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1.Presentazione
Kosovo e Metohija Kosovë/Kosova
Косово и Метохија
Lingua : Albanese e serbo Capoluogo : Pristina (Prishtina in Albanese e Priština in Serbo) Moneta : Euro (Non ufficialmente nella BCE, ma esclusivamente per la precedente adozione come moneta del Marco tedesco, poi sostituito dall'Euro); Dinaro serbo nelle zone a maggioranza
km²
.700 5/km²
5%
NMIK : Joachim Rücker
nte di transizione: Fatmir
di transizione:
Fuso orario: UTC +1 (+2 in estate)
t
M oe
la parte occidentale della provincia).
serba. Superficie: Totale 10.887 Popolazione Totale (2003): 2.400 Densità: 220,Gruppi etnici Albanesi:9Serbi: 3% altri :2% Presidente U(Germania) PresideSejdiu Primo MinistroHashim Thaci
l Kosovo o Cossovo (in albanese: Kosovë / Kosova, in serbo: Косово и Метохија / Kosovo i Me ohija; in italiano: Cossovo) è una provincia autonoma della Serbia amministrata dall'ONU. Nella Costituzione serba il nome ufficiale è Kosovo e et hija (il secondo t rmine è il nome tradizionale serbo per
Il Kosovo copre un'area di quasi 11.000 kmq (pari circa a quella dell'Abruzzo) e confina a sud ovest con l'Albania, a nord ovest con il Montenegro e la Serbia, a est con la Serbia e a sud con la Macedonia. Il suo territorio può essere diviso in due aree distinte: quella orientale e quella occidentale, che i serbi chiamano rispettivamente Kosovo e Meothija (Dukagjin per gli albanesi). La prima è costituita da una vallata al cui centro si trova la capitale Pristina ed è densamente popolata, con importanti risorse minerarie e agricole ed è attraversata inoltre da un'importante linea di comunicazione stradale e ferroviaria che collega Belgrado alla Macedonia e al litorale greco. La seconda ha dimensioni più ampie ed è prevalentemente agricola. I confini del Kosovo sono segnati a sud, ovest e nord da catene montuose, tra le quali la più alta e inaccessibile è quella della Sar Planina, posta sul confine con la Macedonia. La popolazione del Kosovo era nel 1991 approssimativamente di 2.000.000 abitanti, di cui circa 1.700.000 albanesi, 170.000 serbi, con la presenza di altre minoranze come rom, turchi e musulmani. Si calcola che circa 300.000 albanesi, prevalentemente di età giovane, siano emigrati all'estero tra il 1989 e oggi. Dagli anni '70 è in atto una lenta, ma costante emigrazione di serbi verso le zone più ricche della Serbia. La densità del Kosovo è di 193 abitanti per kmq (più del doppio della media jugoslava all'inizio degli anni '90). Il tasso di crescita demografica, seppure diminuito negli ultimi anni, è il più alto d'Europa insieme a quello dell'Albania. La famiglia media è composta da 6,9 persone e nel solo quinquennio 1986‐1990 la popolazione del Kosovo è aumentata complessivamente del 23,4%. Il 70% della popolazione è di religione o tradizione islamica, il 10% di religione ortodossa e il 5% di religione cattolica, ma va sottolineato che per gli albanesi l'identità religiosa ha avuto sempre storicamente scarsa rilevanza, a differenza di quella nazionale. Le attività economiche principali sono quelle agricole e quelle minerarie e dell'industria pesante. Il complesso minerario di Trepca, nel Kosovo nordorientale è uno dei maggiori produttori di piombo del mondo. In Kosovo vi sono inoltre importanti centrali termoelettriche che costituiscono la principale fonte di energia elettrica della Serbia e della Macedonia.
2.Geografia
Il Kosovo ha una superficie di 10.887 kmq, in gran parte occupato da rilievi, fra cui i principali sono il Kopaonik a nord, i Monti Šar a sud e sud‐est e la Gjeravica, a sud‐ovest (con la cima più elevata, 2.656 metri) . Le pianure principali sono il bacino della Metohija / Dukagjin a ovest e la piana del Kosovo a est, separate da una zona di colline (Golak). I fiumi principali sono il Drin Bianco a ovest, che scorre in direzione sud verso il Mar Adriatico, la Sitnica e la Morava a est nel Golak, e soprattutto l'Ibar che scorre verso nord per gettarsi nella Morava Occidentale e poi nel Danubio. Il lago principale è il lago Gazivoda (380 milioni m³) a nord‐ovest. Il clima è continentale, con estati calde e inverni freddi e nevosi. Il Kosovo ha una popolazione che supera i due milioni di abitanti. Le città principali sono Priština, la capitale (ca. 600.000 abitanti), Prizren (165.000) a sud‐ovest, Peja (154.000) a ovest, Ferizaj (150.000) a sud, Gnjilane (145.000) a est e Kosovska Mitrovica (140.000) a nord. Il Kosovo confina con la Serbia centrale a nord e a est, mentre i suoi confini internazionali sono con il Montenegro a nord‐ovest, l'Albania a sud‐ovest e la Macedonia a sud.
3.Storia
Fin dall'antichità, la regione del Kosovo fu conquistata, perduta e riconquistata più volte e governata da diversi dominatori. I primi abitanti della regione dei quali si abbia notizia storica furono probabilmente gli Illiri*, nome loro assegnato sia dai Greci che dai Romani. Gli odierni albanesi, in generale, sostengono di essere i diretti discendenti degli Illiri (infatti ilir in lingua albanese significa libero[citazione necessaria]). Dal canto loro, gli storici serbi sostengono che gli Albanesi, in quanto tali, sarebbero apparsi nella storia solo nel Medio Evo per conseguenza dell'incontro e la fusione tra contingenti non romanizzati di pastori nomadi, discendenti degli antichi Illiri e dei Dardani della Tracia. Una verifica scientifica di entrambe le versioni circa le origini dell'etnia albanese appare essere di difficile realizzazione ma, in generale, è possibile affermare che la regione oggi corrispondente al Kosovo doveva essere abitata da genti che avevano una qualche relazione ‐ anche a livello genetico, probabilmente ‐ con le odierne popolazioni albanesi. La regione, nota come parte della Dardania e caratterizzata in epoca antica da un livello sempre molto scarso di urbanizzazione e di penetrazione della civiltà classica, fu occupata da Alessandro il Grande il Macedone nel IV secolo a.C.. Caduta nell'orbita romana nel II secolo a.C. e assoggettata da Augusto nel 28 a.C. per essere incorporata nella provincia di Moesia, divenne, ormai in gran parte romanizzata, nel IV secolo, parte della Provincia di Dardania dell'Impero Bizantino. In seguito, l'Impero Bizantino, concentrato sulle guerre in Oriente contro i Persiani e poi contro gli Arabi Mussulmani, allentò la propria autorità e il proprio controllo sull'entroterra balcanico.
*All'epoca di Cesare l'Illiria (o Illirico) era la regione corrispondente all'attuale fascia costiera orientale del Mare Adriatico, abitata dagli Illiri, un'antica popolazione che probabilmente parlava una lingua indoeuropea e che si pensa siano gli antenati degli attuali albanesi. Le principali città dell'Illiria erano Scodra (l'odierna Scutari), Lissa (l'odierna Alessio) ed Epidamno (l'odierna Durazzo) queste città oggi fanno parte dell'Albania. Gli Illiri arrivarono nella parte occidentale della penisola Balcanica intorno al 1000 a.C., tra la fine dell'Età del Bronzo e l'inizio dell'Età del Ferro. Nei successivi mille anni, essi occuparono territori che si estendevano dai fiumi Danubio, Sava e Morava al Mare Adriatico ed ai monti Sar. Il nome "Albania" deriva dalla radice proto‐indeuropea di "Alpi"; la stessa radice venne presa anche da un gruppo illirico i quali si chiamavano Albanët
3.1.Slavizzazione del Kosovo (VI‐XIV secolo)
Tale situazione da un lato favorì le prime colonne di Slavi che, provenendo dal sud dell'attuale Polonia, attraversarono i monti Carpazi e il fiume Danubio e iniziarono a penetrare verso il cuore dei Balcani attorno al VI secolo, dall'altro permise alle popolazioni illiriche che vivevano nell'entroterra della bassa costa adriatica di espandersi verso est, in direzione all'odierno Kosovo, conservando la propria lingua di stampo illirico. L'avanzata dell'invasione slava (fra cui i proto‐serbi) che riconosceva solo nominalmente l'autorità di Bisanzio, tendeva ad assimilare i popoli pre‐esistenti. Alcune tribù di illiri possono essere sfuggite all'assimilazione etno‐culturale rifugiandosi nelle regioni montagnose dei Balcani occidentali (fra cui il Kosovo), come già ai tempi dei Romani. Dalla metà del IX secolo sino al 1014 la regione fu occupata da Slavi provenienti da est, i Bulgari. Fu in questa fase che queste genti cominciarono ad essere individuate dai propri vicini con il nome di "Albanesi", che ne designava anche la lingua, della quale non esisterà ancora sin agli albori del Rinascimento alcuna traccia o forma letteraria scritte, né forme di statualità autonoma. Dopo la caduta dell'impero bulgaro ad opera dei bizantini, gli Albanesi, così ormai designati a Bisanzio e cristianizzati, divennero tributari di Basilio II e quindi alleati dell'Impero Romano d'Oriente dopo che, nel 1054, fu consumato lo Scisma d'Oriente‐Occidente. Nel frattempo, gli Slavi penetrati da nord nella penisola balcanica, si erano divisi in tre grandi gruppi omogenei: Sloveni, Croati e Serbi ed avevano, entro il XII secolo, preso saldamente il controllo di tutta la parte occidentale della Penisola Balcanica, sino al confine con l'odierna Albania e con il Kosovo. La Serbia a quell'epoca non era ancora un regno unificato: un certo numero di piccoli principati (Župan) serbi esisteva a nord e a ovest del Kosovo, i più potenti dei quali erano la Raška (zona centrale della moderna Serbia) e la Duklja o Dioclea (Montenegro e nord dell'Albania). Questi principati erano spesso in lotta con l'Impero. Nel 1180 circa, il signore serbo Stefan Nemanja prese il controllo della Duklja e di parte del Kosovo. Il suo successore, Stefan Prvovenčani assunse il controllo del resto del Kosovo dal 1216, creando in tal modo uno Stato che incorporò la maggior parte dell'area che costituisce oggi la Serbia e il Montenegro. A partire dal XIII secolo, i sovrani della dinastia Nemanjić usarono alternativamente Prizren e Priština come loro capitali. Numerose chiese e monasteri serbi ortodossi furono edificati all'interno del territorio serbo. Sostanziose rendite furono assicurate ai monasteri della Metohija/Dukagjin (nel Kosovo occidentale), che comprendeva parti dell'Albania e del Montenegro. Le più importanti chiese in Kosovo ‐ il Patriarcato di Peć (prima del 1234), il Monastero di Gračanica (1327) e il monastero di Dečani (1330), tutte oggi definite dall'UNESCO Patrimonio dell'umanità ‐ furono istituite durante questo periodo. Il Kosovo fu economicamente importante, come pure la capitale del Kosovo moderno, Priština, fu un rilevante centro commerciale sulle strade che conducevano ai porti del mar Adriatico. Del pari, l'attività mineraria ebbe grande importanza a Novo Brdo e Janjevo. Le comunità Sasi che agivano in quei luoghi provenivano dalle regioni minerarie della Sassonia e dalla città mercantile di Ragusa (oggi Dubrovnik). La composizione etnica della popolazione del Kosovo durante questo periodo è oggetto di controversia fra gli storici serbi e albanesi. Serbi, Albanesi e Valacchi erano ovviamente presenti, dal momento che tali gruppi sono esplicitamente ricordati dalla documentazione serba dei monasteri (o chrysobolle) assieme a un certo numero di Greci, Armeni, Sassoni e Bulgari. Una maggioranza dei nomi scritti nei documenti citati è di gran lunga in caratteri slavi piuttosto che albanesi. Ciò è stato interpretato come prova di una schiacciante maggioranza serba. Tuttavia le chrysobolle mostrano nomi di figli in lingua serba di genitori i cui nomi sono albanesi, e viceversa. Storici albanesi hanno suggerito che questa è una dimostrazione dell'assimilazione culturale di una popolazione albanese assoggettata in epoca pre‐ottomana in Kosovo ma ciò è invalidato da registrazioni di padri serbi che davano ai figli nomi albanesi (cosa che di certo non sarebbe avvenuta se l'assimilazione fosse stata a senso unico) e dal fatto che ogni caso di nomi misti
rappresenta una piccola quota di meno del 20% di tutti i nomi. Questa asserzione serba sembra essere sostenuta dalle registrazioni catastali turche relative alle tasse per censo (defter) del 1455 che prendono in considerazione la religione e la lingua dei soggetti interessati e che comprovano una schiacciante maggioranza serba. L'identità etnica nel Medioevo fu in qualche misura un elemento fluido in tutta l'Europa e la gente a quel tempo non sembra aver definito sé stessa in modo rigido come gruppo etnico. Nel 1346 Stefan Dušan fu incoronato Imperatore (Zar) dei Serbi, Vlachi, Greci e Albanesi, ma con la sua morte nel 1355 l'impero si disgregò in litigiosi staterelli a carattere feudale: il Kosovo toccò alla dinastia dei Mrnjavčević. Ciò si verificò in concomitanza con la prima espansione ottomana nei Balcani: l'Impero Ottomano colse l'opportunità offertagli dalla debolezza greca e serba e invase quei territori.
3.2.Battaglie del Kosovo
Entrambe queste battaglie furono significative per l'intera resistenza contro l'avanzata ottomana nei Balcani. Fosse stata vincente la coalizione serba o ungherese in una o in entrambe le battaglie, ciò avrebbe cambiato la storia, non solo del Kosovo. La Prima Battaglia del Kosovo segnò il destino della resistenza serba e divenne un simbolo nazionale di eroismo e di ammirevole lotta contro ogni probabilità.
Malgrado la sconfitta nella Seconda Battaglia del Kosovo, alla fine Hunyadi fu vittorioso nella sua resistenza e sconfisse gli Ottomani nel regno d'Ungheria. Skanderbeg fu anche vittorioso nella sua resistenza nella sua patria di Albania (che più tardi incluse ampie porzioni del Kosovo, da cui proveniva il suo alleato‐rivale Lekë Dukagjini, autore del Kanun albanese), una causa che fu poi perduta in seguito alla sua morte del 1468. Entrambi questi leader ebbero un rilevante significato (come lo ebbe il capo valacco Vlad III Dracula) nella loro azione di resistenza che dette all'Austria e all'Italia maggior tempo per prepararsi a fronteggiare l'avanzata .
3.2.1.Prima Battaglia del Kosovo
La Prima battaglia del Kosovo avvenne sul campo di Kosovo Polje il 28 giugno 1389, quando il puling knez (principe) di Serbia, Lazar Hrebeljanović, radunò una coalizione di soldati cristiani, composta da Serbi ma anche da Bosniaci, Magiari, Albanesi e un contingente di mercenari sassoni. Il Sultano ottomano Murad I riunì anch'egli una coalizione di soldati e volontari dei vicini paesi di Rumelia e Anatolia. Fornire cifre esatte non è facile, ma resoconti degli storici più affidabili suggeriscono che l'esercito cristiano era di gran lunga inferiore a quello ottomano. Il totale dei due eserciti fa pensare a meno di 100.000 uomini. L'esercito serbo fu sgominato e Lazar trucidato, mentre Murad I fu ucciso da Miloš Obilić, sulle cui origini si discute. Malgrado la battaglia sia stata mitizzata come una grande sconfitta serba, all'epoca l'opinione era divisa fra chi affermava che si fosse avuta una disfatta serba, un pari sostanziale e addirittura una vittoria serba. La Serbia mantenne infatti la propria indipendenza e lo sporadico controllo del Kosovo fino alla sconfitta finale del 1455, a seguito della quale la Serbia e il Kosovo diventarono parte dell'Impero Ottomano e un alleato dei Turchi.
3.2.2.Seconda Battaglia del Kosovo
La Seconda Battaglia del Kosovo fu combattuta lungo l'arco di due giorni nell'ottobre del 1448, fra una forza ungherese comandata da Giovanni Hunyadi e un esercito ottomano guidato da Murad II. Significativamente più imponente della prima battaglia, con entrambi gli eserciti del doppio della consistenza della prima battaglia del 1389, il risultato finale fu però il medesimo, e l'esercito ungherese fu sconfitto in battaglia e cacciato in fuga. Al contrario di quanto afferma il mito popolare, l'eroe albanese Skanderbeg non prese parte alla battaglia. Quando le sue truppe albanesi si mossero per unirsi a quelle ungheresi, esse caddero in un'imboscata tesa loro da Đurađ Branković e non giunsero mai sul campo di battaglia. Sebbene la sconfitta in battaglia costituisse un passo indietro per quanti resistevano all'invasione ottomana dell'Europa a quel tempo, essa non costituì 'un colpo definitivo per la causa, tant'è vero che Hunyadi fu in grado di mantenere la resistenza ungherese attiva contro gli Ottomani durante tutta la sua vita.
3.3.Il Kosovo nell'Impero Ottomano (1455‐1912)
Il territorio dell'attuale provincia fu per secoli governato dall'Impero Ottomano, così come l'Albania e la Serbia. Durante questo periodo numerosi distretti amministrativi (noto come sangiaccati ("bandiere" o distretti), ognuno retto da un sanjakbey (letteralmente "signore del distretto") agiva su porzioni di territorio. Nonostante l'imposizione del giogo islamico, un gran numero di cristiani continuò a vivere e talvolta a prosperare sotto gli Ottomani. Un processo di islamizzazione cominciò poco dopo l'inizio del dominio ottomano ma esso prese un considerevole periodo di tempo ‐ almeno un secolo ‐ e fu concentrato dapprima nelle città. Sappiamo che molti abitanti cristiani Albanesi si convertirono direttamente all'Islam, piuttosto di vedersi rimpiazzare da musulmani che provenivano da fuori del Kosovo. In gran parte i motivi della conversione furono probabilmente economici e sociali,dal momento che i musulmani godevano di assai maggior diritti e privilegi dei soggetti cristiani. La vita religiosa cristiana nondimeno continuò, con chiese che gli Ottomani permisero fossero mantenute, anche se le chiese serbe ortodosse e albanesi romano‐cattoliche e le loro congregazioni subirono un alto livello di tassazione.
3.4.XVII secolo
Verso il XVII secolo, abbiamo evidenze di un crescente aumento della popolazione albanese inizialmente concentrata in Metohija. S'è detto che questo fu il risultato di migrazioni provenienti da sud‐ovest (cioè la moderna Albania) e che gli emigrati portarono con loro l'Islam. C'è di sicuro traccia di migrazioni: numerosi Albanesi kossovari avevano cognomi caratteristici degli abitanti della regione settentrionale albanese di Malësi. Tuttavia altri non li avevano. È anche chiaro che un piccolo numero di Slavi ‐ presumibilmente membri della Chiesa serba ortodossa ‐ si convertirono all'Islam sotto il dominio ottomano. Oggi numerosi Slavi musulmani di Serbia vivono nella regione del Sandžak della Serbia meridionale, a nord‐ovest del Kosovo. Gli storici ritengono che vi fosse probabilmente una preesistente popolazione, forse di Albanesi cattolici, in Metohija che in gran parte si convertì all'Islam, ma rimase una decisa minoranza in una regione serba comunque spopolata. Nel 1689 il Kosovo fu gravemente coinvolto nella Grande Guerra turca (1683‐1699), in uno degli eventi epocali della mitologia nazionale serba. Nell'ottobre di quell'anno, una piccola forza austriaca sotto il Margravio Ludovico I di Baden aprì una breccia nell'Impero Ottomano e si spinse tanto lontano da giungere in Kosovo, a seguito della sua prima conquista di Belgrado. Molti Serbi e Albanesi giurarono lealtà all'Impero asburgico, con alcuni di costoro che si unirono all'esercito di Ludovico guidati dal vescovo cattolico albanese Pietro Bogdano. Ciò non avvenne senza che vi fosse una reazione generale; numerosi altri Serbi e Albanesi combatterono dalla parte ottomana per resistere all'avanzata austriaca. Una massiccia contro‐offensiva ottomana, l'estate seguente, obbligò gli Austriaci a ripiegare nella loro fortezza di Niš, poi in quella di Belgrado e infine, attraversando il Danubio, nella stessa Austria. L'offensiva ottomana fu accompagnata da selvagge rappresaglie e razzie, inducendo numerosi Serbi ‐ inclusi Arsenije III, Patriarca della Chiesa Serba Ortodossa ‐ a fuggire insieme agli Austriaci. Questo evento è stato immortalato nella storia serba come il Velika Seoba ossia "Grande Migrazione". Si dice tradizionalmente che si ebbe un gigantesco esodo di centinaia di migliaia di rifugiati serbi dal Kosovo e dalla vera e propria Serbia, che lasciò un vuoto riempito da un flusso di immigranti Albanesi. Arsenije stesso scrisse di "30.000 anime" (cioè persone) che fuggirono con lui in Austria: un numero confermato da altre fonti.
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3.6.Ai primi del '900
Ai primi del '900 si intensificano le mire delle grandi potenze verso i Balcani e la Lega di Prizren adotta nuovamente una posizione di appoggio condizionato (e nei fatti ampiamente conflittuale) al sultano, nel timore di vedere le terre albanesi oggetto di nuove conquiste da parte degli occidentali e dei vicini stati balcanici. E' in questo contesto che nel 1912 si ha una massiccia insurrezione da parte degli albanesi, che arrivano a conquistare Skopje e avanzano la richiesta di una unificazione dei territori albanesi dell'impero ottomano, di una loro amministrazione autonoma e della creazione di un sistema educativo in albanese. Tutte le loro richieste verranno accettate, ma non vi sarà il tempo per applicarle, perché meno di due mesi dopo il Kosovo verrà invaso e occupato da truppe serbe. Nel 1912, infatti, scoppia la Prima Guerra Balcanica, con la quale Serbia, Bulgaria e Grecia mirano a spartirsi i territori europei dell'impero ottomano ormai agonizzante, con il sostegno delle varie potenze europee. Dal 1912 al 1918 l'intera regione, tra guerre balcaniche e Prima guerra mondiale, rimane in stato di guerra permanente, con continui rovesciamenti di fronte, che vedranno il Kosovo occupato prima dai serbi, poi dagli austriaci e dai bulgari e, infine, di nuovo dai serbi. L'intenzione della Serbia era quella di estendersi militarmente fino alla costa adriatica, a Durazzo, ma l'opposizione di Austria e Italia porterà nel dicembre del 1912 alla creazione di uno stato albanese corrispondente all'incirca a quello odierno. La decisione è stata il frutto di un compromesso, dopo che Francia e Russia si erano opposte alla creazione di un'Albania comprendente anche il Kosovo e le altre zone a maggioranza albanese.
3.7.Il dominio tra le due guerre
Nel 1918, terminate le guerre di conquista, viene proclamato il regno jugoslavo, che a sud vede una Serbia ampliata fino a coprire l'intero Kosovo e l'intera Macedonia. Nonostante la firma di accordi internazionali per la protezione dei diritti delle minoranze, la Jugoslavia non rispetterà mai tali impegni. Nessuna scuola in albanese verrà mai aperta nei più di venti anni di dominio serbo e la regione verrà tenuta volutamente in uno stato di degrado sociale e culturale, instaurando inoltre un regime di capillare controllo poliziesco. Per il regime di Belgrado gli albanesi non hanno un'identità propria e sono solo serbi che hanno perso la loro memoria storica. Nel 1913, l'ex primo ministro serbo Djordjevic aveva addirittura scritto un opuscolo nel quale sosteneva in tutta serietà che fino a pochi decenni prima gli albanesi avessero ancora la coda. Un altro importante personaggio, il prof. Vasa Cubrilovic, ha redatto nel 1937 per il governo jugoslavo un piano di espulsione in massa e con mezzi violenti degli albanesi dal Kosovo, affermando che "nel momento in cui la Germania può espellere decine di migliaia di ebrei, la deportazione di qualche centinaia di migliaia di albanesi non porterà certo allo scoppio di una guerra mondiale". Il progetto, per il quale erano già stati presi precisi accordi con la Turchia, che avrebbe dovuto accogliere gran parte degli espulsi, doveva essere messo in atto in cinque anni tra il 1939 e il 1944, ma l'arrivo della Seconda guerra mondiale l'ha impedito. Sempre in un tale contesto, negli anni '20 il governo jugoslavo ha messo in atto una riforma agraria, che nel caso del Kosovo e della Macedonia si è trasformata in una vera e propria colonizzazione, che ha visto la requisizione della terra a molti abitanti locali, per assegnarla a coloni provenienti dalla Serbia. Nell'ambito di tale riforma, 14.000 famiglie serbe si sono trasferite in Kosovo. Il governo di Belgrado, allora come in tempi più recenti, ha avuto difficoltà nel mettere in atto per intero i propri intenti, vista la scarsa disponibilità dei serbi a emigrare in una zona estremamente povera e ostile come il Kosovo. Va notato che l'arrivo dei coloni è stato allora osteggiato non solo dalla popolazione albanese della regione, ma anche da quella serba autoctona, vittima anch'essa di requisizioni delle proprie terre. Subito dopo la Prima guerra mondiale, nel 1918, i principali leader albanesi avevano creato un'organizzazione mirata a promuovere la resistenza agli occupatori, il "Comitato per la Difesa Nazionale del Kosova", detto comunemente "Comitato Kosova". Il Comitato ha organizzato nel corso del decennio successivo un movimento di resistenza coordinando le operazioni delle bande di kacaki, ovvero i briganti locali di nazionalità albanese. Le loro azioni hanno avuto tuttavia scarso successo a causa della spietata repressione serba e dallo scarso appoggio fornito dall'Albania che negli anni '20, con l'arrivo al potere di Re Zog, nei fatti un vassallo di Belgrado, si è trasformato in una persecuzione vera e propria, tanto che il leader del Comitato, Hasan Prishtina, è stato fatto uccidere dal governo di Tirana nel 1933. I leader del Comitato, tutti finiti assassinati tra gli anni '20 e gli anni '30, hanno cercato di intessere rapporti anche a livello internazionale, poco curanti di chi fosse disponibile a sostenere la loro causa, arrivando così a collaborare negli stessi anni con il Comintern e con i servizi segreti fascisti italiani.
3.8.La seconda Guerra Mondiale e l’immediato dopo guerra
Nel 1941, un anno e mezzo dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, le potenze dell'Asse decidono di spartirsi militarmente i territori del regno jugoslavo: avrà inizio così l'occupazione tedesca, italiana e bulgara dei Balcani, che costerà la vita a centinaia di migliaia di persone in tutta la penisola. Il Kosovo, così come tutta l'Albania e i territori a maggioranza albanese della Macedonia, viene assegnato all'amministrazione fascista italiana, che ne manterrà il controllo fino al 1943, anche se una piccola, ma importante zona, quella mineraria di Trepca, viene assegnata fin dal 1941 alla Germania. Gli albanesi del Kosovo, dopo decenni di repressioni e sfruttamento spietati da parte di Belgrado, accettano con favore il dominio italiano. Roma introduce per la prima volta l'insegnamento in lingua albanese nella regione, ma non consente mai alcuna forma di amministrazione autonoma del Kosovo, inviando commissari dall'Albania, colonia italiana già da anni, e sottoponendolo a un'occupazione militare. L'Italia è in quel periodo abile nel giocare sulle divisioni tra serbi e albanesi, consentendo azioni violente contro la popolazione serba, ma spesso prendendo le difese di quest'ultima. Dopo l'8 settembre 1943 la Germania prende il controllo dell'intero Kosovo e proclama indipendente l'Albania, comprensiva del Kosovo e delle zone a maggioranza albanese della Macedonia. Tuttavia anche la Germania mantiene un regime di occupazione militare e non consente alcuna organizzazione autonoma degli albanesi. Sotto i tedeschi riprendono le deportazioni di serbi e montenegrini, per la maggior parte coloni, avviate già dall'Italia nel 1941: le autorità naziste alla fine del 1944 hanno calcolato come pari complessivamente a 40.000 il numero di serbi e montenegrini deportati in Serbia durante la loro occupazione di fatto del Kosovo. A causa della complessa storia passata, in Kosovo il movimento partigiano è sempre stato scarsamente sviluppato. Le scarne organizzazioni del Partito Comunista nella regione erano essenzialmente serbe e gli albanesi che ne hanno fatto parte non hanno mai superato le poche decine, a differenza di quanto avveniva in Albania, dove esisteva un movimento bene organizzato. Oltre ai comunisti, in Kosovo operavano anche i cetnici, una formazione nazionalista serba diventata in seguito collaborazionista, e il Balli Kombetar (Fronte Nazionale). Quest'ultimo era una forza nazionalista albanese fondata nel 1942, l'unica nella resistenza con un certo seguito tra la popolazione, di tendenze repubblicane e genericamente di centroù‐sinistra, ma vicino alle classi possidenti. Nel 1943 vi è stato un incontro tra il Balli Kombetar e un rappresentante del Partito Comunista Jugoslavo, con il quale è stata siglata una dichiarazione comune a favore "della lotta per l'indipendenza dell'Albania e, attraverso l'applicazione del principio dell'autodeterminazione dei popoli, per un'Albania etnica", dichiarazione che verrà tuttavia immediatamente disconosciuta dagli alti gradi della resistenza comunista, con la conseguente apertura di un conflitto esplicito tra le due parti e il progressivo spostamento del Balli Kombetar su posizioni collaborazioniste. Nei giorni a cavallo tra il 1943 e il 1944, inoltre, si tiene a Bujan una conferenza dei delegati del Partito Comunista Jugoslavo del Kosovo, i quali decidono la creazione di un Consiglio Regionale per l'intero Kosovo e formulano una dichiarazione in cui si dice: "il Kosovo‐Metohija è un'area a maggioranza albanese che, oggi come sempre in passato desidera unirsi all'Albania. L'unico modo in cui gli albanesi del Kosovo‐Metohija possono unirsi all'Albania è attraverso una lotta comune con gli altri popoli della Jugoslavia contro gli occupatori e i loro lacché. Perché l'unico modo in cui è possibile raggiungere la libertà è se tutti i popoli, ivi inclusi gli albanesi, avranno la possibilità di decidere da soli il loro destino con il diritto all'autodeterminazione, ivi incluso quello alla secessione". Il Comitato Centrale del Partito Comunista non gradisce tale formulazione e invia un rappresentante in Kosovo per comunicarlo, ma la dichiarazione rimane tuttavia il programma ufficiale del Consiglio Regionale fino alla scacciata dei tedeschi, avvenuta nel novembre del 1944. Nei fatti una decisione in merito ai futuri destini del Kosovo e dell'Albania viene rimandata a dopo la liberazione, nel contesto di quella che si prevedeva sarebbe stata la creazione di una federazione balcanica. Il Partito Comunista Jugoslavo, proprio nel contesto di tale progetto di federazione, mantiene in questo periodo un controllo di fatto anche sulla resistenza comunista in Albania.
Immediatamente dopo la cacciata dei nazisti, in Kosovo si verifica un primo grave fatto di violenza. Nella regione di Drenica vengono scoperti i corpi di 250 albanesi massacrati da partigiani jugoslavi, come scopre una commissione inviata a verificare quanto accaduto. Le autorità del Partito Comunista, tuttavia, non adottano alcuna misura punitiva e fanno invece fucilare il responsabile della commissione. Si tratta della scintilla che fa scattare una vera e propria insurrezione della popolazione albanese contro le autorità jugoslave, che durerà per buona parte del 1945. Il Kosovo viene dichiarato "zona militare" e viene messa in atto una spietata repressione che causa la morte di decine di migliaia di albanesi, con episodi particolarmente tragici, come quello avvenuto in Montenegro, dove 1670 civili vengono chiusi in un tunnel e asfissiati con il gas. Le repressioni e i massacri vengono giustificati con la necessità di estirpare gli elementi collaborazionisti, ma nella realtà sono una vera e propria guerra contro la popolazione insorta che rivendicava, tra le altre cose, anche l'unione del Kosovo con l'Albania. La sezione serba del Partito Comunista condanna a quei tempi gli "eccessi" nella repressione, ma non adotta alcuna misura e sui fatti verrà stesa una cortina di silenzio che durerà fino alla fine della Jugoslavia. Nel luglio del 1945, a insurrezione ormai quasi liquidata, il Partito Comunista Jugoslavo sancisce che il Kosovo deve rimanere nella Serbia, come regione priva di diritti amministrativi autonomi. Inoltre, la nuova costituzione non riconosce tra le nazionalità costituenti della Jugoslavia quella albanese. Nel tentativo di guadagnarsi qualche favore presso la popolazione albanese le autorità decidono di vietare il rientro in Kosovo ai circa 50.000 serbi che ne erano stati scacciati durante la guerra e non applicano contro gli albanesi le misure di punizione delle "responsabilità collettive dei popoli collaborazionisti", messe in atto invece con deportazioni massicce contro tedeschi, ungheresi e italiani.
3.9.Pace, autonomia e progrom
La fine della guerra vide un giovane governo nuovo, forte, fiducioso, animato da uno spirito di idealismo, una nuova societá, una civilizzazione nuova. Milovan Djilas scrive che Tito disse nel 1945 "Basta con tutte queste esecuzioni! La pena di morte non ha piu' alcun effetto! Nessuno piu' teme la morte." Quindi la finirono, e non cacciarono fuori gli albanesi, come il governo greco aveva fatto. Aprirono scuole elementari in lingua albanese, e poi le medie, e poi i licei. Le bandiere albanesi pero' non erano permesse, e alzarle era causa d'arresto. Nel 1969 l'albanese, il serbo‐croato, e il turco ottennero stato di uguaglianza nel Kosovo, e l'università indipendente di Pristina fu stabilita. Nel 1974 il Kosovo divenne una delle otto unita' federali della Iugoslavia. La direzione nazionale collettiva consisteva di Tito come Presidente e di un membro per ogni unità federale, in rotazione alla vice‐presidenza. Questo significava che finché Tito fosse vissuto ‐‐era presidente a vita ‐‐ ci sarebbe stato un vice‐presidente albanese per un anno, un croato l'anno prossimo, poi uno sloveno, ecc. Dopo la morte di Tito vi sarebbe stata una presidenza collettiva di otto membri, uno dei quali doveva essere un albanese. Il Kosovo ricevette rappresentazione sui tribunali federali e sul tribunale costituzionale ed ebbe diritto di veto su tutta la legislazione serba che lo riguardava, mentre la Serbia non aveva il veto sulle leggi in vigore nel Kosovo, che ora aveva il suo proprio governo, il suo parlamento, la sua polizia, il suo giudiziario, e la sua corte suprema. Nell'impiego pubblico 80% di tutti i posti di lavoro erano riservati per gli albanesi, mentre la conoscenza dell'albanese divenne obbligatoria e sufficiente. La letteratura albanese e la cultura prosperarono, ma una laurea in letteratura albanese o in studi islamici non offre opportunità come una laurea in ingegneria. La maggior parte del fondo di sviluppo iugoslavo ando' al Kosovo ma l'altissima nativita', tre volte la media iugoslava, assicuro' la povertà. Come la disoccupazione giovanile aumentava, il governo tentava di risolvere il problema creando il pieno impiego all'universita', in albanese, contraddicendo una tradizione di bilinguismo o trilinguismo ‐‐ albanese, serbo, e turco. Questa decisione dei dirigenti albanesi ebbe un effetto catastrofico, rinchiudendo i giovani albanesi in un ghetto linguistico. Oggi non e' facile a Pristina trovare giovani albanesi che parlino serbo, o qualsiasi lingua straniera. Dovunque si vada nel mondo, le minoranze che hanno successo economico sono bilingui. Cio' che fu creato nel Kosovo era una classe di intellettuali discontenti, senza prospettive di usare le loro lauree, mentre lo sviluppo dell'infrastuttura universitaria non manteneva il passo col numero degli studenti. Gli studenti non erano soddisfatti col cibo e con le condizioni all'università. Il governo e l'università erano totalmente nelle mani degli albanesi, ma un colpevole doveva essere trovato. In qualche paese, se qualcosa non va, e' la colpa degli ebrei, in altri paesi la colpa e' dei musulmani, nel Kosovo la colpa e' dei cristiani. Cosí il 26 marzo, 1981 ci fu a Pristina il primo pogrom dal 1944. Invece degli ebrei, i bersagli erano serbi e montenegrini, che vennero assaliti e bastonati, le loro case e negozi saccheggiati e incendiati. L'esercito intervenne e forse cento albanesi furono uccisi. Questa pero' non era una rivolta come a Watts, Newark, o Detroit negli anni sessanta. A Pristina poliziotti vennero uccisi. Certamente sarebbe stato più saggio usare meno forza, certamente non c'era bisogno del tipo di repressione che segui'. D'altra canto, non si può negare che gli iugoslavi erano riusciti a rompere con la tradizione di massacro e vendetta che aveva afflitto il Kosovo. Gli albanesi nel Kosovo avevano ottenuto più diritti di qualsiasi minoranza in qualsiasi zona contesa nel mondo e avevano piu' liberta' economica, politica, religiosa, di educazione, e di movimento che gli albanesi in Albania. Ma questo non basto' a rompere quella vecchia usanza di bastonare i cristiani quando si può farla franca. Come gli albanesi ottennero il controllo della polizia, la vita divenne difficile per le minoranze nel Kosovo. Si comincia con maledizioni al mattino quando si incontra il vicino serbo per strada, poi vengono le minacce, il furto, il taglio degli alberi, la distruzione dei raccolti, l'uccisione degli animali, la sassaiola, e la bastonatura. Se questo non basta per convincere serbi e montenegrini a vendere le loro case e lasciare il Kosovo, c'e' sempre il coltello. Alterare l'equilibrio tra le nazionalità attraverso l'intimidazione o il terrore è pulizia etnica. Nel 1989, per mettere fine a tale pulizia etnica Milosevic ritiro' l'autonomia del Kosovo e lo rincorporo' in Serbia. Nonostante cio', l'azione di Milosevic, era essenzialmente difensiva. La recente lotta armata ha causato
l'accelerazione del processo di pulizia etnica. Molti villaggi sono stati totalmente ripuliti. Serbi, montenegrini, rom e pure albanesi riluttanti a lavorare coll'UCK, sono derubati o bastonati. Qualche volta i loro corpi torturati sono trovati, altre volte semplicemente scompaiono. Resti umani furono trovato nel villaggio di Klecka, dove un forno venne usato come crematorio per 22 desaparecidos, spiacenti all'UCK. Per sfortuna, dal momento in cui i dirigenti dei paesi della NATO decisero che la Serbia era il loro nemico, i media occidentali decisero di non includere eventi spiacevoli come Klecka nelle loro discussioni del Kosovo.
3.10.Il Kosovo nella federazione socialista jugoslava
Nel 1946 viene approvata la prima Costituzione della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava, della quale il Kosovo entra a fare parte come regione interna della Serbia. All'interno di quest'ultima, la posizione del Kosovo è decisamente inferiore a quei tempi a quella della Vojvodina, che viene dichiarata provincia (un grado superiore a quello di regione, nel sistema jugoslavo) con il diritto a un proprio parlamento e a un proprio sistema giuridico, diritti di cui il Kosovo invece non gode. Successivamente, nel 1953, vi è stato un emendamento della costituzione che ha declassato le istituzioni amministrative come quelle del Kosovo da entità federali, a entità delle repubbliche di appartenenza; tale emendamento è stato ulteriormente perfezionato nel 1963 con il trasferimento dalla federazione alle varie repubbliche dell'autorità per creare o cancellare le entità autonome interne. Inoltre, le suddivisioni territoriali tra le varie repubbliche della Federazione hanno smembrato la popolazione albanese in tre repubbliche diverse (Serbia, Macedonia e Montenegro) con l'evidente scopo di non offendere le sensibilità dei tre nazionalismi slavi. Fino al 1948, tuttavia, rimane ancora aperta la possibilità della creazione di una Federazione Balcanica, nell'ambito della quale Kosovo e Albania avrebbero potuto unirsi o comunque convivere fianco a fianco, ma con la rottura dei rapporti tra Cominform e Jugoslavia nel 1948 tale prospettiva svanisce definitivamente e in Jugoslavia viene rafforzato il regime poliziesco, che assume in Kosovo toni particolarmente duri per un periodo di più di 15 anni, fino alla destituzione dello spietato Ministro degli interni Rankovic nel 1965. Sempre in questo periodo, il governo di Belgrado promuove, con una tattica del bastone e della carota, una politica di espulsione degli albanesi dal Kosovo e dalla Macedonia verso la Turchia che porterà all'esodo complessivamente di 195.000 persone. Accanto a questi aspetti, ve ne sono altri che consentono agli albanesi del Kosovo un miglioramento delle proprie condizioni di vita. La pesante eredità di decenni di dominazione straniera aveva lasciato gli albanesi del Kosovo nel 1948 con un tasso di analfabetismo del 73%, mentre erano molti quelli che sapevano leggere l'alfabeto cirillico, ma non quello albanese. Il governo di Belgrado mette in atto in quell'anno un capillare programma di apertura di scuole in albanese e di corsi di alfabetizzazione per adulti che con gli anni otterrà successo e comporterà una fondamentale svolta nella storia degli albanesi del Kosovo, anche se va notato che i programmi scolastici a quei tempi erano assolutamente imposti dall'alto dalle autorità serbe e ignoravano completamente la storia del Kosovo e della nazione albanese. A livello economico, il Kosovo viene ritenuto dalle autorità federali troppo vulnerabile per avviarvi importanti programmi industriali, ma la ricchezza di risorse minerarie della regione porta alla creazione di grandi complessi per la loro lavorazione, avviando un processo che fa del Kosovo un fornitore di materie prime per le altre repubbliche jugoslave. Negli anni '50 viene inoltre avviato un programma di aiuti alle regioni meno sviluppate, del quale il Kosovo sarà sempre il maggiore destinatario, arrivando negli anni '70 ad avere il 70% del proprio bilancio finanziato da tale programma. Tali finanziamenti, tuttavia, non faranno che perpetrare la situazione di sottosviluppo economico del Kosovo.
Nel 1966, con il Plenum di Brioni, la Lega dei Comunisti di Jugoslavia (SKJ) vara un programma di decentralizzazione che prevede tra le altre cose la parità tra repubbliche e provincie a livello federale e una maggiore affermazione delle identità etniche. Vengono in parte allentati i controlli polizieschi e incoraggiati i rapporti ufficiali con l'Albania, ma ben presto scoppiano sporadici scontri in Kosovo, perché le autorità serbe ostacolano le misure adottate a livello federale. Il 27 novembre 1968 gli studenti dell'Università di Pristina organizzano una manifestazione che si trasforma in una vera e propria rivolta, all'insegna degli slogan "No alla colonizzazione del Kosovo" e "vogliamo essere una repubblica". Belgrado invia nella regione alcune unità dell'esercito e i carri armati prendono il controllo di Pristina, ma nel giro di qualche settimana scoppiano manifestazioni simili anche nelle zone a maggioranza albanese della Macedonia, che costringono per la prima volta le autorità di Skopje a riconoscere alcuni diritti nazionali agli albanesi della repubblica. Nel 1969 il Parlamento serbo adotta una nuova costituzione per il Kosovo, che prevede la creazione di un sistema giudiziario della provincia,
maggiori poteri di autonomia nell'amministrazione, la parità tra le lingue albanese, serbo‐croata e turca e la creazione dell'Università albanese di Pristina, che sarà negli anni seguenti un punto di riferimento anche per gli albanesi della Macedonia e del Montenegro. Nel 1974 il progetto di decentralizzazione a livello federale culmina con l'approvazione di una nuova Costituzione che fa delle province autonome del Kosovo e della Vojvodina soggetti federali con diritto di veto all'interno della loro repubblica, un fatto che provoca un forte risentimento nelle autorità serbe, le quali recriminano inoltre che nulla di simile sia stato proposto per la minoranza serba in Croazia. Contemporaneamente alla ristrutturazione della federazione, la Costituzione prevede un'intensificazione del sistema dell'autogestione che aprirà nuovi spazi all'espressione politica degli albanesi del Kosovo, anche se largamente frustrata dalla sostanziale mancanza di democrazia in Jugoslavia e dalla natura burocratica e verticistica delle misure adottate. Permangono quindi l'insoddisfazione e le tensioni, come testimoniano il processo svoltosi nel 1974 contro vari studenti di Pristina che avevano fondato un "Movimento per la liberazione nazionale del Kosovo" che chiedeva l'unione delle regioni a maggioranza albanese della Macedonia e del Montenegro con il Kosovo e quello del 1976 contro lo scrittore Adem Demaci e altri 18 albanesi, accusati di avere criticato i dirigenti della SKJ e il sistema dell'autogestione e condannati alla pena pesantissima di 15 anni di prigione, pur non avendo né predicato né messo in atto azioni violente. Nonostante questo, vi sono degli indubbi progressi: aprono numerose testate giornalistiche in albanese, si intensificano gli scambi con l'Albania e la storia nazionale non è più un tabù assoluto, mentre l'Università albanese di Pristina può adottare programmi propri. Questo processo di emancipazione, pur carente di democrazia, viene reso ancora più dinamico dalla struttura demografica della popolazione del Kosovo, nella quale, in conseguenza dell'alto tasso di natalità, si fa sempre più ampio l'elemento giovanile. A livello economico permangono invece le distorsioni del passato e il Kosovo rimane sempre un produttore di materie prime per le altre repubbliche e un beneficiario massiccio di sovvenzioni statali. Per avere un'idea delle disparità all'interno della federazione basta citare il dato del 1979 secondo cui il reddito pro capite in Kosovo era di $795, mentre la media jugoslava era di $2.635 e la repubblica più ricca, la Slovenia, aveva un reddito pro capite di $5.315. A livello politico si ha in questi anni la rapida formazione di una classe politica albanese, che viene ben presto cooptata anche nelle più alte strutture della repubblica e della federazione, ma sull'agire di questa classe politica peserà sempre il fatto di essere per l'appunto espressione non della volontà degli albanesi, quanto piuttosto dei vertici federali e serbi. Inoltre, con il consolidarsi delle proprie posizioni, tale classe politica diventa il principale fruitore e amministratore dei fondi di assistenza alla provincia e diviene sempre più interessata a favorire gli interessi di Belgrado piuttosto che quelli della popolazione del Kosovo. Basti pensare, a tale proposito, che il 25% degli occupati in Kosovo era rappresentato in quel periodo da funzionari statali ben retribuiti, i cui privilegi provocavano tra l'altro il risentimento dei moltissimi lavoratori sottopagati o disoccupati. In tale situazione non vi è da meravigliarsi che nel 1981 siano scoppiate massicce e violente manifestazioni. La scintilla che ha fatto scoppiare le proteste è stata la dimostrazione dell'11 marzo di quell'anno organizzata dagli studenti di Pristina per protestare contro le loro condizioni di vita. Le manifestazioni sono andate progressivamente ampliandosi e il 26 marzo una grande folla si è riunita nelle strade di Pristina, con immediati scontri con le forze di polizia e numerosi atti di violenza da entrambe le parti. La reazione delle autorità di Belgrado è stata nuovamente quella di inviare i carri armati in Kosovo, solo che questa volta in maniera molto più massiccia, tanto che in breve tempo le truppe inviate nella provincia sono arrivate a 30.000 unità. I morti ufficialmente sono stati 11, ma in realtà sicuramente centinaia, mentre fonti albanesi parlano addirittura di 1.000 morti. La SKJ ha immediatamente condannato le manifestazioni come "controrivoluzionarie e irredentiste", mettendo in atto vaste purghe al suo interno, mentre era ancora in atto lo stato di emergenza: più di 1.000 albanesi sono stati espulsi dal partito, mentre il leader regionale Bakalli è stato destituito d'autorità. Contemporaneamente, nell'Università di Pristina venivano imposte drastiche misure censorie nell'insegnamento della storia, della lingua e della letteratura albanese, mentre veniva ridotto il numero di posti riservati a studenti albanesi. Tra gli anni '70 e '80 sorgono alcune organizzazioni
marxisteùleniniste clandestine che rivendicano la creazione di una Repubblica del Kosovo in Jugoslavia o l'unione con l'Albania di Enver Hoxha. Per quanto ideologicamente vicini a quest'ultima, tali gruppi non ricevono importanti aiuti da Tirana, che durante gli anni '80 segue una linea di non interferenza con le politiche jugoslave in Kosovo e, per esempio, respinge regolarmente in Jugoslavia i profughi politici. Le organizzazioni marxisteùleniniste, come il Movimento per la Liberazione Nazionale del Kosovo o il Gruppo MarxistaùLeninista del Kosovo riescono a ottenere un certo seguito nelle zone rurali, ma le repressioni delle autorità di Belgrado riescono a impedirne il diffondersi e molti leader vengono incarcerati per lunghi anni oppure sono costretti a emigrare. Queste organizzazioni, che pure hanno vissuto tra gli anni '80 e '90 violente lotte intestine, sono il nucleo di quello che alla fine degli anni '90 diventerà noto in tutto il mondo come Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK). Gli anni dopo il 1981 proseguono in questo clima di purghe, arresti e censure da parte delle autorità jugoslave e giungono a una svolta decisiva nel 1986. In quell'anno prende corpo una massiccia propaganda delle autorità serbe, già preparata negli anni precedenti nel corso di riunioni ad alto livello all'interno della Lega dei Comunisti della Serbia, con la partecipazione in particolare del noto scrittore Dobrica Cosic. Vengono organizzate dalle strutture del partito locali del Kosovo le prime proteste di serbi contro il nazionalismo albanese, mentre nello stesso anno compare in versione non ufficiale un Memorandum dell'Accademia serba delle scienze che lamenta, tra le altre cose, il "genocidio" della popolazione serba del Kosovo a opera degli albanesi. Tale propaganda si basa su accuse che parlano di un massiccio esodo forzato di serbi dal Kosovo, secondo Belgrado provocato da una strategia intenzionale e violenta degli albanesi. In realtà, le stesse statistiche jugoslave dimostrano che i flussi migratori di serbi dal Kosovo corrispondono esattamente a quelli delle altre regioni più depresse della federazione. Allo stesso tempo, viene avviata una massiccia campagna di denuncia di violenze sessuali contro le donne serbe del Kosovo a opera degli albanesi, ma anche in questo caso le statistiche federali dicono che la percentuale di tali violenze sul numero degli abitanti è addirittura inferiore a quella della stessa Serbia. E' tuttavia indubbio che il clima di repressioni sistematiche messe in atto da Belgrado crea effettivamente un contesto di tensioni e di conflitto, che questa propaganda sfrutta abilmente. Tale clima fa un salto di qualità l'anno successivo, quando in Serbia inizia l'ascesa al potere di Slobodan Milosevic, un burocrate della Lega dei Comunisti che era stato per lungo tempo dirigente d'azienda. Milosevic, che mai aveva avuto posizioni nazionaliste in passato, usa il Kosovo e le tematiche antialbanesi come trampolino di lancio per vincere la lotta per il potere in Serbia. Nel 1987 viene messa a punto la prima bozza di una cancellazione dell'autonomia del Kosovo e il quotidiano di partito "Politika" titola: "Nessuna forza può ostacolare l'unificazione della Serbia". Alcuni mesi dopo, i minatori albanesi del Kosovo danno il via a una grande mobilitazione contro i progetti di cancellazione dell'autonomia: alla loro marcia di 70 km. verso Pristina si uniscono progressivamente altri lavoratori e gli studenti, dando vita a un corteo di più di 100.000 persone che rimane mobilitato per cinque giorni. La risposta di Belgrado è quella di procedere a nuove massicce purghe (gran parte dei lavoratori è ancora iscritta alla Lega dei Comunisti) e alla sostituzione del dirigente della provincia Vllasi con un albanese strettamente controllato dai vertici di partito serbi. Questa mossa, e il successivo colpo di mano interno all'organizzazione di partito dell'altra provincia autonoma, la Vojvodina, consentiranno alla Serbia di avere nel 1989 quattro voti nella presidenza collettiva della Federazione jugoslava e di promuovere così i propri progetti egemonici. Il 28 marzo 1989 il Parlamento serbo cancella d'autorità l'autonomia politica del Kosovo, sottoponendolo al controllo centrale di Belgrado, con una mossa che viola il principio secondo il quale il Kosovo è un'entità costitutiva della Federazione. Circondato dai carriarmati e largamente infiltrato da elementi estranei, il Parlamento del Kosovo ratifica gli emendamenti. Subito l'intera popolazione del Kosovo si mobilita: sono di nuovo i minatori i primi ad avviare le proteste, ma a loro si aggiungono ancora una volta altri lavoratori e studenti di tutta la provincia, le cui attività vengono completamente bloccate. Il 28 giugno Milosevic si reca in Kosovo per le celebrazioni del seicentesimo anniversario della storica battaglia di Kosovo Polje, alle quali parteciperà un milione di serbi. Tra le parole che egli pronuncia in quell'occasione vi sono le seguenti: "Oggi, seicento anni dopo, stiamo ancora combattendo delle battaglie; non si tratta di battaglie
armate, anche se non si può escludere che ce ne saranno". Nel luglio 1990 il Parlamento serbo chiude d'autorità l'Assemblea provinciale del Kosovo e ne espelle fisicamente i delegati che, riunitisi in strada, proclamano la Repubblica del Kosova all'interno della federazione jugoslava e separata dalla Serbia. Due mesi dopo viene approvata clandestinamente una costituzione della Repubblica del Kosova. I media in lingua albanese vengono occupati e chiusi dalle autorità di Belgrado, la Biblioteca Nazionale viene depredata di gran parte delle sue opere in albanese e i programmi di studio autonomi della provincia vengono aboliti e sostituiti con quelli messi a punto da Belgrado. A tutto ciò gli albanesi del Kosovo reagiscono organizzando uno sciopero generale.
4.Relazioni tra serbi e albanesi e il problema cristiano
Sotto l'Impero Bizantino il Kosovo e parte dell'Albania erano popolati da agricoltori slavi nelle pianure e nelle valli, mentre le alture erano popolate da pastori vallacchi, illirici, albanesi, dardani, e traci. Non vi e' alcuna evidenza che gli antichi illirici fossero albanesi. Visto che gli illirici, prima di venire assorbiti dai romani, non avevano una lingua scritta, veneziani, dalmati, croati, montenegrini, e albanesi, tutti possono richiamarsi alle loro antiche ma indimostrabili radici illiriche. Dopo un periodo nell'Impero Bulgaro, e un'altro periodo sotto i bizantini, nel 1180 il Kosovo divenne parte dello stato serbo. Nel 1219 Pec divenne la sede della Chiesa Serbo‐Ortodossa, contro la quale il papa organizzo' crociate. La battaglia di Kosovo Polje‐‐che in serbo significa Campo dei Merli‐‐ fu combattuta nel 1389 e vide Lazar, principe di Serbia, Tvrtko, re di Bosnia, e i loro alleati ungheresi, bulgari, e albanesi, cercar di contrastare l'avanzata degli ottomani dell'Emiro Murad. La battaglia ebbe esito negativo per ambedue contendenti, ‐‐vi morirono sia il Principe Lazar che l'Emiro Murad ‐‐ ma in battaglie successive i cristiani furono sconfitti e la maggior parte dei Balcani fu conquistata. Al principio, e particolarmente nel '500, il governo ottomano era definitivamente piu' razionale e tollerante di qualsiasi stato europeo del periodo. Ogni principe o capo villaggio che si convertiva all'Islam, veniva accettato come un uguale dagli ottomani, e al solito vedeva il suo potere e il suo patrimonio aumentare, alle spese di principi che rimanevano cristiani. D'altro canto il governo ottomano non perseguitava cristiani ed ebrei, semplicemente favoriva i convertiti. Col passare del tempo, i convertiti divennero padroni di latifondi sempre piu' estesi, su cui vivevano i servi della gleba cristiani, che nel caso della Bosnia e del Kosovo erano per lo piu' Serbi. A volte convertiti o transnazionali in zone di frontiera si vergognano delle loro origini, e per dimostare la loro dedizione alla loro nuova fede o nuova patria, spesso sviluppano un terribile odio contro i loro infedeli o incivili cugini. Tra i piu' crudeli persecutori si trovano spesso coloro la cui origine e' nel popolo dei perseguitati. Come l'autorita' del Sultano a Istambul veniva trasferita a convertiti Albanesi, essere cristiano in Albania e nel Kosovo divenne sempre piu' difficile. La maggioranza dei cattolici albanesi fuggirono in Italia o si convertirono all'Islam per evitare la persecuzione o le pesanti tasse sui cristiani. Molti serbi che avevan preso parte a ribellioni contro gli ottomani fuggirono e vennero rimpiazzati da albanesi dalle alture del Kosovo o dall'Albania settentrionale. Verso l'anno 1800, le cose peggiorarono per i cristiani: in tempi piu' tolleranti, quello che ai serbi bastava fare per sopravvivere era accettare la servitu' sotto un pascia' o un bey albanese o sotto un beg bosniaco. Ora invece, un pascia' albanese particolarmente severo poteva semplicemente uccidere i cristiani che non volevano convertirsi. Alcuni serbi convertiti rimasero cripto‐cristiani, e per molti anni continuarono ad osservare tradizioni cristiane a casa. I governanti pero' iniziarono attivita' di persecuzione contro i cripto‐cristiani, e dopo qualche generazione tutti furono assorbiti nella popolazione albanese. Ma cio' che spesso rimase era una cognizione di parentela e di un'antica storia comune, come pure comuni tradizioni e bilinguismo. Non c'e' una storia di violenza organizzata tra Serbi o Montenegrini e Albanesi, fino al 1785, quando un esercito albanese, sotto la nominale sovranita' del Sultano in Istambul, invase il Montenegro. Dopo undici anni di guerra gli Albanesi dovettero ritirarsi e il Montenegro rimase una principato autonomo parte dell'Impero Ottomano. Nel 1875 un'insurrezione agraria contro le tasse e i latifondisti musulmani comincio' in Bosnia e divenne una rivoluzione nazionale serba, che trovo' sostegno e volontari tra i liberali europei, particolarmente i discepoli di Mazzini e Garibaldi. Alla fine di Ana Kerenina di Tolstoi, vediamo il Principe Vronsky in viaggio per la Serbia come un tale volontario. I serbi della Bosnia proclamarono la loro unione alla Serbia, ‐‐allora erano la maggioranza in Bosnia ‐‐ ma l'Austria aveva idee differenti. In un accordo segreto, concluso a Budapest, Vienna e San Pietroburgo si divisero i Balcani in sfere di influenza. Lo Zar dichiaro' la guerra contro il Sultano. Con l'aiuto di forze della Bulgaria, Serbia, e Montenegro, gli eserciti ottomani furono sconfitti e un trattato di pace fu firmato, che diede parti del Kosovo alla Serbia e al Montenegro, mentre la Bulgaria ottenne la Macedonia e l'indipendenza. Ma Berlino ‐‐ e Vienna, Roma, Londra, e Parigi ‐‐ non si compiacquero, e paternamente dissero ai piccoli slavi,"Restituiscilo immediatamente!" Il che fu fatto, mentre la Bulgaria doveva accontentarsi
dell'autonomia invece dell'indipendenza. Questo era il Congresso di Berlino, 1878, il cui gran vincitore fu l'Austria, che si prese la Bosnia‐Herzegovina ed il Sangiaccato. L'Impero Ottomano si decise a riformarsi e diede diritti uguali ai cristiani. Questo offese gli albanesi, che si videro tassati proprio come la "rayah", parola turca che significa gregge. Questo è il termine tradizionale di riferimento per i cristiani, visti come un gregge il cui motivo di esistere e' quello di essere tosati. Il governo ottomano ora era molto debole e divenne definitivamente incapace di proteggere i suoi sudditi serbi. Durante la guerra precedente gli eserciti slavi avevano terrorizzato gli albanesi, mentre albanesi irregolari avevano terrorizzato i serbi nel Kosovo. Successivamente, furti, bastonate, stupri, e assassinii di serbi da parte degli albanesi divennero comuni nel Kosovo. Razziare cittadine e villaggi serbi divenne quasi un impiego. Razzie albanesi cominciarono ad affliggere villaggi della Serbia, mentre nel Kosovo divennero pogroms. Una cosa poco pratica, perche' se uccidi un serbo o gli bruci la casa quest'anno, non potrai depredargliela l'anno prossimo. Per chi non e' familiare con cose ebraiche, un pogrom e' un evento in cui i "ragazzi" corrono per il quartiere ebraico bastonando un po' gli ebrei e rovesciando i carretti ai verdurai. Se i "ragazzi" sono davvero irritati forse sara' necessario dare fuoco a qualche negozio ebraico. Se poi questi ebrei insistono a vivere al piano di sopra e l'appartamento brucia pure, con la famiglia dentro, spiacente, non e' colpa nostra, non avrebbero dovuto vivere in prossimita' di un legittimo obbiettivo strategico. Al comando NATO di Bruxelles lo chiamano "collateral damage," danni collaterali. Questa e' la storia dei pogrom, sempre la stessa, se quelli che le prendono sono ebrei, cristiani, musulmani, indu', negri, coreani, albanesi, o serbi. Tra un pogrom e l'altro un serbo nel Kosovo doveva cercare di non farsi notare. Per esempio, non era saggio dipingersi la casa o farla apparire piu' bella della casa dei vicini albanesi. Te la potevano incendiare. In una città del Kosovo era consuetudine per il banditore di finire ogni grida con la frase "Guai ai cristiani!" Agenti di Vienna fomentarono l'agitazione albanese nell'aspettativa che il caos potesse permettere all'Austria di occupare pure il Kosovo, come la Bosnia. In risposta, Belgrado accolse come ospiti onorati vari notabili Kosovari Albanesi, a cui offri' doni ed armi, nella speranza che proteggessero i Serbi. Nel 1903 i Macedoni insorsero, ma i bashibazuks, forze irregolari albanesi, furono inviati contro l'insurrezione. Nel 1908 il governo di Istambul tenta di centralizzare l'impero e ordina l'istruzione in lingua turca, il servizio militare, e nuove tasse. Gli Albanesi del Kosovo si ribellano ma la reazione Turca e' dura. 50,000 albanesi e 100,000 serbi fuggono dal Kosovo. La Serbia e il Montenegro sostengono guerriglieri albanesi come Isa Boletini e Idriz Seferi, che in cambio proteggono i serbi. Seferi fa fucilare alcuni dei suoi seguaci per aver rapinato dei serbi, e vi sono serbi tra gli uomini piu' fidati di Boletini. Ma quando Bulgaria, Grecia, Montenegro, e Serbia dichiarano guerra all'Impero Ottomano, gli albanesi prendono la parte di Istambul. Questa e' la prima guerra balcanica, e gli albanesi sono vittime di eccidi e rapine alle mani degli eserciti balcanici vittoriosi. Le forze serbe raggiungono il mare ma Vienna e Roma annunciano che questo non sara' tollerato. La linea ufficiale dell'Austria e' che non si permettera' che la Serbia abbia un porto sull'Adriatico, mentre l'obbiettivo dell'Italia e' il controllo di entrambe le sponde dell'adriatico. Gli italiani sbarcano in Albania e respingono greci e serbi. L'Austria e l'Italia sono ora alleate nella Triplice Alleanza, il cui terzo membro e' la Germania. Organizzano una convenzione di feudatari albanesi, che proclama l'indipendenza dell'Albania a Vlora nel 1912. Il Trattato di Londra del 1913 riconosce un Albania indipendente, ma la definizione delle sue frontiere e' rimandata. La Serbia perde l'accesso al mare ma mantiene la maggior parte di Kosovo. La Grande Guerra vede violenza generale tra serbi e albanesi nel Kosovo, l'invasione austriaca della Serbia, un anno di resistenza, l'invasione tedesca e bulgara, la perdita della Serbia e l'epica ritirata dell'esercito serbo attraverso Kosovo ed Albania. La Serbia perde meta' dei suoi uomini di età militare (18‐55) tra combattimenti, carestia, tifo, massacri, e campi di concentramento o forche austriache. Una bel slogan tedesco di questo tempo e' "Serbien muss sterben", che significa "la Serbia deve morire." Gli italiani occuparono l'Albania‐‐gli avevano promesso metà dell'Albania nel Trattato di Londra del 1915 ‐‐e un generale italiano proclamo' una volta ancora indipendenza dell'Albania, "sotto l'amicizia e la protezione dell'Italia" nel giugno 1917. Nel 1918 l'esercito serbo ritorno' nel Kosovo. Gli italiani finanziarono i guerriglieri Albanesi contro la Serbia. I serbi reagirono con massacri. Un'amnestia fu
offerta nel 1921, ma i guerriglieri si arrendevano in autunno soltanto per ritornare ai boschi in primavera, proprio come era stata la pratica dei fuorilegge nell'Impero Ottomano. Ma il nuovo capo in Albania, che poi divenne Re Zog, decise di far uccidere i capi dei ribelli e l'amnestia iugoslava del 1924 mise fine alla rebellione. Il Re Zog segui' una linea politica neutrale, ora favorevole all'Italia, ora alla Iugoslavia, ma quando sorpasso' il limite di temerarieta' nel sposare una contessa ungherese invece di una principessa italiana, Mussolini decise che ne aveva abbastanza di questo re troppo indipendente e invase l'Albania. Ordino' un' Assemblea Costituente di signorotti feudali e di capi clan, e diede le istruzioni di offrire la corona d'Albania al Re d'Italia. Il che fu fatto. L'ordine esplicito di Mussolini al nuovo governatore era che i sentimenti irredentistici degli albanesi verso Grecia e Iugoslavia venissero incoraggiati. La Seconda Guerra Mondiale vide il Kosovo diviso tra Germania, Italia, e Bulgaria. L'Italia formo' unita' albanesi, che furono usate nella "pacificazione" della Grecia. Balli Kombetar, l'Unione Nazionale, che è stata spesso chiamata la resistenza nazionalista all'Asse, era alleata alla SS Divisione Skanderbeg, un'unità Albanese con ufficiali tedeschi, la quale si occupo' della soluzione finale del problema serbo e del problema ebraico. Nel luogo di serbi e di ebrei uccisi o espulsi, vennero 70,000 coloni dall' Albania. L'esercito italiano tento' di proteggere i serbi, ma il più valido aiuto che poteva fornire erano camion per il trasporto dei serbi fuori di Kosovo. Balli Kombetar potrebbe essere detto di far parte della resistenza albanese se per "resistenza" si intende bastonare o uccidere italiani, dopo che l'Italia avava cambiato alleanze nel 1943. Migliaia di serbi e montenegrins ma un numero piuttosto piccolo di albanesi entrarono nell'esercito partigiano. Sebbene le sconfitte dell'Asse avessero mostrato che la fine era in vista, gli eccidi contro i serbi continuarono, anche se gli anziani albanesi impugnassero la saggezza di tale linea di condotta. Il 1944 vide la ritirata dei tedeschi, la presa del potere da parte dei partigiani iugoslavi, l'insurrezione suicida del Balli Kombetar, e il regolamento dei conti: durante e dopo pesanti combattimenti, migliaia di albanesi furono uccisi.
5.Il Kosovo dalla società parallela all’odierno conflitto armato
Gli scioperi e le mobilitazioni del triennio 1988‐1990 sono gli ultimi episodi di resistenza attiva, anche se pacifica, alle repressioni di Belgrado, prima di un lungo periodo di 7 anni di resistenza passiva sotto la guida del leader politico Ibrahim Rugova, eletto clandestinamente nel 1992 presidente della Repubblica del Kosova. Sotto la sua guida e quella del suo partito, la Lega Democratica del Kosova, fondata alla fine del 1989 da gruppi di intellettuali fuoriusciti dalla Lega dei Comunisti di Jugoslavia, si ha la creazione di una vera e propria "società parallela" con un sistema educativo, sanitario e di rappresentanza politica interamente proprio. Uno dei principali presupposti della creazione di tale sistema è costituito dall'ulteriore stadio di repressioni messe in atto da Belgrado nel 1990, con la chiusura di numerose aziende, la confisca dei beni della Banca del Kosovo a favore della Jugobanka, l'adozione di un regolamento che impone alle aziende di assumere un serbo per ogni albanese assunto e, soprattutto, la costrizione dei lavoratori a firmare una "lettera di fedeltà" alla Serbia e al Partito Socialista Serbo, pena il licenziamento. Non va dimenticato che tali misure si inseriscono in un contesto di disfacimento dell'economia serba e jugoslava e dei conseguenti dissesti sociali. La LDK nel frattempo conquista una posizione egemonica all'interno della società albanese del Kosovo, che ne fa più un movimento nazionale che un vero e proprio partito. Nel contesto della dissoluzione della Jugoslavia e della guerra in Croazia prima e in Bosnia poi, la LDK adotta una politica di "non ingerenza" e di sostanziale immobilità, mentre i leader favorevoli a forme di resistenza attiva vengono progressivamente marginalizzati. Nelle elezioni clandestine, ma non turbate dalle autorità serbe, svoltesi nel settembre del 1991 la LDK ottiene il 99,87% dei voti degli albanesi del Kosovo (l'87% degli aventi diritto al voto che hanno partecipato alle elezioni). Nel frattempo, la questione del Kosovo prende rilevanza internazionale. Le reazioni vanno da quelle del presidente croato Tudjman, che definisce il Kosovo una questione interna della Serbia, a quelle della Comunità Europea che respinge una domanda di riconoscimento della Repubblica del Kosova guidata da Rugova, all'appoggio dichiarato degli USA alle politiche di resistenza passiva della LDK, senza tuttavia alcun riconoscimento della repubblica. Solo il governo di Tirana, nel 1991, riconosce ufficialmente il governo e le strutture parallele del Kosovo, mentre la LDK intesse strette relazioni con il Partito Democratico di Berisha, che condivide per il Kosovo la linea di resistenza passiva propugnata da Rugova. Le strutture democratiche della repubblica kosovara clandestina non diventeranno mai effettivamente operative, come dimostra il solo fatto che il Parlamento in un periodo di 7 anni non si è mai riunito e che i mandati dell'assemblea parlamentare e quelli di presidente sono stati prorogati per decreto in funzione della situazione contingente. Tutte le decisioni politiche vengono adottate da ristretti gruppi di lavoro o dal governo guidato da Bukoshi che, per ragioni logistiche, opera in esilio in Germania e lontano quindi dalla popolazione del Kosovo. Nel 1995, con gli accordi di Dayton per la Bosnia che conferiscono a Milosevic il ruolo internazionale di garante della pace nei Balcani, agli occhi dei kosovari si fanno sempre meno probabili le ipotesi di un riconoscimento della loro volontà di indipendenza mediante la resistenza passiva e il sostegno diplomatico dell'Occidente. All'interno della dirigenza kosovara emergono, seppure dapprima in sordina, fratture in merito alla linea da seguire, che si faranno sempre più nette nel 1997. In tale anno, infatti, la rivolta in Albania altera il quadro politico complessivo all'interno della nazione albanese. Inoltre, gli Stati Uniti esercitano forti pressioni per un'integrazione delle strutture parallele kosovare nel sistema politico serbo, pressioni alle quali Rugova cede decidendo di rinviare le elezioni in vista di una possibile partecipazione a quelle imminenti in Serbia e nella Federazione. Nel corso dell'estate le fratture si fanno esplicite e in settembre gli studenti avviano delle mobilitazioni a favore del passaggio a una resistenza attiva, riconoscendo in Demaci il loro punto di riferimento politico ed entrando in conflitto con Rugova, che chiede loro di revocare ogni mobilitazione, come richiedono UE e USA. Dissidi aperti si hanno anche tra il governo in esilio di Bukoshi e alcuni leader politici emarginati dalla LDK, da una parte, e la dirigenza di quest'ultima dall'altra.
In questo contesto si intensificano le azioni terroristiche, in passato del tutto sporadiche, dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), così come le repressioni, spesso sanguinose, delle autorità serbe. L'UCK, che era stato creato nel 1996 da un gruppo di qualche decina di persone, ottiene un grosso successo nel novembre del 1997 quando riesce per la prima volta a difendere un villaggio dall'arrivo di ingenti forze corazzate serbe. Si tratta del primo abbozzo della trasformazione dell'UCK da organizzazione terroristica in vero e proprio movimento di guerriglia insurrezionale, trasformazione che si compirà nel corso dell'anno successivo. Nel gennaio del 1998 la LDK espelle alcuni importanti leader che erano in dissidio con Rugova, il quale continua tra l'altro a sostenere che l'UCK è solo un'invenzione dei servizi segreti serbi, posizione che manterrà per svariati mesi ancora. Tra febbraio e marzo, una serie di massacri perpetrati dalle forze serbe nel Kosovo centrale fa scattare un vasto movimento di resistenza armata che porta migliaia di persone, soprattutto giovani, ad aderire all'UCK. La leadership kosovara rifiuta di dare legittimità a questo movimento e, contro la volontà dei partiti di opposizione che le boicottano, organizza elezioni nel mese di marzo, in pieno stato di guerra, che danno a Rugova un nuovo controllo assoluto del Parlamento. Si tratta della prima mossa che era stata chiesta dalle grandi potenze, la seconda essendo quella di avviare trattative con Milosevic, che si concretizzano nel mese di maggio con l'incontro tra quest'ultimo e Rugova, il quale tuttavia ormai non ha una rappresentatività politica sufficiente per condurre da solo negoziati. Nel giugno dello stesso anno, quando ormai l'UCK controlla vaste aree del Kosovo, giungono le prime minacce di un intervento NATO, mentre il mediatore statunitense Holbrooke cerca di convincere in un incontro dirigenti dell'UCK ad accettare la leadership politica di Rugova. Fallito questo tentativo, scatta una massiccia offensiva serba che durerà due mesi, causando almeno 300.000 profughi e immense distruzioni nelle aree rurali e in alcuni grandi centri. Terminata a settembre questa offensiva con una sostanziale, ma temporanea, vittoria delle forze serbe, scattano nuovamente le minacce NATO di bombardamenti, che tuttavia non verranno attuate alla scadenza del 13 ottobre in conseguenza della firma tra Holbrooke e Milosevic di un accordo di pace. Le carenze di tale accordo, come per esempio il fatto di non coinvolgere la parte albanese, e le immediate violazioni, nonché le successive massicce offensive e i massacri operati dalle forze serbe, porteranno all'apertura di un ulteriore processo diplomatico gestito dalle grandi potenze.
6.Dieci anni di uranio nei Balcani CATENA DI OMISSIONI
Che l'uranio impoverito fosse estremamente nocivo si sapeva dai primi anni ` 90. Ma in Bosnia e Kosovo militari e civili sono stati egualmente mandati allo sbaraglio. E la ricerca langue. E le popolazioni? I militari cominciano ad essere istruiti sui rischi e controllati. Ma molte patologie letali crescono tra le popolazioni civili 1 luglio 2004 ‐ Tiziana Boari : giornalista, già collaboratrice di Limes e del Manifesto, già addetto stampa per ONU e OSCE, approdata in RAI nel 1999 Fonte: Il Manifesto
Venticinque militari deceduti dal 1998 ad oggi, pi¨´ di 260 ammalati: sono le vittime italiane ‐ tutti militari impiegati nelle missioni internazionali in zone di conflitto ‐ della cosiddetta " sindrome dei Balcani ", stando ai dati forniti da Domenico Leggiero dell'Osservatorio per la tutela del personale civile e militare. Per la prima volta e' stata riconosciuta la causa di servizio all'elicotterista Stefano Melone, deceduto nel novembre 2001 per un tumore: mezzo milione di euro e' la cifra che il ministero della difesa dovra' risarcire alla vedova, secondo una sentenza del tribunale di Roma. Seppure tardivamente, i militari hanno ricevuto, tra mille difficolt¨¤ e ostracismi, un minimo di istruzioni di cautele e comportamento.
La " Sindrome del Golfo "
La stessa cosa non è avvenuta e non avviene per le popolazioni civili colpite e per gli operatori internazionali impegnati nella ricostruzione postbellica. Le conseguenze sanitarie dell' uso di armi all'uranio impoverito era emersa gia' negli anni `90, a seguito della prima Guerra del Golfo. Le varie patologie, spesso mortali, che colpirono i reduci statunitensi (leucemie, cancri alla tiroide e ai polmoni, malformazioni di neonati, aborti spontanei nelle donne) vengono riassunte sotto il termine di " sindrome del Golfo ". In Italia la questione si riaffaccia con prepotenza nel 2000, quando l' Osservatorio per la tutela del personale civile e militare, per iniziativa del maresciallo del Cocer Domenico Leggiero, denuncia pubblicamente casi di decesso e malattia di soldati italiani che avevano prestato servizio nei Balcani. Le conseguenze ambientali della guerra contro la Repubblica Federale Jugoslava e raccomandazioni in proposito erano gia' state oggetto di un rapporto nel giugno del 1999, redatto dal Centro ambientale regionale per l'Europa centrale ed orientale su incarico della Commissione europea. In questo rapporto gia' si poneva il problema degli " effetti a lungo termine di sostanze tossico cancerogene e di radiazioni ". Si menzionava come dato acquisito che " i rapporti indicano che la Nato abbia utilizzato, durante il conflitto, esplosivi contenenti uranio esaurito " (pag.18). Dal rapporto emergeva inoltre la vasta presenza di metalli pesanti entrati nel ciclo bioalimentare e nel suolo.
Informati in ritardo
I militari italiani impegnati in Kosovo dal giugno 1999 tuttavia ricevettero la nota informativa che metteva in guardia dai pericoli relativi all' uranio impoverito soltanto nel novembre dello stesso anno. Nel frattempo si ammalarono militari italiani che non avevano mai prestato servizio in Kosovo ma in Bosnia (il caso di Salvatore Vacca, partito per la Bosnia nel 1998 con la brigata Sassari, ammalatosi al suo rientro e morto per leucemia nel settembre ` 99). Le patologie che emergono sono linfoma di Hodgkin, non‐Hodgkin, leucemia. Nel luglio del 1999 erano intanto iniziate le interpellanze del governo italiano a quello americano circa la reale quantita' di proiettili all'uranio e le zone in cui essi furono usati, ma i dati arrivarono soltanto nel gennaio 2001: 31.000 proiettili in Kosovo, 11.000 in Bosnia. I dati sulla Bosnia giunsero dopo quelli relativi al Kosovo, con implicazioni molto pi¨´ gravi dato che al momento dei bombardamenti Nato del 1995 in Bosnia si trovavano numerosi operatori umanitari civili
appartenenti a Ong e agenzie dell'Onu e il personale civile impegnato nella fase postbellica di ricostruzione non era mai stato informato del pericolo derivante dalle conseguenze ambientali di tali bombardamenti. Dalla Federazione Jugoslava oggi giungono rapporti preoccupanti sullo stato di salute della popolazione, sempre piu' affetta da patologie quali leucemia, malformazione dei nascituri, neoplasie di vario tipo. Un rapporto datato 9 gennaio 2004, che denuncia la contaminazione radioattiva del suolo, basato su campioni di terriccio prelevati nel sudest della Serbia, ¨¨ presentato in febbraio dal professor Pedrag Polic, direttore del dipartimento di chimica dell'Universita' di Belgrado, in un convegno a Como.
Bombardamenti in Serbia
Anche l' Unep si interessa della situazione ambientale postbellica nei Balcani: nell'ottobre 1999 produce un primo rapporto relativo ai danni ambientali prodotti dal bombardamento di siti industriali in Serbia, ma mancano i dati sui siti colpiti da uranio impoverito a causa della reticenza della Nato a fornire le relative mappe. I dati arrivano soltanto in seguito ad una lettera ufficiale firmata dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan. La mappa dettagliata con i 112 siti colpiti in Serbia e Kosovo giunge soltanto dopo una seconda lettera a firma Annan del luglio del 2000. Nel marzo del 2001 viene pubblicato il rapporto finale dell'Unep, redatto dalla task‐force Balcani guidata dal finlandese Pekka Haavisto. Il rapporto conferma la pericolosita' dell'uranio impoverito che si libera in forma di aerosol a temperature altissime, ma non gli attribuisce l 'unica responsabilit¨¤ di danni ambientali: il rapporto indica gi¨¤ la presenza di metalli pesanti, che possono avere effetti tossici sull'organismo umano, nella catena alimentare e nel suolo. L' attenzione e' inoltre posta sulle particelle a bassa radioattivit¨¤ rilasciate dalla combustione di uranio impoverito, che possono causare danni a lungo termine. Il governo italiano nel 2001 assume alcuni impegni relativi al monitoraggio e alla bonifica dei territori bombardati dalla Nato nei Balcani: il 21 marzo il parlamento approva la legge 84/2001 ( " Disposizioni per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo di Paesi dell'area balcanica ") che istituisce all'art.8 un fondo per il monitoraggio ambientale affidato al ministero dell'ambiente d'intesa con quello degli esteri. Dei risultati conseguiti grazie a questa legge, che autorizzava una spesa di 2,6 miliardi di lire nel 2001 e di 4 miliardi a decorrere dal 2002, non si ha ad oggi notizia.
La Commissione Mandelli
Il 22 dicembre 2000 il ministero della difesa istituisce una commissione, presieduta dal Prof. Franco Mandelli, con il compito di accertare tutti gli aspetti medico‐scientifici dei casi emersi di patologie tumorali nel personale militare impiegato in Bosnia e Kosovo. La popolazione studiata dalla commissione ¨¨ quella composta esclusivamente dai militari che dal dicembre 1995 al gennaio 2001 hanno compiuto almeno una missione in Bosnia e/o Kosovo. Per analizzare i dati e confrontare i risultati con i dati statistici presenti negli archivi sono stati presi a riferimento i dati pi¨´ aggiornati disponibili, che per¨° risalgono al periodo 1993‐1997 (quindi non troppo aggiornati). La prima relazione viene pubblicata il 19 marzo 2001; la seconda relazione esce il 28 maggio 2001 e conferma un " eccesso, statisticamente significativo, di casi di Linfoma di Hodgkin " . Rispetto alla prima, vengono inseriti nuovi casi registrati entro il 30 aprile 2001. I dati con cui venivano confrontate le manifestazioni tumorali si avvalgono adesso di 12 registri tumorali italiani, in confronto con i 7 della prima relazione. Le conclusioni della seconda relazione inoltre ribadiscono la necessita' di una conferma dei risultati ottenuti. Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, l' Associazione assistenza vittime arruolate nelle forze armate, chiede un'inchiesta anche sui civili. A seguito dei lavori della commissione Mandelli, il mondo delle Ong si allarma e invita i propri operatori attivi nei Balcani a sottoporsi ad un protocollo di analisi per accertare le proprie condizioni di salute ed avviare un monitoraggio sul personale
umanitario circa le conseguenze derivanti dall'eventuale esposizione a uranio impoverito e metalli pesanti.
Nessun risultato di rilievo emerge dallo screening sommario, ma forse non si cerca nella direzione giusta: l' invito e' quello di approfondire le analisi solo nel caso che qualche valore, in particolare la Ves, risultasse fortemente alterato.
Screening senza esito
Mancano gli strumenti di ricerca adeguati ad individuare la presenza di microparticelle di uranio impoverito e metalli pesanti nell'organismo. Carenza questa che viene solo parzialmente colmata dall'impegno dell'Universita' di Modena, nella persona della dottoressa Maria Antonietta Gatti, coordinatrice scientifica di un progetto sulle nanopatologie finanziato con un milione di euro dalla Commissione europea e gestito dall' Istituto nazionale di fisica della materia. La Gatti avvia nel 2002 una ricerca settoriale sulle conseguenze degli interventi bellici sull'ambiente e l'organismo umano, anche alla luce dei casi denunciati dall'Osservatorio militare. A seguito della seconda relazione Mandelli, il ministero della difesa aveva stanziato due miliardi di lire al preside della facolta' di medicina dell'Universit¨¤ di Modena, l'ematologo Umberto Torelli, il cui rapporto riscontra che non esiste alcuna differenza biologica tra le patologie contratte in Italia o in altro luogo. Un dato reale quanto pleonastico, dato che le ricerche mirate condotte dalla Gatti rivelano invece una problematica di natura fisica. L' uso di munizioni all' uranio impoverito e l'impatto con il bersaglio provoca una combustione a temperature elevatissime, dai 3.000 ai 5.000 C¡ã, che producono un pulviscolo di metalli pesanti e aerosol di uranio impoverito, nanogoccioline che galleggiano nell'aria, sono facilmente trasportabili a grandi distanze dai venti e soprattutto sono composte da nuovi materiali, nuove fusioni di molecole pi¨´ piccole dei " Pm 10 ", le cosiddette " polveri sottili ". Si tratta di particelle di dimensioni inferiori ai 10 micron, che possono entrare con estrema facilit¨¤ nel circolo sanguigno dopo esser stati ingeriti come residui depositati sui vegetali che si mangiano.
Particelle nel sangue
Secondo la dottoressa Gatti, particelle di 0,1 micron, se respirate, raggiungono il sangue nell'arco di un minuto e dopo un'ora dall'inalazione si depositano nel fegato. La fisica di queste particelle ¨¨ ancora tutta da studiare, ma alcune analisi hanno fatto rilevare la presenza di particelle di metalli pesanti, quali antimonio, tungsteno e cobalto, nell'organismo di militari e civili che avevano soggiornato nei Balcani durante e dopo il conflitto armato. Al di la' dei casi di patologia conclamata, al momento non sono valutabili in termini chiari e completi le conseguenze della presenza di tali particelle, non biodegradabili e di composizione chimica spesso non comune, nell'organismo umano. A parte un operatore umanitario che si e' sottoposto volontariamente alle analisi speciali condotte dalla dottoressa Gatti a causa di una tiroidite e in cui sono state riscontrate tracce (4 micron) di antimonio, cobalto e argento, ad oggi non esiste un programma di screening ne un protocollo per gli operatori umanitari che si recano in teatri di postconflitto potenzialmente a rischio.
7.Sulla situazione in Bosnia, Kosovo e Serbia per effetto del DU 13 febbraio 2001 ‐ Jasna Bastic: giornalista bosniaca che ha a lungo visitato i posti colpiti dai bombardamenti della Nato Riportiamo qui di seguito delle informazioni che ci ha gentilmente fornito Jasna Bastic, giornalista bosniaca che ha a lungo visitato i posti colpiti dai bombardamenti della Nato.
Informazioni generali:
Aree bombardate dalla Nato con proiettili all'uranio impoverito. Periodo: BOSNIA Agosto‐Settembre 1994, Agosto ‐Settembre 1995 KOSOVO/SERBIA Maggio‐Giugno 1999
Kosovo: la maggior parte dei siti bombardati si trova nel sud‐ovest e nel sud del Kosovo, nelle zone delle citta' di Prizren, Peja, Djakovica, Klina e nelle zone vicine al confine con l' Albania, dove erano concentrati i blindati jugoslavi; circa 31.000 proiettili all'uranio impoverito sono stati sparati sul Kosovo, secondo la Nato
Serbia meridionale: 4 siti (Bujanovac / villaggi Samoljica e Borovac; Presevo / villaggio di Reljan, Vranje / ripetitore TV);
Montenegro: La penisola di Lustica (sulla costa dell'Adriatico)
Bosnia: Siti nei dintorni di Sarajevo (la fabbrica militare e le caserme di Hadzici, la fabbrica militare di Vogosca, la postazione radar sul monte Jahorina, i magazzini con munizioni e esplosivi, siti in Jahorinski Potok; il centro comunicazioni di Ravna Planina sul monte Romania), in Bosnia centrale (Doboj, zone del monte Ozren) e nella Bosnia centro‐orientale (tutti posti devo l'esercito Jugsolavo aveva importanti strutture militari, centri di comunicazione ecc) Mancano ancora molte informazioni sui posti esatti, particolarmente in Bosnia, e sul reale contenuto e quantitativo di uranio impoverito o di altri materiali utilizzati nei bombardamenti
‐‐‐‐‐‐KOSOVO‐‐‐‐‐‐‐‐‐
Periodo dei bombardamenti NATO: Marzo ‐ Giugno 1999 ‐ circa 31.000 proiettili con DU sono stati sparati (secondo la Nato) ‐ 14.180 proiettili intorno alla citta' di Peja
La NATO ha confermato che munizioni con uranio impoverito sono state usate in 112 siti in Kosovo, la maggior parte in zone meridionali e sud‐occidentali del Kosovo , con 31.000 proiettili. Questo e' stato ammesso solo recentemente, cio' significa che la popolazione locale, i reduci e le truppe KFOR sul posto non avevano la minima idea delle aree contaminate; la popolazione locale non e' mai stata avvertita sul possibile pericolo (evitare di toccare i resti dei carri armati, metalli... ecc) e non c'e' ancora una singola area in Kosovo o in Bosnia che sia marcata come pericolosa per radioattivita' o materiali tossici (nella Serbia meridionale l'esercito Jugoslavo ha marcato alcune poche aree). Nel frattempo per molti bambini in Kosovo il divertimento principale e' giocare intorno ai carri armati danneggiati e raccogliere proiettili, parti di munizioni esplose e altri simili oggetti metallici! Anche i piu' grandi sono soliti portare a casa metalli e resti di munizioni, che trovano per terra, come souvenir di guerra! Oppure li riutilizzano come metallo per attrezzi da lavoro in giardino !!! Anche persone dall'Albania hanno attraversato il confine del Kosovo e hanno portato via parti dei carri armati danneggiati da
rivendere come rottami !!! La popolazione locale del Kosovo ha fatto lo stesso !!! Anche peggio, le autorita' locali del Kosovo hanno respinto le informazioni sulle bombe al DU e sul loro pericolo accusandole di essere propoganda Serba, un trucco per costringere le truppe Nato ad abbandonare il Kosovo (?!). Una totale mancanza di responsabilita' e sottostima del problema con cui si trovano a che fare! Qualcosa sta cambiando ora, perche' dei medici hanno cominciato a svolgere alcune ricerche dettagliate quando la gente si e' presentata con alcuni particolari problemi. In Kosovo, finora, non ci sono indicazioni sull'aumento di tumori o di altre malattie che potrebbe essere collegato agli effetti del DU. Ma, dopo un anno e mezzo, probabilmente e' ancora presto perche' le conseguenze si manifestino. La situazione e' decisamente peggiore in Bosnia dove le conseguenze dei bombardamenti sono piu' visibili (gli attacchi della NATO furono nel 1994 e nel 1995). Sai gia' delle indagini dell'UNEP, non lo ripetero', quindi aspettiamo per il rapporto finale che sara' pubblicato in Marzo 2001. In base ai risultati finali dei cinque laboratori indipendenti, che saranno pubblicati in Marzo, l'UNEP decidera' in merito a ulteriori missioni in Bosnia, Serbia e Iraq per ricerche in aree che potrebbero essere radioattive o tossiche. Il problema principale e' perche' la missione in Bosnia deve dipendere dai risultati in Kosovo? Perche' l'equipe di ricercatori non e' gia' stata mandata in Bosnia, dove ci sono casi ben peggiori che in Kosovo?
‐‐‐‐‐‐‐‐‐SERBIA‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐
Fonti dell'esercito Jugoslavo dicono che quattro aree nella Serbia meridionale sono contaminate perche' bombardate con proiettili dall'uranio impoverito durante l'intervento della Nato. Alcuni di questi posti sono marcati con cartelli che avvisano sulla pericolosita' dell'area. Ma le autorita' dell'esercito jugoslavo non hanno mai informato il pubblico su quale sia il livello di radioattivita'! E' noto che quando l'esercito jugoslavo ha marcato i posti contaminati vicino Bujanovac, i contadini albanesi che vivevano li' vicino hanno pensato che l'esercito avesse fatto questo apposta per impedire loro di portare il bestiame nei campi, cosi' hanno tolto i segnali di pericolo e hanno portato i loro animali a pascolare sopra i campi contaminati!!! Vengono riportati pochi casi di soldati dell'esercito jugoslavo che sono stati in Kosovo duranto le incursioni aeree della Nato, e ai quali ora e' stata diagnosticata leucemia o cancro. Nella zona di Pcinjski (dove sono stati trovati dei proiettili nel terreno) viene riscontrata una radioattivita' superiore di 2000 volte superiore al normale, pero' a un metro di distanza non e' piu' presente (affermazione del dr .Miroslav Simic, specialista in radioattivita' del Centro per la prevenzione medica di Vranje); Ancora, quando l'UNEP ricevera' i risultati dei laboratori (dopo le ricerce in Kosovo) si dedicera' a riguardo di nuove missioni in Serbia???
‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐BOSNIA‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐
Periodo dei bombardamenti NATO: Agosto‐Settembre 1994; Agosto‐Settembre 1995; circa 10000 proiettili all'uranio impoverito sono stati sparati . Alcuni dei posti in Bosnia bombardati con uranio impoverito sono noti, ma la Nato non ha ancora dato informazioni complete sui posti. Cio' che si sa e' che la maggior parte degli obiettivi erano intorno Sarajevo e nella Bosnia centrale e centro‐meridionale. La situazione in Bosnia e' decisamente peggiore che in Kosovo (probabilmente perche' e' passato piu' tempo, 5 anni, e le conseguenze sono visibili). C'e' la conferma di un aumento di casi di cancro e di altre malattie nelle zone che erano sotto gli attacchi della Nato con uranio impoverito. Il posto piu' noto (essendo sottoposto al fuoco piu' intenso con uranio impoverito e con il numero di tumori piu' significativo) e' Hadzici, a 30 km da Sarajevo. Questa piccola citta' era sede dell'industria di riparazioni belliche dell'esercito jugoslavo (durante la guerra controllato dall'esercito serbo‐bosniaco); la fabbrica e altri importanti strutture e caserme militari nei dintorni di Hadzici furono costantemente obiettivo dei bombardamenti con uranio impoverito della Nato. Ho visto io stessa i resti di questo tipo di munizione in una cassetta nella piccola strada all'interno della zona della fabbrica, e' una foto che ha circolato parecchio sui media; il problema e' che questa cassetta era li' abbandonata per terra. Verso
la fine del 1995 e l'inizio del 1996 la popolazione di Hadzici (serbo‐bosniaca) ha abbandonato l'area e la maggior parte si e' trasferita a Bratunac, nella Bosnia settentrionale. Dal 1995 fino ad oggi, i medici di Bratunac hanno registrato un atipico numero di casi di cancro e strani sintomi solo tra la gente di Hadzici, e non tra gli abitanti locali. Tra i profughi di Hadzici si e' avuta una quantita' doppia di morti rispetto agli abitanti di Bratunac. La situazione non e' normale. Ad esempio, ho visitato la famiglia Radic: il padre (56 anni) e la madre (47 anni) sono morti di cancro, il loro figlio ha problemi di salute ed attualmente e' ricoverato per accertamenti in ospedale; allo zio e' stata diagnosticata la leucemia. Tutti erano stati esposti direttamente all'uranio impoverito durante il bombardamento di Hadzici (vivevano molto vicino alla fabbrica). Lo zio, un uomo di 47 anni, mi aveva mostrato una pallottola all'uranio impoverito, che non era esplosa e che lui aveva trovato all'interno della fabbrica di Hadzici, dove lui lavorava. Conservava quella pallottola e altre parti di munizioni a casa sua! E le prendeva e me le mostrava con le mani nude! Mi disse che ai bambini in Hadzici piaceva giocare con queste cose, e la gente portava le pallottole a casa come souvenir e persino utilizzavano parti di proiettili come strumenti da giardinaggio, essendo il metallo molto buono! Dopo il bombardamento, i lavoratori della fabbrica erano soliti ripulire lo spazio dalle parti di metallo e dai proiettili a mani nude! Nessuno ha mai detto loro qual'era il pericolo dell'uranio impoverito! Anche peggio, un dottore di Belgrado mi ha detto che i militari serbo‐ bosniaci hanno riciclato parti dei proiettili all'uranio impoverito per farsi dei giubbotti anti‐proiettile, perche'e' un materiale migliore dell'acciao! E' pazzesco! Il caso piu' noto di Hadzici e Sladjana, una bambina di 12 anni. Ha dei seri problemi di respirazione, vomita in continuazione, avverte costanti dolori alle ossa, alle spalle e alla schiena, le cascano le unghie delle mani e dei piedi,... La sua malattia non e' diagnosticata. In Hadzici era solita giocare nel cratere dietro casa sua, provocato da un bombardamento, dove giocava con pezzi rotti di metallo che trovava nel cratere! I medici di Belgrado che l'hanno in cura sono venuti in contatto con altri medici giapponesi che hanno confermato loro che i suoi sintomi sono tipici di persone contaminatae da radiazioni. Per quanto sappiamo, i suoi sintomi mostrano che potrebbe essere stata colpita dagli effetti di bombe aerosol! Secondo la descrizione di molte persone sembra che anche questo tipo di bombe sia stato usato. La dott.ssa Slavica Jovanovic di Bratunac ha svolto alcune ricerche dopo aver notato quante persone venivano all'ospedale con strani sindromi e tutte provenienti da Hadzici. La Jovanovic ha fatto alcune semplici ricerche nel 1996, 1997 e nella prima meta' del 1998 contando il numero di morti e secondo le sue ricerche il doppio delle persone da Hadzici stanno morendo in paragone con gli abitanti di Bratunac; nel 1996, tra 4.500 ‐ 5.000 profughi da Hadzici, 31 sono morti; nel 1997 1.500 profughi di Hadzici hanno lasciato Bratunac e sono andati a vivere altrove, ma 41 sono morti (come si vede il numero e' crescente); nella prima meta' del 1998, sono morti in 26; La dott.ssa Jovanovic dice: "Voglio solo mostrare come qualcosa sta succedendo qui, c'e' qualche fattore esterno che ha influito sulla salute di questa gente e chiedo alle autorita' di iniziare delle ricerche serie. Ricerche che non sono mai state fatte!". La storia di Hadzici e Bratunac e' diventata nota quando il giornalista locale Nedeljko Zelenovic (anche lui di Hadzici) ha fatto un'indagine (confrontando informazioni sui morti nei libri delle chiese locali e dei municipi ecc) ed e' arrivato alla conclusione che quasi 400 persone di Hadzici trasferitesi a Bratunac sono morte di cancro. Un altro caso significativo e' la citta di Doboj, nella Bosnia centrale: il tasso di cancro e infezioni respiratorie e' 2.5 volte maggiore rispetto a prima della guerra! Vi sono molti casi di malattie respiratorie e problemi alla pelle. Nel triennio 1996‐1999 vi sono state 247 operazioni per tumori alla pelle e al collo; nel 1990‐1991, con la popolazione circa 3 volte piu' grande (durante e dopo la guerra molta gente è andata via), vi furono solo 154 operazioni per tumori. I posti bombardati nelle vicinanze di Doboj sono: Potocani (produzione militare, obiettivo militare, 15 km a sud di Doboj; Ciganiste, ripetitore di telecomunciazioni, a 5 km dal centro della citta'; il ripetitore della radio locale, 2 km a sud dal centro della citta'; Kraljica, centro di comunicazioni, a 35 km da Doboj);
La situazione e' simile nelle citta' di Kalinovik (vicino Sarajevo), Foca etc.
Kalinovik: il dr. Trifko Guzina ha affermato che 9 casi di cancro all'apparato digestivo erano stati registrati prima della guerra, nel 1996‐2000 invece ve ne sono stati 100; i tumori ai polmoni sono piu' che raddoppiati rispetto a prima della guerra; nel 1992‐95 46 cases, nel 1996‐2000 116 casi. Non c'e' ancora una missione internazionale che stia lavorando sul problema della Bosnia. I medici del posto possono solo cercare di curare le malattie e di aiutare la gente ma non hanno dei laboratori sofisticati per individuare l'origine delle malattie e la possibile presenza di uranio nelle ossa o nel sangue delle persone. Le autorita' militari serbo‐bosniache, insieme a ricercatori e scienziati di Belgrado, hanno svolto alcune indagini immediatamente dopo i bombardamenti Nato del 1999. Ad oggi (!) questi risultati non sono stati pubblicati, ne' in Bosnia ne' in Serbia! Nessuno ha mai messo in guardia gli abitanti di Hadzici, Doboj o altri posti sui possibili pericoli di contaminazione e avvelenamento! Ricerche sia scientifiche che mediche sono necessarie per provare in che modo ed esattamente a causa di quali munizioni sono stati esposti gli abitanti di queste citta' bosniache e come cio' e' collegato con l'uranio impoverito o altri elementi radioattivi. Il libro "The Invisible War", di Martin Messonnier, Frederick Loore e Roger Trilling (tre autori dalla Francia, Belgio e Stati Uniti) offre molte informazioni sul DU e sulla possibilita' che possa contenere altri e piu' pericolosi elementi, insieme alle possibili cause di questo. Il libro si basa su un eccellente documentario di cui sono in possesso.
Affermazioni nel libro:
‐ I proiettili sparati in Iraq e in Kosovo erano composti da un materiale contaminato da un potenziale cocktail letale di scorie nucleari, plutonio e altri prodotti nucleari altamente tossici;
‐ Il Pentagono ha sviato il mondo con le affermazioni che i proiettili al DU sono sicure, dicendo che essi contengono uranio solo leggeremente radioattivo. Ma gli autori affermano che i proiettili sono stati fatti con uranio contaminato da elementi piu' tossici; ‐ L'esercito USA e' determinato a mantenere in uso i proiettili al DU nonostante il fatto che la stessa Marina militare U.S.A. abbia rinunciato per ragioni sanitarie (la US Navy ha gradualmente eliminato gli stock negli ultimi dieci anni, rimpiazzando i proiettili all'uranio impoverito con quelli al tungsteno, che non e' radioattivo ed e' molto meno tossico). Gli impianti nucleari dai quali proviene l'uranio impoverito sono: Paducah (Kentucky), Portsmouth (Ohio), Oak Ridge (Tennessee). Il caso piu' emblematico e' quello dell'impianto di Paducah: migliaia di lavoratori hanno avuto problemi simili ai veterani della guerra del golfo e cio' e' stato anche confermato da Bill Richardson, segretario del Department of Energy. Documenti dell'agosto 1999 mostrano che i lavoratori di Paducah hanno respirato plutonio come conseguenza di un "difettoso esperimento governativo sul riciclaggio di combustibile nucleare"; l'aumento di tumori apparse gia' negli anni 80; nell'ottobre 1999 il Dipartimento dell'Energia ha riportato che "durante il processo di creazione di combustibile per reattori nucleari e di elementi per armi nucleari, l'impianto di diffusione gas di Paduah ha creato uranio impoverito potenzialmente contenente nettunio e plutonio"; ‐ Kenneth Bacon, portavoce del Dipartimento alla Difesa, ha detto che alcuni elementi estranei sono stati trovati nell'uranio impoverito nel 1999 e che l'impianto nucleare di Paducah (che produce il DU) e' stato chiuso per 90 giorni; La Nuclear Regulatory Commission degli USA ha sospeso i lavori nell'impianto di Paducah, Kentucky; gli scienziati affermano che respirare anche un milionesimo di grammo di plutonio puo' provocare il cancro. ‐ Quindi, secondo gli autori, le uniche possibili origini dell'uranio impoverito sono Paducah, Portsmouth e Oak Ridge, che hanno usato uranio contaminato. I lavoratori in Paducah e in altri impianti, come i soldati in Iraq e in Kosovo, non erano equipaggiati per affrontare questi pericoli. Paducah era progettata per gestire uranio, non plutonio, che e' estremamente piu' radioattivo dell'uranio.
Tutte le affermazione nel libro si basano su documenti militari e governativi.
Quindi, sembra evidente che uranio impoverito pulito e sporco siano stati mescolati a Paducah o nei magazzini del Ministero della Difesa negli anni 80. Una decisione politica e militare e' stata presa di esaurire le riserve, nella credenza o speranza che solo piccole quantita' di materiale altamente radioattivo fossero coinvolte. Non e' ancora noto se la mescolanza e' avvenuta per errore o intenzionalmente.
SOLDATI ITALIANI
Ufficiali dell'esercito serbo‐bosniaco hanno confermato che nel 1996 i soldati italiani erano dislocati nei dintorni di Sarajevo, nei posti colpiti dai bombardamenti di Agosto‐Settembre 1995. I soldati italiani controllavano i posti bombardati quindi erano in diretto contatto con particelle di munizioni, polvere tossica, ecc
SCORIE NUCLEARI
Uno degli ancora ignoti problemi in Bosnia sono le scorie nucleari e la grande posssibilita' che le forze della Nato abbiano trasportato scorie nucleari dai paesi occidentali in Bosnia. Ci sono molte informazioni da gente del posto e media bosniaci locali (ma mai confermato da nessuno ufficialmente) che la Nato ha segretamente messo delle scorie nucleari sul monte Igman (vicino Sarajevo). Un altro posto dove delle scorie nucleare potrebbero essere state messe e' sottoterra in prossimita' dell'aeroporto vicino la citta' di Bihac, nella Bosnia occidentale. I medici in Sarajevo hanno ufficialmente confermato che c'e' un atipico aumento nel numero di tumori da quell'area (che non fu bombardata dagli attacchi Nato del 1995). E' veramente difficile controllare tutto questo, perche' queste aree sono protette dalle forze della Nato (che naturalmente negano tutto) e le autorita' locali bosniache, anche se sanno qualcosa, non vogliono contrapporsi alla Nato e agli USA, temendo di perdere il loro supporto.
Due cose importanti:
‐ nel 1995, ufficiali di parte serbo‐bosniaca hanno mandato alla delegazione delle Nazioni Unite in Zagabria i primi rapporti frutto delle indagini sulle conseguenze dei bombardamenti Nato. L'ufficio delle Nazioni Unite in Zagabria non ha mai fatto niente a riguardo (cio' e' affermato dal prof. Novica Vojinovic, serbo‐bosniaco);
‐ dopo i bombardamenti della Nato, gia' nel 1995, scienziati del centro di ricerche atomiche Vinca di Begrado e specialisti dell'esercito jugoslavo sono venuti dalla Serbia e hanno svolto delle ricerche; fino ad oggi i risultati non sono mai stati pubblicati;
‐ tutte le iniziative di alcuni medici e specialisti serbi per continuare le ricerche sono state fermate; i motivi sono che il governo serbo probabilmente teme che i serbo‐bosniaci possano emigrare in Serbia (dove gia' ci sono moltissimi profughi) a cio' potrebbe indebolire la posizione della Republika Srpska (di parte serbo bosniaca); un altro motivo e' che le autorita' serbo bosniache temono che qualsiasi informazione sulla contaminazione potrebbe mettere a repentaglio i prodotti agricoli sul mercato;
Le principali domande senza risposta sono:
Quali sono i posti esatti in Bosnia bombardati con DU? E' l'uranio impoverito l'unico materiale radioattivo usato durante gli attacchi Nato? Qual'era il contenuto delle munizioni all'uranio impoverito e la sua origine (tracce di U236 e plutonio...)? Perche' l'UNEP e l'OMS non mandano gruppi di ricerca in Bosnia e non solo in Kosovo? La Bosnia e' il posto dove sono avvenuti bombardamenti piu' intensi in
aree concentrate, ed e' passato un periodo di tempo sufficientemente lungo per poter vedere le conseguenze, come l'aumento dei numeri di casi di cancro ecc
8.Kosovo: la non‐soluzione di Lucio Caracciolo: giornalista e professore italiano laureato in filosofia all'Università La Sapienza di Roma, dirige la rivista italiana di geopolitica Limes che ha fondato nel 1993 e la Eurasian Review of Geopolitics Heartland nata nel 2000. Articolo tratto da Limes 13 Settembre 2007 Le ultime mediazioni tra serbi e kosovari sul futuro della provincia serba sotto tutela internazionale abitata da albanesi. Le divisioni tra europei. L'assenza di una soluzione accettabile. ppure abbiamo una carta negoziale importante. E
La questione del Kosovo è arrivata a un punto critico. E’ possibile che già a dicembre o nei primi mesi dell’anno prossimo i kosovari albanesi dichiarino unilateralmente l’indipendenza, dato il più che probabile fallimento del nuovo round di negoziati con i serbi. Le diplomazie europee e, meno febbrilmente, quella americana, stanno cercando di mediare un’intesa dell’ultimo minuto tra serbi e kosovari albanesi. Ma le speranze di concretizzarla tendono allo zero. Se quindi dovesse darsi il caso di una indipendenza unilaterale del Kosovo, ci troveremmo a dover scoprire le carte. Nell’ambito dell’Unione Europea, almeno 5 paesi, come Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania vedono l’indipendenza del Kosovo come un pericoloso precedente. Essa infatti sancirebbe il principio per cui una minoranza etnica che non si trova a proprio agio nello Stato di riferimento possa costituirne uno proprio. Gli unici sponsor europei della indipendenza del Kosovo paiono essere i britannici (soprattutto in quanto affiliati agli Stati Uniti) tedeschi e austriaci (anche perché sperano che parte degli immigrati kosovari rientri in patria). Gli altri, tra cui Italia e Francia, oscillano tra rassegnazione e mancanza di idee. Sul terreno, l’indipendenza unilaterale significherebbe di fatto la spartizione della provincia formalmente serba. Infatti la zona a nord del fiume Ibar, a netta maggioranza serba, non accetterebbe l’autorità di Prishtina, come pure le residue enclave serbe. Questo significa preparare il terreno a un conflitto: a scatenarlo potrebbe essere l’irredentismo serbo, o più probabilmente, l’intenzione kosovara‐albanese di non tollerare enclave altrui sul proprio territorio. Sul piano legale, l’assenza di accordo internazionale significa che resta in vigore la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, la quale non tocca la sovranità
jugoslava (serba) sul territorio disputato. Una leva formidabile da utilizzare negli anni o nei secoli dal nazionalismo serbo. Non c’è dunque soluzione accettabile da tutti a questo problema? Pare proprio di no. Eppure noi europei avremmo in mano una carta importante, da far valere anche nel confronto degli alleati americani: il Kosovo sopravvive grazie ai nostri aiuti e alle nostre truppe (integrate da altri paesi). Se noi minacciassimo di ritirare soldi e soldati, forse i kosovari albanesi eviterebbero una secessione unilaterale. E d’altra parte, nei confronti dei serbi si potrebbe far valere in caso di mancato accordo la cancellazione di ogni prospettiva di integrazione europea e atlantica. Comunque, qualsiasi “soluzione” non concordata è, per definizione, una non‐soluzione.
9.Kosovo, suona l’ora dell’indipendenza di Paolo Quercia: analista dei paesi in transizione dell’ Europa Sud Orientale. Articolo tratto da Limes 11 Dicembre 2007 La questione dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha avuto un’importante accelerazione negli ultimi mesi del 2007. Quattro sono gli elementi caratterizzanti di quest ‘ultimo periodo. Le elezioni in Kosovo del 17 novembre, le elezioni parlamentari russe del 2 dicembre, l’apertura dell’accordo di Stabilizzazione e Associazione tra Bosnia Erzegovina e UE del 4 dicembre e la chiusura del lavoro della Troika negoziale del 10 dicembre. Le elezioni kosovare non hanno riservato sorprese. Hanno confermato che la leadership politica è saldamente nelle mani del capo politico dell’UCK Hasim Thaci, futuro primo ministro. La valenza politica è però data dal fatto che a partire dalle prossime settimana esisterà un nuovo Parlamento del Kosovo, la cui legittimità è stata “certificata” dal rappresentante della missione delle Nazioni Unite (UNMIK); il corpo parlamentare di Pristina sarà l’organismo che, nei prossimi mesi, originerà il distacco del Kosovo dalla Serbia. Le elezioni russe del 2 dicembre hanno contributo a sgonfiare l’opposizione espressa da Mosca all’indipendenza del Kosovo nell’ultimo anno. Apparentemente, molti degli scenari di destabilizzazione della Bosnia Erzegovina e del Caucaso collegati all’indipendenza di Pristina che sono stati tracciati nello scorso semestre dal Cremlino rientravano nella retorica e nella propaganda elettorale e non corrispondevano ad un reale tentativo di opposizione alla politica americana nei Balcani. Per il momento la linea di Mosca sembrerebbe quella dell'opposizione formale all’interno del Consiglio di Sicurezza. L’apertura dell’accordo di Associazione e Stabilizzazione della Bosnia Erzegovina con l’Unione europea ha posto per il momento fine al pericoloso stallo istituzionale che si era creato tra Saraievo e Bania Luka nel mese di novembre 2007, quando i rappresentanti della Repubblica srpska avevano deciso di boicottare le istituzioni centrali in seguito all’iniziativa dell’Alto Rappresentante ‐ che aveva modificato le procedure decisionali della Federazione togliendo il diritto di veto che ciascuna etnia conservava sin dalla Pace di Dayton. La situazione era diventata particolarmente esplosiva in quanto l’opposizione ai tentativi di centralizzazione delle Bosnia Erzegovina si saldava con i mai sopiti desideri irredentisti dei serbi di Bosnia, che rischiano di essere ravvivati dalla modifica dei confini del Kosovo. Infine, il 10 dicembre, i rappresentanti della Troika negoziale (un tedesco, un americano e un russo) hanno comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite il fallimento dei negoziati supplementari di 120 giorni che il Consiglio di Sicurezza aveva concesso dopo che il veto di Mosca aveva impedito al piano Ahtissari di essere applicato in forza di una nuova Risoluzione. Dopo questi quattro importanti passaggi la questione dell’indipendenza del Kosovo torna nuovamente all’ordine del giorno. Fino ad oggi la situazione dell’ex provincia jugoslava ora sotto amministrazione delle Nazioni Unite era quella di un frozen conflict e lo status quo era sufficientemente garantito tanto dal rischio di dichiarazioni d’indipendenza dal basso quanto da legittimazioni dall’alto. Il 2008 si aprirà con una situazione che per la prima volta dal 1999 consentirà agli albanesi del Kosovo posti sotto la protezione della NATO e sotto la guidance politico–diplomatica degli Stati Uniti d’America e dell’Unione europea di portare a termine il cammino verso l’indipendenza. iniziato nel lontano 1989. Lo scenario più probabile è quello di un nuovo formale passaggio del dossier Kosovo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (con una prima discussione il 19 dicembre) per un ultimo tentativo di approvare una Risoluzione che sostituisca la 1244. L’impossibilità di varare una tale Risoluzione, che potrà comunque comportare qualche mese perduto in tentativi di far passare delle bozze più o meno esplicite sull’indipendenza, consentirà agli Stati Uniti di dare il via libera al Parlamento del Kosovo per procedere sulla strada dell’indipendenza unilaterale. Tale scenario non è tuttavia scevro da
rischi e complicazioni. Innanzitutto non è da escludere l’esplosione di incidenti e scontri più o meno gravi, magari collegati con l’esodo di serbi dalle énclaves del Sud, o lungo la frontiera invisibile di Mitrovica. Al di là di violenze più o meno imprevedibili, altri elementi di rischio sono rappresentati dalle reazioni della Serbia, che minaccia sanzioni e ritorsioni economiche tanto nei confronti del Kosovo quanto verso i paesi della regione che lo riconosceranno. Da questo punto di vista particolarmente difficile resta la situazione in Bosnia Erzegovina, ove i serbi hanno già anticipato che torneranno a boicottare lo stato federale se la Bosnia dovesse riconoscere il Kosovo indipendente. Un altro motivo di preoccupazione è la mancanza di unanimità nell’Unione europea, che nel breve termine renderebbe quantomeno problematica la realizzazione della prevista missione di polizia UE e il ruolo di sostituzione di UNMIK che il piano Ahtissari le aveva riservato; nel lungo termine congelerebbe il processo di futura adesione del Kosovo all’Europa che molti vedono come l’unica via di uscita per evitare il rischio di un failed state. Infine, l’indipendenza unilaterale di Pristina apre una delicata questione sulla presenza della NATO, la cui legittimità è racchiusa nello stesso documento che ribadisce la sovranità della Serbia sul Kosovo, ossia la Risoluzione 1244. Il rischio per la NATO è che nel caso in cui il Kosovo diventi indipendente unilateralmente i militari dell’Alleanza ivi impiegati si trovino nella paradossale situazione di essere legittimati ad operare nel contesto di una missione basata su una Risoluzione che diverrebbe non più applicabile. Ciò aprirebbe il problema della necessità di ristrutturare la missione NATO sulla base di un nuovo mandato al di fuori della cornice delle Nazioni Unite.
10.I problemi del Kosovo indipendente di Alfonso Desiderio: giornalista “Limes”. Articolo tratto da Limes 5 Febbraio 2008 La questione della minoranza serba in Kosovo. Mitrovica, la nuova Berlino, e i monasteri lungo le rotte dei traffici. La questione internazionale, Russia contro Stati Uniti. Le divisioni tra gli europei.
Un Kosovo indipendente pone sul campo subito due questioni: una sul piano locale e una sul piano internazionale. Sul piano locale è in ballo il destino dei circa 120mila serbi che dopo la guerra del Kosovo hanno deciso di rimanere nella provincia a netta maggioranza albanese. Sono concentrati perlopiù nel Kosovo settentrionale al confine con la Serbia, nella zona della città di Mitrovica, divisa tra serbi e albanesi lungo il fiume Ibar e che si appresta a diventare una nuova Berlino. Da non dimenticare però le enclavi serbe attorno i molti monasteri ortodossi, spesso collocati lungo strade strategiche per i traffici che rappresentano la voce principale dell'economia del Kosovo. Uno di questi casi ad esempio è il monastero di Decani. In Kosovo sono ancora attivi i gruppi armati che fanno riferimento ai vari clan e da una parte e dall'altra si addestrano varie truppe paramilitari. Cruciale è anche la situazione nella valle di Presevo che è fuori dal Kosovo, in Serbia, ma è abitata da albanesi, collegati sia ai kosovari che alla minoranza albanese in Macedonia. Più distaccati invece gli albanesi di Albania, anche se l'Albania settentrionale, abitata dallo stesso gruppo etnico albanese kosovaro, potrebbe entrare nell'orbita del più avanzato Kosovo. Sul piano internazionale la Serbia può contare sull'appoggio della Russia, che da un lato approfitta della questione per estendere la sua influenza nell'area della ex Jugoslavia e dall'altra minaccia di riconoscere l'indipendenza autoproclamata delle enclavi russe nello spazio ex sovietico, Abkhazia e Ossezia del sud in primo luogo. Sull'altro fronte il Kosovo può contare sull'appoggio degli Stati Uniti e dei paesi europei che ospitano ampie comunità di kosovari (Gran Bretagna, Austria, Svizzera, Germania). I quattro grandi, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna sono intenzionati a riconoscere il nuovo Stato, a differenza di altri paesi europei come Spagna e Grecia, preoccupati per i propri movimenti indipendentisti. L'indipendenza del Kosovo sarebbe infatti un precedente favorevole a tutti i vari movimenti indipendentisti internazionali.
11.Serbia: la vittoria di Tadic non risolve i problemi di Paolo Quercia: analista dei paesi in transizione dell’ Europa Sud Orientale. Articolo tratto da Limes 7 Febbraio 2008 Le elezioni presidenziali serbe erano attese con grande preoccupazione nella regione e nella comunità internazionale, in particolare da parte dell’Unione europea che si appresta a mandare una missione internazionale di sorveglianza del nuovo Kosovo indipendente. Le elezioni erano attese con ansia anche a Pristina, in quanto una vittoria del radicale Nikolic avrebbe probabilmente spinto gli americani a far nuovamente desistere il nuovo premier Thaci dal proclamare l’indipendenza: uno scenario che non sarebbe stato sostenibile a lungo e che avrebbe potuto portare a nuovi incidenti etnici o contro la comunità internazionale. La vittoria del candidato pro occidentale Tadic è stata però accolta con eccessivo entusiasmo, come se la mancata vittoria di Nikolic potesse risolvere tutti i nodi ancora oscuri della penisola balcanica e soprattutto rappresentasse una scelta epocale tra occidente e altro (nazional comunismo, panslavismo ecc.). In realtà, se guardiamo l’esito delle elezioni, dal punto di vista europeo c’è poco da star sereni. Il partito radicale è in costante ascesa elettorale e circa un serbo su due ha scelto l’opzione Nikolic. Al primo turno delle elezioni presidenziali del 2004 il partito radicale aveva meno di un milione di preferenze (che diventarono 1 milione e 400 al secondo turno). La performance del partito di Nikolic al primo turno delle presidenziali del 2004 fu confermata alle politiche del 2007: nonostante l’affluenza fosse di circa 15 punti superiore – un fattore che sembrerebbe aumentare il voto dei moderati –, il partito radicale crebbe di oltre 200 mila voti, aumentando il ruolo di primo partito e staccando il Partito democratico di Tadic di quasi 250 mila preferenze su un totale di circa 4 milioni di votanti. Questa tendenza di crescita del partito radicale è stata decisamente confermata al primo turno delle presidenziali 2008, portando l’SRS a fare un balzo di quasi 500 mila preferenze in più rispetto alle elezioni politiche di un anno fa. Al secondo turno Tadic, grazie ad una mobilitazione elettorale senza precedenti – che ha portato al massimo di affluenza mai registrato in Serbia dal 2000 ad oggi –, ha vinto con un margine ancora più ristretto su Nikolic (appena 117.000 voti), che da parte sua è riuscito a superare la fatidica soglia dei 2 milioni di preferenze (2.177.000). Ad ogni buon conto la vittoria di Tadic è una buona notizia per la stabilità dei Balcani, ma il fatto che un serbo su due ormai vota per il fronte radical‐socialista (che Nikolic ha sapientemente saputo traghettare su sponde leggermente più moderate rubando voti sostanzialmente a Kostunica) è un indice della pericolosità della situazione politica serba. Pericolosità che in parte è dovuta ai grandi consensi politici registrati che fanno dei radicali il partito più forte in Serbia, in parte in quanto tale situazione di democrazia bloccata costringe tutti gli altri partiti dell’arco democratico serbo a convergere su un'unica linea politica. Un sistema così concepito corre il gravo rischio di produrre malgoverno, corruzione e incapacità decisionale, che nel medio periodo, complici le ripercussioni della imminente perdita del Kosovo, potrebbe portare i radicali al potere reale, ossia al governo della Serbia. Questo scenario, apparentemente impossibile, potrebbe essere più verosimile se Kostunica, il grande sconfitto di queste elezioni presidenziali, decidesse di uscire dalla tenaglia politica in cui si troverà nei prossimi mesi, schiacciato dai radicali che convergono sul centro e da Tadic che si accredita come baluardo della democrazia filo occidentale. L’imminente proclamazione d’indipendenza del Kosovo sarà il primo test che il governo Kostunica dovrà essere chiamato a sciogliere.
12.Kosovo indipendente: partito il conto alla rovescia di F.Celi, A.Desiderio, N.Locatelli. Articolo tratto da Limes 15 Febbraio 2008
E' partito il conto alla rovescia per la dichiarazione di indipendenza del Kosovo prevista per domenica 17 febbraio, ma è già cominciata la guerra dei media tra autorità kosovare e serbe. Mentre a Belgrado il rieletto presidente serbo Tadic prestava il giuramento il primo ministro kosovaro Hashim Thaci ha indetto una conferenza stampa per confermare l'atteso evento ‐ senza indicare una data precisa ‐ cui la Serbia si oppone con tutte le sue forze. Con l'appoggio della Russia ha ottenuto per sabato 15 febbraio la convocazione di una riunione d'emergenza del Consiglio di Sicurezza , i cui tentativi di mediazione sono però già falliti in passato. Il nuovo Stato potrà contare sul riconoscimento immediato di almeno 100 paesi, secondo quanto ha assicurato Thaci. I paesi europei sono divisi al riguardo (Spagna e Grecia in particolare sono contrari per ragioni interne: sarebbe un precedente per i baschi in Spagna e le minoranze in Grecia). L'Italia dovrebbe riconoscere il nuovo Stato, nonostante le imminenti elezioni, insieme a Francia, Gran Bretagna e Germania. Belgrado non è disposta ad accettare "alcun atto illegale di secessionismo" in Kosovo. Il primo ministro serbo Vojislav Kostunica, vero sconfitto delle ultime elezioni, ha concordato con il presidente "europeo" Boris Tadic una posizione comune serba: l'indipendenza sarà dichiarata nulla. Nelle ultime ore anche il presidente Putin è tornato sulla questione. Dopo le minacce di ritorsioni di questo martedì, prontamente smentite il giorno seguente dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, il capo del Cremlino ha inviato un chiaro messaggio all'Europa e agli Stati Uniti, ribadendo che il loro appoggio alla decisione unilaterale sarebbe "immorale e illegale". La dichiarazione è stata contestuale all'annuncio che Mosca "sará costretta a puntare i missili laddove sente che viene minacciata la sua sicurezza nazionale", con chiaro riferimento a Ucraina, appena entrata nel Wto, e a Polonia e Repubblica Ceca, partner fondamentali per la realizzazione del progetto americano di scudo antimissile. Mosca ha fatto un chiaro riferimento alle due regioni georgiane, Abkhazia e Ossezia del Sud, che hanno autoproclamato la propria indipendenza.
13.Kosovo, è giallo sulla data "Indipendenza domenica 17" (15 febbraio 2008)‐ Articolo tratto da Repubblica PRISTINA ‐ Giallo sulla data in cui il Kosovo proclamerà l'indipendenza. Poco prima dell'inizio della conferenza stampa del premier Hashim Thaci, il suo portavoce ha dichiarato all'agenzia Ansa: "il parlamento del Kosovo proclamerà l'indipendenza della provincia dalla Serbia domenica 17 febbraio alle 17". Ma durante la conferenza stampa, in cui era atteso l'annuncio ufficiale, Thaci non ha dato nessuna indicazione precisa. E, alla domanda di una giornalista che chiedeva conferma ha glissato, chiedendo di attenersi al tema dell'incontro. Ha invece parlato del futuro del Paese, promettendo che il governo avrà basi costituzionali e che nel Kosovo indipendente i diritti di tutte le minoranze verranno tutelati. "Nessun cittadino si sentirà discriminato o messo da parte" ha detto Thaci, aggiungendo che i rapporti con la Serbia sono "ottimi" ma il Kosovo ha la sua "agenda da seguire". Poco dopo il portavoce ha precisato di nuovo all'Ansa che la data di domenica 17 è confermata, ma per motivi di sicurezza "sarà resa nota non prima di 24 ore della effettiva proclamazione dell'indipendenza". Il no di Belgrado. Dal canto suo, il presidente serbo Boris Tadic, rieletto all'inizio di febbraio, ha prestato oggi giuramento davanti al Parlamento per l'insediamento, promettendo che la sovranità serba verrà mantenuta sulla provincia del Kosovo, nonostante la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di Pristina, già ampiamente annunciata, che Belgrado considera secessione. Gli ha fatto immediatamente eco il premier Kostunica, ribadendo che Belgrado non rinuncerà mai alla sovranità sul Kosovo e che, nonostante "le campagne, le pressioni, le offerte e le minacce" subite, continuerà a opporsi alla secessione "con gli argomenti e metodi democratici". La Serbia ha già fatto sapere che riterrà "nulla e illegale" la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di fare lo stesso. Il governo di Belgrado ridurrà i rapporti con i paesi che riconosceranno l'indipendenza del Kosovo. "Le relazioni non saranno quelle di oggi". Il presidente Tadic non ha escluso il ritiro degli ambasciatori. L'Onu. Nulla di fatto, intanto, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, convocato ieri d'urgenza su richiesta di Belgrado e Mosca per discutere della provincia serba a maggioranza albanese. Secondo fonti diplomatiche, citate a Belgrado dall'agenzia Tanjug, il rappresentante russo nel Consiglio, l'ambasciatore Vitaly Churkin, ha detto che solo cinque Paesi ‐ Usa, Francia, Gran Bretagna, Belgio e Italia ‐ dei quindici membri hanno appoggiato il piano proposto dall'ex mediatore dell'Onu per il Kosovo, Martti Ahtisaari, che prevede l'indipendenza del Kosovo. Parole confermate, dopo la seduta del Consiglio, dal ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic. La maggioranza dei membri del Consiglio, ha detto il capo della diplomazia serba, ha appoggiato la prosecuzione delle trattative sullo status finale per il Kosovo perché "sono convinti che solo tramite le trattative e in modo pacifico si può risolvere un problema cosi complicato". L'Albania festeggia. Il Comune di Tirana ha indetto per domenica "La passeggiata della libertà". Il vicesindaco ha invitato i cittadini a riunirsi per aspettare e festeggiare "un giorno che nella vita di un uomo è irripetibile, e nella storia di un popolo sarà ricordata nei secoli".