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Kinds of Blue: la musica di Miles Davis Miles Davis Miles Davis (Alton, IL 1926 Santa Monica, CA1991) Studi a East St. Louis 1945, New York: brevemente alla Juilliard School of Music, sideman con Billy Eckstine, Charlie Parker, Dizzy Gillespie e altri. 1947-48: membro stabile del quintetto di Parker e partecipazione al workshop di Gil Evans che culmina nel 1949-50: registrazioni, firmate come leader di Birth of the Cool con Gerry Mulligan, Johnny Carisi, John Lewis, Lee Konitz… 1949-54: varia attività con musicisti bebop (a parte Parker e Gillespie, J.J. Johnson, Horace Silver, Sonny Rollins, Thelonius Monk, Milt Jackson) e dipendenza dall’eroina 1955-57: I quintetto con John Coltrane (ts), Red Garland (p), Paul Chambers (b), Philly Joe Jones (d) Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’,’Round Midnight (tutti del 1956) 1957: a Parigi, musiche per Ascenseur pour l’échafaud di Louis Malle Ancora con Gil Evans: Miles Ahead (1957) 1957-59: il quintetto è ampliato a sestetto con Julian Cannonball Adderley (ts, as), a Red Garland succedono Wynton Kelly e Bill Evans (p), e a Philly Joe Jones succede Jimmy Cobb (d) Milestones (1958), Porgy and Bess (1958), Kind of Blue (1959), Sketches of Spain (1959-60) Lasciano Miles per formare gruppi propri: Bill Evans (1958), Julian Cannonball Adderley (1959), John Coltrane (1960), Kelly con Chambers e Cobb (1962) e nei primi anni Sessanta Miles impiega nelle sue formazioni diversi musicisti tra cui Victor Feldman (p), George Coleman e Sam Rivers (ts) 1963-68: II quintetto con Wayne Shorter (1964-70), Herbie Hancock (1963-68), Ron Carter (1963- 68), Tony Williams (1963-69) 1968-69: popolarizzazione del jazz-rock o della fusion, inizio del periodo elettrico In A Silent Way, Bitches Brew (1969) Fine anni Sessanta-inizio anni Settanta, numerosi musicisti entrano nella ed escono dalla band di Miles: Chick Corea, Joe Zawinul, Keith Jarrett (p/k), John McLaughlin (g), Miroslav Vitous, Dave Holland, Michael Henderson (b), Jack DeJohnette, Billy Cobham, Al Foster, Airto Moreira (d/p), Bennie Maupin, Steve Grossman, Gary Bartz, Dave Liebman (s)

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Kinds of Blue: la musica di Miles Davis

Miles Davis

Miles Davis (Alton, IL 1926 – Santa Monica, CA1991)

Studi a East St. Louis

1945, New York: brevemente alla Juilliard School of Music, sideman con Billy Eckstine, Charlie

Parker, Dizzy Gillespie e altri.

1947-48: membro stabile del quintetto di Parker e partecipazione al workshop di Gil Evans che

culmina nel

1949-50: registrazioni, firmate come leader di Birth of the Cool con Gerry Mulligan, Johnny Carisi,

John Lewis, Lee Konitz…

1949-54: varia attività con musicisti bebop (a parte Parker e Gillespie, J.J. Johnson, Horace Silver,

Sonny Rollins, Thelonius Monk, Milt Jackson) e dipendenza dall’eroina

1955-57: I quintetto con John Coltrane (ts), Red Garland (p), Paul Chambers (b), Philly Joe Jones

(d)

Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’,’Round Midnight (tutti del 1956)

1957: a Parigi, musiche per Ascenseur pour l’échafaud di Louis Malle

Ancora con Gil Evans: Miles Ahead (1957)

1957-59: il quintetto è ampliato a sestetto con Julian Cannonball Adderley (ts, as), a Red Garland

succedono Wynton Kelly e Bill Evans (p), e a Philly Joe Jones succede Jimmy Cobb (d)

Milestones (1958), Porgy and Bess (1958), Kind of Blue (1959), Sketches of Spain (1959-60)

Lasciano Miles per formare gruppi propri: Bill Evans (1958), Julian Cannonball Adderley (1959),

John Coltrane (1960), Kelly con Chambers e Cobb (1962) e nei primi anni Sessanta Miles impiega

nelle sue formazioni diversi musicisti tra cui Victor Feldman (p), George Coleman e Sam Rivers

(ts)

1963-68: II quintetto con Wayne Shorter (1964-70), Herbie Hancock (1963-68), Ron Carter (1963-

68), Tony Williams (1963-69)

1968-69: popolarizzazione del jazz-rock o della fusion, inizio del periodo elettrico

In A Silent Way, Bitches Brew (1969)

Fine anni Sessanta-inizio anni Settanta, numerosi musicisti entrano nella – ed escono dalla – band di

Miles: Chick Corea, Joe Zawinul, Keith Jarrett (p/k), John McLaughlin (g), Miroslav Vitous, Dave

Holland, Michael Henderson (b), Jack DeJohnette, Billy Cobham, Al Foster, Airto Moreira (d/p),

Bennie Maupin, Steve Grossman, Gary Bartz, Dave Liebman (s)

1975-80: ritiro dalle scene, malattie, depressione

1981: ritorno con nuovi gruppi

Giovani nuovi musicisti che entrano nella band: i saxofonisti Bill Evans (1980-84), Branford

Marsalis (1984-85), Bob Berg (1985-87) e Kenny Garrett (dal 1987), i chitarristi Mike Stern (1981-

83), John Scofield (1982-85), il tastierista Bobby Irving III (1980 e dal 1983). Negli anni Ottanta

molti musicisti che suonano con Miles non provengono più dal jazz ma piuttosto dal rock o da altri

tipi di musica.

- La musica di Miles: continuo rinnovamento, apertura a sollecitazioni diverse nel corso dei

decenni, cambi di direzione che spesso hanno disorientato la critica (Duke Ellington: Miles Davis è

“il Picasso del jazz”). Dal bop al cool (1949-50) allo hard bop (anni Cinquanta) al jazz modale

(1958-59) alla fusion (1969) sino al pop (1980-91): percorso che attraversa la storia del jazz

moderno, ne anticipa e ne segna alcune svolte essenziali

- Miles talent scout e il rapporto complesso e controverso con i suoi sidemen

- Miles compositore: aspetto multiforme e problematico, spesso non chiarito da quanto dichiarato

nelle registrazioni:

1) Autore di temi come Boplicity, Milestones, So What, All Blues, Freddie Freeloader, Nardis

2) Leader che si appropria di brani composti in realtà dai suoi sidemen come Blue in Green (di Bill

Evans) e forse anche Solar (in origine Sonny di Chuck Wayne)

3) Leader che sviluppa, modifica e amplia idee dei suoi sidemen come Flamenco Sketches (da Bill

Evans) o In A Silent Way (da Joe Zawinul), prassi di appropriazione-collaborazione creativa poi

diventata comune nel periodo fusion

4) Personalità complessa, contraddittoria, controversa tanto nell’attività musicale quanto nella vita:

egocentrico e insicuro, carismatico e sensitivo, orgoglioso e autodistruttivo, irascibile e scontroso e

ironioco e giocoso…Gli aggettivi per definirlo potrebbero essere infiniti.

* The Miles Davis Story

DVD Video, Mike Dibb Producer/Director

Legacy 82876898679, 2001

Sin dagli esordi ricerca di una via alternativa allo stile dell’improvvisazione bop negli anni

Quaranta definito per la tromba da Dizzy Gillespie sia per una tecnica strumentale limitata – e in

ogni caso non paragonabile a quella di virtuosi come Gillespie e Roy Eldridge – sia per interessi

diversi. Definizione invece di alcune caratteristiche che rimarranno essenziali nel modo di suonare

di Miles anche nei decenni a venire:

- melodie liriche e distese imperniate attorno al registro medio

- repertorio di licks limitato e ripetitivo al punto da far apparire molti assoli tanto “composti”

quanto “improvvisati”

- armonia conservatrice, in stretto accordo con l’accompagnamento (fino al II quintetto)

- sottile senso della distribuzione ritmica e delle sfumature espressive

- sordina harmon (dal 1954), suono divenuto una sorta di marchio distintivo di Miles

- impiego del flicorno in alternativa alla tromba (nelle registrazioni con Gil Evans)

Birth of the Cool (1949-50)

Serie di 12 registrazioni realizzate nel 1949-50 per la Capitol da Miles Davis come leader con un

nonetto e soltanto in seguito raccolte con il titolo editoriale Birth of the Cool (1957). In origine i

pezzi furono pubblicati su 78 giri e per questo durano all’incirca 3’ ciascuno (poi in LP, 1964, 1957,

1971) Le registrazioni si avvalgono di musicisti di grande valore, utilizzano un organico inusuale,

arrangiamenti innovativi influenzati dalla musica eurocolta e sono considerate in genere come uno

sviluppo molto significativo del post-bebop e come l’inizio del cosiddetto cool jazz.

All’origine ci sono gli incontri informali dei musicisti nell’appartamento di Gil Evans nella 55a

strada (non lontano dai jazz club dalla 52a): Evans aveva acquistato grande reputazione come

orchestratore dell’orchestra di Claude Thornhill e agiva da catalizzatore nella ricerca di un nuovo

tipo di musica e sonorità. Come scrive Ted Gioia: “[The salon members] were developing a range

of tools that would change the sound of contemporary music. In their work together, they relied on

a rich palette of harmonies, many of them drawn from European impressionist composers. They

explored new instrumental textures, preferring to blend the voices of the horns like a choir rather

than pit them against each other as the big bands had traditionally done with their thrusting

[ambiziose] and parrying [combattive] sections. They brought down the tempos of their music . . .

they adopted a more lyrical approach to improvisation…” (Ted Gioia, The Birth (And Death) of the

Cool. Golden, Colo.: Speck Press, 2009, p. 83).

Evans all’inizio sperava che al progetto potesse lavorare Charlie Parker, poi comprese che Parker

non poteva essere interessato a un progetto collettivo anziché individuale, al suono di un ensemble;

l’incontro con Miles nell’estate del 1947 fu decisivo. Sarebbe stato Miles a dirigere il progetto; e fu

anche l’inizio di una lunga, fruttuosa collaborazione e amicizia. Decisiva fu anche l’ingresso nel

gruppo di Gerry Mulligan, che contribuì attivamente con Evans alla definizione dell’ensemble,

ampliando il consueto quintetto bop a un nonetto con l’aggiunta di sax baritono, trombone, corno,

tuba, accoppiando i fiati così da creare – come ricorda Mulligan – tre diversi registri per gli

strumenti melodici (omettendo, tra l’altro, in modo piuttosto inusuale il sax tenore in favore del

contralto) e una sorta di orchestra in miniatura, ricca di colori diversi, con 6 fiati e 3 strumenti per la

sezione ritmica:

Quintetto bop Nonetto Birth of the Cool

Tromba

Sax contralto

Tromba Registro acuto

Sax contralto

+

Sax baritono Registro medio

Trombone

+

Corno Registro grave

Tuba

Sezione ritmica

Pianoforte

Basso

Batteria

Sezione ritmica

Pianoforte

Basso

Batteria

Le idee sonore che ispirarono questa formazione derivavano in larga misura dall’orchestra di

Claude Thornhill (da cui provenivano Gerry Mulligan e Lee Konitz), famosa per le sue sonorità

impressionistiche, la raffinatezza delle dinamiche e delle armonie e per un particolare uso della

strumentazione (con corni e tuba), nonché per uno stile esecutivo senza vibrato. Gil Evans ricorda

che “Miles had liked some of what Gerry and I had written for Claude. The instrumentation for the

Miles session was caused by the fact that this was the smallest number of instruments that could get

the sound and still express all the harmonies the Thornhill band used. Miles wanted to his idiom

with that kind of sound”(Stephanie Crease, “Gil Evans: Forever Cool." Down Beat, May 2012. p.

33).

Davis, Evans e Mulligan iniziarono poi a chiamare i musicisti; Davis era alla tromba e Mulligan al

sax baritono; per il sax contralto Miles pensava a Sonny Stitt, il cui suono molto bop s’avvicinava a

quello di Charlie Parker, per cui poi fu ingaggiato per il suo suono leggero Lee Konitz,

dell’orchestra di Thornhill, da cui furono chiamati anche molti altri sidemen. Altri musicisti furono

chiamati dai gruppi bop attivi a New York in quel periodo: il trombonista J.J. Johnson, i pianisti

John Lewis e Al Haig, i batteristi Max Roach e Kenny Clarke.

Ingaggio al Royal Roost per due settimane nel settembre 1948, dove Pete Rugolo ascolta il gruppo e

gli propone di realizzare alcune registrazioni per la Capitol: tre sessioni tra il 1949 e il 1950 con soli

quattro musicisti presenti a tutte e tre (Miles, Mulligan, Konitz e il suonatore di tuba John Barber);

altri musicisti di rilievo a prendere parte alla registrazione furono Kai Winding al trombone e

Gunther Schuller al corno.

Fonte generativa di successive esperienze per Davis e molti degli altri partecipanti alla registrazione

a dispetto del fatto che il nonetto suonò poco dal vivo prima della registrazione stessa e che questa

rimase unica. Rapporto dialettico con il bop – da cui peraltro l’esperienza in questione

indubitabilmente nasce – per cercare di superarne alcuni aspetti: in particolare gli arrangiamenti

elementari, le sonorità aggressive e le strutture esecutive dei piccoli gruppi.

1. Approccio alla scrittura per ensemble che conserva la freschezza e immediatezza

della musica improvvisata con fusione di elementi bop con altri aspetti: suono senza

vibrato, sottili sfumature ritmiche, tentativo di ottenere una ricchezza di colori e

varietà nella tessitura simile a quella di una grande orchestra usando però un numero

limitato di strumenti.

2. Integrazione più equilibrata e più fluida tra scrittura e improvvisazione di quanto non

avvenisse nel bop: da un lato l’arrangiamento guida e vincola il solista che d’altro

lato restituisce e risolve l’improvvisazione in riferimento alla sezione scritta che

segue.

Certo musica non cool nel senso di musica “fredda”, ma musica lucida, controllata, precisa questo

sì. Tessitura trasparente e spaziosa, articolata con sottigliezza nella compresenza di linee diverse

(dimensione polifonica) e concezione coerente in tutti gli aspetti: presentazione e sviluppo dei

materiali tematici attraverso una sequenza organizzata di sezioni dei pezzi o parti strumentali scritte

e improvvisate. Al di là della qualità degli assoli, ciò che più connota la musica del nonetto è

appunto l’integrazione, l’equilibrio tra lo scritto (ciò che è prearrangiato, predeterminato) e

l’improvvisato.

La registrazione reca il segno soprattutto di Miles, Mulligan, Evans e John Lewis come compositori

e arrangiatori: per quanto riguarda gli arrangiamenti Mulligan contribuisce con 6 brani, Lewis con

3, Evans con 2, Johnny Carisi con 1.

Track list

Arrangements by the composer unless otherwise noted.

1. Move (Denzil Best, arranged by John Lewis) – 2:32

2. Jeru (Gerry Mulligan) – 3:10

3. Moon Dreams (Chummy MacGregor, Johnny Mercer, arranged by Gil Evans) – 3:17

4. Venus de Milo (Mulligan) – 3:10

5. Budo (Miles Davis, Bud Powell, arranged by Lewis) – 2:32

6. Deception (Davis, arranged by Mulligan) – 2:45

7. Godchild (George Wallington, arranged by Mulligan) – 3:07

8. Boplicity (Cleo Henry, i.e. Davis and Gil Evans, arranged by Evans) – 2:59

9. Rocker (Mulligan) – 3:03

10. Israel (Johnny Carisi) – 2:15

11. Rouge (John Lewis) – 3:13

12. Darn That Dream (Eddie DeLange, James Van Heusen, arranged by Mulligan) – 3:26

Recording dates

Tracks 1, 2, 5, and 7 –- January 21, 1949

Tracks 4, 8, 10, and 11 –- April 22, 1949

Tracks 3, 6, 9, and 12—March 9, 1950

Recorded at WOR Studios, New York, New York.

Una delle caratteristiche del nonetto è l’uso degli accoppiamenti tra gli strumenti. Per esempio in

Move John Lewis affida:

- melodia principale a tromba e alto sax;

- contrappunto melodico a sax baritono e tuba

- note d’armonia a corno e trombone.

In Jeru Mulligan manifesta un altro tratto tipico: l’impiego dell’unisono e di una ricca armonia dei

fiati. D’altro canto altri brani come Budo (con gli assoli di Miles, Mulligan, Konitz e Winding simili

a un head arrangement del bop). Moon Dreams è l’esempio di un pezzo scritto (arrangiato) per

intero, senza pianoforte.

Scarse ma generalmente positive reazioni al debutto del nonetto dal vivo al Royal Roost, per

esempio da parte di Count Basie. Winthrop Sargeant, critico di classica di The New Yorker,

paragonò il suono della band al lavoro di un “impressionist composer with a great sense of aural

poetry and a very fastidious feeling for tone color. . . The music sounds more like that of a new

Maurice Ravel than it does like jazz . . . it is not really jazz”, pur giudicandone la musica “charming

and exciting”. Tuttavia ampia influenza nel tempo delle registrazioni nel considerate come una via

nuova e percorribile, alternativa al bop.

All’inizio la Capitol pubblicò in 78 giri soltanto alcuni dei pezzi; 8 furono raccolti nel 1954, 11

(tranne Darn That Dream) nel 1957, tutti e 12 soltanto nel 1971.

Caratteri generali:

- vocabolario gestuale e linguaggio armonico del bop ma ripensati in una dimensione di

attenuazione e smussamento delle punte, di moderazione;

- senso di rilassatezza che prevale sul movimento frenetico e sulla turbinosa turbolenza del

bop;

- alla brillantezza virtuosistica del bop succede un lirismo acuto e penetrante;

- al protagonismo spinto dei solisti del bop succede la precisione collettiva caratteristica delle

big bands;

- rispetto al bop: toni dai profili morbidi e soffusi, espressione più raffinata e discreta;

- ricerca di un modello più flessibile per integrare l’improvvisazione solistica con passaggi

d’insieme: intreccio simbiotico di linee scritte e linee improvvisate che si distaccano sia

dalla prassi convenzionale delle big bands (i solisti suonano soltanto quando accompagnati

dalla sezione ritmica oppure con riffs d’accompagnamento) sia da quella del bop (scritto è o

può essere soltanto il tema);

- levigatezza espressiva e delle tessiture strumentali, dinamiche contenute;

- ricerca di nuove soluzioni e di nuovi modelli formali (in questo Davis si avvicina al Modern

Jazz Quartet e a Dave Brubeck).

Nascita e morte del cool jazz? È la tesi di Ted Gioia; senz’altro dopo questa esperienza di rapporto

dialettico con il bop e che lo vede per la prima volta nelle vesti di leader, Miles prende altre strade,

soprattutto quella dello hard bop e poi del jazz modale, anche se tornerà a collaborare ripetutamente

con Gil Evans in progetti che risentono in misura significativa di Birth of the Cool. Numerosi

membri del nonetto intraprenderanno poi carriere di successo con formazioni proprie (Gerry

Mulligan col quartetto con Chet Baker, John Lewis con il Modern Jazz Quartet).

Moon Dreams (Chummy MacGregor – Johnny Mercer) [3:18]

Forma: Chorus ABA’CC’ (40 bb.) + Coda

00:00 A - Tutti i fiati suonano insieme la melodia (re maggiore) con lunghe note tenute del tema,

condotta dalla tromba, generando armonie intricate, semidissonanti. La sonorità dell’insieme

è dominata dal registro grave (sax baritono, corno, tuba).

00:25 B - Il sax contralto assume la condotta melodica, mentre gli altri fiati suonano un

accompagnamento ritmicamente distinto; poi l’insieme ritorna a una tessitura per blocchi

accordali.

00:51 A’ - Ritorno variato del periodo iniziale; la melodia ora è raddoppiata dal sax baritono; poi

nei passaggi più mossi la tuba aggiunge un’indipendente linea melodica.

01:17 C - Il sax contralto assume la guida melodica; mentre la linea del basso si muove

rapidamente, il sax contralto, ora mescolato agli altri fiati, accelera in una melodia quasi bop

sino a che, insieme con la tromba, tiene una nota lunga sotto alla quale gli altri fiati suonano

un modulo ritmico più veloce.

01:44 C’ - La guida melodica passa al sax baritono, poi alla tromba.

02:04 Coda. Alla cadenza finale del chorus, tutte le linee si bloccano e finiscono per intonare

un’unica nota tenuta (fa diesis) che poi viene lasciata alla sola tromba sull’accompagnamento della

batteria (piatto).

02:14 Mentre la tromba continua a tenere la sua nota, entra il resto dell’insieme con armonie che

scivolano cromaticamente di accordo in accordo. Dopo che la tromba ha lasciato sua nota, si

ascoltano alcuni motivi: un frammento di melodia (sax contralto), un motivo balbettante con la

ripetizione di una singola nota (corno, tromba, trombone), una scala discendente (sax contralto e

baritono) fino a raggiungere l’accordo di si bemolle maggiore.

Boplicity (Cleo Henry alias Miles Davis e Gil Evans, arr. Gil Evans) [2:58]

00:00 Tema Orchestra A 16 bb. – B 8 bb. – A 8 bb.

00:58 Impro Mulligan (2 chorus) 16 bb.

01:25 Orchestra 6 bb.

01:36 Impro Miles Davis + ensemble 4 bb.

01: 43 Orchestra 8 bb.

01: 57 Impro Miles Davis + ensemble 8 bb.

02:12 Impro Miles Davis 8 bb.

02:26 Impro John Lewis 8 bb.

02:40: Tema Orchestra A 8 bb. + Coda 2 bb.

Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’ (1956)

Miles Davis

John Coltrane (1926-1967)

Red Garland (1923-1984)

Paul Chambers (1935-1969)

Philly Joe Jones (1923-1985)

Quattro album del I Quintetto registrati nel 1956 per la Prestige in due sessioni (11 maggio e 26

ottobre). Repertorio con mescolanza di brani bebop (Salt Peanuts, Woody’n You, Oleo, Airegin),

pezzi originali di Miles hard bop (Four, Half Nelson) o Red Garland (Blues By Five) e ballads

(When I Fall In Love, It Never Entered My Mind, It Could Happen to You, My Funny Valentine).

Alcuni esempi: Four, brano di Davis in stile hard bop destinato a divenire uno standard; It Could

Happen to You, ballad (1944) eseguita a tempo medio con tocco leggerissimo di Garland e piatti per

l’accompagnamento; My Funny Valentine (1937), ballad sentimentale esempio di intensità lirica e

reinvenzione di uno standard celeberrimo con cambi della pulsazione; Blues For Five (1956) di

gusto hard bop di Red Garland; Airegin (1954) di Sonny Rollins, richiamo hard bop alle radici

africane (il titolo è “Nigeria”scritto al contrario).

Workin’ (1956)

Four (Miles Davis) [7:12]

00:00 Intro (batteria)

00:08 Tema 30 bb. ABAB’ (8+8+8+6)

00:43 Impro Davis (3 chorus)

02:40 Impro Coltrane (3 chorus)

04:32 Impro Garland (2 chorus)

05:48 Impro Davis con ripetuti break della batteria (1 chorus)

06:26 Tema

Relaxin’ (1956)

It Could Happen to You (Jimmy van Heusen – Johnny Burke) [6:37]

00:00 Intro (piano e batteria)

00:10 Tema 32 bb. ABAB’: Davis

00:51 Impro Davis (2 chorus)

02:15 Impro Coltrane (2 chorus)

04:18 Impro Garland ( 2 chorus)

05:39 Tema: Davis

Cookin’ (1956)

My Funny Valentine (Richard Rodgers – Lorenz Hart) [5:59]

00:00 Intro (sezione ritmica)

00.15 Tema-impro AA’BA’’ (8 x 3 + 12) 36 bb. AA’- Davis ballad time feel

01.09 B- Double time feel

01:27 BA’’ - Ballad time feel

02:17 Double time feel passaggio di connessione

02:31 Impro Garland (1 chorus)

04:15 Ballad time feel

04:29 Tema/impro abbreviato BA’’ 16 bb.

05:27 Coda

Blues For Five (Red Garland) [9:59]

00:00 Tema 12 bb. (sezione ritmica)

00:32 Impro Davis (4 chorus)

02:44 Impro Coltrane (4 chorus)

04:36 Impro Garland (3 chorus)

05:58 Impro Chambers (3 chorus)

07:19 Impro Garland con break ripetuti della batteria (4 chorus)

09:15 Tema e chiusa

Airegin (Sonny Rollins) [4:24]

00:00 Intro: doppio vamp del piano e del sax con sezione ritmica, che poi ricompare come parte di

tema e nell’accompagnamento degli assoli

00:21 Tema 16+15 bb.

00: 50 Impro Davis (3 chorus)

02:23 Impro Coltrane (3 chorus)

03:51 Tema

’Round About Midnight (1955-1956)

Primo album realizzato per la Columbia, la cui pubblicazione (1957) fu ritardata per i vincoli

imposti dagli accordi con la Prestige (era previsto infatti che Miles completasse la registrazione

delle ultime tracce per la Prestige prima che fossero pubblicati dischi della Columbia). Tre sessioni:

26 ottobre 1955, 5 giugno e 10 settembre 1956. Poco prima dell’uscita dell’album, Miles sciolse il

gruppo per i problemi di tossicodipendenza e caratteriali, per poi ricostituirlo alla fine dello stesso

1957 come sestetto con l’aggiunta di Cannonball Adderley.

’Round Midnight (Thelonious Monk - Cootie Williams - Bernie Hanigen) [5:55]

Incisione che riprende quella di grande successo al Festival di Newport del 1955, quanto Miles

riacquistò visibilità presso pubblico e critica dopo i problemi di droga e salute che lo avevano fatto

scomparire dalla ribalta del jazz. Standard celeberrimo (1940 o 1941?), caratterizzato dalla melodia

non meno che dalla particolarità del giro armonico, molto cromatico.

00:00 Intro

00:32 Tema-impro AABA 32 bb. Davis, ballad time feel

02:42 Stacco e transizione (rintocchi del piano, riff dei fiati, rullo della batteria)

02:58 Impro Coltrane, double time feel

05:09 Tema-impro Davis e Coltrane abbreviato A b bb. e conclusione, ballad time feel

All of You (Cole Porter) [7:01] Song di Cole Porter (1954).

Esempio di impiego della tecnica del turnaround (semplice giro di accordi che ritorna

continuamente su se stesso: spesso III-VI-II-I) per estendere il chorus grazie a una struttura

semplice e flessibile che consentono al solista di improvvisare con minore preoccupazione per la

forma e l’armonia. L’uscita dal chorus e l’ingresso nel turnaround è segnato in genere da un segnale

sonoro, così come poi l’uscita dal turnaround e il reingresso nel chorus. Uno dei sue segnali può

venire a mancare ed essere sostituito da un cenno. Cfr. ZENNI, p. 208

Il procedimento sarà usato spesso da Miles – e sulla sua scia da molti altri – a partire dalla metà

degli anni Cinquanta, in misura anche molto estesa nel decennio successivo. Significativo è il fatto

che tale procedimento si pone già nella prospettiva della ricerca di una maggiore libertà

improvvisativa melodica che poi sarà prerogativa del jazz modale.

S1 S2

: chorus : : turnaround :

S1 = Segnale sonoro 1

S2 = Segnale sonoro 2

Uno dei sue segnali può venire a mancare ed essere sostituito da un cenno

00.00 Tema-impro ABA’C (8x 4) 32 bb. Davis

00.47 Impro Davis (1 chorus)

01.27 S1 basato su un elemento del tema (4 battute prima della fine del chorus)

01:51 S2 con breve frase ascendente

01:54 Impro Coltrane (2 chorus)

03:28 Turnaround

03:47 S2

03:49 Impro Garland (2 chorus)

05:21 S1

05:43 S2

05:48 Tema-impro Davis (1 chorus)

06:29 S1

06:47 S2 (che segna anche la sigla conclusiva del pezzo)

Milestones (1958)

Primo e unico album del sestetto con Cannonball Adderley realizzato in studio. Ultima sessione con

la sezione ritmica con Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones (Garland e Jones

abbandonarono la formazione subito dopo la registrazione: saranno sostituiti rispettivamente da

Wynton Kelly e Bill Evans e da Jimmy Cobb). Nel brano che dà il titolo all’album, registrato

nell’aprile 1958, c’è il primo esempio di jazz modale.

Milestones (Miles Davis) [5:42]

In origine e nella prima edizione dell’album il brano si chiamava Miles (per distinguerlo da un

precedente brano bop chiamato appunto Milestones), poi il nome fu corretto in Milestones nelle

successive edizioni.

Secondo la maggior parte delle interpretazioni, il tema è basato non su una successione di accordi

funzionali ma sull’alternanza di due modi (sol dorico, la eolio) secondo lo schema:

Sezione Modo Accordi di riferimento Battute

A + A sol dorico Sol-7/Do 8 + 8 = 16

B + B la eolio La-7 (o La-9) 8 + 8 = 16

A sol dorico Sol-7/Do 8

In realtà la struttura così com’è realizzata nella registrazione pone notevoli problemi di trascrizione

e interpretazione. Questa semplificazione non tiene conto del fatto che la sezione A si svolge

inizialmente (bb. 1-4) su un pedale di do (quindi sol7/do) e che la conclusione di ogni sezione A

(bb. 7-8) implica da parte del basso una risoluzione a fa (FA7), per non parlare. Si può dire che il

tema si svolge in un ambito modale con 1 bemolle, ma la definizione sol dorico non appare

appropriata riguardo al senso di risoluzione a fa alla fine delle sezioni A. Anche il riferimento ad un

ambito modale con 1 bemolle in chiave non funziona se si considera il rapporto del tema con gli

assoli: nelle prime 16 bb. del suo assolo Miles si allontana sensibilmente da questo ambito, negando

l’idea di un singolo modo a controllare la sezione A del pezzo; in particolare in tutti i takes

registrati, alla fine della seconda sezione A della sua impro risolve su un si naturale che contraddice

la risoluzione a fa proposta dal tema.

Nel rapporto tra i due modi si pone comunque in evidenza l’intervallo di tritono fa-si, al centro della

teoria modale elaborata da George Russell. L’anticipazione dell’armonia modale comporta il

passaggio dalla densità alla semplificazione accordale e a un ritmo armonico lento che serve a

proiettare e liberare l’improvvisazione anzitutto melodica ma anche armonica dai vincoli della

struttura metrica. Per ora si tratta ancora di impro relativamente brevi (il pezzo dura ‘soltanto’ poco

più di 5’).

Altri aspetti caratterizzanti del tema:

- struttura a riff che mima gli accordi di una sezione orchestrale;

- incrinatura della quadratura ritmica nella sezione B del tema, con effetti di sfasatura tra gli

strumenti melodici (i due sax rispetto alla tromba), poi sovrapposizioni poliritmiche e giochi

che mettono in discussione la coincidenza metrica delle parti (fiati, piano, basso, batteria)

- senso circolare, ipnotico dato dall’alternanza pendolare tra i modi

00:00 Tema

00:39 Impro Adderley (2 chorus), tra i licks c’è una citazione di Fascinating Rhythm

02:00 Impro Davis (2 chorus)

03:21 Impro Coltrane (2 chorus)

04:42 Tema (a sfumare)

Kind of Blue (1959)

Kind of Blue basato sul concetto di modalità: punto di svolta rispetto allo stile precedente hard bop

con la sua complessa successione di accordi e l’improvvisazione ad essa correlata. Intero album

composto di una serie di abbozzi modali, in cui ogni solista si basa per l’improvvisazione su una

serie di scale. Punto di svolta e al contempo punti di arrivo di un processo: Miles aveva già usato

questo metodo nelle musiche per Ascenseur pour l’échafaud (1957), in alcuni pezzi di Milestones

(1958) e di Porgy and Bess (1958). L’idea originaria deriva dal metodo elaborato da George Russell

(1923-2009) in The Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization (1953, 2/1959), che aveva

indicato la possibilità di spostare l’accento della composizione e improvvisazione jazzistica dalle

successioni funzionali degli accordi alle scale e ai modi, così da ottenere una sorta di pantonalità o

tonalità allargata.

Miles intravede nel metodo di Russell – e nella collaborazione con Gil Evans - la possibilità di

superare il criterio strutturale tradizionale della successione di accordi funzionali liberando la libertà

dell’improvvisazione melodica. La composizione modale, basata su scale e modi anziché sugli

accordi, è intesa come “a return to melody”. Nell’intervista con Nat Hentoff in The Jazz Review

(dicembre 1958) An Afternoon with Miles Davis, Davis elabora questa forma di

composizione/improvvisazione in constrasto con la successione di accordi affermando “No chords

... gives you a lot more freedom and space to hear things. When you go this way, you can go on

forever. You don't have to worry about changes and you can do more with the [melody] line. It

becomes a challenge to see how melodically innovative you can be. When you're based on chords,

you know at the end of 32 bars that the chords have run out and there's nothing to do but repeat

what you've just done--with variations. I think a movement in jazz is beginning away from the

conventional string of chords... there will be fewer chords but infinite possibilities as to what to do

with them.”

Opening sequence of Davis's So What

Kind of Blue sestetto (2 marzo e 22 aprile 1959) con Bill Evans/Wynton Kelly, John Coltrane,

Julian Cannonball Adderley, Paul Chambers, James Cobb: esperienza decisiva e liberatoria per i

musicisti degli anni Sessanta.

Jazz modale caratterizzato da:

1) impiego dei modi come riferimento per il materiale

2) rallentamento del ritmo armonico

La rapida successione funzionale di accordi tipica del bebop è sostituita da ostinati diatonici

(vamps), pedali, oscillazioni di semitono, alternanza I-V al basso.

“Allontanamento dalle convenzionali successioni di accordi e ritorno all’enfasi sulla variazione

melodica piuttosto che armonica”, tipo di jazz basato più sugli assolo individuali che su parti pre-

arrangiate e possibilità di costruire gli assoli utilizzando modi specifici sopra una struttura armonica

sottostante radicalmente semplificata anziché su una prestabilita successione di accordi.

La possibilità di assumere come materiale per l’improvvisazione una struttura modale nasce dalle

istanze di semplificazione del jazz del periodo post-bop che tentava di trovare nuove strade rispetto

ai limiti vincolanti di una grande complessità accordale. Davis: “La musica si è fatta densa [thick]. I

ragazzi mi danno temi ed essi sono pieni di accordi. Non li posso suonare… Immagino un

movimento nel jazz che inizia a distaccarsi dalle convenzionali sequenze di accordi e un ritorno

sull’enfasi della variazione melodica piuttosto che armonica. Ci saranno meno accordi ma infinite

possibilità di cosa farne” (The Jazz Review, 1958).

Tutti i pezzi composti effettivamente da Miles come dichiarato nel disco? Blue in Green e

Flamenco Sketches sono di Evans o perlomeno nascono da sue idee… Blue in Green nella versione

di Portrait in Jazz di Bill Evans (1959) è attribuito a Davis-Evans, ma in interviste successive il

pianista dichiarò di aver composto lui il pezzo.

Note di copertina di Bill Evans (richiamato per l’occasione da Miles dopo che aveva lasciato il

quintetto l’anno precedente), che richiamano l’arte giapponese di dipingere pergamene in modo

spontaneo, senza interruzioni e ripensamenti. Le strutture musicali utilizzate qui per

l’improvvisazione sono qualcosa di simile: nella loro semplicità contengono tutto ciò che è

necessario per sollecitare la performance. Miles concepì queste strutture soltanto poche ore prima la

registrazione e diede ai musicisti soltanto degli abbozzi su che cosa suonare. I musicisti perciò non

avevano mai suonato prima questi pezzi e senza eccezioni la prima performance completa di ogni

pezzo fu un take [una prima registrazione assoluta] (il che non è peraltro vero perché ad esempio la

versione pubblicata nell’LP originale di Flamenco Sketches è il secondo take). Accento sulla

dimensione della sfida e della spontaneità di questa performance.

Nell’album sono soprattutto So What, Blue in Green e Flamenco Sketches a formulare la nuova

tendenza, mentre Freddie Freeloader e All Blues restano piuttosto legati alla forma del blues.

So What [9:22]

So What, struttura basata su due modi (re e mi bemolle dorico).

Introduzione “in libero stile ritmico” poi struttura ‘tematica’ modale basata su due scale: 16 bb.

(Scala 1: re minore dorico) – 8 bb. (Scala 2: mi bemolle dorico) – 8 bb. (Scala 1). Funzioni intro,

tema, assoli che sono conservate ma al tempo stesso ripensate in modo piuttosto radicale.

Sezioni Modo Battute

A re dorico 8

A re dorico 8

B mi bemolle dorico 8

A re dorico 8

Alla fine della sezione B, l'improvvisatore ha a disposizione ben 24 battute in re minore dorico

senza alcun cambio di accordo. Il tema, normalmente esposto dal basso, è in forma antifonale con la

funzione della risposta assunta in dagli ottoni e consiste, per la parte di basso, di una frase della

durata di sei quarti che viene ripetuta, con variazioni, quattro volte per sezione, trasposta di un

semitono nella sezione B. L'esposizione del tema è preceduta da un'introduzione di basso e

pianoforte.

Intro

00:00 Introduzione ritmicamente libera (Bill Evans, Paul Chambers)

Esposizione del tema (tutti)

00:32 AA Modo 1, 16 bb.

01:02 B Modo 2, 8 bb.

01:16 A Modo 1, 8 bb.

Assoli

01:30 Miles Davis (2 chorus)

03:26 John Coltrane (2 chorus)

05:17 Cannonball Adderley (2 chorus)

07:07 Bill Evans (1 chorus) [riff dei fiati, poi vamp di ritransizione alla ripresa del tema del piano]

Ripresa finale del tema (tutti)

08:15 AA Modo 1

08:30 B Modo 2

08:42 A Modo 1 vamp a sfumare

Freddie Freeloader [9:46]

Wynton Kelly (considerato uno specialista del blues) sostituisce Bill Evans. Blues di 12 battute in

SIb (ma con l’accordo di LAb7 che nelle ultime due battute di ciascun chorus sostituisce quello di

SIb7 seguito da FA7 per ricominciare il giro o da una conclusione). Il titolo Freddie Freeloader

(“Freddie lo scroccone”), sembra si riferisca a Fred Tolbert, un barista di Philadelphia, amico di

Miles Davis oppure a un personaggio del comico Red Skelton.

Tema (tutti)

00:00 A (chorus) 12 bb.

00:22 A ripetizione 12 bb.

Assoli

00:45 Wynton Kelly (4 chorus)

02:13 Miles Davis (6 chorus)

04:30 John Coltrane (5 chorus)

06:23 Cannonball Adderley (5 chorus)

08:16 Paul Chambers (2 chorus)

Tema (tutti)

08:55 A

08:19 A ripetizione

Blue in Green [5:37]

Quintetto senza Adderley. Bill Evans: “Blue in Green è una forma circolare di 10 battute che segue

una introduzione di 4 battute ed è suonata dai solisti con una varia aumentazione ovvero

diminuzione dei valori di tempo”. Pezzo di un lirismo struggente e dall’andamento ipnotico per la

forma circolare e spiraliforme in cui i chorus hanno durata variabile; suono di Miles con la sordina.

La nota di Evans è stata variamente interpretata per la difficoltà di leggerla in modo univoco. Il

problema riguarda se la forma circolare su cui si basa il pezzo sia da intendersi effettivamente di 10

battute come scrive Evans nelle note originali. Alcuni commentatori e trascrittori hanno interpretato

le variazioni dei valori di tempo come procedimenti di double time feel (usare valori ritmici il

doppio più veloci di prima ma senza cambiare il ritmo armonico della successione accordale, quindi

raddoppiare il modulo ritmico all’interno dell’originale struttura di battuta) o al contrario di half

time feel (i valori ritmici diventano il doppio più lenti di prima pur in riferimento a un ritmo

armonico invariato). Procedimenti espliciti di double time con la variazione della pulsazione

metrica ci sono nell’incisione di Blue in Green di Evans in Portrait in Jazz, mentre qui la ritmica

della batteria resta costante dall’inizio alla fine (ballad time feel). Ciò che cambia qui nel corso del

pezzo non è la pulsazione ritmica, bensì il ritmo armonico e della melodia

Se è chiaro che l’idea a fondamento del pezzo è l’oscillazione della lunghezza dei chorus

(l’impressione di chorus che si allungano e si accorciano per così dire), le modalità con cui

l’obiettivo si realizza possono essere interpretate in modo diverso.

Nei fake books la forma del tema (in cui si intrecciano inflessioni doriche, misolidie e lidie) è in 10

bb. seguendo l’indicazione di Evans. Così facendo il pezzo appare così articolato:

Sezioni Solista Battute Ritmo armonico Timing

Intro Evans 4 (= 3-10 della forma) in double time metà 00:00

Solo 1 Davis 20 – 2 chorus in ballad time intero 00:19

Solo 2 Evans 10 – 2 chorus in double time metà 01:48

Solo 3 Coltrane 10 – 2 chorus in double time metà 02:27

Solo 4 Evans 5 – 2 chorus in quadruple time quarto 03:10

Solo 5 Davis 20 – 2 chorus in ballad time intero 03:32

Fine e coda Evans 5 – 2 chorus in quadruple time quarto 04:55

Quindi: se il tema è di 10 bb. il ritmo armonico di base è l’intero. Ciascun solista percorre la forma

2 volte (2 chorus).

Soli 1 e 5 di Miles: ritmo armonico di base (intero)

Solo 2 di Evans e Solo 3 di Coltrane: “diminuzione” del ritmo armonico (metà)

Soli 4 e fine di Evans: “diminuzione della diminuzione” del ritmo armonico (quarto)

Questa interpretazione, tuttavia, se spiega il riferimento che Evans fa nelle note alla “diminuzione”

non spiega quello all’ “aumentazione”.

Quest’ultimo si spiega soltanto se si intende la forma di 5 anziché di 10 bb. Nel libro di Ashley

Kahn Kind of Blue: The Making of Miles Davis Masterpiece ci sono fotografie che riproducono la

carta con le annotazioni di Bill Evans che sarebbero poi servite per le note di copertina e

contengono alcune correzioni riguardo alla descrizione di Blue in Green: indicata dapprima come “a

five measure circular form”, poi il “five” è mezzo cancellato e corretto in “four”, e il “four” è poi

cancellato del tutto. Questo spiegherebbe il fatto che il ritmo armonico di base del pezzo è la metà e

non l’intero, così come viene suonato nell’introduzione (bb. 2-5 della forma).

Quindi: i Soli 1 e 5 di Miles sarebbero un’“aumentazione” (sempre il doppio del ritmo armonico di

base: un intero), i Soli 2 e 3 seguirebbero il ritmo armonico di base mentre il Solo 4 e e la

finesarebbero una “diminuzione” (sempre la metà del ritmo armonico di base: quarto).

Non è chiaro come mai le note di copertina indichino che la forma è di 10 anziché di battute, ma

certo non è questo il solo errore che esse contengono (l’inversione della descrizione di Flamenco

Sketches con quella di All Blues).

All Blues [11:33]

Blues in SOL maggiore di 12 battute e in 6/4 che produce il suo mood grazie soltanto ad alcuni

cambiamenti modali e alla libertà della concezione melodica di Miles. La sequenza di accordi è

quella tipica del blues ed è tutta costituita da accordi di 7 con l’accordo di 7 sul VI abbassato come

turnaround invece del più banale V. Caratteristici del pezzo e della sua impronta modale sono

inoltre:

- il vamp del basso e del tremolo del piano che si ripete per quasi tutto il corso del pezzo

stesso (e interrotto soltanto quanto il tema raggiunge il V e il VI abbassato, bb. 9-10): 4 bb.

- il vamp dei saxofoni con disegno melodico per gradi congiunti: 4 bb.

I due vamp costituiscono l’introduzione del pezzo; il vamp dei saxofoni serve da introduzione-

interpunzione nel corso del pezzo: accompagna il disegno melodico del tema, ritorna tra la

presentazione del tema e la sua ripetizione, poi la pianoforte nell’accompagnamento degli assoli e

quindi tra un assolo e l’altro (come passaggio-introduzione al solo successivo).

Intro

00:00 Vamp 1 (Chambers e Evans) e Vamp 2 (Adderley e Coltrane)

Tema (tutti)

00:10 AA

Assoli

01:45 Miles Davis (4 chorus)

04:01 Cannonball Adderley (4 chorus)

06:14 John Coltrane (4 chorus)

08:27 Bill Evans (2 chorus)

Tema (tutti)

09:28 AA vamp a sfumare

Flamenco Sketches [9:26]

Bill Evans: “Serie di cinque scale, ciascuna da suonarsi a piacimento da parte del solista sino a

quando ha completato la serie”.

Pezzo senza una melodia scritta. La struttura è definita da chorus di lunghezza variabile nella forma

abcde (preceduta da una introduzione), in cui ciascuna sezione è identificata da una diversa scala e

tonalità in cui il solista improvvisa, a sua discrezione, per 4 o 8 bb. Da ciò sortisce l’importanza

dell’ambito, dell’atmosfera e del colore modale come struttura portante in luogo dell’unità e della

scansione armonico-metrica di una successione di accordi.

5 sezioni: la prima e la terza sono in statiche tonalità maggiori (o in modo ionico), mentre la

seconda e la quinta alludono a dei modi. La quarta sezione, che dà il titolo al pezzo, è basata su una

scala di flamenco:

re – mi bemolle – fa diesis – sol – la – si bemolle – do/ do diesis (- re)

sottolineata dall’oscillazione tra gli accordi di re maggiore e mi bemolle maggiore al pianoforte.

La scala in questione è una variante del cosiddetto modo frigio “spagnolo”, caratterizzato dalla

seconda eccedente tra il II e il III ed eventualmente anche tra il VI e il VII grado

mi – fa – sol diesis – la – si – do – re (/re diesis) – mi

Nell’improvvisazione i solisti ora aderiscono alla struttura scalare ora sostituiscono il fa al fa diesis,

in urto con l’accompagnamento, delineando alla melodia un modo frigio puro.

A quanto pare l’introduzione (4 battute di vamp su Cmaj7 e G9sus4: sol-la-do-fa) è di Bill Evans (è

l’intro di Peace Piece da Everybody Digs Bill Evans, 1958)

Il pezzo è caratterizzato da 5 scale modali per l’improvvisazione e da una serie di accordi che fanno

da tappeto sonoro. I modi utilizzati sono i seguenti:

Modo ionico di DO, scala maggiore naturale (accordo DOmaj7): do-re-mi-fa-sol-la-si-do

Modo misolidio di LAb, scala maggiore con settima minore (accordo LAb7sus4): lab-sib-

do-reb-mib-fa-solb-lab

Modo ionico di SIb, scala maggiore naturale (accordo di SIbmaj7): sib-do-re-mib-fa-sol-la-

sib

Scala minore armonica di SOL su scala alterata frigia o scala frigia spagnola di RE

(chiamata anche Phrigian dominant perché è il modo costruito sul V grado della scala

minore armonica ed è ottenuta innalzando il III grado del modo frigio) (accordo di RE7 con

6 e 9 bemolle), alternanza su note del basso RE / MIb: sol-la-sib- do- re-mib-fa #-sol che si

sovrappone a re-mib-fa #-sol-la-sib-do-re

Modo dorico di SOL (accordo SOL-7): sol-la-sib- do- re-mib-fa -sol

Nel libro Kind of Blue: The Making of the Miles Davis Masterpiece di Ashley Kahn c’è una

fotografia che risale al giorno dell’incisione di Flamenco Sketches e che ritrae il leggio di

Cannonball Adderley: sopra c’è della carta da musica con le scale scritte da Bill Evans, sulle quali

egli scrisse qualcosa del tipo “play in the sound of these scales” senza denominare in qualche modo

le scale stesse e senza far riferimento ad accordi precisi. Purtroppo due delle scale sono oscurate nel

mezzo dalla custodia del bocchino del sax e il testo a quanto pare definisce in modo scorretto due

delle scale. Ingrandendo l’immagine, considerando la trasposizione del sax contralto (in mi

bemolle) e ascoltando l’incisione si possono estrapolare i seguenti accordi base in relazione alla

serie di scale utilizzate:

|: Cma7 G7sus :| ... C D E F G A B C

|: Ab9sus :| ... Eb F Gb Ab Bb C Db Eb

|: Bbma7 F7sus :| ... Bb C D Eb F G A Bb

|: D Eb/D (Dsusb9) :| ... D Eb F# G A Bb C D (soloists sometimes play F instead of F#)

|: G-9 :| ... G A Bb C D Eb F G

00:00 Introduzione

4 bb. Modo #1, indicato dalle note del basso e dai voicings che richiamano Peace Piece di Evans (la

parte già alla mano sinistra di Evans ora passa a Paul Chambers, che suona soltanto sul primo e sul

quarto tempo di ogni misura, mentre gli accordi del pianoforte arricchiscono il colore del modo).

00:18 Assolo Miles Davis (con accompagnamento di piano e basso)

modo #1 – 4 bb.

modo #2 – 4 bb.

modo #3 – 4 bb.

modo #4 – 8 bb.

modo #5 - 4 bb.

02:02 Assolo di John Coltrane (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)

modo #1 – 4 bb.

modo #2 - 4 bb.

modo #3 – 4 bb.

modo #4 – 8 bb.

modo #5 – 4 bb.

03:47 Assolo di Julian Cannonball Adderley (con accompagnamento di piano, basso e piatti)

(introduzione 1 b. di piano e basso modo #5)

modo#1 – 8 bb.

modo#2 – 4 bb.

modo #3 – 8 bb.

modo #4 – 8 bb. (Jimmy Cobb suona in double time e aggiunge chiusure di hit-hat

(charleston) nel mezzo della sezione)

mode #5 – 4 bb.

05:56 Assolo di Bill Evans (con accompagnamento di basso e piatto ride)

modo #1 – 8 bb.

modo #2 – 4 bb.

modo #3 – 8 bb.

modo #4 – 4 bb.

modo #5 – 4 bb.

07:48 Assolo di Miles Davis (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)

modo #1 – 4 bb.

modo #2 – 4 bb.

modo #3 – 4 bb.

modo #4 – 8 bb.

modo #5 – 2 bb.

II Quintetto

Miles Davis (1926-1991)

Wayne Shorter (1933), 1964-70

Herbie Hancock (1940), 1963-68

Ron Carter (1937), 1963-68

Tony Williams (1945-1997), 1963-69

Keith Waters, The Studio Recordings of the Miles Davis Quintet, 1965-68, New York,

Oxford University Press, 2011.

Sino al 1964 il gruppo di Miles suonava un piccolo repertorio costituito da pezzi bop,

standard, blues e pezzi costruiti su ostinato. Con l’arrivo in pianta stabile di Wayne Shorter,

che incomincia ad agire come condirettore del quintetto si delinea – a partire da E.S.P. (1965)

– un nuovo repertorio di pezzi inediti, composti principalmente da Shorter e dagli altri

membri del quintetto: questi pezzi impiegano improvvisazioni riferite a un strutture basate su

ostinati (con la sezione ritmica che articola con straordinaria flessibilità e fantasia il metro di

4/4 peraltro non l’unico adottato), in cui gli accordi in quanto tali tendono a perdere di

importanza e l’armonia diviene totalmente molto ambigua e sfuggente. Notevole espansione

della gamma tecnica ed espressiva del II quintetto, il cui linguaggio sarà determinato in buona

misura dalla personalità di Shorter, che pur ispirato da Coltrane, porterà nel gruppo un

elemento di introspezione, raffinatezza armonica, attenzione al silenzio e all’impiego delle

pause. Atmosfera lunare, sospesa. Tipico dello stile compositivo di Shorter è il ricorso a

concatenazioni accordali che non sono riconducibili ai principi dell’armonia funzionale, a

finali imprevisti. Notevole sperimentazione formale, oltre che linguistica del II quintetto,

forse portato peraltro con passare degli anni verso uno stile – e con questo un sound – molto

astratto, compiaciuto e ricercatamente manieristico, specie in Sorcerer e Nefertiti, che alla

fine sarà tra le principali cause dell’implosione del gruppo (come accadde quasi sempre per i

gruppi di Miles, la sezione ritmica a un certo momento si staccò dal quintetto e si mise in

proprio: cosa che farà per ultimo anche Wayne Shorter).

Il jazz degli album in studio del II quintetto è molto “cameristico”, aperto a una

sperimentazione che spesso conduce il discorso alle soglie della dissoluzione dell’impianto

tonale può risultare a tratti anche intellettualistico – o troppo intellettualistico, al punto da

suonare ostico al grande pubblico (le vendite degli album del II quintetto, non a caso, furono

di molto inferiori a quelle dei grandi successi di Davis degli anni 1950, evidentemente non

soltanto per ragioni di più ampia portata culturale e generazionale). Il II quintetto come vero e

proprio laboratorio sonoro in cui le fantasiose, sperimentali idee compositive-performative

potevano essere lavorate, sviluppate e alla fine registrate

Differenziazione tra gli album registrati in studio e quelli che documentano performances dal

vivo (in cui il gruppo continuava a suonare pezzi del repertorio di Miles e un numero ristretto

di ballads), ma comunque ruolo e contributo molto preciso svolto da ciascun membro del

quintetto.

6 album dal vivo

E.S.P. (1965), Miles Smiles (1966), Sorcerer (1962, 1967), Nefertiti (1967), Miles in the Sky

(1968), Filles de Kilimanjaro (1968)

E.S.P. (1965)

Registrato nel gennaio 1965 è il primo, straordinario album in studio del secondo quintetto e

consiste interamente di pezzi originali composti dai membri del gruppo. Little One fu inciso

due mesi più tardi dal quintetto di Herbie Hancock (con Freddie Hubbard, George Coleman,

Ron Carter e Tony Williams) nell’album Maiden Voyage, dove il brano che dà il titolo

all’album è prefigurato nel finale di Eighty-One. Per la sua durata (oltre 48’), E.S.P. è uno dei

più lunghi album di jazz del periodo (ma gli album successivi del II quintetto saranno anche

più lunghi) e comprende 7 pezzi. L’album segna l’inizio della divaricazione tra album

registati in studio e performaces dal vivo; il titolo, tratto da uno dei pezzi, E.S.P., allude alla

ricerca di nuove sensazioni e percezioni

Rispetto al grande successo di My Funny Valentine, imperniato sul lato più accessibile della

musica di Miles, quello romantico e delle ballad, l’album disorientò e confuse il pubblico. Tra

l’altro, primo album di Miles in cui compaiono elementi funk e ritmi rock. Secondo Ian Carr,

E.S.P. è il miglior album in studio di Miles da A Kind of Blue e in esso tutti i brani, a

eccezione di Eighty One, un blues, recano inflessioni funk (affermazione sorprendente: ma

non è piuttosto che invece proprio Eighty One è il brano che più prefigura la svolta fusion di

là da venire?...)

1. E.S.P. (Wayne Shorter) – 5:27

2. Eighty-One (Ron Carter - Miles Davis) – 6:11

3. Little One (Herbie Hancock) – 7:21

4. R.J. (Ron Carter) – 3:56

5. Agitation (Miles Davis) – 7:46

6. Iris (Wayne Shorter) – 8:29

7. Mood (Ron Carter - Miles Davis) – 8:50

Liner notes di notevole valore di Bob Belden per la versione in cd (1999). L’ambum si

caratterizza per alcuni aspetti di sperimentazione formale e ritmica, che il quintetto stava

sviluppando in quel periodo dall’esperienza della performance live in una struttura

“compositiva”:

- impiego nei temi di melodie sempre più indipendenti dalla struttura armonica che le

sottende

- tecnica dello “stop-and-go”, guidata anzitutto da Carter e Williams (R.J., Agitation)

- lunghi pedali (Little One, Mood)

- creazione di una direzione “armonica” sulla base di suggestioni e implicazioni date dal

tema ma in contrasto rispetto a queste (E.S.P.)

- sospensione ritmica (R.J., Eighty-One)

- criteri di “modulazione formale”, cioè trattamento della forma e della struttura

metrico-armonica come entità distinte (Iris)

E.S.P. (Wayne Shorter) [5.27]

E.S.P. ovvero Extra sensorial perceptions. Tema di 32 bb. (ABAB’) basato sull’intervallo

melodico di quarta, per sua natura ambiguo: l’armonia ha un andamento parallelo per

concludersi nelle ultime 4 battute (bb. 13-16 e 29-32) con una chiusa cadenzale tradizionale.

La struttura melodica e armonica del tema rivela l’idea che l’andamento che può essere

implicato dall’armonia (in questo caso si tratta di accordi paralleli che si muovono

cromaticamente) influisce sulla direzione melodica presa dai solisti sino a determinarla. Qui il

tema è “neutro”, tende a collocarsi in un “non luogo” tonale (intervallo di quarta della

melodia), così da favorire l’invenzione di un’improvvisazione melodica lineare, libera da

eccessivi vincoli armonici: le improvvisazioni sono in effetti molto libere e le nuove idee dei

solisti tendono a contrastare e a suonare “contro” il movimento circolare – ma si tratta di un

movimento che daà il senso di girare a vuoto – dell’armonia (la radici degli accordi sino alla

chiusa cadenzarle sono: mi, fa, mi, mi bemolle, re, mi bemolle, mi, fa) .

Ricorda Shorter: “[Il brano] sembra oscilli su e giù, come un pendolo […] La musica contiene

questo senso di allontanamento da un punto di riferimento, che invece abitualmente ricerca

nelle composizioni – come gli standard e i brani legati a esperienze umane – del passato. Io

cercavo invece qualcosa di diverso. Perché scrivere cose simili a quelle già fatte? Ecco quindi

la sfida. Scrivendo E.S.P. decisi che non dovesse suonare accademico e terapeutico ma –

come l’avremmo eseguito con Miles e gli altri – avventuroso”.

00:00 Tema 32 bb. (ABAB’)

00:29 Impro Wayne Shorter (2 chorus)

01:23 Impro Miles Davis (5 chorus)

04:04 Impro Herbie Hancock (2 chorus)

04:53 Tema

Eighty-One (Ron Carter – Miles Davis) [6:11]

Esempio di tema altrui, “editato” da Miles: blues di 24 bb. (12+12) nello spirito del boogaloo

(fusion di rhythm & blues e generi cubani come mambo e son). Alla fine, prefigurazione del tema di

Maiden Voyage. Prefigurazione dell’indirizzo fusion preso da Miles e dal suo gruppo di là a qualche

anno.

00:00 Tema 24 bb. (12+12)

00:41 Impro Miles Davis (3 chorus)

02:49 Impro Wayne Shorter (3 chorus)

04:33 Impro Herbie Hancock (1 chorus)

05:18 Tema

Little One (Herbie Hancock) [7:21]

Valzer di 24 bb. che in questa realizzazione fa riferimento al modo con cui il quartetto suonava

all’epoca dal vivo ballads come Stella By Starlight o Mu Funny Valentine. Il pezzo esplora le

possibilità date dall’impiego di lunghi pedali del basso per creare effetti di tensione/distensione (FA

che risolve in pedale di SI bemolle, talvolta sostituito da MI bemolle).

Il tema è suonato interamente rubato, come se fosse un’introduzione, poi la sezione ritmica dà

l’avvio al pulse con un interludio di 8 bb. [01:07]: seguono gli assoli di Miles Davis [01:19], Wayne

Shorter [03:11] e Herbie Hancock [04:53]. Ritornano il tema rubato [05:45] e l’interludio [06:38],

quest’ultimo utilizzato come vamp conclusivo; ma in sede di montaggio epilogo che riprende

l’inizio del tema rubato [07:05].

R.J. (Ron Carter) [3:56]

R.J. è il nome del figlio di Ron Carter. Tecniche dello “stop and go” e della sospensione ritmica

implicate dalla struttura stessa del tema, asimmetrica:

A 11 bb.

B 4 bb.

A abbreviato o tronco 6 bb.

In questo schema le diverse sezioni spingono il solista a creare un pulse differente; in particolare le

4 bb. centrali fungono da sospensione ritmica e al contempo da catapulta dinamica per rilanciare il

movimento in avanti. La struttura asimmetrica è sottolineata dalla sucessione degli accordi della

sezione A, mentre il senso di sospensione della sezione centrale B è accresciuto dal fatto di

svolgersi su un pedale.

Assoli: Miles Davis [00.22], Wayne Shorter [01:32], Herbie Hancock [02:56]

Ripresa del tema [03:28]

Agitation (Miles Davis) [7:46]

Pezzo destinato a essere suonato molto spesso anche dal vivo ed elaborato negli anni seguenti, tanto

da diventare la sigla del gruppo (sostituito da Directions di Zawinul nel 1969). Come struttura, il

pezzo è apparentato a So What e a Joshua, basandosi essenzialmente su una serie di modi: do frigio

(do-reb-mib-fa-sol-lab-sib-do), re bemolle lidio (reb-mib-fa-sol-lab-sib-do-reb) e sol misolidio (sol-

la-si-do-re-mi-fa-sol). Largo uso di pedali per imprimere tensione/distensione e direzionalità al

flusso della musica.

Assolo di batteria [00:00], Impro Miles Davis melodia principale [01:58], Impro Wayne Shorter

[04:12], Impro Herbie Hancock [05:56], Ripresa melodia principale Miles Davis [07:08]

Iris (Wayne Shorter) [8:29]

Tema di ballad AA di 16 + 16 battute in 3/4 che si riflette sulla struttura delle improvvisazioni:

“modulazione formale” o “modulazione metrica” che consente di modellare armonia e forma del

pezzo come unità distinte. Infatti negli assoli (chorus solistici):

- I sezione: la struttura delle prime 16 battute resta intatta

- II sezione: nelle seconde 16 battute, invece, il ritmo armonico è dimezzato, per cui la II

sezione dura soltanto 7/8 battute (proporzione 2:1 ½ tra head chorus e solo chorus)

D’altro canto il criterio non è applicato in maniera rigida. Nella sua impro Wayne Shorter finisce

l’assolo dopo la I sezione e lascia perciò Hancock e Carter per un po’ sospesi, incerti se stanno

suonando la II seconda sezione abbreviata o se invece un nuovo chorus, finché Hancock insiste a un

certo punto, facendo capire con il fraseggio, l’uso delle pause e il tipo di accordi che si tratta

dell’inizio della I sezione [05:26], dopodiché rientra nello schema del chorus solistico.

00:00 Intro e tema AA 16 + 16 bb.: Wayne Shorter

01:11 Impro Miles Davis (3 chorus solistici)

01:11 Chorus solistico 1

01:58 Chorus solistico 2

02:47 Chorus solistico 3

03:36 Impro Wayne Shorter (1 ½ chorus solistico)

03:36 Chorus solistico 1

04:20 Chorus solistico 2: s’interrompe dopo la I sezione (soltanto 16 bb.)

04:52 Impro Herbie Hancock

04:51 Chorus solistico 1: s’interrompe dopo la I sezione (soltanto 16 bb. + 3

bb. tag)

05:26 Chorus solistico 2

06:13 Chorus solistico 3

06:56 Tema

Mood (Ron Carter - Miles Davis) [8:50]

Ulteriore esplorazione dell’impiego del pedale e della sospensione ritmica. Il “mood” evocato

dal titolo è un’atmosfera di misteriosa, notturna e romantica tenerezza (Miles suona con la

sordina Harmon): senso di circolare e ipnotica fissità, di variazioni intorno a un elemento che

ritorna sempre su se stesso. Questo è appunto il “mood”, una struttura armonico-metrica,

esposta da Carter, Williams e Hancock che serve da struttura “tematica” in 3/4. Il pezzo

assume quasi le fattezze di una serie di variazioni su basso ostinato, sulla base della sezione

ritmica: basso, batterie (spazzole) e piano procedono infatti con moduli ripetitivi.

00:00 Struttura “tematica” modulo di 12 bb: sezione ritmica

00:26 Impro Miles Davis Chorus 1 (quasi tema)

00:56 Impro Miles Davis Chorus 2

01:24 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 1

01: 52 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 2

02:19 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 3

02:48 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 4

03:16 Impro Wayne Shorter 1

03:44 Impro Wayne Shorter 2

04:11 Impro Wayne Shorter 3

04:39 Impro Wayne Shorter 4

05:07 Impro Herbie Hancock 1

05:36 Impro Herbie Hancock 2

06:05 Impro Herbie Hancock 3

06:33 Impro Herbie Hancock 4

07:02 Impro Miles Davis + Wayne Shorter Chorus 1 (quasi tema)

07:32 Miles Davis + Wayne Shorter Chorus 2

08:00 Struttura tematica modulo di 12 bb: sezione ritmica e vamp a sfumare

Miles Smiles (1966)

Circle (Miles Davis) [5:52]

Sofisticata ballad in tempo di valzer. Pezzo derivato da Dread Dog dall’album Someday My

Prince Will Come (1961). Come racconta Hancock, il pezzo nacque dall’accostamento di

alcuni accordi di Dread Dog (le bb. 21-28 diventano le bb. 1-9 di Circle). Forma circolare del

tema:

A B A Coda

18 bb. 30 bb. 18 bb. - - -

La forma circolare del tema (ABA e la forma può essere ripetuta ad libitum sino a concludere

nella coda) si riflette nella sequenza delle improvvisazioni

00:00 Tema e impro Miles Davis A B A (18 + 30 + 18)

01:26 Impro Wayne Shorter (30 + 18)

02:37 Impro Herbie Hancock (30 + 18 + 30)

04:38 Ripresta tema Miles (18) e poi coda su vamp

Nefertiti (1967)

Nefertiti (Wayne Shorter) [7:52] Pezzo che segna un approccio particolare del laboratorio compositivo-performativo del

quintetto: capovolgimento dei tradizionali ruoli che nel jazz hanno i fiati (la cosiddetta front

line) e la sezione ritmica. A fondamento del pezzo c’è un tema di 16 battute (AB: 8 + 8 bb.),

dunque di taglio tradizionale, ma la performance registrata è di fatto la vera “composizione” .

La melodia tema è incessantemente ripetuto dai fiati come un ostinato (o un mantra, verrebbe

da dire), mentre alla sezione ritmica è affidata la vera e propria improvvisazione: la linea del

basso, i voicings del pianoforte e, soprattutto forse, le invenzioni della batteria (effetti di

spostamenti degli accenti ritmici, di allungamento del tempo e ampio spettro dinamico ed

emozionale). Uso della forma come ostinato e della melodia – e non già della struttura

metrico-armonica – come veicolo e spunto per l’improvvisazione. Questa performance fu

scoperta dai musicisti durante le prove (il master take che si ascolta è il second take).

Fall (Wayne Shorter) [6:39] Un criterio analogo eppure diverso a quello di Nefertiti si ritrova in Fall, ballad basata su un

tema di 16 battute. Anche qui la melodia dei fiati è trattata come un ostinato, per sollecitare

l’improvvisazione e l’interplay: la forma e la melodia del tema divengono la cornice entro cui

si dispiegano e sono per così dire “orchestrate” le improvvisazioni. A differenza che in

Nefertiti, tuttavia, anche i fiati partecipano al processo improvvisativo, non limitandosi a

ripetere la melodia o frammenti di essa. Si delinea così una cangiante multifunzionalità degli

strumenti nella performance che possono di volta in volta suonare la melodia, accompagnare

con figure di secondo piano la melodia, condurre l’improvvisazione , interagire con gli altri

strumenti secondo varie modalità. In particolare il lavoro sulla melodia consiste nel suonare

sulla, intorno alla e tra le frasi della melodia (tra le frasi della melodia iniziano a suonare

Herbie Hancock e Wayne Shorter). Si segnalano alcuni punti in questo contesto:

02:20 Impro Herbie Hancock

03:55 Impro Wayne Shorter

05:33 Impro Ron Carter

Prodromi del periodo elettrico

Nefertiti (1967) ultimo album interamente acustico, cui succede la mescolanza di strumenti

acustici ed elettrici, iniziata in Stuff di Miles in the Sky (1968), dove Herbie Hancock e Ron

Carter suonano rispettivamente il piano e il basso elettrico (ma già nel dicembre 1967 Miles

aveva convinto Hancock e Carter a suonare gli strumenti elettrici) e proseguita in Filles de

Kilimanjaro (1968), dove Herbie Hancock o Chick Corea suonano il piano elettrico e Ron

Carter il basso.

Questi album mostrano già la tendenza ad accogliere suggestioni, sonorità e andamenti del

rock, del funk del rhythm and blues di musicisti come James Brown, Jimi Hendrix e Sly Stone

del gruppo Sly and the Family Stone. Al di là dell’impiego del pianoforte e del basso elettrico

e della chitarra, Cambia decisamente il clima, l’atmosfera e il tipo di musica prodotto dal

quintetto, cui iniziano ad aggiungersi musicisti che poi prenderanno il posto dei suoi membri

(se in Miles in the Sky fa la sua apparizione George Benson, in Filles du Kilimanjaro suonano

Chick Corea e Dave Holland)

Funk (e aggettivo funky), termine coniato negli anni Cinquanta per indicare caratteri ritmici e

sonori presenti in diversi generi musicali. Il termine indica un odore forte, l’odore di un corpo

eccitato e per estensione poteva significare sexy, sporco, attraente ma anche vero, autentico,

libero da inibizioni. Moduli ritmici sincopati e interconnessi basati su una costante scansione

di quarti e ottavi che produce un incedere ritmico incalzante, stile vocale improntato al soul,

prolungati vamps basati su un’unica e spesso complessa armonia, forte sotto lineatura della

linea del basso.

Negli anni 1968-1970 si delineano alcune tendenze di fondo nella musica, in costante

evoluzione, di Miles:

- temi con struttura metrica libera

- improvvisazioni con importanza secondaria attribuita alla melodia in quanto tale

(spesso cromatica o con inflessioni modali su un impianto armonico ambiguo)

- armonizzazioni ambigue, con sovrapposizioni di accordi tonali e accordi non tonali

- ancoraggio alla linea di basso, costituita da brevi ostinati di chiara connotazione e

riconoscibilità tonale

- impiego di ritmi rock, funky, pop della ritmica della batteria.

Miles in the Sky (1968)

Album di transizione (registrato tra gennaio e maggio 1968), occupato da tre lunghi brani, Stuff,

Paraphernalia e Country Son, che guardano per così dire al futuro della fusion tra jazz, rock e

funky e uno, Black Comedy, che si rifa invece alla tradizione del II quintetto. Si tratta del quinto ed

ultimo album registrato dal II quintetto al completo. La copertina più consona ad un gruppo

psichedelico della West Coast che a un gruppo jazz, fece presagire gli importanti cambiamenti di

stile musicale che di lì a qualche anno troveranno completa realizzazione in album come In a Silent

Way e soprattutto Bitches Brew. La particolare tendenza all’inversione di stile si nota fin dal titolo

del disco, evidente riferimento alla traccia Lucy in the Sky with Diamonds presente sull’lp dei

Beatles Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967).

Le tracce provengono da sessioni di diversi periodi temporali e illustrano l’evoluzione della musica

di Davis da un jazz prettamente acustico alla fusion elettrica che tanto influenzerà il jazz anni

Settanta. Paraphernalia (incisa il 16 gennaio 1968) contiene il suono della chitarra elettrica di

George Benson, anche se in maniera più lieve e maggiormente tradizionale rispetto alla precedente

Circle in the Round (che vedrà la luce soltanto a fine anni Settanta). Black Comedy e Country Son

(15 e maggio 1968 rispettivamente) costituiscono l’ultimo ritorno in studio di Davis alla classica

formazione acustica. Stuff (registrata il 17 maggio 1968), con il suo basso electrico, il pianoforte

Fender Rhodes, e il suo tempo raddoppiato, possiede uno stile a venire, che si concretizzerà nel

successivo Filles de Kilimanjaro. Paraphernalia è l’unica composizione dell’album ad essere stata

eseguita dal vivo in concerto da Davis.

In ogni caso per cogliere il cambiamento di direzione preso con quest’album dal gruppo di Davis

basta ascoltare anche soltanto i primi minuti di Stuff e di Paraphernalia con le loro sonorità

elettriche; ma soprattutto diverso rispetto al passato è il trattamento della forma musicale. Album

concepito sotto l’influenza di Gil Evans.

Stuff (Miles Davis) [16:58]

Pezzo soul-jazz o funky. Il master è realizzato col montaggio, all’inizio, di parte di un altro

take [perfettamente percepibile il taglio a 1:50] nel first take integrale. Melodia che è

costituita da brevi frammenti che galleggiano sopra armonie che richiamano il soul o il pop.

Struttura del tema: ABC (16 + 8 + 16) dove la sezione centrale è costituita da una sospensione

ritmica e armonica che potrebbe condurre da qualsiasi parte mentre quella conclusiva ha il

senso di una ripresa variata più per la gestualità frammentaria che non per il concreto ricorrere

di motivi. Oltre al piano e al basso elettrici, Shorter suona amplificato da un microfono

collegato a un amplificatore in studio dal quale esce il suono registrato.

00:00 Intro

00:30 Tema

01:50 Taglio del montaggio, ancora intro

01:58 Tema seguito da una serie di parafrasi del tema stesso sino a 05:47

05:47 Impro Miles Davis

09:06 Impro Wayne Shorter

12:14 Impro Herbie Hancock

14:35 Tema e coda, con vamp a sfumare

Country Son (Miles Davis) [13:49]

Il quintetto acustico realizza un pezzo che dal punto di vista della struttura prefigura la musica che

la band di Miles farà nella prima metà degli anni Settanta: pezzo che non è basato su una struttura

melodico-armonica, ma costituito semplicemente da un’ossatura in tre parti, di diversa natura, che

s’incatenano l’una nell’altra. Tecnica dello “stop and go” (momenti di stop che servono da

trampolino di lancio per le parti dinamiche successive) e di quella del “sound over groove” che

caratterizzerà la musica di Davis nei primi anni Settanta, con l’allineamento di sezioni diverse e

quindi di musiche di differente carattere in un pezzo che impiega tuttavia ancora soltanto acustici.

Pezzo, dunque, sospeso tra passato e futuro.

00:00 Prima parte, sezione “rock” in 4/4, re maggiore

01:01 Stop e rubato

01:34 Go con nuovo groove

02:37 Stop e rubato

02:59 Go con groove di tipo jazzistico

04:58 Stop e rubato

05:48 Go con nuovo groove

07:06 Stop e rubato

07:15 Go con groove di tipo jazzistico

09:06 Stop e rubato

09:15 Seconda parte, ballad in 3/4, sol minore

09:57 Terza parte, ripresa della sezione “rock” in 4/4 in re maggiore (cfr. 01:34)

11:41 Medium swing

Filles de Kilimanjaro (1968)

Altro album di transizione (registrato tra giugno e settembre 1968), con Chick Corea (piano e RMI

Electra piano) e Dave Holland (basso) he sostituiscono in alcuni brani rispettiavemente Hancock

(piano elettrico Fender Rhodes) e Carter (basso elettrico). Il titolo si riferisce alla Kilimanjaro

African Coffee, una compagnia della Tanzania nella quale Miles aveva fatto degli investimenti, con

un tocco “esotico” dato dal francese del titolo stesso e di tutti i titoli dei singoli brani. Betty Mabry,

sposata da Miles nel settembre 1968 compare in copertina e a lei è dedicato Mademoiselle Mabry.

Album in cui s’intrecciano la sperimentazione formale e l’astrazione di linguaggio degli anni

Sessanta, ritmi e atteggiamenti che saranno poi tipici della fusion prossima ventura. Dal punto di

vista di molti critici “puristi” (per es. Stanley Crouch) fu considerato l’ultimo album importante

jazzistico di Davis. Secondo Jack Chambers qui il gruppo cercò di andare oltre l’impiego di

strutture minimali per cercare un mood comune per sollecitare il pubblico a “scoprire l’unità dei

pezzi anziché semplicemente individuarla, come gli osservatori debbono scoprire l’unità in un

dipinto che possiede molteplici prospettive simultanee”. Gil Evans collaborò in misura sostanziale

all’album, componendo, arrangiando e partecipando alle sessioni di registrazione, anche se il suo

nome non è riportato tra i credits (cosa di cui ovviamente Evans si dispiacque). Di Petit Machins

(Little Stuff) Evans è il coautore (lo registrerà poi come Eleven indicando Davis come coature);

Mademoiselle Mabry (Miss Mabry) è una rielaborazione di Evans di The Winds Cries Mary di Jimi

Hendrix (benché alcuni passaggi assomiglino a On Broadway di Mann, Weil, Lieber e Stoller).

Estrema complessità costruttiva soprattutto di alcuni pezzi, come Petits Machins (Little Stuff).

Reazioni critiche molto positive alla pubblicazione dell’album. John Ephland su Down Beat, per

esempio, sottolineò l’unitarietà di concezione dell’album, “precursore stilsitico del per sempre

popolare In a Silent Way del 1969” “Filles is performed (and edited) like a suite, with a sense of

flow unlike anything Davis had recorded up to that point. That flow is enhanced by a music played

all in one key (F), with only five ‘tunes’, and with a mood and rhythms that change gradually from

start to finish […] In passing, Filles de Kilimanjaro is a turning-point album unlike any other for

Davis: For the first time, his bebop roots were essentially severed, rockier rhythms, electricity and

ostinato-driven bass lines now holding sway”. Jim Santella di All About Jazz scrisse che la musica

dell’album “flows with a lyricism that remains highly regarded in today’s format”.

Petits Machins (Little Stuff) [8:04]

Quintetto con Hancock e Carter.

Analisi di Keith Waters (p. 257). Tema con due sezioni contrastanti:

- Unità di 15 bb. in metro di 11/4 (4/4 + 4/4 + 3/4) con riff ripetuto e armonie cromatiche di

dominante nella prima sezione

- Unità di 10 bb. in metro di 4/4 nella seconda sezione: le prime 6 bb. su pedale di fa su cui

scivolano armonie diverse a ogni misura, poi progressione sincopata nelle bb. 7-8 e

cambiamento del basso nelle bb. 9-10).

Questa seconda sezione è la base per le improvvisazioni ma alterata nella sua lunghezza da 10 a 9

battute e Keith Waters parla della “pratica di Davis, ormai consumata, dell’elisione metrica”. Il

quintetto omette la b. 10 durante le impro e mantiene la successione armonica delle prime 9 bb. La

progressione sincopata cade qui nella b. 7 ma Carter non partecipa alla sincope delle bb. 7-8 mentre

Hancock la interpreta in modo molto libero. Di fatto i musicisti si relazionano l’uno con l’altro,

l’uno cioè segue l’altro in un territorio in larga misura indefinito senza far riferimento a uno schema

precostituito; tra l’altro, come in Filles de Kilimanjaro il brano non si conclude con un ritorno al

tema ma con una seconda impro di Davis.

Mademoiselle Mabry (Miss Mabry) [16:33]

Quintetto con Corea e Holland.

Pezzo basato su un tema di 18 bb. che si ritorna 18 volte. La struttura è interamente scritta per

quanto riguarda i voicings, l’ossatura ritmica per portarli e la stessa condotta del basso: con

ciò si ribalta la tradizionale “composizione” jazzistica in cui a essere scritta è soltanto la lin ea

melodica, mentre per la sezione ritmica vi sono soltanto le indicazioni degli accordi.

Il pezzo in tempo lento fonde, come scrive Ian Carr, elementi che appartengono alla

tradizione delle ballads e della musica soul (le bb. 11-12 sottolineano il riferimento blues), in

una dimensione lirica eppure al contempo molto funky. La logica è quella di una libera

parafrasi: la libertà consiste nelle varianti cui ogni volta è sottoposta la struttura tematica. Il

compito della batteria consiste nel muovere e inventare ritmi, colorando il movimento. Il

pezzo ha la seguente articolazione formale e si conclude non con il ritorno del tema ma con

una nuova impro di Davis

1-3 4-9 10-14 15-17 18

Sezione ritmica Impro Davis Impro Shorter Impro Corea Impro Davis

3 chorus 6 chorus 5 chorus 3 chorus 1 chorus

00:00 02:58 08:50 12:41 15:27

Dopo Filles de Kilimanjaro, come sottolinea Ian Carr, Miles pensò di riprodurre in studio un

certo modo di suonare del gruppo in concerto, con lunghe arcate musicali senza soluzione di

continuità e svincolate dalla concezione occidentale della forma musicale. Da quel momento

in avanti Miles non entrò più in studio con l’idea di pezzi già definiti ma iniziò a esplorare

alcuni elementi e alcune sezioni del tutto per combinarli poi a posteriori in un insieme. Questo

modo di procedere e di concepire la registrazione – in cui le fasi del montaggio e della post-

produzione diventano decisive per la concezione e configurazione dell’album – è stato

descritto da Teo Macero, l’ingegnere del suono e produttore di Miles dal 1959 al 1983, che

divenne quindi a tutti gli effetti un “membro” delle band e una specie di coautore.Per questo

la svolta stilistica “elettrica” comporta anche un cambiamento radicale della concezione stessa

della registrazione: editing delle registrazioni a partire da lunghe performance realizzate e

catturate a microfoni aperti sia dal vivo sia in studio. “Il registratore non si ferma mai durante

le sedute, non ci sono attimi di sosta, ci sono solo le pause per il playback. Non appena Miles

entra in studio facciamo partire i nastri. Tutto quel che si fa in studio viene così registrato;

abbiamo un fantatico archivio di tutto quel che è accaduto. Non si è perso niente.

Probabilmente Miles è l’unico artista in tutto il globo, dacché ce l’ho io in mano, la cui

musica è intatta, completamente. Di norma facevamo dei masters, dei nastri d’origine, ma con

l’avvento dei registratori a tre, quattro piste e anche più ho deciso di smettere. Non si fanno

più masters, prendo ciò che volgio da quel che abbiamo registrato e ne faccio una copia, e il

nastro originale torna negli archivi, intatto. Se a qualcuno non piace quello che ho fatto,

scaduti i diritti si potrà risalire all’originale e rifare tutto”.

Con In A Silent Way e Bitches Brew (1969) mescolanza di strumenti acustici ed elettrici e di

improvvisazione melodica jazzistica con modalità “aperte” di accompagnamento rock e funk.

Gruppi che impiegano strumenti diversi nel segno della fusion: strumenti acustici, elettrici ed

etnici come il sitar e il tabla indiani, i piatti cinesi, vari tipi di percussioni africane e

sudamericane.

Alle origini della svolta di Miles nella direzione della fusion ci sono alcuni aspetti che vanno

tenuti in considerazione per non cadere in equivoci:

- l’influsso di gruppi di matrice jazzistica che nel 1969 già perseguivano in vari modi un

discorso di fusion: 1) il Cannonball Adderley Quintet (con Nat Adderley alla cornetta,

Joe Zawinul al piano, Walter Brooker al basso e Roy McCurdy alla batteria), grazie a

un mix di jazz, soul e rock sin dall’album 74 Miles Away (1967); 2) Tony Williams

Lifetime (con John McLaughlin alla chitarra, Larry Young all’organo), grazie a un mix

di jazz e rock e a un duplice riferimento allo stesso Miles Davis da una parte e a Jimi

Hendrix dall’altra;

- il rapporto controverso e tutt’altro che generalmente positivo di Miles con il rock , che

in riferimento agli anni intorno al 1970 ebbe a dire: “incominciai a capire che i

musicisti rock non sanno niente di musica. Non la studiano, non sanno suonare stili

differenti, e di leggerla non se ne parla nemmeno. Ma andavano di moda e vendevano

un mucchio di dischi perché davano al pubblico unc erto sound, quello che voleva

ascoltare. Così cominciai a pensare che se potevano farcela loro, a raggiungere tutta

questa gente e vendere tutti quei dischi senza nemmeno sapere cosa stessero facendo,

allora potevo farlo anch’io, soltanto meglio” (Miles Davis con Quincy Troupe,

L’autobiografia, Roma, Minimum fax, 20102, pp. 391);

- volontà di cambiare continuamente direzione e senso alla propria musica unita al desiderio

di raggiungere un ampio pubblico, al di là della nicchia degli appassionati di jazz in un

periodo in cui i giovani si mostrano – specialmente negli USA – sempre più disinteressati al

jazz: atteggiamento indubbiamente ambiguo tra motivazioni estetiche o di poetica e mere

preoccupazioni commerciali (cfr. il ruolo del presidente della Columbia, Clive Davis).

Il problema critico della svolta elettrica di Miles.

Prefazione di David Liebman a Gianfranco Salvatore, Miles Davis. Lo sciamano elettrico,

Viterbo, Stampa alternativa/Nuovi equilibri, 20072.

Quali furono le ragioni che indussero Miles “a passare dall’acustico all’elettrico e a suonare

su un beat rockeggiante sopra statici vamps bassistici?” Secondo Liebman la domanda è tanto

più importante per il fatto che il II quintetto di Miles aveva prodotto un repertorio e un tipo di

musica che è ancor oggi attuale e su cui continuano a lavorare i musicisti. Due aspetti

fondamentali di questo repertorio:

a) in primo piano era il concetto di “tempo senza schemi armonici” che implicava il suonare

senza un struttura armonica predeterminata – a differenza di quanto era accaduto nel jazz

precedente – e l’impiego, molto sofisticato e complesso, di linee cromatiche opposte ad

aggregati armonici dissonanti, linee fluttuanti sopra un sostegno poliritmico;

b) specie nel periodo iniziale del quintetto astrazioni e riarmonizzazioni radicali di standard

come I Fall in Love too Easily,’Round Midnight o My Funny Valentine.

La questione del passaggio di Miles alla fusion resta aperta. Pressione commerciale della

Columbia su Miles per vendere di più? Ego di Miles che lo portava a sovrastare e a

sopravanzare chiunque altro, facendo le cose prima e meglio di chiunque altro? In fluenza

della grande popolarità del rock, che aveva ormai preso il posto del jazz nell’interesse dei

giovani? Desiderio di sentirsi giovane, di fare qualcosa di diverso per non annoiarsi? Forse si

trattò di una combinazione di tutti questi aspetti; in ogni caso, la trasformazione elettrica

iniziata da Miles nei tardi anni Sessanta si pose all’origine di un profondo mutamento

musicale.

Tre fasi del periodo fusion di Miles:

1) 1969-72. Atmosfera quasi tribale della musica con Corea, Jarrett, DeJohnette, McLaughlin,

Moreira, e grande energia collettiva. Ancora tre ruoli solistici (tromba, sax, tastiere), ma

accompagnamento molto diverso della tradizione jazzistica. Concorde macchia sonora, con i

musicisti che sembravano suonare ciascuno per conto proprio invece di mettersi in relazione

con il solista: un costante turbinio di testure e di ritmi. Linea del basso e beat della batteria si

mantengono costanti, pur in un contesto molto fluido. Armonia dissonante, spesso con

sfumature d’avanguardia e tratti di prossimità al free jazz, rideclinato in versione elettronica.

2) 1973-75. Beat molto funky prodotto da basso e batteria, influenza del rhythm and blues e

del rock (James Brown e Sly Stone). Ritmo stabile e definito, senza alcuna preoccupazione

per armonie e melodie; anzi, idea di melodia ridotta a brevi frammenti di motivi. Incremento

nell’uso delle percussioni e degli effetti elettronici (pedale wah -wah con la tromba), dure

sonorità delle chitarre. Musica piuttosto dura e non di facile accesso al pubblico.

3) 1981-91. Gruppi costituiti in prevalenza da musicisti non propriamente jazz, esigenza

comunicativa che rende Miles un pop star. Ritorno alla melodia e alle successioni accordali

con forti inflessioni rock e pop.

In A Silent Way (1969)

Album della svolta nel senso della fusion nell’anno che vedrà anche Bitches Brew. In A Silent

Way corrisponde in un certo modo a A Kind of Blue e dunque al lato intimista, romantico,

introspettivo della natura di Miles. Secondo Ian Carr, qui Miles riesce a conciliare in modi

nuovi “sviariati elementi contrastanti della sua esperienza musicale: composizione scritta e

improvvisazione; libertà e controllo; statica e dinamica; vocabolario blues e astrazione

armonica; piccolo gruppo e grande formazione”. Se In A Silent Way corrisponde al lato

appunto intimista, romantico, contemplativo di Miles, Bitches Brew con il suo linguaggio

dissonante e frantumato corrisponde al lato notturno, sciamanico, infernale e demoniaco dello

stesso Miles.

Tecnica della registrazione a microfoni aperti e prime registrazioni in studio di Davis a essere

costruite, montate e rimaneggiate in fase di post-produzione: due ore circa di musica poi

ridotte da Macero a 80’ e quindi da Davis a 18’ in sala di montaggio, poi integrazione dei

pezzi selezionati con ripetizioni. Nel 2001, la Columbia Legacy in collaborazione con Sony

Music ha pubblicato un cofanetto di tre CD intitolato The Complete In A Silent Way Sessions, che

comprende l’album originale, tracce aggiuntive, e le registrazioni integrali utilizzate per produrre In

A Silent Way.

L’organico comprende tromba, sax soprano, 3 tastiere elettriche, chitarra elettrica, basso e batteria:

originalità assoluta della band nel campo del jazz. John McLaughlin era stato invitato da Tony

Williams a suonare nel suo gruppo, The Tony Williams Lifetime, e fu così che fu presentato a

Davis, che rimase così impressionato dal suo modo di suonare da chiedergli di partecipare alla

registrazione di In A Silent Way. A quanto pare in modo altrettanto informale, quasi casuale, fu

coinvolto Joe Zawinul, che durante la registrazione suonò tanto il pianoforte quanto l’organo

elettrico.

L’album è costituito da due lunghe tracce (una per lato nell’LP originale), Shhh/Peaceful e In A

Silent Way/It’s About That Time, entrambe articolate in tre parti distinte che lasciano intendere una

sorta di forma di sonata con esposizione, sviluppo e ripresa, come ha sottolineato Paul Tingen

(Miles Beyond: The Electric Explorations of Miles Davis, 1967-1991, 2001): gli ultimi 6’ del primo

pezzo Shhh/Peaceful sono i primi 6’ ripetuti alla lettera e montati dopo la parte centrale, mentre In

A Silent Way ritorna poi allo stesso modo dopo It’s About That Time. Ciò conferisce ai due pezzi

una struttura chiusa e particolare.

Raggiungendo la posizione numero 134 nella classifica Billboard 200 negli USA, In A Silent Way

divenne il primo album di Davis dai tempi di My Funny Valentine (1965) ad entrare nella classifica

degli LP più venduti. Nonostante il disco si stesse rivelando un successo commerciale la critica si

divise nel recensire l’album. La presenza di strumenti elettronici e la forma sperimentale generarono

non poche controversie presso i critici di jazz, in un epoca in cui critica jazz e critica rock-pop erano

ambiti sostanzialmente separati e non comunicanti. Furono in particolare i processi di registrazione

e di produzione delle tracce realizzati da Davis e Teo Macero, consistenti in un “copia e incolla”

delle diverse registrazioni in un vero e proprio montaggio sonoro di studio, a sconcertare buona

parte della critica jazz, abituata all’idea della performance dal vivo, unica, continua e irripetibile

come archetipo e modello anche della In Running the Voodoo Down: The Electric Music of Miles

Davis (2005) Phil Freeman scrive che i critici rock e jazz ai tempi della pubblicazione dell’album si

guardavano bene dallo sconfinare uno nel campo dell’altro rimandendo all’interno dei rispettivi

ambiti (con i relativi pregiudizi ideologici ed estetici che questo radicamento comportava): fu

proprio In A Silent Way, che suonava quasi rock, a rimettere tutto in discussione. Chi si occupava di

musica rock dovette forzatamente parlare del disco facendo notare la nuova direzione che sembrava

star prendendo la musica di Davis (new directions è il concetto intorno al quale sono scritte le liner

notes originali dell’album di Frank Glenn), mentre i critici di jazz, specialmente quelli non

interessati al rock, pensarono che l’opera fosse un tradimento del “vero” jazz e lo accolsero con

aspre critiche. “It didn’t swing, the solos weren’t even a little bit heroic, and it had electric guitars...

But though In a Silent Way wasn’t exactly jazz, it certainly wasn’t rock. It was the sound of Miles

Davis and Teo Macero feeling their way down an unlit hall at three in the morning. It was the

soundtrack to all the whispered conversations every creative artist has, all the time, with that

doubting, taunting voice that lives in the back of your head, the one asking all the unanswerable

questions” (Freeman, pp. 26-27). In una recensione d’epoca su Rolling Stone, Lester Bangs

descrisse In A Silent Way come “il tipo di album che ti dà fiducia nella musica del futuro. Non è

rock and roll, ma non è nemmeno niente di così stereotipato come il jazz. Il disco riunisce in sé di

fatto tutte le sperimentazioni messe in atto negli ultimi quattro anni dai musicisti rock, e le unisce al

background jazzistico di Davis”. Nel corso degli anni, In A Silent Way ha smesso di dividere i critici

e oggi viene ormai considerato come uno dei migliori lavori di Davis, destinato a influire proprio

per le sue caratteristiche – nonché per le tecniche di registrazione e montaggio impiegate – su

diversi generi musicali come l’ambient, la dance music e l’elettronica, il rock il pop, senza di fatto

essere riconducibile, in senso stretto, ad alcun genere preciso.

Lato uno

Shhh/Peaceful (Miles Davis) - 18:16

Shhh - 6:14

Peaceful -5:42

Shhh - 6:20

Lato due

In a Silent Way/It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 19:52

In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:11

It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 11:27

In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:14

Miles Davis, tromba

Wayne Shorter, sax soprano

Chick Corea, piano elettrico

Herbie Hancock, piano elettrico

Joe Zawinul, organo elettrico

John McLaughlin, chitarra elettrica

Dave Holland, basso

Tony Williams, batteria

Shhh/Peaceful (Miles Davis) [18:16]

I due pezzi, che formano un trittico, si susseguono senza soluzione di continuità. Assenza di una

vera struttura tematica ma serie di strati sonori sovrapposti, articolazione nel tempo grazie alla

tecnica dello “stop and go”sperimenentata ampiamente dal II quartetto.

Tonalità di re maggiore mantenuta lungo l’intera durata del brano, grazie alla scansione incessante

la-re del basso. Batteria:regolare ritmo di semicome al charleston. Sfondo su cui le tastiere suonano

brevi figurazioni. La tecnica dello “stop and go” interrompe il flusso regolare della musica prima

dell’impro di Miles e a segnare il passaggio al secondo pannello del pezzo. Interplay di grande

finezza, in cui la logica è data dalla produzione di figure, moduli iterativi, licks in relazione

all’ascolto degli altri. Atmosfera sospesa, in cui sembra che lo scorrere del tempo si fermi (secondo

Carr qui la musica “crea una situazione, estranea alla musica occidentale, di assenza di tempo: e

sotto un certo profilo è musica entro cui si dovrebbe vivere, più che essere semplicemente

ascoltata”).

Ssh [6:14]

00:00 Strati sonori sovrapposti: sezione ritmica

01:28 - 01:34 Stop and go

01:43 Impro Miles Davis

05:15 Sezione ritmica

05:55 – 06:13 Stop and go

Peaceful [5:42]

06:14 Impro John McLaughlin

09:13 Impro Wayn Shorter

10:48 Impro John McLaughlin

Ssh [6:14]

11:56 Ripresa di Ssh

In A Silent Way/It’s About That Time (Joe Zawinul – Miles Davis) [19:52]

Rispetto a Ssh/Peaceful che delinea uno svolgimento compatto, In A Silent Way/It’s About That

Time è un trittico in cui i pannelli estremi sono nettamente diversi per forma e carattere, anzi

decisamente contrastanti da quello centrale.

In A Silent Way, tema di Joe Zawinul (la versione originale s’ascolta nell’album Zawinul del

1971) ma in una versione radicalmente semplificata dall’editing di Miles. Di fatto, il tema di

ballad è suonato su un solo accordo, di mi maggiore, ed è presentato quattro volte, senza

assoli, senza una pulsazione precisa e con strumentazione ogni volta leggermente diversa sul

pedale del basso: pura melodia accompagnata, in una clima di magica evocazione.

It’s About That Time non si basa su alcun tema vero e proprio (le uniche parti composte nel

senso di messe per iscritto riguardano basso, batteria e tastiere) , bensì su 3 sezioni che si

ripetono e si avvidendano:

A, 4 bb.: riff del basso di 3 note (mi bemolle-re-mi bemolle) + scansione ritmica regolare

della batteria (otto ottavi per battuta sul charleston piatti chiusi e quattro quarti battendo sul

metallo del rullante)

B, 3 bb.: riff del basso di 3 note (re bemolle-re bequadro-mi bemolle) + accordi contigui per

quarte delle tastiere + scansione ritmica regolare della batteria come in A

C, 2 bb.: riff del basso (fa-fa-la-la-si bemolle ecc.) + scansione ritmica regolare della batteria

come in A

In A Silent Way [4:11]

00:00 Tema, 16 bb., poi ripetuto: John Mc Laughlin

02:07 Tema: Wayne Shorter

03:03 Tema: Miles Davis e Wayne Shorter

It’s About That Time [11:27]

04:11 A - Impro Miles Davis

04:57 B- Sezione ritmica

05:42 B- Impro John McLaughlin

08:18 B + C - Impro John McLaughlin

09:10 B - Sezione ritmica

09:31 B- Impro Wayne Shorter

10:27 B + C Impro Wayne Shorter

11:36 A - Sezione ritmica

11:45 B - Impro Miles Davis

12:41 C - Impro Miles Davis

13:09 La batteria accompagna l’assolo

13:43 A - Impro Miles Davis

14:40 C - Impro Miles DAvis

In A Silent Way [4:11]

15:38 Ripresa di In A Silent Way

Bitches Brew (1969)

Doppio album, contraltare di In A Silent Way. Enrico Merlin - Veniero Rizzardi, Bitches Brew.

Genesi del capolavoro di Miles Davis, Milano, Il Saggiatore, 2009.

“Non si potrebbe mai scrivere per un’orchestra quello che facemmo in Bitches Brew. Fu per questo

che non misi tutto per iscritto; non perché non sapessi quello che volevo; sapevo che quello che

desideravo non sarebbe mai venuto fuori dalla roba prearrangiata, ma da un processo creativo.

Quelle registrazioni furono improvvisazioni, ed è questo che rende il jazz così favoloso” (Miles

Davis con Quincy Troupe, L’autobiografia, Roma, Minimum fax, 20102, pp. 388). Certo il processo

creativo dell’improvvisazione è importante, ma non meno decisivo è il ruolo della manipolazione in

sede di post-produzione dei nastri registrati.

Copertina e atmosfera dell’album contengono riferimenti all’Africa, per Miles un’Africa mitica e da

sogno alla quale ispirarsi. La celebre copertina pop-surrealista dell’album, opera di Mati Klarwein

(già autore della copertina di Abraxas di Carlos Santana) è anch’essa emblematica del cambiamento

di stile nella musica di Miles contenuta nell’opera. A Klarwein venne commissionata una copertina

incentrata sulla dualità: il disegno raffigura una coppia abbracciata che guarda lontano verso

l’orizzonte oltre il mare e che si fonde con le nubi, un fiore che è anche fuoco, due mani che si

intrecciano e che si tramutano in un volto bifronte, nero e bianco, rivolto verso il cielo azzurro da un

lato e verso la notte stellata dall'altro. Tutti e due i volti sono imperlati di sudore ma sul viso bianco

esso è simile a sangue. Sul retro di copertina vi sono altre due figure, un indigeno (o un’indigena)

Wodaabe in piedi, nell’estasi di una cerimonia religiosa, e in basso a sinistra un’altra figura assorta,

pensosa e avvolta nell’ombra.

Il titolo è un gioco di parole. In inglese esiste l’espressione “witches brew”, che può significare sia

“pozione magica” che “calderone delle streghe”. La parola bitch ha diversi significati. Nell’uso

gergale afroamericano viene usata abitualmente come termine dispregiativo (o di forte

apprezzamento) verso una donna (definita “cagna”, “puttana”), ma è usato anche tra i musicisti per

chiamarsi l’uno con l’altro. Un altro significato è dato dall’espressione bitching, ossia “qualcosa di

pregevole, roba buona”. In questo senso l’autore vorrebbe quindi dire “questa musica è roba

buona”. (Paul Tingen Miles Beyond. The Electric Explorations of Miles Davis, 1967-1991, New

York, Billboard Books, 2001, p. 62) La traduzione letterale, “brodo di cagne” o “sudore di cagne”

che talvolta viene proposta, è fuorviante in italiano nel far comprendere appieno il complesso gioco

di parole voluto da Davis che implica un ampio campo semantico (magia, prostituzione,

apprezzamento, affetto).

Elementi generali caratterizzanti (che in buona parte riprendono ma in misura molto più radicale

tratti degli album precedenti come Filles de Kilimanjaro e In A Silent Way):

- impiego di strumenti acustici ed elettrici in combinazione inusuale (estensione e

arricchimento paraorchestrale dell’organico rispetto a In A Silent Way)

- tecnica di registrazione multitraccia a microfoni aperti

- massiccia elaborazione delle registrazioni in studio in fase di post-produzione, con

introduzione di riverberi, echi ed altri effetti elettronici

- dissoluzione delle forme tipiche del jazz (in particolare quella: tema – assolo/i – tema cioè

head – solo – head) in favore di una libera improvvisazione su frammenti e spunti e strutture

minimali: riff del basso, modi, pedali, grooves, “coded phrases”

- assenza di temi, melodie memorizzabili e linguaggio molto dissonante, associato a sonorità

dure e aspre

- lunga durata dei pezzi

In sostanza si trattò di una messa in discussione complessiva di tutta la musica precedente di Miles

(strumenti, tecniche compositive, metodi di produzione) e di un allontanamento dal pubblico

tradizionale del jazz. Eppure, nonostante la sua complessità, Bitches Brew ebbe un grande successo

di pubblico, sia tra gli amanti del rock sia tra gli appassionati di jazz, anche se fu rifiutato dai

“puristi” del jazz: con la vendita di oltre mezzo milione di copie, l’album rappresenta il secondo

miglior successo commerciale della storia del jazz, dopo Kind of Blue (1959). È piuttosto dubbio

che Bitches Brew possa essere considerato come il primo album di jazz-rock (Emergency! dei Tony

Williams Lifetime uscì nel 1969, mentre Bitches Brew fu pubblicato nel 1970), ma certo è l’opera

con cui Miles prende definitivamente le distanze da un certo modo tradizionale di concepire la

musica e il jazz, aprendo la propria esperienza ad altre musiche e ad altri mondi sonori.

L'ispirazione per l’album giunse a Davis dal Festival di Woodstock (agosto 1969). La prima

sessione per l’album ebbe infatti luogo pochi giorni dopo la conclusione della manifestazione che

aveva fatto conoscere al mondo il popolo del rock con tutte le sue implicazioni sociologiche

connesse. In particolare, le influenze principali nell’ideazione e composizione di Bitches Brew

furono quelle di Sly Stone, Jimi Hendrix, James Brown.

I profondi cambiamenti nello stile e nei concetti musicali di Miles Davis che portarono alla fusione

di jazz e rock, si realizzarono principalmente in studio di registrazione per poi svilupparsi però

anche nelle performances dal vivo. Clive Davis aveva convinto Miles ad esibirsi in grandi spazi

aperti come il Fillmore East di New York, anziché in piccoli club come aveva fatto in precedenza.

Questa apertura verso una fetta di pubblico più ampia, portò a curiose commistioni di artisti

musicali dallo stile differente che si esibirono sullo stesso palco. Nello stesso periodo anche il look

di Davis subì delle modifiche radicali come riflesso delle sue nuove scelte musicali: il musicista

iniziò ad indossare giacche di pelle, vistosi occhialoni neri, camicie dai colori psichedelici, un

abbigliamento eccentrico simile a quello dei musicisti rock dell’epoca.

Bitches Brew è stato registrato in soli tre giorni: il 19, 20 e 21 agosto 1969. nello Studio B della

Columbia sulla 52a Strada di New York In tre giorni di session, Miles e Teo Macero registrarono

tutto il materiale come fosse una lunga, unica jam session – guidata e “orchestrata” da Davis –

senza fermare mai il nastro. L’improvvisazione collettiva in sala di incisione era stata già

sperimentata da altri jazzisti come Ornette Coleman e John Coltrane, ma Davis volle che qui ogni

strumento fosse precisamente integrato in un caleidoscopico insieme collettivo appunto

“orchestrato” nei dettagli. Il gruppo di musicisti impiegati (che può essere considerato come

un’estensione del quintetto archetipico di Miles grazie a una moltiplicazione delle funzioni con in

più 1 batteria, 3 percussionisti, clarinetto basso, 2 tastiere e chitarra) comprende:

- tromba (Miles Davis)

- 2 batterie (Jack DeJohnette e Lenny White)

- 3 percussionisti (Don Alias, Juma Santos e Airto Moreira)

- sax soprano (Wayne Shorter) e clarinetto basso (Bennie Maupin)

- 2/3 pianoforti elettrici (Chick Corea, Joe Zawinul, Larry Young)

- chitarra (John McLaughlin)

- 1/2 due bassi acustico e/o elettrico (Dave Holland e Harvey Brooks)

Per la realizzazione di un’opera così complessa e difficile, Davis utilizzò il copione già

sperimentato per Kind of Blue e In A Silent Way, portando in studio solo semplici sequenze di due,

tre accordi e indicazioni dinamiche e ritmiche, lasciando per il resto carta bianca all’intuizione e

all’improvvisazione dei musicisti, sotto la sua supervisione d’insieme. Processo improvvisativo

basato su un minimo di indicazioni e su un rapporto di interazione non verbale (o quasi del tutto non

verbale) ma piuttosto intuitivo, emozionale con i musicisti; quando impiega le parole per esprimere

ai musicisti le sue intenzioni, Miles usa un linguaggio “in codice”, aforismi o haiku di poche parole

che tuttavia riescono a stimolare nel modo giusto la creatività dei musicisti (secondo quanto

riportato da Mc Laughlin e Holland, mentre Corea avrebbe preferito che Miles esprimesse

chiaramente quel che voleva e non voleva, se le cose andavano bene o potevano essere fatte in altro

modo o in modo migliore). Reticenza a parlare della musica e sulla musica, a concettualizzare le

idee, ma indicazioni sibilline, apparentemente provocatorie che vanno comunque sempre nella

direzione di ciò che non è abituale, banale, prevedibile, legato a pregiudizi e preconcetti per liberare

la fantasia creativa nell’improvvisazione.

Come nota Ian Carr, con Bitches Brew Miles si era completamente disfatto “della vecchia idea per

cui un brano consisteva di una serie di assoli e gli elementi-base venivano a essere la tromba e il

resto del complesso. I diversi modi di porsi, di interagire di quegli elementi (Miles, appunto, e il

complesso) costituiscono il motivo di interesse dell’album e il principale elemento drammatico. Se

c’è un assolo di qualche altro strumento, il sax soprano, per fare un esempio, o il clarinetto basso,

solitamente ciò è parte della trama strumentale d’insieme più che un assolo vero e proprio. Miles

governa lo svolgimento in ogni sua parte”.

La post-produzione

Enrico Merlin - Veniero Rizzardi, Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis, Milano,

Il Saggiatore, 2009

L’aspetto della post-produzione fu decisivo nella realizzazione del doppio album, come hanno

illustrato gli studi di Enrico Merlin e la pubblicazione di tutti i materiali della registrazione (1998).

A tale proposito, vale la pena di ricordare che Teo Macero ebbe nell’occasione carta bianca: Macero

non si limitò al tape editing per incollare insieme ampie sezioni musicali (come In A Silent Way) ma

estese il suo operato sino a editare piccoli segmenti musicali per creare temi musicali nuovi di

zecca. Inoltre Macero arricchì il suo kit di strumenti con effetti d’eco, riverberi e tape delay grazie a

una macchina chiamata Teo One, costruita dai tecnici della Columbia: questo effetto si nota alla

tromba all’inizio di Bitches Brew e in Pharaoh’s Dance (8:41). A quanto pare Macero s’ispirò in

parte, per il trattamento in post-produzione dei nastri del doppio album, alla musica colta. Secondo

il compositore e violoncellista inglee Paul Buckmaster (che farà conoscere tra l’altro a Miles la

musica di Stockhausen), in Pharaoh’s Dance e in Bitches Brew – i due pezzi connotati da un

impiego massiccio dell’editing di Macero – l’intenzione fu quella di riprodurre la struttura della

forma sonata (esposizione-sviluppo-ripresa). Ora, l’editing di Macero può essere considerato solo

parzialmente riuscito, come sembra dimostrato dal fatto che i pezzi che non furono editati sono

probabilmente i migliori:

- il breve e concentrato John McLaughlin (4:22) è un esempio di come la musica della session

potesse funzionare anche in formato ridotto;

- Spanish Key e Mile Runs the Voodoo Down sono i pezzi più intensi, tesi e contengono anche

i più convincenti assoli di Miles. Spanish Key è un brano in tempo medio di jazz-rock che si

basa su scale e centri tonali diversi e impiega ciò che Enrico Merlin definisce “coded

phrases” (motivi o elementi musicali grazie ai quali la band è indirizzata verso la sezione

musicale successiva in modo da articolare la forma):

“The method devised by Miles to signal the beginning and end of a number was very simple but

extremely effective.

To uncover the system, I started comparing recordings of the various concerts, identifying musical

situations similar in key, form and rhythm. I discovered that all the ‘similar musical situations’ were

preceded by the same phrase played by Miles Davis on the trumpet.

Having checked this theory carefully, it became clear that these “phrases” were used by the leader

during the course of the long medleys to signal the wish to go on to the next piece. In my analyses I

have discovered three types of what I call ‘coded phrase’ corresponding to particular characteristics

of the relative piece:

1. The first notes of the tune

2. The bass vamp

3. The voicings of the harmonic progressions

For example, in the case of It’s About That Time the coded phrase is taken from the voicings of the

descending chord progressions played by the electric piano (audible at 5:02 of the version published

on In a Silent Way)

As many of the compositions performed in the concerts between 1969 and 1975 were without

themes, being based exclusively on a rhythmic idea or on a bass vamp, the coded phrases help us

also to correctly identify the pieces. In addition, the bass vamps often underwent substantial

changes in the course of the tours (see Directions or It’s About That Time) and not even a

comparison of the keys is enough to help us, as there are several cases of similar or identical keys

(as with It’s About That Time and Miles Runs the Voodoo Down) […]

This device was used for the first time in Flamenco Sketches (on the album Kind of Blue) and again

in Teo (on the album Someday My Prince Will Come). Even in these two pieces the moment of

modulation between the various scales – five in the first and three in the second, whose sequence

was decided beforehand – is changed at will by the soloist or by one of the members of the rhythm

section. Another perhaps more superficial point, but one which should be noted, is the Spanish

inspiration of the titles, which is reflected in the character of the actual performances: in these two

pieces, as in Spanish Key, great use is made of strongly Spanish-sounding phrygian scales and

harmonic minors.

Conceptual continuity or use of a tested formal device? I believe that Davis was trying, and he

succeeded brilliantly, to adapt the idea of Flamenco Sketches to the musical experimentation of that

time. In fact, in the course of his career, Davis was to adopt this type of structure again, albeit using

different modal scales (still Spanish-influenced though), in one of his most-frequently performed

pieces at the beginning of the 1980s: Fat Time”.

In una prima fase iniziale dopo la conclusione delle sessioni di registrazione in studio, dopo le

lunghe operazioni di post-produzione, non era ancora ben chiaro se sarebbe stato pubblicato un

album singolo o un doppio LP. Esiste un memorandum della CBS datato 3 novembre 1969 con una

prima revisione dell’album in uscita che avrebbe dovuto intitolarsi Listen to This, un disco singolo

con data di pubblicazione prevista per il febbraio 1970 A questo stadio le tracce presenti nell’album

progettato erano le seguenti:

Lato 1: 1. Listen to This, 2. Starts Here, 3. Ends There

Lato 2: 4. Bitches Brew

I brani presenti sul lato 1 sarebbero poi stati reintitolati Pharaoh’s Dance. Il 14 novembre viene

deciso su espressa volontà di Miles Davis che il titolo dell’album in uscita sia Bitches Brew.

Soltanto il 13 gennaio 1970 viene decisa la forma definitiva nella quale l’album verrà pubblicato,

preceduto dal singolo promozionale Spanish Key / Miles Runs the Voodoo Down (Columbia 4-

45171): sarà un album doppio con l’inserimento anche degli altri titoli registrati durante le sessioni.

La pubblicazione nel maggio del 1970, con il suo titolo shock e la sua copertina psichedelica, non

passò inosservata.

Secondo alcuni, Bitches Brew è l’album di jazz che ha venduto più copie: altri hanno contestato i

dati, e alcuni hanno detto che non si tratta di jazz. Sicuramente vendette più di mezzo milione di

copie, proiettando Miles tra le stelle della scena rock, con i quali, subito dopo, Miles iniziò a

partecipare ai grandi concerti allora in voga (a partire dal concerto al Fillmore di San Francisco con

i Grateful Dead). Partecipò anche a concerti con Carlos Santana e la Steve Miller Band, accettando

ingaggi ridotti pur di poter prendere parte a questo tipo di eventi. Tra gli appassionati di jazz, furono

molti ad accusare Davis di essersi venduto, e i suoi accresciuti guadagni furono addotti come prova.

In questo periodo, Davis diede concerti col cosiddetto “quintetto perduto”, di cui non esistono

registrazioni, con Shorter, Corea, Holland e DeJohnette, suonando materiale tratto da Bitches Brew,

In a Silent Way, e dal repertorio del precedente quintetto. La formazione continuò poi ad evolvere in

direzione funk, con la sostituzione di Shorter con Steve Grossman, l’inserimento di Keith Jarrett

come secondo tastieristae il passaggio definitivo di Holland al basso elettrico. Questi gruppi

produssero diversi album dal vivo: Live at the Fillmore East, March 7, 1970: It’s About That Time

(Marzo 1970; ultima apparizione di Shorter col gruppo), Black Beauty: Miles Davis at Fillmore

West (Aprile 1970 con Steve Grossman) e Miles Davis at Fillmore: Live at the Fillmore East.

Di Bitches Brew:

- Riedizione in cd (1999) con l’inedito Feio (Wayne Shorter) registrato nel gennaio 1970, con note

di Bob Belden

- 2 CD + 1 DVD Bitches Brew 40th Anniversary Legacy Edition (2010)

Punto di svolta epocale nella storia del jazz moderno, comunque la si pensi, Bitches Brew, non

poteva riscuotere un successo unanime: del resto, dopo aver sorpreso i critici con il cool, poi con il

jazz modale, quindi con la musica sofisticata del II quintetto Davis diede vita a un ennesimo

cambiamento stilistico. La musica che inizia con Bitches Brew e prosegue nella prima metà degli

anni Settanta non era fatta per piacere a tutti indistintamente: dall’ambiente jazzistico si levarono

critiche – anche da parte di numerosi musicisti – sull’oscurità, la presunta mancanza di forma e di

direzionalità della musica, lo sconfinamento al di là di ciò che veniva identificato con il jazz, la

propensione a solleticare il gusto del pubblico del rock (anche se, e questo è un aspetto paradossale,

la musica di Bitches Brew e dei primi anni Settanta concepita e realizzata da Davis non è affatto, al

di là della straordinaria carica di energia e della forza delle armosfere sonore, una musica di facile

ascolto, accessibile all’ampio pubblico del rock e del pop per la natura dissonante, la mancanza di

melodie memorabili, l’impegnativa lunghezza dei pezzi). D’altro canto parte della critica e del

pubblico videro l’album come qualcosa di importante e molto innovativo nel panorama musicale –

non soltanto jazzistico – dell’epoca: l’impressione era di una musica inaudita, mai ascoltata prima.

Pharaoh's Dance (Joe Zawinul) [20:05]

Il pezzo sviluppa in certo modo il mondo sonoro di In A Silent Way ma arricchito dal timbro oscuro

e inquietante del clarinetto basso di Bennie Maupin. La composizione di Zawinul era in origine

articolata in 2 sezioni, ma subì l’editing di Miles che la ridusse alla sola prima parte. La traccia

contiene ben 19 edits nel corso delle varie sezioni, un imponente opera di “taglia e cuci” messa in

atto in studio dal produttore Teo Macero. L’editing è particolarmente complesso e condiziona in

misura determinante la musica. Tutta la sezione iniziale fu costruita in post-produzione, usando cicli

di ripetizione (loops) di 15” e 31” di nastro, mentre altri interventi di micro-editing intervengono tra

8:53 e 9:00 e un frammento di 1” che appare a 8:39 è ripetuto per 5 volte.

00:00 – 02:31 “Esposizione”

00:00 Figura 1

00:15 Vamp 1

00:46 Figura 2

02:32 “Sviluppo” con assolo di Miles Davis

02:54 Riferimento al materiale dell’“esposizione”

07:55 Riferimento al materiale dell’“esposizione” Vamp 1

08:29 – 08:42 Sezione “drammatica” con effetto di delay alla tromba, poi ripetuta a 08:44-

08:53 e seguita dal loop 08:53-09:00

011:47 Assolo di Wayne Shorter

12:53 Assolo di John McLaughlin

16:38 “Ripresa” della Figura 1 di Miles Davis e “Coda”

Bitches Brew (Miles Davis) [26:58]

Con i suoi 27 minuti di durata, il title track è il pezzo più lungo dell’album. Chick Corea ricorda che

Miles gli indicò 3 triadi da impiegare: Mi maggiore, Mi bemolle maggiore e Do maggiore che

formano una scala particolare mi – sol – la bemolle – si bemolle – si – do – mi bemolle.Anche qui

l’editing è particolarmente complesso e condiziona in misura determinante la musica (15

interventi): brevi loop a 3:01, 3:07, 3:12, 3:17 e 3:27 che “creano” un tema. Un’altra sezione

realizzata in post-produzione grazie a una breve frase della tromba che dà l’illusione di un tema

precomposto è il loop da 10:32 a 10:52.

00:00 - 03:32 “Esposizione”

00:00 Figura 1: vamp e accordo dissonante

00:41 Figura 1: richiamo con delay e melodia della tromba

2:51 Figura 2: riff del basso e clarinetto basso

03:32-14:36 “Sviluppo” che parte da un vamp con assoli di Davis, McLaughlin, Shorter e Corea

03:53 Assolo Miles Davis 1

06:36 Assolo John McLaughlin

08:55 Assolo Miles Davis 2

11:40 Assolo Wayne Shorter

12:34 Assolo Chick Corea

14:36 “Ripresa” Figura 1

17:20 Secondo “sviluppo” (cfr. 03:32) con assoli di Holland, Davis

17:30 Assolo di Dave Holland

19:23 Assolo di Mile Davis

24:04 “Ricapitolazione” della Figura 1 = 00:00 - 02:50

Secondo Paul Tingen sia il forte intervento di editing in Pharaoh’s Dance e Bitches Brew sia

l’inclusione di John McLaughlin possono spiegarsi col fatto che si tratta di pezzi che non erano stati

precedentemente suonati dal vivo dalla band e dunque non avevano ancora ricevuto una chiara

organizzazione strutturale, al contrario di Spanish Key, Miles Runs the Voodoo Down e Sanctuary,

tutti già sperimentati dalla band in concerto (dei tre pezzi soltanto Sanctuary contiene un edit a 5:13,

dove Macero incollà un altro take). Sembra anche verosimile che nell’editing dei primi due pezzi

dell’album, Macero sia stato influenzato dalla forma che Miles aveva plasmato dai tre pezzi già

eseguiti dal vivo, e nello specifico da Spanish Key, che ha una forma circolare.

Spanish Key (Miles Davis) [17:32]

Prima traccia del terzo lato, Spanish Key è caratterizzato da un tempo veloce e da un groove

decisamente rock. Il titolo allude alla rivisitazione di moduli del folklore spagnolo (modi frigi, scala

armonica minore) che Miles aveva già compiuto con Flamenco Sketches e poi con Sketches of

Spain. Il materiale di base del pezzo è costituito da 5 centri/scale modali (mi alterato – re alterato –

re frigio – mi frigio – sol misolidio), da un certo numero di sezioni (Intro, A, B, C, D) e di frasi

(alcune di queste ultime servono a segnalare il passaggio da una sezione all’altra: sono le cosiddette

“coded phrases”). Vedi lead sheet.

Intro A

Mi alt. Frase 1 Frase 2

B C

Frase 3

D

Mi alt. Re alt. Re frigio Mi frigio/alt. Sol misolidio

Mi alterato: mi – sol - sol diesis – si – do diesis – re – mi (E7#9 = mi – sol# - re – sol)

Re alterato: re – fa – fa diesis - sol – la – si – do – re (D7#9 = re – fa# - do – fa)

Re frigio: re – mi bemolle – fa – sol – la – si bemolle – do - re

Mi frigio: mi – fa – sol – la – si – do – re - mi

Sol misolidio: sol – la – si . do – re – mi – fa – sol

Le “modulazioni” sono sempre iniziate dal solista che suona una frase nel nuovo centro

tonale/modale di riferimento, guidando perciò il corso dell’improvvisazione. Riferimento di Miles

al procedimento sperimentato a suo tempo in Flamenco Sketches, dove tuttavia – è bene precisarlo

non ci sono “coded phrases” ma il solista indica il cambiamento di modo di riferimento suonando

direttamente una frase che determina essa stessa la “modulazione”).

Struttura circolare sottolineata dal tema principale (sezione A, frase 1) alla tromba a 00:36, 09:17 e

16:48, mentre anche gli assoli fanno ampio riferimento a questo spunto tematico.

Le quattro sezioni sono ripetute continuamente nell’ordine seguente (secondo una certa libertà

combinatoria):

1) Introduction

2) A (main theme = phrase 1)

3) Phrase 2

4) B (solo)

5) C (solo)

6) Phrase 3

7) D (solo)

8) Phrase 3

9) C (solo)

10) Phrase 3

11) D (solo)

12) A (main theme)

13) Phrase 2

14) B (solo)

15) C (solo)

16) Phrase 3

17) D (solo)

18) A (main theme)

19) Phrase 2 (Miles plays the phrase and band ends on D7#9).

Da Enrico Merlin, Enrico Merlin, Code MD: Coded Phrases in the First "Electric Period"

(1996) nel sito: http://www.plosin.com/MilesAhead/CodeMD.html

APPENDIX 2. Structures and sequence of the solos in Spanish Key:

INTRO + THEME played by Miles: E (0:36) --> conclusion in A/D (1:06);

Solo by Miles (1:19/3:23): D --> E (2:39) --> break by Corea and modulation: E --> G

(3:11);

Solo by McLaughlin (3:31/5:16): G ;

Break by Corea: G --> E (5:20) followed by THEMATIC extract played by Miles;

Solo by Shorter (5:37/9:13): E --> D (6:47) --> E (7:49) --> break by Corea and modulation:

E --> G (8:41);

THEME played by Miles: E (9:17) --> conclusion in A/D (9:39);

Duet by McLaughlin + Corea: D (9:48/10:45);

Solo by Miles (10:46/13:58): D --> E (11:41) --> break by Corea and modulation: E --> G

(13:49);

Solo by Corea (13:57/15:07): G;

Solo by Maupin (15:07/16:48): G --> E (15:20);

THEME played by Miles: E (16:48) --> conclusion in A/D (17:11).

Three modal scales are used: two of darker character (D phrygian and E phrygian) and one of much

brighter character (G mixolydian). In the first two scales there is a certain increased ambiguity

caused by the use of alternate thirds (major and minor) and a substantially more chromatic approach

by the soloists. The modulation from E to G is always anticipated by Corea (probably prompted by

Davis), who performs a call break. Modulations are always initiated by the soloist who performs a

phrase in the new key, thus signalling his own wish to change the tonal centre.

This device was used for the first time in Flamenco Sketches (on the album Kind of Blue) and again

in Teo (on the album Someday My Prince Will Come). Even in these two pieces the moment of

modulation between the various scales – five in the first and three in the second, whose sequence

was decided beforehand – is changed at will by the soloist or by one of the members of the rhythm

section.

John McLaughlin (Miles Davis) [4:22]

È la traccia più breve, una sorta di intermezzo musicale guidato dal piano elettrico di Chick Corea,

nel quale Miles Davis non suona. Sul tappeto sonoro fornito dal pianoforte elettrico, la chitarra

solista di John McLaughlin (cui il pezzo è intitolato) ha la possibilità di sbizzarrirsi in

improvvisazioni libere da schemi prefissati. Originariamente la traccia era intesa come una sezione

del brano Bitches Brew, ed effettivamente venne suonata durante la jam session dalla quale scaturìil

brano in questione, per poi essere “estratta” e pubblicata singolarmente.

Miles Runs the Voodoo Down (Miles Davis) [14:01]

Ovvero “Miles sparla del voodoo”, riferimento a Voodoo Child (Slight Return) di Jimi Hendrix,

pubblicato l’anno precedente nell’album Electric Ladyland. Il materiale qui è ridotto all’essenziale:

tonalità di riferimento (Fa), incessante pulsazione lenta e riff di basso: congas e rimuginare nel

registro grave del clarinetto basso (una delle sigle sonore di tutto l’album, peraltro). “Clima di

invocazione, di danze rituali, di possessione” con la tromba di Miles, che inizia coll’alternare terze

maggiori e minori abbracciando così l’intera tradizione blues facendosi quasi voce umana e

producendosi in virtuosismi e dando il tono all’intero pezzo (Ian Carr), con impressionante

fascinazione melodica: seguono gli assoli di John McLaughlin (04:12), Wayne Shorter (06:14), Joe

Zawinul (08:03) e ancora di Miles (10:42).

Il brano, preentato dal vivo dal quintetto nell’estate del 1969 resterà un pezzo fisso delle

performance live sino all’anno successivo.

Sanctuary (Wayne Shorter) [10:56]

L’album si conclude con una versione di Sanctuary, una ballad di Wayne Shorter che era stata

registrata all’inizio del 1968, ma di cui è data una interpretazione radicalmente diversa in Bitches

Brew. Si inizia con Davis e Chick Corea che improvvisano sul tema dello standard I Fall in Love

too Easily prima che Miles inizi a suonare il tema vero e proprio di Sanctuary (01:09) che poi passa

da una libera pulsazione e un tempo rubato a un tempo di ballad (03:11)

Modulo C

Ascenseur pour l’échafaud (1958)

Musiche per il film d’esordio di Louis Malle, tratto dal romanzo di Noël Calef, sceneggiatura di

Roger Nimier e Louis Malle (1932-1995), fotografia di Henri Decaë, montaggio Léonide Azar con

Maurice Ronet: Julien Tavernier

Jeanne Moreau: Florence Carala

Jean Wall: Simon Carala

Georges Poujouly: Louis

Yori Bertin: Véronique

Lino Ventura: commissario Cherrier

Charles Denner: ispettore

Ivan Petrovitch: Horst Bencker

Elga Andersen: Frieda Bencker

Parigi, città del jazz negli anni 1950

- Bud Powell a Parigi e l’amicizia con Francis Paudras, Autour de minuit (1986) di Bertrand

Tavernier, protagonista Dexter Gordon, musiche curate da Herbie Hancock (Premio Oscar per la

migliore colonna sonora 1987)

- Collana discografica Jazz in Paris, etichetta Gitanes che documenta l’intensa vita musicale jazz

della città

- Altre colonne sonore di film polizieschi, polar, o comunque d’intrigo con musica jazz:

Sait-on jamais… [Appuntamento con il delitto] (1957) di Roger Vadim, con Françoise Arnoul,

Christian Marquand e Robert Hossein e le musiche di John Lewis e del Modern Kjazz Quartet

Un témoin dans la ville [Appuntamento con il delitto] (1959) di Édouard Molinaro, con Lino

Ventura e Sandra Milo e musiche di Barney Wilen, Kenny Dorham e Kenny Clarke

Des femmes disparaissent (1959) di Édouard Molinaro, con Robert Hossein e Estella Blain e

musiche di Art Blakey e i Jazz Messengers

Les liaisons dangereuses (1959) di Roger Vadim, con Jeanne Moreau e Gérard Philipe e musiche di

Séverine Allimann, La Nouvelle Vague a-t-elle changé quelque chose à la musique de cinéma ?,

«1895. Mille huit cent quatre-vingt-quinze» [En ligne], 38 | 2002, mis en ligne le 28 novembre

2007

http://1895.revues.org/362

Romina Daniele, Ascenseur pour l’échafaud. Il luogo della musica nell’audiovisione,

Grisignano (Athena), Edizioni RDM Records, 2011

http://books.google.it/books?id=Ol0P0uHrn7AC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_su

mmary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false

Alla fine del 1957 Miles Davis si recò a Parigi per una tournée e per un ingaggio al Club Saint-

Germain, locale alla moda di proprietà dello scrittore e musicista Boris Vian. Nella capitale francese

incontrò nuovamente l’attrice Juliette Gréco con la quale aveva instaurato nel 1949 una relazione

che, a fasi alterne, durava da molti anni. Frequentandola Davis entrò in contatto con molti esponenti

del moderno ambiente culturale esistenzialista della Rive Gauche parigina. Scrittori, artisti, filosofi

che avevano come punto di ritrovo i locali e i salotti del quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Tra

questi, il regista Louis Malle che aveva da poco terminato le riprese del suo film d’esordio, un noir

a tinte forti che vedeva tra i protagonisti Jeanne Moreau e Maurice Ronet.

Davis era giunto a Parigi grazie al produttore e promoter Marcel Romano il quale aveva da tempo

in progetto la realizzazione di un film sul jazz, proprio con Miles Davis come protagonista. L’idea

era di documentare il processo di creazione musicale tramite una jam session per catturare la

complete communion (“completa comunione”) tra i musicisti, fenomeno descritto come base

dell’improvvisazione colettiva nel jazz. Fu a partire da quest'idea che Romano propose la cosa a

Jean-Claude Rappeneau, amico e assistente di Louis Malle. Rappeneau suggerì di utilizzare Miles

Davis per la colonna sonora del film che Malle stava completando. Già nelle immagini del film il

regista aveva voluto omaggiare Davis in una scena nella quale appare bene evidente la copertina di

un suo disco. Il caso volle che proprio nel periodo in cui si stava finendo il film il trombettista si

trovasse in Francia per l’ingaggio al Club Saint-Germain. Boris Vian, grande appassionato di jazz e

discreto trombettista, era all'epoca il principale contatto francese per i musicisti americani che

transitavano per la Francia. Fu lui, che tra l’altro all’epoca dirigeva il reparto jazzistico della

Philips, a fare da intermediario tra Malle e Davis. Vian aveva in mente come modello quanto aveva

fatto pochi mesi prima Roger Vadim per il suo Un colpo da due miliardi (Sait-on jamais...) le cui

musiche erano state composte da John Lewis e interpretate dal Modern Jazz Quartet.

Malle e Davis, con l’intermediazione di Vian, si incontrarono e, tre giorni dopo l’arrivo del

trombettista a Parigi, fu organizzata una proiezione privata di Ascenseur pour l’échafaud. Malle

spiegò a Davis la storia, l’intreccio tra i personaggi e le loro caratteristiche. Il regista non voleva la

classica registrazione di una colonna sonora, ma una vera seduta d’improvvisazione, una jam

session. Davis fu inizialmente riluttante, perché, pur stimando i musicisti francesi, non era convinto

di poter trovare con loro il feeling adatto. Pensava mancasse il necessario affiatamento che invece

aveva con i suoi abituali collaboratori. Dopo due sole proiezioni però Davis accettò la sfida e si

mise a lavorare alacremente nel suo albergo dove aveva a disposizione un pianoforte.

La sera del 4 dicembre, due settimane dopo l’incontro, Davis non doveva suonare al Club Saint-

Germain e fu così organizzata la registrazione. La produzione affittò lo studio di una radio locale, la

Poste Parisien, dove Davis riunì i musicisti: il pianista René Urtreger, il sassofonista Barney Wilen

il bassista Pierre Michelot e il batterista Kenny Clarke, veterano del bebop e vecchia conoscenza di

Davis che si era stabilito da qualche tempo in via pressoché definitiva a Parigi. Il trombettista aveva

preparato alcuni abbozzi e dopo poche e rudimentali spiegazioni limitate alle sequenze armoniche,

il gruppo iniziò a provare mentre Malle proiettava su uno schermo le scene del film a cui sarebbe

stato aggiunto il commento sonoro. I musicisti iniziarono a lavorare lentamente, ma dopo poche ore

si era creata la giusta atmosfera dettata anche dal modo in cui vennero proiettate le immagini. Malle

aveva preparato una bobina con le sette scene a cui si sarebbe aggiunto il commento che veniva

proiettata di continuo, in una sorta di loop. Ad ogni ciclo seguiva l’analisi di quanto suonato e il

regista forniva indicazioni più precise su quanto voleva. Il lavoro fu completato in una sola notte,

dalle 10 di sera alle 8 del mattino. Alla fine il regista montò la musica sul film, a volte utilizzando

brani pensati per una scena in un’altra (la musica del film dura in tutto circa 18 minuti).

Per Davis si trattò certamente di un’esperienza del tutto nuova. Mai aveva partecipato alla

realizzazione di una colonna sonora. Peraltro la registrazione del commento sonoro di Ascensore

per il patibolo fu un'esperienza del tutto nuova anche per il mondo del cinema e per il jazz. Ad

esempio, nel commento sonoro è presente quello che secondo alcuni è il primo assolo di

contrabbasso senza accompagnamento mai realizzato (i brevi brani Évasion de Julien e Visite du

vigile sono suonati dal solo Pierre Michelot), caratteristica voluta dal regista per meglio sottolineare

alcune sequenze.

Malle definì il lavoro di Davis come fondamentale per la riuscita del film. La musica aggiungeva

secondo il regista una nuova dimensione, in una sorta di contrappunto tra immagini e musica: “Ciò

che Miles Davis riuscì a fare fu eccezionale, il film si trasformò. Ricordo benissimo com’era senza

la musica, ma quando attaccammo il missaggio finale e aggiungemmo al musica, sembrò subito

decollare”.

La colonna sonora del film fu pubblicata nel 1958 dalla Fontana Records, sussidiaria della Philips

molto attiva nel jazz e controparte europea della Columbia Records, in un fortunato album a 10

pollici che conteneva dieci brani ricavati dalle registrazioni effettuate. In sede di post-produzione

alla musica fu aggiunto un effetto di riverbero per enfatizzare la drammaticità del commento sonoro

(effetto pensato per il film ma mantenuto anche sul disco). Alla fine del 1959 la Columbia incluse la

colonna sonora di Ascenseur pour l’échafaud nella prima facciata dell’album Jazz Track distribuito

sul mercato americano. Nel secondo lato furono inseriti tre brani inediti registrati da Davis nel

maggio del 1958 con il suo sestetto in cui all’epoca militavano Bill Evans, John Coltrane e

Connanball Adderley (l’album ottenne una nominationa al Grammy Award del 1961, ma sparì

presto dalla circolazione per essere ristampato solo nel 2013).

Dopo molte ristampe e riedizioni della colonna sonora, nel 1988 la PolyGram, che deteneva il

catalogo Fontana, produsse un CD contenente, oltre ai brani nella versione in cui furono inclusi

nell’album originale, tutte le registrazioni effettuate da Davis e gli altri la notte tra il 4 e il 5

dicembre 1957.

Album Fontana (1958)

Lato A

1. Générique - 2:45

2. L’assassinat de Carala - 2:10

3. Sur l’autoroute - 2:15

4. Julien dans l’ascenseur - 2:07

5. Florence sur les Champs-Élysées - 2:50

Lato B

1. Dîner au motel - 3:58

2. Évasion de Julien - 0:53

3. Visite du vigile - 2:00

4. Au bar du Petit Bac - 2:50

5. Chez le photographe du motel - 3:50

Complete Recordings CD (1988)

1. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 1) - 2:25

2. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 2) - 5:20

3. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 3) (Générique) - 2:47

4. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 4) (Florence sur les Champs Élyseés) – 2:59

5. Assassinat (Take 1) (Visite du vigile) - 2:02

6. Assassinat (Take 2) (Julien dans l'ascenseur) - 2:10

7. Assassinat (Take 3) (L'assassinat de Carala) - 2:10

8. Motel (Dîner au Motel) - 3:56

9. Final (Take 1) - 3:05

10. Final (Take 2) - 3:00

11. Final (Take 2) (Chez le photographe du motel) - 4:04

12. Ascenseur (Évasion de Julien) - 1:57

13. Le petit bal (Take 1) - 2:40

14. Le petit bal (Take 2) (Au bar du Petit Bac) - 2:53

15. Séquence voiture (Take 1) - 2:56

16. Séquence voiture (Take 2) (Sur l’autoroute) - 2:16

17. Générique - 2:45*

18. L’assassinat de Carala - 2:10*

19. Sour l’autoroute - 2:15*

20. Julien dans l’ascenseur - 2:07*

21. Florence sur les Champs Élyseés - 2:50*

22. Dîner au motel - 3:58*

23. Évasion de Julien - 0:53*

24. Visite du vigile - 2:00*

25. Au bar du Petit Bac - 2:50*

26. Chez le photographe du motel - 3:50*

* Le tracce da 17 a 26 sono quelle contenute nel disco originale.

Miles Davis - tromba

Barney Wilen - saxofono tenore

René Urtreger - pianoforte

Pierre Michelot - contrabbasso

Kenny Clarke - batteria

Proiettare le immagini della registrazione.

Pierre Michelot in una testimonianza nel CD edito nel 1988 ricorda come a eccezione di un brano

(Sur l’autoroute), basato sugli accordi di Sweet Gerogia Brown, Miles Davis non diede che

indicazioni molto vaghe ai musicisti: suonare 2 accordi (re minore e do7), 4 battute ciascuno ad

libitum. Sia il vamp sia l’assenza di durata prestabilita erano concetti nuovi per Michelot e gli altri

musicisti: strutture semplici e ridotte all’osso, in ogni caso molto diverse da quelle sulle quali essi

erano abituati a improvvisare. Quanto a Malle, egli dava indicazioni non musicali ma sul tipo di

relazione che la musica doveva instaurare con le immagini: la sua idea era di ottenere un

“contrepoint à l’image”, il che spiega perché poi decise di utilizzare alcuni takes per delle sequenze

differenti rispetto a quelle cui i takes stessi erano destinati in origine.

Porgy and Bess (1958)

Registrato nell’estate del 1958, Secondo album della collaborazione di Miles con Gil Evans,

realizzato sull’onda di Miles Ahead, fu il maggiore successo commerciale di Miles prima di Bitches

Brew. Fu anche uno degli album a ricevere i maggiori consensi della critica.

Introduzione sull’opera di Gershwin.

Genesi

Porgy (1925), romanzo di Edwin Du Bose Heyward omonimo dramma (1927) di Edwin Du

Bose Heyward e Dorothy K. Heyward, grande successo. 1926: Gershwin legge il romanzo e prende

contatti con l’autore; il progetto di un’opera è accantonato sino al 1932, quando il Theatre Guild

manifesta l’intenzione di realizzarne un musical per Al Jolson da affidare a Jerome Kern e Oscar

Hammerstein II. 1933; contratto con il Theatre Guild firmato da Heyward e Gershwin per un’opera.

1934: soggiorno di Gershwin a Folly Island, vicino a Charleston, abitata dai neri Gullah (contatto

diretto con il dialetto black english e una cultura afroamericana fortemente caratterizzata). Libretto:

DuBose Heyward; liriche: DuBose Heyward e Ira Gershwin.

Quale Porgy and Bess?

Tre versioni, delle quali due originali:

1) Versione originaria Gershwin (produzione per il Theatre Guild, N.Y. 1935): rappresentata

nel 1976 Houston Grand Opera.

2) Versione Gershwin – Mamoulian (Colonial Theatre, Boston - Alvin Theatre, N.Y. 1935):

versione con tagli e modifiche proposte da Ruben Mamoulian e accettate da Gershwin,

effettivamente rappresentata. Concentrazione del ritmo drammatico e sveltimento

dell’azione, riduzione all’essenziale e accentuazione del realismo (azioni e rumori teatrali,

concerto bruitistico improvvisato invece di suoni musicali per rappresentare il risveglio a

Catfish Row: III,1), tagli (Jazzbo Brown Blues: I, 1; song di Porgy Buzzard Song: II, 1; Oh,

Doctor Jesus: II, 4; terzetto di Maria, Serena e Porgy Oh, Bess, oh where is my Bess: III, 3

ridotto al solo intervento del protagonista).

3) Versione in forma di musical Smallens – Crawford (1942): sostituzione del recitativo con il

parlato, riduzione dei personaggi e dell’orchestra, eliminazione di molti numeri musicali.

Recezione critica dell’opera legata anche alle diverse versioni (sino al 1976 si rappresentava

soltanto la riduzione non originale in forma di musical).

All’epoca l’opera di Gershwin era al centro di una rinnovata attenzione: l’omonimo film di Otto

Preminger, prodotto da Samuel Goldwyn (con Sidney Poiters, Dorothy Dandridge e Sammy Davis

jr., con le musiche adattate da André Previn) era ancora in lavorazione (sarebbe uscito nel 1959) ma

era già promosso e pubblicizzato, mentre si succedevano le versioni jazzistiche di un’opera che

all’epoca (e fino al 1976) circolava in una versione musical e dunque con i pezzi musicali

decontestualizzati dal tessuto operistico e separati da dialoghi recitati; del 1957 è la celebre versione

di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong.

Selezione di alcuni episodi, tra i più significativi, dell’opera con un solo pezzo composto ex novo da

Gil Evans, così da produrre una suite in cui le musiche originali sono decontestualizzate e rimontate

secondo un nuovo ordine drammaturgico (Summertime, per esempio, non è all’inizio ma è il quinto

brano, mentre la conclusione è lasciata al song di Sportin’Life).

1. The Buzzard Song - 4:07

2. Bess, You Is My Woman Now - 5:10

3. Gone (G. Evans) - 3:37

4. Gone, Gone, Gone - 2:03

5. Summertime (G. Gershwin, I. Gershwin, D. Heyward, D. Heyward) - 3:17

6. Oh Bess, Oh Where’s My Bess - 4:18

7. Prayer (Oh Doctor Jesus) - 4:39

8. Fisherman, Strawberry and Devil Crab - 4:06

9. My Man’s Gone Now - 6:14

10. It Ain’t Necessarily So - 4:23

11. Here Come De Honey Man - 1:18

12. I Loves You, Porgy - 3:39

13. There’s A Boat That's Leaving Soon For New York - 3:23

14. I Loves You, Porgy (take 1, second version) - 4:14 (solo sulla riedizione)

15. Gone (take 4) (G. Evans) - 3:40 (solo sulla riedizione)

Track Titolo Gershwin, Porgy and Bess

1 Buzzard Song Song di Porgy: II, 1 - ABA

2 Bess, You Is My Woman Now Duetto di Bess e Porgy: II, 1 – AA’A’ Coda

3 Gone --- [composizione di Gil Evans – ABA]

4 Gone, Gone, Gone Episodio corale: I, 2

5 Summertime Song di Clara: I, 1 – AA’

6 Oh Bess, Where’s My Bess Terzetto di Porgy, Serena e Maria: III, 3

7 Prayer (Oh Doctor Jesus) Preghiera di Serena, Porgy e Peter: II, 3

8 Fishermen, Strawberry and Devil Crab Strawberry Woman: II, 3

Street cry, musica di scena

Crab Man: II, 3

Street cry, musica di scena

9 My Man’s Gone Now Song di Serena con coro: I,2 – AABB’AC

10 It Ain’t Necessarily So Song di Sportin’ Life: II, 2 – AB…

11 Here Come The Honey Man Honey Man, Peter: II, 3

Street cry, musica di scena

12 I Loves You, Porgy Duetto di Bess e Porgy: II; 3 – ABACA

13 There’s A Boat Leaving Soon for New

York

Song di Sportin’ Life: III, 2 – ABA’

Interesse di Gil Evans e Miles per la grande forma e la riscrittura in chiave jazzistica della musica

colta (anche se il caso di Gershwin è del tutto particolare). Processo di trasformazione degli

originali, sottoposti a una riscrittura che li rende non soltanto strutture per l’improvvisazione ma

anche materiali per un sostanziale ripensamento timbrico e polifonico orchestrale, ispirato dalla

trasposizione del modello vocale (solistico / corale) alle voci degli strumenti. La filigrana della

riscrittura è il rapporto solista / orchestra, tra voce protaogonista e coro, e la forma dialogica del

call-and-response che del resto sostanzia anche la partitura di Gershwin.

Oltre a Miles Davis alla tromba e al flicorno, band di 19 elementi: 4 trombe, 4 tromboni, 3 corni, 1

tuba, 3 flauti e/o clarinetto, sax contralto (Cannonball Adderley), clarinetto basso, basso, batteria

(Jimmy Cobb e Philly Joe Jones).

In alcuni brani ritorna l’approccio modale iniziato con Milestones: nell’intervista con Nat Hentoff

del dicembre 1958, An Afternoon with Miles Davis (Jazz Review) Davis dichiara:

“Quando Gil compose l’arrangiamento per I Loves You, Porgy, per me scrisse solo una scala.

Nessun accordo. E quell’altro passaggio, con due soli accordi, ti dà molta più libertà e spazio per

sentire ogni cosa […] Tutti gli accordi, in fin dei conti, dipendono dalle scale e certi accordi

formano certe scale [...] Quando segui questa strada, puoi andare avanti per sempre. Non devi

preoccuparti dei giri d’accordi e puoi fare di più con la linea [melodica] Diventa una sfida scoprire

quanto puoi essere creativo con la melodia. Quando ti basi sugli accordi, sai che alla fine di

trentadue battute gli accordi sono finiti e che non c’è nient’altro da fare che ripetere quello che hai

appena fatto; con qualche variazione.”

Qualche confronto tra gli originali e le reinterpretazioni di Evans-Davis.

Gone, Gone, Gone [2:03]

Episodio corale: I, 2

He’s gone, gone (Coro, spiritual responsoriale per la morte di Robbins ucciso da Crown durante la

partita a carte, che alterna una donna e un uomo solisti a tutto il coro) - 159

Esempio di come il flicorno e gli strumenti assumano la valenza delle voci di un solista e del coro.

Clima misterioso, cupo, in una libera dimensione ritmica e declamatoria.

Summertime [3:17]

Song simbolo dell’opera, uno dei pochi standard che Miles suonerà sino alla fine della sua vita.

Summertime (Clara, ninnananna AA, ripetizione con coro Ooh: musica di scena) – 17

Summertime, vero emblema dell’opera, l’unica che ritorna in ogni atto e che ha una molteplice

funzione: musicale (memorabilità melodica), drammaturgica (III, 1: immagine del temporaneo

ravvedimento di Bess, accolta e riconosciuta come membro della comunità) e simbolica (simbolo

della dimensione mitica entro la quale è inscritta la vicenda e della circolarità del tempo narrativo).

Tema + 4 chorus e coda.

L’eco corale è realizzato da Evans in un riff costituito da una linea di 4 note ascendenti e ribattute,

affidate nel corso del pezzo via via a registri, impasti e strumenti diversi.

Prayer (Oh Doctor Jesus) [4:39]

Preghiera di Serena, Porgy e Peter: II, 3. Bess è ritornata da Kittiwah in stato di delirio: Serena

intona una preghiera apotropaica per guarirla;

Oh Doctor Jesus (Serena, Porgy, Peter, preghiera apotropaica, declamato recitativo su pedale with

relogious fervor, freely) – 187

Ampliamento dell’episodio originale (che dura circa 2’30’’) in un pezzo di grande forza

drammatica e impatto emotivo. Evans ne riprende il tremolo e la condotta senza tempo,

enucleandone per via analitica alcuni elementi caratterizzanti. Richiami, interiezioni, lamenti della

tromba-voce di Davis in dialogo con l’orchestra-coro. Sorta di disperata preghiera, di scongiuro.

01:43 ritmo di 12/8 lento inizio di un ostinato discendente (desunto dall’originale), figura rituale e

ipnotica che si ripete e cresce a poco a poco sulla scansione dei piatti, portando la tromba di Miles

nel registro più acuto e lancinante: grande climax

03:59 Prosegue l’ostinato discendente: conclusione in anticlimax

I Loves You, Porgy [3:39]

Duetto di Bess e Porgy: II; 3 – ABACA

I Loves You, Porgy (Bess e Porgy, preceduto da ritorni del duetto del I atto, 198, disperato duetto

d’amore in cui Bess tradisce la propria debolezza e invoca la forza morale di Porgy: andamento

ascendente-discendente della melodia che rappresenta l’oscillazione di Bess, desiderosa di restare

con Porgy ma consapevole della propria debolezza di fronte a Crown. Struttura articolata e

dialogata che mostra la diversità degli atteggiamenti morali, la debolezza di Bess e la sicura

determinazione di Porgy: AB di Bess; intervento declamato di Porgy; A di Bess; C, di Porgy in

tempo più mosso e ritmato; A di Bess combinato con le frasi affermative e rassicuranti di Porgy) –

210

Anche in questo caso l’episodio originale (2’30’’) è ampliato. Tappeto sonoro modale con linee

ondeggianti e tremoli dei fiati su cui Miles disegna in filigrana l’avvolgente tema d’amore (A di

Bess), che qui riesce ridimensionato, trattenuto ed è quindi proseguito e sussurrato dall’orchestra

(01:00) su un discreto accompagnamento di spazzole.

Quando Miles rientra (01:48) inizia ad improvvisare liberamente su una semplice stesura modale

sulle linee ondeggianti dei fiati che si sono fatte più ampie.

Sketches of Spain (1959-60)

Gli spagnolismi di Miles Ahead e di Kind of Blue vengono in primo piano in questo altro album

della collaborazione Evans-Davis. Il programma è costruito su musiche spagnole, sia colte sia

tradizionali. A quanto pare l’idea per un album del genere venne a Davis dopo aver ascoltato un lp

con il Concierto de Aranjuez (1939) di Rodrigo: ancora una volta la melodia ha un ruolo catturante,

decisivo per Miles.

Oltre all’Adagio del concerto di Rodrigo, l’album comprende la Cancion del Fuego Fatuo (Will o’

the Wisp) da El amor brujo (1915, poi 1925) di Manuel de Falla e altri pezzi firmati da Evans: The

Pan Piper, Saeta (un brano del cante jondo andaluso per la processione del Venerdì Santo, tratto dal

volume Spanish Folk Music di Alan Lomax: un canto senza accompagnamento che descrive la

Passione, affidato in genere a una donna che assiste in piedi da un balcone alla processione,

afferrandone con forza le sbarre di ferro) e Solea.

La realizzazione dell’album fu complicata. Davis nell’autobiografia ricorda che gli arrangiamenti

erano così densi che il trombettista Bernie Glow diventò paonazzo per lo sforzo di eseguire la sua

parte e che dovette parlare a Evans perché semplificasse un po’ la scrittura. L’orchestra in genere

trovava gli arrangiamenti di Evans troppo complessi e il produttore Teo Macero prese le parti dei

musicisti. Quanto a Davis, non si presentò alla prima sessione, forse perché turbato da alcune

vicende private (pochi mesi prima era stato picchiato da un poliziotto, mentre fumava una sigaretta

fuori da un locale, e in quei giorni stava affrontando il processo che poi non ebbe corso in cambio

del ritiro, da parte di Davis, delle denunce che egli aveva sporto contro la polizia).

Sketches of Spain è uno degli album più accessibili mai registrati da Miles Davis e anche uno di

quelli che ebbero la recezione critica più controversa: Davis fu accusato di piegarsi a logiche

commerciali, di aver fatto un album che nulla aveva a che vedere con il jazz – e in effetti si può

discutere se l’album abbia davvero a che fare col jazz o meno – e ancora oggi si legge che

quest’album sarebbe “musica leggera d’alto bordo” (Penguin Guide to Jazz on CD). Difficile dare

una collocazione a questo album; a Rodrigo non piacque, Evans e Davis replicarono che in ogni

caso fece guadagnare al compositore spagnolo “un sacco di soldi” in diritti d’autore.

L’orchestra è di tipo più ‘classico’ e ‘sinfonico’ rispetto agli album precedenti Evans-Davis: 4

trombe, 2 tromboni, 3 corni, tuba, 2 flauti, oboe, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, arpa, 2

percussionisti, batteria.

1. Concierto de Aranjuez (Adagio) (Joaquín Rodrigo) - 16:19

2. Will o’ the Wisp (Manuel de Falla) - 3:47

3. The Pan Piper (Gil Evans) - 3:52

4. Saeta (Evans) - 5:06

5. Solea (Evans) - 12:15

Tracce addizionali sulla riedizione del 1997 e del 2000

6. Song of Our Country (Evans) - 3:23

7. Concierto de Aranjuez (presa alternativa; parte 1) (Rodrigo) - 12:04

8. Concierto de Aranjuez (presa alternativa; parte 2 fine) (Rodrigo) - 3:33

Concierto De Aranjuez (Joaquín Rodrigo) [16:19]

Concierto de Aranjuez (1939) per chitarra e orchestra di Joaquín Rodrigo (1901-1999), opera

ispirata dai profumi e dai suoni del parco del palazzo reale di Aranjuez. Secondo movimento

Adagio, oggetto – oltre alla rilettura di Evans-Davis – di innumerevoli rielaborazioni e

reinterpretazioni in chiave jazz, rock e pop, tutte avversate dal compositore.

Il movimento centrale in si minore del concerto dura circa 11’ e ha una struttura basata su un tema

di 10 battute (2 frasi di 5 + 5 battute), che si alternano tra la melodia corno inglese e le elaborate

variazioni della chitarra. Il tema ricorda nelle inflessioni la modalità gregoriana e il cante jondo: la

condotta dialogica, che coinvolge altri strumenti dell’orchestra, porta, verso la metà del pezzo, a una

parte centrale introdotta dall’oboe, con spunto più vivace dei fiati, che conduce a una lunga

cadenza-fantasia della chitarra e di qui al climax del movimento con il tema principale suonato a

piena orchestra prima dell’epilogo, in cui ritorna la chitarra. Forma, dunque, tripartita.

Parafrasi ed espansione dell’originale a partire dal tema principale del movimento, suonato in

parte sul flicorno; secondo Miles la melodia è così forte che “più delicatamente la suoni,

risulta più forte riesce e più forte la suoni, riesce più debole” (“the softer you play it, the

stronger it gets, and the stronger you play it, the weaker it gets”).

La riscrittura di Evans ricalca la condotta dialogica e la macrostruttura dell’originale nella sua

articolazione funzionale, inserendo una sezione di nuova composizione al centro (episodio

“modale”) che sostituisce la cadenza-fantasia della chitarra:

Rodrigo Evans - Davis

Tema principale 00:00 Tema principale e serie chorus

Parte centrale: motivo dell’oboe e spunto più

vivace dei fiati e cadenza-fantasia della

chitarra

07:22 Parte centrale: motivo dell’oboe e

spunto più vivace dei fiati

08:32 Nuovo tema degli ottoni

09:20 Nuovo episodio “modale”

Ritorno del tema principale 12:47 Ritorno del tema principale

Epilogo 14:29 Epilogo

00:00 Tema principale: orchestra e percussioni (castagnette)

00:55 Chorus 1: flicorno e voicings dell’orchestra, poi orchestra

02:27Chorus 2: tromba e voicings dell’orchestra, poi orchestra

03:51 Chorus 3: flicorno e voicings dell’orchestra, estensione del chorus

05:46 Chorus 4, senza pulsazione e “modale”, flicorno, su accordi statici dell’orchestra usata

come chitarra

07:22 Parte centrale: motivo dell’oboe dialogo flicorno/orchestra e spunto più vivace dei fiati

08:32 Nuovo tema degli ottoni con castagnette

09:20 Nuovo episodio “modale”: flicorno e voicings dell’orchestra su vamp del basso, con

castagnette

12:47 Ritorno del tema principale: tromba e orchestra

14:29 Epilogo “modale”

Solea [12:15]

Probabilmente il brano più riuscito e suggestivo dell’album. “Solea” è l’abbreviazione di soledad,

solitudine, e indica una forma di flamenco tipica dell’Andalusia che, analogamente al blues, è carica

di nostalgia, rimpianto. L’intero pezzo è basato su motivi di ostinato e pone in luce il rapporto tra il

flamenco e il blues, soprattutto grazie all’intensità emotiva della tromba di Miles. D’altro

canto il pezzo, che è piuttosto esteso, manifesta l’inclinazione a valorizzare l’improvvisazione

melodica che può nascere da semplici strutture scalari e accordali (come nel jazz modale).

Tutto il pezzo si basa sul modo frigio “spagnolo”, caratterizzato dalla seconda eccedente tra il II e

il III (ed eventualmente anche tra il VI e il VII grado):

la – si bemolle – do diesis – re – mi – fa – sol – la

Dimensione ipnotica, circolare, incantatoria. Alcuni motivi principali:

Motivo 1, tromba: la – do diesis – mi – fa – mi – do diesis…

Motivo 2, ostinato orchestra: la – sol – si bemolle – la – la – / si bemolle – si bemolle – do – si

bemolle – la (oppure fa – fa – sol – fa –– mi)… (basso: la – mi – la), cui sono sottesi gli accordi do

diesis - mi – la (3 volte) e re – mi – fa – la (2 volte).

00:00 Tromba: impro di Miles sul modo frigio spagnolo a partire dal motivo 1 la – do

diesis – mi – fa – mi – do diesis…. su note tenute e/o arpeggiate dell’orchestra, percussioni.

01:47 Ritmi militari al tamburo e motivo ostinato 2 la – sol – si bemolle – la – la – / si

bemolle – si bemolle – do – si bemolle – la (oppure fa – fa – sol – fa –– mi)… (basso: la – mi – la)

cui sono sottesi gli accordi do diesis - mi – la (3 volte) e re – mi – fa – la (2 volte). Su questi

elementi Miles inizia a improvvisare; gli elementi sono estesi alle altre parti dell’orchestra ed

elaborati con altri motivi.

06:56 Ripresa del motivo iniziale 1 la – do diesis – mi – fa – mi – do diesis… alla tromba

ora combinato con il motivo ostinato 2 la – sol – si bemolle… dell’orchestra e nuova estensione ed

elaborazione in crescendo di tensione: poi epilogo con effetto di lungo vamp.

Somedays My Prince Will Come (Frank Church – Larry Morrey) [9:02]

Valzer lento, canzone da Biancaneve e i sette nani (1937) di Walt Disney e raro standard in

metro ternario. Esempio di ripensamento di uno standard alla luce delle esperienze del jazz

“modale”, utilizzate nell’introduzione e nella conclusione e a mo’ di stacco e articolazione

interna.

00:00 Intro, sezione ritmica: vamp e pedale 36 bb.

00:39 Miles Davis: tema ABAC (32 bb.) e 3 chorus

03:10 Impro Hank Mobley (2 chorus)

04:25 Impro Wynton Kelly (1 ½ chorus)

05:22 Miles Davis: tema sezioni AC ( ½ chorus)

05:42 Intro, sezione ritmica 8 bb.

05:51 Impro John Coltrane (2 chorus)

07:10 Intro, sezione ritmica 8 bb.

07:21 Davis: tema sezioni AC ( ½ chorus)

07:41 Vamp: sezione ritmica…

My Funny Valentine (1964)

Concerto 12 febbraio 1964, Lincoln Center New York (l’altra parte del programma pubblicata

anche come Four & More). Album di grande successo, anche grazie a un programma

costituito di celebri standard. Reinvenzione degli standard attraverso un processo molto

sofisticato di estensione dell’improvvisazione, ripensamento della struttura formale del pezzo,

complessità dell’interplay eccetera Cfr. BRAGALINI (1997)

1. Impiego di segnali sonori per segnalare cambiamenti nella modalità di

accompagnamento alla sezione ritmica e creare un nuovo mood (motivi

diatonici oppure frasi cromatiche)

2. Suddivisione della struttura dello standard in sezioni di diverso metro e

accompagnamento (per es. passaggi dal base time al double time feel)

3. Varietà nell’interplay tra i musicisti

4. Frammentazione dello standard in mood differenziati e inusuali

5. Apporto di Tony Williams

6. Estensione irregolare dell’improvvisazione grazie a tag e turnaround

My Funny Valentine [15:01]

Cfr. con la versione del 1956. Esemplare per flessibilità della sezione ritmica e fantasia

nell’interplay. Impiego di segnali per cambiamenti nelle modalità di accompagnamento, di

pedali, ruolo di Tony Williams nella flessibilità della condotta della pulsazione, anche se

nell’ultima parte del pezzo non suona o quasi.

00:00 Intro Hancock

00:37 Tema-impro Davis, sezione A: tempo libero

01:06 Tema-impro Davis, sezioni A’BA’’: ballad time; seguono 2 chorus impro

02:41 Segnale S1 (nota acuta seguita da 2 note gravi): passaggio al double time

feeling, sezione A’’ (b. 9)

02:56 – 02:58 Segnale S2 (rapida figura cromatica ascendente): passaggio a una

sezione con 4 beat x battuta e walking bass

04:04 Ritmo di bossa nova e pedale del basso (si bemolle), sezione B

04: 35 Double time feeling

05: 09 S1 ripetuto

05:12 Ritmo di bossa nota e pedale del basso

05:17 – 05:19 S2

05:20 Double time feeling

05:30 Impro Coleman (3 chorus)

06:20 cambio ritmo di bossa nova, pedale del basso

06: 50 Double time feeling

08:34 cambio ritmo con semplice scansione dei beat (poi la batteria tace), pedale del

basso

08:58 Ballad time

09:55 Impro Hancock (2 chorus), accompagnato soltanto da Carter

10:58 pedale del basso

11:33 semplici tocchi del tamburo e dei piatti

13:26 Tema-impro Davis, sezioni BA’’, e chiusa

All of You [14.54]

Versione aggiornata e ampliata, dal vivo, della registrazione dello standard di Cole Porter del

1956. Intensificazione della tecnica del turnaround per espandere gli assoli: circa il 60% del

pezzo è occupato dal turnaround, che quindi diviene una parte costitutiva della forma e non

solo più un’appendice decorativa degli assolo. Turnaround di 4 battute (vedi sotto lo schema).

Cfr. ZENNI p. 209 e analisi di BRAGALINI (1997)

Because of its extraordinary way of treating the form of Cole Porter's composition, this tune

deserves particular attention. This performance uses both procedures of structural manipulation

discussed above. Points (A)-(F) discussed in the context of Group 1 are relevant, and as with "All

Blues," the base structure of the piece is elaborated with turnarounds (Group 2). I won't offer

detailed analyses of the points discussed for Group 1; but I'll make several quick observations

apropos of (A)-(F) above:

A. sound signals of both types A and B, which didn't appear in "All Blues," are used throughout

"All of You";

B. the subdivision of the standard into sections of different meters and accompaniment sections

is very complex;

C. as a result, the interplay among the musicians reaches a level rarely heard before;

D. the standard moves through several unusual and expressive moods, and the quintet combines

dramatic and dissonant sections -- often including complex polyrhythms (as in the beginning

of Hancock's solo, 10:06-10:39) and relaxed moments (as when from Davis' trumpet come

the refined notes of Porter's theme);

E. Williams shows his surest command of pauses and space in this piece;

F. the improvisations are irregularly extended throughout, particularly by the use of

turnarounds.

Consider an especially novel device in the quintet's interpretation of "All of You": in the last two

measures of the C section, a harmonic substitution for the tonic chord allows a turnaround of four

chords in the last four measures of the base structure.

"All of You," (a) tonic chord; (b) turnaround, II-V-I substitution

S1 e S2 per l’ingresso e l’uscita dal turnaround

S1 = figura discendente

S2 = parafrasi della conclusione del tema (ultime 2 battute)

00:00 Tema-impro Davis (2 chorus + 28 turnaround)

01:28 – 01:43 S1

04:45 – 04:49 S2

04:57 Impro Coleman ( 2 chorus + 14 turnaround)

06:30 – 06:32 S1

08:00 – 08:03 S2

08:10 Impro Hancock (2 chorus + 22 turnaround)

(09:36 S1)

012:04 – 12:07 S2

12.10 Impro Davis (1 chorus + 15 turnaround)

13:02 – 13:05 S1

14:33 – 14:36 S2

*Miles Electric. A Different Kind of Blue

DVD Video, Murray Lerner Producer/Director

Eagle Rock EREDV 263, 2003

Call It Anything [38’]

Isle of Wight, 29 agosto 1970.

Miles Davis, tp

Gary Bartz, as, ss

Chick Corea, ep

Keith Jarrett, org

Dave Holland, b

Jack DeJohnette, d

Airto Moreira, perc

Dopo il successo di Bitches Brew (1969), con 500.000 copie vendute e l’album di maggior successo

commerciale della storia del jazz (ma si tratta poi in effetti di jazz?) ecco la partecipazione al grande

concerto rock e pop dell’isola di Wight. Davanti a 600.000 persone. Eccitazione elettrica. Miles

leader nel senso che detta il groove, i tempi, le svolte di un discorso improvvisativo molto fluido e

libero in cui tutti sono protagonisti (ma le tastiere suonano sempre con un contributo ritmico). Beat,

impulso rock al di sopra del quale si sviluppa l’improvvisazione (quasi free): caleidoscopio di colori

e atmosfere con enfasi posta su ritmo e melodia. Interplay basato sull’ascolto e sull’attenzione

dell’ascolto degli altri che si trasforma in suono (intuizione, anticipazione, sollecitazione,

imitazione e ripresa di gesti, motivi, figure eccetera), cooperazione improvvisativa guidata ma non

controllata da Miles che non voleva che i musicisti della band sapessero prima o pensassero a ciò

che avrebbero suonato dopo. Inoltre, comunicazione verbale tra Miles e i musicisti ridotta al

minimo, spesso a brevi indicazioni allusive. Comunque, a ogni intervento, a ogni entrata di Miles

succede qualcosa. L’impressione è che i musicisti della band, tutti di formazione e provenienza

jazzistica, partecipino affascinati ma anche un poco spaesati all’impresa a causa di Miles e del suo

carisma: musicisti jazz che, sperimentando e mettendosi alla prova ma anche snaturandosi, suonano

rock o funky (emblematico ed estremo il caso di Jarrett, che detestava già da allora gli strumenti

elettrici e suonò l’organo elettrico soltanto per compiacere Miles).

Finale simbolico: Miles lascia il palco prima della fine del pezzo lasciando alla band il compito di

chiedere, a quel punto la musica va avanti ancora per un po’, ma non si sa dove e la conclusione

resta sospesa. Il pezzo finisce perché Miles se n’è andato e la sua musica è già da qualche altra

aprte.

Importanza dell’esperienza per Jarrett: continua tensione innovativa di Miles, libertà

nell’organizzazione di grandi arcate musicali sulla base del timing. Il timing costituisce qui infatti il

principio primo organizzatore del set e degli eventi sonori che lo sostanziano: alternanza di grooves

e sezioni ritmicamente libere, assoli “entrate” e “uscite” degli strumenti

43:20 Groove 1 – Miles

45:51 Bartz (ss), passaggio bebop con i due fiati

47:28 Sezione ritmica senza i fiati – Corea, Jarrett

48:33 Rientra Miles

50:25 Tempo lento, episodio della sezione ritmica

51:53 Groove 2 – Miles

53:50 Break, tempo lento rubato, episodio statico

54:35 Groove 3 – Miles

55:18 Bartz (as)

57:18 Episodio ritmicamente libero

58:18 Groove 4

58:32 Miles

1:00:01 Episodio ritmicamente libero

1:00:38 Groove 5 – Miles. Passaggio di grande tensione ed energia; verso la

conclusione Jarrett in evidenza

1:05:07 Attenuarsi della forza del groove e Miles lirico; poi il groove riprende vigore

e consistenza

1:06:51 Il groove scompare, tempo lento ed episodio contemplativo

1:08:02 Groove 6 – Miles

1:09:03 Bartz (as), poi sezione ritmica sola con Jarrett in evidenza

1:13:04 Miles

1:16:35 Miles prende la borsa e se ne va. La sezione ritmica resta sola: finale aperto?

finale sospeso?