno costruito sono oggi unbuon esempio di economia civile, diun’economia rispettosa del territo-rio, delle comunità, della sostenibili-tà ambientale, sociale, generaziona-le. Intendersi, in maniera duplice,come soggetti della democrazia esoggetti dell’economia, è la prospet-tiva nuova nella quale orientarsi.

Il risanamento dei conti pubblicicomporterà una revisione delwelfare italiano. Teme smantella-menti o deleghe improprie al nonprofit, con la motivazione del ri-gore finanziario?

Il rischio è grande. Si continua a dire,

da più parti, che il modello socialeeuropeo è morto. Ma non è così. I di-ritti sociali cresciuti durante il Nove-cento grazie ai movimenti sociali, inparticolare grazie all’impegno delmondo cattolico, devono essere sal-vaguardati e tutelati, sia pure in for-me nuove. Il welfare può essere an-cora un elemento per la crescita delpaese e non soltanto un costo, comeviene costantemente letto in questafase di crisi. Il terzo settore è certa-mente uno strumento tramite il qua-le razionalizzare la spesa e migliora-re la qualità dei sistemi di welfare,ma non può e non deve trasformarsiin soggetto che sostituisce l’inter-vento pubblico per mancanza di ri-sorse o scelta di disimpegno. Il terzosettore vuol fare la sua parte, ma nonaccetta lo scaricabarile.

La crisi investe senso e prospetti-ve dell’Europa. Rigurgiti sciovini-sti nelle opinioni pubbliche, ritar-di ed egoismi dei governi: il conti-nente si frantumerà sotto il pesodella sua moneta, o ha risorse –tra i suoi soggetti collettivi: sinda-cati, associazioni, volontariato,chiese – per completare il disegnodell’integrazione?

Noi scommettiamo ovviamente suquesta seconda ipotesi. L’Europapuò uscire da questa crisi solo di-ventando un vero e proprio “pae-se”, una nazione coesa che si rico-nosce non solo in una moneta, main una serie di valori collettivi con-divisi. I soggetti sociali possono ri-velarsi attori determinanti in questoprocesso, ma è necessario che tutti icittadini comprendano che quellaeuropea è una grande sfida di demo-crazia e di fiducia nel futuro. Ritor-nare ciascuno nella propria piccolapatria vorrebbe dire cercare di sal-varsi da soli: sappiamo che è impos-sibile, nel mondo globalizzato. Nondimentichiamo poi che l’Europa ègià oggi, malgrado tutto, strumento

se la diagnosi allarma, la prognosi in-travede percorsi di rinascita. Anchesu scala continentale.

Presidente, la crisi influisce sullapsicologia dell’Italia: favorirà unirrobustirsi dello spirito di solida-rietà, anche in forme organizzate,o un generalizzato ed egoistico “sisalvi chi può”?

La crisi di per sé non è garanzia di so-lidarietà o di nuova coesione sociale.Perché ingenera paura e preoccupa-zione. Però questa crisi in particolare,che non è solo economica, ma anchecrisi di senso, porta molte persone ainterrogarsi su quali siano le cose im-portanti per la propria vita, spinge lecomunità a ripensare il modello sulquale sono costituite. Per le Acli è sta-gione di assemblee e congressi pro-vinciali: girando per il paese notiamouna voglia di partecipazione che an-ni fa non c’era. Probabilmente si av-verte la necessità di un ripensamentocomplessivo dello stare insieme, per-ché torni a essere significativo e portia cambiamenti reali.

Come si vede la crisi dall’osserva-torio Acli? Solo una faccenda disquilibri finanziari e conti pubbli-ci da aggiustare, o una transizioneanche culturale?

Siamo nel bel mezzo di una transi-zione. È un grande periodo di tra-sformazione, non solo del nostropaese, ma dell’Europa e dell’occi-dente. Dopo decenni di ideologianeoliberista, volta a promuovereun’economia dell’accumulo, basatasull’aumento dei consumi e sullacrescita quantitativa, iniziamo ascorgere la necessità di qualcosa didiverso, di una crescita qualitativa,soprattutto in ambito relazionale,che è ciò che determina la felicitàdelle persone. C’è però bisogno di uncambiamento culturale. In fondo, ilneoliberismo ha vinto prima cultu-ralmente e poi sui mercati. Oggi,sconfitto nei mercati, non è ancorastato sconfitto nella testa delle per-sone e delle comunità.

Gli attori della società civile, inprimis il terzo settore, come pos-

nazionale interviste sulla crisi / 2

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CRISTIANI LAVORATORIAndrea Olivero, piemontese,42 anni, è presidente nazionaledelle Acli dal 2006

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LAVORATORI DEL MAREVITE NON CERTO DA CROCIERA

dall’altromondodi Franco Pittau

che però, dopo le disavventure al-l’isola del Giglio e alle Seychelles, nonci stanno facendo fare bella figura.Sempre per le navi da crociera, l’Italiaè al quarto posto nella graduatoriadelle principali flotte mondiali e alprimo tra quelle dei paesi industria-lizzati. Tenuto conto della data di co-struzione, l’età media della flotta ita-liana è più bassa rispetto alla mediadella flotta mondiale e tecnologica-mente più avanzata: il 68% dei navi-gli tricolori ha meno di dieci anni e il43% meno di cinque.

Quanto a movimento di passegge-ri, all’Italia spetta la leadership euro-pea, con un movimento nei porti ita-liani di 9,1 milioni di crocieristi nel2010 (circa 11 nel 2011) e il coinvol-gimento di 52 compagnie di naviga-zione, 149 navi da crociera e 67 porti,tra i quali spicca Civitavecchia, conquasi 2,5 milioni di passeggeri.

Impegno e tanti rischiI posti di lavoro a bordo delle naviitaliane, secondo la stima di Confi-tarma (Confederazione degli arma-tori italiani) sono 36.995. A essere imbarcati sono nel61,2% dei casi italiani o comunitari (nell’insieme, 22.635)e nei restati casi cittadini stranieri non comunitari(14.360), con un’incidenza in continua crescita (nel 2005erano il 34,6%, ovvero 5 punti percentuali in meno del

2011). Bisogna tuttavia tenere pre-sente che, per via delle turnazioni,attorno a questi posti di lavoro ruo-tano 52 mila persone, per cui l’occu-pazione effettiva sale a circa 32 milaper gli italiani e i comunitari e a 20mila per i marinai stranieri non co-munitari. Rispetto al personale im-barcato, quello operante a terra stain un rapporto di 1 a 5 (quindi, altre7.400 unità nel 2010).

In generale, i marittimi italiani go-dono di un buon apprezzamento enon trovano difficoltà a imbarcarsianche in flotte straniere, ma non ba-stano a soddisfare la richiesta di ma-nodopera; vi è carenza di comandan-ti, direttori di macchina e ufficiali e,d’altro canto, un esubero di persona-le con basse qualifiche e scarsa di-sponibilità a imbarchi per la naviga-zione internazionale. Gli istituti nau-tici della penisola formano solo1.600-1.700 allievi l’anno ed è diven-tato necessario ricorrere, previo il ri-lascio di un visto, a marittimi stranie-ri, provenienti in particolar mododall’Asia, specialmente dalle Filippi-ne. Per esempio, erano diverse centi-naia i filippini imbarcati sulla naveConcordia, naufragata al Giglio.

La vita in mare è molto impegna-tiva per gli orari, la ridotta possibilitàdi dormire in pace a causa dei turni,i rischi che si corrono: quelli internisono ricollegabili alla fatica e alleesposizioni nocive, quelli esterni di-pendono dai ricorrenti assalti dei pi-rati e dalle ridotte difese di attività le-gali in terra straniera come, primaancora che accadesse il caso dei fuci-lieri italiani imbarcati a difesa di una

nave e poi trattenuti nello stato indiano del Kerala, erastato evidenziato dalle organizzazioni internazionali.

Una riflessione, per concludere, applicabile sia agli ita-liani che agli stranieri: chi si guadagna la vita in mare con-duce una vita non proprio da crociera!

M olti immigrati vengono da noi via mare, così come moltiitaliani partono via mare. Per lavorare sul mare. Non siamotra i primi al mondo, ma non sfiguriamo. Anche se, oggi, e

nonostante le gloriose figure del passato, appare un po’ esageratoautodefinirci “popolo di navigatori”.

Nella graduatoria mondiale, l’Italia è decima tra i paesi costruttoridi imbarcazioni, 11ª tra le flotte di bandiera, 14ª per controllo arma-toriale; a livello europeo la flotta italiana è la quarta, per consistenzacomplessiva, dopo quelle di Grecia, Malta e Cipro. L’Italia è, invece,leader per quanto riguarda la costruzione di navi da crociera, quella

Italiani, popolodi marinai? Fino a un certo punto.La nostra flotta è

tra le prime al mondo.Siamo leader europeiquanto a movimento

di passeggeri. Ma senzapersonale straniero,

sempre più rilevante,non navigheremmo

lontano…

ACQUE MULTINAZIONALIMarinai su una nave nel portodi Genova, molti sono stranieri

di Walter Nanni

nazionale povertà e diritti Caduta massı,

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grafico, ecc.), si manifestano anchefenomeni in parte inaspettati.

Casi isolati,scenario complessoQuali sono le criticità sociali che ca-ratterizzano le aree di montagna inItalia? Secondo la ricerca Caritas, inprima posizione (18,9% delle rispo-ste) si collocano i problemi del lavoro,del sistema produttivo e dell’econo-mia locale. Seguono (15,4%) i temi le-gati allo spopolamento dei territori,all’invecchiamento dei residenti, al ri-dotto numero di nascite e allo scarsoricambio intergenerazionale che neconsegue. In terza posizione, criticitàprettamente sociali, in gran parte ri-conducibili alla sfera economica: po-vertà, indebitamento delle famiglie,diffusione del gioco d’azzardo, ecc.

Secondo le testimonianze raccolte,la povertà economica non appare unfenomeno sistematico e diffuso nellearee di montagna: le situazioni di veraindigenza economica vengono spes-so definite nei termini di “casi isolati”,e riguarderebbero le condizioni di vi-

e scomposte periferie urba-ne, certo. Le convulse areemetropolitane, naturalmen-te. Ma i fenomeni di disagiosociale, nel nostro paese,

non si annidano solo dove la popola-zione si addensa, e con essa si molti-plicano soggetti e relazioni fragili. Lapovertà (meglio: la vulnerabilità so-ciale) sta in agguato anche dove latrama sociale si dirada, il capitaleumano invecchia, i territori si sco-prono impresidiati.

Caritas Italiana ha realizzato – epubblicato insieme alla FondazioneZancan in Poveri di diritti. Rapporto2011 su povertà ed esclusione socialein Italia – un’indagine sulla qualitàdella vita sociale nelle aree monta-ne, intitolata “Caduta massi” e con-dotta in 12 diocesi di Toscana, FriuliVenezia Giulia, Valle d’Aosta, Abruz-zo, Molise e Calabria. Ne emergeun’estrema complessità dei fenome-ni: rispetto a un’immagine tradizio-nale e stereotipata della montagna,caratterizzata da difficoltà antiche(isolamento, invecchiamento demo-

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poveri d’alta quota

MANUALI E FUORI MANOSi fa fieno, sui pratidi montagna: l’agricolturadi qualità può essere una risorsa,ma lo sviluppo di centrispesso isolati (foto sotto)va accuratamente programmato

Che forme assume il disagio socialenelle aree di montagna? Ricerca Caritas

in sei regioni. La povertà economicanon è il dato più preoccupante.

Le maggiori criticità sociali sono il lavoro, il futuro dei giovani, l’integrazione dei migranti

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I principali problemi dei giovani so-no l’aumento della disoccupazione e lacarenza di prospettive di inserimentoprofessionale, la difficoltà di aggrega-zione sociale, specie per chi si collocain età adolescenziale, senza un’auto-noma capacità di spostamento nel ter-ritorio. Si rileva inoltre l’assenza di of-ferte ricreative, che incrementa il pote-re attrattivo delle aree metropolitane efavorisce il coinvolgimento dei giovaniall’interno di contesti aggregativi po-tenzialmente devianti, non sempreadeguati a corrette esigenze educative.Significativo, a riguardo, è l’abbassa-mento dell’età media del coinvolgi-

mento dei giovani in situazioni di de-vianza (12-13 anni) e l’aumento delledipendenze, con particolare riguardoall’uso del alcol (in quanto sostanzaeconomica e facile da reperire).

Subalternità politicaVarie osservazioni critiche si riferi-scono, nell’indagine, alle carenze dirisposte da parte del sistema pubbli-co. Spicca il forte peso attribuito allecarenze infrastrutturali del territorio,che da sole assorbono il 24,1% dellerisposte fornite. Seguono le carenzedei servizi socio-assistenziali (16,5%delle risposte) e quelle relative all’or-ganizzazione e al finanziamento deiservizi pubblici (16%).

Anche nel settore del volontariatosi rilevano varie criticità, tra cui unacerta difficoltà a coinvolgere i giovaniattraverso proposte credibili e inno-vative. Gli intervistati lamentano l’as-senza di politiche giovanili e servizieducativi, di prevenzione, di accom-pagnamento dei minori durante il lo-ro percorso di vita. Non c’è pianifica-zione degli interventi e manca la ca-pacità di offrire luoghi e percorsialternativi di coinvolgimento dellenuove generazioni. Va detto che in al-cune situazioni la possibilità di coin-volgimento dei giovani è inficiata an-

nazionale povertà e diritti

che da barriere linguistiche e cultura-li, in quanto un numero crescente dibambini e adolescenti residenti nellemontagne è di nazionalità straniera.

Si lamenta inoltre la carenza o ad-dirittura l’assenza di esercizi pubblici(bar, supermercati, negozi di alimen-tari, farmacie, ecc.) e la progressivachiusura di servizi di pubblica utilità(poste, scuole, ambulatori, sportelli epresidi sanitari, caserme, ecc.): ciònon fa che incoraggiare lo spopola-mento dei territori montani.

Un frequente aspetto critico si rife-risce al ruolo della politica e delle isti-tuzioni locali: da molte dichiarazionidegli abitanti delle montagne si perce-pisce una sensazione di subalternitàpolitica, di trascuratezza e abbandono.I residenti rimproverano alle istituzio-ni locali l’assenza di una strategia difondo, di una reale capacità di ri-pen-sare il territorio in vista del bene co-mune. È molto diffusa la percezionedell’inadeguatezza della classe politicarispetto ai reali bisogni del territorio. Eanche una certa sfiducia nella capacitàdelle istituzioni di invertire la rotta,promuovendo il territorio e favorendoun riavvicinamento dei cittadini ai po-teri decisionali. Come dire: se il pre-sente è colmo di insidie, l’orizzonte, vi-sto dall’alto, è tutt’altro che roseo...

di Ettore Sutti

a promuovere un rinnovo generazio-nale: quando una comunità, ungruppo, un’associazione contano so-lo su persone di una certa età, diven-ta difficile per i giovani trovare spazioe ruolo. Si possono mettere nellastessa frase le parole “futuro”, “giova-ni” e “montagna” solo se pensiamoad aree vaste, che offrano scuole, vitaassociativa, sport, possibilità lavora-tive, imprenditoriali, servizi. Da noi,tenendo conto dell’orografia friulanae della Carnia, con montagne strette

e brulle, poche possibilità di sviluppoeconomico o di coltivazione intensi-va, bisogna dunque pensare a bacinicostruiti attorno a fondovalle attivi,capaci di “servire” i paesi di alta quo-ta e coinvolgerli in dinamiche di svi-luppo. Questo si verifica in alcune zo-ne, molto meno in altre. E infatti èevidente la differente spinta a spo-starsi, che caratterizza i giovani chegravano sui diversi territori».

Mancanza di lavoro, invecchia-mento della popolazione, spopola-

mento, solitudine: una dinamicaconsolidata, proprio per questo dif-ficile da fronteggiare. Se le risorse delterritorio diminuiscono, la loro dimi-nuzione genera ulteriore aridità so-ciale. «Dentro questa cornice – pro-segue Manuela Celotti – troviamo

casi di alcolismo, persone in gravemarginalità, famiglie di immigrati indisagio economico, gruppi di giovaniattratti da comportamenti devianti.C’è grande impegno da parte delleamministrazioni comunali, che ga-rantiscono i servizi di base (funzioni

municipali, assistenza domiciliare,presidi sanitari), cercano di riquali-ficare il territorio, chiedono contri-buti per la viabilità, tentano di ga-rantire i trasporti, hanno attivatosperimentazioni in semiautonomiaper anziani soli, fanno battaglie pernon chiudere le scuole materne edelementari... Ma il problema è chemanca un’azione di sistema, unprogetto condiviso».

Eppure, «la marginalità sociale epolitica non è un fatto scontato –

giovani possono avere un futu-ro in montagna solo se la mon-tagna riesce a darsi un futuro.In una comunità “invecchiata”,è difficile mettere in atto dina-

miche propositive e di sviluppo, chespalanchino alle nuove generazioniprogetti di lavoro e di vita credibili.«Mi viene naturale l’analogia con ilmondo del volontariato – osservaManuela Celotti, dell’Osservatoriodelle povertà e delle risorse della Ca-ritas diocesana di Udine –, che fatica

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Udine: «Comunità invecchiate?La marginalità non è un destino»Montagne brulle, in Friuli: «Bisognerebbe pensare a bacini di servizicostruiti attorno a fondovalle attivi. Ma manca una visione di sistema»

Dentro questa cornice troviamo casi di alcolismo, persone in grave marginalità,famiglie di immigrati in condizioni

di disagio economico, gruppi di giovaniattratti da comportamenti devianti

ta in cui versano persone, famiglie ofrazioni di territorio tradizionalmentein difficoltà, in particolare famiglie inpovertà cronica e molti anziani chevivono in frazioni isolate, spesso conpensioni basse, risultato di una vita dilavoro svolta in condizioni di irrego-larità contributiva.

Sempre in questo ambito, è segna-lato con elevata frequenza il connubiotra povertà economica e immigrazio-ne: in alcuni casi, gli intervistati hannoriferito di situazioni di stranieri che vi-vono al limite della sopravvivenza. Talisituazioni riguardano soggetti giuntida poco tempo, o che hanno recente-mente perso il lavoro; in altri casi lecondizioni di povertà, meno gravi, sipresentano sotto forma di fenomeni disottoccupazione e sfruttamento dellamanodopera, da parte di imprese edatori di lavoro locali.

Vi sono dunque forme tradizionali ocroniche di deprivazione economica.Ma gli intervistati sembrano conferiremaggior peso a uno scenario più com-plesso. Per esempio, grande rilevanza èattribuita ai problemi dei giovani e dellaformazione scolastica. Addirittura, col-pisce il fatto che i problemi dei giovaniabbiano attirato l’attenzione degli in-tervistati in misura quasi maggiore ri-spetto ai problemi degli anziani.

GESTI D’ALTRI TEMPIAttingere acqua alla fontanapubblica, riporre la legnache serve per scaldare casa:vecchie abitudini domestiche,nei centri di montagna, praticateda anziani. Che spesso sonogran parte della popolazioneR

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Page 10: Italia Caritas · di Francesco Soddu 4 parola e parole di Benedetta Rossi 10 database di Walter Nanni 14 dall’altro mondo di Franco Pittau 19 contrappunto di Domenico Rosati 20

MAGISTERO CONFISCATO,IL PAPA VUOLE L’ARTICOLO 18?

contrappuntodi Domenico Rosati

fa problema nel momento in cui, co-me ultimamente accaduto, nel trac-ciare gli orientamenti per le scuolesociopolitiche, si indica la dottrinasociale come nucleo di una nuovapedagogia civile.

Trazione liberistaGiustamente, qualcuno ha osserva-to che nella Caritas in veritate diBendetto XVI è contenuta una seve-ra denuncia delle conseguenze deiprocessi di mobilità e deregolamen-tazione: a seguito dei quali “l’incer-tezza del lavoro si fa endemica e sicreano forme di instabilità psicolo-gica e di difficoltà a costruire propripercorsi coerenti nell’esistenza,compreso anche quello verso il ma-trimonio, con la conseguenza delformarsi di situazioni di degradoumano, oltre che di spreco sociale”.L’istanza del “lavoro decente” poggiasu questa diagnosi.

Ma che senso ha opporre dottrinaa dottrina a colpi di paragrafi e rinvii?Si deve evocare l’enfasi con cui Pio XIdenunciava, dopo la crisi del 1929, leavventure del capitale finanziario co-

me “l’imperialismo del denaro”, o lo sdegno con cui PioXII, nel 1955, rigettava l’“atroce calunnia” di una chiesaalleata del capitalismo? Per dirimere le dispute basta ri-cordare che la bussola del pensiero cristiano è sempreorientata sul polo della dignità della persona umana, eciò comporta precise conseguenze. Si potrebbe suggerirea qualche interlocutore di provare a sostituire alla locu-zione “mercato del lavoro”, entrata nel linguaggio corren-te, la dizione “mercato delle persone”: che effetto fa?

Ecco: se ci si immette in questo circuito, molte scoriesi perdono per via e si comprende la vanità strumentaledegli argomenti… teologici a supporto di questa o quellasoluzione di problemi specifici. Si può insomma esserea favore o contro il mantenimento dell’articolo 18 senzascomodare la dottrina. Con una sola avvertenza: in ognicaso, ci si deve attrezzare a rispondere al quesito se unadeterminata scelta accresce o depaupera il tasso di svi-luppo umano nella società.

I l faticoso incedere della riforma del mercato del lavoro è statoaccompagnato da un dibattito invero singolare attorno allacollocazione della Dottrina sociale della chiesa sulla contro-

versa materia. Detto in volgare: il Magistero è favorevole o contrarioall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori?

C’è chi ha sostenuto che, secondo l’enciclica Centesimus annus diPapa Wojtyla (paragrafo 48), sarebbe grave se lo stato garantisse atutti un posto di lavoro, perché a ciò corrisponderebbe una limita-zione della libertà e della creatività delle persone e dell’intera socie-tà. E ciò in base al presupposto per cui un posto di lavoro vero loproduce solo un’impresa capace distare sul mercato e nessuno ha il do-vere o il potere di offrire dal nullaposti di lavoro. Citazione invero unpo’ forzata, perché nello stesso do-cumento – che pure, dopo il crollodel comunismo, manifesta un’espli-cita preferenza per l’economia dimercato – è contenuto un impegna-tivo catalogo di compiti affidati allostato, tra i quali “assecondare l’atti-vità delle imprese, creando condi-zioni che assicurino occasioni di la-voro, stimolandola dove essa risultiinsufficiente e sostenendola nei mo-menti di crisi”.

Da tempo il magistero sociale della Chiesa è oggettodi una trazione sostanzialmente liberista che, se preva-lesse, gli toglierebbe ogni originalità e ogni potenzialecritico dell’ordine presente. Ed è proprio attorno allaCentesimus annus che si è consumato, anche in Italia, iltentativo di una lettura parziale della dottrina. Ciò è av-venuto sulla scia della teoria del “capitalismo democra-tico”, che fa capo al filosofo cattolico americano MichaelNovak. In pratica si è operata una divisione in due di unparagrafo dell’enciclica (il 42), enfatizzando l’afferma-zione per cui il capitalismo è cosa buona se realizza “lalibera creatività umana nell’economia” e trascurando ilfatto che lo stesso sistema non è accettabile se manca“un solido contesto giuridico che metta l’attività econo-mica al servizio della libertà umana integrale e la consi-deri come una particolare dimensione di questa libertà”.

Tale manomissione non sempre è stata segnalata. E

Lo scontro sul mercato del lavoro

accompagnato da interpretazioniimprovvide della

Dottrina sociale dellachiesa: la sicurezza

dell’impiego è controil Magistero? In realtà,il pensiero cristiano hacome bussola la dignitàdella persona umana

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Distanza dai grandi centri, collegamenti disagevoli oscadenti, età media della popolazione molto eleva-ta, scarsa presenza delle istituzioni, mancanza di la-voro e conseguente deserto di relazioni. Un quadroa tinte fosche, quello che caratterizza il territoriomontano, composto da paesi di piccole dimensioni,su cui si estende la diocesi di Trivento, in Molise. «Lapovertà è uguale dappertutto – racconta Michele Fu-scoletti, referente diocesano per i centri d'ascolto –,ma quando esistono disagi oggettivi e “ambientali”viene amplificata. Noi ci troviamo a convivere conproblemi che, credo, sono comuni a tutte le regionimontane d’Italia. Ma abbiamo problemi specifici: lacarenza cronica di posti di lavoro e il grandissimo de-ficit sanitario della nostra regione, in virtù del qualestanno chiudendo i presidi sanitari minori, tra cuiquello di Agnone, vero punto di riferimento per gliabitanti della diocesi, ora costretti a spostarsi fino aVasto o a Isernia, rendono particolarmente difficile lasituazione del nostro territorio».

Le ricadute sociali di questi problemi sono inevita-bili. «La nostra diocesi – continua Fuscoletti – è com-posta da 40 piccole comunità (solo due comuni supe-rano i 5 mila abitanti e uno i 3 mila, tutti gli altri sonoal di sotto dei mille). Le possibilità di confronto tra lediverse anime della popolazione e con l’esterno sonodunque scarsissime, il rischio è la chiusura sulle pro-prie posizioni, che compromette la crescita sociale deisingoli e del territorio. Mancano luoghi di socializzazio-ne, se non qualche palestra e qualche piccolo circoloculturale che però, data la continua emorragia di gio-vani verso altri luoghi, faticano sempre più ad andareavanti. In alcuni paesi non esiste nemmeno la linea

adsl, con la conseguenza che i collegamenti a internete ai social network risultano impossibili, e la comuni-cazione via skype o mail quasi…».

Comprensibile il disagio dei giovani. Non mancano,però, segnali di ripresa. «Il lavoro da fare resta tantissi-mo – osserva Fuscoletti –. Ma sul fronte sociale si puòsegnalare la scuola di formazione socio-politica “PaoloBorsellino” organizzata dalla diocesi, che da oltre 15anni organizza incontri di altissimo livello per diffonde-re cultura della partecipazione nel territorio, e le inizia-tive della pastorale giovanile, che pur tra mille difficol-tà cerca ostinatamente di offrire opportunità d’incon-tro. Sul fronte del lavoro, benché manchi unaprogrammazione razionale delle risorse, a Castel delGiudice sono sorte esperienze interessanti: un impren-ditore del luogo, che ha fatto fortuna a Milano, di re-cente ha impiantato in paese un ramo della propriaazienda, assumendo una ventina di persone; inoltreha avviato, insieme al comune e ad alcuni contadinidella zona, una coltivazione ecologica di mele che,con il marchio “Melise”, stanno avendo un discretosuccesso. Proprio l’agricoltura potrebbe essere il futu-ro. Io ho appena impiantato, con alcuni amici, una col-tivazione di zafferano: una coltura che richiede moltolavoro ma è molto redditizia, una chance per i giovanidella zona. In effetti, meglio lavorare duramente chestare in mezzo a una strada senza fare nulla, o esseresfruttati da contratti precari…». [e.s.]

Integrazione spontaneaUn problema (nuovo), tra i problemi(antichi). Anche le zone montanehanno visto aumentare la presenza diimmigrati. «In queste aree – concludeManuela Celotti – l’integrazione èspesso lasciata ai processi spontaneiche si creano nella comunità: il ri-schio è che non vadano a buon fine.Pensiamo a una famiglia di immigrati

magrebini in un paesino di alta quo-ta, popolato prevalentemente da an-ziani: estreme diversità, dalla religio-ne alle esigenze e agli interessi, senzacontare lo scarto generazionale. E sea trasferirsi sono diverse famiglie opersone appartenenti allo stessogruppo etnico, si creano comunitànella comunità. Così, il rischio è cheil rapporto con la comunità ospitantepassi solo attraverso l’aiuto dei grup-pi caritativi. Sarebbe importante as-sociare al sostegno concreto dellepersone immigrate azioni per favori-re un migliore radicamento nel tes-suto sociale e comunitario».

nazionale povertà e diritti

puntualizza Manuela Celotti –. Di-pende dai territori, dalla loro capaci-tà di mobilitarsi, di agire come porta-tori di interessi. Il fatto è che non tut-te le zone montane hanno le stessecapacità: dipende dalle “biografie”dei territori, dal sentire della gente,dalle potenzialità di politici, societàcivile e mondo ecclesiale, dal sensodi appartenenza, dall’identità».

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Io ho appena impiantato, con amici, una coltivazione di zafferano: richiedemolto lavoro ma è redditizio. Una chance

per i giovani. Meglio lavorare duramente che essere sfruttati da contratti precari…

Trivento: «Latita persino internet.Bisogna investire in agricoltura, può rappresentare il futuro»

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A poche ore una dall’altra, il 3 e il 4 marzo scorsi, due imbarcazioni cariche dimigranti, partite dalla Libia, sono state soccorse in mare e portate in salvo aLampedusa, confermando così quanto dichiarato poche ore prima dai ministriRiccardi e Cancellieri in visita sull’isola: i flussi migratori dal nord Africa versol’Europa riprenderanno presto. Ma non è stato un allarme quello lanciato deidue ministri, solo un messaggio chiaro, riguardo alla necessità di essere prontia gestire quella che potrebbe diventare una situazione complessa, simile a quel-la già vissuta l’anno scorso.

Mentre a Lampedusa la gestione delle accoglienze e, soprattutto, dei trasferi-menti, è ben rodata, l’accoglienza e l’integrazione nel resto d’Italia destanomaggiore preoccupazione, a causa degli errori commessi dal precedente gover-no l’anno scorso. Essa è emersa in maniera chiara tra i membri del Tavolo na-zionale asilo, con Caritas Italiana e Unhcr in prima fila, che sollecitano il governoaffinché sani, con rapidità, l’insostenibile situazione creatasi nei mesi scorsi,quando migliaia di profughi giunsero in Italia perché costretti a fuggire dalla Li-bia, a causa della guerra e delle persecuzioni. Molti di loro lavoravano in Libiada anni e molti vorrebbero tornarci, ma giunti a Lampedusa sono stati incanalatiautomaticamente nella domanda di protezione internazionale, spesso senzaaver ricevuto corrette informazioni sulla procedura di asilo, e ospitati poi in strut-ture non sempre adeguate a seguire la loro pratica.

Chiudere e consolidareÈ dunque urgente trovare delle soluzioni eque che tutelino il bisogno di protezionedi coloro che sono fuggiti dal conflitto, evitando situazioni di irregolarità e disagiosociale, favorendo un processo di integrazione rapido e sostenibile. Queste perso-ne, anche se non avessero il diritto di ricevere asilo in Italia, hanno comunque dirit-to a vedere riconosciuta la loro drammatica storia, ricevendo protezione umanitariatemporanea, con conseguente rilascio di un permesso di soggiorno, di validità al-meno semestrale. In questo modo potrebbero rimanere in Italia per un ulteriore pe-riodo, in attesa o di rientrare volontariamente in Libia o di convertire, ove ricorranole condizioni, il loro permesso di soggiorno per prote-zione temporanea in un permesso ad altro titolo.

Con il permesso temporaneo si potrebbe inoltreprogrammare la progressiva chiusura delle esperien-ze di accoglienza inadeguate e consolidare le espe-rienze migliori, per rendere la rete d’accoglienza ade-guata alle necessità del nostro paese.

migramed / lampedusa

Nuovi sbarchi, prepariamoci…Urge protezione per gli arrivati 2011

munità residenziali, case e ser-vizi di housing sociale, distribu-zioni di pannolini e latte in pol-vere, borse alimentari, mobili,vestiti, carrozzine e passeggi-ni). Al programma prenderannoparte, per un totale di 2.500ore di volontariato, anche alcu-ni professionisti: psicologi,ostetriche, educatori, mediatoriculturali e operatori del sociale.

zioni in cerca di accoglienza,aiuto, conforto. A loro è dedica-to il progetto “Un tessuto per lamaternità”: in un anno destine-rà circa 225 mila euro (il 70%da fondi otto per mille, il 30%dalle associazioni coinvolte,compresi due Centri di aiuto al-la vita) per coordinare meglio epotenziare i loro interventi disostegno (centri di ascolto, co-

5di Danilo Feliciangeli

la; ricevuta la mail (molte giàgiunte) il mittente è contattatodal counsellor; se necessario,viene fissato un appuntamento,da cui prende il via un percorsodi ascolto, orientamento e aiu-to. La sperimentazione si con-cluderà a maggio, poi si decide-rà come proseguire.

VARESECasa San Carlo,i senza dimorahanno uno spazioda cui ripartire

Tutto è nato dalla dona-zione, a una parrocchia

del Varesotto, di un contributoper il recupero di un edificio dadestinare a interventi di acco-glienza. La ristrutturazione nonfu possibile, ma quel fondo(grazie anche alle fondazioniMonsignor Proserpio, Cariplo eSan Carlo – quest’ultima ema-nazione della Caritas e delladiocesi ambrosiane) è servito adare vita, in un altro stabile, al-la Casa San Carlo, inaugurata aVarese a fine febbraio: quattrocamere doppie, per un totale diotto posti letto, dove troveran-no casa e accoglienza famiglia-re persone senza dimora, finitein mezzo alla strada per le piùsvariate ragioni. Gli ospiti nonpotranno fermarsi più di 90giorni: l’inizio di un nuovo per-corso verso l’autonomia. La Ca-sa sarà gestita dalla Caritasdecanale di Varese.

MANTOVATessuto più robustoper sosteneredonne in difficoltàe mamme sole

La speranza è donna, lacrisi pure. Perché s’acca-

nisce sul sesso debole. Donnesole o abbandonate, in gravi-danza, con figli piccoli. Mammesenza casa né lavoro, costrettea bussare alla Caritas di Man-tova e alla sua rete di associa-

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sta di utilizzare i locali della excanonica per il sostegno a per-sone bisognose.

TORINOMangroviaè in ascolto:internet intercettastorie di povertà

Nuove idee, nuovi metodie nuovi strumenti, per fa-

re fronte alle nuove storie e for-me di povertà. C’è bisogno di

innovazione an-che nella lottaal disagio e al-l’esclusione so-ciale. Magari met-tendo a frutto lepotenzialità dellenuove tecnologie.Con questo spiri-

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to la Caritas diocesana di Tori-no ha dato vita a una sperimen-tazione: mangroviainascolto.netè un progetto di network socia-le, sostenuto dal distretto e davari club Rotary del capoluogopiemontese. Il progetto intendeutilizzare il web per intercettarestorie di povertà o disagio, percollegare la persona che ne ètestimone o protagonista a unluogo o un servizio fisico e a uninterlocutore (counsellor). Inconcreto, si intende arrivare aun portale internet che raccol-ga le richieste di aiuto, consen-tendo anche l’interazione. Perora esiste una casella e-mail([email protected])dove chi ha bisogno può inviaremessaggi o richieste. Il primoobiettivo è far sentire alla per-sona in difficoltà che non è so-

SANREMO-VENTIMIGLIAInaugurata“La nicchia”,casa-alloggio per il reinserimento

È stata inaugurata a finefebbraio, dopo la ristruttu-

razione della ex canonica dellaparrocchia di Trucco, dove oraha sede, la casa-alloggio“La nicchia”. La struttura (sa-lotto e cucina comunitari, piùdue appartamentini) accoglieràfino a quattro persone in caricoall’Asl e seguite dalle educatricidi Caritas Intemelia, con l’obiet-tivo di un loro reinserimento so-ciale. Già da qualche mesela casa accoglie due ospiti; inoccasione dell’inaugurazione èstata ricordata Franca RemottiMigliori, a cui si deve la propo-

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Oltre centomila firme, raccolte a sostegno delle dueproposte di legge di iniziativa popolare promosse dallacampagna “L’Italia sono anch’io”. Le hanno consegna-te a inizio marzo le organizzazioni promotrici, tra cuiCaritas Italiana, alla camera dei deputati. Insieme adaltri organismi, enti e associazioni nazionali di tuteladei diritti dei cittadini stranieri, Caritas Italiana e Fon-dazione Migrantes hanno da tempo avviato una rifles-sione e iniziative sul tema della cittadinanza degli immigrati, con particolare riguardo alla situazione deifigli di cittadini stranieri nati in Italia. Il loro apporto a “L’Italia sono anch’io” è consistito soprattutto nella

sensibilizzazione delle comunità diocesane e parroc-chiali sui temi oggetto della campagna (le modalità di riconoscimento della cittadinanza e il diritto di votodei migranti). Ora “L’Italia sono anch’io” ha presentatouna nuova campagna di comunicazione (nelle foto, duedei quattro testimonial): l’obiettivo è tenere viva l’at-tenzione dell’opinione pubblica sui temi sollevati epremere sui parlamentari perché si avvii la discussio-ne sulle proposte di legge.

IMMIGRAZIONECittadinanza e diritto di voto:“L’Italia sono anch’io”,centomila firme per due leggi

Si è svolto a metà marzo nella sede di Caritas Italianail seminario “Sussidiarietà, famiglia e nuovo welfare”,promosso dalla Consulta ecclesiale degli organismisocio-assistenziali. Inserito in una riflessione più am-pia sul rapporto tra sussidiarietà e nuovo welfare, hamesso a fuoco il ruolo che la famiglia dovrebbe avere(e in Italia non ha) nel quadro di un sistema di prote-zione sociale effettivamente sussidiario. Eppure essa

ricopre un ruolo strategico, al pari delle imprese, haspiegato Luigi Campiglio, professore di politica econo-mica all’Università Cattolica di Milano, come unità didecisione nell’economia e nella società. Tanto che lapolitica dei salari, oggi, dovrebbe lasciare spazio a unapolitica economica fondata sul reddito familiare, au-tentico presupposto di una politica per lo sviluppo.www.avvocatodistrada.it

NUOVO WELFAREVera sussidiarietà? Serve una politica fondata sul reddito famigliare

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dicato decenni alla propria azienda, e che ora– in un territorio ad alta densità di piccoleaziende, messe in ginocchio dalla crisi –deve traumaticamente voltare pagina ereinventarsi. I consulenti di “ProgettoPenelope” di Caritas Treviso (avviatoper cercare di prevenire la piaga dei suicidi) dafebbraio dedicano particolare attenzione al mon-do degli imprenditori. In meno di quattro settima-ne, dall’inizio del progetto, si sono occupati di cinquecasi, persone che, in generale, hanno parlato di unaqualità della vita diventata pessima, che non dormonopiù, che hanno logorato le relazioni interpersonali, accu-mulato una tensione nervosa insostenibile. E potenzial-mente a gesti disperati. L’attenzione loro accordataconsiste nell’ascolto, ma anche nell’attivazione, tramiterisorse Caritas e del territorio, di percorsi per affrontaree cercare di risolvere i problemi. Superando la più nefa-sta delle impressioni: quella di essere rimasti soli di fronte alle difficoltà.

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quanto spendono per l’acqui-sto del cibo.www.compraconsapevole.it

PESCARA-PENNEUn protocollo perinserire al lavoromeno abbientie svantaggiati

Inserimento lavorativo deicittadini meno abbienti e

delle categorie svantaggiate. Èl’obiettivo del protocollo di inte-sa sottoscritto, a fine febbraio,da provincia di Pescara e Cari-tas diocesana. Il protocollo in-tende favorire l’incontro tra do-manda e offerta di lavoro,mettendo insieme le richieste dichi accede ai 40 centri di ascol-to della diocesi e le esigenze diaziende del territorio; ciò avver-rà tramite progetti finalizzati,orientamento professionale(borse lavoro e tirocini formati-vi), monitoraggio degli esiti delleazioni e diffusione di materialeinformativo. L’intesa resterà atti-va per un anno e coinvolgeràcon un ruolo cruciale i Centri perl’impiego provinciali; poi se nefarà una verifica, per stabilire see come darle continuità.

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L’hanno scritto i giornali: uno dei risvolti più dram-matici della crisi economica in atto è l’aumento

del numero dei suicidi. Molti di imprenditori, che vedonoandare in fumo imprese e sforzi di una vita, e messe arepentaglio le condizioni di vita delle famiglie dei loro di-pendenti. Occorre riuscire ad aiutare l’uomo che ha de-

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TREVISOSuicidi: Progetto Penelopeaiuta imprenditori in crisia evitare gesti estremi

POZZUOLIRete Solidalenell’area Flegrea:insieme per dareforza ai volontari

Rete Solidale Flegrea:l’iniziativa, presentata a

inizio marzo, intende promuove-re volontariato e terzo settore,mettendo insieme Caritas e as-sociazioni, soggetti del volonta-riato cattolico e laico nel territo-rio metropolitano di Napoli, daPozzuoli a Bacoli. In occasionedella presentazione, è statoinaugurato il primo “Laboratoriodi volontariato”; l’iniziativa pre-vede inoltre incontri rivolti alle

realtà socio-assi-stenziali dell’areaflegrea e a quantidesiderano impe-gnarsi nel volonta-riato, per unoscambio d’espe-rienze e per favo-rire la sinergia tra

risorse del volontariato del ter-ritorio. La Rete utilizza strumen-ti di comunicazione partecipa-ta: social network, newsletter,blog, pagina sul giornale delladiocesi, pubblicazioni, e-book.

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AMALFI – CAVA C’è una “Bacheca”in internetdove si scambianodonazioni e bisogni

La Caritas diocesana diAmalfi – Cava de’ Tirreni

si è inventata uno strumentoper consentire e facilitare loscambio di beni e servizi traparrocchie, strutture, enti di vo-lontariato o di pubblica assi-stenza e cittadini del territorio.Si chiama “Bachecaritas”: inpratica, i donatori (o aspirantitali) potranno inviare a Caritas,tramite un’apposita scheda, unresoconto in merito agli oggetti,ai beni (alimentari e non) e aiservizi che intendono prestareo mettere a disposizione a tito-lo gratuito. La Caritas, dopoaver ricevuto la scheda dei beniforniti dal donatore, provvede apubblicarla su un sito internet(www.bachecaritas.mysitepro-ject.com) con tutte le informa-zioni relative alla donazionepervenuta. Gli utenti possonoconsultare la “bacheca dona-zioni” e inoltrare alla Caritas larichiesta di acquisizione delladonazione selezionata.

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del progetto pensato dalla Cari-tas diocesana, col supporto diCoop Adriatica, avviato l’8 mar-zo. Da quel giorno, alle famiglieche si rivolgono ai suoi sportel-li, la Caritas non distribuisce piùi tradizionali pannolini “usa egetta”, ma quelli a “lunga vita”.Lo scopo è anche eliminare lapassività da parte di chi fruiscedi un aiuto, creando comparte-

cipazione e una mentalità nonconsumistica. I kit di eco-panno-lini sono di facile uso: si mettela mutandina sul fasciatoio, so-pra si sistema il pannolino eper ultimo il velo (da buttare) in-terno. Il risparmio economicopotrebbe non essere da poco:si calcola che nei primi anni divita di un bambino occorranotra i 1.300 e i 1.800 euro perquesta voce di spesa. Cifra che,coi pannolini “lunga vita”, scen-de a poche centinaia di euro.

BOLZANO-BRESSANONEContro lo spreco:il gusto dei rifiutiaiuta a comprare,ma consapevoli

In Alto Adige, ogni anno,94 chili di generi alimen-

tari commestibili per famiglia(o individuo) finiscono nellaspazzatura: questo spreco co-sta 282 euro per nucleo fami-gliare. Grazie a un rapporto piùconsapevole col cibo, si potreb-bero risparmiare risorse am-bientali e finanziarie. Caritasdiocesana, Agenzia provincialeper l’ambiente, provincia e Fil-mclub di Bolzano sono partitida questi dati per lanciare, ainizio marzo, una campagna disensibilizzazione durante laQuaresima: intitolata “Valore.Compra. Consapevole”, è cul-minata nella proiezione peruna decina di giorni, a cavallotra febbraio e marzo, anche permolte scuole, del film-docu-mentario Taste the Waste (“As-saggia la spazzatura”). Il regi-sta Valentin Thurn ha indagatol’assurdo sistema produttivoche, a livello planetario, provo-ca un enorme spreco di cibo,ne ha documentato le cause eha proposto soluzioni; il suofilm ha avuto grande successonei cinema di Austria e Germa-nia. Le esperienze della Consu-lenza debitori della Caritas dio-cesana dimostrano che ottopersone su dieci non sanno

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IMOLAEcologia, risparmio:pannolini “lungavita” alle famiglieche chiedono aiuto

Aiutare chi si trova in diffi-coltà, responsabilizzando-

lo. Anche attraverso l’uso deipannolini per neonati, lavabili eriutilizzabili. È l’idea alla base

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ottopermille / lucca

Si trova sopra le aule della banda, dove i bambini imparano a suonare. È piccola:appena un soggiorno, cucina, bagno e due camere da letto con tre posti letto cia-scuna. È arredata con mobili di recupero, riparati e decorati, perché ci sia un se-gno (nel segno) di quanto si crede e si lavora per immaginare un mondo che strut-turi anche le piccole azioni del sociale in base ai concetti di riutilizzo e recupero.

Si chiama “alle Querce” e ricorda come Abramo, sotto le querce di Mamre, offrìospitalità a tre passanti sconosciuti, facendo entrare, senza saperlo, angeli di Dionella sua tenda. E anche qui si pratica l’accoglienza, una prima accoglienza tem-poranea per donne e bambini che si trovano in situazioni di emergenza abitativa.

Problema abitativoLa storia di questa piccola e bellissima casa (nella foto), dalle cui finestre si con-templano le colline di viti e olivi del capannorese, si racconta a partire dalla colla-borazione tra arcidiocesi di Lucca, Caritas Italiana e le parrocchie di SegromignoMonte, Segromigno Piano, San Colombano, Camigliano e Tofori. Tutto è comincia-to due anni fa, quando la lettura dei dati rilevati dall’Osservatorio delle povertà edelle risorse hanno cominciato a evidenziare in modo sempre più drammaticoche il problema abitativo nella provincia toscana assumeva connotati drammatici,in particolare per alcune categorie fragili, come quella delle donne con i bambini.

Si riproponeva con forza la necessità di fornire servizi che contemplassero laprima accoglienza e potessero essere attivati per rispondere a emergenze e bi-sogni di breve periodo, in collegamento con i servizi sociali degli enti locali,nell’obiettivo di attivare prontamente la rete associativa e istituzionale, in gradopoi di organizzare una risposta di più lungo periodo.

Così, la parrocchia di Segromigno in Monte ha messo a disposizione un immo-bile: ristrutturato (anche grazie ai fondi otto per mille Cei, veicolati da Caritas Ita-liana), da circa un anno ha iniziato a ospitare storie di ferite e di voglia di ricomin-ciare. Alle Querce” non è organizzata come un dormitorio, ma è pensata comeuna struttura in cui fornire un riparo significa anche accompagnare e sostenerele ospiti, attraverso l’opera di un gruppo di volontari dell’unità pastorale e il coor-dinamento di una cooperativa. Chi arriva alle Quercearriva nel centro di un piccolo paese e lì viene collo-cato. Partecipa alla vita della comunità della parroc-chia, si trova arricchito di una rete di amicizia e disupporto. E può ricominciare a pensare un propriopercorso, che lo affranchi da una situazione di indi-genza e bisogno.

Le Querce sopra l’aula di musica,mamme e bambini ricominciano

7di Donatella Turri

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CARITAS INTERNATIONALISCARTINA E DATI: OCHA (COORDINAMENTO PER GLI AFFARI UMANITARI DELLE NAZIONI UNITE) - WWW.UNOCHA.ORG

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blico greco. Questo percorso si ècompletato con successo all’inizio dimarzo: ciò significa che i greci ve-dranno la scomparsa di almeno 100miliardi di euro dal loro debito pub-blico e che la strada per un nuovo pia-no di aiuti da parte di Ue e Fmi (cheporterà nelle casse dello stato altri130 miliardi di euro) è ora aperta.

Non c’è più quindi la minaccia diun fallimento caotico, che si temevadopo il 20 marzo, termine tecnico perevitare la bancarotta. Ma i dati pubbli-cati dalla stessa Ue mostrano che iltasso di crescita è stato, nell’ultimoquadrimestre 2011, di -7%. E ciò signi-fica che la Grecia è ancora in profondarecessione, non ci sono opportunitàdi nuovi lavori e molto probabilmentele cose peggioreranno ancora.

Intanto le riforme drastiche dello

stato non sono state realmente messein pratica. Il governo precedente, perfare cassa, aveva preferito ridurre sa-lari e pensioni (scelta facilmente at-tuabile, così come alzare le tasse, apartire dall’Iva) e introdurre una spe-cifica tassa sulla proprietà. Minimi so-no stati invece gli sforzi per ridurre ilnumero dei dipendenti statali (circaun milione, in un paese di 11 milionidi abitanti), il livello di corruzione e iltasso di evasione fiscale. In pratica ilavoratori, i pensionati e i meno bene-stanti sono le reali vittime della crisi.

Un giovane su dueLa popolazione greca sta davvero,profondamente soffrendo. Ne sonodimostrazione dati e vicende, che ap-prodano anche ai centri d’aiuto di Ca-ritas Grecia. Anzitutto, tutte le famiglie

Non c’è più la minaccia di un fallimentocaotico. Ma i dati pubblicati dalla Uemostrano che il tasso di crescita è stato,

nell’ultimo quadrimestre 2011, di -7%:la Grecia è ancora in profonda recessione

greche percepiscono oggi un redditoinferiore del 30%: salari e pensioni so-no stati ridotti (sia nel pubblico chenel privato) tra il 28 e il 40%. Molte fa-miglie che avevano due redditi si ritro-vano con l’equivalente di uno solo egli stipendi di molti dipendenti statalisi sono ridotti anche di metà.

Inoltre, molti dei sussidi statali percoloro che vivevano in stato di indi-genza sono stati soppressi. Di conse-guenza la situazione delle famiglie abasso reddito, con invalidi o bambinidisabili, o monoparentali, è peggio-rata, poiché ricevono sempre menodallo stato.

Intanto la disoccupazione a dicem-bre aveva raggiunto il livello più altomai registrato, il 21%. Più di un milionedi greci sono ora disoccupati. La mag-gior parte provengono dal settore pri-vato, poiché i politici hanno licenziatoben pochi dipendenti statali. In parti-colare tra i giovani lavoratori (15-24 an-ni) la disoccupazione ha raggiunto iltasso del 51%: uno su due giovani nontrova lavoro. Molti stanno quindi la-

Il debito. E le misure per ridurlo. Insiemeproducono effetti sociali disastrosi. Redditiamputati, tasse gravose, niente lavoro: paga la popolazione, si salvano ricchi, corrotti ed evasori. Anche chiese e ong sotto torchio.Ma i centri d’aiuto sono presi d’assalto

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di Begoña Kalliga

* Centro rifugiati Caritas Atene situazione non migliorò.

Divenne quindi più difficile chie-dere prestiti sui mercati internaziona-li (a causa dei tassi d’interesse semprepiù alti) e di conseguenza Ue e Fondomonetario internazionale accettaro-no di approvare un prestito di 110 mi-liardi di euro per tre anni, al fine disalvare il paese dal fallimento. Venneapprovato un nuovo programma ditagli e tasse. Ma nel 2011 la situazionepeggiorò ulteriormente, con una re-cessione e una disoccupazione anco-ra più alte. Il primo ministro GeorgePapandreu diede le dimissioni. Nac-que allora la grande coalizione (Par-tito socialista più Partito conservato-re), primo ministro un autorevole tec-nocrate e banchiere con esperienzainternazionale e un’eccellente repu-tazione, Lukás Papadímos.

Reggono corrotti ed evasoriPapadímos e il suo governo sono riu-sciti a far approvare un doloroso pia-no di rientro e a trovare consensosulla ristrutturazione del debito pub-

a circa un anno, tutti i grecie le persone che vivono nelpaese soffrono le conse-guenze della drammaticacrisi economica. La quale

ha avuto inizio dopo anni di speseeccessive da parte dello stato, aggra-vate da un basso livello di tassazioneeconomica, un’enorme burocrazia,una corruzione diffusa a tutti i livelli,un sistema giudiziario molto lento ei favoritismi politici. Ma la Grecia po-teva ancora contare sulla crescitaeconomica, poteva chiedere prestitisui mercati internazionali senza pro-blemi. Davvero poche erano le per-sone a conoscenza della reale situa-zione e del livello tanto elevato deldeficit pubblico.

Quando finalmente, nell’ottobre2009, l’Unione europea ha affrontatoapertamente la questione, dopo lavittoria del Partito socialista nelleelezioni politiche, il governo ha do-vuto ammettere che le sue statistichenon rilevavano la verità. Fu approva-to un programma di austerità, ma la

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internazionale grecia

LA STRADA DELLA FAMEA Salonicco (foto sopra), un uomorecupera da un cassonetto panescartato da un ristorante. Poveri“estremi” e senza dimora sonoaumentati notevolmente. E moltiarrivano alla mensa di Caritas Atene(come il bambino nella foto sotto)

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GENERAZIONE BRUCIATA,SCHIAVA DEL PROPRIO PAESE

zeropovertydi Marinos Reguzzos

* segretario Ekne (Associazione dei giovani cattolici di Grecia)

Bisogno di speranzaE d’ora in poi? Cosa accadrà al nostropaese e ai nostri coetanei?

Attualmente, tutto ciò che fa Ekneè incoraggiare la fede dei giovani,perché cerchino di rimanere unitiper far fronte alla crisi. L’unica spe-ranza di rimanere in Grecia, è cercareun’idea imprenditoriale per creare la-voro. Ma è qualcosa che pone moltirischi, dovuti al fatto che la situazio-ne del paese è instabile. Inoltre, i fon-di per creare un’impresa non esisto-no. Volendo essere realisti, non si puòfare altro se non guardare all’esteroed emigrare per cercare lavoro o por-tare aiuto al nostro paese.

Forse la rete internazionale Caritaspotrebbe essere il collegamento conimprenditori che vogliono investiresui nostri giovani e sul nostro paesecon idee innovative. La Grecia ha unaconfigurazione geografica favorevoleper produrre ed esportare prodottiagricoli e incentivare il business delturismo. Forse Caritas potrebbe aiu-

L a produzione ha subito un arresto. La disoccupazione totaleè salita al 21%. Quella giovanile intorno al 50%. E 80 mila ne-gozi hanno chiuso, come migliaia di artigiani e centinaia di

industrie, 432 mila imprese sono fallite. Migliaia di giovani scienziatilasciano il paese, che affonda ogni giorno di più nell’oscurità me-dievale. Migliaia di persone una volta benestanti rovistano nei bi-doni dell’immondizia e dormono sui marciapiedi. E poiché vi è lanecessità di mantenere stato, ospedali e scuole, le misure impostedalla comunità internazionale hannoappesantito il ceto medio e basso del-la società con tasse esorbitanti, cheportano direttamente alla carestia.

La gente (in Grecia) non vedevauna situazione così drammatica dal-l’inizio dell’occupazione tedesca del1941. Abbiamo la sensazione di esse-re in caduta libera, in un abisso senzafine. Il nuovo Memorandum con lemisure per superare la crisi del debitoè stato approvato dal parlamento il 12febbraio 2012. E ora i giovani sono di-sperati. Non c’è mercato del lavoro. Idiritti dei lavoratori acquisiti attraver-so tante lotte, ora in Grecia vengono violati uno dopo l’al-tro. Siamo schiavi nel nostro stesso paese, senza essere inguerra. Abbiamo un grosso debito sulle spalle, del qualenon siamo responsabili. E, peggio ancora, la nostra gene-razione è stata bruciata, perché i giovani con una laureanon hanno lavoro, e non lo avranno per i prossimi ven-t’anni. Hanno studiato duramente e ora cercano una pagaa giornata, anche questa quasi sempre incerta.

tarci a configurare servizi internet, tramite i quali i giovanigreci offrano servizi ai clienti all’estero. Qualsiasi idea diaiuto, nella nostra situazione, è accettabile e negoziabile.

Il nostro paese ha un enorme bisogno di libertà, la-voro, istruzione e democrazia. Non chiediamo l’elemo-sina, chiediamo solidarietà e assistenza, in modo da po-ter ricominciare a produrre e creare. Abbiamo bisognodi speranza.

La Grecia non vedevauna situazione

tanto drammaticadall’occupazione

nazista. Soprattuttoi giovani

sono penalizzati.Così moltissimi

emigrano. L’unicavia d’uscita è creare

impresa e lavoro:con quali strumenti?

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 29

golare o irregolare) e ora i greci stessiaccettano lavori e salari prima accet-tati solo dagli immigrati.

Intanto le chiese (ortodossa e cat-tolica) e le ong si sono viste incre-mentare le tasse, nonostante debba-no far fronte al bisogno di molte piùpersone. Le donazioni non sonoesenti fiscalmente, per cui diventasempre più difficile raccoglierle.

Caritas Grecia sta facendo il possi-bile per aiutare le persone in grave sta-to di emarginazione. Ad Atene, la Ca-ritas diocesana, nel centro rifugiati cheè collocato al centro della capitale, hasempre più persone che bussano allaporta, alla ricerca di un pasto caldo edi beni di prima necessità. Prima era-no solo i migranti, ora anche i greci vo-gliono poter mangiare alla Caritas.

che vivono in strada, che frequentanole mense popolari organizzate da co-muni, ong, chiesa ortodossa e catto-lica. Alcuni bambini vengono portatinegli orfanotrofi e altre istituzioni (siastatali che di ong), in quanto i loro ge-nitori non possono più accudirli.

La situazione di migranti e rifugia-ti è ovviamente ancora più grave diprima, in quanto non c’è lavoro (re-

sciando il paese, altri sono tornati a vi-vere con i genitori, coloro che possonotornano in campagna, dove la vita èmeno cara e più semplice.

La tassazione aumentaPeraltro, tra i greci che hanno ancoraun lavoro nel settore privato, uno sutre non è pagato regolarmente alla finedel mese, o ha visto ridursi salario (inmedia del 20%) o orario di lavoro. Ed èstata approvata una riforma del lavoro,in base alla quale verranno ridotti l’in-dennità di fine rapporto e gli accordicollettivi. Inoltre, d’ora in poi sarà mol-to più semplice licenziare le persone,il salario medio di base (che era di cir-ca 751 euro al mese lordi, suddiviso in14 mensilità) è stato ridotto del 22%,con una conseguente riduzione deibenefici per la disoccupazione, checomunque durano solo due anni. Ilsalario minimo per chi ha meno di 25anni è stato ridotto del 32%, per ren-dere più economica l’assunzione dinuovi giovani lavoratori. Ma moltepersone sono pagate ancora meno (ilsalario che percepivano per un tempopieno è stato equiparato a un part ti-me) e nessuno si lamenta, in quantoessere disoccupati è ancora peggio.

Nel paese è poi cresciuto per tuttiil livello di tassazione. I più ricchi tro-vano al solito il modo per pagare dimeno, ma piccoli proprietari, dipen-denti e salariati si trovano a pagaremolte più tasse di prima. Molti nonhanno la liquidità necessaria a paga-re le tasse e i mutui e rischiano diperdere persino la casa.

In prospettiva, sono previsti ulte-riori seri tagli alla spesa pubblica. Ipiù dolorosi saranno nel settore dellasanità (coloro che sono assicuratidovranno pagare di più per le loromedicine) e dell’istruzione.

Svenimenti a scuolaIn questo scenario, il disagio socialedilaga. E assume forme inedite, che sipensavano confinate ai libri di storia,

internazionale grecia

In alcune scuole pubbliche, casi di svenimento di bambini che non avevanomangiato abbastanza a casa.

Così saranno distribuiti pasti ai bambini di 11 scuole nelle aree più arretrate del paese

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Caritas Atene: «Di male in peggio,il popolo sta perdendo la speranza»

Aiuti. Dolorosi. Sono quelli che l’Ue e gli organismi finanziari internazionalihanno deciso di concedere alla Grecia. Ponendo le premesse per evitare il fal-limento finanziario. Ma incrementando, nei fatti, la bancarotta sociale del pae-se e il fallimento esistenziale di un numero elevatissimo di greci.«Il paese deve affrontare una situazione molto grave – ha spiegato il direttoredi Caritas Atene e vicepresidente di Caritas Grecia, padre Andreas Voutsinos,in visita a Caritas Italiana a fine febbraio –. La gente ormai è disperata: i taglidei salari e delle pensioni, l’aumento del numero dei disoccupati e di quantivivono per strada non fanno che aggravare la percezione della gravità della situazione. La popolazione teme uno scenario fatto di nuove tasse e ulterioriabbassamenti di salari. E perde la speranza: i peggioramenti sono continui».

Tale situazione di allarme sociale esteso riguarda in primo luogo i dipen-denti pubblici, ma ormai anche quelli del settore privato. «All’inizio a temere e soffrire erano gli statali, ora l’emergenza riguarda anche i dipendenti privati.Tutto il popolo soffre la riduzione dei salari, delle pensioni, delle misure di pro-tezione sociale. Allora tutti hanno paura di come dovranno vivere, dovendo inpiù pagare tasse che sempre aumentano. Noi siamo una piccola Caritas,espressione di una chiesa cattolica che è minoranza assoluta nel paese (i fe-deli cattolici sono il 2% della popolazione, compresi gli stranieri nel paese),dunque ci è molto difficile aiutare le persone che ci si rivolgono, sempre piùnumerose. Ad Atene da anni gestiamo una mensa per rifugiati (foto sopra, unpiccolo utente), ora cerchiamo di aiutare tutti, senza distinzione di categorie».

Timori e paure, in particolare, sono espressi dai giovani, che chiedono lavo-ro, cultura e libertà. E la chiesa cattolica cerca di costituire una presenza disperanza. «Non dobbiamo mollare – conclude padre Voutsinos –. Nel nostropiccolo, stiamo lavorando per far tornare il paese sui binari della pace socialee di un nuovo, sostenibile sviluppo».

per un paese dell’Europa avanzata. Al-cune scuole pubbliche hanno registra-to casi di svenimento di bambini chenon avevano potuto mangiare suffi-cientemente a casa. Tanto che è statovarato un programma sperimentale,che prevede la distribuzione di un pa-sto ai bambini di undici scuole nellearee più arretrate del paese.

Sono aumentate anche le persone

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DAVANTI AL PARLAMENTOProteste ad Atene. Lo striscionedice: “Il consenso nazionale è un imbroglio, povertà e fame non hanno nazionalità”

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Altri fattori collaterali sono entrati ingioco. L’aumento del prezzo del petro-lio (l’agricoltura è molto dipendentedal prezzo dei combustibili fossili) haportato all’aumento dei prezzi di con-cimi e insetticidi, della conservazionee commercializzazione dei prodotti. Ela diffusione di prodotti agricoli deri-vati da organismi geneticamente mo-dificati (ogm) ha accresciuto la dipen-denza dei paesi più deboli: più si ridu-ce la libertà di scelta, più aumentanomonopoli e profitti. Ma c’è di più: l’ac-caparramento su grande scala di terreagricole da parte di società multina-zionali agro-alimentari toglie ai picco-li coltivatori la capacità di produrreper la propria comunità. Anche l’ab-bandono del sostegno allo sviluppoagricolo locale da parte delle politichedi cooperazione dei paesi ricchi hacontribuito a un impoverimento dellaproduzione alimentare.

Ideologie e interessiLa crisi dei prezzi dei beni alimentari,nel biennio 2007-2008, si è sviluppatacomunque come conseguenza diret-ta della crisi dei subprime e della ri-cerca, da parte del settore finanziario,di un’alternativa meno pericolosa aquei titoli. Tutti devono nutrirsi, ilmercato dunque è sicuro: il rarefarsidi altre possibilità di investimento ha

La crisi dei prezzi alimentari si è sviluppatacome conseguenza della crisi dei subprimee della ricerca, da parte del settore

finanziario, di un’alternativameno pericolosa a quei titoli

Fondo di stabilità (Stabex) hanno te-nuto sotto controllo aumenti e dimi-nuzioni dei prezzi all’importazionenei paesi del Sud del mondo. Ma l’Or-ganizzazione mondiale per il com-mercio non ha fatto funzionare a do-vere questo meccanismo; riabilitarlopotrebbe essere un elemento per unanecessaria regolamentazione.

Purtroppo, però, le proposte avan-zate al G20 o alla Commissione euro-pea non hanno portato a decisioni sa-lutari. Il commissario Ue al mercatointerno, Michel Barnier, che ne è pro-motore, è rallentato da una Commis-sione ultra-liberale, che rifiuta qual-siasi idea di regolamentazione. Fino ache punto bisognerà arrivare nella cri-si, perché certezze ideologiche e inte-ressi privati vengano scossi?

Problema di ordine moraleAltre misure sono inoltre auspicabili:occorre bloccare la produzione degliagro-carburanti, che si approprianodi vaste estensioni di terra che do-vrebbero servire prima di tutto allaproduzione alimentare; controllare,come sta facendo l’Argentina, gli in-vestimenti stranieri a grande scalasui terreni agricoli, nuova forma dicolonialismo; riformare la politicaagricola comune europea, per darepiù equità a questo settore.

Purtroppo, come prevede il rappor-to 2011 della Fao, i prezzi delle derratealimentari resteranno elevati e incon-trollabili. La domanda dei consuma-tori è in crescita, l’aumento demogra-fico continua, le misure necessarie ri-cordate sopra si fanno attendere. Unasperanza potrebbe venire dall’aumen-

fatto aumentare gli impegni nel set-tore alimentare, favorendo una fortespeculazione sui prezzi delle materieprime agricole.

Per fare fronte a ciò, sono stati at-tivati i cosiddetti “piani di contingen-za”, cioè piani di sicurezza alimentareper affrontare la catastrofe. Sono statiallestiti stock di riserva, per quanto èstato possibile con le produzioni lo-cali, per rompere un meccanismo in-fernale, e i paesi emergenti hanno at-tinto alle riserve. Ma finché il proble-ma non sarà risolto alla sorgente, ilproblema permarrà: il famoso dirittoall’alimentazione, come pure la rea-lizzazione degli Obiettivi del Millen-nio, rimarranno pii desideri.

La soluzione sta principalmentenella regolazione dei prezzi delle ma-terie agricole, congiuntamente aquella dei mercati: le due cose sonolegate. Alcune proposte sono stateavanzate al Club dei G20, nato al cul-mine della crisi. Philippe Jouyet, pre-sidente dell’Authority francese suimercati finanziari, ha proposta dicreare un’agenzia europea per rego-lamentare le materie prime agricole,sull’esempio di quella per l’energia.Altri hanno proposto di rafforzarel’agenzia delle Nazioni Unite sulla si-curezza alimentare mondiale.

Nel passato, meccanismi come il

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internazionale diritto al cibo

ono passati undici anni daquando 191 capi di stato e digoverno, alle Nazioni Unite, siimpegnarono a realizzare gliObiettivi del Millennio, a ri-

durre cioè del 50% la povertà sul pia-neta entro il 2015. I risultati sonopurtroppo deludenti. La diffusionedella fame, in particolare, è aumen-tata: il numero delle persone che nesoffrono è passato, dopo la crisi del2008, da 900 milioni a 1,1 miliardi.

Come si può spiegare la marcia in-dietro degli Obiettivi del Millennio?

Una delle ragioni, se non la princi-pale, è che in un contesto di globaliz-zazione della produzione agricola, iprezzi sono aumentati. I piccoli paesidipendenti dalle importazioni agri-cole, specialmente in Africa, sonostati colpiti duramente dalla crisi ali-mentare. Molti hanno incontrato dif-ficoltà nella produzione interna, acausa del dumping internazionale(prezzo di vendita inferiore ai prezzi

di mercato, praticato dai paesi ric-chi). Le regole promosse dall’Orga-nizzazione mondiale del commercio,di cui sono un buon esempio gli “Ac-cordi di partenariato economicodell’Unione europea con i paesi delSud”, hanno portato come conse-guenza la liberalizzazione totale deiprezzi, la riduzione, se non la sop-pressione, delle tariffe doganali e lafine di qualsiasi protezione della pro-duzione nazionale. Ciò ha favorito laproduzione dei paesi ricchi e dan-neggiato quella locale dei paesi pove-ri. E così il riso importato dalla Tai-landia costa meno di quello prodottoin Africa, come pure l’importazionedel pollame dall’Europa rende noneconomico quello prodotto in Africa.

agricoltura

L’aumento del prezzo degli alimenti, causatoda speculazionifinanziarie e altrifattori, continua ad alimentare povertà e malnutrizione,soprattutto in Africa. Come rimediare? Puntando sullosviluppo rurale

Investire in

per battere la famedi Michel Roy

* segretario generaleCaritas Internationalis

TRAZIONEANIMALEAgricoltori al lavorocon tecnichetradizionali in un’areasemiarida del Sudan

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INCERTEZZE SCIENTIFICHE?NO, CONVERSIONE RADICALE

forme di produzione e consumo più vicine ai cicli natu-rali, costituisce un passo nella direzione di alleggerire ilpeso dell’umanità sulla biosfera. In questo modo, si puòmigliorare la qualità della vita, si rafforza il tessuto eco-nomico del territorio e si crea lavoro, si contribuisce allasalvaguardia del clima e si consente una “buona” vita, insenso morale e “socialmente desiderabile”.

Oggi si sta delineando il passaggio dalle società indu-striali fossili all’era solare e ambientale. Tale passaggio ri-chiederà innovazioni tecniche e imprenditoriali, riformedelle istituzioni mondiali e del sistema degli stati nazio-nali, nuove forme di insediamento, produzione, distribu-zione, consumo e smaltimento. Occorrerà un cambia-mento radicale, una sorta di conversione, non solo eco-logica, ma complessiva, sia a livello individuale, siasociale, sia politico. E tanta saggezza, democratica e par-tecipativa, perché metodo e processo saranno cruciali,come sempre.

L a situazione nel Sahel continua a peggiorare. Mauritania, Ma-li, Niger, Burkina Faso e altre nazioni dalla fascia subsaharianasono in piena emergenza umanitaria. Nel Mali, in particolare,

oltre alle problematiche legate alla carestia, ma non indipendente-mente da esse, si stanno radicalizzando tensioni violente e scontriarmati. Siamo in piena crisi anche militare e politica. Nel paese sa-rebbero già 150 mila i profughi e migliaia i morti. Occorre immedia-tamente una decisa attivazione della comunità internazionale, perevitare che questo, come altri scenari simili, si radicalizzino fino atrasformarsi in “conflitti dimenticati”, per cui ciclicità e letalità degliscontri perpetuano una situazione di“guerra infinita”.

Le emergenze ambientali e l’estre-ma povertà nel sud del mondo, a par-tire dall’Africa, sono tra le cause prin-cipali delle violenze organizzate eprotratte, inclusi i fenomeni terrori-stici. E spesso conducono alla nascitadi regimi dittatoriali, spingendo mi-lioni di persone a migrare verso ilnord, per cercare una vita migliorenei paesi più ricchi. I cambiamenticlimatici, peraltro, colpiscono so-prattutto il sud del mondo, ma si fan-no sentire sempre di più anche nelMediterraneo, raggiungendo di fatto l’intera l’Europa.

La riconversione dell’economia e dei meccanismi so-ciali è all’ordine del giorno della comunità internaziona-le, assieme alla riduzione drastica del peso dell’uomo sul-la biosfera, alla riduzione del consumo delle risorse pri-marie e di energia (in primis le non rinnovabili) nei paesidel nord del mondo, alla svolta verso una civiltà “post-fossile”.

Sentieri di sostenibilitàUn modo per non attivarsi, per paura, inerzia o interessiparticolari, è attenersi alle “incertezze scientifiche”, siaper quanto riguarda i problemi, sia per quanto riguardale soluzioni. Intorno a ognuna delle emergenze ambien-tali sono infatti in atto dibattiti scientifici sull’andamentoreale dei fenomeni, e più ancora sui loro impatti. Si trattadi dibattiti importanti, che devono andare avanti, ma chenon possono giustificare il non agire.

Accade nel Sahel:i mutamenti climatici

sono (con)causadi gravi emergenze

umanitarie. Devastanoambienti, alimentanoconflitti. Eppure c’èchi sceglie l’inerzia,

appellandosi allascienza. Invece serve

un cambiamento.Ecologico. E non solo

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 33

Non esiste voce seria nella comu-nità scientifica, infatti, che possa ne-gare la progressiva perdita di terrenocoltivabile, la desertificazione, l’au-mento della temperatura media, l’au-mento di eventi meteorologici estre-mi, in seguito all’effetto serra prodot-to anche dall’uomo; o l’allarmantenumero di specie estinte, sempre acausa delle attività umane; o ancorala preoccupante immissione di so-stanze chimiche nocive nei cicli na-turali, così come molti altri fenomeniantropici sempre più ricorrenti.

I sentieri verso la sostenibilità so-no noti: da un lato, uno stile di vitapiù sobrio e attento, da estendere atutti i paesi del mondo; dall’altro lato,il trasferimento di risorse verso il sud,per fermare il degrado ambientale el’estrema povertà. Anche la fattibilitàdelle soluzioni proposte è oggetto distudi prestigiosi. Ogni misura di ri-sparmio energetico, di aumentodell’efficienza energetica, di impiegodelle energie rinnovabili, di aumentodella produttività delle risorse, di ri-duzione del traffico motorizzato in-dividuale e dei rifiuti, di adozione di

nell’occhiodelciclonedi Paolo Beccegato

Il problema non è forse di ordine morale?Nella società secolarizzata, la ricerca delprofitto a ogni costo non nasce dall’assenza

di Dio? «La fame non dipende tanto dacarenza di risorse materiali, quanto sociali»

32 I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2

internazionale diritto al cibo

«Siamo sull’orlo del precipizio di una crisi umanitariamaggiore, vediamo davanti a noi il rischio di unanuova catastrofe; per questo condividiamo l’appellodelle popolazioni colpite e rispondiamo rapidamente,agendo per prevenire una crisi più grave». Il dramma-tico messaggio lanciato dal Gruppo di riflessione sulSahel di Caritas Internationalis ha riecheggiato, a finefebbraio, gli appelli del papa e dell’incaricato specialedelle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione.

Dal 2000, le crisi alimentari nel Sahel sono fre-quenti. Oggi una nuova crisi minaccia in particolareMali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Mauritania, Senegal.Nel 2011 la scarsità delle piogge e raccolti deficitari,unitamente a un aumento dei prezzi dei cereali e al-tri prodotti alimentari, hanno aggravato la situazionedi vulnerabilità delle popolazioni della regione. Il Pro-gramma alimentare mondiale stima che oltre 13 mi-lioni di persone (dati in continua evoluzione) siano insituazione di insicurezza alimentare, bisognose di ur-gente assistenza umanitaria.

Come detto, la regione è spesso esposta a crisi ali-mentari, anche a causa di fattori socio-economici e po-litici complessi. L’insicurezza alimentare e nutrizionalecronica si può infatti spiegare non solo con l’assenzadi risorse alimentari, ma anche riferendosi a fattoriquali il basso livello di guadagno da parte di agricoltorie allevatori, la difficoltà di accesso alle risorse comuni-tarie, la pressione demografica, un basso tasso di alfa-betizzazione, la mancanza di accesso ai servizi di base,l’instabilità politica, la debolezza delle economie localie la loro dipendenza dai mercati internazionali.

A tali cause strutturali si sovrappongono fattori di ri-schio congiunturali: la siccità in corso provoca una di-minuzione della produzione agricola e il conseguenteaumento considerevole dei prezzi dei cereali. Ad essasi aggiungono fattori politici non secondari: le recenticrisi in Costa d’Avorio e Libia, che hanno provocato unritorno massivo di lavoratori migranti ai paesi d’originedel Sahel; l’instabilità socio-politica della Nigeria e lerecenti tensioni nel nord del Mali tra esercito e tuareg,che accrescono la vulnerabilità della regione.

È dunque importante che la comunità internazio-nale si mobiliti senza ritardi, al fine di evitare una cri-si devastante, come quella dell’ultimo biennio nelCorno d’Africa. La Confederazione Caritas, insiemealle Caritas della regione, ha deciso nel breve termi-ne di focalizzarsi su attività di prevenzione e gestionedei rischi, attraverso la distribuzione gratuita di se-menti e viveri, il sostegno alle attività di piantagionee allevamento, forme alternative di aiuto (“denaroper lavoro”, “cibo per lavoro”). Sono inoltre stati lan-ciati, o stanno per esserlo, appelli d’emergenza.

Nel medio-lungo periodo, invece, la sfida maggio-re è evitare ulteriori crisi, cercando di agire sulle cau-se strutturali della vulnerabilità cronica e rafforzandola capacità di farvi fronte da parte dei vulnerabili.

[Moira Monacelli]

forse di ordine morale? Nella societàsecolarizzata, la ricerca ad ogni costodel profitto non nasce dall’assenza diDio? Nella Caritas in Veritate (2,27),Benedetto XVI scrive: “La fame nondipende tanto da una carenza di ri-sorse materiali, quanto da una caren-za di risorse sociali, la più importantedelle quali è di natura istituzionale”.

Il problema dell’insicurezza alimen-tare deve dunque essere affrontato inuna prospettiva di lungo termine, eli-

minando le cause strutturali che nesono all’origine, e promuovendo losviluppo agricolo nei paesi più poveri,investendo in infrastrutture rurali, si-stemi di irrigazione, trasporti, orga-nizzazione dei mercati, formazione ediffusione di tecniche agricole appro-priate. Ovunque, cioè, sia possibileusare al meglio le risorse umane, natu-rali e socio-economiche più accessibilia livello locale, in modo da garantirnela durata a lungo termine. Tutto questodeve essere realizzato con il coinvolgi-mento delle comunità locali, a comin-ciare dalle scelte e dalle decisioni rela-tive all’uso delle terre coltivabili.

Ed è questo il compito della reteCaritas.

to della produzione agricola nei paesipoveri, a costi di produzione nuova-mente competitivi. Ma la soluzione alungo termine verrà grazie alla crescitadegli investimenti nell’agricoltura permigliorare la produttività locale: irri-gazione, sementi migliorate, diritti deicontadini sulle loro terre, adattamential cambiamento del clima... Questoimplica una mobilizzazione risolutadella comunità internazionale.

In conclusione, il problema non è

Sahel sull’orlo del precipizio.Caritas Internationalis: «Prevenire la carestia»

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I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 35

Si dice che sotto Talì ci siano giacimentidi petrolio e presenze di uranio, e questoci terrorizza. Perché significa che

dovremo tutti andar via. Il nuovo aeroportoservirà alle compagnie estrattive?

ché? «Perché significa che dovremotutti andare via», interviene un uo-mo, con un sorriso rassegnato.

La gente si ricorda che già primadel 2005 erano venuti nel villaggiogruppi di khauagia (termine usatoper definire gli uomini bianchi): recin-tavano alcune zone e con grossi mac-chinari facevano buchi nel terreno.«Dopo quegli studi – ricostruisce Fra-tel Damiano – Talì è rimasto isolato:nessun progetto di sviluppo è statoproposto nell’area, nessuna ong si èfatta viva, poco distante si è stabilitauna base di soldati. L’ultima, recentis-sima notizia: vicino a Talì dovrà sorge-re il nuovo aeroporto internazionale,per servire la futura capitale del paese,Ramciel. Non sarà che è stato pensatoanche in funzione delle compagniestraniere che verranno, probabilmen-te presto, a estrarre petrolio e uranio?Alcuni politici di Juba (l’attuale capi-tale, ndr) hanno confermato alla radiola presenza di risorse a Talì Post, e lapossibilità che la zona venga sgombe-rata per permetterne l’estrazione. Lacomunità internazionale è più inte-ressata allo sfruttamento delle risorseche allo sviluppo del paese».

Terra di caccia e conquistaLa storia del piccolo villaggio rispec-chia la situazione del paese intero.Uno stato appena nato, il più giovanedel pianeta. In cui le persone vivonoancora in uno stato “primitivo”, senzainfrastrutture di alcun tipo: acquacorrente, strade asfaltate, ferrovie,condotte fognarie, elettricità, comu-nicazioni. Anche nei principali capo-luoghi tali servizi sono fortemente

per l’esportazione. Eppure le tribùsudsudanesi, nella loro storia, si sonosempre dedicate principalmente allapastorizia: mucche e capre costitui-scono pressoché l’unica fonte di so-stentamento delle famiglie, e il pos-sesso di bovini è alla base delle prin-cipali relazioni sociali (i matrimoni,ad esempio, sono regolati dallo“scambio” tra una donna e un corri-spondente numero di animali). Au-torità governative, capi locali e orga-nizzazioni internazionali non hannomai fatto nulla per incoraggiare lanascita di un sistema agricolo. Per-ché? A quanto pare, perché questaterra ha un valore inestimabile: terrafertile, è però anche ricca di risorseminerarie, come l’uranio, e il prezio-sissimo petrolio. Dunque fa comodoa molti che le comunità locali non latocchino. Un dato, esplicito: secondole stime della Banca Mondiale, daquando il Sudan ha iniziato le espor-tazioni del greggio, nel 1999, la cre-scita annua della produzione agrico-la, al 10,8% nel decennio precedente,è diminuita al 3,6% annuo.

Girando per il villaggio, si incontraqualche giovane che parla un poco diinglese. «Talì è ricca di risorse – spie-ga –. Bambù per i recinti, erba per itetti, ghiaia, pali per le costruzioni.Ma si dice anche che sotto Talì ci sia-no giacimenti di petrolio e presenzedi uranio, e questo ci terrorizza». Per-

con un gesto la meravigliosa prateria.«La terra è la grande benedizione diquesto paese – commenta –. E, al con-tempo, la causa di tutti i suoi mali».

Sgomberare da Talì?La terra, appunto. In quasi tutto ilSud Sudan, i sei mesi di piogge con-cedono abbastanza acqua da coltiva-re e produrre cibo per sfamare l’inte-ro paese, e ancora ne avanzerebbe

34 I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2

internazionale sud sudan

giunto il traguardo dell’indipenden-za, proclamata ufficialmente il 9 lu-glio 2011: i cittadini sudsudanesihanno ottenuto la libertà e l’Africa havisto la nascita di un nuovo paese, ilpiù giovane del mondo. Che ancoraporta addosso le ferite di decenni diguerre civili (l’ultima, dal 1983 al2005, ha causato 2,5 milioni di mortie 4,5 milioni di sfollati), di genocidi escontri tribali, non ancora estinti.

Ma a Talì, quasi non te ne accorgi.La gente pare serena, la vita scorre pa-cifica nell’infinita distesa di verde,punteggiata di pochi alberi e di ca-panne di fango e paglia. Fratel Damia-no, missionario comboniano, mostra

l villaggio di Talì Post si presen-ta in tutta la sua verdeggiantesemplicità. La stagione dellepiogge è terminata da poco, ilterreno pare rivestito di un

manto d’acqua immobile, che riflettel’azzurro del cielo e sembra allargarei confini della sterminata pianura. Lagente del villaggio si fa incontro perscambiare il tipico saluto sudanese:una forte “pacca” della mano destrasulla spalla sinistra. Sorrisi, modigentili: l’intima bellezza dell’ospitali-tà africana.

Confine tra gli stati dell’EquatoriaCentrale e dei Laghi, cuore del SudSudan. Da pochi mesi è stato rag-

I

Terradel Sud

rısorsa e maledizione

Il Sud Sudan,indipendente da luglio,arranca tra enormipotenzialità (suolifertili, sottosuoli ricchidi uranio e petrolio) e vaste speculazioni. I terreni non vengonocoltivati, ma venduti.Ciò genera fame e conflitti, e sconvolgeantichi equilibri sociali e culturali

testi e foto di Angelo Pittaluga

VERDE E NEROBambini giocano in una laguna

attorno a Talì Post: la disponibilitàd’acqua rende fertili i suoli, mal’agricoltura non decolla. Anche

perché nel sottosuolo c’è petrolio, e vicino al villaggio potrebbe

sorgere un impianto di raffinazione(foto a destra)

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I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 37

e la legislazione in materia, in partico-lare nella transizione post-indipen-denza, ancora vaga e poco rigorosa.«Dal 2007 al 2010 compagnie stranie-re, governi e investitori privati – rica-pitola Joseph – hanno acquisito all’in-circa 2,64 milioni di ettari (26.400 chi-lometri quadrati) di terra in SudSudan, per coltivazioni agricole su lar-ga scala, biocarburanti e sfruttamentointensivo delle foreste. Tale territorio èpiù vasto della superficie del Ruanda.Se si considerano tutti gli investimenti

polazioni rurali delle terre, al fine diprocurare cibo ed energia a bassoprezzo per il mondo sviluppato.

I dati relativi alla situazione suda-nese appaiono particolarmente allar-manti. «Dal 2004 al 2009 in Sudan so-no stati trasferiti all’incirca 4 milioni diettari di terra a investitori privati»,spiega Jamus Joseph, rappresentantedell’ong Norwegian People’s Aid, Dopogli Accordi di pace del 2005, tali inve-stimenti hanno cominciato a concen-trarsi nel Sud, dove la terra è più fertile

legati alla terra nei diversi settori, pri-ma e dopo gli accordi di pace del 2005,la superficie di terra acquisita raggiun-ge i 5,74 milioni di ettari, il 9% della su-perficie totale del Sud Sudan».

La classe governativa locale appareperaltro impreparata a governare il fe-nomeno, piuttosto interessata a rica-vare utili dalla vendita delle terre. L’ac-cusa di corruzione e affari privati, cheinveste ministri e parlamentari, nonsembra distante dalla verità. E alcunedecisioni politiche generano profon-da preoccupazione; in particolare lascelta improvvisa di chiudere i pozzipetroliferi, per il mancato accordocon Khartoum, fa temere conseguen-ze drammatiche (come si finanzierà laspesa pubblica? Quanto possono es-sere pericolosi soldati senza paga?).

Un nuovo colonialismoE così, progresso e sviluppo verran-no, anche in Sud Sudan: «Ma per chi,e a quale costo? – si chiede padre Rai-mundo Rocha, responsabile del set-tore Giustizia e pace della congrega-zione dei Comboniani in Sud Sudan–. La maggior parte degli investitorisono interessati solo alle risorse na-turali e alla speculazione su larga sca-la. Per questo il land grabbing minac-

carenti. Le famiglie vivono per lo piùin costruzioni di paglia e fango, in unsistema sociale rimasto nei secoliquasi inalterato.

Nella sua storia, questa parte d’Afri-ca è stata sempre considerata un ter-reno di caccia e conquista; dall’Otto-cento, quando i primi esploratori siinoltrarono nelle sue terre inospitali eselvagge, i territori dell’attuale Sud Su-dan sono divenuti un serbatoio di zan-ne d’avorio, legna, soprattutto schiavi.Poi, sotto la dominazione araba diKhartoum, nel Sudan unitario, i sud-sudanesi hanno subito la condizionedi “cittadini minori”, considerati allastregua di schiavi. E oggi, dopo averraggiunto la libertà? L’impressione, tri-stemente predominante, è che la sto-ria sia destinata a ripetersi, e questaterra continui a essere “terreno di cac-cia” per compagnie e multinazionalistraniere, attratte dalle risorse del sot-tosuolo e dalla fertilità dei suoli.

Il Sud Sudan si estende per 640mila chilometri quadrati (più di duevolte il territorio dell’Italia) ed è abi-tato solo da 8,26 milioni di persone.Le potenzialità di sviluppo sarebberoimmense; favorendo una crescitaagricola sostenibile si migliorerebbe-ro le condizioni di vita dei cittadini,si garantirebbe una diffusa sicurezzaalimentare e si sradicherebbe la prin-cipale causa dei conflitti: la fame. Ep-pure, i livelli di povertà e insicurezzaalimentare continuano a essere ele-vatissimi. Secondo le stime del Pro-gramma alimentare mondiale, novecittadini su dieci vivono con meno diun dollaro al giorno, e 3,3 milioni dipersone, oltre un terzo della popola-zione, soffrono la fame.

La terra, risorsa e maledizione, loè del resto non solo per quel che celanelle sue profondità. La nuova mi-naccia risiede nel fenomeno del co-siddetto land grabbing, l’acquisizio-ne di appezzamenti di terra di larghedimensioni, effettuata da compagnieprivate o governi stranieri, per realiz-

La minaccia risiede nell’acquisizionedi appezzamenti di terra di larghedimensioni, effettuata da compagnie

private o governi stranieri, per realizzarvicoltivazioni di prodotti da esportazione

mentare ed esacerbandone le condi-zioni di insicurezza. Costoro attacca-no altresì gli sforzi internazionali dielaborare un “codice di condotta perl’acquisizione di terre”, che “ripulisca”il problema e distragga l’attenzioneda forme alternative di sviluppo, a co-minciare dal rafforzamento delle ca-pacità produttive dei piccoli agricol-tori. Il vero problema, asseriscono icritici, è legato al sistema globale diproduzione di cibo e di energia suscala industriale, che depriva le po-

TERRA DA VENDEREAttività agricole e di allevamento

a Talì Post (a destra, il villaggio). Ma il “land grabbing” minaccia le comunità

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internazionale sud sudan

L’economia del Sud Sudan è dominata dalla presenza del petrolio: la venditadel greggio costituisce il 98% del budget annuale del paese. Il petrolio è an-che la causa principale di scontro tra Nord (repubblica del Sudan) e Sud: i gia-cimenti sono concentrati nelle regioni meridionali, mentre infrastrutture eoleodotti per il trasporto al mare, a Port Sudan, appartengono al Nord.

Dopo l’indipendenza del Sud Sudan, proclamata il 9 luglio 2011, i presiden-ti dei due paesi, Omar al Bashir e Salva Kiir, hanno avuto diversi incontri pertrovare un accordo sulla spartizione dei proventi, con la mediazione dell’expresidente sudafricano Thabo Mbeki, ma tutti i tentativi sono falliti. L’offertadel Sud per l’utilizzo degli oleodotti pare oscilli tra 1 e 3 dollari a barile, am-piamente in linea, se non migliore di altri esempi internazionali (il Ciad pagaal Camerun 41 centesimi a barile, l’Azerbaijan alla Turchia 43 centesimi);Khartoum chiede invece 36 dollari a barile.

A gennaio il presidente del Sud Sudan ha annunciato ufficialmente la chiu-sura dei pozzi e la sospensione della produzione petrolifera. La Cina, principa-le partner nel commercio petrolifero col Sudan, ha mantenuto una posizioneneutrale. Dopo tale decisione il Sud ha firmato un memorandum d’intesa conl’Etiopia, per costruire un oleodotto che trasporti il greggio al porto di Gibuti,aggirando il Nord. Contestualmente, sono in corso trattative con una compa-gnia di costruzione texana, per valutare la possibilità di un oleodotto nel terri-torio del Kenya, fino alla città costiera di Lamu.

Intanto nella regione di Abyei (stato di Unity) e sui Monti Nuba, le zone dovesi concentrano i giacimenti petroliferi, continuano i bombardamenti, e cresce ilnumero di morti e sfollati.

Paese neonato, sorretto dal petrolioma l’accordo con il Nord non si trova

zarvi coltivazioni di prodotti – gene-ralmente monoculture – destinatiall’esportazione.

“Land grabbing” dilaganteIl fenomeno del land grabbing non ènuovo nel continente africano. Se-condo i dati forniti dallo statunitenseOakland Institute, negli ultimi annisono stati acquisiti circa 20 milioni diettari di terra, la maggior parte nellaregione del Corno d’Africa. Solo inEtiopia, la svendita di terreni agricolida parte del governo a investitori stra-nieri ha quasi raggiunto, nel 2011, i 4milioni di ettari. Alcuni analisti con-siderano il fenomeno un’opportunitàper gli stati africani, per procurare la-voro e sviluppo alle comunità rurali.Altri sono scettici: dubitano che l’ac-quisizione di terra su larga scala pos-sa realmente favorire le comunità lo-cali, e ritengono che al contrario il fe-nomeno neghi a milioni di personel’accesso a risorse naturali vitali,compromettendone la sicurezza ali-

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L’AFRICA NON ATTRAE,LA CINA NON FA BENEFICENZA

contrappuntodi Giulio Albanese

è il Sud Africa, che nel 2011 ha rag-giunto la cifra di 4,5 miliardi di dol-lari in investimenti stranieri. Standoall’Unctad, la buona performancesudafricana è stata sostenuta dai 2,4miliardi di dollari investiti nell’ac-quisto della partecipazione di mag-gioranza della Massmart, aziendaquotata alla borsa di Johannesburg,da parte del gigante statunitense delcommercio al dettaglio, Wal Mart.

L’acquisto ha implicato una signi-ficativa inversione di tendenza per ilpaese, rispetto alla caduta del 70 %registrata in tale voce nel 2010. Cio-nonostante, il risultato del Sud Africanel 2011 è giudicato dagli analistinon sufficiente, perché abbondante-mente al di sotto del picco di investi-menti ricevuto dal paese nel 2008.

“Cing-ciong” distruttiviUna cosa, in generale, è certa: perquanto concerne gli investimentistranieri in Africa, la Cina sta facen-do la parte del leone. Nel 2000 il go-verno di Pechino investiva appena60 milioni di dollari. Ma da allora ilflusso di capitali cinesi è cresciuto

in termini esponenziali, fino a raggiungere livelli 200volte superiori.

Però, a parte l’effetto distruttivo dei cing-ciong, comesono denominati i prodotti a basso costo made in China,la cui invasione ha fortemente penalizzato i mercati in-terni di molti paesi africani, la società civile del conti-nente denuncia ripetutamente gli abusi perpetrati da Pe-chino nei confronti dei lavoratori locali, nei settori chevedono coinvolte le imprese cinesi in Africa. Ma i governiafricani, almeno per ora, non temono la “sinizzazione”delle loro società. D’altronde, la stessa Banca mondialeprevede che entro pochi anni la Cina avrà esportato ben85 milioni di posti di lavoro in Africa. Ma attenzione,l’Impero del drago, come tutte le potenze neocoloniali,non fa beneficenza. Senza investimenti stranieri che ten-gano conto non solo del profitto delle imprese, ma anchedei diritti dei popoli e dei cittadini, l’Africa continuerà aessere una terra di conquista.

L a rete internettiana è utilissima per conoscere lo stato di salutedell’economia africana. Ad esempio, dando un’occhiata al sitoUnctad.org (United Nations Conference on Trade and Deve-

lopment, Conferenza Onu su commercio e sviluppo), è possibileleggere i dati sugli investimenti diretti esteri (Ide) nel continente.

Per i non addetti ai lavori, essi rappresentano la capacità di unpaese di attrarre, sul proprio territorio, aziende straniere per in-vestimenti nel lungo periodo. Ebbene, a riprova che la crisi deimercati sta penalizzando fortemente non solo le vecchie potenzeindustriali, ma anche l’Africa, l’Unctad riferisce che nel 2011l’investimento complessivo, a livellocontinentale, è sceso per il terzo an-no consecutivo. Nel complesso gliafflussi di Ide verso l’Africa hannosubito una contrazione dello 0,7%:si è passati dai 54,7 miliardi del 2010ai 54,4 miliardi di dollari dello scor-so anno.

I risultati sono stati influenzati,anche a seguito del crollo dei rispet-tivi vecchi regimi, da un calo deiflussi verso Libia, Tunisia ed Egitto.Proprio l’Egitto ha registrato un crol-lo pari a oltre il 92%, dai 6,4 miliardidi dollari del 2010 a soli 500 milionidell’anno scorso. Anche Africa centrale e Africa orienta-le, però, hanno sperimentato riduzioni dei flussi di in-vestimento, soprattutto per ragioni di ordine geopoliticoe climatico. Basti pensare alla crisi che attanaglia l’inte-ro Corno d’Africa, un disordine che si procrastina neltempo per colpa anche dell’indifferenza della comunitàinternazionale. Di positivo c’è invece da registrare iltrend in crescita degli altri due settori geografici del con-tinente, l’Africa occidentale e quella meridionale. Un ca-so, la Nigeria: nel 2011 ha ottenuto un aumento del 12%degli afflussi di Ide, da 6,1 miliardi di dollari a 6,8 miliar-di. Naturalmente, a causa delle violenze scatenate dalmovimento estremista Boko Haram, che si sono verifi-cate a partire da Natale, il futuro è incerto anche per ilgigante nigeriano.

Inversione di tendenza. InsufficienteIl paese africano con i migliori risultati, in termini di Ide,

Il clima di crisi, e le cadute dei regimidel nord, raffreddanogli investimenti esteri

nel continente. Che vede rallentare la propria crescita

economica. L’impegnocinese non deflette.

Ma non è privodi costi rilevanti peri diritti degli africani

I TA L I A C A R I TA S | A P R I L E 2 0 1 2 39

internazionale sud sudan

cia di condurre a un aggravamentodella povertà e della fame, a una per-dita dei diritti sulla terra, all’intensi-ficarsi dei conflitti. Per non parlare,considerati i mezzi che gli investitoriutilizzano, degli irreversibili danni al-l’ambiente che potranno determi-narsi. La terra è dono di Dio, un benecomune concesso a tutti, tramanda-to dalle generazioni passate, da con-segnare alle future, non un mezzoper ottenere profitti. Il land grabbingdev’essere qualificato per quello cherealmente è: una nuova forma di co-lonialismo».

La questione della sottrazione diterre in Sud Sudan è stata evidenziataanche dalla Campagna italiana per ilSudan, alla quale aderisce Caritas Ita-liana, che ha denunciato in un dossier(www.campagnasudan.it) i rischi delfenomeno per gli abitanti della regio-ne: “Per l’80% della popolazione di Su-dan, Sud Sudan ed Etiopia la terrarappresenta la principale fonte di red-dito e di sussistenza (…). E non solo:in questi paesi la terra ha anche un al-to valore simbolico e le delicate ecomplesse relazioni tra diversi gruppietnici si reggono proprio sulla sparti-zione e sull’uso di campi, pascoli efonti d’acqua. In assenza di qualsiasiregolamentazione o forma reale dicontrollo e di tutela dei diritti delle co-

munità locali all’uso delle risorse, lapenetrazione di capitali stranieri suiterreni più fertili può ulteriormenteinfiammare i conflitti intercomunitariper il controllo delle risorse locali”.

Il controllo della terra (essenzialeper far pascolare il bestiame, stabilirevillaggi, trovare accesso all’acqua) co-stituisce da sempre, in effetti, unacausa di conflitto. Gli spostamenti ditribù su terre “appartenenti” ad altrigruppi etnici, cui sovente seguonofurti di bestiame e violenze sulle don-ne, generano conflitti locali assaicruenti: gli eventi dell’ultimo annonello stato del Jonglei, con le tribùNuer e Murle coinvolte in una conte-sa costata la vita a migliaia di persone,ne sono eloquente e triste esempio.

Proprietà comunitariaRitorna alla mente il villaggio di Talì.E la domanda dei suoi abitanti: «Ab-

Progetti Caritas

In Sud Sudan, Caritas Italiana collabora con la rete inter-nazionale Caritas per garantire aiuti di prima necessità agli sfollati e aiprofughi provenienti dal Nord. Inoltre sostiene vari progetti: livelihood(sussistenza ed attività generatrici di reddito) nella zona di Renk (statodell’Upper Nile, confine col Nord); cura e riabilitazione di persone colpi-te dalla lebbra (diocesi di Rumbek); riconciliazione e costruzione di re-lazioni di pace tra tribù (stati di Unity e Warrap); sensibilizzazione su di-ritti e cittadinanza, diffondendo informazioni sulla nuova Costituzionedel paese e favorendo la partecipazione dei cittadini al processo di re-visione costituzionale, iniziato a gennaio 2012.

Caritas Italiana è impegnata anche nel sostegno alla nuovaCaritas Sud Sudan, nata dopo l’indipendenza. Inoltre nel 2011 ha so-stenuto in Sud Sudan due microprogetti (medicinali per un dispensariomedico nella diocesi di Rumbek e microcredito a un gruppo di donnenella diocesi di Wau).

Profughi, sviluppo, cittadinanza

GIUNGLASENZA ASFALTO

Bicicletteguadano

una laguna:il Sud Sudan

è ancoraquasi del tutto

privo diinfrastrutture

di base

biamo sempre abitato su questa terra:perché ce ne dobbiamo andare?» Lanecessità e l’urgenza di un ennesimo,probabile sgombero sfugge alla logicae alla mentalità della gente africana.Come sfugge l’idea di dover delimita-re i confini, recintare e chiudere glispazi, sfruttare il terreno in manieraintensiva, non per averne cibo, maper fare profitti, per arricchirsi.

Con tutta la buona volontà, la gen-te del villaggio non capisce: «La terraappartiene alla comunità, a tutti noi,e tutti possiamo accedervi, farvi pa-scolare i nostri animali, costruire lenostre case… come hanno semprefatto i nostri genitori, e prima di loroi nostri antenati, che in questa terrasono sepolti». In effetti, il possessocomunitario della terra, regolato daldiritto consuetudinario, è stato rico-nosciuto dal Land Act del 2009, per ilquale la proprietà terriera si distinguein pubblica, comunitaria (la terra del-la comunità, il cui sistema è regolatodal diritto consuetudinario) e privata.Le comunità costituiscono da semprei soggetti principali del diritto d’usodella terra, benché negli anni recenticompagnie e imprese multinazionaliabbiano acquisito ingenti estensionidi territorio, attraverso l’affitto dallecomunità e dai governi locali.

Così ora gli abitanti di Talì scuoto-no la testa, e guardano con preoccu-pazione i loro figli, impegnati a spaz-zare la strada davanti alla capanne,con piccole scope di paglia. Nelle lo-ro parole e nelle loro ansie si esprimelo spirito più antico e autentico del-l’Africa: la concezione “comunitaria”della proprietà, il profondo rispettoper la terra, la filosofia alla base dellavita: «Io sono perché noi siamo». NelSud Sudan di domani ci sarà spazioper questi equilibri antichi?

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LAVOROOTTO CONVENZIONITANTE VIOLAZIONI

Ben 183 stati sottoscrivono e difendono, in sede internazionale,l’inalienabile diritto al lavoro. Ma le negazioni di tale dirittocontinuano a essere assai diffuse ovunque. Entro il 2016l’Onu vuole eliminare le forme peggiori di lavoro minorile

I l diritto al lavoro è un diritto umano, garantito dalla Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite neldicembre 1948. L’articolo 23 della Dichiarazione afferma che

“ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, agiuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro ladisoccupazione”.

Il diritto al lavoro è dunque un diritto inalienabile, che spetta a ognipersona umana. Sono otto le convenzioni fondamentali in tema didiritto al lavoro adottate dall’Oil (Organizzazione internazionale dellavoro, agenzia Onu); tra esse spiccano le convenzioni sull’età minimae sulle forme peggiori di lavoro minorile, la convenzione sul lavoroforzato, quella sull’uguaglianza della retribuzione. Nel mondo, oggi,183 stati su 195 del mondo sono membri Oil e adottano le convenzio-ni in tema di diritto al lavoro.

Tuttavia molte continuano a essere le negazioni del diritto al lavoro:tra le più diffuse, quelle in tema di accesso al lavoro da parte di donnee soggetti vulnerabili, l’abuso delle forme di lavoro atipiche (preca-riato) e la piaga del lavoro minorile. Da oltre dieci anni, proprio il la-voro minorile è una questione fondamentale dei diritti umani nel la-voro. Sebbene si sia sviluppato un ampio movimento intorno a questatematica, oggi (dati Oil) 200 milioni di minori lavorano nel mondo a

tempo pieno e sono privati dei diritti umani fondamen-tali. Di questi, circa 126 milioni (uno ogni 12 bambini)sono esposti a forme di lavoro particolarmente rischio-se. Circa 8 milioni di minori sono sottoposti a schiavitù,lavoro forzato, sfruttamento nel commercio sessuale,nel traffico di stupefacenti e nell’arruolamento comebambini soldato. L’Oil ha definito il 2016 come termineper l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro mino-rile mediante un Piano di azione globale (Ipec).

di Francesco Stefanini

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Giovani e donne, ai margini

75 milioni i giovani tra i 15 e i 24anni disoccupati nel mondo, nel 2011:l’aumento dal 2007 è stato di oltre4 milioni dal 2007. Un giovane ha circa 3 possibilità in più di esseredisoccupato rispetto a un adulto

53% il tasso di partecipazione allavoro per le donne nel mondo; pergli uomini è il 78%. Circa 510 mi-lioni di donne nel mondo sono inetà lavorativa, ma non sono econo-micamente attive. Tra chi ha un la-voro, solo il 40% sono da donne,percentuale mai cambiata negli ultimi dieci anni

30% il tasso di disoccupazione dei giovani (15-24 anni) a gennaio2012 in Italia: 1 su 3 non ha lavo-ro. Nel primo semestre 2011, 8 assunzioni su 10 sono stateprecarie; in generale, 1 lavorato-re su 5 è precario. In Italia (e Gre-cia) i lavoratori non godono di red-dito minimo garantito in caso dilicenziamento e disoccupazioneFO

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sociale (fattore di realizzazionedegli individui, di coesione e par-tecipazione), marginalizzandolo eminando anche l’equità sociale.

Le alternative a questo mo-dello però non mancano. E sa-ranno in vetrina a Firenze. Le

buone pratiche di vita, di gover-no e di impresa (prodotti, pro-getti e percorsi frutto di azioni escelte di vita di singoli cittadini,enti locali e istituzioni, di asso-ciazioni e organizzazioni del nonprofit, di imprese eticamenteorientate) saranno protagonistedella vasta rassegna espositivae del fitto programma culturale,che supereranno i dati già rile-vanti dell’edizione 2011 (94 mi-la visitatori, 600 stand con 5mila realtà rappresentate, 280appuntamenti culturali con mil-le relatori e più di 250 tra ani-mazioni e laboratori – nelle fo-to, un seminario e unospettacolo con i bambini).www.terrafutura.it

archivium di Francesco Maria Carloni

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panoramamondo

Il 24 giugno 1981 viene firmato da 95 premi nobel un manifesto di denuncia con-tro la fame nel mondo e gli squilibri che la determinano. L’appello raccoglie im-mediatamente l’adesione delle più alte autorità politiche e religiose del mondo.Anche l’Italia non è da meno: molti sono i comitati e le iniziative messe in atto.Ed è proprio dal basso che nel 1986 ha origine un’iniziativa destinata a rimanereunica nel tempo, per la sua originalità e il suo impatto sull’opinione pubblica.

“Chi troppo e chi niente”: così viene chiamata la campagna formativa e infor-mativa contro la morte per fame e il mal sviluppo, a cui aderiscono, oltre a CaritasItaliana, Caritas diocesane e realtà ecclesiali di base. L’immagine di una bisteccae una ciotola vuota (nella foto) diventano l’icona della campagna, che ha il suoapice espressivo in una mostra fotografica con oltre 380 immagini scattate daimaggiori fotografi del periodo, i quali colgono gli aspetti più atroci della fame edesasperano, tramite allegorie, l’estremismo dei contrasti tra “troppo” e “niente”.

A richiamare l’attenzione di Caritas Italiana sulla campagna è la Caritas diocesa-na di Genova, che nella prefazione al catalogo della mostra così si esprime: «Ciòche la Caritas intende fare è far prendere coscienzaalle comunità cristiane e all’opinione pubblica che lasoluzione del problema della fame coinvolge tutte lepersone, non solo i governi, in una operazione di giu-stizia che, se ha al suo vertice manovre politiche edeconomiche, che vanno conosciute e stimolate, deveavere alla base una comunità umana preparata, impe-gnata e addirittura provocatoria». La mostra fu pre-sentata alle Caritas diocesane al convegno nazionaledi Collevalenza nel settembre 1986.

All’inizio del secondo millennio, oggi, i dati Onustimano in oltre 8 milioni i morti per fame ogni anno.“Chi troppo e chi niente”: un triste presente.

“Chi troppo e chi niente”:passato incisivo, triste presente

MOSTRA-CONVEGNOTerra Futura,a Firenze in vetrina buone pratiche pervalorizzare il lavoro

“Lavoriamo per il futuro”: è loslogan che farà da filo condutto-re alle molteplici offerte esposi-tive e culturali della nona edizio-ne di Terra Futura, mostra-convegno internazionale dellebuone pratiche di sostenibilitàambientale, economica e socia-le, in programma da venerdì 25a domenica 27 maggio 2012 aFirenze, alla Fortezza da Basso.“Lavoro, sostenibilità ed equità.Ridare senso e valore al lavoroper ri-convertire l’economia evincere la crisi”: è il messaggioche la mostra lancerà, propo-nendo un confronto sulle diver-se idee di società e sui diversimodelli di economia, di relazio-ne, di democrazia e di comunitàche il tema del lavoro implica.

Proprio per la sua funzionefondante, sostengono i promoto-ri di Terra Futura (Fondazioneculturale Responsabilità eticaper il sistema Banca Etica, re-gione Toscana e Adescoop-Agen-zia dell’economia sociale, insie-me ai partner Acli, Arci, CaritasItaliana, Cisl, Fiera delle UtopieConcrete e Legambiente), occor-re restituire valore e dignità allavorare e al produrre, attraver-so una riconversione ecologicae sociale dell’economia.

Il documento programmaticodella nona edizione sostiene cheil sistema attuale, improntato suuna finanziarizzazione estremadell’economia, vede imprese elavoratori indebitarsi per recupe-rare i soldi che la finanza stessaha sottratto loro. E critica la ti-rannia della finanza malata, chedirotta la ricchezza prodotta dagliinvestimenti (per innovazione, po-sti di lavoro, aumento dei sala-ri…) alle attività speculative.

Così la crisi ha contribuito aprivare il lavoro del suo valoreeconomico (fattore di sviluppo) e

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panoramamondo

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LASTORIA

INDIACucire, per non essere sfruttate

Nel distretto Namakal, stato del TamilNadu, il livello di istruzione dei giovani, in

particolare delle ragazze, è molto basso, a cau-sa della disastrosa situazione economica. Mol-te giovani migrano verso le aree urbane in cer-ca di posti di lavoro, ma finiscono per percepirestipendi molto bassi e spesso sono costrette asottomettersi ai datori di lavoro. Il microproget-to prevede l’acquisto di cinque macchine dacucire e la fornitura di materiali per la formazio-ne: a beneficiarne saranno 40 ragazze in gravesituazione economica, che potranno poi avviar-si all’autosufficienza e guadagnare un redditoragionevole, sottraendosi allo sfruttamento.

> Costo 2.500 euro> Causale MP38/12 India

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MICROPROGETTO

Il mio quartiere: palafitte di legno ecartone sul fango di una lingua di

mare... Ma oggi lavoro in un salonedi bellezza. E da marzo insegno!

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BURUNDIBanane, chance per i rimpatriati

La parrocchia di Kibango, diocesi di Buru-ri, si trova nel sud del paese, vicino al

confine con la Tanzania. Ancora oggi centinaia diburundesi, fuggiti in Tanzania in seguito dellaguerra interna iniziata nel 1993, fanno ritorno inpatria. Il microprogetto prevede la creazione diquattro vivai a Kibago, Mbizi, Bukeye e Kiyange,per la produzione di 1.500 piante di banano peranno per ciascun vivaio. Le coltivazioni occupe-ranno 300 giovani rimpatriati, le cui famiglie po-tranno usufruire, fin dal primo ciclo di produzio-ne, di 50 piante ciascuna.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 2/12 Burundi

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MICROPROGETTO

GUINEA BISSAUIl futuro nei ghiaccioli

La città di Buba, diocesi di Bafatà, sitrova a sud della Guinea Bissau. L’ac-

cesso all’energia elettrica, nell’area, rappre-senta un grave problema; ciò ne rallenta losviluppo e limita le opportunità di lavoro. E al-lora bisogna dare la stura alla fantasia. La Ca-ritas parrocchiale Santa Cruz ha individuatonella produzione e vendita di ghiaccioli, neiquartieri della città, una fonte di reddito peralmeno venti abitanti poveri del quartiere. Ilmicroprogetto prevede l’acquisto di quattropannelli solari, due frigoriferi e degli ingredien-ti per la prima produzione, nonché una forma-zione per la vendita.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 52/12 Guinea Bissau

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MICROPROGETTO

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AGISCI ORA! SOSTIENI UN PROGETTO INFO: [email protected]

GUATEMALAIl caffè? Contro le speculazionipiù forza ai piccoli produttori

Come facilitare l’esportazione diretta del caffè da parte dei piccoliproduttori, saltando la filiera di intermediari che gonfia i prezzi (per

il consumatore) e deprime i compensi (del produttore)? Costruendo unastruttura per la molitura e la trasformazione del chicco in “qualità oro”. Ilprogetto avviato nel villaggio Aldea Llano de Calderon, municipio di Zaca-pa, riguarda un settore fondamentale per l’economia del Guatemala. Unodegli attori principali coinvolti nella produzione di caffè è il bracciante im-piegato nei latifondi, le cosiddette fincas cafetaleras. Le sue condizioni dilavoro e di vita sono estremamente precarie: nella stragrande maggioran-za dei casi non può contare su un contratto formale. I piccoli produttori,circa 50 mila nel paese, sono l’altro importante attore; la maggioranzavende il proprio prodotto in chicco a intermediari, direttamente nella pian-tagione. Il progetto di potenziamento della rete dei piccoli produttori gua-temaltechi (durata: due anni) mira a riqualificare un duplice mercato, delcaffè e del lavoro, spesso nelle mani di narcotrafficanti locali, e intendedare lavoro e dignità alle persone impiegate. Tra gli obiettivi, anche la vo-lontà di diversificare i sistemi di produzione, attraverso la costruzione diun magazzino (nella foto) e la promozione di prodotti ad alta commercia-lizzazione, e di favorire lo sviluppo di un’economia solidale e la connes-sione coi circuiti del commercio equo e solidale. Caritas Italiana sostieneil progetto, controparte locale è la Pastoral Social - Caritas di Zacapa

> Costo 30 mila euro (contributo di Caritas Italiana)> Causale AL / 2010 / 84 Produzione di caffè

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ILPROGETTO

BRASILESuzana degli allagati,estetista e ora insegnante

Sono Suzana, ho 26 anni. Vivo con mio padre e mio

figlio di 8 anni nel quartiere Uruguay, periferiadella città di Salvador de Bahia. Ho frequentatodal 2008 al 2010 la scuola professionale del-l’associazione João de Deus, promossa dallaparrocchia Nostra Signora dos Alagados. Che è anche il nome del mio quartiere, che sorge in una zona malsana: non case di mattoni, mapalafitte di legno e cartone sospese sul fango di una lingua di mare chiuso, una fogna a cieloaperto! Un luogo dove facciamo fatica a pensareal futuro, in cui la vita non vale niente, dove il piùforte ha la meglio e il più debole spesso soc-combe, fisicamente, ancor peggio moralmente.

Alla scuola professionale ho seguito il corsodi estetista, che mi ha permesso di specializzar-mi in tre tecniche: ceretta, manicure e parruc-chiera. Grazie anche al contributo di Caritas Italiana, ho avuto l’opportunità di frequentare la scuola, insieme ad altre coetanee, ma la co -sa ancora più importante è stata quella di aver avuto la possibilità di allontanarmi dalla dura vita del quartiere!

Oggi, grazie alla formazione ricevuta, lavoro in un salone di bellezza cinque giorni alla settimana, dal martedì al sabato. E pure la domenica, quando ci sono molti clienti. Lune-dì è il mio giorno di riposo. Guadagno 545 realal mese (circa 240 euro), il salario minimo nello stato di Bahia.

Poi, nel marzo 2011, i responsabili del centroprofessionale João de Deus mi hanno chiesto di diventare insegnante, offrendomi un contrattoper due giorni alla settimana. Ho deciso di ac-cettare, l’associazione mi ha dato la possibilitàdi imparare un mestiere e di stare sul mercatodel lavoro e io credo nel suo lavoro. Così ho firmato un contratto e ricevo uno stipendio per i corsi. Naturalmente il denaro mi aiuta, ma so-no felice soprattutto di insegnare ad altre giova-ni donne del quartiere, affinché imparino un me-stiere e si valorizzino. «Siate fiere di voi stessee cercate sempre di migliorare il vostro lavoro!»,dico sempre loro. E poi lo faccio per mio figlio,spero che la sua vita sia lunga e dignitosa…

> Microprogetto 294/10 BrasileSostegno ai laboratori della scuola professionale João de DeusVideo su: www.caritasitaliana.it

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villaggioglobale

di Danilo Angelelliatupertu / Dominique Lapierre

Grazie al successo planetario del suo La città della gio-ia, nel 1985, ha acceso una luce che non ha più spen-to sulle sofferenze degli slum di Calcutta. E istituitouna fondazione per sostenere i progetti di sviluppo nel-la metropoli indiana e nelle zone del delta del Gange.Dopo 27 anni, un altro consistente numero di best sel-ler pubblicati, ma soprattutto dopo tantissimi progettirealizzati a favore e a fianco dei più poveri tra i poveri,l’ottantunenne Dominique Lapierre torna con un nuovolibro, Gli ultimi saranno i primi (Rizzoli), che ripercorre lasua avventura umana.

Cominciamo dal Lapierre prima inviato del settima-nale Paris Match, poi autore di best seller. Cosa hasignificato mettere le proprie capacità comunicati-ve a servizio degli ultimi?

Ha significato aprire una finestra su un mondo che siconosceva poco o non si voleva conoscere. Grazie almio lavoro, ho avuto l’occasione di parlare delle mieemozioni a un numero incredibile di persone. Però perraccontare bene bisogna conoscere, e io ho condivisotantissime esperienze con gli ultimi del mondo.

A 50 anni sentì che non le bastava scrivere per de-nunciare le ingiustizie, e nemmeno offrire una par-te dei diritti d’autore per aiutare i bambini lebbrosi,

Ho avuto la grandegrazia di conosceregli eroi del pianeta:

vivono nell’inferno delle bidonville, ma hanno la forza di rimanere in piedie ringraziare Dio perogni piccolo beneficio

DUE DOMINIQUE, TANTI PROGETTIIDominique Lapierre e la moglie, anche lei Dominique,

con alcuni giovani indiani. I due coniugi insieme hannofondato l’associazione Action pour les enfants des

lépreux de Calcutta (www.citedelajoie.com –www.cityofjoyaid.org). Per contattare i Lapierre:

[email protected]

ma doveva diventare protagonista attivo. Cosa l’haspinta a questo salto?

Una necessità. Nel 1981, dopo aver trascorso due an-ni a Calcutta per preparare Stanotte la libertà, libro suun intenso periodo storico dell’India, incontrai MadreTeresa nella comunità delle Missionarie della Carità.Lei mi guardò e disse: «È il buon Dio a mandarla». Daquel giorno ho iniziato a impegnarmi concretamente.Ho seguito Madre Teresa tra lebbrosi, tubercolotici,bambini di strada. Imparando che chiunque può farequalcosa. Ho avuto la grande grazia di conoscere glieroi del pianeta: vivono nell’inferno delle bidonville, mahanno la forza di rimanere in piedi, di ringraziare Dioper il più piccolo beneficio, di sorridere in un luogo do-ve la speranza di vita è bassissima. Il titolo La città del-la gioia viene da questa loro forza.

I suoi libri sono impregnati di fede cristiana. L’Indiaha rappresentato un momento importante anche inquesto senso?

Sì. Provengo da una famiglia cristiana. Ma la mia fedeera sempre stata un po’ superficiale. Un primo “risve-glio” l’ho avuto a Gerusalemme. Poi c’è stata l’India,l’incontro con Gandhi e quindi con Madre Teresa e i di-seredati di Calcutta. Per me Gesù è realmente in ogni

no di noi occidentali. Un giorno ho ricevuto una letteradi una signora americana con un assegno di 1.500dollari: dopo aver letto il libro aveva smesso di fumare,quello era l’equivalente del prezzo delle sigarette perun anno. Da quel giorno, ogni anno mi manda la stes-sa somma.

povero che ho visto. Una volta ho incontrato unabambina debole per la fame fuori dalla sua scuo-la. Le ho dato l’unica cosa che avevo in tasca inquel momento, un biscotto. Alcuni minuti dopoho visto che condivideva il biscotto con un canescheletrico. Per me quella ragazza era Gesù.

Come spiega il successo di La città della gio-ia, di cui parla in Gli ultimi saranno i primi?

Ho ricevuto 250 mila lettere di lettori di La cittàdella gioia. In ogni lettera si sottolinea il valore,la capacità di persone così povere di superareenormi difficoltà, la capacità di ciascun uomo diessere più grande di ogni difficile situazione. Lestorie di questi poveri sono esemplificative e ri-mettono al posto giusto i problemi del quotidia-

Gli ultimi, i primi:«Incontrai Gesùnella bimba col biscotto»

pulsante “registrati ora” presen-te nella home page del sito in-ternet omonimo. In alternativa,si può accedere direttamentecon il proprio account Facebo-ok. Si può giocare una sola vol-ta, interpretando ognuno deidue personaggi del gioco, Sa-yed o Abiba. Il percorso legatoa ogni personaggio prevedequattro domande, ovvero mini-giochi; alla fine di ogni gioco-quiz, si riceve un punteggio par-ziale e si visualizzano glieventuali punti bonus guada-gnati. Il gioco termina quando siè giocato con entrambi i perso-naggi. Il gioco può essere condi-viso con i propri amici e contattiinternet: un modo efficace perscoprire quali sono i drammi, lefatiche e le scelte laceranti chedevono essere affrontati da mi-lioni di uomini e donne, ogni an-no nel mondo, costretti alla fu-ga dalla propria terra.www.waytoescape.it

Chissà che effetto farà, il prossimo 11 aprile, la proiezio-ne di Mare chiuso alla camera dei deputati. Perché il do-cumentario di Daniele Segre e Stefano Liberti, che dalmese di marzo sta girando nei cinema di diverse cittàd’Italia e partecipando – sempre accompagnato dai dueautori – a rassegne come il Festival del cinema africanoAsia e America Latina, promosso dal Coe a Milano, rac-conta una brutta pagina della nostra politica migratoria:i respingimenti in alto mare verso la Libia, effettuati nel2009 dal governo italiano. Quando le barche intercetta-te nel Mediterraneo venivano ricondotte in territorio libi-

co, dove non esistevano diritti di protezio-ne e la polizia esercitava indisturbataforme di abusi e di violenze.

Nel marzo 2011, con lo scoppio dellaguerra in Libia, migliaia di africani sonoscappati. Tra loro, anche profughi prece-dentemente vittime dei respingimenti ita-liani. Questi profughi hanno trovato rifu-gio nel campo Unhcr di Shousha, in

INTERNETCinque lingueper “News.va”,l’aggregatoredella Santa Sede

Sempre più in dialogo col mon-do. News.va, il nuovo sito vatica-no, nato meno di un anno fa, al-le tre lingue originarie (inglese,spagnolo e italiano) da questa

primavera aggiun-ge il francese epoi il portoghese.News.va registradagli 8 ai 10 milacontatti al giorno;vi si collegano na-vigatori da 180paesi (il 27% dagli

Usa, poi da Italia, Germania,Spagna, Canada, Brasile, Messi-co e Argentina). News.va è unservizio fornito dal Pontificio con-siglio delle comunicazioni socia-li, in collaborazione con gli ufficimedia della Santa Sede: Agen-

zoom

“Mare chiuso” porta alla Camerala vergogna dei respingimentiverso la Libia prima della guerra

INTERNET“Way2escape”,la via di fugadei rifugiati è un gioco online

Non è augurabile a nessuno.Ma lo si può sperimentare, gio-cando. Per capire, immedesi-mandosi. Way2Escape è un gio-co interattivo online, propostodall’Unchr (l’Alto commissariatodelle Nazioni Unite per i rifugia-ti). Guida a scoprire quante diffi-coltà devono affrontare uominie donne per scappare da sopru-si, violenze e discriminazionicausati dalle guerre o dalle poli-tiche di molti regimi totalitarinelle aree più povere del piane-ta. Per partecipare al gioco oc-corre registrarsi, cliccando sul

Tunisia. È lì che Segre, regista da sempre attento al te-ma delle migrazioni e dell’integrazione sociale (Come unuomo sulla terra), insieme con il giornalista Liberti (suo illibro A sud di Lampedusa), li ha incontrati. Ne sono uscitiracconti di vite segnate da carcere, violenze e fughe, maanche sostenute da tenacia e speranza.

Vedendo i volti e sentendo le voci di chi i respingimen-ti li ha vissuti, si resta indignati. Si soffre con loro e conchi non può raccontare, perché non ce l’ha fatta. «Abbia-mo recuperato molte testimonianze – racconta Liberti –non solo per rivendicare una giustizia personale, ma an-che per assicurare che una vergogna del genere non ac-cada mai più». Le premesse ci sarebbero: il documenta-rio è arrivato nelle sale alcuni giorni dopo la condannacontro l’Italia per questi respingimenti, pronunciata dallaCorte europea dei diritti umani.PER PRENOTARE [email protected] PROIEZIONI E FESTIVALhttp://marechiuso.blogspot.it

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PATROCINIO PER TUTTI,L’AVVOCATO SCENDE IN STRADA

generatoridisperanzadi Barbara Garavaglia

er uscire dalla spirale del disagio, per togliersi di dosso il peso di una vita di povertà e marginalità,può essere necessario l’aiuto di un avvocato. Antonio Mumolo lo ha capito dodici anni fa. Lui,47 anni, avvocato giuslavorista, con i “barboni” si era già compromesso da tempo, dando vita,

nel 1994, a Bologna, ad “Amici di piazza Grande”, associazione che ha avviato diversi progetti di autoaiuto, tra i quali il primo giornale di strada italiano, redatto e distribuito da homeless.

Per gli ultimi della società, però, Mumolo si accorse che spesso è necessario un supporto giuridicogratuito e ben organizzato. Nel dicembre del Duemila è nato così il progetto “Avvocato di strada”, di-ventato associazione nel 2007. All’inizio gli avvocati di strada erano in due; presentato il progetto, sonoarrivati altri volontari: giovani professionisti, avvocati già affermati, commercialisti, cittadini con varie

competenze che hanno aiutato a costruire la segreteria. Poi, un altro passoimportante: andare incontro alle persone con problemi, visitando dormitorie mense. «È un’esperienza straordinaria – racconta Mumolo –. Abbiamo tantivolontari e non se ne va nessuno, nessuno. Perché quelle che si fanno sonoesperienze particolari, che danno una motivazione in più anche nello svol-gimento della propria professione. Oltre che per la propria vita».

L’obiettivo di “Avvocato di strada” è fornire assistenza legale gratuita ai senzadimora, per difenderne i diritti e favorirne l’integrazione; un patrocinio gra-tuito e ben organizzato, non consegnato alla buona volontà di un singolo av-vocato. Attualmente l’associazione conta 60 soci a Bologna, 650 in tutta Italia,ed è presente con uno sportello in 22 città,in collaborazione con altri soggetti sociali,comprese alcune Caritas diocesane. Ognianno affronta più di duemila casi.

Per aprire uno sportello occorrono seimesi; bisogna trovare i volontari, creare una rete tra le associazioni che si occupanodi disagio, domandare il permesso all’ordine locale perché gli avvocati possanofare volontariato. Poi arriva il “lavoro”.

Emblematico il primo caso preso in considerazione da “Avvocato di strada”, cheha avuto al centro una questione importantissima, quella della residenza. Il primoutente era infatti un senza dimora, che aveva domandato più volte la residenza alcomune di Bologna, che l’aveva negata. «I comuni non danno facilmente la residen-za, mentre lo dovrebbero fare, perché c’è una legge che li obbliga». Già, perché ognicomune dovrebbe fornirsi di una via fittizia, in cui fissare la residenza degli homeless,ma molte amministrazioni sono inadempienti. E senza una residenza, una personaperde diritti, diventa invisibile…

Chi è il senza dimora oggi? In strada un tempo ci finivano persone con problemi psi-chici, di dipendenza, ma oggi questo universo è cambiato. Sempre più persone diven-tano povere, vengono relegate ai margini della società, partendo da una situazione di“normalità”. E Antonio, con la sua schiera di avvocati di strada, vuole scardinare i pre-giudizi: «Vorremmo lasciare ai nostri figli un piccolo esempio di come poche personepossano provare a cambiare una mentalità, secondo la quale chi diventa povero è unperdente, colpevole di essere diventato tale, quindi una persona che si merita quelloche gli è accaduto. Una persona che diventa povera, è sempre una persona. Alla fine,difendere i diritti delle persone più deboli significa difendere i diritti di tutti».

Antonio Mumolo ha fondato a Bologna

un’associazione di professionisti,

che assistono gratisi senza dimora. Oggi

ha 22 sportelli in Italiae tratta duemila casiall’anno. «Difenderei diritti degli ultimiè difendere i diritti

di ognuno»

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Kim e Vaclav, l’adorato dittatoree il borghese oppositore:il meglio e il peggio di un’epoca

paginealtrepagine di Francesco Dragonetti

Per una strana coincidenza, a distanza di poche ore sono morti, a conclusione del2011, Kim Jong-il, dittatore nordcoreano che ha governato per diciassette anni ilpaese più isolato al mondo, e Vaclav Havel, protagonista incontrastato del dissen-so nella Cecoslovacchia, ma che dopo la “Rivoluzione di velluto” ricoprì un ruolocentrale, divenendo il primo presidente della repubblica post-comunista, nel 1989,e poi, con la separazione consensuale dalla Slovacchia, della Repubblica Ceca.

Due figure diametralmente opposte. Il primo, Kim Jong-il, è stato una delle piùambigue personalità della scena internazionale, ritratto di una nazione schiacciatae dominata da un culto della personalità dittatoriale, causa di gravissime e ricor-renti carestie che provocano milioni di vittime, ma che nel contempo dispone diarmi atomiche. Rosella Ideo e Maurizio Riotto L’adorato Kim Jong-il. Biografia uffi-ciale del leader nordcoreano (0 Barra 0 Edizioni, pagine 428) presenta e analizzauno degli strumenti impiegati dagli uomini di potere nord-coreani per inculcare nel-le masse, e soprattutto nei giovani, l’ideologia e i principi dogmatici del regimedella Corea del Nord, ultimo bastione della guerra fredda: più che una mera bio-grafia di un leader politico, una sorta di agiografia, scritta in uno stile retorico emai causale, ma abbastanza semplice e immediata da essere compreso, se nonaddirittura mandata a memoria, senza alcuna difficoltà. I numerosi aneddoti rac-contati, simili a parabole, contribuiscono a creare l’immagine di un vero eproprio personaggio mitologico.

Se su Kim Jong-il esiste una biografia molto limitata, altrettanto non sipuò dire di Vaclav Havel, figlio di una famiglia borghese della Praga colta eimprenditoriale, destinata a subire le persecuzioni del Partito comunistadopo il “Febbraio vittorioso” del 1948. Havel fu drammaturgo teatrale masoprattutto scrittore, e poi valente uomo politico e di stato: tra i suoi scrit-ti, l’opera più conosciuta è Largo Desolato (Ubulibri, pagine 144). Assai in-teressante anche Lettere ad Olga (Editrice Santi Quaranta, pagine 488),che per il suo carattere fortemente politico e antitotalitario, gli valse lamessa la bando da parte del regime dopo la Primavera di Praga del 1968.

Kim e Vaclav: in modi diversi, hanno fatto la storia dei loro paesi. Con laloro morte si chiude un’era; parafrasando un aforisma di Charles Dickens, sipuò dire che sono stati “il meglio e il peggio” nel settore dei leader mondiali.

villaggioglobale

zia Fides, Osservatore Romano,Sala stampa, Vatican informationservice, Radio Vaticana, Centrotelevisivo vaticano e l’Ufficio in-ternet della Santa Sede. Obietti-vo di News.va è dare risalto suun solo sito, in maniera aggior-nata e “panoramica”, alle ultimenews selezionate e aggregatedai singoli media vaticani.

INTERNETUn giorno di Alicenel mare del web:decalogo perpiccoli navigatori

Come sfuggi-re alle insi-die della re-te, apparentepaese dellemeraviglie,ma anche la-birinto pienodi insidie?

Se si è piccoli, ci vuole una gui-da. Precisamente, una “guidapratica per i bambini dell’era2.0”. Per questo motivo l’asso-ciazione Terre des Hommes halanciato a febbraio Alice nelpaese di internet, progetto rea-lizzato in collaborazione conl’Istituto europeo di design diTorino – nell’ambito della cam-pagna internazionale “Io proteg-go i bambini” – per promuovereun utilizzo più consapevole e si-curo di internet da parte dei mi-nori. Alice, bambina curiosa eintelligente, trascorre una gior-nata piovosa a navigare nel ma-re del web, ricco di opportunità,non solo di minacce: grazie allasua capacità critica, ne trae undecalogo di semplici raccoman-dazioni su come muoversi nellamaniera più appropriata e sicu-ra, aiutando da pari a pari altribambini a esplorare internetcon consapevolezza. La pubbli-cazione (illustrazioni di IreneFrigo, testi di Pino Pace) si puòscaricare gratuitamente.www.ioproteggoibambini.itwww.terredeshommes.it

Francesca MilanoMorte di un bla-sfemo (San Pao-lo, pagine 144).Shahbaz Bhatti è

stato ministro per le mi-noranze religiose in Paki-stan dal 2008 al 2 mar-zo 2011, quando è statoucciso da terroristi tale-bani. Cattolico, tessito-re di dialogo interreligio-so, ha dedicato la suavita alla libertà religiosa.

LIBRIALTRILIBRI

Carlo Maria MartiniVia Crucis. Dolo-re di Dio, storiadell’uomo (SanPaolo, pagine

138). La Passione di Cri-sto, attraverso le parolee le riflessioni del cardi-nale Martini, è affronta-ta non solo come fattostorico, ma anche per lasua attualità, messaggiorivolto a chiunque siadisposto ad ascoltarlo.

Carlo Maria MartiniVoglia di risorge-re (Mondadori,pagine 56). L’ar-civescovo emeri-

to di Milano ci offre il suo pensiero sullaPasqua, guidandoci nel viaggio “dalla notte oscura allo scop-pio di luce”: un percor-so che, indipendente-mente dalla fede,riguarda tutti.

Page 25: Italia Caritas · di Francesco Soddu 4 parola e parole di Benedetta Rossi 10 database di Walter Nanni 14 dall’altro mondo di Franco Pittau 19 contrappunto di Domenico Rosati 20

Cambierò il loro lutto in gioia

Ecco il luogo dovel’avevano deposto.

Ora andate,eannunciate che Egli vi precede.

I sepolcri della storia non sono la parola finale

Caritas Italiana augura ai lettoriuna Pasquavivificata dal Risorto,e cammini di giustiziae speranza tra gli uomini

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