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Venerdì 27 Ottobre 2006 la Rinascita della sinistra S abato mattina Ania si è alzata e si è preparata la colazione. Dopo aver pettinato davanti allo spec- chio i capelli grigi e lisci, ed essersi sistemata i lunghi orecchini, è tornata in cuci- na, chinandosi leggermente per guardare se il fuoco dei fornelli era acceso sotto il caffè. Allo stesso modo, quando scende in garage, si china per guardare sotto la sua auto. Lo fa sempre, da anni, ogni mattina. Perché sotto la sua auto ci può esse- re una bomba. In questo periodo Ania è abbastanza tranquilla. E’ ap- pena tornata da Stoccolma, dove ha sentito ancora una volta l’ammirazione intorno a sé. In occidente la apprez- zano, ma in patria ha dato fa- stidio a troppi. Non solo al governo russo, ma a quello ceceno. E non solo ai gover- ni, ma anche ai “terroristi”, alle diverse anime della guerriglia in Cecenia, spes- so in aperta ostilità tra loro. Seduta al tavolo della cu- cina, però, Ania non sta pen- sando alla Cecenia. Pen- sa al nipotino che sta per nascere, pensa ai suoi figli, Vera e Ilya, che non entrano in casa sua da tanto tempo. Ania ha pre- ferito che si trasferissero dal padre, l’uo- mo da cui si è sepa- rata proprio per lo stress di quella vita difficile. Non sa- rebbero al sicuro in casa sua, Ania lo sa. Pensa a loro, e conclude in fretta la colazione: una cola- zione leggera, perché la salu- te di Ania da due anni non è più la stessa. Da quel viaggio a Beslan, nei giorni della tra- gedia nella scuola. Sull’ae- reo aveva bevuto un tè ed era svenuta. Era finita in ospeda- le, avvelenata, e da allora non è più stata bene. Dopo la colazione, Ania si mette gli occhiali dall’ampia montatura e si siede di fron- te al computer. E’ prezioso, il suo computer. Contiene tut- to ciò a cui Ania sta lavoran- do. In questi giorni sono due le inchieste che la occupano di più. Una è contro Ramsan Kadyrov, il leader filo-russo della Cecenia, che appena due giorni fa Ania ha attac- cato pubblicamente, in un’intervista radiofonica. L’altra è sulle torture e i de- litti commessi da agenti russi in Cecenia. Nel suo compu- ter ci sono i nomi dei respon- sabili, per questo è un com- puter prezioso, ma anche pe- ricoloso. Ania scorre qualche ap- punto, sullo schermo del pc, poi apre le sue caselle di po- sta elettronica. Continua a usare le e-mail, nonostante sappia che sono controllate. Spesso non le riceve e ha scoperto che qualcuno ri- sponde al suo posto, a mono- sillabi: “Hi!”, “Hallo!”. Co- sì chi le ha scritto crede che Ania abbia ricevuto i mes- saggi, ma lei non li ha mai potuti leggere. Per aggirare quelle “interferenze” c’è sua sorella, a Londra, un contatto sicuro. Del resto, Ania non si fida più del- la posta elettro- nica da quan- do, nel 2001, un anonimo gli scriveva di essere un cecchino e di essere in procinto di arrivare a Mo- sca per uccider- la. Poche settima- ne prima Ania aveva accusato dei poliziotti di avere ucciso civili inermi in Cecenia. E quella era la ri- sposta. Finora nessun cecchino le ha sparato. E Ania si è anche chiesta perché, ufficialmen- te, le abbiano concesso tanta libertà. Ha potuto scrivere tutto ciò che voleva, sulla “Novaja Gazeta”. Un po’ lo deve a Gorbaciov, che è tra i proprietari del giornale: le autorità russe non possono mettersi contro di lui, sanno quanto sia noto e influente a 22 IVO SCANNER giallo del mese Il caso  Politkovskaj In occidente, la giornalista è apprezzata, ma in patria dà fastidio a troppi. Non solo al governo russo, ma anche a quello ceceno ovest. Ma Ania è consapevo- le anche che per Putin è sta- to utile lasciarle mano libe- ra, per dimostrarsi tollerante e democratico. Non poteva premere eccessivamente l’acceleratore, Putin, c’era- no troppi affari importanti in ballo. Il gas, soprattutto. Ora però tanti contratti de- cisivi sono stati firmati e for- se dimostrarsi liberali e per- missivi non serve più… Lei è diventata un simbolo. E i simboli rischiano. Da tempo Ania sa di dover temere an- che dai nemici dei suoi ne- mici. Quale migliore occa- sione per gettare discredito su Putin se un giorno qual- cuno attentasse alla vita della giornalista che ha criticato ferocemente il governo? Ma Ania ormai è abituata a convivere con il pericolo. Mentre è ancora davanti al computer, il cellulare squilla. Una delle decine e decine di telefonate che Ania riceve ogni giorno. Non si preoccupa più delle intercettazioni, parla serena- mente con tutti, russi o stra- nieri. Poi Ania spegne il computer e si prepara per uscire. Nell’ingresso, siste- ma le ultime cose nella bor- setta, dove non dimentica mai il passaporto americano. Lo ha sempre con sé, quel privilegio per essere nata a New York, da genitori diplomatici: un privile- gio utile, per espatriare nei momenti di neces- sità. Va al lavoro, Ania. Esce dall’appartamento nel cen- tro di Mosca per raggiunge- re il suo giornale. Lunedì pubblicherà un articolo sulle torture in Cecenia e deve si- stemare gli ultimi docu- menti, le ultime immagini di accompagnamento. Quando esce è sola, niente guardie del corpo, anche se alcuni anni fa la “Novaja Gazeta” l’aveva fatta scor- tare per un breve periodo. Al giornale erano preoccupati: undici i giornalisti uccisi in Russia negli ultimi sei anni. Quelle verit A N La sua missione: la Cecenia. Con i su 

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Venerdì 27 Ottobre 2006 laRinascitadellasinistra

Sabato mattina Ania si èalzata e si è preparata lacolazione. Dopo aver

pettinato davanti allo spec-chio i capelli grigi e lisci, edessersi sistemata i lunghiorecchini, è tornata in cuci-

na, chinandosi leggermenteper guardare se il fuoco deifornelli era acceso sotto ilcaffè. Allo stesso modo,quando scende in garage, sichina per guardare sotto lasua auto. Lo fa sempre, daanni, ogni mattina. Perchésotto la sua auto ci può esse-re una bomba.

In questo periodo Ania èabbastanza tranquilla. E’ ap-pena tornata da Stoccolma,dove ha sentito ancora unavolta l’ammirazione intornoa sé. In occidente la apprez-zano, ma in patria ha dato fa-stidio a troppi. Non solo algoverno russo, ma a quelloceceno. E non solo ai gover-ni, ma anche ai “terroristi”,alle diverse anime dellaguerriglia in Cecenia, spes-so in aperta ostilità tra loro.

Seduta al tavolo della cu-cina, però, Ania non sta pen-sando alla Cecenia. Pen-sa al nipotino chesta per nascere,pensa ai suoifigli, Vera eIlya, chenon entranoin casa suada tanto

t e m p o .Ania ha pre-ferito che sitrasfer isserodal padre, l’uo-mo da cui si è sepa-rata proprio per lo stress diquella vita difficile. Non sa-rebbero al sicuro in casa sua,Ania lo sa.

Pensa a loro, e conclude infretta la colazione: una cola-zione leggera, perché la salu-te di Ania da due anni non èpiù la stessa. Da quel viaggioa Beslan, nei giorni della tra-gedia nella scuola. Sull’ae-reo aveva bevuto un tè ed erasvenuta. Era finita in ospeda-le, avvelenata, e da alloranon è più stata bene.

Dopo la colazione, Ania si

mette gli occhiali dall’ampiamontatura e si siede di fron-te al computer. E’ prezioso, ilsuo computer. Contiene tut-to ciò a cui Ania sta lavoran-do. In questi giorni sono duele inchieste che la occupanodi più. Una è contro RamsanKadyrov, il leader filo-russodella Cecenia, che appena

due giorni fa Ania ha attac-cato pubblicamente, inun’intervista radiofonica.L’altra è sulle torture e i de-litti commessi da agenti russiin Cecenia. Nel suo compu-ter ci sono i nomi dei respon-sabili, per questo è un com-puter prezioso, ma anche pe-ricoloso.

Ania scorre qualche ap-punto, sullo schermo del pc,poi apre le sue caselle di po-sta elettronica. Continua ausare le e-mail, nonostantesappia che sono controllate.Spesso non le riceve e hascoperto che qualcuno ri-sponde al suo posto, a mono-sillabi: “Hi!”, “Hallo!”. Co-sì chi le ha scritto crede cheAnia abbia ricevuto i mes-saggi, ma lei non li ha maipotuti leggere. Per aggirarequelle “interferenze” c’è suasorella, a Londra, un contatto

sicuro. Del resto, Anianon si fida più del-

la posta elettro-nica da quan-

do, nel 2001,un anonimogli scrivevadi essere uncecchino e

di essere inprocinto di

arrivare a Mo-sca per uccider-

la. Poche settima-ne prima Ania aveva

accusato dei poliziotti diavere ucciso civili inermi inCecenia. E quella era la ri-sposta.

Finora nessun cecchino leha sparato. E Ania si è anchechiesta perché, ufficialmen-te, le abbiano concesso tantalibertà. Ha potuto scriveretutto ciò che voleva, sulla“Novaja Gazeta”. Un po’ lodeve a Gorbaciov, che è tra iproprietari del giornale: leautorità russe non possonomettersi contro di lui, sannoquanto sia noto e influente a

22

IVO SCANNER

giallo del mese 

Il caso

 Politkovskaj

In occidente,la giornalistaè apprezzata,ma in patriadà fastidioa troppi.

Non solo algoverno russo,

ma anchea quello ceceno

ovest. Ma Ania è consapevo-le anche che per Putin è sta-to utile lasciarle mano libe-ra, per dimostrarsi tollerantee democratico. Non potevapremere eccessivamentel’acceleratore, Putin, c’era-no troppi affari importantiin ballo. Il gas, soprattutto.Ora però tanti contratti de-cisivi sono stati firmati e for-se dimostrarsi liberali e per-missivi non serve più… Lei èdiventata un simbolo. E isimboli rischiano. Da tempoAnia sa di dover temere an-che dai nemici dei suoi ne-mici. Quale migliore occa-sione per gettare discreditosu Putin se un giorno qual-cuno attentasse alla vita dellagiornalista che ha criticatoferocemente il governo? MaAnia ormai è abituata aconvivere con il pericolo.

Mentre è ancora davantial computer, il cellularesquilla. Una delle decine edecine di telefonate che

Ania riceve ogni giorno.Non si preoccupa più delleintercettazioni, parla serena-mente con tutti, russi o stra-nieri. Poi Ania spegne ilcomputer e si prepara peruscire. Nell’ingresso, siste-ma le ultime cose nella bor-setta, dove non dimenticamai il passaporto americano.Lo ha sempre con sé, quelprivilegio per essere nata a

New York, da genitoridiplomatici: un privile-

gio utile, per espatriarenei momenti di neces-

sità.Va al lavoro, Ania. Esce

dall’appartamento nel cen-tro di Mosca per raggiunge-

re il suo giornale. Lunedìpubblicherà un articolo sulle

torture in Cecenia e deve si-stemare gli ultimi docu-menti, le ultime immagini

di accompagnamento.Quando esce è sola, nienteguardie del corpo, anche sealcuni anni fa la “NovajaGazeta” l’aveva fatta scor-tare per un breve periodo. Algiornale erano preoccupati:undici i giornalisti uccisi inRussia negli ultimi sei anni.

Quelle verit 

A N

La sua missione: la Cecenia. Con i su 

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Venerdì 27 Ottobre 2006 laRinascitadellasinistra

E Ania era rimasta impres-sionata soprattutto dallamorte nel 2004 di Paul Kleb-nikov, un redattore di “For-bes”. Anche lui indagavasulla Cecenia, su quella cheAnia chiama “la sporca guer-ra”.

E’ una giornata come lealtre, per Ania. In redazio-ne, poi al pomeriggio dinuovo verso casa.

In serata finiràl’articolo e loinvierà al di-rettore. Nel-la strada diritorno lesembra cheuna personala stia se-guendo, manon ci fa caso.La stessa perso-na che aveva vistodietro di lei, riflessa inuna vetrina, già in mattina-ta. Ma Ania non può per-mettersi la paranoia, altri-menti non vivrebbe più. Co-sì scaccia dalla mente quelsospetto.

Prima di rientrare, Aniaentra in un supermercato vi-cino a casa, per fare la spe-sa. C’è una donna che la fis-sa, nel negozio, ma Anianon si preoccupa, è già sol-levata dal non vedere più il

tizio che sembrava pedinar-la. E poco prima delle 17Ania, con le borse della spe-sa, varca il portone del suopalazzo.

C’è un uomo alto, vestitodi scuro, nell’atrio del palaz-zo di Ania. Un cappello dabaseball gli lascia in ombra ilviso. Sotto il giubbotto ha

qualcosa, su cui passaspesso le dita, per

controllare chesia ancora al

suo posto. E’una pistolaMakarov 9millimetri.Quante vol-te l’ha usatain Cecenia!

Non sbaglia-va un colpo,

con quella pisto-la. Ma aveva impa-

rato anche a piantare unpugnale nella tempia di unuomo, con un gesto rapido eimplacabile. Lo chiamanoAleksej, ma non è il suo ve-ro nome. Prima di diventareun killer sotto contratto haagito nelle battaglie cecene,dove la vita non valeva nien-te. Ora sta aspettando, pa-ziente. La sua complice, nelsupermercato a poca distan-za, deve avvisarlo con il cel-lulare appena vedrà Ania av-vicinarsi al palazzo. I minutipassano lenti, fino a quandoil segnale arriva.

Aleksej si sistema il berret-to sulla fronte, mette la manosotto il giubbotto. Dal suonascondiglio vede la giorna-lista aprire il portone ed en-

trare, accostarsi all’ascenso-re. Le si para davanti. Puntala Makarov. Spara quattrocolpi.

Ora può andare, il lavoro èfinito. Al computer di Ania,pieno di dati, di nomi, di do-cumenti, ci penserà la poli-zia. Lo sequestreranno, e tut-ti quei dati, quei nomi, queidocumenti, spariranno comeè sparita Ania.

23giallo del mese 

Nel 2004, Ania

è rimastaimpressionatadalla morte

di Klebnikov,un collegadi “Forbes”.

Anche lui stavaindagando sulla“sporca guerra”

pericolose

N A

UNA REPORTER “SUL CAMPO”

Anna Politkovskaja è stata uccisa il 7 ottobre scorso, nelsuo palazzo di Mosca. Le indagini sono in corso e non siconoscono ancora i mandanti dell’omicidio.

Aveva 48 anni ed era nata a New York da due diploma-tici ucraini che lavoravano all’Onu. Dopo gli studi a Mosca,

si dedicò subito al giornalismo: aveva collaborato a diver-se testate fino ad approdare alla “Novaja Gazeta”, che hatra gli azionisti l’ex presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov.

I suoi reportage dalla Cecenia fecero scalpore. Politkov-skaja era implacabile nel denunciare le violenze dell’eser-cito russo e gli abusi delle stesse autorità locali fedeli alCremlino.

Ma non si limitava a scrivere, agiva “sul campo”. Adesempio organizzando, nel 1999, l’evacuazione dell’ospi-zio di Grozny in pericolo per i bombardamenti. E molti lehanno rimproverato i contatti troppo amichevoli con la

guerriglia cecena, che si rifiutava di etichettare con il ter-mine “terrorismo”. Nel 2001 verrà arrestata e nel corsodell’anno, temendo per la propria vita, si allontanò perun certo tempo dalla Russia. Nel 2002 partecipò alle trat-tative con i terroristi durante il sequestro di oltre 700 ci-

vili nel teatro Dubrovka di Mosca. Nel settembre 2004prese un aereo per recarsi nell’Ossezia del Nord, doveprobabilmente avrebbe potuto svolgere un ruolo di “me-diatore” nella vicenda degli ostaggi sequestrati in unascuola da un gruppo di integralisti islamici, ma si sentìmale dopo aver assunto una bevanda e non riuscì a rag-giungere Beslan. In seguito dichiarerà di essere certa chesi fosse trattato di un avvelenamento da parte dei servi-zi segreti russi.

Dalle sue inchieste Politkovskaja trasse anche dei libriche in occidente le valsero premi e riconoscimenti.

COSI’ SCRIVEVA DI PUTIN

Putin è stato eletto presidentenel marzo del 2000. Poco pri-ma dell’inizio della secondaguerra in Cecenia, nel 1999, erasolo un colonnello semiscono-sciuto a cui era stata affidata ladirezione dell’Fsb (il nuovo no-me del Kgb). Ma è riuscito abruciare le tappe della sua car-

riera, diventando il successoredesignato alla presidenza e pri-mo ministro per volontà di Bo-ris Eltsin - all’epoca affetto dacontinui problemi di salute - edella sua famiglia (la cerchia dipersone più vicine al trono delCremlino).

Nonostante il suo salto di car-riera, però, Putin era un perso-naggio anonimo in Russia. Lafamiglia Eltsin decise allora cheuna guerra era il modo miglioreper far crescere rapidamente lafama del successore alla presi-denza che aveva promesso ditutelare il suo patrimonio. Così

Putin ha dichiarato guerra allaCecenia, approfittando dellapossibilità di farsi conoscere che

gli offriva l’attualità: degli atten-tati a Mosca e a Volgodonskavevano distrutto diversi edifici,e le bande di Basaev e Khattabstavano attaccando il Dagestan.

La guerra è stata chiamata uf-ficialmente “operazione antiter-rorista nel Caucaso del nord” -in altre parole, lotta contro il ter-

rorismo - mentre tutti i ceceni,per volontà del Cremlino, sonostati dichiarati indistintamentebanditi e terroristi e obbligati adaddossarsi collettivamente laresponsabilità delle azioni crimi-nali di alcuni loro concittadini.Allo stesso tempo, è stato de-ciso che chiunque si dichiaracontrario alla guerra deve es-sere considerato un “nemico”,“complice dei ceceni” e “antipa-triottico”. I russi hanno subìto unradicale lavaggio del cervello daparte di una speciale sottodivi-sione dell’amministrazione pre-sidenziale. E il lavaggio del cer-

vello ha funzionato.(da “Internazionale”, 9 set-tembre 2004)

reportage era diventata un “simbolo” 

I funerali dellagiornalista russaAnna Politkovskajae, accanto, una “Makarov9 mm”, l’arma del delitto.In basso: RamsanKadyrov, leader cecenofilo-russo.A sinistra: Paul Klebnikov,il collega ucciso.A destra: Wladimir Putin

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Quando in una casa suonail telefono e dall’altro ca-po del filo non risponde

nessuno, ci sono i motivi per es-sere inquieti. Oggi, nell’epoca

dei cellulari e dei telefoni che ri-velano il numero di chi chiama,accade meno facilmente, ma nel1990 una telefonata muta erauna telefonata inquietante. El’inquietudine diventa angoscia,se quella telefonata muta arrivain una casa che sta aspettandoin ansia notizie di un familiare.E l’angoscia diventa paura, sequel familiare è appena scom-parso nel nulla.

Il 13 settembre 1990, alle 12e 30, il telefono di una casa neipressi di Velletri suona. Non sisentono voci, solo i rumori diuna strada. A rispondere a quel-la telefonata è Marisa, una don-na di trent’anni. Dalla sera pri-

ma aspetta di sapere qualcosasulla sorte di suo marito Davide.Il giorno precedente, infatti, Da-vide è andato al lavoro comesempre, in un’azienda di com-ponenti elettrici vicino ad Aric-cia, apparentemente tranquillo.L’ultimo che dice di averlo vistovivo è un collega, cheDavide ha salutatoprima di allonta-narsi dalla fab-brica. Erano le17.

Non torneràa casa, Davi-de. La moglielo aspetterà alungo, poi gi-rerà tutta la notteper gli ospedali,mentre suo padrepattuglia la strada che ilgiovane tecnico di solito per-corre per tornare dal lavoro. Manon c’è traccia della sua Golf bianca. Non c’è traccia di Da-vide. Niente.

Nessun motivo per un allonta-namento, né un imprevisto im-pegno di lavoro, né una lite fa-miliare, né una depressione...Da casa, del resto, Davide nonha nemmeno preso vestiti perstare lontano. E la sua vita sem-brava scorrere normalmente, la-voro, gite con la moglie e i due

bambini, cene con parenti eamici.La notte passa senza che Da-

vide dia sue notizie. Poi, alle 12e 30, quella telefonata muta. Chipuò esserci all’altro capo del te-lefono? Davide, che non ha ilcoraggio di parlare? Qualcunoche sa cosa sia accaduto? O for-se solo una persona che ha sba-

gliato numero?Dopo quella telefonata, Mari-

sa non può che andare dai cara-binieri per denunciare la scom-parsa del marito. Deve esseresuccesso qualcosa di grave, diimprevedibile. Ma l’inquietudi-ne, l’angoscia e la paura eranopronte a moltiplicarsi. Attraver-so il telefono. Perché il telefo-no suona ancora, il 14 settem-bre, alla stessa ora del giornoprima: le 12 e 30. E ancora unavolta la cornetta resta muta, se siescludono i suoni di sottofondo,forse di una strada trafficata.

Quando un marito sparisce e iltelefono per due giorni consecu-tivi suona senza che nessuno

parli, il cervello si mette in al-larme e la memoria si mette inmoto. E allora tornano alla men-te episodi che normalmentesembrano insignificanti. Si cer-ca di ricordare quello che è suc-cesso nei mesi e nei giorni pre-cedenti all’evento inspiegabile

che ha sconvolto unafamiglia.

Un buco nellarecinzione die-tro casa, unimprovvisoi n c e n d i odell’ auto, epoi strane in-cursioni nel

viale che por-ta all’abitazione

di Davide e Mari-sa. Prima un furgo-

ne giallo, poi una mac-china con a bordo due uomini intuta, infine altri due personaggiche analizzano mappe nellostesso luogo e dichiarano di es-sere funzionari ministeriali. Epoi perché, a gennaio, Davideha improvvisamente sentitol’esigenza di chiedere il portod’armi?

Tutti dubbi e domande senzarisposta, impenetrabili comequel telefono che squilla a orariprecisi. Le due chiamate miste-riose hanno provocato inquietu-

dine, angoscia e paura. Eppurenell’attesa di un segnale qual-siasi che permetta di capire co-

IVO SCANNER

Il telefonodella famigliaha continuato

a squillarea lungo, manon è mai

arrivata unanotizia sulla

sorte deltecnico militare

Per anni tutte le istituzioni negarono le 

 Un destino a D A V

Venerdì 24 Novembre 2006

28 giallo del mese 

sa è successo a Davide, si desi-dera che il telefono squilli, an-che se dovesse restare muto.

E il telefono squillerà ancora,dopo alcune settimane, puntualealle 12 e 30. E’ il 10 ottobre equesta volta qualcuno parla,dall’altro capo del filo. Anzi,sembra aver cominciato a par-lare prima ancora che venga al-zato il telefono per r ispondere.

«La persona molto cara a voiè in buona compagnia».

Una voce dall’accento stra-niero pronuncia solo quella bre-ve frase, poi interrompe la co-

LA STORIA

Davide Cervia scomparve nel nulla il 12 settembre1990. All’inizio la stampa non si occupò della sparizio-ne di un semplice elettricista di provincia, ma a poco apoco emerse un aspetto inquietante della sua vita: Cer-via era in realtà uno dei pochi esperti italiani ed europeidi guerre elettroniche, aveva seguito corsi avanzatissi-mi sui radar per la Marina e per alcune delle principali in-dustrie belliche.

Le indagini sono contrassegnate da ritardi, errori e verie propri depistaggi. Inizialmente si voleva accreditare so-prattutto la possibilità di una fuga d’amore di Cervia. Poi,quando quella pista si rivelò assurda, si ammisero le suecompetenze in guerre elettroniche e si suggerì che Cerviafosse in Iraq, rapito o di sua volontà. Si parlò anche di Li-bia, di sistemi d’arma rubati dal Kgb, di oscuri traffici diarmamenti e di segreti legati al caso Ustica. Ma la coin-cidenza tra la sparizione del tecnico di guerre elettroni-che e l’inizio del conflitto iracheno resta la più significativa.Un’ipotesi, avanzata ad esempio da Remo Mazzacurati(Perché Berlusconi non poteva perdere , Synergon 1994),è che Cervia servisse urgentemente e segretamente adalcuni paesi allineati agli Usa nella guerra a Saddam, inparticolare l’Egitto o l’Arabia Saudita.

Chi cercava la verità, come il giornalista Gianluca Ci-cinelli (che al caso Cervia ha dedicato due libri, per Da-tanews e Avvenimenti), venne fatto oggetto di intimida-zioni e portato ripetutamente in tribunale. Ancora oggi,

a distanza di 16 anni, la sorte di Cervia è un mistero.Con quel mistero, poi, si intreccerà un altro episodiodrammatico: nel 2002 viene trovato morto il tecnico infor-matico Michele Landi. Il suo apparente suicidio non hamai convinto i familiari. E Landi, come Cervia, aveva la-vorato al sistema Nato per il controllo militare dello spa-zio aereo. E Landi muore pochi mesi prima della secon-da guerra all’Iraq.

Sparì durante la guerra del Golfo

Un sommergibile nell’arsenale di La Spezia. I n alto, a sinistra: marinai; a destra: un aereo di guerra elettronica

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municazione. Tre ore dopo il te-lefono suona di nuovo. Adessole parole sono in una lingua in-comprensibile, forse arabo. Ecome nella prima telefonata ildiscorso dell’ignoto interlocuto-re è già iniziato quando viene al-zato il ricevitore. Forse sono na-stri registrati. Forse.

Ora il telefono ha cominciatoa parlare, ma non dà spiegazio-ni. Confonde ancora di più, au-menta l’inquietudine, l’angoscia

e la paura. Soprattutto dopo cheun testimone ha dichiarato diaver visto Davide aggredito,

narcotizzato e caricato di forzasu una vettura. Un rapimento,dunque, non una incredibile fu-ga volontaria, come tentavanoostinatamente di dimostrare gliinvestigatori. Il telefono può es-sere spaventoso, se nasconde

nell’invisibile qualcuno che nonvuol farsi riconoscere. Trasmet-te suoni, il telefono, che posso-no terrorizzare. Una voce cheparla in una lingua che non co-nosci impaurisce più di una mi-naccia. E insinua dubbi, sospet-ti, più che speranze.

Il telefono continuerà a osses-sionare i familiari di Davide,nella loro tenace ricerca di unaspiegazione alla scomparsa delloro congiunto.

Il 20 gennaio 1991 squilla dinuovo il telefono, due volte. Manon nella casa di Davide e Ma-risa, bensì nella redazione di unprogramma televisivodi successo. Due te-

lefonate anoni-me, due perso-ne che si qua-lificano comeex colleghi diDavide. Enon sono col-leghi elettrici-sti della suafabbrica di Aric-cia. No, sonoesperti molto, moltoparticolari. Persone in gra-do di operare sui più moderniarmamenti elettronici, indispen-sabili per il lancio di missili eper contrastare i missili nemici.Come possono essere ex colle-ghi di Davide? Ormai una ve-rità è venuta alla luce, nonostan-te la Marina e i carabinieri con-tinuino a negarla. Perché c’è unsegreto nella vita di Davide: in

passato, quando era sottufficialedi Marina, ha frequentato deicorsi che lo hanno reso espertonei complessi sistemi d’armaper le cosiddette guerre elettro-niche. Ha studiato sia in strut-ture militari che in industrie bel-

liche. E’ stato addestrato all’usodei radar più sofisticati sullestesse fregate italiane che Ma-risa ha visto in tv partecipare al-la guerra contro l’Iraq. Nessuno,nemmeno i familiari, lo sapeva-no perché i tecnici addestrati al-le guerre elettroniche erano te-nuti per giuramento alla riser-vatezza più totale.

Quelle due telefonate anoni-me da parte di individui che so-stengono di aver partecipatoagli stessi corsi di Davide con-fermano così un nuovo scena-rio: l’uomo che è sparito in unquieto pomeriggio di settembre

possiede un’abilità tec-nica rara e inestima-

bile soprattuttonei giorni diuna guerra co-me quella chesi sta combat-tendo in Iraq.Quei radar,quei sistemi

d’arma, sonopreziosi nelle

nuove guerre chesi giocano più a di-

stanza, con missili e aerei,che sul campo di battaglia. Ep-pure a lungo istituzioni e verti-ci militari negheranno quellarealtà e solo dopo tre anni sa-ranno costretti ad ammettere uf-ficialmente che, sì, Davide erauno dei massimi esperti di guer-re elettroniche.

Nella casa di Davide il telefo-no ha continuato a squillare, ne-gli anni a venire. Telefonate disolidarietà, richieste di interviste,inviti a dibattiti. E poi carabinie-ri, magistrati, ministri e deputa-ti: non tutti interessati a scoprireche fine ha fatto Davide, anzispesso desiderosi di insabbiaree occultare. Inevitabile, poi, è ve-nuta la certezza che tutte le con-versazioni telefoniche fossero re-golarmente intercettate.

Gli anni sono passati, il te-lefono ha continuato a squilla-re. Ma la telefonata cruciale,

quella che annuncia una notiziadefinitiva sul destino di Davi-de, non è mai arrivata.

Gli investigatoritentaronoostinatamentedi dimostrareche si trattavadi una fugavolontaria:rifiutavano

la tesidel sequestro

le sue competenze in guerre elettroniche ncora ignoto

I D E

L’INCHIESTA IN TV

La scomparsa di Davide Cervia è stato ilprimo esempio di “caso” affrontato congrande abilità investigativa soprattuttodalla televisione. I maggiori elementi sullavicenda, infatti, sono venuti non dalle in-dagini ufficiali, ma da programmi tv. Chi 

l’ha visto? , all’epoca condotto da Donatel-la Raffai, dedicò molte puntate al casoCervia. Saranno i giornalisti di quel pro-gramma a indagare sui misteriosi perso-naggi che si presentavano nei dintorni di

casa Cervia prima della scomparsa di Da-vide. E soprattutto, sarà lo staff della Raf-

fai a ritrovare l’auto di Cervia, grazie auna lettera anonima. Anche Samarcanda 

di Michele Santoro ebbe un ruolo impor-tante, rivelando per la prima volta il no-me di un “supertestimone”. Ambigua, in-vece, la funzione di Linea continua , tra-smissione della berlusconiana Retequat-tro, che cercò di accreditare la pista del-la fuga volontaria. Infine, la moglie di Cer-via scelse la tv, il programma Rai I fatti vo- 

stri , per dichiarare di aver ricevuto l’offer-

ta di un miliardo per non cercare più Da-vide.

Venerdì 24 Novembre 2006

29giallo del mese 

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«Tre frammenti ditessuto e un bi-glietto recante la

scritta N2 pregressa gambasinistra; grosso fram-

mento di miocar-dio, lingua intoto, e ventiframmenti divisceri as-sortiti; dueframmenti eun pezzo dicarta recan-te la scrittabaffi; grossoframmento dicollo più cinquealtri frammenti».

Questo elenco direperti è conte-nuto in un ver-bale che ac-c o m p a g n a

una scatolacon undicivasi peri s t o l o g i apieni di pa-raffina e for-malina, piùcinquantotto ve-trini di prelievi suuna salma. Una scatolache per vent’anni, fino al2002, ha riposato in un ar-madio dell’Istituto di medi-cina legale di Milano,nell’archivio generale.

Quei reperti eranoframmenti di uncorpo importan-te, il corpo di unuomo celebre,morto di morteviolenta. Unascritta contras-segna i re-perti:

«Calvi Roberto 2-11-82».Nei vasi si trovano «fram-menti di visceri prelevati nelcorso della prima necrosco-pia», recita ancora il verba-le medico.

Quei pezzi di corpo,

separati in undicivasi, appartene-

vano a un uo-mo che peranni avevaattraversatocon succes-so la finan-za italiana.

Rispettato ,temuto, refe-

rente di fiduciaper il Vaticano,

ma anche per lamassoneria, capa-

ce di costruireun vero e pro-

prio imperob a n c a r i o .

Prima di di-ventare unasalma fattaa pezzi dai

m e d i c i ,quell’uomo

f r e q u e n t a v apapi e cardinali,

generali sudameri-cani, politici italiani di

governo, imprenditori di an-tiche dinastie (Rizzoli) o diimprovvisa fortuna (Berlu-sconi). Ma a un certo puntoquelle frequentazioni non

bastavano, e gli interlocu-tori più assidui erano di-

ventati Licio Gelli euna schiera di fac-

cendieri, da Um-berto Ortolani a

Flavio Carboni. Leoperazioni finanziariesi erano fatte semprepiù audaci, i giochi si

erano spostati an-che nell’Euroi-pa dell’est, peraiutare laChiesa (e laCia) a far ca-dere i regimisocialisti. Eil sogno eraquello diavere manototalmente

libera inItalia, perp o r t a r eavanti af-fari senzar e g o l e ,s e n z a

c o n t r o l l i :abbattere laCostituzione,con il Pianodi rinascitademocraticadi Gelli, sem-brava il mo-do miglioreper avere al-tro potere ealtro denaro.

Quando ilcastello dicarte delBanco Am-brosiano cadein disgrazia,Calvi si tro-va abbando-nato dai so-

IVO SCANNER

Fu trovatoimpiccato

a Londra, sottoil ponte dei Fratineri. I mattoni

in tasca,le acrobazieimpossibili di

un suicidio daitroppi misteri

ci impronunciabili del suopassato. I suoi ultimi giorni,prima di diventare una sal-ma da consegnare alle auto-psie, sono i giorni di un uo-mo in fuga. Braccato, inse-guito. Da chi, non è mai sta-to appurato con certezza, co-me in tutti i misteri italiani.Sapeva troppo, questo è cer-to. E troppi erano stati dan-neggiati dal fallimento cla-moroso della sua banca. Si

dice che nella catastrofe del-la sua rete di istituti di credi-to avrebbero perso vari mi-liardi boss mafiosi del cali-bro di Riina, Provenzano eMadonia.

Da mesi Calvi gira armato,sua figlia lo ha visto mette-re metodicamente una pisto-la nella sua valigetta nera asoffietto dove tiene i docu-menti più importanti. Unavaligetta destinata a scom-parire, dopo la sua morte,per poi essere consegnata almissino Pisanò e mostrataspettacolarmente da EnzoBiagi in tv, prima ancora chevenisse consegnata agli in-

vestigatori: ma dentro ormaici sono solo carte senza im-portanza, un’agenda vuota,una foto di famiglia e tantimazzi di chiavi.

Aveva paura che lo am-mazzassero, Roberto Calvi,se doveva portarsi una pisto-la nella borsa. E in ogni ca-

so sapeva di rischiare mol-to, tanto da convincere i suoifamiliari a scappare in Ame-rica, al sicuro. Così, nel giu-gno 1982, decide di far per-

dere le sue tracce.Il pomeriggio di venerdì

11 giugno prende un aereoper Venezia, poi con un’au-to a noleggio va verso Trie-ste. Lì incontra misteriosipersonaggi che devono age-volare la sua fuga all’estero,per lui difficile da quando

gli è stato ritirato il passa-porto, dopo l’arresto e lacondanna per esportazioneillegale di capitali. E alloraottiene da complici oscuri

anche un passaporto falso,intestato a Gian RobertoCalvini. Sembra uno scher-zo, la scelta di quel nome,oppure un’ostentazione disicurezza e arroganza. Oforse chi gliel’ha procuratovoleva metterlo nei guai.Comunque riesce a usarlo

Ascesa e fine del socio di mons. Marcink 

Il massoneR O B E

LA FINANZA ANTICOMUNISTA

Pochi ricordano che i finanzieri immischiati negli affaripiù torbidi della storia italiana si dichiaravano fermamen-te anticomunisti, anzi rivendicavano le loro operazioni av-venturiere in nome della lotta al comunismo. P roprio Ro-berto Calvi ne ha lasciato una testimonianza, nelle letterainviata a Giovanni Paolo II il 5 giugno 1982: «Sono statoio che, di concerto con autorità vaticane, ho coordinato intutto il Sud America la creazione di numerose entità ban-carie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazio-ne e l’espandersi di ideologie filomarxiste…». E aggiun-geva, con tono intimidatorio: «Sono proprio molti coloro

che vorrebbero sapere da me se ho fornito armi o altrimezzi ad alcuni regimi di Paesi del Sudamerica per aiutarlia combattere i nostri comuni nemici, e se ho fornito mez-zi economici a Solidarnosc o anche armi e finanziamentiad altre organizzazioni di Paesi dell’Est». E Michele Sin-dona, in un’intervista rilasciata dopo la morte di Calvi di-chiarava: «Non si è suicidato, è stato ucciso... So soltan-to che è gente che detesta Gelli, me e Calvi, perché sia-mo accesi anticomunisti. Io solo conosco fino in fondo l’im-pero di Calvi, io solo sono a conoscenza dei veri legamicon l’America latina. Come lui ho tentato di stabilire unargine anticomunista ed in questo sono stato appoggiatodall’ambasciata statunitense».

Venerdì 26Gennaio 2007

28 giallo del mese  Da sinistra, in senso antiorario:Mons. Marcinkus, Michele Sindona,Roberto Calvi, Jorge Rafael Videla,

Flavio Carboni, Totò Riinae il cadavere di Roberto Calvi

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senza difficoltà, nessuno loferma. Va in Austria e il 15giugno da Innsbruck vola aLondra con un aereo privato.

Non può soggiornare neglihotel di lusso a cui è abitua-to, e prende una stanza in unresidence poco appariscente,a Chelsea. Passerà le ultimenotti in quella cameretta,l’appartamento 881, dovefarà le ultime riunioni dellasua vita con una corte di per-

sonaggi che appaiono ami-ci, ma forse sanno già che ilsuo destino è segnato.

Dopo due giorni dal suoarrivo a Londra, Calvi rice-ve una notizia che deve im-paurirlo ancora di più. Gio-vedì 17 giugno, in-fatti, cade dalquarto pianodella sededel BancoAmbrosia-no la suasegretaria,che per 25anni gliera stata alfianco, cer-

tamente depo-sitaria a sua vol-ta di molti segreti.Aveva un forte esaurimentonervoso, si dirà, e sulla scri-vania lascia un messaggio diinsulti per Calvi: «Che ver-gogna, scappato. Sia strama-ledetto per tutto il male che

fa a tutti noidel Banco edel gruppo,

della cui im-magine erava-

mo a suo tempocosì orgogliosi».

Un suicidio, apparen-temente. Ma non tutti la pen-sano così. «Secondo mel’hanno buttata di sotto»,dirà in seguito la moglie diCalvi in un’intervista. «Han-no trovato le scarpe sistema-

te per bene in ufficio. Un po’strano, no? Io sono convin-ta che l’hanno ammazzata,perché era l’anello deboledella catena».

Roberto Calvi, invece, sadi essere l’anello più impor-tante di quella catena e lamorte della sua segretarianon è certo un buon segno,comunque siano andate lecose. Facile pensare che an-che lui mediti di uccidersi,in quella situazione. Del re-

sto, già nella notte dell’8 lu-glio 1981 aveva inscenatoun suicidio in carcere: 90pastiglie di Valium, una feri-ta al polso. Un gesto moltoplateale che aveva lasciatotanti dubbi. E forse, anche

a Londra, più che a unvero suicidio pensaa un’altra messain scena, per po-ter poi scom-parire nel nul-la. Qualcunopuò averloindotto acredere chesia quella lastrada giu-sta. Magarilo ha istrui-to su comeallestire unfinto suici-dio, cosa por-tare con sé per

poi lasciare tut-to su un cadave-re ignoto e irrico-noscibile. O forsenon c’è stato nemmenobisogno di quel trucco: unpo’ di cloroformio e poi unkiller abile che porta a ter-mine il delitto.

Tutti i forse sono rimastiaperti, dopo le 7 e 30 del 18giugno, quando viene sco-perto un cadavere appeso aun ponte sul Tamigi, semiimmerso nell’acqua. E’ ilcadavere di Calvi: vestitocon un abito leggero, senzacravatta, un orologio d’oroal polso, fermo alle ore 1 e50. In tasca soldi, passapor-to, fogli di carta. E soprat-tutto molti chili di matton-cini, uno infilato anche neipantaloni. Servivano per ap-pesantirsi e garantire unamorte sicura nell’impicca-gione, o erano un segnale al-lusivo, dato che i mattonisono simbolo massonico,così come il ponte da cuipenzola il cadavere,il ponte “dei fratineri” (nome diuna loggia diE d i m b u r -go)?

Per le pri-

me indaginibritannicheè certamenteun suicidio:non è statodrogato, non cisono ferite sul cor-po a parte i segni sulcollo lasciati dalcappio. Ma èdifficile pen-sare che unuomo nonpiù giova-n i s s i m o ,che per dipiù soffrivadi vertigini,possa com-

piere vere eproprie acrobazie(sovraccaricato tral’altro dai mattoni), scen-dendo per una ripida scalettaa sei metri dalle acque delTamigi, per poi aggrapparsia dei tubi sospesi nel vuoto,assicurare una corda a un so-

stegno e impiccarsi.I dubbi sul suicidio cresce-

ranno sempre più negli annia venire. Il corpo di Calvidiventa un oggetto da disse-zionare, fino a essere fram-

mentato in quegli undici

vasi di formalina. Laprima autopsia

venne effettuataa Londra da unmedico ingle-se, la secondain Italia neln o v e m b r e1982. Maquel corpodoveva ri-m a n e r esenza pace:oltre alledue auto-psie, nel1998 venne

ordinata lariesumazione

della salma. Omeglio di quel

che ne rimaneva,come dimostrano

gli undici vasi trovatia Milano. Si scoprirà chenon sono presenti lesioni os-see al collo, nonostante lacorda di un metro e mezzoche dovrebbe averlo impic-cato. Esami e accertamentieffettuati nel 2003 parlanodi segni sul collo che potreb-bero essere di strangolamen-to e non dovuti all’impicca-gione. E poi ci sono le suo-le delle scarpe, senza residuidi zinco ramato, che invecerivestiva i tubi dell’impalca-tura su cui Calvi si sarebbearrampicato per potersi im-piccare. E mani e unghie so-no perfettamente pulite,mancano le tracce di silicioo calcio che dovevano rima-nere presenti se Calvi avessetoccato i mattoni che avevaindosso.

La carriera di un grandeprotagonista della finanza

italiana finisce cosìin un macabro

sezionamento.I pezzi delsuo corpo ri-m a n g o n oven t ’ann i

chiusi inquella sca-tola. Ma an-

che attorno aquella scato-

la, dove riposa-vano la lingua e

altri brandelli di Cal-vi, c’è il mistero.

Viene trovatanel 2002,sembra perpuro caso,da una dot-toressa chesi stava oc-cupando del

trasloco deireperti di

quei locali.Una scatola ab-

bandonata, mai mes-sa a disposizione degli inve-stigatori, nonostante conte-nesse reperti decisivi. Soloimperizia? Solo la notoriasuperficialità tuttaitaliana?

La bancarotta,i soldi di CosaNostra, l’ultima

fuga coni documenti

falsi. E il tragicopresagio

della mortedella fedelesegretaria

inkus, amico dei generali sudamericani 

del VaticanoE R T O

Venerdì 26 Gennaio 2007

29giallo del mese 

LA SCALATA, IL CRACK, LA CADUTA

Roberto Calvi nel 1946 cominciò a lavorare al Banco Am-brosiano, un istituto finanziario definito “la banca dei preti”.Nel corso degli anni ne scalò i vertici, fino a diventarne pre-sidente. La sua ascesa è stata caratterizzata da spregiudi-cate operazioni all’estero, tramite la creazione di fantomaticiistituti di credito in Centro e Sud America. E soprattutto si èavvalso di stretti legami con lo Ior, la banca del Vaticano dimonsignor Paul Marcinkus. Per acquisire altro potere Calvi siiscrisse alla P2 e partecipò alla scalata per conquistare il Cor- 

riere della sera . Ma il Banco Ambrosiano entrò in grave crisie nel maggio 1981 Calvi venne arrestato per esportazione

clandestina di valuta e condannato a 4 anni. In libertà prov-visoria, tentò di far fronte al “crack” del suo impero finanziario,ma senza esito. Agli inizi del giugno 1982 fece perdere le suetracce. Il 17 giugno venne trovato impiccato al BlackfriarsBridge di Londra. Le prime indagini parlavano di suicidio,ma in seguito verranno indagati per la morte del banchiereesponenti mafiosi, il faccendiere Flavio Carboni e Licio Gel-

li. I processi non sono mai arrivati ad accertare la verità,ma la moglie di Calvi continua a sostenere la sua te-

si: «La massoneria ha deciso di uccidere Rober-to, poi la mafia ha fatto il suo lavoro che è quel-lo di ammazzare; però anche al Vaticano face-va comodo che Calvi morisse».

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Nel cimitero di Ricaldone,vicino ad Alessandria,c’è una lastra di marmo

bianco, con una foto ovale cheritrae un giovane bruno, dagli

occhi cupi, ripreso di tre quarti.Sotto la fotografia, soloun nome, un cogno-me e due date:Luigi Tenco N.21-3-1938 M.27-1-1967.

Quella lastraè stata rimossaquasi qua-rant’anni dopo,il 14 febbraio2006. Dietroc’era una cassa dizinco, che ospitava ilcadavere in buonaconservazione diuno dei cantautoriitaliani più fa-

mosi negli anniSessanta, unesponente del-la “scuola ge-novese” moltoamato dal pub-blico più “colto”e intellettualedell’epoca.

I resti di Tencodovevano essereriesumati per sco-prire, finalmente, laverità su una vicen-da che aveva lascia-to dietro di sé tantidubbi, tanti sospetti.Davvero il cantautore LuigiTenco, trovato morto nella not-te tra il 26 e il 27 gennaio 1967in una stanza d’albergo di San-remo, si era suicidato dopo es-sere stato escluso dal Festivaldella canzone?

Per rispondere a questa do-manda, molti decenni dopoquella notte sanremese, il pro-curatore Mariano Gagliano ave-va riaperto l’inchiesta. Nel 2003alcuni giornalisti avevano pre-sentano istanza alla procura del-la Repubblica chieden-do la riapertura del ca-so. Qualche anno pri-ma, due collaboratoridi una tv locale ligureerano venuti in pos-

sesso di una copiadel fascicolo ori-ginale sul casoTenco, per an-ni credutop e r s o .Avevanoq u i n d is v o l t oindaginisulla vi-cenda, e allafine si erano convinti apresentare un espostocontro ignoti per omici-dio.

A quel punto, la lastradel cimitero di Ricaldo-ne doveva essere aperta,

per cercare di cancella-re tutti i sospetti su unepisodio così lontanonel tempo.

Quando un proiettilemise fine alla sua vita,Luigi Tenco aveva 29anni. Nonostante dete-stasse il Festival di San-

remo, aveva partecipato per leinsistenze della sua casa disco-grafica, e la sera del 26 gennaio1967 salì sul palco dell’Aristoninsieme a Dalida, sua partnercanora, ma anche suo amoretormentato. Proprio mentre si

apprestava a cantare , Tencopronunciò una frase

che sarà spesso ri-cordata, dopo

la sua mortei n a t t e s a :« C a n t oquesta e poinon cantopiù». Chiera all’Ari-

ston (datoche i filmati di

quella seratanon esistono) videun Tenco intorpi-

dito e depressoeseguire con

Dalida Ciao,

a m o r e ,ciao. La se-rata del fe-stival andòavanti e

presto ar-rivò il verdet-

to: Ciao, amo-

re, ciao è bocciatadalla giuria, otte-nendo solo il dodi-cesimo posto con38 voti popolari su900. E non vennenemmeno ripesca-ta dalla commissio-ne presieduta dal

giornalista Ugo Zatterin chepreferì il brano La rivoluzione

di Gianni Pettenati. Alla finedell’esibizione di Tenco e Dali-da, i fotografi immortalarono unbattibecco tra i due cantanti, edopo la sconfitta Luigi Tencoandò a chiudersi nella sua stan-za d’albergo, la numero 219

IVO SCANNER

Sul bigliettotrovato inalbergo scrisse:«Ho dedicatocinque annidella mia vitaa un pubblicoche manda

in finale “Io, tue le rose”»

dell’Hotel Savoy.Cosa sia accaduto nelle ore

che passarono dal termine dellaserata festivaliera alla sua morteè incerto. Si parlò di un litigiotelefonico con Dalida e di unatelefonata alla fidanzata Valeriache però non lasciava presagireun gesto suicida. Tenco avreb-be bevuto almeno mezza botti-glia di grappa, in aggiunta a delPronox, il suo tranquillante. Se-condo il verbale di polizia, ver-

so le due e trenta di notte Dali-da bussò alla porta della stanza219, non sentì risposta e

aprì, trovandoTenco a terra,appoggiatoal letto.

Morto. Ac-canto c’eraun bigliet-to: «Io hovoluto be-ne al pub-blico ita-liano e gliho dedica-to inutilmen-te cinque anni dellamia vita. Faccio

questo non perchésono stanco della

vita (tutt’altro)ma comeatto di pro-testa con-tro un pub-blico che

manda in fi-

nale Io, tu e le rose e una com-missione che seleziona La rivo-

luzione. Spero che servaa chiarire le idee a

qualcuno. Ciao.Luigi.»

Arrivò unmedico con-dotto, chesubito con-cluse di es-sere di fronte

a un suicidio.Sulla scena

non giungeràmai un medico le-

gale, ma solo i poli-ziotti del commissario Arri-

go Molinari. Il corpo venne pri-

ma messo in una cassa, fornitadall’albergo, e trasportatoall’obitorio, poi il commissarioMolinari decise di farlo riporta-re nella stanza del Savoy: si erareso conto, infatti, che bisogna-va scattare delle fotografie, perchiudere l’inchiesta più rapida-mente. Il cadavere di Tenco fu

Canto questa 

L U I

Venerdì 23 Febbraio 2007

28 giallo del mese 

LE IPOTESI SULLA MORTE

1. Il suicidio. È l’ipotesi accre-ditata subito dopo la morte delcantante e ribadita dalle nuo-ve indagini. A motivare il gestodi Tenco, la delusione per es-sere stato escluso dal Festivaldi Sanremo, ma anche i dissi-di sentimentali con Dalida.2. L’omicidio per gelosia. So-no state fatte molte illazioni suquesta possibilità. Tenco ave-

va fama di rubacuori. Un ma-rito geloso o un’amante traditapotrebbero aver inscenato ilsuicidio.3. L’omicidio per rapina. Nellastanza d’albergo di Tenco nonc’era denaro contante, solo unassegno da centomila lire. Mala sera prima il cantante ave-va vinto addirittura sei milioni alCasinò. Dove sono finiti?4. Un omicidio maturato nelmondo delle scommesse. Ten-co sarebbe rimasto vittima diun giro pericoloso, quello del-le scommesse sui cantanti:l’esistenza di quel tipo di scom-messe è stato segnalato, mol-ti anni dopo, dall’ex commis-

sario Molinari.5. Una roulette russa. L’ipote-si è che Tenco possa essere ri-masto coinvolto in un macabrogioco con la vita e abbia invo-lontariamente messo fine allasua esistenza. Un incidente,dunque.

Nicola Di Bari.In alto: Claudio Villa eIva Zanicchi; in basso:Luigi Tenco e a destra,Orietta Berti; nellapagina accanto: Dalidacon Tenco e, in alto,Fabrizio De Andrè

 

Ada Montellanico, Quasisera. Una storia di Tenco;Renato Tartarolo e GiorgioCarozzi, Ed ora avreimille cose da fare;Marco Peroni e GioacchinoLanotte, Luigi Tenco.Un “miracolo breve”

IN LIBRERIA

Era un cantautore introverso, gli inqui r 

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nuovamente disteso nella stanza219, in una posizione diversa,con le gambe sotto un mobile.

Una pistola gli venne messanella mano destra. Le foto

potevano essere scattate.Quella morte scomoda

per lo show business diSanremo doveva diven-tare il più possibile “co-moda”: tutto andava ri-

solto in fretta, senza dub-bi, senza clamori. Il festi-

val, del resto, proseguirà re-golarmente, come se nulla fos-se successo. Del resto Tenco era

un uomo chiuso e introverso,sempre pessimista anche nei te-sti delle sue canzoni: per questo

parve facile concludere rapida-mente che si fosse suicidato.

Non ci sarà nessuna autopsiasul cadavere di Tenco, quel bi-glietto d’addio era reputato suf-ficiente a chiudere il caso. Dopoessere andato in pensione, ilcommissario Molinari dichia-rerà di aver ricevuto «le pressio-ni di un alto dirigente Rai» perinsabbiare la vicenda. E del re-sto lo stesso procuratore Gaglia-no che riaprì il caso, parlerà di

«indagini frettolose, approssi-mative».Ma i dubbi sul suicidio circo-

larono immediatamente. Il fa-scicolo originale conteneva solopoche pagine e qualche fotogra-fia, tuttavia sufficienti a creareillazioni. In una foto si nota ilforo di un proiettile sulla tem-pia sinistra di Tenco. Ma il can-

tante non era mancino: perché sisarebbe sparato usando la sini-stra? Si disse che il proiettile erarimasto nel cranio di Tenco, maalcune tracce sullo stipite dellaporta fecero pensare a un secon-do, misterioso, proiettile. E poila pistola. Secondo i testimonie le foto, Tenco stringeva in ma-no una Beretta calibro 22. Ep-pure Tenco possedeva un’altraarma, una Walther Ppk calibro7,65, comprata nel novembre1966, regolarmente denunciata“per difesa personale” (non si èmai appurato, tra l’al-tro, perché il can-tautore avessea c q u i s t a t o

quella pistolae da cosavolesse di-fendersi).

Tanti dub-bi che peròrimasero sen-za risposta. LaWalther Ppk e ilbiglietto d’addiovennero immediatamen-te restituiti alla famiglia, senzanessuna perizia. Il bossolo e glialtri reperti, invece, già nel 1968finirono all’asta, acquistati perpoche lire e poi giunti nelle ma-ni di un fan del cantante.

Da allora i misteri sono rima-sti intatti. E alla morte di Tencoha fatto seguito la fine tragicadi altri protagonisti della vicen-da. Il marito di Dalida si suici-da qualche anno dopo propriocon una Walther Ppk 7,65. Lastessa Dalida si toglie la vita.L’ex commissario Molinari il 2settembre 2005 viene uccisonella sua abitazione vicino a Sa-vona, sembra da un rapinatore.

A cancellare tutti gli interro-gativi arriva la conclusione del-la nuova inchiesta, alla finedell’estate 2006. Il cadavere diTenco è riesumato, la famigliaconsegna il biglietto e la pisto-la Walther Ppk calibro 7,65. Do-po le analisi di esperti di bali-

stica, medici legali e biologi,tutto sembrerebbe chiarito. Duefori nella scatola cranica indi-

cano l’entrata e l’uscita delproiettile. La pistola sarebbestata appoggiata sulla tempiadestra, e il proiettile sarebbeuscito dalla tempia sinistra, perpoi colpire lo stipite della portae rotolare sul pavimento. Ancheil bossolo trovato risulterebbecompatibile con la Ppk del can-tante.

Ora la lastra di marmo è dinuovo al suo posto, la cassa dizinco è di nuovo sigillata. Con

la chiusura di quella tomba, an-che il caso Tenco sembra chiu-so. Almeno ufficialmente.

Era una mortescomodaper lo showbusiness

del festivaldi Sanremo,tutto andava

risolto in fretta,senza dubbi,senza clamori

e poi non più

I G I

LA PREGHIERA DI FABER

«Senti qui cosa ho scritto sta-notte». E Fabrizio De Andrèiniziò a declamare quella chesarebbe diventata la sua lai-cissima Preghiera in gennaio dedicata all’amico Luigi Ten-

co che era andato via. Il ricor-do è di un compagno di stradadi Faber, Cesare Romana, edè contenuto nel libro Smisura- te preghiere (edito da Arca-na). Il giornalista, caro amicodi Fabrizio, racconta: «Me loricordo come ieri, quel gen-naio del ‘67. Dietro il feretro,con Fabrizio, si camminava alpasso stento dei cortei. C’eraLuigi, nella bara, Luigi Ten-co». Fabrizio nella notte ave-va scritto: «Lascia che sia fio-rito/ Signore, il suo sentiero/ 

quando a te la sua anima/ e al mondo la sua pel-

le/ dovrà riconse-gnare». «A Luigi

  – aggiunse –non volevanofargli il funera-le, è un suici-da, c’è volutala dispensa del

vescovo. Cosìsenti: “Quando at-

traverserà l’ultimovecchio ponte/ ai suici-

di dirà/ baciandoli alla fronte/ venite in Paradiso/ la dove va-do anch’io/ perché non c’èl’inferno/ nel mondo del buonDio”, tiè. Stanotte ho sognatodi lui, zoppicava in mezzo auna processione. C’erano deivescovi e ridevano, lui san-guinava e nessuno parlava.Mi sono svegliato e messo ascrivere». E chiosò: «Fancu-lo i vescovi».

Venerdì 23 Febbraio 2007

29giallo del mese 

i renti stabilirono subito che fosse suicidio 

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Il 4 maggio 1998, dentro lemura del Vaticano, unasuora passa davanti a una

porta aperta. Incuriosita entranell’appartamento e probabil-

mente grida, correndo subitovia. Perché quello che vede èuno spettacolo terribile. A ter-ra ci sono due uomini, nel san-gue. Ma guardando meglio c’èanche un terzo corpo, una don-na seduta con la schiena ap-poggiata alla parete. Morta an-che lei. Alla suora bastaun’occhiata per capire che inquella stanza è avvenuto uneccidio, anche se nonè visibile nessunaarma.

S a r e b b estata quellasuora, lacui identitànon è mai

stata rive-lata, a darel ’al larme.Un allarmeche fa tremaremolti, perchéquei tre corpi ap-partengono a personeimportanti. Uno degli uominiche giacciono in quell’appar-tamento è addirittura il neo co-mandante della Guardia sviz-zera, Alois Estermann, di 44anni, promosso da appena 9ore. La donna uccisa è la mo-glie di Estermann, la venezue-lana Gladys Meza Romero, 49anni. E l’altro uomo, presto in-dicato come l’omicida-suici-da, è un vicecaporale dellaGuardia svizzera, Cedric Tor-nay di 23 anni. Un delitto in-quietante, dunque, untriangolo di mortenelle stanze del-la cittadellache rappre-senta per ilmondo ilcuore dellacristianità.

In menodi 24 ore,prima che cisia stataun’autopsia ouna perizia sul

luogo del crimine, laSanta Sede rende nota la suaversione ufficiale. A comuni-carla ai giornali è il portavocestampa del Vaticano, JoaquinNavarro-Valls, ben noto nellungo pontificato di papa Gio-vanni Paolo II. «Da una primasommaria ricognizione, è pos-sibile affermare che il coman-dante Estermann, la moglie eil vicecaporale Tornay sonostati uccisi con un’arma dafuoco. Sotto il corpo del vice-caporale è stata trovata la pi-stola d’ordinanza del medesi-mo». Appare subito evidenteche per il Vaticano tutto sispiega con un gesto di “follia”

compiuto da Tornay. Poco do-po le 21 del 4 maggio, Tornayavrebbe prima sparato duecolpi al suo comandante, poiavrebbe sparato anche aGladys Meza Romero, quindisi sarebbe infilato la pistola inbocca uccidendosi: il proietti-le avrebbe attraversato la sca-

tola cranica conficcandosi nelmuro.

A poco a poco il Vaticano ri-vela le sue carte per dimostra-re la propria tesi. Ecco che ap-pare anche una lettera del sui-cida, indirizzata alla madre:

«Spero che tu mi perdoneraiperché sono stati loro a co-stringermi a fare quello che hofatto. Quest’anno dovevo ave-re l’onorificenza e il colonnel-lo me l’ha negata. Dopo treanni, sei mesi e sei giorni pas-sati a sopportare tutte le ingiu-stizie, l’unica cosa che io vo-levo me l’hanno rifiutata...».

Tutto chiaro, dunque, unavendetta dettata dalla

follia. E sono pron-te le prove che

descrivono Tor-nay come unosquilibrato.Nel suo cas-setto com-

paiono ben24 mozzico-ni di spinelli,

quindi un dro-gato... Ma non

basta: l’autopsiavaticana rivela che

nel cranio di Tornay erapresente una cisti che premevasul lobo frontale. Ancora, ilragazzo aveva i postumi dibroncopolmonite, a ulterioreconferma di un possibile statopsicofisico alterato. Non sa-rebbe la prima volta, del resto,che i soldati vaticani compio-no gesti sanguinosi. L’8 apri-le 1959 un altro comandantedella Guardia svizzera era sta-to protagonista di un episodioanalogo: il colonnello RobertNunlist era stato colpito da 4

colpi di pistola sparati dalcaporale Adolf 

Ruckert, che ave-va poi tentato di

suicidarsi, mal’arma s’erainceppata.

Nella mi-gliore tradi-zione dei de-litti insoluti

italiani, anchese in questo ca-

so siamo entro lemura vaticane, il

prelievo delle salme nonrispettò nessuna regola perpreservare intatta la scena delcrimine. Eppure i giudici va-ticani ci terranno a specifica-re scrupolosamente i dettaglidell’inchiesta: «Dieci perizienecroscopiche, anatomo-isto-patologiche, tossicologiche,balistiche, grafiche e tecnico-telefoniche affidate a illustrispecialisti; cinque rapporti dipolizia giudiziaria affidatiall’ispettore generale del Cor-po di vigilanza; trentotto au-dizioni di persone informatesui fatti; numerose richieste diinformazioni e rapporti a uffi-ci pubblici dello Stato della

Città del Vaticano e della Con-ferenza episcopale svizzera,nonché diversi servizi fotogra-fici e rilievi tecnici».

Tante perizie e indagini, peravvalorare una tesi già data percerta a poche ore dal delitto,non hanno però convinto mol-ti osservatori. A partire dalla

IVO SCANNER

4 maggio 1998:tre cadaverieccellenti

rinvenuti nelsangue e

nessuna arma.E’ una suora

a dare l’allarmeche scuoteil Vaticano

L’eccidio del capo della Guardia svizze r Intrigo nella 

A L

Venerdì 30Marzo 2007

28 giallo del mese 

Una guardia svizzera. Da sinistra, in senso orario: Cedric Tornay, Gladys Meza Romero, il comandante AloisEstermann, papa Giovanni Paolo II e la basilica di San Pietro a Roma

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madre di Tornay, la signoraMuguette Baudat, che si è bat-tuta fin da subito per scoprire laverità. Aveva sentito per telefo-no il figlio, il giorno del delitto,ed era sereno e tranquillo. Leaveva detto d’aver trovato la-

voro in una banca svizzera. Eanche l’ultima fidanzata del vi-cecaporale dichiara che Cedricera «allegro, pieno di vita».Non solo, i due ragazzi si eranolasciati un mese prima, ma era-no rimasti amici e proprio perla sera del delitto l’ex fidanza-ta era stata invitata da Tornaya una festa. La lettera di Tornayalla madre, poi, viene giudicatafalsa da una perizia cal-ligrafica voluta da-gli avvocati del-la signoraBaudat. Ec o n t i e n el’indizio si-gnificativo

di una pos-sibile mani-polazione: èindirizzata al-la madre, maindicandone stra-namente il cognomedel secondo marito, comeregistrato nei documenti delVaticano.

Le contro-inchieste si sonosusseguite e hanno sollevatodubbi senza risposta. La suorache ha scoperto i cadaveri (am-messo che sia mai esistita) nonaveva visto l’arma del delittoperché era sotto il corpo di Tor-nay, trovato a faccia avanti sulpavimento. Ma come è possibi-le che il colpo del proiettilesparato in bocca non abbia sca-gliato all’indietro il giovane,facendolo cadere di spal-le? Molto strano, vi-sto che la pistolad’ordinanza diTornay erauna calibro9,41, un’ar-ma potente,di grossoc a l i b r o .Quella pi-stola, poi,avrebbe spara-to cinque proiet-tili: ma sono stati

trovati solo 4 bossoli.Secondo un libro, Bugie di san-gue in Vaticano, il triplice omi-cidio non è nemmeno avvenutoin quell’appartamento: «Tor-nay sarebbe stato aggredito allafine del servizio, pochi minutiprima delle 19, trascinato in di-visa e armato della pistola d’or-dinanza, in uno scantinato nelquale gli aggressori erano pe-netrati dall’accesso situato ver-so la Porta di Sant’Anna. Tor-nay sarebbe poi stato “suicida-to” nel locale sotterraneo conuna pistola silenziata calibro 7.E la sua arma di ordinanza uti-lizzata per uccidere i coniugiEstermann nel loro apparta-

mento».Chi non si affida alla versio-

ne ufficiale di Navarro-Vallsscava anche nella biografia deiconiugi Estermann. Per am-mantare di eroismo il coman-dante ucciso, il Vaticano di-vulgò la leggenda (poi risulta-ta infondata) che Estermann, il

31 maggio del 1981, fosse sta-to il primo a proteggere il papacon il proprio corpo dai colpisparati da Ali Agca. Ma sullastampa emergono presto mol-ti dettagli sulla promozione diEstermann a comandante:

Estermann era legato allachiacchieratissima Opus Deie gli avversari dell’organizza-zione creata da San de Bala-guer non vedevano di buonocchio quella ennesima occu-pazione di potere. Proprio neigiorni dei funerali delle tre vit-time, poi, un quotidiano tede-sco pubblica una notiziaesplosiva: Alois Estermann,

nome in codice “Wer-der”, era un infor-

matore della Sta-si, la polizia se-

greta dellaG e r m a n i aEst. Nono-stante le im-

m e d i a t esmentite va-ticane, tanti

fatti recenti,come lo scanda-

lo dei vescovi-spia in Polonia, ren-

dono verosimile persinoquello scoop.

Anche la moglie di Ester-mann era un personaggio di ri-lievo. Gladys Meza Romero,donna affascinante con un pas-sato di modella, lavoravaall’ambasciata del Venezuelapresso la Santa Sede. Ed era instretti rapporti con l’influentevescovo venezuelano Josè Ro-salio Castillo Lara, lo stessoprelato che richiederà imme-diatamente il trasporto e il sep-pellimento delle salme dei due

sposi in Venezuela.Nonostante i mi-steri, il 5 febbraio

1999 il casoviene formal-mente e defi-nitivamentechiuso. IlG i u d i c eistruttore delTribunale di-

spone “l’ar-chiviazione de-

gli atti”. Su quel-lo che avviene in

Vaticano decide solo lagiustizia vaticana.Eppure le perplessità e i

dubbi non sono fugati.Tutt’altro. E ci sono stranez-ze incomprensibili anche neiparticolari meno noti della vi-cenda. Il Vaticano, ad esem-pio, sempre così severo con isuicidi (come dimostrano leesequie negate a PiergiorgioWelby), ha fatto un’eccezio-ne davvero singolare in occa-sione del triplice delitto del1998. Non solo le tre bare de-gli Estermann e di Tornayvennero collocate insieme,nella stessa camera ardente,ma, dopo il rito funebre per i

due coniugi uccisi, la mattinadel 6 maggio furono resi glionori militari al vicecaporaleCedric Tornay da un picchettodi 40 alabardieri. La sua sal-ma era vestita con l’altauniforme. Forse qualcuno sa-peva come si erano svolti dav-vero i fatti.

Tante periziee indagini,per avvalorare

una tesigià data per

certa a pocheore dal delitto,

non hannoconvinto

molti osservatori

e ra, di sua moglie e di un vicecaporale 

città leonina O I S

Venerdì 30Marzo 2007

29giallo del mese 

I LIBRI SULLA VICENDA

Le diverse ipotesi sul delitto Estermann-Tornay sono state divulgate da tre libri. Ilprimo ad avanzare dubbi sulla versione

ufficiale era firmato dai “Discepoli della Verità”,una sigla sotto cui si celerebbe un gruppo diecclesiastici e di laici del Vaticano. Secondo illibro (Bugie di sangue in Vaticano , Kaos Edi-zioni, 1999), la versione dei fatti fornita dalla

Santa Sede è falsa. La spiegazione del tripli-ce delitto andrebbe ricercatanell’ostilità verso Alois Ester-mann da parte della fazionemassonica del Vaticano: perimpedire che un personaggiovicino all’Opus Dei diventas-se comandante delle guardiesvizzere si sarebbe ricorsiall’omicidio. «In Vaticano simormora che Alois e GladysEstermann e Cèdric Tornaysono stati uccisi da un commando formato daun killer spalleggiato da due complici. Si diceche qualcuno il commando l’ha visto, ma nonlo testimonierà mai».

Nello stesso anno uscì anche un libro-in-chiesta dello scrittore-editore Fabio Croce(Delitto in Vaticano. La verità , Fabio Croce

Editore, 1999), dove si sostiene che l’omici-dio-suicidio sarebbe una messa in scena: il tri-plice delitto sarebbe opera di un killer che do-veva eliminare Estermann, depositario di trop-pi segreti su traffici illeciti in Vaticano.

Lo stesso Croce pubblicava quasi contem-poraneamente anche un libro di racconti diMassimo Lacchei (Verbum dei et verbum gay ,

Fabio Croce Editore) che fece scalpore. Il li-bro, infatti, conteneva un racconto dove si im-magina una relazione omosessuale tra dueguardie svizzere. Suscitò subito l’attenzionedei giornali, e l’autore dichiarò di aver cono-sciuto personalmente proprio i due soldati pa-pali uccisi e addirittura di aver passato unaserata d’amore con Tornay. La tesi del delitto

gay è stata riportata anche da Andrea Pini nelsuo libro Omocidi  (StampaAlternativa, 2002), ma ha su-scitato le reazioni indignatedella madre di Tornay.

Nel 2002 un nuovo libro,ancora per le edizioni Kaos,ha pubblicato il testo integra-le dell’istanza di riaperturadell’inchiesta sul delitto, fir-mata dai due avvocati dellamadre di Cédric Tornay (Jac-

ques Vergès, Luc Brossolet, Assassinati in Vaticano. 4 maggio 1998. Dalla ragion di Sta- to alla Giustizia negata , Kaos Edizioni). La te-si è esplicita: «Tornay è innocente. E’ stato as-sassinato». A supporto di quella tesi, gli av-vocati Vergès e Brossolet citano in particola-re i risultati della seconda autopsia sul corpo di

Cedric Tornay, effettuata all’Istituto di medici-na legale di Losanna (dalla quale risulta cheil foro sul cranio del ragazzo è stato provoca-to da una pistola calibro 7 e non calibro 9,41) ela lettera che il vicecaporale della guardia sviz-zera avrebbe indirizzato alla madre, ritenutauna contraffazione.

i. s.

Dai traffici massonici alla tesi omosessuale

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1947, PORTELLADELLA GINESTRA

28 il giallo

 Il ruolo del governo americanonel massacro deciso a Roma

IVOSCANNER

E’il 1947 e in un bar diRoma, in via del Traforoall’angolo di via Rasel-

la, ci sono delle persone intornoa un tavolino che discutono fraloro. Potrebbero essere impiegatidi qualche ufficio del centro cit-tà, dato che siamo nel cuore dellaCapitale, o lavoratori che prendo-no un caffè durante un momentodi pausa. Ma quelle persone nonsono impiegati e non sono lavo-ratori in pausa. Un paio di loro

sono personaggi con una lungastoria alle spalle, fascisti scam-pati alla Resistenza che stannocercando di sovvertire il nuovocorso della politica italiana, attra-

 verso varie organizzazioni comel’Unione patriottica, guidata daun generale dei carabinieri. E coni fascisti c’è anche un rappresen-tante della nobiltà nera di Roma,sempre disponibile a dare appog-gio a qualsiasi piano eversivo. Mainsieme a quelle persone ce n’èuna con un forte accento sicilia-no, che spesso usa intercalari indialetto. Un uomo giovane, dallosguardo un po’ beffardo, con ungrosso anello all’anulare destro.Ha una tasca della giacca piena difoglietti scritti in stampatello, conuna calligrafia incerta. Si chiamaSalvatore Giuliano, ma tutti lochiamano Turiddu. E’ un bandi-to, ricercato, ma sempre capace disfuggire alla giustizia.

In quella chiacchierata al ta- volino del bar di via del Traforosi decide il destino di tante per-sone che vivono, ignare, a mol-tissimi chilometri di distanza. Sidecide la loro morte. In quellariunione al tavolino di un bar,molto probabilmente, si discu-te l’organizzazione della primastrage del dopoguerra che anti-

cipa la “strategia della tensione”proseguita per vari decenni. Traun caffè e un cappuccino quegliuomini stavano progettando unmassacro.

In provincia di Palermo c’è laPiana degli Albanesi, che ospitauna vallata collinosa, Portella del-la Ginestra. Lì il primo maggio1947 circa tremila contadini, conle loro famiglie, si riuniscono percelebrare la festa dei lavoratori,ma anche la recentissima vittoriadel Blocco del Popolo alle elezioniper l’Assemblea Regionale. Sonocontadini combattivi, impegnatinella lotta per l’occupazione delleterre, contadini che sperano nei

partiti di sinistra per il loro riscat-to e per liberarsi dalla piaga dellatifondismo. Mentre quella follasi appresta ad ascoltare i discorsidei sindacalisti, raffiche di mitracominciano a falciare la vallata.Provengono dalle colline, dovececchini nascosti sparano per uc-cidere. Muoiono 11 persone, tracui due bambini, altre 30 restanoferite.

Chi sparava dalle colline aPortella della Ginestra? Un rap-

porto dei carabinieri parlò su-bito di «elementi reazionari incombutta con i mafiosi locali».E presto verrà la conferma pro-

prio da Salvatore Giuliano, che si vantò di aver guidato l’attacco aquei contadini inermi. Non sor-prendeva la sua rivendicazione,dato che “Turiddu” era un per-sonaggio ambiguo, disponibile

per la sua ambizione a qualsiasicompromesso. Era un banditodi campagna, ma importanteper chi voleva concretizzare una

strategia che destabilizzasse l’Ita-lia. Perché era un bandito che“controlla il territorio”. Giulianocavalcava spregiudicatamente lapolitica, per interesse e per me-galomania. Si era fatto alfiere

del separatismo siciliano, coniu-gandolo all’anticomunismo piùestremo. Del resto, era entratoin contatto con i fascisti fin dal

1944, quando sulle montagne traPartinico e Montelepre ricevetteaddestramento militare da ungruppo nazifascista della Repub-blica di Salò (lo testimonia undocumento del controspionaggioUsa). E si era costruito con abilitàun’immagine di eroe romanticoe spaccone, forse percependo ilruolo importante, già negli anniQuaranta, dei mezzi di comuni-cazione di massa. Posava volen-tieri per servizi fotografici, comeun divo, mettendosi astutamen-te in posa: si faceva riprenderementre fingeva di sparare, mentreguardava l’obiettivo con gli occhitorvi e i pollici infilati gagliar-

damente nella cintura, oppureaccanto all’anziana madre. Tuttoper accreditare la “grandezza” delsuo personaggio e coprire megliogli intrighi che stava compiendo.

Dopo la strage, a Giulianospettava di aiutare l’organizzazionedi un vero e proprio colpo di stato.Ma la sconfitta delle sinistre nelleelezioni del 1948 resero inutile iltentativo estremo di usare la forzaper bloccare “i comunisti”. Cosìanche Giuliano perse importanza

La prima stragedel dopoguerra

ha un Artefice

per il disegno destabilizzatore. E lesue interviste, le sue lettere ai gior-nali, il suo esibizionismo comin-ciarono a rivoltarsi contro di lui.Era servito per il massacro di Por-tella, ma sapeva troppo e parlavatroppo. Mano a mano che si sen-tiva scaricato, cominciava anche alanciare pericolosi avvertimenti, inparticolare tentando di coinvolge-re il potentissimo ministro degli

Interni Mario Scelba. Così persegli appoggi che aveva meticolosa-mente costruito. E anche la mafialo riteneva ormai scomodo.

Così, il 5 luglio 1950, la sto-ria di Turiddu finì in un cortiledi Castelvetrano, in una pozza disangue. La versione ufficiale deicarabinieri si attribuì il meritodell’esecuzione: Giuliano, brac-cato dai militari, avrebbe tentatola fuga tra le vie di Castelvetra-no e una sventagliata di mitra lo

 

CONTRO I COMUNISTI

Il bandito Giuliano cavalcòspregiudicatamente diverseopzioni politiche, spesso inmodo strumentale. E cercòdi vendere il suo micropoterecriminale agli Usa, in funzioneanticomunista e per indebolireil primo governo postfascista.Il brano che segue fa parte del-

la lettera che, nella primaveradel 1947, Salvatore Giulianoinviò al presidente degli StatiUniti Harry Truman, chieden-do sostegno per le proprieiniziative contro il Pci e per lasecessione della Sicilia:«Noi vogliamo unirci agli Sta-ti Uniti d’America. La nostraorganizzazione è ormai inte-ramente compiuta: abbiamogià un partito antibolscevico

pronto a tutto, per elimina-re il comunismo dalla nostraamata isola. Non possiamo piùtollerare il dilagare della canearossa. Noi fortunatamentenon crediamo nel paradisoche Stalin ha promesso. Noirisveglieremo la coscienzadel popolo, scacciando il co-

munismo dalla nostra nobileterra, che fu fatta per la de-mocrazia. Noi non permette-remo a questa gente ignobiledi toglierci la libertà. Signore,vi preghiamo di ricordare checentinaia di migliaia di uominiaspettano d’essere liberati.Permettete, caro signore, chevi ossequi il vostro umilissimoe devoto servitore, SalvatoreGiuliano».

Giovedì 10 Maggio 2007

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29il g

 

iallo

IL RAPPORTO

Tragico1° maggiodi sangue

I questu-ra di Palermo sulla strage diPortella della Ginestra:

«Il primo corrente, pocoprima di mezzogiorno, per-

 venne alla compagnia ester-na dei Carabinieri una gravenotizia: in contrada Portelladella Ginestra, territorio diPiana degli Albanesi, erastato sparato sulla folla checelebrava la festa del lavoroin concorso con le popola-zioni di S.Giuseppe Jato e

Sancipirello, e vi erano di- versi morti e feriti.

Dai primi accertamentisi potè stabilire che la mat-tina, come era stato prati-cato l’anno avanti e come siera praticato anche gli annianteriori al periodo fascista,molti elementi delle popo-lazioni dei Comuni di Pianadegli Albanesi, di San Giu-seppe Jato e di Sancipirello,appartenenti per lo più allerispettive Camere del La-

 voro e accompagnati anchedai familiari, si erano reca-ti, come d’intesa, a piedi, acavallo e anche su carri, inlocalità Portella di Ginestra,un pianoro sito in territoriodi Piana degli Albanesi, trai monti Pizzuta e Cometa,distante circa km 5 da Piana,allo scopo di celebrare la fe-sta del lavoro e, nel contem-po, fare una scampagnata.

 Tutti si radunarono attor-no a una specie di podio, for-mato da un grosso masso diPietra e da altri sassi sovrap-posti, podio da dove, gli annianteriori al fascismo, avevaparlato alle folle radunateper l’identico scopo, il propa-gandista Barbato. Da esso, in

attesa che giungesse l’oratoreufficiale sign. Pedalino dellaFederterra si mise a parlareSchirò Giacomo di Paolo eDamiani Calogero, calzolaio,segretario della sezione delPsi di San Giuseppe Jato; manon aveva dette che pochefrasi, riscuotendo gli applau-si della folla, che si sentì unasparatoria. Non si comprese,da principio, di che si trat-tasse e molti credettero chefossero detonazioni di fuochiartificiali, in segno di giubilo.

La sparatoria continuò,con brevi intervalli tra unascarica e l’altra. Dopo pochi

minuti, accanto al sindaco diSancipirello cadde, grondan-te sangue, un giovane di Pia-na degli Albanesi; cadevano,feriti, altri giovani ragazzi,cadevano anche animali chepascolavano lì vicino. Allorasi capì che si sparava sulla fol-la e tutti, presi dallo spavento,si sparpagliarono in diversedirezioni, oppure cercavanoriparo dietro ai grossi sassi».

avrebbe finito, mentre stringeva inpugno una pistola. Questa spie-gazione della morte di Giulianoapparve subito poco convincentee presto si fece strada un’altra ve-rità: il banditofu ucciso nelsonno da unsuo cugino (ecomplice), Ga-spare Pisciotta.

Poi venne or-ganizzata unamessinscenaper accreditarela tesi del con-flitto a fuoco.Ora quelloche sapeva troppo era proprio Pi-sciotta, luogotenente di Giulianoe tra gli attentatori di Portelladella Ginestra. Al processo perla strage verrà condannato, maanche a lui si doveva tappare la

bocca per sempre e seguì la sortedel suo capo: sarà ucciso miste-riosamente in carcere, avvelenatosecondo un copione che neglianni a venire leggeremo spesso

in altre vicen-de oscure.

Con lascomparsa diGiuliano ePisciotta sem-

brava che fossesvanito ancheil problema discoprire la ve-rità sulla stra-ge di cui eranostati esecutori.

Il processo aveva evidenziato lacomplicità tra latifondisti, fa-scisti e banditismo mafioso perfermare le sinistre con una stra-tegia terroristica. Una strategiache funzionò: la grande avanzata

delle sinistre che si era registratain Sicilia venne bloccata. E glieffetti di quella strategia arrive-ranno fino ai nostri giorni, se siconsidera lo stato di difficoltàestrema vissuto dalla sinistra inSicilia, una regione diventata re-centemente clamoroso serbatoiodi voti per Forza Italia.

Fascisti, latifondisti e mafiosierano dunque i colpevoli di quel-

la strage. Mancava un soggetto,però, sul banco degli imputati,un soggetto che solo oggi vienealla luce con chiarezza. Con ilpassare degli anni gli archivi deiservizi segreti di mezzo mondohanno cominciato ad aprirsi, adesecretare documenti. E ostinatiricercatori e storici si sono messisulle tracce di elementi nuovi percapire la verità sulla storia italia-na più oscura. Tra quei ricercato-ri c’è Giuseppe Casarrubea, che

ha indagato per anni tra le cartedei servizi segreti americani, in-glesi, italiani e sloveni. Quelloche emerge è il ruolo decisivo inquella strategia terroristica, e nellastessa strage di Portella della Gi-nestra, del governo americano.

Spulciando tra gli archivi deiservizi, si scopre un documentodel Sis del 25 giugno 1947, dovesi parla proprio del bar di via del

 Traforo che abbiamo citato: «ilbandito Giuliano è stato più vol-te segnalato, anche e soprattutto

in ordine ai suoi contatti con leformazioni clandestine di Roma.Fu precisato il luogo degli in-contri con i capi del neofascismo(bar sito a via del Traforo, all’an-golo di via Rasella)». E ad appenacinquanta metri dal bar Traforoc’è via Due Macelli e la casa diproprietà di una duchessa cheospitò le riunioni di fondazionedell’Unione patriottica antico-munista (Upa), un’organizzazioneclandestina appoggiata nell’om-bra dai servizi segreti americani.E per quei servizi a Roma agivaun personaggio, fra i tanti: James

 Jesus Angleton, nome in codiceArtefice, esponente dell’Oss, ilservizio segreto americano da cuinascerà la Cia. Angleton non haancora trent’anni quando dirigeil misterioso X-2, un ufficio del-l’Oss in Italia, e l’altrettanto mi-sterioso Oso (Office of SpecialOperations), una struttura ancoracoperta dal segreto di Stato.

Segaligno, con gli occhiali,Angleton rimarrà ai vertici dellospionaggio americano per mol-ti anni e la sua figura è al centroanche del recente film di RobertDe Niro The Good Shepherd . Enei documenti scoperti di recentisi scopre senza alcun dubbio il suoruolo nel finanziamento dei grup-

pi eversivi che collaboravano conGiuliano. Il compito di Angleton,nell’Italia degli anni 1944-1947,era quello di impedire l’avanzatadel Pci con ogni mezzo. La guer-ra fredda stava sorgendo, e per gliUsa l’Italia era una zona decisivadello scacchiere internazionale.A questo scopo servivano tuttele forze disponibili, dai super-stiti fascisti ai mafiosi. Angletonsi era distinto con una delle sue“operazioni speciali” già nel 1945:organizzò la fuga rocambolesca di Junio Valerio Borghese e di altrigerarchi fascisti, travestendoli daufficiali americani a bordo di una  jeep. Da quella decisione ame-

ricana di proteggere uno dei piùspietati fascisti della Repubblicasociale nasce la nuova linea anti-comunista postbellica: unire redu-ci del fascismo, aristocrazia nera ecriminalità organizzata.

Forse in quel bar di via del Traforo, all’angolo di via Rasella,in quelle chiacchierate tra Salva-tore Giuliano, fascisti e aristocra-tici, c’era anche un uomo magro,di trent’anni, con gli occhiali edall’accento americano.

“Turiddu”doveva aiutarel’organizzazione

di un colpodi Stato

Angleton detto“Artefice”

era ai verticidello spionaggio

Usa in italia

Al centro:

il poeta Buttitta

a Portella della

Ginestra (foto

di Ferdinando

Scianna).

A sinistra:

Salvatore

Giuliano e,sotto, un dipinto

 

di Guttuso

Giovedì 10 Maggio 2007

Gaspare

Pisciotta e, in

alto, una pietra

commemorativa

a Portella della

Ginestra

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1977, L’ASSASSINIODI GIORGIANA MASI

28 il gialloGiovedì 31

 

Maggio 2007

 Proiettili calibro 22 sparati da un fucile? 

IVO SCANNER

La primavera del 1977 a Ro-ma è una primavera violen-ta. Le strade della città sono

continuamente teatro di scontritra manifestanti e polizia. E cir-colano tante armi, si spara. Inuno di quei giorni di primavera,mentre il centro della capitaleè avvolto dal fumo irrespirabiledei lacrimogeni, qualcuno ha unascorta di proiettili calibro 22. Traauto ribaltate e candelotti che vo-lano ad altezza d’uomo, tra gente

che scappa o che reagisce tirandosanpietrini agli agenti, qualcunocon pazienza carica e ricaricaun’arma con quei proiettili ca-libro 22. Spara più volte. I suoiproiettili prima colpiscono uncarabiniere a un polso, poi trafig-gono alla schiena una ragazza checorre e un’altra che le era davanti.La persona con i proiettili calibro22 ha compiuto la sua missione esparisce nel nulla.

E’ avvenuto così uno dei tan-ti delitti insoluti italiani, che datrent’anni aspetta una spiega-zione. Non il solito omicidio infamiglia, in una villa perbene oin una casa isolata. Non il solitotriangolo diabolico. E nemmenoil classico delitto politico com-messo da terroristi sui loro obiet-tivi mirati. Qualcosa di diverso edi più inquietante.

Quella violenta primaveraromana del 1977 aveva portato,il 21 aprile, alla morte di un po-liziotto. Il ministro degli InterniFrancesco Cossiga proibì tutte lemanifestazioni pubbliche a Ro-ma. Ma giovedì 12 maggio 1977era il terzo anniversario del refe-rendum sul divorzio, e i radicalipromossero una manifestazione apiazza Navona per rilanciare unaraccolta di firme sulle loro propo-

ste di referendum. Sul palco ungrande striscione: “Per un nuovo13 maggio. Per una nuova vittoriapopolare”. Il movimento del ’77 ei vari gruppi dell’estrema sinistrasi accodarono per un’occasione diprotesta contro le misure repres-sive del governo.

Nonostante fosse in vigore ildivieto di manifestare, decine dipersone fin dalle primissime oredel pomeriggio cominciaronoa fluire verso piazza Navona. Ilcentro di Roma era in stato di as-sedio: centinaia di poliziotti e ca-rabinieri in tenuta antisommossa,oltre a una miriade di agenti inborghese, spesso “travestiti” da

autonomi.Fin dalle 15 cominciarono itafferugli. Le forze dell’ordine persgombrare la zona attaccaronoa colpi di manganello e calci difucile, non vennero risparmiatii parlamentari, il primo a venirepestato fu il deputato MimmoPinto. Col passare dei minuti lasituazione peggiorava. Le strade vennero disselciate e i sampietrinilanciati sugli agenti. Poi compar- vero le prime molotov. Secondo

i testimoni dell’epoca, le molotov  vennero confezionate sul posto,succhiando benzina con dei tubidalle macchine in sosta e strap-pando magliette per creare l’in-nesco della bomba incendiaria.Evidentemente non si prevedevache il livello dello scontro si sa-rebbe innalzato fino aquel punto.

Quando peròsembrava che ilpeggio fossepassato, av- venne invecela tragedia.Stava giàfacendo buioquando, po-co prima delle20, scattò unacarica imprevistatra via Arenula e PonteGaribaldi. I dimostranti cercaro-

no di scappare correndo. Mentrefuggiva, una ragazza di 19 anni,Giorgiana Masi, venne colpita al-la schiena da un proiettile e morìdurante il trasporto in ospedale.Un’altra ragazza, Elena Ascione,

rimase ferita a una gamba. Uncarabiniere, Francesco Ruggeri,risultò ferito a una mano dallostesso tipo di proiettile qualchedecina di minuti prima.

Gli interrogativi e la polemicasull’accaduto scattarono subito.Riferendo in parlamento Cossiga

affermò: «Riteniamoche non vi sia nulla

da rimprovera-re alle forzedell ’ordinele quali, peril ristabili-mento dellecondizionidi sicurez-

za pubblica,sono legitti-

mate dalla leggea usare fermezza e

decisione e che anchein questa occasione hanno dimo-

strato grande senso di responsabi-lità e di moderazione». E semprein aula il sottosegretario degli In-terni Nicola Lettieri sostenne chegli agenti erano dotati solo di armiregolamentari Beretta calibro 9,

aggiungendo:«La Questuradi Roma haprecisato che leforze di poliziaimpegnate nel-la circostanzanon fecero usodi armi da fuo-co, salvo cheper il lanciodei candelotti

lacrimogeni».Purtroppo per Cossiga eLettieri esisteva ancora un gior-nalismo libero che permise dismentirli clamorosamente.  Il  Messaggero pubblicò infatti dellefoto inequivocabili, dove si ve-dono uomini in borghese tra leforze dell’ordine, alcuni in giaccae cravatta, altri in jeans, maglia,fazzoletto sul volto e tascapanedi Tolfa: impugnano pistole nond’ordinanza, lunghi bastoni non

in dotazione alle forze dell’ordinee persino una bottiglia. Il Partitoradicale e Lotta continua diffuse-ro anche delle immagini filmatedove si vede chiaramente un poli-

ziotto in divisa e casco che prendela mira con la pistola, accucciatodietro una colonna, e spara.

Cossiga e Lettieri, dunque,avevano mentito. Ma allora chiaveva ucciso Giorgiana Masi in

REPORT

FrancescoCossiganel maggio2005 allatrasmissione“Report” diRai Tre haalluso alla suaconoscenzadella verità

sulla mortedi Giorgiana,ma ha aggiun-to: «Non lodirò mai semi dovesse-ro chiamaredavanti all’au-torità giudi-ziaria, perchésarebbe unacosa moltodolorosa»

Cecchini

nel cuore

di Roma

12 MAGGIO 1977, ORA PER ORA

Ore 13: Viene innalzato ilpalco di Piazza Navona per lamanifestazione radicale; ore

14,15: Polizia e Carabinieribloccano tutte le strade diaccesso a Piazza Navona; ore

15: Partono le prime carichenel corso delle quali vienepicchiato il deputato di Dp

Mimmo Pinto; ore 15,45: In Corso Vittorio avvieneil primo lancio di candelottilacrimogeni; ore 16: In Piaz-za della Cancelleria appaio-no tra le forze dell’ordine iprimi uomini in borghese ar-mati di pistola o bastoni; ore

16,30: Gli scontri dilaganoanche in Largo Argentina,coinvolgendo autobus e pas-santi; ore 17-18: Cariche e

candelotti ad altezza d’uomospingono i manifestanti versoil Lungotevere; ore 18: Gliscontri si intensificano e tra idimostranti compaiono del-le molotov; ore 19-19,54: I manifestanti sono dispersiin varie direzioni, la poliziae i carabinieri controllano

con autoblindo Ponte Ga-ribaldi, mentre vigili urbaniarmati di pistola sono visti indirezione di Piazza Belli: ore

19,55: Una carica con lan-cio di lacrimogeni attacca idimostranti sul Lungoteveree Ponte Garibaldi. Cadonocolpite da proiettili Gior-giana Masi e Elena Ascione.Giorgiana muore, Elena ri-mane ferita.

quel caldo giorno di maggio?L’inchiesta venne chiusa nel 1981con la dichiarazione di non do- versi procedere per essere rimastiignoti i responsabili del reato.

Il fotografo Tano D’Amico,che fece alcuni dei famosi scatti il12 maggio, ha raccontato che al-cuni mesi dopo l’omicidio venneavvicinato in un bar da un uffi-ciale in divisa che lo salutò e gli

Nessuno ha maivoluto costituire

una commissioneparlamentared’inchiesta

Sopra: agenti alla

manifestazione

del 12 maggio

‘77 a Roma.

Al centro:

manifestanti

alla partenza

del corteo (foto

di Tano D’Amico

tratte da

“Gli anni ribelli”,

Editori Riuniti)

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29il g

 

iallo Giovedì 31 Maggio 2007

FRANCESCO COSSIGA

«In cinquesappiamola verità»

C’è un uomo che so-stiene di sapere la

 verità sulla morte diGiorgiana Masi, ma di non

 volerla dire: Francesco Cos-siga. Da quel maggio 1977Cossiga ha lanciato periodi-camente allusioni e insinua-zioni, facendo intendere cheGiorgiana sia stata uccisa da“fuoco amico”, cioè proiet-tili sparatida altri ma-nifestanti.

A gennaioscorso, di-chiara: «Incinque sap-piamo la

  verità. Nonla dirò inpu b b l i c o .Ma il capo della mobile miconfidò di aver messo in fri-go lo champagne, da berequando sarebbe emersa la

 verità». Pochi giorni fa, infi-ne, per commentare il corteoche ha deposto fiori alla tar-ga in memoria di Giorgia-na, Cossiga ha inviato unalettera: «Caro Veltroni, per-ché non fai apporre a PonteGaribaldi una targa: “A pe-renne infausta memoria diFrancesco Cossiga, boia, chequi fece assassinare dai suoicarabinieri Giorgiana Masi,con la complicità del ‘com-pagno boia’ Ugo Pecchioli?”.Con cordialità, FrancescoCossiga. P.S.: E poi, comepotrei mai protestare controun corteo cui partecipava ladolce, bella e gentile detective  televisiva, mia amica carissi-ma, la marchesina FedericaSciarelli?».

Una lettera piena di

messaggi trasversali, al fu Pcie soprattutto alla Sciarelli,compagna di scuola di Gior-giana Masi e ritenuta molto

 vicina allo stesso Cossiga.

chiese: «Come va la questione acui lei è molto interessato, il casodi Giorgiana Masi?» D’Amicorispose che non aveva più avutomodo di seguirlo, ma quell’uffi-

ciale gli rispose: «Non nelle azio-ni di ordine pubblico, ma i tiratoriscelti del poligono di Nettuno siallenano con carabine di quel ca-libro». Salutò e se ne andò.

L’ipotesi è che quei proiettili

calibro 22, piccoli e poco poten-ti, non siano stati sparati da unanormale pistola, ma da un’arma acanna lunga. Un proiettile di queltipo sparato da una pistola non

può colpire a moltissimi metridi distanza e non può provocaredanni così gravi (il corpo di Gior-giana fu letteralmente trapassato).Ma quel giorno chi poteva impu-gnare un fucile e mirare senza es-

sere notato?Su quel vero e proprio gial-

lo nessuno volle mai investigaredavvero, né si è mai voluta costi-tuire una commissione d’inchie-

sta parlamentare. Dava troppo fa-stidio lo scenario in cui era avve-nuto e i risvolti inquietanti. Noninvestigò il governo, con la Dcche fece quadrato attorno a Cos-siga. Non chiese con veemenza la

La giovane fuuccisa nel terzo

anniversariodel referendum

sul divorzio verità nemmeno la sinistra, datoche alcuni dirigenti del Pci di al-

lora preferirono accusare radicalie “autonomi” di aver sbagliatopromuovendo una manifesta-zione non autorizzata. MassimoD’Alema, allora segretario na-zionale della Fgci, intervenendosu Rinascita a pochi giorni dalla

morte di Giorgiana, nonspese una parola per

chiedere la veritàsu quel delitto,

ma accusò «igruppi estre-misti, il Par-tito radicale equalche altrodi predispor-re il terreno e

la “coperturapolitica” per le

provocazioni del12 maggio» (Liberare 

il movimento dall’infezione della violenza , Rinascita , 20 mag-gio 1977).

Forse la spiegazione più con- vincente è stata quella dell’ex pre-sidente della commissione stragi,Giovanni Pellegrino: «Quel gior-no ci può essere stato un atto distrategia della tensione, un omi-cidio deliberato per far precipitareuna situazione e determinare unasoluzione involutiva dell’ordinedemocratico, quasi un tentativo

di anticipare un risultato al qualeper via completamente diversa siarrivò nel 1992-1993».

Il cecchino con i proiettilicalibro 22, però, non è stato maiidentificato.

Da sinistra, in senso orario:

la polizia allontana le

femministe davanti al luogo

della morte

di Giorgiana Masi;

una perquisizione

della polizia; giovani

manifestanti.

(foto di Tano D’Amicotratte da “Gli anni ribelli”,

Editori Riuniti)

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LA MORTEDI PAPA LUCIANI

28 il gialloGiovedì 28

 

Giugno 2007

Chi voleva eliminare

Giovanni Paolo I IVO SCANNER

Vaticano, 29 settembre 1978,ore 5 e 30. Il segretario par-ticolare del papa cerca Al-

bino Luciani, che da 33 giorni èdiventato pontefice, nella cappel-la dove di solito a quell’ora si recaa pregare. Non lo trova. Si dirigealla stanza privata del Santo pa-dre. Entra. Il papa è sul letto, conla luce accesa. Nelle mani strin-ge un libro, l’ Imitazione di Cristo.Non si muove. È morto. Il segre-tario dà l’allarme.

Questa è la versione ufficialesulla morte di Giovanni PaoloI, una morte che a distanza diquasi trent’anni continua a su-scitare polemiche. Riavvolgiamola pellicola e torniamo a quellastessa mattina, ma con un altrocopione.

Vaticano, 29 settembre 1978,ore 5 del mattino. Suor Vincenza

 Taffarel, che da tempo si prendecura di papa Luciani, porta co-me sempre un caffè leggero peril pontefice, come sempre battedue o tre volte alla porta e lasciala tazza del caffè all’esterno del-

la camera da letto papale. Dopoqualche minuto la suora tornae vede che il caffè è anco-ra al suo posto. Ribattealla porta: nessunarisposta. Entra,sposta la tendache separa il let-to dal resto dellastanza. Adagiatosul fondo delletto c’è il papa,

immobile. Ilcorpo è tiepido.Suor Vincenza glisente il polso, ma nonci sono pulsazioni. Nelle ma-ni il pontefice stringe alcuni fo-

gli con degli appunti. La suoradà l’allarme.

Questa seconda versione sulritrovamento del papa è stataraccontata proprio da Suor Vin-cenza, presto allontanata dal Va-ticano. Chi ha mentito? Chi hadavvero trovato per primo il papaormai defunto? E in che posizio-ne era il corpo del papa? Cosastringeva tra le mani?

Sembrerebbero dettagli in-significanti, ma non lo sono:immediatamente, infatti, si sol-levarono dubbi sulla scomparsadi papa Luciani. Sembrava in-credibile che a un mese dalla suaelezione il papa fosse morto, cosìimprovvisamente, dopo esseresempre apparso sorridente e se-reno, senza un sintomo di ma-lessere. Come è noto i dubbi sisono accresciuti giorno per gior-no, alimentati proprio dal com-

portamento della Chiesa. Nono-stante le circostanze straordinariedel decesso di Giovanni Paolo I,non venne effettuata alcuna au-topsia. Il medico che analizzòil corpo del papa parlò diinfarto miocardico. Siistituì una piccolacommissione dicardinali cheaccettò (pur

senza aval-larlo) il pri-mo refertomedico. Poi siprocedette al-l’imbalsamazio-ne del pontefice,ufficialmente senzaaltri esami medici.

Certo è che alla morte diLuciani molti tirarono un so-spiro di sollievo. Erano sfuggitialla rimozione dal proprio inca-

IL PADRINO

Nel film Il Padrino parteIII, diretto daFrancis FordCoppolanel 1990, siassiste espli-citamenteall’omicidio dipapa AlbinoLuciani: il pon-

tefice vieneavvelenato suordine di unarete criminaleche vede unitimafia, politica,settori del Va-ticano e dellafinanza

Gli appuntidel pontefice

“scomodo”

A sinistra: Papa Luciani con

i bambini. In basso: ancora

il Pontefice con a lato lo stemma

papale. Sotto: Michele Sindona

conosciuto come il “banchiere

di Dio”. Nella pagina accanto,

dall’alto in senso orario: Jean Villot,

segretario di Stato; Papa Luciani

durante l’Angelus; Giulio Andreotti;Paul Marcinkus, presidente

dell’Istituto opere religiose

e Roberto Calvi, banchiere

Alla morte diPaolo VI si aprìuna lotta tra

i massoni delloIor e l’Opus dei

rico, ad esempio, il potentissimosegretario di stato del Vaticano,cardinale Jean-Marie Villot, e ilcapo dello Ior, la banca del pa-pa, monsignor Paul Marcinkus.

Quando il 6 agosto 1978 eramorto Paolo VI, iniziò

una dura battagliaper la successio-

ne, che vedevacontrapposte

in particolaredue fazioni:da una partele logge mas-

soniche vicineallo Ior e dall’al-

tra la tentacolareOpus Dei. Il 26 ago-

sto un conclave brevissimoelesse papa il patriarca di Venezia,Albino Luciani: nell’impossibili-tà di mediare tra le diverse op-zioni in campo, si scelse un can-

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29il g

 

iallo Giovedì 28 Giugno 2007

TEORIA DEL COMPLOTTO

Marcinkuspossibilemandante?

Isostenitori della teoriadel complotto a propo-sito della morte di pa-

pa Luciani hanno indicatoesplicitamente un possibilemandante: monsignor PaulMarcinkus.Di Marcinkus si parlava ad-dirittura già nel 1970 tra lepagine del celebre La stragedi Stato: «La centrale di finan-ziamenti Usa al neofascismoitaliano è la Continental Illi-nois Bank di Cicero, Illinois,

che concentra enormi capi-tali provenienti in massimaparte dall’industria bellicaamericana. La Continentalfornisce la copertura finan-ziaria alla italiana Banca Pri-vata Finanziaria, della qualesi serve Michele Sindona. LaContinental, inoltre, è unadelle maggiori consociatedell’Istituto per le Opere diReligione, la centrale dellafinanza vaticana il cui nuovoresponsabile è monsignorPaul Marcinkus, originariodi Cicero».Amante della bella vita, ele-gante, giocatore di golf, ca-pace di intessere rapporticon governi e politici (dellasua amicizia si è vantato Giu-lio Andreotti), Marcinkusera stato guardia del cor-po di Paolo VI (si narra cheproprio lui deviò il pugnaledi un attentatore, duranteun viaggio papale nelle Filip-pine) prima di essere postoalla guida dello Ior.Mino Pecorelli, il giornalistamisteriosamente assassina-to, sul suo settimanale Op del 12 settembre 1978 pub-blicò l’elenco di oltre 100prelati e religiosi cattolici

che sarebbero stati affiliatialla massoneria, apparte-nendo a una Gran LoggiaVaticana: tra i nomi c’eranoMarcinkus e il Segretariodi Stato Jean Villot. In se-guito a quell’articolo papaLuciani avrebbe ordinatoun’inchiesta interna. E moltitestimoni ricordano che ilpomeriggio precedente allasua morte, Giovanni Paolo Iebbe un burrascoso incon-tro proprio con Villot.Con la morte di Luciani,monsignor Marcinkus per-deva un pericoloso avver-sario, ma doveva andare

incontro a guai con la legge:nel 1987 la magistratura ita-liana emise un mandato dicattura contro di lui per ilcrack dell’Ambrosiano, maMarcinkus aveva passapor-to diplomatico vaticano e inbase ai Patti Lateranensi nonsi diede seguito all’indagine.Marcinkus è morto in Ari-zona il 20 febbraio 2006.

I. S.

TRADIZIONALISTA MA INCONTROLLABILE

In uno dei suoi primi discorsipapa Luciani disse: «La proprie-tà privata per nessuno è un di-ritto inalienabile ed assoluto. Ipopoli della fame interpellanoin maniera drammatica i popolidell’opulenza». Un papa che apochi giorni dalla sua elezionepronuncia frasi del genere non

poteva che dare fastidio a mol-ti. Soprattutto a quanti avevanodeciso di utilizzare la Chiesa peruna vera e propria crociata con-tro il comunismo, con l’obietti-vo di dare la spallata finale ai re-gimi socialisti dell’est europeo.Come poteva prepararsi a quel-la battaglia un papa che tuonavacontro la proprietà privata el’opulenza occidentale?Insomma, qualcuno capì che

il nuovo papa, invece di esse-re un remissivo pontefice ditransizione, era “incontrolla-bile”. Chi lo aveva conosciutonel corso della sua carrieraecclesiastica, del resto, avevanotato il suo carattere volitivo,addirittura irremovibile. Era untradizionalista, non certo un

rivoluzionario, ma già nel 1968aveva dimostrato un’aperturacontrocorrente verso la pillo-la anticoncezionale. Nei suoidiscorsi usava un linguaggiosemplice, adatto ai mass media,capace di comunicare moltopiù del suo predecessore: unulteriore pericolo, se il papa sifosse fatto megafono di posizio-ni sgradite ai settori più oltran-zisti della Chiesa.

didato apparentemente debole,incapace di nuocere ai dueschieramenti contrap-posti, disponibile alasciare mano li-bera a chi stavalottando per lasupremazia.

Un calcolosbagliato, per-ché al contra-rio papa Lu-ciani dimostròsubito una per-sonalità fortissima,dietro l’apparenza mite esorridente. Innanzitutto rifiutòmolte ritualità tradizionali (disseno all’incoronazione, alla tiara ealla sedia gestatoria, abbandonòil plurale maiestatis rivolgendosialla folla in prima persona), poisi espresse contro la Chiesa del-le ricchezze e per la trasparenzadelle operazioni finanziarie ec-clesiastiche, arrivando a soste-

nere che un vescovo non potevapresiedere una banca.

Dopo la morte di Luciani siè cercato di accreditare un’im-magine del papa come di un uo-mo malato, debole fisicamente(altri sostengono esattamente ilcontrario: il medico personaledel papa ha detto di non averglimai prescritto medicinali perché«non ce n’era nessun motivo»).Forse, se davvero Luciani era disalute fragile, si sperava cinica-mente in un suo aggravamentoabbastanza rapido per il caricoeccessivo di lavoro (ma nessunopoteva prevedere che la sua sa-lute sarebbe crollata in soli 33giorni), mentre nel frattempo siaggiustavano i rapporti di forzae le spartizioni del potere curiale.O forse divenne necessario af-frettarne la fine.

Monsignor Maffeo Ducoli, vescovo di Belluno, alle teleca-mere di Giovanni Minoli hadichiarato che sulla morte delPapa vennero date dal Vaticano«comunicazioni non del tuttoprecise ed esatte». E ha aggiun-to: «In quel momento una paro-la, anche una sola parola, potevafar esplodere delle bombe».

Proprio le menzogne sullecircostanze del ritrovamento del

corpo, però, si trasformarono inbombe. Si negò che il papa fossestato trovato morto da una suora,perché probabilmente la si rite-neva un’ipotesi “sconveniente”per un pontefice. Ma per quale

ragione mentire sul libro che ilpapa teneva tra le mani? La noti-zia che si trattasse dell’ Imitazione di Cristo venne data alla stampadi tutto il mondo dal gesuita Pa-dre Francesco Farusi, ex diretto-re della Radio vaticana.Poche ore dopoFarusi scoprì diaver dato un’in-formazionefalsa: la veritàera che il pa-pa impugnavadegli appunti,«dei quali nonsi è detto e nonsi dirà nulla». Se-condo il giornalistaDavid Yallop, che scrisseun libro-inchiesta di successo( In nome di Dio) per dimostrareche il papa era stato ucciso, in

quegli appunti c’era il nuovo or-ganigramma della curia: nei foglici sarebbe stata la conferma cheil papa voleva rimuovere Mar-cinkus e proprio questa sarebbestata la causa dell’omicidio, per

Le menzognesul ritrovamento

del corposi trasformarono

in “bombe“

 Yallop si trat-tava insommadella “pisto-la fumante”.A uccidere ilPapa, secondo

  Yallop, era statoun veleno estrattoda una pianta, la Digitalepurpurea.

Le “bombe” temute da mon-signor Ducoli si sono moltipli-cate insieme alle innumerevoli

 versioni sulla morte del Papa. Ilteologo Gianni Gennari sostie-ne, sulla base delle confidenze diun alto prelato, che un medico

consigliò al papa di assume-re un calmante e che

Luciani avrebbesbagliato la dose:

l’errore avrebbeprovocato una vasodilata-zione e quin-di il decesso.A sua volta

Don Giaco-mo Marzorana,

del Centro “PapaLuciani”, ha citato

un’ennesima versione diquanto accadde quella notte: ilpontefice sarebbe morto nel suoufficio e poi trasportato nella sua

stanza ormai cadavere. Le stessegerarchie ecclesiastiche contri-buiranno a complicare il quadro.Nel 1987 il Vaticano allarmatodalle polemiche crescenti asse-gna allo scrittore John Cornwellil compito di scrivereun libro sulla fine diGiovanni Paolo I,concedendoglilibero acces-so alle stanze

 vaticane. Cor-nwell sostieneche il papamorì per ungrumo di san-gue entrato in cir-

colo e che il decessoavvenne tra le 21.30 e le22.30. Ma Suor Vincenza, alle 5del mattino, trovò il corpo ancoratiepido, e quando i tecnici di me-dicina legale videro il corpo in-torno alle 10 affermarono che lamorte risaliva a 4 o 5 ore prima,in base al colorito e alla rigiditàdel cadavere. Inoltre Cornwellrivela che la veste da notte delpapa era strappata. Perché? Lu-ciani sarebbe morto in piedi, ca-

dendo poi interra (tesi so-stenuta anchedal periodico

30 giorni , di-retto da Giulio

Andreotti). Il suosegretario lo avrebbe

sollevato per metterlo sulletto e in quell’operazione la vestesi sarebbe strappata. Ma lo strap-po potrebbe avere una ragionemolto più inquietante, una lottacontro degli assassini. Tra i tantimisteri che circondano la mortedi Papa Luciani, infatti, c’è anchequello di un libro del 1988 suuna suora tedesca ritenuta veg-gente, Erika Holzach: la donnaafferma di aver avuto una visio-ne dove Giovanni Paolo I vieneucciso da due uomini, entratinella sua stanza con una sirin-ga. Sembrerebbero affermazioniassurde, basate su indimostrabilipercezioni extrasensoriali, ma laprefazione al libro su suor Erikaera di uno stimatissimo teologo,Hans Urs Von Balthasar. Si trat-tava di un messaggio trasversaleper qualcuno? Allusioni in co-dice sono senz’altro contenutein un altro libro recente che informa romanzesca appoggia latesi della cospirazione,La morte 

del Papa (2006), scritto da LuísMiguel Rocha sulla base di do-cumenti che gli sarebbero sta-ti consegnati da un misteriosoagente segreto.

Chi non si è affidata a peri-frasi è stata la moglie

di Roberto Calvi,un’altra vittima

eccellente de-gli intrighi diquegli anni.In un’intervi-sta a L’Euro-

 peo nell’ago-sto 2006 la

signora Calviaffermava: «La

mia opinione è chepapa Luciani l’abbianoucciso. Perché non volevano chescoprisse le malefatte all’internodel Vaticano e dello Ior. Mar-cinkus aveva paura che il papascoprisse i suoi segreti».

Con la scomparsa di AlbinoLuciani, il conclave poteva final-mente sancire i nuovi rapporti diforza. Il 16 ottobre 1978, con ilsostegno dell’Opus Dei, Karol

 Wojtyla viene eletto papa.

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IL CASOVERSACE

20 il gialloGiovedì 2 Agosto

 

2007

Certezze, ipotesi e illazioni sul delitto dello

IVO SCANNER

E’il 15 luglio 1997. Al1116 di Ocean Drive,una strada signorile di

fronte al mare di Miami, un uo-mo sta facendo colazione, in unacucina grande e sontuosa. Comegrande e sontuosa è l’intera vil-la, arredata con gusto bizzarro,senza limiti al lusso, le paretitappezzate di quadri dal valo-re inestimabile, protetta da unacancellata di ferro istoriato.

Improvvisamente un rumore

inatteso scuote l’uomoche sta facendo co-lazione. Dopo unattimo un altrorumore, iden-tico. E poi ilfrastuono digente che gri-da. L’uomo escedi corsa, vede ilcancello aperto eun corpo riverso suigradini della villa. E’ scon-

 volto: davanti a lui in una pozzadi sangue c’è Gianni Versace, ilsuo compagno da oltre 15 anni.Gianni Versace, uno degli stilistipiù famosi del mondo, italiano,ma che da tempo aveva scelto di

 vivere a Miami.Ogni mattina Versace si reca-

 va a piedi al News Cafe, un localea quattro isolati di distanza dallasua villa “la Casuarina” sull’affol-lata Ocean Drive, per comprarei giornali e fare colazione. Nonaveva guardie del corpo, perchénon riteneva di correre rischi.Anche quel martedì mattina,intorno alle 8 e 30, era uscito perla consueta tappa in quel locale.Al suo ritorno era stato avvici-nato da un uomo sui vent’anni,proprio mentre varcava il can-cello della villa. Secondo alcuni

testimoni, l’uomo sparò un pri-mo colpo mentre si trovava allespalle di Versace, centrandoloalla testa. Poi gli sparò di nuovoquando era a terra. Inseguito daalcuni passanti, l’assassino pun-

tò la pistola ma senza sparare escomparve nel parcheggio di un

garage. Il compagno di Versace,Antonio D’Amico, aveva sentitogli spari mentre faceva colazio-ne e si era precipitato all’ester-no, trovando lo stilista morente.Un’ambulanza portò Versace al

  Jackson Memorial Hospital. Imedici poterono solo consta-

tarne la morte: ucciso da dueproiettili calibro .40.La polizia setacciò la zona e

nel vicino garage, dove qualcunoaveva visto fuggire l’assassino, ven-ne trovato un pick-up Chevrolet,parcheggia-to lì da quasi5 settimane:all’interno, ilpassaporto diun certo An-drew PhillipCunanan e unassegno a suonome. La po-lizia conoscevabene Cuna-

nan, dato cheera sospettato per due delitti, unodei quali commesso con una Gol-den Saber calibro .40.

Il venticinquenne Cunanan venne subito descritto come unserial killer, possibile responsabi-le di altri due, se non tre delitti,nella zona di Miami. Di certosi sa che Cunanan, figlio di unafamiglia cattolica di origini filip-pine, era vissuto a lungo a SanDiego. A scuola era diventato

noto per la sua omosessuali-tà ostentata, ma era un bravo

studente e si era iscritto all’uni- versità. Quando la sua famigliaincontrò grossi problemi eco-nomici, nel 1988, Andrew rag-giunse il padre nelle Filippine,ma tornò presto in America e

iniziò a cercare la compagniadi anziani gay benestanti. Ma colpassare del tempo le sue amiciziedanarose sfumarono e si trovò inun periodo molto difficile, do-

 veva vivere di espedienti, spes-so millantando identità fasulle.Inoltre probabilmente temevadi aver contratto l’Aids. E’ a quelpunto che sarebbe scattata in luila sindrome dell’assassinio com-pulsivo, diventando quello che i

criminologi chiamano spree kil-ler : un omicida che, spinto da

rabbia e frustrazione, compie di- versi assassinii a distanza di pocotempo, senza curarsi di non la-sciare tracce e spesso togliendosila vita dopo i delitti. Insomma,

Cunanan era il personaggioideale per risolvere il

caso rapidamente esenza dare aditoa dietrologie dinessun tipo.

Scattò lacaccia all’uo-mo. L’Fbi pro-mise 10.000

dollari a chiun-que fornisse in-

formazioni per arre-

starlo, mentre la poliziadi Miami temeva addiritturache Cunanan potesse essersi de-pilato e travestito da donna persfuggire alla cattura. La caccia siconcluse il 25 luglio. Il custode diuna casa galleggiante, nel porto apoca distanza dalla villa di Ver-sace, sentì uno sparo proveniredall’interno dell’imbarcazione echiamò la polizia. Le forze del-l’ordine circondarono tutta la zo-na e restarono appostate per ben

A sinistra: Gianni Versace.

A destra: la copertina

del “Time” dedicata

all’omicidio dello stilista.

Da sinistra, in senso antiorario:

il presunto assassino

Andrew Cunanan,

il produttore e regista

Chico Forti,e il compagno di Versace

Antonio D’Amico

Cunanan erail personaggio

idealeper chiudere

il caso in fretta

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Gianni, un mistero lungo

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21il g

 

iallo Giovedì 2 Agosto 2007

stilista reggino

IL SILENZIO

La censuradi casa

 Versace

Gianni Versace è statoammirato e vezzeggia-to in vita da centinaia

di personalità della moda,della politica e dello spettaco-lo: ma attorno alla sua tragicafine sembra calata una coltredi silenzio apparentementeinspiegabile.

Lo dimostrano le diffi-coltà incontrate dal regista James Kent per girare il suodocumentario Fashion Vic-tim: The Killing of Gianni 

Versace  (Bbc, 2001). Kent haraccontato al Sunday Times ,il 26 agosto 2001, le peripe-zie che ha dovuto affrontare:quasi nessuno, nel mondodella moda o tra i vip checonoscevano Versace, ha vo-luto rilasciare dichiarazioni. Ilregista ha scritto a 60 amicidi Versace (da Elton John aSylvester Stallone, da RichardAvedon a Karl Lagerfeld),ma ha ricevuto solo dinie-ghi. Naomi Campbell avevaaccettato un’intervista, ma ilgiorno dell’appuntamentodiede forfait. Jennifer Lopez,da parte sua, fece bloccare egettare a terra il cameramandalle sue guardie del corpo.La conclusione di Kent fuche «era stato dannatamentepiù facile riprendere gli ami-ci di Göring», quando avevagirato un documentario suinazisti.

Lo sbarramento sembrapartire proprio dalla famigliaVersace. Lo stesso Kent rac-conta che, mentre girava del-le scene all’esterno degli ufficidi Versace a Parigi, si ritrovòcircondato da avvocati dellafamiglia dello stilista che glifecero capire di non gradire le

sue investigazioni.Anche la grande editoriaha dovuto fare marcia in-dietro quando ha cercato digettare luce sul caso Versace.Il giorno stesso del delitto, lacasa editrice Little Brown (diproprietà della potente Time  Warner) annunciò l’uscitaimminente di una biografiadello stilista, scritta dal gior-nalista Christopher Mason,Undressed: The Life of Gianni Versace . Ma il libro non è sta-to mai pubblicato. Sul sito diAmazon, la principale dittapresente in rete per la venditad i libri, a distanza di

10 anni c’è ancorala scheda di quellabiografia scomoda

e persino la coperti-na, ma con questa av-

 vertenza: «Attualmen-te non disponibile.Non sappiamoquando o se que-sto libro tornerà inmagazzino».

I. S.

Lo stilista reggino ucciso aMiami il 15 luglio 1997 avevadesignato nel suo testamentola nipote Allegra come eredeunica dell’enorme patrimonio.Allegra, nata dalla relazione diDonatella Versace col suo ex-marito Paul Beck, aveva diecianni all’epoca dell’assassiniodello zio, così la gestione del

patrimonio di famiglia è stataassunta dalla sorella dello sti-lista. Gianni Versace chiamavala nipote “la mia principessa”,e che il legame fosse forte sicapisce anche dalla reazioneemotiva di Allegra alla scom-parsa di Gianni: si dice infattiche i problemi di anoressia cheaffliggono la ragazza siano daimputare proprio alla perditaaffettiva dello zio.

5 ore. Poi attaccarono con i gaslacrimogeni e le truppe speciali

Swat irruppero nella barca. Tro- varono un uomo coricato su unletto, che indossava solo un paiodi boxer. Aveva il volto devastatoda un colpo di pistola calibro .40.Era Andrew Cunanan.

Il capo della polizia RichardBarreto fornì la sua spiegazione

degli avvenimenti: «Cunanan hacapito di essere in trappola, sen-za alcuna via di uscita. MiamiBeach è stata saturata di agentie il killer sapeva che non sareb-be mai sfuggito alla caccia della

polizia. Per questo ha deciso ditogliersi la vita».

Con la morte di Cunanan ilcaso Versace sembrava definiti-  vamente risolto. Ma proprio ilpresunto suicidio dell’assassino

impediva di sapere perché lo stili-sta era stato ucciso. Quale motivoaveva spinto Cunanan ad appo-starsi di fronte alla villa di OceanDrive e “giustiziare” Versace? Itentati- vi di scoprire una

conoscenza traCunanan e Ver-sace non portaro-no mai a nulla di

sicuro. Secondo al-

cuni,i due po-

trebbero es-sersi incontratianni prima, aSan Francisco.E tra loro potreb-

be esserci stata unarelazione che ha fattoscattare una morbosa gelosia nelgiovane filippino. Ma possibi-le che nessuno dell’entourage diVersace avesse mai visto Cuna-nan? A poco a poco i dubbi sullafrettolosa versione della poliziacominciarono a crescere. DavveroCunanan era il solito mitomane,come l’assassino di John Lennon?E il profilo dello spree killer non èforse diverso da quello di chi uc-cide una persona famosa?

Ci si cominciò a interrogaresui veri contorni del delitto Ver-sace. Un investigatore privato,Frank Monte, si disse convinto

che Versace fosse stato uccisodalla mafia e che i suoi parentisapessero la verità. Per sostene-re la sua tesi pubblicò anche unlibro, The Spying Game , e venneportato in tribunale dalla fami-glia dello stilista, che si ritenevadiffamata. Il processo fece so-lo aumentare la popolarità deldetective che ora gestisce unafiorente agenzia investigativae continua a vendere il propriolibro, nonostante la scarsa atten-

dibilità delle sue affermazioni.Si cercò di scavare nella vita di

Versace, per trovare una spiega-zione al delitto. Gianni, di fami-glia calabrese, con i fratelli Santoe Donatella aveva creato un vero

e proprio impero, costruito neglianni del craxismo grazie anche ailegami mai nascosti con il Psi. Mai rapporti tra i fratelli non eranoidilliaci, come ha ricordato inun libro recente anche AntonioD’Amico, il compagno di Versace,che oggi lamenta di non potersinemmeno più avvicinare alla villadove sono custodite le ceneri diGianni, per un veto dei familiari.

Attorno allasocietà di Ver-sace giravanomiliardi di lire,con importantipartecipazionisocietarie inItalia e all’este-ro (secondoil settimanale

  Il Mondo soloper i rapporticon i media la

Gianni Versace Spa inve-stiva circa 70 miliardi

l’anno).Studiando il

risvolto econo-mico del mar-chio Versace,altri giornalistihanno conti-

nuato a inda-gare. E Mario

Guarino è arrivatoa prospettare un torbi-do reticolo tra mondo dell’altamoda e criminalità organizzata.Gli incredibili profitti dell’indu-stria della moda avevano attira-to l’attenzione della grande fi-nanza, ma anche di chi operavanell’intreccio tra affari e politica.E le grandi mafie internazio-nali avevano trovato un nuovocanale per “ripulire” il propriodenaro.

 Tra tante illazioni, una cosa èsicura: nonostante le certezze inos-sidabili della polizia di Miami, nes-suna spie-gazione

sul delit-to Versaceè ancora riu-scita ad essereconvincente.

IL CASO FORTI

Al delitto Versace si è aggiuntaun’altra vicenda oscura. Il

regista e produttore ita-liano Chico Forti po-co dopo l’assassiniodello stilista acquistò

i diritti per la casagalleggiante doveera morto Cunanan.

Il suo scopo era di gi-rare un documentario

sul delitto Versace e de-dicargli un museo proprio in

quell’abitazione galleggiante. Mala casa venne misteriosamentesemiaffondata e le autorità di

Miami decisero di distrugger-la. Forti realizzò comunque unvideo per Rai Tre, Il sorriso della

 Medusa, che accusava la poliziadi Miami e metteva in dubbio laversione ufficiale sull’omicidio

Versace e il suicidio di Cunanan.Il colpo di scena avviene pochimesi dopo: Forti è arrestatocon l’imputazione di aver uccisoil figlio di un imprenditore. Tra isuoi accusatori, proprio alcunipoliziotti di Miami. Il 15 giugno2000 Forti è stato condannatoall’ergastolo per omicidio di pri-mo grado.

 

LA CLASSIFICA

Nel marzoscorso ilsettimanaleTime ha inclu-so il delittoVersace nellaclassifica dei“Venticinquemaggiori cri-mini del seco-

lo”. Accantoal rapimentodel piccoloLindbergh, alcaso Black Dhalia e alprocesso diO. J. Simpson,compare an-che l’assassi-nio di Versace,al ventunesi-mo posto

dieci anni

Si è arrivatia prospettare

legamitra alta modae criminalità

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IL CASOTONI E DE PALO

22 il gialloGiovedì 27 Settembre 2007

IVO SCANNER

La guerra. I servizi segreti. LaP2. I neofascisti. Il traffico diarmi. La strage di Bologna.

Sembra un elenco delle pagineoscure dei decenni scorsi e anchedei nostri giorni. Quell’elenco èstato presente, con tutto il suopeso drammatico, in una delle vi-cende più misteriose e purtroppodimenticate degli anni Ottanta:la scomparsa di Italo Toni e Gra-ziella De Palo, giornalisti.

Dal 2 settembre 1980 quei

due giornalisti sono svaniti, sma-terializzati, evaporati. Come senon fossero mai esistiti. E conloro sono svaniti, smaterializzati,evaporati, i risultati dell’inchiestache stavano conducendo, in no-me di un giornalismo che cercasul campo le notizie, anche le piùscomode.

Italo Toni nel 1980 aveva 51anni e alle spalle una vita turbo-lenta, fatta di eccessi che si eranoplacati solo grazie alla grandepassione giornalistica. Impegnatoa sinistra, si era specializzato nel-la vicenda mediorientalee un suo reportageera apparso su Pa-

ris Match. I suoiarticoli erano trale cose miglioriche offriva lacatena di quo-tidiani provin-ciali Diari .

Graziella DePalo, 24 anni, perquanto giovanissimaaveva già scavato senzaremore nel mondo velenoso deitraffici di armi e del riciclaggiodi denaro sporco, scrivendo perL’Astrolabio, prestigiosa rivistadella sinistra indipendente, e perPaese Sera .

Entrambi avevano a cuore laquestione palestinese e deciserodi andare di persona nel Liba-no della guerra civile. Graziella,in particolare, stava seguendouna pista, annunciata in uno dei

suoi ultimi ar-ticoli, sul coin-

  volgimento neltraffico d’armi

di una nota dittaitaliana e dei servizi

segreti. Per organizzare il viaggio, Toni e De Palo avevanochiesto aiuto al responsabile del-l’ufficio di Roma dell’Olp, NemerHammad. Il 22 agosto, Graziel-la e Italo arrivavano a Damascoe il giorno dopo un’auto di Al

Fatah li portò all’albergo Trium-ph di Beirut Ovest, controllatodai palestinesi. I due giornalistiiniziarono la loro inchiesta, mail primo settembre sentirono ilbisogno di andare all’ambascia-

ta italiana. C’era qualcosa che lipreoccupava e avvertirono i nostridiplomatici che volevano dirigersinella parte meridionale del Pae-se, zona molto rischiosa: «Se nontorniamo entro tre giorni, venitecia cercare», avrebbero detto all’am-basciatore. La mattina successivaun’auto venne a prenderli all’ho-tel Triumph. E da quel momentoscomparvero nel nulla.

Le indagini italiane comin-ciarono sotto i peggiori auspici.

E non dopo tre giorni, come ave- vano chiesto i due giornalisti, madopo ben 25 giorni, su sollecita-zione dei familiari di Graziella,che non avevano più sue notizie.In Libano era presente dal 1972

il colonnello dei carabinieri Ste-fano Giovannone del Sismi (ilservizio segreto militare), diven-tato fiduciario di Aldo Moroper la politica italiana in MedioOriente. Ma a capo del Sismi, equindi di Giovannone, c’era Giu-seppe Santovito, il cui nome di lìa poco figurerà tra gli affiliati allaP2, nella lista trovata il 17 marzo1981 nella villa di Licio Gelli. EP2 significava intrecci con affariloschi, soldi sporchi, trame inter-

nazionali.Sarà proprio Giovannonea indicare la prima pista per lascomparsa dei due giornalisti: To-ni e De Palo sarebbero stati rapitidai falangisti libanesi. Ma ecco

Le indaginiitaliane

iniziarono solo25 giorni dopola sparizione

 

BEIRUT

IL FACCENDIERE

Sullo scenario libanese apparveanche il “faccendiere” FrancescoPazienza, che effettuò misteriosemissioni in Medio Oriente per ilSismi. E a Beirut incontrò anche ilcolonnello Giovannone

due reporter scomodi Scomparsi nel 1980,

 seguivano loschi traffici 

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bombardamenti israeliani.Niente più falangisti come re-

sponsabili, allora, ma guerriglieripalestinesi. A supporto di quellatesi ecco arrivare il secondo per-sonaggio grottesco della vicenda,dopo la Corrà, il neofascista ElioCiolini, sedicente supertestimo-ne della strage di Bologna. Cioli-ni riferì di aver appreso che i duegiornalisti avevano assistito percaso, a Beirut, a una riunione traun ministro italiano, un terroristaneofascista, un dirigente della

Oto Melara e alcuni leader pale-stinesi. Quindi sapevano troppoe sarebbero stati eliminati.

Quelle indimostrabili tesidella presunta guerrigliera e deldepistatore neofascista diven-teranno però una sorta di veritàassoluta. Degli intrecci affaristiciattorno al traffico d’armi si perseogni memoria. La soluzione piùfacile era attribuire ai palestinesila responsabilità del “duplice se-questro di persona” e in partico-lare al Fronte democratico per laliberazione della Palestina (Fdlp),l’ala marxista dell’Olp.

Si cercherà di incastrareGeorge Habbash, uno dei lea-der carismatici della resistenzapalestinese, ma senza riuscire atrovare prove contro di lui. Finìin carcere, invece, il colonnelloGiovannone con l’accusa di aver

 violato segreti di Stato, ma l’uni-co che subirà una condanna saràl’appuntato dei carabinieri Da-miano Balestra, addetto all’uffi-cio cifra dell’ambasciata italianaa Beirut: avrebbe passato al co-lonnello Giovannone i telex dellaFarnesina.

Sono passati 27 anni dallascomparsa dei due giornalistie ancora si attende di sapere la

 verità. Ma non sono mai finite

le speculazioni e i tentativi di de-pistaggio. L’ultima triste boutadesul caso Toni-De Palo è di unanno fa ed è firmata da una figu-ra simile a tante altre incontratein questa vicenda intricatissima.Si chiama Dimitri Buffa, è sta-to giornalista di La Padania , poicandidato nelle liste del Partitoradicale, infine insignito del titolodi Cavaliere d’Onore dei PrincipiSalomonici di Shekal dal Presi-dente dell’Istituto Culturale dellaComunità Islamica Italiana, Ab-dul Hadi Palazzi.

Buffa ha scritto nell’agosto2006 un articolo su L’opinione persostenere che la strage di Bologna

è stata compiuta dall’Olp. E peravvalorare la sua tesi ecco ricom-parire la vicenda dei due giorna-listi scomparsi a Beirut tanti annifa: Buffa non ha dubbi, Toni eDe Palo «sono stati fatti moriredi lupara bianca dai palestinesi diHabbash e Arafat», perché segui-

  vano «un’indagine giornalisticache aveva ad oggetto il trafficodi armi tra Olp e Brigate rosse».L’ennesimo polverone senza pro-

 ve, l’ennesimo diversivo.

23il g

 

iallo Giovedì 27 Settembre 2007

IL DEPISTATORE CIOLINI

Le “novitàesplosive”

Il neofascista Elio Ciolininon si è limitato a intorbida-re le acque del caso Toni-De

Palo. Nel 1982, detenuto per

truffa in Svizzera, si inventò chela strage alla stazione di Bolo-gna era stata organizzata da unaloggia massonica ed eseguita daun tedesco e da un francese percoprire un’operazione finanzia-ria delle partecipazioni stataliitaliane. Quelle false rivelazionigli sono costate una condanna anove anni per calunnia.

Ciolini ha alternato car-cerazioni, scarcerazioni e lati-tanze, sempre punteggiate dadichiarazioni “esplosive”. Inun’intervista da latitante dissedi appartenere a un «servizioper la lotta al comunismo chefa capo alla Nato» (probabili,

comunque, sono i suoi legamicon i servizi segreti francesi).Poi nel 1992 parlò di un fanto-matico progetto di “golpe” e suesono anche le rivelazioni su unprogetto di attentato a Berlu-sconi e su una riunione all’esteroin cui la mafia avrebbe deciso lacosiddetta stagione delle stragi.Insomma, una carriera da veroesperto in depistaggi.

I. S.

che scoppia il conflitto tra Gio- vannone e l’ambasciatore italianoa Beirut, Stefano D’Andrea, vici-no al governo centrale di Beirut ecioè ai cristiano-falangisti. D’An-drea da tempo rimproverava aGiovannone un eccesso di prota-gonismo. E ora ecco la goccia chefa traboccare il vaso: Giovannoneaccusa del rapimento proprio gliamici libanesi di D’Andrea. Ini-ziò così un duello che contribuì aintorbidare le acque: due versio-ni si fronteggiavano (sono stati

i palestinesi, sono stati ifalangisti), probabil-

mente entrambeinfondate.

In quei pri-mi momentiprevalsero leposizioni diGiovannone,

che trovavano ilsostegno del go-

  verno, segnando lasconfitta dell’ambascia-

tore. Il ministro degli Esteri, ilDc Emilio Colombo, trasferìD’Andrea a Copenaghen e pre-sentò un esposto alla magistratu-ra contro l’ambasciatore proprioper il suo comportamento nelcaso Toni-De Palo. Nel frattem-po si era affacciato sulla scena unprimo, incredibile perso-naggio, Edera Corrà.Legata alla mas-soneria, la Corràeffettuò diversid e p i s t a g g i ,contattandoi De Palo perdire loro di ave-re le prove cheGraziella era vivae che erano in corsotrattative per liberarla.

In una conferenza stampa del

marzo 1981 anche i familiari diGraziella e Italo dichiaravano diavere la certezza che i due gior-nalisti fossero vivi e in buonecondizioni di salute, in base alleassicurazioni fornite loro dalleautorità italiane e palestinesi, eche «il buon esito della vicendaè vicino». A rafforzarli nella spe-ranza Yasser Arafat in personanel maggio dello stesso anno di-chiarò: «Mi risulta che Graziellasia viva. Farò tutto il possibileperché possa tornare a casa sa-na e salva». In giugno, poi, AbuAyad, allora responsabile dei ser-

 vizi di sicurezza palestinesi, con-fermava: «L’Olp ha svolto un’in-

dagine. I risultati ci danno fortisperanze che Graziella sia ancora viva e bisogna cercarla nel settorefalangista del Libano”. Ayad so-steneva di avere quella speranzadopo l’interrogatorio di elementineonazisti, anche italiani, arre-stati dai servizi di sicurezza pa-lestinesi.

Le famiglie dei due giornali-sti si rivolsero anche a monsignorHilarion Capucci, l’arcivescovopiù vicino alla resistenza palesti-

Il colonnello dei carabinieriStefano Giovannone del Sismisapeva intessere rapporti dicollaborazione sia con i gover-ni locali, sia con i palestinesi:aveva una guardia del corpopalestinese ed era ricevuto

spesso al quartier generale del-l’Olp. Incarnava, tra gli uominidei servizi, il ponte verso i pale-stinesi, prezioso per la politicaestera italiana dell’epoca. Ac-cusato di aver rivelato informa-zioni segrete sul caso Toni-DePalo, Giovannone ha semprenegato, dicendo di aver soloeseguito gli ordini. Da partedi chi, e con quali scopi, non èdato saperlo.

IL SEGRETO

Nel 1984 sulcaso Toni-DePalo venneimposto il se-greto di Stato.La decisione fupresa dall’allo-

ra presidentedel Consiglio,Bettino Craxi.Un gesto checontribuì adarchiviare lavicenda. Lerichieste dicancellare ilsegreto diStato sonorimaste senzaesito

LA FALSA RIAPPARIZIONE

Edera Corrà era partita per ilLibano poco dopo la scomparsadi Toni e De Palo, il 3 ottobre1980. Cosa dovesse fare in Li-bano resta un mistero. Ma perqualche giorno il suo nome siintrecciò, anzi si sovrappose,a quello di Graziella De Palo.Venne infatti segnalata in un al-

bergo del settore falangista diBeirut una giornalista italiana dinome Graziella De Palo e conun aspetto molto simile allaragazza scomparsa. La donnasosteneva di voler intervistareBashir Gemayel, ma non era laDe Palo miracolosamente riap-parsa, bensì Edera Corrà.Dopo aver lasciato quella trac-cia inquietante, per avvalorarela tesi che Graziella si trovava

nel settore falangista della città,la donna diventò protagonistadi un altro depistaggio. Il 6 ot-tobre avvertì l’ambasciatoreD’Andrea di aver ricevuto unatelefonata in cui si afferma chei cadaveri dei due giornalisti sitrovano all’ospedale america-no. D’Andrea la mattina dopo

andò a controllare nella cameramortuaria e non trovò riscon-tro alle parole della Corrà. Per-sino il capo del Sismi, il gene-rale Santovito, dichiarò di averaccertato di persona, recandosiin Libano, che tra i cadaveri nel-l’ospedale americano non c’era-no i corpi di Graziella e Italo,salvo ammettere poi di avermentito per “ragioni di Stato”.

I. S.

nese, ma senza esito.Nel novembre 1982 ecco il

colpo di scena. I giornali ripor-tano indiscrezioni sull’indagine

condotta dal sostitutoprocuratore Gian-

carlo Armati. Unapresunta guerri-gliera dell’Olpdi origine ita-liana avrebberivelato al giu-dice che Italo

  Toni lavoravaper i servizi segreti

ed era in Libano perspiare le fortificazioni

palestinesi del sud e passare le

informazioni agli israeliani. Perquesto sarebbe stato rapito e uc-ciso da una formazione combat-tente dell’Olp. Graziella De Palo,invece, sarebbe rimata prigionie-ra e avrebbe perso la vita sotto i

Dall’alto in senso orario:

Graziella De Palo, Italo Toni

(i giornalisti misteriosamente

scomparsi a Beirut nel settembre

1980), Yasser Arafat,

Emilio Colombo, Giancarlo Armati,

Elio Ciolini, George Habbash

e Giuseppe Santovito

All’ambasciatadissero:

«Se non torniamoentro 3 giorni

venite a cercarci»

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IL CASOPETRONE

28 il gialloGiovedì 15 Novembre 2007

IVO SCANNER

Anni di piombo, anni di violenza politica, anni di vittime innocenti a destra

e a sinistra, anni terribili. Co-

sì vengono ormai raccontatigli anni Settanta, e il 1977 inparticolare. La storia rimaneg-giata oggi per dimenticare lacomplessità di quel periodo haun solo obiettivo: riabilitare ladestra e descrivere gli scontrianche violentissimi di queglianni come una sorta di gazzar-ra tra facinorosi, tutti uguali,tutti aggressori e vittime allostesso modo.

 Troppo facile, perché ci sonodelitti commessi in quegli anniche non possono essere ridottia “scontri tra opposte fazioni”.Ci furono morti programmate,decise a tavolino, per eliminare

persone scomode. E’ il caso diun delitto che ha lasciato un se-gno profondo nella generazioneche si affacciava alla politica ne-gli anni Settanta: l’assassinio diBenedetto Petrone.

La sera di lunedì 28 novem-bre 1977 un gruppo di fascistiarmati di mazze, catene, cac-ciaviti e coltelli esce dalla sededel Movimento sociale italia-no-destra nazionale di Bari:sono stati avvisati della presen-

za di alcuni “rossi” nel centrocittadino. Scatta l’aggressione.I giovani della Fgci obiettivodell’agguato cercano di fuggire,ma uno di loro, il diciottenne

Benedetto Petrone, non riescead allontanarsi in f retta, perchéè invalido e zoppica. Nei pressidi Piazza Massari, a pochi me-tri dal portone di ingresso dellaprefettura, i fascisti lo accer-

In carcere solo il

chiano e lo pugnalano. Un altroragazzo della Fgci, FrancescoIntranò, di 16 anni, tenta diaiutarlo, ma viene ferito grave-mente. Benedetto muore prima

di arrivare in ospedale.Il giorno dopo in piazzaPrefettura si riuniscono migliaiadi persone, tra rabbia e dolore.Nonostante gli inviti del Pcialla calma, molti manifestanti,

L’AMBIENTE

C’era aria di violenza,di tragedia imminente

GIANFRANCO CARBONE

Ricordo gli anni settanta aBari, città “tradizionalmen-te” di destra. Sono gli anni

della ristrutturazione capitalistica,

in cui i poteri forti si confrontanoduramente: la potente lobby delmattone, con la borghesia botte-gaia e quella delle professioni.

 Tutti ampiamente rappresen-tati da una Dc i cui leader nazio-nali, Moro, Donat Catten, Fanfa-ni, Andreotti sembrano lontani eVito Lattanzio è il leader localepiù potente, quello che ha le codealla porta del suo studio e dispensalettere di raccomandazione e affari.Segno evidente dello scontro tra lecorrenti e i potentati democristia-ni è l’aumento delle percentualielettorali del Msi, terzo partitoin città dopo Dc e Pci che passainspiegabilmente dal 15% al 21%nel 1972. Verrà ridimensionatoa conclusione dei giochi. Poi c’èun’aria di violenza, di tragedia im-minente. La strategia strisciantedelle intimidazioni delle aggres-sioni nelle vie più frequentate edeleganti della città, off limits per igiovani di sinistra. Strategia dellatensione e teorema degli oppostiestremismi, ad avvalorare nellamaggioranza benpensante l’ideache non esista alternativa al potereconsolidato delle caste.

Sono anche gli anni del movi-mento operaio e di quello studen-tesco che sperimentano un’unitàd’azione che supera vecchi schemi

e antiche separatezze tra intellet-tualità e lavoro manuale. «Operaie studenti uniti nella lotta» si gri-da nei cortei. La Destra imponeovunque, da Milano a ReggioCalabria un clima di scontro civilesenza precedenti. A Bari i neofa-scisti caricano cortei di liceali digiorno e di notte assaltano mili-tarmente le scuole occupate.

Sono gli anni in cui da una no-ta sezione barese del Msi partonole spedizioni punitive contro stu-denti e democratici. Contempo-raneamente e negli stessi luoghi,si va saldando un legame con lamalavita organizzata, dimostratoda inchieste di Pubblici ministeri

coraggiosi. Spaccio e ideologia sifondono, picchiatori fascisti sonoreclutati per azioni criminali. Lacittà apparentemente sonnecchiama è schierata. Non sta con co-munisti e “capelloni”, fautori didisordine sociale.

Anni duri: è necessaria lamobilitazione e l’impegno delmovimento sindacale, dei Partiticomunista e socialista e dei tan-ti gruppi extraparlamentari che

all’interno dei quartieri popolarifanno argine a un clima di odiocrescente verso ogni tentativo didemocratizzazione della vita dellacittà. Qualcosa sembra cambiare

con le elezioni del ‘75 e del ‘76ma il clima di violenza aumentain maniera esponenziale. Il 1977

 vede le strade del centro, speciequelle a ridosso della città vecchiadiventare sempre più infrequen-tabili, ronde armate di neofascistiscorazzano indisturbate a pocadistanza da questura, prefettura,comando dei vigili urbani. Il pun-to di partenza e di organizzazioneè la sede provinciale del Msi lì adue passi. C’é un invisibile confinetra la città borghese ed affarista eil borgo antico, insieme operaio esottoproletario. Gli eleganti maz-zieri fascisti sono le guardie diconfine. Guardo la foto di Bene-detto, «gli eroi son tutti giovani ebelli» canta Guccini.

La notte in cui fu ucciso, erodi turno in ospedale. La voce del-l’arrivo del corpo di un giovaneoperaio ucciso dai fascisti si sparseimmediatamente anche tra i la-

 voratori delle corsie. Ricordo chealle sei del mattino eravamo lì, inpiazza Prefettura, con un gruppodi infermieri smontati dal turnodi notte, arrivati spontaneamenteinsieme a centinaia di altri cittadinia segnalare che la misura era colma.L’assassinio di Benny sembra rap-presentare un punto di svolta.

La città sembra svegliarsi dal

suo torpore e si mobilita in difesadi una agibilità democratica fino adallora negata. Tre giorni di grandimanifestazioni sino al funerale e ladeposizione di una lapide che di-

 verrà ufficiale solo anni dopo. Nonfurono giorni normali. Segnaronouna voglia di partecipazione i cuisegni non si sono spenti a distanzadi trenta anni. Dell’inchiesta nonricordo o meglio non voglio ri-cordare: ufficialmente la morte diBenny è stata la conclusione tra-gica di una rissa tra opposti estre-misti. La coscienza della Città sache non è così. Qualcosa è davve-ro cambiato da quel 28 novembre,forse solo il necessario a evitare

il ripetersi del dispiegarsi della violenza. Oggi siamo in una faseanaloga: i cosiddetti poteri fortidella città si riorganizzano, mo-dificando le sfere di influenza deicomitati d’affari. Forse quella seradi novembre di trenta anni fa, ci hafornito una dose di anticorpi suffi-ciente a non commettere errori disottovalutazione. Perché il giovaneoperaio comunista, Benedetto Pe-trone, non sia morto invano.

 

Il delitto Petrone sconvolse Bari e la Gazzetta del  Mezzogiorno dedicò ampio spazio, all’epoca, alla vi-cenda. Nonostante uno sciopero nazionale per lalibertà di stampa, i sindacati ottennero una dispensaper la Gazzetta, in modo da consentire un’edizionespeciale di quattro pagine sui funerali di Benedetto.E il giornale s’impegnò a devolvere il ricavato dellevendite alla famiglia Petrone.Ma oggi siamo in pieno revisionismo storico e anchea la Gazzetta hanno deciso di pentirsi. Il sito Internet

del quotidiano, infatti, riporta una ricostruzione degliavvenimenti, a firma Nicola Mascellaro, dove si leggeche gli articoli della stessa Gazzetta sul caso Petro-ne erano «così grondanti di quella tipica retorica disinistra, da far impallidire la miglior edizione straor-dinaria... de l’Unità». E si arriva quasi a giustificare imissini che sfasciarono una decina di autovetture didipendenti de la Gazzetta, accusata di essere «orga-no del regime al servizio del Pci». «L’accusa -scriveMascellaro- dopotutto, non è totalmente infondata.Da qualche tempo il giornale, sia pure con moltamisura, non lesinava lodi al Pci di Berlinguer».

 A Bari mai cercati i mandanti de

A sinistra:

Benedetto

Petrone.

A centro

pagina:

piazza

Prefettura

il giorno

dopol’omicidio

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29il g

 

iallo Giovedì 15 Novembre 2007

killer 

non solo “autonomi”, si dirigo-no verso le sedi organizzativedei fascisti baresi: assaltano lasede della Cisnal, la Federazio-ne provinciale di via Piccinni,

la sezione Msi Passaquindici,i bar dove si ritrovano i fascistie i negozi gestiti da squadristi.Per due giorni la tensione restaaltissima in città, la polizia ef-fettua cariche indiscriminate e

 violente. Solo i funerali di Pe-trone sospendono momenta-neamente i disordini.

Benny, come veniva chia-mato amichevolmente Bene-detto, diventa un simbolo. Chilo ha conosciuto lo ricorda co-me un tipico ragazzo proleta-

rio dell’epoca. Gli studi sospesiper aiutare la famiglia povera,Benny lavorava come operaioprecario, in anni in cui il pre-cariato si affacciava per la pri-ma volta potentemente nellasocietà italiana. Aveva trovatonella politica e nel Pci il luogodove impegnarsi ed era semprepresente nei cortei della sinistrabarese, ben riconoscibile, con la

 voce forte per gridare slogan el’andatura claudicante per i po-stumi di una poliomielite. Lasua foto che circolò sui gior-nali, sfocata, in atteggiamentoun po’ guevariano, rimane indi-menticata.

Fin dalle prime indaginil’accoltellatore di BenedettoPetrone viene individuato inGiuseppe Piccolo: ha 23 anni,originario di Avellino, noto trai fascisti di Bari, ufficialmenteresidente a Roma, iscritto alFronte della gioventù. Vienetrovata l’arma del delitto inuna sezione missina e controPiccolo è emesso un ordine dicattura per omicidio, tentatoomicidio, detenzione e portoabusivo di coltello di genereproibito. Finiscono agli arrestianche altri aderenti al Frontedella gioventù, ma GiuseppePiccolo fa perdere le sue trac-ce, riparando all’estero appenagli investigatori giungono alui. Dopo nemmeno un annola sua fuga si concluderà inGermania, arrestato sotto falsonome per rapina. La strategiadifensiva sarà quella di dichia-rarlo infermo di mente. Verràcondannato nel 1981, ma mo-rirà in carcere tre anni dopo,suicida.

Apparentemente giustizia èstata fatta, l’assassino di Benny è stato scoperto e condannato.In realtà il delitto Petrone èuno dei tanti gialli senza col-pevole della storia italiana. E’

finito in carcere solo il killer.Ma i mandanti non sono maistati processati. Eppure gli in-dizi per scoprire i responsabilic’erano tutti.

La responsabilità principa-

le ovviamente ricade sul Msi,dove ai massimi vertici localisedeva allora Pinuccio Tatarel-la, poi beatificato come grandeesponente della destra addirit-tura “moderata”. Ma nel 1977non trovava disdicevole diri-gere un partito dalle cui sedimuovevano squadre armateper ferire e uccidere gli avver-sari. Nello stesso edificio e nellestesse stanze dove Tatarella fa-ceva riunioni con i suoi came-rati si aggregavano i neonazisti,

si custodivano mazze e coltelli,si partiva per “dare lezioni” aicomunisti e ai democratici ingenerale. Il comune aveva più

 volte chiesto la chiusura del-la sezione del Msi-Dn Pas-saquindici (dedicata ad AndreaPassaquindici, un caduto dellaFolgore), perle continueprovocazio-ni e gli attidi teppismo,ma invano. Inquelle sedi delpartito da cuinascerà An iragazzi ven-gono istruitinon tantoal fascismo,quanto all’esperienza nazistae al mito della Rsi di Salò. Illoro simbolo è la croce celtica,il loro covo lo chiamano conuna sigla, AP15 (cioè AndreaPassaquindici), e le loro squa-dracce si autodefiniscono SS(Squadra di Sorveglianza). E’ ilposto giusto per reclutare killercontro la sinistra. Le sedi mis-sine erano certamente ancheun approdo per psicopatici, manon si può liquidare il delittoPetrone come opera di un ma-

lato di mente: Piccolo non eraun ragazzino esaltato qualsiasio un semplice pazzo, perchéottenne protezione per anni,fino a quando divenne inutile,chiuso in cella, e lo si lasciò al

ll’omicidio

suo destino di suicida.Il delitto del 28 novembre

1977 è un delitto preparato e inqualche misura annunciato. Leaggressioni a militanti di sini-stra si erano moltiplicate, nellesettimane precedenti. E si sco-prirà che lo stesso Piccolo avevafrettolosamente cambiato casa,poco prima del crimine.

Ma se i responsabili direttidel delitto sono missini, i man-danti sono anche altri.

Perché uccidere Benedetto

Petrone, un ragazzo comunistadi 18 anni che si sforzava di nonparlare in dialetto e suonava lachitarra, un ragazzo apparen-temente innocuo? Perché eraun punto di riferimento pertanti ragazzi che combattevanocontro poteri illegali ben precisi

della città diBari. Benny si era distinonelle lotte perdifendere Ba-ri vecchia, inun periodo dispeculazioneedilizia: si do-

  veva sfollareulteriormentela zona daisuoi abitan-

ti, per trasferirli forzosamente verso le zone industriali, e tra-sformare così Bari vecchia inun business cambiandole ancheil nome in “borgo antico”.

E accanto ai poteri dell’edi-lizia e della rendita fondiariaurbana, l’attività dei giovanicomunisti dava fastidio anchealla criminalità organizzata, inparticolare quella dedita al rac-ket delle bische.

Qualcuno decise di alimen-tare un gruppuscolo di picchia-

tori e lo indirizzò. E’ questa la verità che non è mai emersa, néal processo né negli anni di de-tenzione di Giuseppe Piccolo.Chi chiese la morte di Benny non ha mai pagato.

GIUSEPPE PICCOLO

L’assassinofu protettoper anni

IL NOERE 1978 lapolizia criminale della Ger-mania Federale segnala alleautorità del nostro paese l’ar-resto di un italiano, Vito Vac-caro, accusato di aver uccisouna donna nel corso di unarapina. Presto però emergela verità: sotto il falso nomedi Vito Vaccaro si nascondeil latitante Giuseppe Picco-lo, l’assassino di BenedettoPetrone. Ma evidentementePiccolo gode di forti prote-

zioni ed estradarlo in Italianon sarà facile. Il 3 maggio1979, infatti, le autorità diBerlino sospendono la pra-tica di estradizione: la mo-tivazione è che l’omicida sa-rebbe «incapace di intenderee di volere» e non può essere

trasferito inItalia.

F i n a l -mente il pri-mo ottobre1979 Piccolo

 venne estra-dato dallaGermania erinchiuso nelmanicomiogiudiziariodi Barcel-

lona Pozzo, in provincia diMessina.

Ci vorranno però qua-si due anni prima che siconcluda il processo per ildelitto Petrone, dove sonoimputati anche altri 7 neo-fascisti. Il 23 marzo 1981il pubblico ministero chie-de per Piccolo 26 anni direclusione: gli faranno losconto, e la sentenza emessatre giorni dopo lo condan-nerà a 22 anni. Ma non ar-

riverà a concludere la pena:il 21 agosto 1984, GiuseppePiccolo si uccide nel carceredi Spoleto.

IVO SCANNER

IL DOCUMENTARIO

Il regista Francesco Lopez e il cen-tro di produzione cinetelevisiva Ozfilm stanno lavorando da tempo aun documentario su Benedetto Pe-trone. Nonostante le difficoltà eco-nomiche, il documentario Memoriadi una generazione dovrebbe essere

pronto probabilmente per la prima-vera del 2008. Un’anticipazione èvisibile al sito www.bennyvive.it

A sinistra:

la targa che

ricorda Benny

Petrone

La storiarimaneggiata

oggi serve

a riabilitarela destra

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IL CASOMUSA SADR

26 il gialloGiovedì 20 Dicembre 2007

 

Sull’Alitalia le sue ultime tracce

IVO SCANNER

Un passaporto con due vistiper la Francia e l’Italia. E’tutto quello che rimane, a

distanza di quasi trent’anni, diuno dei massimi leader politi-co-religiosi degli sciiti libanesi,l’imam Musa Sadr.

La sua scomparsa avvenne il31 agosto 1978 e da allora non siè saputo più nulla della sua sor-te. Un giallo, un mistero, che sicolloca tra una miriade di intri-ghi internazionali e dove l’Italia

ha giocato indubbiamente unruolo. Perché le ultime tracce diSadr sono su un volo Alitalia perRoma.

Musa Sadr era il leader de-gli sciiti del Libano e con il suomovimento Amal aveva unaposizione decisiva nella compli-cata vicenda medioorientale. Lesue tesi per la laicizzazione delLibano erano accompagnate daun pragmatismo che metteva alprimo posto gli interessi dellacomunità sciita. Per questo siopponeva alla guerra civile inLibano e voleva allontanare dalsuo paese le presenze straniere,comprese quelle palestinesi.

A questo scopo effettuavacontinui viaggi nei diversi pae-si arabi, per incontri ai massimilivelli. Tra Sadr e MohammarGheddafi non correvano buonirapporti, per il protagonismo delcolonnello libico nelle vicendemedioorientali, ma da tempo vo-leva incontrarlo, secondo alcuniper convincerlo a limitare le sueingerenze inLibano, se-condo altri so-lo per ottenerefinanziamenti.Il presiden-te algerino

Hawari Bou-medienne, chedesiderava unariappacifica-zione tra Sadre Gheddafi, sifece carico diorganizzare un incontro tra i duein Libia.

E’ così che il 24 agosto 1978 ilgoverno libico invita ufficialmen-te in Libia l’imam Musa Sadr edue suoi collaboratori, il giovanesceicco Mohamad Yacoub e ilgiornalista di Beirut Abbas BadrAl Din. Il giorno dopo sono inLibia, ma devono attendere perottenere un appuntamento con

Gheddafi. Nel frattempo Sadrincontra dei funzionari gover-nativi e rilascia interviste. Il 30agosto parlando con un giorna-lista del Kuwait ribadisce le sueposizioni: i “fratelli arabi” si de-

 vono unire contro le minacce diIsraele.

Il 31 agosto alle 13 e 30 Mu-sa e i suoi due accompagnatoriescono dall’hotel per recarsi final-mente in visita a Gheddafi, comeconfidano ad alcuni giornalisti: è

l’ultima voltain cui vengono

  visti. Salgonosu un’automo-bile di stato e

da quel mo-mento spa-riscono nelnulla.

Per 5 gior-ni di Musa edei suoi due

compagni di viaggio non si han-no più notizie. Musa non telefo-na né ai familiari, né ai collabo-ratori. E nessuno sembra cercarli.Sadr doveva presenziare, il primosettembre, alle celebrazioni per ilnono anniversario della presa delpotere da parte di Gheddafi. Manon si presenta.

Solo il 6 settembre da Bei-rut vengono chieste notizie di

Sadr alle autorità libiche. Nonottenendo risposta, il governolibanese il 10 settembre avanzauna richiesta ufficiale di spiega-zioni alla Libia. Si apprende cosìche Sadr e i suoi due compagnisarebbero partiti per Roma il 31agosto, a bordo del volo Alitalia881.

A quel punto si moltiplicanole voci incontrollate sul destinodell’imam. Si dice che sia statorapito ad Amsterdam, che si tro-

La Libia e

 vi in Iran per partecipare all’in-surrezione islamica, oppure è inSiria, in Irak, a Malta. Addirittu-ra una delle voci lo vuole sul lagodi Como, nelle mani di agentilibici. Secondo cablogrammidelle ambasciate americane diParigi, Teheran e Beirut, l’imamdopo la data della scomparsa erastato a colloquio con l’ayatollahKhomeini in Iraq oppure con

il presidente Assad in Siria, e lefonti diplomatiche davano quel-le notizie come provenienti dallamoglie stessa di Sadr. Sempre leambasciate americane darannouna versione drammatica dellascomparsa dell’imam: duran-te una lite con funzionari libicisarebbe stato ucciso accidental-mente.

In Libano, intanto, la spari-zione di Sadr aveva gettato nelladisperazione i suoi seguaci. No-

Si opponevaalla guerra civile

in Libano e nonvoleva presenzestraniere

IPOTESI RAPIMENTO

Nonostante Musa Sadr ven-ga considerato dagli sciiti allastregua di un martire, come sefosse morto, sulla sua sorte cisono opinioni divergenti. Il figliodell’imam, Sadr al-Din Sadr, èun fermo sostenitore della te-si di un rapimento a opera diGheddafi. A suo parere, tra l’al-tro, suo padre sarebbe ancorain Libia, vivo ma prigioniero. Sa-dr al-Din Sadr ha affermato che

alcuni prigionieri politici libici,liberati dopo anni di detenzio-ne, avrebbero visto una letteradi Musa Sadr, dove veniva spie-gato che si trovava in condizionidi prigionia. L’Iran ha definito ilrapimento Sadr «una questionenazionale», e l’ex presidenteiraniano Mohammad Khatamiè stato uno dei più ostinati nelchiedere la verità sulla vicenda.

A sinistra: un’immagine dell’imam

Musa Sadr. A centro pagina:

manifesto del gruppo Amal

con l’immagine di Musa Sadr.

La scritta in arabo significa “imam

della nazione e della resistenza”.

A sinistra: la bandiera del Libano.

Nella pagina accanto:

il logo del gruppo Amal e, in basso,il cortile interno di una moschea

CHI È

Nato in Iran il quattro giugno 1928, Musa Sadr (o Moussa alSadr) è figlio di un imam e si è laureato nel 1956 all’universita diTeheran. Dopo aver studiato con alcuni prestigiosi ayatollah inIraq, si trasferisce nel sud del Libano nel 1956 e diventa imme-diatamente uno dei leader più carismatici della comunità sciita.Unendo politica e religione, riesce a conquistare molti consensicon tesi populiste che mirano al riscatto degli sciiti libanesi,all’epoca marginalizzati e poverissimi. «Il nemico di tutti noi,musulmani, cristiani e tanti altri», affermava, «sono la povertà

e l’ignoranza; la nostra vittoria è la convivenza pacifica, vivereinsieme nelle rispettive diversità».Sadr era sostenitore del dialogo interreligioso tra cristiani emusulmani, decisivo nella intricata situazione politica del Liba-no. Si opponeva alle incursioni israeliane, ma non simpatizzavaper i palestinesi: riteneva che in Libano si giocasse una «guerradegli altri».Il 20 gennaio 1975 fonda il movimento Amal (in arabo “speran-za”, ma acronimo di “Distaccamenti della resistenza libanese”).Dopo la sua misteriosa scomparsa è diventato un’icona sia perAmal che per Hezbollah che ogni anno ne celebrano il ricordocon grandi manifestazioni.

l’ i

 

mamperduto

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27il g

 

iallo Giovedì 20 Dicembre 2007

Quando nel 1979 vennero ar-restati alcuni pescatori italiani inacque territoriali libiche, il nostrogoverno decise di utilizzare unufficiale che aveva già svolto mis-sioni riservate in Libia, il generaleRoberto Jucci. All’epoca del se-

questro Moro Jucci era generaledi brigata del Sios, il servizio dicontrospionaggio dell’Esercito, eaveva collaborato con FrancescoCossiga, allora ministro dell’In-terno, per la costituzione di unospeciale gruppo di teste di cuoio.Nel 1979 Cossiga, presidente delConsiglio, incaricò personalmen-te Jucci di condurre le trattativecon la Libia.Il generale contattò il rappresen-tante a Roma dei servizi libici eprima di partire per la Libia si con-sultò con il Direttore del Sismi,il generale Giuseppe Santovito ilcui nome sarà trovato negli elen-chi della P2.

Ufficialmente Jucci doveva svolgerele trattative per la liberazione deipescatori italiani, in realtà aveva ilcompito di chiarire la situazione ve-nutasi a creare in seguito alla scom-parsa di Musa Sadr. Conclusi consuccesso i negoziati per la libera-zione dei pescatori, il generale Jucciconsegnò a Cossiga una relazioneche conteneva un allegato sullascomparsa dell’imam: di quest’uti-mo documento si è persastranamente ogni traccia.

nostante non si sapesse il suodestino, venne subito consideratoun martire, e il responsabile dellasua scomparsa era indicato senzamezzi termini in Gheddafi. La

 vicenda portò infatti alla rotturadiplomatica tra Iran e Libia emise anche in crisi i rapporti tra

Gheddafi e l’Olp.Per i libici la sparizione era

avvenuta in Italia, dove l’imamsi era recato“clandestina-mente”, pro-prio quandodoveva incon-trare Ghed-dafi. E se-condo i libicila sparizionedell’imam sa-rebbe legataalla situazioneiraniana, dovelo Scià stava per essere depostodalla rivoluzione khomeinista.

Viceversa gli sciiti libanesi eiraniani hanno sempre accusatola Libia di aver orchestrato il ra-pimento, per togliere di mezzoun protagonista scomodo, accu-sato tra l’altro dai libici di essereal soldo della Cia. Ma perchéGheddafi avrebbe dovuto ri-schiare l’isolamento e trasfor-marsi in nemico giurato deglisciiti facendo scomparire l’imamSadr in un modo così plateale?

Certo è che l’Italia venivacoinvolta in un episodio oscu-ro. Dopo la sparizione di Sadr,l’Ambasciatore italiano a Tripoliincontrò esponenti del governolibico che fecero una richiestaesplicita: una Commissione sullascomparsa dell’imam, compostadi esperti dei due Paesi.

Chi si occupò inizialmente delcaso Sadr in Italia? Ovviamente iservizi segreti, che in quegli annierano sotto il controllo della P2e si trovavano immischiati intrame di ogni tipo. Basti ricor-dare che il faccendiere FrancescoPazienza frequentava assidua-mente la direzione del Sismi,con ruoli mai chiariti. ProprioPazienza, negli interrogatori cui

 venne sottoposto nel 1994, parlòdei rapporti tra i servizi italiani ela Libia. E insinuò la sua verità,

come sempre torbida e destabi-lizzante: il disastro di Ustica e lastrage di Bologna sarebbero statidue “segnali” al governo italianoin relazione proprio alla scom-parsa dell’imam Sadr. E però

Pazienza lanciava anche un altrosasso: il rapimento dell’imam sa-rebbe avvenuto in Italia, “per fareun piacere a Gheddafi”.

Sulla vicenda dell’imam liba-nese esistono diversi appunti delSismi, da cui emerge che i serviziitaliani giocarono su vari tavo-

li. Fu proprio il Sismi a fornireal regime libico le informazioninecessarie per ch ie de re

l’apertura diun processo. Ma nello stesso

tempo la conclusione dei servizifu che l’imam si trovava prigio-niero in Libia.

La vicenda in Italia non po-teva essere ignorata, perché tra

il nostro paese e la Libia c’era-no enormi interessi economici,in particolare le importazioni digreggio. Per tre volte la magistra-tura italiana si è occupata dellascomparsa di Sadr, archiviandosempre l’inchiesta. La verità giu-diziaria delle prime due inchieste

era che l’imam e i suoi compagninon arrivarono mai in Italia dallaLibia, e che non c’erano loro trac-

ce nemmenoin altri paesi.Chi viaggiòal suo postosul volo Ali-talia? Perchéil suo passa-porto è statoritrovato pro-prio in Italia?

La ter-za indagine,riaperta nel-l’ottobre del2004, aveva lo

scopo di accertare se l’imam e isuoi compagni fossero davveroarrivati a Roma dalla Libia e sia-no quindi scomparsi in territorioitaliano. Il capo del pool antiter-rorismo Franco Ionta arrivò a

una conclusione che ribaltavale tesi delle due precedentiindagini: l’imam arrivò ef-fettivamente in Italia. Ma

anche quell’inchiesta vennechiusa. Il mistero di MusaSadr non è mai stato risolto.

 

AMAL

Nata nel1975 durantel’acuirsi dellacrisi libanese,Amal è lamilizia armatamusulmana

del Movimen-to dei dise-redati creatonel 1974dall’imamsciita Musaal-Sadr. La suabase sociale èrappresentatasoprattuttodai rifugiatiinterni sciitidel sud delLibano. Godedell’appoggiodei governidell’Iran edella Siria. Al

contrario dialtre organiz-zazioni arma-te, professaesclusivamen-te l’autodifesa

In Italia se neoccuparono

i servizi segreti,allora controllati

dalla P2

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C’è una bottiglia diwhisky in cima auna collina, a

nord di Roma, nei dintornidi Sacrofano. E’ in piedi,

quasi vuota, perfettamentechiusa, appoggiata sul ter-reno tra l’erba che costeg-gia campi di grano. MarcaLaphroaig, celebre whiskyscozzese di malto.

E’ una bottiglia di whiskyimportante, misteriosa, de-cisiva. Perché ac-canto a quellabottiglia c’èun cadavere.Ha il viso,il collo euna manod i v o r a t ida morsidi animali.Sulla tem-

pia destrauna grossaferita per uncolpo di pistolasparato “a c ontatto”,come scriveranno i periti. Ilcorpo è disteso sulla schie-na, le gambe incrociate. Enon è il cadavere di un bar-bone, morto magari di fred-do dopo un’ubriacatura. E’il cadavere di un uomo cheoccupa da giorni le paginedei quotidiani. E’ un mana-ger molto noto, un uomoche è stato alto dirigente sta-tale per poi prestare le sueconsulenze a grandi enti ebanche. Ed è sparito dal 18febbraio 1993, dopo essereentrato all’improvviso nelleindagini sulle tangenti Eni-mont. Ufficialmente nulla digravissimo, un colloquiocon i giudici e la notizia cheun magistrato vuole ascol-tarlo su alcuni documentidelle Partecipazioni statalispariti e trovati a casa sua.Ma qualcosa lo preoccupavaal punto da decidere di nondormire nella propria abita-zione, il giorno prima dellascomparsa, chiedendo ospi-talità a un amico, l’ingegne-re socialista Vittorio Caval-lari. La mattina dopo si era

recato nello studio del sena-tore Giulio Andreotti: forsesperava in un appoggio,conoscendo l’in-fluenza ben no-ta di Andreot-ti sulla pro-cura di Ro-ma. Maquel l ’ ap -p o g g i onon l’ave-va ottenu-to. E proba-bilmente eraconvinto dinon poter piùsfuggire né ai magi-strati né ad altre persone

preoccupate dei tanti segre-ti di cui era venuto a cono-scenza in vent’anni di atti-vità. Il suo comportamentonei giorni precedenti allascomparsa, però, non facevaprevedere che volesse farlafinita. Certo, le lettere chelascerà sembrano scritte da

un uomo terrorizzato, ma trale ultime persone che lohanno visto vivo pochi lodescrivono come una perso-na sull’orlo del suicidio.Anzi, qualcuno lo trova per-fettamente normale. Il cu-

stode della sua villa, adesempio, si dice certo chefosse tranquillo, per nientepreoccupato. E un altro te-stimone, illustre, lo confer-ma. Giulio Andreotti, che havisto il manager proprio ilgiorno della sua scomparsa,

non nota nessunaa g i t a z i o n e

nell’uomo cheha di fronte.Eppure po-che ore do-p oquel l ’uo-mo sareb-be morto,per un col-

po di pistolanella tempia.Il manager

non dà più sue no-tizie dal pomeriggio

del 18 febbraio, tuttavia lasparizione, stranamente,viene resa pubblica solo cin-que giorni dopo. E subito ifamiliari affacciano l’ipote-si del suicidio. «Sì, temiamoun gesto disperato. Mio pa-dre stava male, aveva pau-ra, si è portato dietro la suapistola. Credo che non abbiaretto...», dice il figlio aigiornali.

Una delle piste che si se-guono prima del ritrova-mento del corpo, in realtà, èquella della fuga. Per sot-trarsi ai magistrati, e forseanche ad altri rischi, il ma-nager poteva aver scelto discappare all’estero. Sul suocadavere, infatti, oltre allapatente, ai documenti e allecarte di credito verrà trovatoanche il passaporto. Perchéportarlo con sé nel momentodel suicidio?

Dopo aver evitato di pre-sentarsi davanti ai magistra-ti, il manager era andato inuna trattoria, scrivendo perore sul suo block notes unadecina di lettere che invierà

a diversi destinatari: la ex-moglie, i figli, due giornali-sti di  L’Espresso e Pa-

norama, e altri co-noscenti. Lette-

re piene diamarezze edi accusealla magi-s t r a t u r a .In unadelle lette-re, poi, ac-

cenna a unc o l l o q u i o

avuto con unapersona mai

identificata che loavrebbe turbato. Chi era

quella persona e cosa gliaveva detto di tanto terribi-le? Certo è che dopo moltetelefonate, dopo l’incontrocon Andreotti e con quellosconosciuto interlocutore, ilmanager ha cambiato il suocomportamento: ha liquida-to bruscamente i suoi avvo-

IVO SCANNER

Il corpodel manager èstato rinvenuto

dopo unasettimana dallamorte. I vestitierano intatti,

il viso e le manidivorate

dagli animali

cati e non si è presentatoagli appuntamenti importan-ti della giornata.

Poi il manager scomparenel nulla. L’ultimo testimo-ne lo vede a bordo della suaAudi 80, mentre scrive unennesimo biglietto che la-scia sul cruscotto insieme adaltre tre lettere. Sembra qua-si, dirà qualcuno, che il ma-nager abbia fatto di tutto peressere notato, perché molte

persone potessero racconta-re di averlo visto mentrescriveva i messaggi d’addio

di un suicida.Prima di allontanarsi sul-

la collina, a poche centinaiadi metri dalla sua villa, doveverrà trovato cadavere, ilmanager ha preso una botti-glia di whisky, ultimo tas-sello per avvalorare il gestodisperato di un uomo di-strutto. Ma proprio quellabottiglia di whisky, rimastamiracolosamente in piediper una settimana, è solo

uno dei tanti elementi cheportano a sollevare dubbisul suicidio del manager.

Quella bottiglia, e quelmanager, sarebbero rimastisulla collina dal 18 al 25 feb-braio, quando il corpo vienescoperto da due carabinieri acavallo. Ma nessuno, duran-te le ricerche, li ha visti. Glielicotteri che hanno sorvo-lato la zona non se ne sonoaccorti, anche se il corpo èin uno spazio aperto, visibi-lissimo. E le pattuglie chebattono i campi circostanti

non lo trovano. Anche l’autodella vittima viene scopertasolo quattro giorni dopo la

L’ex direttore delle Partecipazioni stat La bottiglia 

S E R

LA MADRE DI TUTTE LE TANGENTI

La fine misteriosa di Sergio Castellari ap-partiene alla lunga scia di sangue che ha ca-ratterizzato la vicenda Enimont, quella che An-tonio Di Pietro definì “la madre di tutte le tan-genti”.

Per dodici anni Castellari era stato direttoregenerale delle Partecipazioni statali, poi si eradimesso, in polemica con il governo che nongli dava garanzie sul suo futuro professiona-le. Da allora era diventato consulente dell’Enie della Deutsche Bank. Ma il 12 febbraio 1993il suo nome era entrato nelle indagini sulle tan-genti Enimont.

Quando scompare, il 18 febbraio 1993, Ca-stellari ha 63 anni. Una settimana dopo vienetrovato cadavere, apparentemente per suici-dio. Nelle lettere che lascia alla famiglia, a co-noscenti e giornalisti, Castellari accusava lamagistratura di averlo ricattato chiedendoglidi confessare per evitare il carcere.

Quello di Sergio Castellari non è l’unico “sui-

cidio eccellente” nella vicenda Enimont. Lo se-guiranno nella stessa fine Gabriele Cagliari, il20 luglio 1993, e tre giorni dopo Raul Gardini.

Ma altri risvolti, ancora più inquietanti, sonoemersi nel corso delle indagini. Le tangenti perle quali i magistrati tenevano sott’occhio Ca-stellari potevano non essere solo relative aEnimont, ma anche ad altri scandali interna-zionali.

Castellari, inoltre, poteva dare fastidio a chiconosceva il suo ruolo in una vicenda che ri-guarda il traffico di uranio. Negli anni in cuil’Italia aveva deciso l’embargo di prodotti nu-

cleari verso Iran e Iraq, all’epoca in guerra traloro, qualcuno aveva invece progettato di ag-girare l’ embargo e fornire agli iraniani quattropotenti generatori a vapore. E tra le carte diCastellari vennero trovati proprio dei docu-menti relativi a un contratto per l’acqu isto dimateriale nucleare da parte di un grande grup-po industriale italiano.

Venerdì 5 Gennaio 2007

30 giallo del mese 

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scomparsa del manager. Sitrovava in una stradina per-fettamente visibile propriodalla sua villa: nessuno,però, l’aveva notata. Propriocome era accaduto a un’altraauto legata a un mistero ita-liano, l’auto di Davide Cer-via, l’esperto di radar milita-ri sparito nel nulla tre anniprima.

Quella bottiglia di whiskyè importante, misteriosa,

decisiva, perché rappresentauno dei grandi enigmi attor-no alla morte del manager

che le sta accanto. Il corpodel manager doveva trovarsilì, sulla collinetta, da unasettimana. Ma in quei gior-ni nella zona il vento soffia-va forte, la pioggia era statatorrenziale. Eppure quellabottiglia è rimasta in piedi,diritta, immobile. Nemmenogli animali che hanno deva-stato il corpo del managerl’hanno fatta cadere. Del re-sto, la bottiglia non è l’unica

cosa strana su quella colli-na. Come la bottiglia è ri-masta intatta, così gli abiti

che indossa il cadavere (ilgiaccone verde, la giacca ditweed, le calze in tinta, lacamicia bianca, gli stessivestiti con cui è stato vistodagli ultimi testimoni), nonsembrano aver sofferto dellalunga esposizione alle in-temperie. E poi la pistola,una grossa Smith and Wes-son 38: ha il cane caricatoed è incredibilmente inseritanella cintura della vittima.

Come ha fatto un suicida aricaricarla dopo lo sparomortale e a riporla nella cin-

ta? Anche l’ipo-

tesi che nellacaduta il canesi sia alzatoe la pistolasi sia infi-lata nellac i n t u r asembra in-c r e d i b i l e .Ma non im-possibile, ren-dendo così an-cora più complica-to accertare la verità.

Quella bottiglia di whiskyha un’altra, ennesima, stra-nezza. Non ci sono improntedigitali, non c’è traccia disaliva come se chi ha bevutolo avesse fatto con un bic-chiere, così comenon ci sono im-pronte sullapistola. E’tutto troppopulito eordinato,sulla col-lina vici-no a Sa-c r o f a n o .Gli animaliche hannosfigurato il vi-so della vittimanon hanno toccato ivestiti né altre parti del cor-

po. E persino le suole dellescarpe non sono infangate.Ma non c’è solo la botti-

glia di whisky

vicino al cor-po del ma-n a g e r .Sull’erba,tra leg a m b edel cada-vere, vie-ne trovato

il mozzico-ne di un siga-

ro olandese,l’altra metà in

una tasca. E anchequel sigaro contiene dei mi-steri. Quando verrà analiz-zato, mesi dopo, si scopriràche non ci sono tracce delDna del manager. Anzi, igiornali riporteranno con

clamore che probabil-mente la saliva ri-

masta sul ta-bacco appar-tiene a unadonna.

Ci sonotante cose,d u n q u e ,sul luogodi quello

strano suici-dio. E quella

bottiglia diwhisky, pulita,

senza impronte,straordinariamente in piedi,

non è davvero l’unico mi-stero sulla collina vicino aSacrofano.

Un suicidio?Niente impronte

sulla pistola,infilata nella

cintura e con ilcane alzato, nésul mozzicone

di sigaro trovatoaccanto allesue gambe

tatali era indagato per il caso Enimont 

del misteroG I O

Venerdì 5 Gennaio 2007

31giallo del mese LE QUATTRO IPOTESI

Ipotesi 1: Castellari si è suicidato. Il funzionario si sarebbeucciso per non andare in carcere, incapace di reggere allavergogna. E’ la tesi sostenuta dalla famiglia e quella appa-rentemente più fondata. Ma le troppe contraddizioni e mi-steri attorno alla vicenda hanno fatto sollevare molti dubbisu questa versione. Persino i medici legali hanno detto di non

poter escludere il delitto.Ipotesi 2: Castellari è stato spinto al suicidio. Qualcuno

(interessato alla vicenda Enimont o ai traffici di uranio) ha ter-rorizzato il manager, al punto di convincerlo a compiere ungesto estremo. E forse le stesse persone lo hanno “assisti-to” quando si è sparato.

Ipotesi 3: Castellari è stato “suicidato”. Qualcuno lo ha uc-ciso simulando un suicidio, per impedirgli di parlare nei col-loqui imminenti con i magistrati. E forse Castellari ha incon-trato i suoi assassini convinto che lo potessero aiutare inuna fuga all’estero.

Ipotesi 4: La simulazione. E’ l’ipotesi più fantasiosa, para-dossale. Il corpo trovato non è quello di Castellari e le muti-lazioni al volto sono state inferte ad arte per permettere all’exdirigente delle Partecipazioni statali di fuggire e cambiareidentità.

LAZIORoma – 16 gennaio, Teatro Quirino, via delle Vergini7 - Forum sullo Spettacolo; ore 10 introduce Vincen-zo Calò, direzione Pdci Roma, presiede Paola Pelle-grini, responsabile Cultura Pdci, interventi d’apertu-ra: Marco Giorgietti, direttore generale Eti, Fabio No-bile, Segretario Pdci Roma, ore 11 intervengono: Al-banese, Buccellato, Brancati, Buontempo, Comen-cini, Consani, Cortellesi, Crozza, D’Alfonso, Ghini,Haber, Laurito, Lizzani, Mafai, Ovadia, Pellegatta, Pla-cido, Piccioni, Sbordoni, Scaparro, Scola, Storti, Te-sta, Tranfaglia; ore 13.30 pausa; ore 14.30 ripresa la-vori, presiede Alfio Cortonesi, responsabile CulturaPdci Roma, intervengono: Amidei Migliano, Feriaud,

Gobbi, Mancini, Mastropietro, Peliti, Petronio; ore17 conclude Oliviero Diliberto, interverrà il Ministrodei Beni Culturali Francesco Rutelli

ABRUZZOL’Aquila – 9 gennaio ore 17,30 Palazzetto dei Nobili- “Dibattito sulla situazione del Medio Oriente”, inter-vengono Maurizio Musolino, giornalista de la Rinasci- 

ta , Fulvio Grimaldi, regista, Stefano Chiarini, giornalistadel Manifesto 

Il ritrovamento di Castellari. Da sinistra, in senso orario: Andreotti, Di Pietro, Gardini e Cagliari     A   p   p   u

   n    t   a   m   e   n    t     i Sono pubblicate in questo spazio le iniziative 

segnalate dalla Direzione nazionale del Pdci 

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1978: IL CASOFAUSTO E IAIO

28 il gialloGiovedì 24 Gennaio 2008

 Due ragazzi del Leoncavallo

IVO SCANNER

«Tre ragazzi sono in pie-di sul marciapiede e sitrovano a 5-6 metri

da me. Contemporaneamenteun altro giovane è leggermentepiegato e si comprime lo sto-maco con entrambe lemani. Odo tre colpiattutiti che lì perlì sembrano pe-tardi tanto chepenso chequel gruppo di

quattro personesta scherzando.Non vedo al-cuna fiammatadi arma da fuo-co. I tre giovani sulmarciapiede scappano

 velocemente mentre quello cheè piegato su se stesso cade in ter-ra. Solo allora comprendo che èsuccessa una cosa pazzesca e miavvicino al giovane caduto. Scor-go la fisionomia di un ragazzosteso per terra in una pozza disangue. Posso senz’altro affer-mare che quello che cade per pri-mo è Lorenzo Iannucci mentrequello già steso a terra è Fausto

 Tinelli. Nessuno dei due ragazzipronuncia alcuna parola, neppu-re un’invocazione di aiuto. Al-trettanto fanno gli assassini chefuggono nel silenzio, avviandosi

 verso via Leoncavallo».Queste parole sono state

pronunciate agli investigatori daMarisa Biffi, una semplice pas-sante destinata a diventare testi-mone oculare di uno dei delittipiù inquietanti degli anni Set-tanta, l’assassinio di Fausto Ti-nelli e Lorenzo (Iaio) Iannucci.

La scena descritta dalla testi-mone avvenne la sera di sabato18 marzo 1978, in una strada

della periferia industriale di Mi-lano: via Mancinelli, quartiereCasoretto. Fausto e Iaio sonodue ragazzi di 18 e 19 anni, unoè studente, l’altro è un giovanelavoratore, entrambi f requenta-no il centro sociale Leoncavallo,punto di riferimento della sini-stra “extraparlamentare”, come

 veniva definita allora. Quella se-ra sono tranquilli, si incontranoalle 19 e 30 in un’osteria vicinoal centro sociale e poi si incam-minano per andare a cena a casadi Fausto. Hanno deciso di as-sistere a un concerto dopo avermangiato, che si terrà più tardi alLeoncavallo. Ma non arriveran-

no mai né a cena né ascolterannomai quel concerto. Mentre cam-minano verso via Monte Nevo-so, dove abita Fausto, improv-

 visamente cambiano strada e sidirigono in una via secondaria,poco illuminata. Lì un killer inimpermeabile bianco li uccideentrambi. Anche se i testimoni lodescrivono meno che ventenne,non è un killer sprovveduto: peruccidere avvolge l’arma, una 7,65con silenziatore, in un sacchetto

di plastica per non lasciare i bos-soli sull’asfalto. Spara otto colpie centra i corpi di Fausto e Iaio.Insieme al killer ci sono altri duegiovani, a volto scoperto, mentredue complici sono appostati po-co distante. Spariscono tutti nel

nulla, non si sa nemme-no come, se a bordo

di auto, di moto osemplicemente apiedi.

Quell’ese-cuzione spie-

tata sconvolgela città e l’Ita-lia, in un mo-

mento che è giàaltamente dram-

matico. Il giorno deldelitto, infatti, non è un

giorno qualsiasi. Aldo Moro èstato rapito dalle Br due giorniprima, e proprio in quello stesso18 marzo, quando avviene l’as-sassinio di Fausto e Iaio, arrivano

Una spietata

esecuzioneai giornali la foto di Moro pri-gioniero e il primo comunicatobrigatista.

La disperazione dei familia-ri,

 

degli amici e dei compagni diFausto e Iaio non riesce a darsiuna spiegazione di un delittocosì spietato. Gli investigatori inquei primi giorni lanciano solopesanti insinuazioni senza alcunriscontro: Fausto e Iaio potreb-bero essere stati uccisi da una

faida dell’estrema sinistra o per«faccende di droga». Poi, cinquegiorni dopo il delitto, una telefo-nata anonima all’Ansa annunciache in una cabina telefonica delquartiere Prati a Roma c’è un

 volantino: «Comunicato numero

L’inchiesta portaalla destra

eversiva, manessuno pagherà

per quelle morti

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29il g

 

iallo Giovedì 24 Gennaio 2008

AFFARI SPORCHI

La vicenda

di Mauro

Brutto

A’O FUOe Iaio è legata un’altra mortemisteriosa, quella di MauroBrutto, giornalista dell’Unità 

di Milano. E’ lui a seguire la vicenda di Fausto e Iaio peril suo quotidiano. E scava neiretroscena, mette in discus-sione le indagini, incontrai familiari dei due ragazziuccisi. La sua convinzione èche si siano sovrapposti inte-ressi della destra neofascistadi Milano e Roma con quelli

dei trafficanti di droga e per-sino di apparati dello Stato.Del resto, Brutto è esperto di“affari sporchi”: si è occupatodi mafia, sequestri di personae riciclaggio di denaro, tantoche ha ricevuto diverse mi-nacce di morte. Pochi mesidopo l’omicidio di Fausto eIaio, in novembre, sfugge aun agguato: gli sparano trecolpi di pistola, proprio a po-chi passi da via Mancinelli.Ma la sua vita non durerà alungo. Sa di essere in perico-lo e cerca di consegnare, sen-za riuscirci, i documenti sullesue inchieste a un colonnellodei carabinieri. Chiede an-che il porto d’armi, comprauna pistola e, a meno ditrent’anni, stipula un’assicu-razione sulla vita. Il 25 no-

  vembre 1978, mentre esceda un bar vicino alla redazio-ne dell’Unità , viene investitoda una Simca 1100 bianca.L’auto scompare nel nulla,Brutto muore, il suo borsel-lo che conteneva documentievidentemente preziosi vieneritrovato vuoto.

Due inchieste si occupe-ranno della morte di Brutto,ma entrambe archivieranno

l’episodio come omicidio col-poso, un semplice incidentecompiuto da un pirata dellastrada.

I. S.

uno. Sabato 18 marzo una nostrabrigata armata di Milano ha giu-stiziato i servi del sistema TinelliFausto e Iannucci Lorenzo, conquesto gesto vogliamo vendi-care la morte di tutti i cameratiassassinati dagli strumenti del-la reazione e delle sovversione.Esercito nazionale rivoluziona-rio - brigata combattente FrancoAnselmi».

Sembra una grottesca imi-tazione deicomunicat ibrigatisti e lasigla che firmail volantinocompare perla prima vol-ta. Ma apparesubito una ri-

 vendicazioneattendibile.Franco An-selmi era ungiovane neofascista, morto po-chi giorni prima durante unarapina in un’armeria di Roma.

Camerata dei fratelli Fioravantie di Francesca Mambro, si eragià distinto in diverse azioni vio-lente e diventerà un simbolo peri terroristi di destra: la brigataFranco Anselmi firmerà diverse

In alto:

un murales

dedicato alla

memoria dei due

ragazzi. Nella

pagina accanto,in alto a sinistra:

Fausto Tinelli

e Lorenzo

Iannucci. In

basso: Aldo Moro

IL GUP

A disporrel’archiviazionedell’inchiestasull’omicidio diFausto e Iaio,con decretodel 6 dicembre

2000, fu Cle-mentina Forleo(nella foto) - al-l’epoca Giudicedelle udienzepreliminari delTribunale diMilano - salitarecentementealla ribaltaanche per unadura polemicacon ArmandoSpataro, il pri-mo magistratoche si occupòdel caso Faustoe Iaio

rivendicazioni di omicidi, rapinee attentati, fino al 1982.

Si affaccia così un’ipotesi pre-cisa: una vendetta dell’estremadestra per i diversi morti neofa-

scisti caduti nelle piazze e nellestrade italiane in quel periodo.Ma Fausto e Iaio sarebbero sta-ti uccisi a caso, solo perché fre-quentatori del Leoncavallo? Inrealtà il volantino li accusa di es-sere «servi del sistema» e questaallusione rimanda all’attività po-litica dei due ragazzi: da tempostavano lavorando con il Leon-cavallo a un dossier sullo spacciodi stupefacenti a Milano, indica-no i nomi di circa 200 spaccia-tori e rivelando le collusioni traspaccio e personaggi dell’estremadestra. Eliminarli, allora, potevaessere un messaggio di vendettache univa gli interessi dei prota-gonisti dello spaccio e dei fasci-

sti.Ma sca-

  vando più afondo si puòarrivare a unaltro moven-te. Il delittofarebbe partedella “strategiadella tensione”e prospette-rebbe un omi-cidio politico

molto complesso, con risvoltiapparentemente insospettabili.

Se si trattò di una vendetta di

spacciatori, perché avvenne pro-prio il 18 marzo? Chi ha vissutoquell’anno di grande tensione, il1978, ricorda bene che nei pri-mi giorni del rapimento Moro lecittà erano sotto stretto controllo

di polizia, c’erano posti di bloccoovunque, agenti armati che pat-tugliavano le strade. Chi potevaessere così avventato da scegliereproprio un giorno così a rischioper commettere un’esecuzione aMilano? Se lo ha fatto è perchésapeva di godere di coperture,di essere imprendibile. Eviden-temente uccidere due militantidi sinistra in un momento tantoterribile per l’Italia aveva l’imme-diato effetto di accrescere il caose la tensione. E qualcuno era in-teressato proprio a questo.

Molti indizi e le dichia-razioni di alcuni “pentiti” por-tarono a indagare sulla destraromana, dove il crimine politicosi intrecciava con i banditi dellaMagliana e i servizi segreti. Tre

I due stavanolavorando

a un dossier sullospaccio di droga

a Milano

fascisti della capitale, MassimoCarminati, Claudio Bracci eMario Corsi saranno tutti pro-sciolti, fino alla definitiva archi-

 viazione del caso, nel 2000, conqueste motivazioni: «Pur in pre-senza dei significativi elementiindiziari a carico della destraeversiva e in particolare degliattuali indagati, appare eviden-te allo stato la non superabilitàin giudizio del limite appuntoindiziario di questi elementi, eciò soprattutto per la natura de 

relato delle pur rilevanti dichia-

razioni». In altre parole, l’inchie-sta porta indiscutibilmente adaccusare i fascisti, ma non trovale prove per condannarli. Nes-suno ha pagato per la morte diFausto e Iaio.

Dell’assassinio di Fausto e Iaio si occupò anche laCommissione parlamentare d’inchiesta sul terro-rismo in Italia e sulle cause della mancata indivi-duazione dei responsabili delle stragi, nella seduta

del primo marzo 2000. Durante l’audizione delgiudice Spataro, il senatore Alfredo Mantica di Al-leanza nazionale insinuò che la morte di Fausto eIaio fosse legata al covo Br di via Monte Nevoso8 dove venne trovato il memoriale Moro. FaustoTinelli, infatti, abitava al numero 9 di quella via, nelpalazzo di fronte al covo.Tanto bastava al senatore di An per sostenere chel’uccisione di Fausto e Iaio era un avvertimentoalle Brigate rosse da parte di qualcuno che volevadimostrare di sapere tutto di loro e del covo di viaMonte Nevoso. A parere di Mantica, il comunicatodelle Br dove si rendeva onore a Fausto e Iaio «vit-time di sicari di Stato» dimostrerebbe la sua tesi:«Fausto e Iaio frequentavano un circolo sociale, ilLeoncavallo; certamente non fanno parte delle Br,ma dell’acqua in cui i pesci si muovono…».

I. S.

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culture

 

28 Giovedì 17 Aprile 2008

Spiata dall’Fbi perché “rossa” 

IVO SCANNER

I

l 27 aprile 1970 un agentespeciale dell’Fbi, Richard W.

Held, scrive al direttore del-la sua organizzazione, il temuto

 J. Edgar Hoover: «Si richiede ilpermesso dell’Ufficio di renderepubblica la notizia che Jean Se-berg, notissima attrice cinema-tografica, è incinta di (omissis)del Black Panthers Party (Bpp)(omissis) dandone notizia a gior-nalisti di gossip di Hollywoode nella zona di Los Angeles. Siritiene che la possibile pubblica-zione della vicenda della Sebergpossa metterlain difficol-tà e servire aindebolire lasua immaginepubblica».

Ai più gio-  vani, a menoche non sia-no cinefili, ilnome di JeanSeberg dicepoco, ma neglianni Sessantae nella primametà dei Set-tanta il suo volto era uno dei piùcelebri del cinema internaziona-le. Ma aveva un difetto: era finda ragazza una sostenitrice deimovimenti per i diritti civili econtro il razzismo. Tanto basta-

 va all’Fbi di Hoover per conside-rarla una pericolosa “comunista”,una minaccia allo stile di vitaamericano.

Dall’esigenza di distrugge-re la “rossa” Seberg nasce l’idea

di diffondere una notizia falsasfruttando l’amicizia dell’attricecon Hakim Jamal e RaymondHewit, seguaci di Malcolm X edesponenti delle Pantere nere.

Il 6 maggio ’70 ecco la rispostadi Hoover al suo agente speciale:«Per proteggere la fonte sensibiledell’informazione da un possibilecoinvolgimento e per assicurareil successo del tuo piano, l’Ufficio

ritiene che sarebbe meglio atten-dere approssimativamente altridue mesi fino a che la gravidanzadella Seberg sia evidente a tutti».

Ma l’agente non aspetta iltempo suggerito dai suoi supe-riori e l’operazione di disinfor-mazione ha subito successo: il Los 

 Angeles Times il 19 maggio nellarubrica di Joyce Haber pubbli-ca il pettegolezzo creato ad artedall’Fbi. La Haber non cita maiil nome di Jean Seberg, renden-

do ancora più sordido il traboc-chetto. La chiama «Miss A», ladefinisce «bellissima e bionda»,giunta a Hollywood qualche an-no prima, recente interprete diun musical di successo, sposata aun fascinoso europeo, amica in-tima di «rivoluzionari di colore».Per il lettore dell’epocanon c’erano dubbisull’identità della

misteriosa attri-ce. E il pezzo siconcludeva conlo scoop esplo-sivo: «Miss Aaspetta un figlioda un dirigentedelle Pantere ne-re».

La notizia è rapida-mente ripresa da  Newsweek eamplificata dalla stampa di de-stra: negli Usa di quegli anni, una

DISSIDENTI

Il Counter

IntelligenceProgramme(Cointelpro)era un progettodell’Fbi di J. Ed-gar Hoover, at-tivo tra il 1956e il 1971, cheusava la tecnicadella diffama-zione controi dissidenti, icomunisti, ilmovimentoper i diritti deineri. Tra le pro-vocazioni delCointelpro, unafalsa lettera sucarta intestatadell’Fbi in cui siaffermava cheun leader delleBlack Panther,RaymondHewit, era uninformatore,affinché i suoicompagni loritenessero untraditore

La miste-riosa mortedell’attrice

di “Finoall’ultimorespiro” diGodard.

Che avevaun difetto:sostenevai movimen-ti per i di-ritti civili

donna bianca che partorisce unfiglio “negro” fa scandalo. Il 3 giu-gno 1970 l’agente speciale Heldinvia al suo direttore copia del-l’articolo apparso sul Los Angeles Times : la missione è compiuta.

Intanto, Jean Seberg è trau-matizzata. E’ al settimo mese digravidanza e forse sono i son-niferi per poter dormire in queigiorni di scandalo che contribui-scono ad anticipare le doglie: dàalla luce una bambina prematurache muore due giorni dopo, l’8settembre 1970. E la bambinaè bianca. Per smentire definiti-

 vamente la provocazione orche-strata dall’Fbi, Jean indice unaconferenza stampa mostrando aigiornalisti il corpo della neonatae anche al funerale pretende unabara scoperchiata, perché tutti

  vedano che la bimba non è dicolore.

Appoggiata dal marito diallora, Romain Gary, l’attrice faanche causa a tre giornali, vince

e ottiene pubbliche scuse. Ma se-condo Gary la perdita del figlioinfluì molto sulla psiche di Jean,inducendola a intenti suicidi.

La diffamazione aveva la-sciato il segno e Jean Sebergtrova tutte le porte chiuse a Hol-lywood. Deve così tornare inEuropa, dove appare in nume-rosi film italiani, francesi, inglesie spagnoli. Ma sulla sua carrieraormai pesava quello scandalo,mentre in America le Panterenere venivano distrutte metodi-camente e i suoi amici morivano

spesso misteriosamente.Lo stesso Hakim Ja-

mal viene ucciso

nel 1973. Il tele-fono di Jean eraintercettato, lestanze d’alber-go che la ospi-tavano erano

ispezionate insua assenza, veni-

  va sempre pedinata.L’Fbi intimidiva persino

i fan che le chiedevano autografi,interrogandoli e perquisendoli.Per Jean Seberg era inevitabile la

 

IL GIALLO DEL MESE

Jean Seberg 

In alto,

e a sinistra:

Jean Seberg.

In basso:

Alberto

Bevilacqua

la fine di un’icona

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culture

1970

Il ricatto

all’attrice

incinta

Il grande nemico di JeanSeberg era J. Edgar Hoo-

 ver, direttore dell’Fbi per40 anni. Esperto in ricatti,anche contro i presidentidegli Stati Uniti, Hooverconsiderava l’attrice un pe-ricolo per la sicurezza nazio-nale, a causa dei suoi legamicon le Pantere nere. In undocumento scriveva: «JeanSeberg ha fornito appoggiofinanziario al Bpp (Black Panther Party) e dovrebbe

essere neutralizzata».Per rovinarle la carriera,Hoover utilizzò quindi ilfamigerato Counter Intel-ligence Programme (Coin-telpro), che permettevaall’Fbi di inscenare provo-cazioni contro i dissidenti.Diversi documenti riservatidell’Fbi, resi pubblici in baseal Freedom Of InformationAct, rivelano che Hooverordinava di utilizzare lettereanonime per accusare espo-nenti delle Pantere nere diomosessualità o di aver ru-bato fondi del partito.

Nel maggio 1970, l’Fbidi Los Angeles autorizzaun suo agente a inviare unalettera sotto falso nome auna rubrica di gossip delLos Angeles Times , per dif-fondere la notizia che Jeanaspetti un figlio da un espo-nente del Black PantherParty. L’agente speciale chearchitettò l’operazione con-tro Jean Seberg era Richard

 W. Held. Questo è il testodel suo memorandum aHoover: «Si propone l’invioa giornalisti delle seguentefalsa lettera: “Stavo propriopensando a te e mi sono

ricordato che ti devo unfavore. Dunque… ero a Pa-rigi la settimana scorsa e misono imbattuto in Jean Se-berg, che era incinta. Pensaiche lei e Romaine fosserotornati insieme, ma mi haconfidato che il bambinoè di (omissis) delle Black Panthers, un (omissis). Pen-savo che ne potresti fare unoscoop prima degli altri. Staibene e a presto. Baci, Sol”.Le precauzioni consuetedevono essere prese dallaDivisione di Los Angelesper evitare l’identificazionedell’Ufficio come fonte del-

la lettera se sarà data l’ap-provazione».In seguito Held diven-

ne Sac (Special Agent inCharge) a San Francisco, edè stato accusato anche di unattentato ai danni di un’atti-

 vista di “Earth First”. Heldsi ritirò poi dall’Fbi e diven-ne capo della sicurezza perla Visa International.

IVO SCANNER

depressione. Dal 1975 non lavorapiù.

Poi, nell’agosto 1979, quando Jean non ha ancora compiuto 41anni, improvvisamente si perdo-no le sue tracce. La sera di sabato8 settembre 1979 un po-liziotto fuori servizionota una Renaultcoperta di fogliee polvere, a ruedu GeneralAppertin, inun quartiereresidenziale vi-

cino agli Champs-Élysées. Aprelo sportello e trova un corpo rag-gomitolato sul sedile posteriore.E’ una donna bionda, è Jean Se-berg. Ha la pelle macchiata dabruciature di sigaretta. Vicino

al cadavere in avanzatostato di decomposi-

zione ci sono mol-ti flaconi vuoti dimedicine e unabottiglia di ac-qua minerale. Imedici diran-no che la morte

risaliva a moltigiorni prima, pro-

babilmente subitodopo la scomparsa nel

nulla dell’attrice. Ufficial-mente si trattava di suici-dio per overdose di bar-biturici. L’autopsia rivelò

che nel sangue del-l’attrice il livello dialcol era dell’8 percento per litro.

Ma già

BELLA E ANTICONFORMISTA

 Jean Seberg era odiata dai reazionari americani per-ché incarnava la donna non conformista, detesta-

vano la sua immagine di “spirito libero” per certiversi molto trasgressiva. Aveva i capelli bionditagliati corti, alla “maschietta”, a incorniciare unvolto innocente per sottolineare un’androgi-

nia e un’ambiguità sessuale dirompente pergli anni Sessanta. Il suo viso ingenuo e pulitofaceva contrasto con i personaggi a voltetorbidi che interpretava.Figlia di un farmacista dell’Iowa, nata il 13novembre 1938, ancora adolescente Jean

incontra il regista Otto Preminger che lafa esordire in Saint Joan (1956) e la dirige ancoraaccanto a Deborah Kerr e David Niven in Bonjour Tristesse (1957), tratto da un romanzo di FrançoiseSagan e girato in Francia. Il film diede inizio al mitodell’attrice presso il pubblico francese, un succes-so che esplose nel 1959 con Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard. Da allora la sua carriera si consoli-

dò e Jean Seberg apparve in decine di film a fianco digrandi star internazionali, diventando un’icona deglianni Sessanta. Ma non rinunciava all’impegno politico,culminato nel fatidico 1968. La Cia era preoccupatadelle sue attività e ne inserì il nome nel Security In-dex, iniziando a pedinarla. In nessuno dei documenti

riservati che sono stati resi pubblici si dà conto diattività illegali dell’attrice, ma l’Fbi non smise mai diintercettare le conversazioni private dell’attrice congli esponenti del Black Panther Party.Proprio pochi giorni prima della morte di Jean,l’Fbi aveva reso pubblici i documenti che rivelavanol’operazione di discredito inscenata contro l’attrice(ma che erano già in possesso dei legali della Sebergda tre anni). L’attrice rimase scomoda anche dopola morte: sembra che The United States Informa-tion Agency (Usia), l’agenzia governativa che curaval’immagine americana all’estero, abbia ostacolato intutto il mondo la riprogrammazione dei suoi film.

I. S.

il 6 per centodi alcol pro-

  voca il coma.Nessuna bot-tiglia di alcolici

  venne trovatasull’auto o neidintorni: se ladonna era giàcosì intossicatacome aveva fat-to a guidare e aparcheggiare lasua auto? Mol-ti, da allora, sonoconvinti che JeanSeberg sia stata“suicidata”.

Su tutta la vi-cenda è sceso il silenzio, tropposcomodo ricordare un episodiotanto oscuro e drammatico. Mapochi giorni fa, a quasi trent’an-ni dalla tragedia, ci sono statedelle rivelazioni, in Italia, chepotrebbero riaprire il caso. Sul Magazine del Corriere della sera , il 27 marzo scorso, il regista escrittore Alberto Bevilacqua haparlato della «morte annuncia-ta» di Jean Seberg. L’attrice nel1971 aveva recitato in un film diBevilacqua, Questa specie d’amo-re , a fianco di Ugo Tognazzi eFernando Rey, e il regista avreb-be raccolto delle sue confidenzeclamorose: «“Stanno per ucci-

dermi”, mi ripeteva Jean. Miparlava di quanti complottavanocontro di lei, per la sua apparte-nenza a gruppi eversivi, fra que-sti Le tigri nere. Io l’ascoltavo enon le credevo. Pensavo a unasua mania di persecuzione. Non

ritenevo vero-simili le mo-

struosità cheprospettava.Mi ripeteva:“Mi trove-ranno mortamagari sot-to un pon-te, magariimbottitadi droga, ioche non homai presone s su nad r o g a ” .Un’atrocefine che

avvenne come mel’aveva descritta, sotto un pontedi Parigi».

Il nostro Bevilacqua confon-de tigri con pantere e non ri-

nuncia a usareil linguaggiodella Cia de-scrivendolecome “gruppieversivi”, cosìcome sbagliaquando scriveche l’attrice èstata trovatamorta sottoun ponte. Male memoriedi Bevilacqua

sono moltoi m p o r t a n -ti, perché rivelano per la prima

 volta che Jean Seberg temeva diessere uccisa. E descriveva concura proprio il metodo che sa-rebbe stato scelto: non un colpodi pistola, non un finto inciden-te, ma la somministrazione disostanze micidiali.

Oggi, dopoquasi 30

anni, le ri-velazioni diBevilacquasulle pauredell’attrice:«Stanno peruccidermi,diceva. Mitroverannoimbottita

di droga»

29

 

A destra: Jean-

Paul Belmondo

con l’attrice e

la locandina di

“Fino all’ultimo

respiro”.

In basso:

Edgar Hoover.

Sotto: una

manifestazione

delle Pantere

nere

Giovedì 17 Aprile 2008

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22 Giovedì 22 Maggio 2008

IL GIALLO DEL MESE

RILEVAMENTI

Spiaggia di Ca-pocotta, sul li-

torale romano,1953. Durantei rilievi di cara-binieri e polizia,alcuni giornalisti“partecipanoattivamente”alle indagini, so-no Italo Fasan(l’ultimo a destranella foto), as-sieme al collegaLucchi, cronisti,tra i fondatoridi Paese Sera,storica testatanata nel 1949.Il caso Montesi

fu uno dei casidell’epoca incui la “scenadel crimine”era aperta alcontributoanche dellastampa

IL LINGUAGGIO

Il caso Montesi provocò an-che dei cambiamenti impor-tanti nel linguaggio politicoitaliano. Innanzitutto creò iltermine “capocottari”, evo-cando la zona di Capocottadove sarebbero avvenuti i fe-stini a base di sesso e droga alcentro del processo.Se la propaganda politica deicomunisti aveva già coniato

il termine “forchettoni” peretichettare il clientelismo el’affarismo democristiano,ora c’era un epiteto nuovoe ancora più tagliente. GianCarlo Pajetta, dirigente e de-putato del Pci, lanciava dagliscranni di Montecitorio quelgrido che suonava comeun’accusa a un’intera classedirigente: “Capocottari!”.E proprio con il caso Mon-tesi viene coniato il concettodi “questione morale”, gra-zie a un editoriale in primapagina su l’Unità del 17 feb-braio 1954 firmato da PietroIngrao, allora direttore del

quotidiano: «Collegate all’af-fare Montesi, in una succes-sione drammatica, sono ve-nute le rivelazioni, o almenole denunce, circa un torbidosettore di affari equivoci, ditraffici di droga, di corruzio-ne, che sconfinava nel mon-do politico ufficiale. E il casogiudiziario si è mutato in unaseria questione morale».

I. S.

Un omicidio che sconvolse gli scenari politici IVO SCANNER

Cocaina. Politica corrotta.Amicizie scomode tra mi-nistri e imputati. Spionaggi

oscuri e depistaggi di poliziotti ecarabinieri. Moralisti che in realtànascondono segreti inconfessabi-li. Magistrati che diventano star.Ragazze disposte a tutto. Que-stione morale.

Sono passati 55 anni, ma ilcaso Montesi contiene “ingre-dienti” che potrebbero essere dioggi. Anticipati con più di mezzosecolo di anticipo. Un delitto sen-

za colpevoli, come tanti degli annia venire, che ebbe come vittimauna ragazza romana di 21 anni.

  Tutto comincia l’11 aprile1953, quando il cadavere di Wil-ma Montesi viene trovato sullaspiaggia di Torvajanica, a pochichilometri da Roma. I genitori lacercavano da due giorni. La ra-gazza è semisvestita, priva in par-ticolare del reggicalze che alloratutte le donne portavano e che Wilma indossava il giorno della

scomparsa, come confermano ifamiliari.

L’autopsia rivela che la ra-gazza è morta per annegamento,nient’altro. I genitori pensanosubito al suicidio, ma nel giro dipochi giorni siricredono: for-se qualcuno haucciso Wilma.Eppure la que-stura di Romaha un’altraidea, che fa-rà scalpore.

La ragazzasarebbe mor-ta in seguitoa un malore,provocato dauna sindromepremestruale,mentre faceva un pediluvio nelleacque del mare per guarire un’ir-ritazione cutanea al calcagno.

La tesi del pediluvio, a suomodo grottesca, era un tentativomaldestro per chiudere imme-

coraggio di fare esplicitamente ilnome di Piccioni. Ma l’establish-

ment giornalistico e politico hala consegna del silenzio, perchéincombono le elezioni. A duesettimane da quell’articolo su Vie 

 Nuove, infatti, si tengono le im-portanti elezioni politiche che vedono sconfitta la “legge truffa”maggioritaria voluta da AlcideDe Gasperi. Dopo la disfatta siapre, così, una lotta nella Dc perla supremazia nel partito, e AttilioPiccioni è uno dei favoriti.

A quel punto, il caso Montesi

diventa occasione per la battagliainterna alla Democrazia cristiana,da parte di chi vede la possibilitàdi bloccare la scalata di Piccioni ai vertici del partito. Incomincianoa muoversi soggetti oscuri, dentrole istituzioni e le forze dell’ordine,non più per insabbiare i risvoltiinquietanti del delitto Montesi,ma per amplificarli.

A dare il “la” ci pensa un gio- vane giornalista in cerca di suc-cesso, Silvano Muto. Ha appena

Montesi: caso irrisolto

di un delitto moderno

diatamente le indagini. Ma tantafretta e una spiegazione così as-surda non convincono i giornali-sti, che si trasformano da subitoin investigatori.

Ed ecco che circolano le pri-me voci: un personaggio notosarebbe implicato nella morte di Wilma Montesi. Chi sia, all’ini-zio è un mistero. Poi comincia-no le “soffiate”. E’ il figlio di unministro. Un giornale satiricodi destra pubblica una vignettaallusiva: un piccione che ha nelbecco un reggicalze. Una vignetta

apparentemente incomprensibile,se non fosse che nel 1953 c’è unalto dirigente democristiano chesi chiama Attilio Piccioni e cheha un figlio, Piero, molto noto nelmondo dei salotti romani.

Ed ecco che la politica entranel giallo. Il quotidiano ufficialedel Pci, l’Unità , e il “fiancheg-giatore” Paese sera cominciano achiedere chiarezza. Ed è un altroperiodico vicino ai comunisti,Vie Nuove , che per primo ha il

I giornalistinon si ac-contenta-rono dellefrettolose

spiegazionidegli inqui-

renti e co-minciaronoa indagarerivelandoben prestoi retroscena

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culture

 varato una nuova rivista e sul pri-mo numero colloca una bomba:nella vicenda Montesi, sostiene,c’entrano la droga, i festini a sfon-do sessuale e i nobili, o ricchi e ifaccendieri che frequentano unatenuta di caccia a Capocotta, pro-prio nei dintorni di Tor Vajanica.La tesi è semplice: Wilmasi è sentita male duran-te un festino a basedi cocaina e sesso,chi era presente,

preso dal pani-co, l’ha portatasulla spiaggiae l’ha lasciatasul bagnasciuga.Basta una scintil-la per far scoppiarela bomba. Ed ecco ilnome di chi orchestrereb-be le serate allegre di Capocotta.E’ un marchese, già spia fascistae pregiudicato, si chiama UgoMontagna. E a incastrarlo c’è unaragazza, Anna Maria MonetaCaglio, che è stata sua amante eche probabilmente vuole vendi-carsi di essere stata lasciata. Maracconta con dovizia di particolariun sottobosco corrotto, intreccia-to con la politica. A convincerla aparlare sono alcuni gesuiti ai qualisi rivolge. I gesuiti non perdonotempo e avvisano due potenti dcdell’epoca, Amintore Fanfani eGiulio Andreotti.

Fanfani, che vuole bloccarel’ascesa del suo rivale Piccioni,punta sull’arma dei carabinieri,mentre la polizia di stato remacontro, grazie alle amicizie auto-revoli del marchese Montagna,all’ispirazione di altre correnti delpartito democristiano e all’ap-poggio del potente ministro degliInterni, Mario Scelba.

Ormai l’archiviazione del casoMontesi è impossibile, perché laCaglio, soprannominata “il cignonero” dai giornali per il suo collosinuoso, in tribunale fa nomi ecognomi. E il processo per dif-famazione contro Silvano Mutoinaugura invece lunghi anni diindagini.

A Muto e Caglio si aggiun-ge, nel dipingere a fosche tintel’ambiente frequentato da Pic-cioni, anche un’altra ragazza, piùintellettuale del “cigno nero”, madi certo più confusa, Adriana Bi-saccia. E’ lei la “fonte” che ha datole notizie esplosive a Muto. Tratante fantasie e invenzioni, pe-

rò, ormai sembra certo che ci siaqualcosa di vero. L’ambiente tor-bido che viene descritto troveràriscontri anche nel processo, perquanto senza che mai si giungaalle prove di una responsabilitànella morte di Wilma Montesi.

Per quasi quattro anni si susse-guono le polemiche e le manovre.Mentre polizia e carabinieri stila-no “appunti riservati” che semina-no veleni a uso dell’una o dell’altrafazione in gioco, in Parlamento il

caso Montesi diventa oggetto discontro tra maggioranza e oppo-sizione, con socialisti e comunistiin prima linea per impedire chetutto finisca sotto silenzio.

Quando a Piero Piccioni vie-ne ritirato il passaporto, il padresi dimette da ministro. E Fanfaniha campo libero nel partito. Delresto, molti osservatori hannosostenuto che fu proprio Fan-

fani a trarre vantaggio da tuttala vicenda e al suo ruolo accen-nò persino Aldo Moro nel suo“memoriale” dalla prigione delleBrigate rosse.

Ma anche il Pci paga unprezzo all’intensificarsi dei duellisul delitto Montesi. L’avvocato diSilvano Muto è Giuseppe Sotgiu, vicino ai comunisti e presiden-te della Provincia di Roma. Perneutralizzarlo, si orchestra un al-tro scandalo che oggi si definireb-

be a luci rosse: viene fotografatomentre con la moglie esce da unacasa d’appuntamenti. Lo si accusadi avere coinvolto in giochi eroti-ci un minorenne e anche se verràscagionato (il ragazzo aveva giàraggiunto la maggiore età) la suaimmagine politica è distrutta.

Con tutti questi colpi di scenae tutti questi intrighi, l’attenzio-ne che i giornali dedicano al casoMontesi non ha precedenti. Latelevisione è ancora ai primi passied è blindata dalla stretta osser-

 vanza governativa, quindi tuttal’informazione sul de-

litto passa attraversola carta stampata.

A ogni sedutadel processo lagente si affolladavanti al tri-bunale e il giu-dice istruttore

Raffaello Sepediventa popolaris-

simo.Per la prima voltal’opinione pubblica italiana

del dopoguerra si trova clamo-rosamente di fronte un sistemadi potere dove la legge non èuguale per tutti, dove chi ha leconoscenze giuste viene ricevutodal capo della polizia e aiutato astornare da sé ogni sospetto. Nonimporta che sia davvero innocen-te, di certo gode di privilegi che igiornali di allora (ormai in garaper le rivelazioni più eclatanti)non esitano a evidenziare.

Come avviene ancora neinostri anni, pur di trovare un col-pevole “facile” si trascurano altre

piste e si finisce per non accertarela verità. Così, nell’ostinazionedella pista Montagna-Piccioni,

 vennero sottovalutati altri filonedelle indagini. Si liquidò frettolo-samente la posizione di Mauriziod’Assia, un rampollo di casa Sa-

 voia frequentatore di Capocottae visto da alcuni testimoni nellazona del delitto. E sembrò trop-po torbida una pista che portassea Giuseppe Montesi, lo zio di

 Wilma, legato da una passione

LETTERATURA

Del caso Mon-tesi si occupa-rono alcunefirme eccellenti.Il clamore in-torno a quellavicenda varcòi confini italianie scrissero sulprocesso ilsaggista HansMagnus En-zensberger, lapoetessa Inge-borg Bachmanne il romanziereGabriel GarciaMarquez. Anchel’inventore delcommissarioMaigret, Geor-ges Simenon,disse la sua su“Epoca”. E tragli italiani, firma-

rono reportagesulla vicenda, tragli altri, giornali-sti di fama comeEnzo Biagi UgoZatterin

“EPOCA”

Racconta

Simenon

Ecco come, nel 1957, Geor-ges Simenon raccontò alsettimanale Epoca  in che

modo avrebbe descritto la fi-ne di Wilma Montesi in unromanzo: «Nel romanzo fareidella ragazza il tipo moderno dibuona famiglia, disposta a pas-sare un pomeriggio divertentein compagnia di un giovanebello, elegante, ricco, artista, mapensando sempre al sicuro etranquillo matrimonio con unfidanzato “serio”. Wilma giocaa interpretare uno spogliarello:si toglie la giacca, prima, poi lagonna, le calze, il reggicalze, il

busto. Vuol rimanere più libe-ra. Il giovane, immaginiamolomusicista, siede al pianofortee improvvisa un ritmo. Wil-ma balla, chiede una sigaretta.Il suo amico gliene offre unaalla marihuana, gliela accen-de. Spera, forse, che la drogaallenti i freni inibitori dellaragazza, che la faccia cedere.Il cuore di Wilma, invece, nonresiste. Il giovane è terrorizza-to, non sa che cosa fare. Tenta,con ogni mezzo, di svegliare laragazza: spera ancora che si siaaddormentata. Poi, di colpo, sirende conto di quello che gliè capitato. Afferra il telefono,chiede aiuto a un amico. “Checosa vuoi fare?”, gli rispondonoall’altro capo del filo, “buttalain mare e non pensarci più.Nessuno l’ha vista venire date? Nessuno sa che la conosci?E allora di cosa hai paura? Ilgiovane tenta di rivestire la ra-gazza, ma non ci riesce. La po-lizia e i medici sanno che nonc’è nulla di così difficile quantorivestire un cadavere. Allora laprende così com’è, la mette sulsedile posteriore della sua autoe corre verso la spiaggia. Cer-ca una barca per trasportare ilcorpo al largo, ma non la trova.

Per timore che qualcuno possa vederlo, abbandona il corpo di Wilma sulla battigia e tornasubito a casa».

I. S.

23Giovedì 22Maggio 2008

segreta per la ragazza e privo diun alibi convincente per il giornodel delitto.

Così, tutti gli imputati saran-no assolti, al processo che si tienea Venezia nel 1957. A subire unacondanna (per calunnia) sono solo

Bisaccia, Caglio e Muto,i grandi accusatori. Chiha ucciso Wilma Mon-tesi resta senza nome.

Proprio come intante vicende dei no-

stri giorni, politica ecronaca nera si intrec-ciano già allora con ilmondo dello spetta-colo. Non solo PieroPiccioni era un’arti-sta, un musicista che

dopo lo scandalo arriverà a gran-de notorietà, ma la sua fidanzatadell’epoca era addirittura AlidaValli, l’attrice italiana che trion-fava a Hollywood. Proprio AlidaValli fornì a Piccioni un alibi peril giorno del delitto.

E le ragazze “perdute” checostellano tutto il caso Montesisembrano prefigurare le veline dioggi, pronte a qualsiasi compro-messo pur di ottenere una scalatasociale. E con il miraggio finaledell’ingresso in politica, pro-prio come adesso: Anna MariaMoneta Caglio, in un’intervistaa “Epoca” del 27 gennaio 1957,affermava di avere “un grandedesiderio”, quello della “carrierapolitica”.

A distanza di 55 anni, dunque,le anticipazioni contenute nel ca-so Montesi sono molte. Due cose,però, sono cambiate radicalmente.In Italia non c’è più una sinistraparlamentare in grado di impe-dire gli insabbiamenti. E non c’èpiù quel senso etico della politica

che, per uno scandalo che travol-se il figlio, indusse alle dimissioniil ministro democristiano AttilioPiccioni. Oggi, viceversa, gli scan-dali sembrano paradossalmenteportare fortuna.

Le ragazzeperdute

che costel-lano il caso

Montesisembranoprefigurarele veline dioggi, pron-te al com-promesso

per la scala-ta sociale

A sinistra: Wilma

Montesi, che,

al ritrovamento

del corpo,

fu chiamata

dai giornali

“la ragazza

della battigia”;

a destra:il marchese

Ugo Montagna.

In basso

da sinistra:

Anna Maria

Moneta Caglio

e un’immagine

del corpo della

vittima; sotto:

il musicista

Piero Piccioni