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Kriya Yoga: sintesi di un’esperienza personale Autore: Ennio Nimis Visitate almeno una volta all'anno il sito www.kriyayogainfo.net per scaricare l'ultima edizione del libro 1

Kriya Yoga - sintesi di un’esperienza personale

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Kriya Yoga: sintesi di un’esperienza personale

Autore: Ennio Nimis

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CONTENUTO

Contenuto ii Sinossi iii

PARTE ISTORIA DELLA MIA PASSIONE PER IL KRIYA YOGA

1. Yoga da Autodidatta 6 2. Imparo il Kriya Yoga 183. Lo Stato di Assenza di Respiro 344. Ricerca del Kriya Originale 525. Un Sentiero Mistico Pulito 80

PARTE IICONDIVISIONE DELLE TECNICHE DEL KRIYA YOGA

6. Tecniche Base del Kriya Yoga 937. Altre Informazione sul Primo Kriya 110 8. Kriya Superiori 134

PARTE IIIGRADUALE APPRENDIMENTO DEL KRIYA YOGA

9. Premessa sui Potenziali Pericoli della Meditazionee del Kriya Yoga 16110. Costruire una Solida Base per il Sentiero del Kriya Yoga 17311. Un Momento di Svolta: lo Stato di Assenza di Respiro 18912. Kriya della Discesa 197

Appendice 1: Osservazioni sul Kriya Insegnato dalle Organizzazioni 208 Appendice 2: Diverse Tipologie di Ricercatori 223

Glossario 230

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SINOSSI

PARTE I: STORIA DELLA MIA PASSIONE PER IL KRIYA YOGALa prima parte contiene la storia della diverse fasi della mia ricerca spirituale: autodidatta nel campo dello Yoga; Kriya Yoga ricevuto da una organizzazione; Kriya Yoga ricevuto da guru itineranti; decisione finale di mettere in un libro tutto quello che conoscevo sulle tecniche del Kriya Yoga.

Capitolo 1 Yoga da autodidattaLa mia ricerca spirituale cominciò presto nella mia vita, dopo aver acquistato un libro introduttivo allo Yoga classico. Consideravo lo Yoga una disciplina capace di produrre un cambiamento interiore nella mia personalità. All'inizio utilizzai un esercizio, da praticarsi in Savasana, dove il processo pensante era disciplinato per creare uno stato di "vuoto mentale". Decisi anche di estendere il meccanismo di questa tecnica alla mia vita di studente onde imparare a pensare in un modo disciplinato, risparmiando le mie energie. Colpito da come le consuetudini della vita sociale implichino un costante spreco di energia psichica, cominciai ad evitare ogni inutile distrazione. Il mio ego reagì in modo significativo. Decisi di intensificare la mia disciplina attraverso l'arte del Pranayama. Il primo risultato fu l'esperienza di una gioia vasta che sorgeva dalle fondamenta del mio essere, non provocata da alcuna causa esterna. Dopo un paio di giorni caratterizzati da paura e angoscia, sperimentai quello che i libri di Yoga chiamano il "risveglio dell'energia Kundalini".

Capitolo 2 Imparo il Kriya YogaEntusiasta del Pranayama, decisi di dedicare la mia vita a perfezionarlo. Venni a sapere dell'esistenza del Kriya Yoga: un sentiero di Pranayama in quattro fasi insegnata nella nostra epoca dal grande Lahiri Mahasaya. Avrei fatto qualunque cosa per impararlo subito ma ciò era contrario alle regole dell'organizzazione che lo diffondeva in occidente: era necessario seguire un corso per corrispondenza. Docilmente, accettai di mettere da parte la mia pratica già consolidata e seguire solo i loro insegnamenti scritti. Un anno e mezzo dopo, ricevetti l'insieme di tecniche del Primo Kriya. Un problema che si rinnovava quotidianamente era come individuare un routine personale di Kriya e trarne il meglio.

Capitolo 3 Lo stato di assenza di respiroIl problema con la routine divenne critico quando appresi i cosiddetti Kriya superiori. Per quanto mi riusciva di capire, essi non erano esaurientemente spiegati. In seguito, quando uno dei rappresentanti dell'organizzazione rifiutò di chiarire i miei dubbi, riluttante, decisi di indirizzare la mia ricerca verso altre fonti. Non ebbi risultati in questo sforzo ma, grazie ad alcune letture, la pratica del Japa entrò nella mia vita e, con essa, l'esperienza dello stato senza respiro.

Capitolo 4 Ricerca del Kriya originalePer poter apprendere il cosiddetto "Kriya originale", seguii tre diversi insegnanti itineranti. Tra tanti dettagli non molto importanti, c'era qualcosa di prezioso: l'importanza di ascoltare i suoni interiori durante il Kriya Pranayama, la tecnica di allungamento del frenulo (Talabya Kriya) che portava alla padronanza del Kechari Mudra, il movimento Tribhangamurari e il concetto di Routine Incrementale.

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Capitolo 5 Un sentiero mistico pulitoDopo la rottura con il terzo insegnante, decisi di non avere più insegnanti. Mi venne inoltre una vaga idea di mettere tutte le mie scoperte in un libro. Prima di attuare questo progetto, vissi un periodo tormentato in cui affrontai il profondo condizionamento che avevo ricevuto dalla mia prima organizzazione Kriya: la necessità di ricevere le tecniche da un insegnante "autorizzato" e mantenere la segretezza sui dettagli tecnici del Kriya. Anni passarono con sessioni molto lunghe di meditazione all'aperto, cercando ispirazione dalla Bellezza della Natura. Solo la chiarezza mentale e la capacità di sopportazione prodotta dalle routine incrementali mi aiutò a distaccarmi dai condizionamenti. Intrapresi il lavoro di scrivere il libro e lo misi in rete.

PARTE II: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE DEL KRIYA YOGALa seconda parte è dedicata alla descrizione delle tecniche Kriya. Una visione teorica del Kriya Yoga è anche data.

Capitolo 6 Tecniche Base del Kriya YogaIn questo capitolo voglio ricreare la spiegazione ideale per un principiante. Otto tecniche sono considerate come componenti del Primo Kriya -- Talabya Kriya, Om Japa, Kriya Pranayama, Navi Kriya, Pranayama mentale, Maha Mudra, Pranayama con respiro breve e Yoni Mudra. Capitolo 7 Altre Informazione sul Primo Kriya Comprendere il Kriya Yoga è il tema di questo capitolo. Dopo una digressione teorica, ciascuna tecnica è vista come un mezzo per cooperare con il lavoro di eliminare le quattro ostruzioni: lingua, cuore, ombelico e coccige. Come costruire una routine razionale che funziona è il secondo tema principale di questo capitolo. Alcune varianti delle tecniche del Primo Kriya di base sono qui date.

Capitolo 8 Kriya superioriCi sono diversi modi di definire i Kriya superiori. Qui la tecnica del Secondo Kriya prevede: 1. Omkar Kriya; 2. Thokar Kriya (forma di base) e 3. Thokar Kriya (forma evoluta). Il Terzo Kriya comprende: 1. Omkar Kriya mentale e 2. Micro Thokar. Il Quarto Kriya prevede: 1. La procedura per raggiungere lo stato di Antar (interno) Kevala Kumbhaka e 2. Omkar Gayatri Kriya.

Appendice: l'importante insegnamento del Tribhangamurari è qui considerato tra altre varianti minori del Thokar.

PARTE III: GRADUALE APPRENDIMENTO DEL KRIYA YOGALa terza parte si sofferma sugli aspetti pratici dell'insegnare il Kriya Yoga. Il tema principale è come aiutare uno studente a coordinare e incanalare i propri sforzi in modo costruttivo, rendendoli capaci di reggere il processo di trasformazione che conduce alla padronanza dei diversi livelli del Kriya Yoga.

Capitolo 9 Premessa sui potenziali pericoli della meditazione e del Kriya YogaI kriyaban dovrebbero essere informati sui "pericoli", presunti o reali, del "risveglio prematuro di Kundalini." Di certo ci sono alcune norme da rispettare onde evitare ogni problema con la pratica del Kriya.

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Capitolo 10 Costruire una Solida Base per il Sentiero del Kriya Yoga Dopo aver preso in considerazione come introdurre il Primo Kriya in un modo graduale, alcuni esempi pratici chiariscono come utilizzare l'impareggiabile strumento della Routine Incrementale.

Capitolo 11 Un Momento di Svolta: lo Stato di Assenza di RespiroLo stato di assenza di respiro è un risultato decisivo che segna una svolta nella vita di una persona: è la vera Iniziazione. Essa si ottiene aggiungendo ad una routine corretta che comprende l'essenza del Kriya (Kriya Pranayama, Thokar e Pranayama mentale) la pratica del Japa durante il giorno. Se tale "ricetta" non produce l'assenza di respiro, uno dovrebbe intensificare la prima parte della routine chiedendosi se sia il caso di cambiare il Mantra scelto per il Japa.

Capitolo 12 Kriya della DiscesaSi discute quello che potrebbe essere considerato il perfezionamento finale del Kriya Pranayama. Un parallelismo è tracciato con l'orbita Macrocosmica dell'Alchimia interiore taoista. Gli intriganti effetti di questa pratica sono qui presi in considerazione.

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PARTE I: STORIA DELLA MIA PASSIONE PER IL KRIYA YOGA

CAPITOLO 1YOGA DA AUTODIDATTA

La mia ricerca spirituale cominciò a 15 anni dopo aver acquistato un libro introduttivo allo Yoga classico. Il mio interesse per lo Yoga era stato nutrito da una certa aspettativa nei confronti delle forme orientali di meditazione che si era andata lentamente consolidando attraverso gli anni della mia infanzia e prima adolescenza. Non ricordo il titolo del primo libro, al quale seguirono i libri di B.K.S. di Iyengar, e poi finalmente l'autobiografia di un santo Indiano dove trovai il termine Kriya Yoga. Ma procediamo con ordine.

Durante gli anni delle scuole elementari, a differenza dei miei coetanei, prendevo in prestito libri di esoterismo dagli amici dei mie genitori: mi piacevano tantissimo. Ricordo che il primo libro che lessi dall'inizio alla fine fu di occultismo. Essendo consapevole che esso non era adatto alla mia età, ero orgoglioso di poterlo leggere e capire. Non diedi ascolto ad alcun consiglio pressante di dedicarmi ad altre letture più formative. Continuai queste letture fino a 11 anni. Sprecai molto tempo in libri di poco conto e in un gran mucchio di riviste esoteriche specializzate dai titoli allettanti e impossibili chimere concepite essenzialmente per sbalordire il lettore e dove era impossibile distinguere in anticipo tra finzione e realtà. Venni in contatto con i principali temi del pensiero esoterico occidentale, con brevi escursioni in fenomeni come ipnosi, medianità... Alla fine fui cosciente di aver fatto un percorso in un caos indistinto. Forse i segreti più preziosi erano nascosti in altri libri, che non ero stato abbastanza fortunato di trovare.

In questo periodo, non ricordo quando, forse avevo 10 o 11 anni, vidi il termine Yoga per la prima volta in un catalogo di libri esoterici ricevuto per posta da mio padre. Estasiato, inspiegabilmente ammaliato, osservai una persona rappresentata in copertina seduta nella "posizione del loto". Invano cercai di convincere mio padre a procurarmi quel libro. Avevo quindici anni e frequentavo il liceo, quando la passione esoterica si riaccese per un po' e in un modo particolare: lo Yoga quale disciplina da praticare -- non da leggere o su cui fantasticare. Un amico mi disse di possedere un testo dove erano spiegate varie tecniche di Pranayama, aggiungendo: "questi esercizi ti trasformano dentro...". Rimasi profondamente affascinato dalle sue parole: a quale cambiamento interiore si riferiva? Non poteva certo intendere il conseguimento di particolari condizioni di rilassamento o di concentrazione e probabilmente non alludeva all'integrare la visione orientale di vita col nostro stile di vita. Di certo si riferiva all'opportunità di avere una qualche esperienza interiore che lasciasse un segno psicologico, portandoci oltre il punto di non ritorno. Non avevo dubbi che il Pranayama era qualcosa da imparare il più presto possibile. Ma l'amico non si decideva a prestarmi il libro. Comunque alcuni giorni dopo, un semplice testo, Yoga in 20 lezioni, esposto presso l’edicola della stazione ferroviaria, attirò la mia attenzione e lo acquistai senza ulteriore indugio, leggendolo tutto di un fiato.

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La mia ricerca spirituale era incominciata ma non ne ero consapevole. Per me, mi sembrava più che altro un esercizio di controllo mentale.

Purtroppo, l'introduzione filosofica (Jiva, Prakriti; Purusha...) non riusciva a coinvolgermi, non creava in me alcuna partecipazione emotiva. Sembrava posta lì solo per dare l'impressione che il libro fosse molto serio. Persino alcuni concetti che in seguito sarebbero divenuti fondamentali per la mia vita come Reincarnazione, Karma, Dharma e Maya, rimanevano molto vaghi, sepolti nel groviglio dei termini Sanscriti. Il Pranayama era solo accennato in una spiegazione volta a chiarire come ottenere un atto respiratorio completo -- dilatando addome, diaframma e parte superiore del torace durante l'inspirazione e contraendoli in ordine inverso durante una calma espirazione. Quella era chiaramente solo un'introduzione, nulla più. Non fu difficile intuire che l'antica arte del Pranayama non era volta ad allenare i muscoli del torace, fortificare il diaframma o creare delle condizioni particolari d’ossigenazione di sangue ma ad agire sull'energia presente nel nostro sistema psicofisico. Era chiaro, almeno per me, che tale energia era collegata a disarmonie e conflitti nella nostra disposizione d’animo. Ero deluso dalla scarsezza di informazioni sul Pranayama -- sapevo che esso avrebbe potuto comportare una trasformazione nella mia personalità.

Cionondimeno, cominciai a provare qualche posizione (Asana) in un angolo della palestra della scuola, durante le lezioni di Educazione Fisica, dopo gli esercizi preliminari di riscaldamento quando l’insegnante mi dava il permesso di separarmi dai compagni di classe. Non ero portato per l'attività sportiva, anche se avevo un buon fisico formato da lunghe passeggiate. Il fatto di poter fare qualcosa d’importante senza muovermi da alcuna parte, senza i rischi e i pericoli degli sport classici, mi attraeva. Quindi, mentre i miei compagni si divertivano con qualche gioco di squadra, io preferivo dedicarmi a padroneggiare altre posizioni o a muovere i muscoli addominali per mezzo della tecnica Nauli -- con lo stupore del mio insegnante che mi osservava e un giorno, avvicinatosi, volle sapere qual'era il segreto per ottenere tale interessante effetto.

Obiettivamente parlando, il mio libro di riferimento sullo Yoga non era di qualità mediocre: chiariva il significato del nome di ciascuna posizione (Asana), dava una breve annotazione sul miglior atteggiamento mentale nei confronti della pratica e su come ciascun esercizio stimolava certe particolari funzioni fisiologiche (importanti ghiandole endocrine ecc.). Era chiaro che queste posizioni non dovevano essere considerate come un semplice "lavoro di stretching"; esse erano un mezzo per fornire uno stimolo complessivo a tutti gli organi interni per aumentarne la vitalità. Il senso di benessere, percepito alla fine della sessione parlava in favore dell’utilità di questa pratica.

C'era un capitolo intero dedicato alla "Posizione del cadavere", Savasana, da praticarsi come ultima in una serie di Asana. L'istruzione era strutturata con gran cura, con un linguaggio tipicamente occidentale, ma l'autore non si attardava in inutili ricami filosofici. Spiegava che lo scopo dell'esercizio era quello di porre a riposo le facoltà pensanti onde ricaricare di fresca energia il nostro sistema psico-fisico. Fui attratto dalla promessa, indubbiamente esagerata, che, fermando tutte le funzioni mentali -- senza cadere nello stato di sonno -- e

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rimanendo per un certo tempo in uno stato di pura consapevolezza, si poteva ottenere in un'ora il riposo mentale equivalente a cinque ore di sonno.

Mi spiace non avere più quel libro, ma descriverò questo esercizio basandomi su quanto riesco a ricordare:

"Distenditi nella posizione supina, le braccia poste lungo i lati del corpo e una benda per coprire gli occhi, onde non essere disturbato dalla luce. Dopo due o tre minuti di quiete, ripeti mentalmente -- Sono rilassato, sono calmo, non penso a niente. Quindi, per entrare nello stato di vuoto mentale, visualizza i tuoi pensieri inclusi, quelli con qualità astratte, e spingili via uno alla volta, come se una mano interna li trasportasse dolcemente dal centro dello schermo mentale verso la periferia. Tutti i pensieri, senza eccezioni, devono essere messi da parte; anche lo stesso pensiero di star praticando una tecnica. Non ti devi mai innervosire quando sopraggiungono nuovi pensieri, ma, visualizzandoli come un oggetti, li sposterai da parte; in tal modo impedirai che altri pensieri si sviluppino, a loro volta. Dopo aver spinto via ciascun pensiero, riporta la consapevolezza nel punto tra le sopracciglia (Kutastha) che sembra come un lago di pace in cui finalmente puoi riposare. L'abilità di allontanare continuamente altri pensieri che possono bussare alla porta della tua attenzione diventerà sempre più facile e quasi automatica.

Se in certe occasioni – come il praticare subito dopo un forte disturbo emotivo – l'esercizio pare non dare alcun frutto, allora trasforma la tua concentrazione in un piccolo ago che tocca continuamente la zona tra le sopracciglia -- solo toccare, senza preoccuparsi di allontanare i pensieri. Ad un certo punto non c'è più sforzo e qualsiasi emozione irrequieta residua cesserà. Il centro della coscienza è assorbito nel Kutastha. I semi dei nuovi pensieri si manifestano come indefinite immagini vibranti alla periferia della consapevolezza le quali non riescono a disturbare il riposo mentale. Seguendo uno o l'altro dei due metodi, l'esercizio funziona perfettamente e dopo 40 minuti ti alzi riposato e ricaricato di nuova, fresca energia."

Nella mia esperienza, invece dei 40 minuti promessi dal libro, lo stato finale di riposo non durò mai più di 15 minuti e l'esercizio complessivo non più di 25-30 minuti. La tecnica terminava sempre in un modo particolare; lo stato di profonda calma era interrotto dal pensiero che l'esercizio vero e proprio dovesse essere ancora iniziato; al che il corpo reagiva con un sussulto e il cuore cominciava a battere veloce. Dopo pochi secondi sopraggiungeva la certezza che l'esercizio era invece stato portato a termine, perfettamente.

Grazie a questa tecnica, che divenne un'abitudine quotidiana, compresi una volta per tutte la differenza tra "mente" e "consapevolezza". Quando il processo mentale si placa e diventa perfetto silenzio mentale, uno stato di perfetta consapevolezza senza alcun contenuto sorge. Come un punto luminoso che si duplica un illimitato numero di volte, rimane immutato per alcuni minuti. Alla fine tu sai di esistere e che la tua esistenza è indistruttibile. Il solo pensiero logico non ti può dare quella certezza; i pensieri sono pur sempre una realtà effimera, e invece di rivelare la verità ultima, la offuscano. La deduzione

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Cartesiana: "Penso dunque sono" è insostenibile. Sarebbe più corretto affermare: "Solo nell'abilità di ottenere il silenzio del pensiero, sta la prova e l'intima certezza di esistere."

Oltre alla dimensione dell'esoterismo, delle pratiche orientali di meditazione, c'era anche l'amore per le poesie e la letteratura accompagnata dall'abitudine di cercare quotidianamente la contemplazione della Bellezza della Natura.

Il mio interesse verso le poesie cominciò a 9 anni. Scovai un libro di poesie nella biblioteca della mia scuola e cominciai a copiare in un quadernetto diverse brevi poesie che parlavano della natura, della vita nei campi. Leggendole frequentemente, ben presto le imparai a memoria. Richiamandole in mente, riuscivo a intensificare il piacere che sentivo mentre contemplavo il paesaggio collinare che circondava il paese in cui abitavo. Portai avanti questa abitudine fino a 18 anni. Gli anni del liceo stavano volgendo alla fine quando sviluppai una passione per la musica classica e per lo studio della vita di Beethoven. Divenne il mio idolo. A dispetto della tragedia della sordità che lo colpì nel pieno della stagione creativa, reagì nel modo più dignitoso e portò avanti la creazione delle opere che sentiva già presenti nel suo cuore. Il Testamento di Heiligenstadt, dove egli rivela le sue condizioni di salute e afferma con pacifica totale determinazione la sua scelta, ne fece ai miei occhi un eroe e un santo. Egli scrisse ad un amico: "Mi avvicino a Dio senza paura, l'ho sempre conosciuto. Per quanto riguarda la mia musica, nessun destino avverso la può toccare: essa libererà colui che riesce a comprenderla da ogni miseria umana." Come potevano queste parole non toccarmi? Stava traendo dalle profondità del suo essere una musica incomparabile che offriva ai suoi fratelli di allora e all’umanità intera. Il trionfo di questa fragile creatura umana su una sorte stupida e insensata ebbe un tremendo impatto su di me. Il rito quotidiano di ritirarmi nella mia stanza per ascoltare quella musica rafforzò la mia consacrazione all'Ideale -- la ricerca del Sè.

Ogni giorno per tutto il periodo di 3 mesi alla fine del liceo, quando vissi una storia sentimentale la cui realizzazione pareva impossibile, ascoltavo ogni giorno la Missa Solemnis di Beethoven. Più la mia emotività imprudente mi spingeva a fare dei passi che si rivelarono distruttivi per il mio rapporto affettivo e più il mio cuore disperato trovava rifugio nella sua pura bellezza. Durante una passeggiata in campagna, sedendo su un'altura contemplando un lontano paesaggio che si beava del tiepido caldo di una sera d'estate, quella musica riprendeva a suonare dalle regioni della mia memoria. Quello che il mio cuore bramava stava davanti a me, perfetto e non toccato da paure e sensi di colpa. Quella fu la mia prima esperienza religiosa.

All'università mi iscrissi a Matematica e durante i primi mesi compresi che un felice capitolo della mia vita era concluso e non ci sarebbe stato tempo per distrazioni -- come studiare materie umanistiche. Tutta l'attenzione era volta sul ragionare in modo chiaro, non essere toccato da distrazioni e quindi sul trovare un efficace metodo di studio. Decisi di usare la tecnica del vuoto mentale per riposare nel pomeriggio, ma anche di estendere la sua dinamica alle ore dedicate allo studio.

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Per risparmiare ulteriormente le energie, mi proposi di pensare in un modo disciplinato anche durante i momenti liberi. Una cattiva abitudine da combattere era la tendenza a fantasticare e saltare da un frammento di ricordo ad un altro onde estrarre momenti di piacere. Mi ero creato la ferma convinzione che quando il pensiero diventa un vizio incontrollabile -- per molte persone esso costituisce una vera e propria dipendenza -- esso non è solo uno spreco di energia ma la causa principale di tanti fallimenti. Il turbinio del processo del pensiero, accompagnato da alternanti stati d'animo e forti emozioni, crea talvolta delle paure irragionevoli che ostacolano quell'azione decisiva che la vita richiede. A volte invece nutre una ottimistica immaginazione che sfortunatamente spinge la persona a sciagurate imprese. Ero convinto che un pensiero disciplinato era la cosa più preziosa che potevo sviluppare e che avrebbe aperto le porte verso fruttuosi raggiungimenti.

La decisione mi riempì di un entusiasmo euforico. Ma dopo aver respirato per alcune ore una limpida, scintillante, celestiale pace mentale, incontrai una resistenza significativa. Nello specchio della mia introspezione vidi come altre abitudini andavano a sprecare la mia energia mentale. Una di queste, avvolta e resa dignitosa in modo inattaccabile dall'idea della socializzazione, era quella di lasciarmi andare a logoranti discussioni con gli amici. Era il momento di rinunciarci. Di punto in bianco evitai la loro compagnia.

Di sicuro, il mio non fu un sacrificio particolarmente difficile: il loro non era il mio mondo. Un giorno mentre facevo due passi nel pomeriggio, li vidi da lontano seduti pigramente a parlare nel solito bar. Provai un tuffo al cuore. Erano i miei amici e gli volevo bene, eppure a vederli insieme in quel giorno mi parvero come polli recintati in uno spazio ristretto. Impietosamente, supposi che fossero totalmente governati dai loro istinti: mangiare, riprodursi, lasciarsi andare durante le feste. Qualunque tragedia fosse successa al loro compagno, non li riguardava, essi avrebbero continuato a sorseggiare il piacere quotidiano di perder tempo fin quanto la disgrazia non sarebbe toccata a loro. Fu un'esperienza amara, angosciosa. L'episodio mi fece entrare in uno stato malinconico. Una frase di Beethoven tolta dal suo testamento di Heiligenstadt mi venne in mente come un'invocazione a ritrovare la luminosa dimensione dove avevo vissuto durante gli anni del liceo:

O Divinità fa che appaia per me almeno un giorno di pura gioia. Quando o quando la vedrò ancora risplendere nel tempio della natura e degli uomini? Mai? No sarebbe troppo crudele!

In quel momento ero risoluto a concentrarmi sui miei studi e il fatto di superare gli esami divenne la mia unica ragione di vita. Sentivo che quel periodo della mia vita era come scendere in una notte insondabile ma sapevo che per poter forgiare il mio futuro come desideravo dovevo accettare pesanti sacrifici. Per vedere l'alba di "un giorno di pura gioia", avrei dovuto sopportare momentaneamente una oscura vacuità: avrei dovuto assaporarla senza un lamento, resistendo alla tentazione di accendere luci inutili quale momentaneo conforto.

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Morirò per vivere!

Un evento rischiarò la mia vita: un amico decise di farmi conoscere la seconda Sinfonia di Mahler Resurrezione e mi invitò ad una rappresentazione di tale opera. Lessi il foglio di presentazione del concerto. Ciascuna parte della sinfonia aveva un senso preciso che Mahler stesso aveva chiarito in una lettera al direttore d'orchestra Bruno Walter. Era intenzione dell'autore toccare il tema delle morte come fine inevitabile di tutte le avventure umane. La musica trasmetteva un senso di desolazione ma dolce, come se la morte fosse abbandonarsi ad un pacifico sonno. Le parole messe in bocca al contralto mi comunicarono una infantile innocente visione con una voce che si lamentava con infinita dignità:

O Röschen roth! Der Mensch liegt in größter Noth! Der Mensch liegt in größter Pein! Je lieber möcht ich im Himmel sein.

O rossa rosellina! L'uomo giace in grandissimo dolore! L'uomo giace in grandissima sofferenza! Come vorrei essere in cielo.

Mi parve di trovarmi in campagna mentre cadeva una leggera pioggia. Ma era primavera e un raggio di sole perforava le nubi. Tra la vegetazione c'era un fiorellino rosso che incantava con la sua semplice bellezza. Il canto proseguiva toccando il tema della vita eterna. La musica voleva comunicare la suggestione biblica del giudizio universale. Allora il coro intonava i versi di un inno di Klopstock:

Aufersteh'n, ja aufersteh'n Wirst du, Mein Staub, Nach kurzer Ruh'! Unsterblich Leben! Unsterblich Leben wird der dich rief dir geben!

Risorgerai, sì, tu risorgerai, mia polvere, dopo breve riposo! Vita immortale! Vita immortale ti concederà Colui che ti ha chiamato!...

Poi Mahler aggiungeva dei versi suoi che terminavano con:

Mit Flügeln, die ich mir errungen, In heißem Liebesstreben, Werd'ich entschweben Zum Licht, zu dem kein Aug'gedrungen! Sterben werd'ich, um zu leben! Aufersteh'n, ja aufersteh'n wirst du, mein Herz, in einem Nu! Was du geschlagen zu Gott wird es dich tragen!

Con le ali che mi sono concquistato, in uno slancio caldo d'amore, volerò in alto Verso la luce che nessuno mai penetrò! Morirò per vivere! Risorgerai, sì risorgerai mio cuore in un attimo!Tutto ciò che ti sei conquistato, a Dio ti porterà!

Nei giorni seguenti cercai di penetrare ulteriormente il significato di questa sinfonia leggendo tutto quello che potevo trovare su di essa ed ascoltandola rapito nella quiete della mia stanza. Dopo molti entusiasti ascolti integrali, le

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parole: "Sterben werde ich, um zu leben!" ("Morirò per vivere!") risuonavano tutto il giorno nella mia mente come un filo attorno al quale il mio pensiero andava cristallizzandosi.

Sarei mai stato capace, ora o durante qualsivoglia giorno prima della sterile vecchiaia, di "morire a me stesso"? Era possibile attraversare la cortina nebbiosa dei pensieri, emozioni superficiali, sensazioni ed istinti ed emergere in quella pura Dimensione che avevo bramato da molti anni, dove sentivo trovarsi il mio bene supremo? Non v'era dubbio che avrei perfezionato fino all'estremo la disciplina che mi ero imposto, ma non ero affatto intenzionato a passare tutta la vita a guardare il muro della mia mente posta a silenzio, attendendo che qualcosa accadesse. "Voglio afferrare il destino per la gola", disse Beethoven: similmente ero pronto ad agre in modo forte e decisivo. Quella che mi mancava era l'arte del Pranayama -- quel Pranayama che avevo sognato ma mai praticato veramente. Il libro di Iyengar Teoria e pratica dello Yoga, che avevo da poche settimane acquistato, me ne aveva risvegliato un desiderio irremovibile di praticarlo intensamente. Nell'ultima parte di questo libro c'era un ammonimento: "Il martello pneumatico può spezzare la roccia più dura. Nel Pranayama lo yogi usa i suoi polmoni come uno strumento pneumatico. Se esso non è usato propriamente, esso distrugge sia lo strumento stesso sia la persona che lo usa. La pratica scorretta crea una sollecitazione impropria nei polmoni e nel diaframma. Il sistema respiratorio ne soffre e il sistema nervoso è colpito negativamente. Le stesse basi della salute fisica e mentale verrà scossa da un pratica erronea del Pranayama".

Questa frase, in particolare il cenno al pericolo di compromettere la salute mentale, accese la mia volontà sconfinata di praticarlo intensamente fino a "morirci", metaforicamente. Quello che avrebbe spaventato altri, invece mi incoraggiava. Se avessi ottenuto un vero e proprio terremoto psicologico, ebbene era proprio quello che cercavo. Certo, un po' di prudenza era necessaria: una pratica intensiva doveva essere raggiunta gradualmente e ciascuna seduta doveva essere eseguita con estrema cura.

Il Pranayama cui si riferiva era il Nadi Sodhana e Ujjayi con Bandha e Kumbhaka -- tale pratica sarebbe stata per me un'esperienza totalmente nuova in quanto questi esercizi non erano descritti nel mio primo manuale di Yoga. Giorno dopo giorno avrei potuto verificare la potenzialità del Pranayama di agire sulla mia psiche.

Ero certo infatti che il mio vecchio compagno di scuola aveva detto il vero -- "questi esercizi ti cambiano dentro". Doveva essere così! Il Pranayama mi appariva come la più perfetta di tutte le arti, che non presentava dei limiti intrinseci. Per dedicarmi a questa arte non dovevo spendere soldi ad acquistare un pianoforte o un violino o tela e colori. Lo strumento era già con me, sempre con me. Non capivo come mai avessi aspettato tanto a intraprendere seriamente questo sforzo. Decidere di andare avanti seriamente fu la "decisione" della mia vita.

Praticai mattino e sera in un "modo assoluto", con una concentrazione feroce, come se un domani non esistesse. La routine era preceduta da qualche

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esercizio di stretching o, quando avevo più tempo, da qualche semplice Asana. 1

Praticavo nella posizione del mezzo-loto, seduto sul bordo di un cuscino e tenendo la schiena in posizione diritta. Mi concentravo con zelo nell’applicare correttamente le istruzioni e vi univo uno spirito creativo. Mi concentrai attentamente sulle sensazioni alternate di fresco e di tepore prodotte dall’aria sulle dita e sul palmo della mano destra che usavo per aprire e chiudere ciascuna narice. La pressione, il lieve e uniforme fluire del respiro… ciascun dettaglio era piacevole. Divenendo consapevole di ciascun particolare tecnico riuscivo a mantenere una vigile attenzione senza esserne stressato.

Sentivo che la percezione delle cose era cambiata; cercavo ovunque dei colori intensi restando affascinato da essi come se fossero una sostanza materiale che potevo toccare e di cui nutrirmi.

Talvolta nei primi giorni di sole dopo l'inverno, quando i cieli erano cristallini, blu come non lo erano mai stati, praticai spesso all'aria aperta e contemplavo ciò che mi circondava. In una fossa piena di cespugli ricoperti di edera, il sole riversava la sua luce su dei fiori. Alcune settimane prima, essi erano sbocciati durante i freddi giorni invernali ed ora, incuranti dei giorni più miti, si attardavano nella loro incantevole radiosità. Ero profondamente ispirato. Chiudevo gli occhi e mi affidavo ad un’interna radiosità. La Bellezza ora vibrava dentro di me.

A quell'epoca, la mia vita interiore ancora era divisa tra due interessi che stavano davanti al mio giudizio interiore come dimensioni ideali, radicalmente separate una dall'altra. Da lato c'era l'interesse verso le materie esoteriche che aveva guidato la mia ricerca verso la disciplina dello Yoga. La Yoga era concepito e si dimostrò efficace nel purificare e controllante la mente. Dall'altro lato c'era l'aspirazione verso il mondo ideale della Bellezza che cercavo di evocare attraverso lo studio di opere letterarie, ascoltando musica classica...

Non avrei mai potuto immaginare che la prima dimensione potesse possibilmente condurmi verso la seconda! Era ragionevole sperare che il Pranayama potesse darmi una base permanente di chiarezza mentale, aiutandomi a non guastare da una confusione di pensieri il fragile miracolo di un eventuale incontro con la Bellezza. Ma non avrei mai potuto immaginare che il Pranayama avesse il potere di moltiplicare le esperienze del Sublime, facendole sorgere come dal nulla.

La Bhagavad Gita dice proprio: "(Lo yogi) conosce l'eterna gioia, quella che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può afferrare. Abita in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il tesoro dei tesori. Non c'è nulla più grande di questo. Colui che lo ha raggiunto non sarà toccato dal più grande dei dolori. Questo è il vero significato dello Yoga – una liberazione dal contatto col dolore e con la disperazione." Citavo spesso tale frase ai miei amici e mi piaceva ripeterla entro me perché in quello stesso istante mi aggrappavo strettamente a tale gioia.

Durante un quieto pomeriggio camminavo in mezzo agli alberi poco prima del tramonto, sbirciavo ogni tanto un commento ad alcune Upanishad,

1 Una descrizione dettagliata di questa routine (Nadi Sodhana; Ujjayi; Bandha e concentrazione finale nel Kutastha) è data nel capitolo 10.

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[testi sacri Sanscriti] che portavo con me. Una frase particolare risvegliò una subitanea realizzazione: "Tu sei Quello"! Chiusi il libro e cominciai a ripetere estasiato quelle parole. Chissà se la mia ragione riusciva ad afferrare l’incommensurabile implicazione di quell’affermazione? Ma certo che sì: io ero quella luce di un verde incredibilmente delicato che filtrava attraverso le foglie e che simboleggiava la primavera che portava la nuova vita. A casa, non tentai neppure di stendere su carta il "momento di grazia" esperito - non sarei stato capace di farlo. Il mio unico desiderio era di immergermi sempre più in questa nuova sorgente interiore di comprensione e illuminazione.

Esperienza di Kundalini

Dopo avere acquistato le opere di Ramakrishna, Vivekananda, Gopi Krishna e gli Yoga Sutra di Patanjali (un grosso volume con i commenti di I.K. Taimni), decisi infine di acquistare anche l’autobiografia di un Santo Indiano, che indicherò con le iniziali P.Y. 2, un libro che avevo già visto anni prima ma che non avevo acquistato in quanto, sfogliandolo, avevo notato che non conteneva istruzioni pratiche. La mia speranza adesso era di trovarvi delle informazioni utili come gli indirizzi di alcune valide scuole di Yoga. La lettura di questa autobiografia mi appassionò molto e mi portò in una fase di grande aspirazione verso il sentiero mistico: mi trovai in certi momenti a bruciare di una febbre interiore. Tutto ciò creò un terreno fertile per l'avverarsi di un evento che fu radicalmente diverso da quello che avevo sperimentato prima. È stata un'esperienza spirituale "intima", ciononostante ho deciso di parlarne in quanto ho ascoltato la descrizione di eventi simili dalle labbra di molti ricercatori.

Le premesse avvennero quando una notte, assorbito nella lettura della autobiografia di P.Y., ebbi un brivido, come una corrente elettrica che attraversava il corpo. L'esperienza fu insignificante in se stessa, ma il fatto fu che mi spaventò molto. Conoscendo il mio carattere, ciò era alquanto strano. Un pensiero mi attraversò la mente che un evento più profondo sarebbe avvenuto in breve e che sarebbe stato forte, molto forte e che non avrei potuto fermarlo in nessun modo. Era come se la mia memoria avesse una inspiegabile familiarità con esso e il mio istinto conoscesse il suo potere inesorabile.

2 Il lettore comprenderà perché non menziono il nome di P.Y. - non è difficile comunque dedurne l’identità! Ci sono molte scuole di Yoga che diffondono i suoi insegnamenti secondo una precisa legittimazione. Una di queste, attraverso i suoi rappresentanti, mi fece comprendere che non solo non avrebbe tollerato la minima violazione del Copyright, ma che non gradiva che il nome del loro amato Maestro venisse, in Internet, mescolato a discussioni sul Kriya. La ragione va ricercata nel fatto che, in passato, delle persone usarono quel nome per fuorviare la ricerca di un gran numero di ricercatori che stavano cercando di ricevere gli insegnamenti originali. Voglio porre l’accento sul fatto che nelle pagine seguenti mi soffermerò solo sommariamente sulla mia comprensione dei Suoi insegnamenti, senza alcuna pretesa di riuscire a dare un resoconto obiettivo di essi. Un lettore interessato non dovrebbe rinunciare al privilegio di rivolgersi alla letteratura originale!

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Decisi di lasciare che le cose avvenissero senza ostacoli e di proseguire con la lettura. I minuti trascorrevano, ma non ero capace di proseguire con la lettura; percepivo un senso di inquietudine che si trasformò in ansia. Poi divenne paura, una paura intensa di qualche cosa di ignoto, una minaccia alla mia esistenza. Non avevo davvero mai provato un simile terrore. In momenti di pericolo, mi era capitato di restare come paralizzato, incapace di pensare. Ora l'ansia era di qualità diversa: era panico per qualche cosa d’alieno all'esperienza comune, qualche cosa di assolutamente imprevedibile.

Sentii l'urgenza di fare qualcosa, anche se non sapevo cosa. Assunsi la posizione di meditazione ed attesi. Mi sembrava d’essere vicino alla pazzia - o alla morte. Una parte di me, forse la totalità di quell'entità che io chiamo "me stesso", sembrava al punto di scomparire. I peggiori pensieri, minacciosi, erano sospesi sopra di me senza una chiara ragione.3 Il mondo spirituale mi sembrava un orribile incubo, capace di distruggere, annientare la persona che gli si era imprudentemente avvicinata. La vita consueta, al contrario, mi sembrava la realtà più cara, più sana. Temevo di non riuscire più a ritornare in quella condizione. Ero convinto, nel modo più assoluto, che una malattia mentale stesse facendo a pezzi il mio essere: la ragione era che avevo aperto una porta a ciò che era molto più immenso di quanto potevo prefigurarmi.

Decisi di fermare l’esperienza e rimandare, se possibile, il momento fatale. Mi alzai e uscii all'aria aperta. Era notte e non c'era alcuno a cui comunicare il mio terrore! Al centro del cortile di casa ero oppresso, soffocato, schiacciato da un sentimento di disperazione, invidiando quelle persone che non avevano mai praticato lo Yoga. Provavo rimorso perché, attraverso parole aspre, avevo ferito un amico. Questi, come molti altri, aveva un tempo preso parte alla mia ricerca; poi aveva rinunciato alla pratica e si era preoccupato soltanto di godersi la vita. Dotato di una giovanile baldanza, gli avevo indirizzato parole per nulla affettuose, e queste mi rintronavano ora in testa; provavo dolore per aver espresso una crudeltà ingiustificata senza sapere che cosa realmente vi fosse nella mente e nell’anima dell’amico. Avrei fatto qualsiasi cosa per averlo di nuovo davanti a me, per potergli dire quanto mi spiaceva. Sentivo di aver violato

3 In quei giorni avevo finito di leggere Kundalini, l'energia evolutiva dell’uomo di Gopi Krishna. L'autore descriveva come, seguendo un’intensa pratica di concentrazione sul settimo Chakra, aveva avuto un'esperienza splendida di "risveglio", mentre, dopo di ciò, probabilmente poiché il corpo non era preparato, aveva incontrato dei seri problemi fisici e, di riflesso, anche psichici. Secondo quella descrizione, nel suo corpo un'energia si era messa in movimento dalla base della spina dorsale verso il cervello. Talmente forte era il flusso da costringerlo a letto ed impedire il completamento delle normali funzioni fisiche. Aveva l’impressione di stare letteralmente bruciando di un fuoco interno, che non riusciva a spegnere in alcun modo. Settimane più tardi egli scoprì intuitivamente come controllare il fenomeno, il quale rivelò la sua natura come una esperienza di realizzazione spirituale. Per quel che mi riguarda, temevo di essere arrivato alla soglia della stessa esperienza ma, siccome non vivevo in India, ero spaventato dal fatto che le persone attorno a me potessero non capire; in tal caso le conseguenze sarebbero state terribili! Nessuno avrebbe potuto assicurarmi che, come accadde a Gopi Krishna, essa si sarebbe indirizzata verso un esito corretto, benefico.

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brutalmente il suo diritto a vivere come meglio credeva; non aveva cercato altro che la salute psicologica e non si era arrischiato ad avventurarsi in pratiche di cui non si sentiva sicuro e che, intuiva, avrebbero potuto arrecargli più problemi di quanti non ne avesse.

Considerata la mia gran passione per musica classica, pensai che una bella musica avrebbe avuto un effetto calmante, forse una protezione dall'angoscia, forse un aiuto per ritornare indietro... perché non tentare? Fu la musica di Beethoven - il suo Concerto per violino ed orchestra – a calmarmi e, mezz’ora dopo, a conciliarmi il sonno. La mattina seguente mi svegliai con la stessa paura.

Per quanto possa sembrare strano, i due fatti cardine che oggi suscitano le emozioni più intense della mia vita – che c'è una Intelligenza Divina alla base stessa di ogni cosa che esiste nell'universo e che l'uomo può praticare una precisa disciplina per entrare in sintonia con essa -- mi comunicavano un senso di orrore! La luce del sole entrava nella stanza attraverso le fessure delle imposte. Avevo un intero giorno davanti a me. Sarei uscito di casa per cercare di distrarmi in mezzo ad altre persone. Incontrai degli amici ma non dissi nulla di quello che stavo sperimentando. Passai il pomeriggio scherzando su varie cose, comportandomi proprio come le persone che avevo sempre considerato pigre e intellettualmente spente; riuscii a nascondere la mia angoscia. Il primo giorno passò così - la mia mente era logora. Dopo due giorni la paura diminuì e finalmente mi sentii sicuro. In ogni modo, qualche cosa in me era cambiata: non riuscivo infatti a pensare allo Yoga: rifuggivo da quell'idea!

Una settimana più tardi, distaccato e calmo, cominciai a pensare al significato di quello che era accaduto. Compresi la natura della mia reazione. Avevo, da codardo, volto le spalle proprio all'esperienza che avevo perseguito per così lungo tempo! La dignità presente nel profondo del mio animo mi diceva che dovevo ricominciare la ricerca dal punto dove l’avevo abbandonata, accettando tutto quello che sarebbe accaduto, lasciando che ogni cosa seguisse il suo corso, anche se ciò avesse potuto implicare la perdita della mia vita o della salute mentale. Ripresi la pratica del Pranayama, intensamente come prima. Alcuni giorni passarono e non percepii alcuna forma di paura; poi sperimentai qualche cosa di tremendamente bello. (Molti lettori riconosceranno nella seguente descrizione la loro stessa esperienza.)

Era notte. Mi trovavo rilassato in Savasana, quando percepii una piacevole sensazione, come se un vento elettrico stesse soffiando nella parte esterna del corpo, propagandosi rapidamente e con un moto ondoso, dai piedi alla testa. Il corpo era così stanco che non potevo muovermi, anche se la mia mente impartì l’ordine di muovermi. La Tranquillità era così profonda, che non avevo alcun timore. Ero capace di mantenere la totalità del mio essere assolutamente composta e serena. Poi il vento elettrico fu sostituito da un’altra sensazione, comparabile ad un’enorme forza che entrava nella spina dorsale e rapidamente saliva al cervello. Quell'esperienza fu caratterizzata da un indescrivibile e fino allora ignoto senso di beatitudine, e tutto fu accompagnato dalla percezione di un’intensa luminosità. Posso condensare tutto ciò che riesco a ricordare con un’espressione - "una certezza chiara ed euforica di esistere come oceano illimitato di consapevolezza e beatitudine! ".

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Nell’opera Dio esiste, io l’ho incontrato, l'autore, A. Frossard, tenta di descrivere un'esperienza simile usando il concetto di "valanga al contrario". La valanga è qualcosa che crolla, che va in giù, prima lentamente, poi in modo più veloce e violento allo stesso tempo. Frossard suggerisce di immaginare una "valanga al contrario" che comincia raccogliendo le forze ai piedi della montagna e sale verso l'alto spinta da un potere che aumenta e poi, improvvisamente, fa un balzo verso il cielo. Non so quanto tempo durò quest’esperienza, ma il suo culmine fu di soli pochi secondi, dopo i quali la mia coscienza mollò la presa e si lasciò cadere in un sonno calmo ed ininterrotto. La cosa strana è che nell'istante in cui la ebbi, la trovai familiare. Quando finì, mi girai di lato e caddi in un sonno calmo, ininterrotto.

Il giorno seguente, quando mi svegliai, non ci pensai. Mi ricordai di essa solo alcune ore più tardi, durante una passeggiata. Appoggiandomi ad un albero, per molti minuti fui letteralmente affascinato dal quel ricordo e dal riverbero di quello stato d’animo. Il pensiero cercava di familiarizzarsi - compito impossibile - con un'esperienza che lo travalicava. Tutto ciò che fino allora avevo pensato sullo Yoga non aveva affatto importanza. Per me l'esperienza era come essere stato colpito da un fulmine. Non avevo nemmeno la possibilità di scoprire quali parti di me erano ancora là e quali erano scomparse per sempre, non ero capace di capire realmente quello che mi era accaduto, piuttosto non ero sicuro se "qualcosa" fosse davvero accaduto.

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CAPITOLO 2IMPARO IL KRIYA YOGA

Il semplice esercizio di gioire del flusso controllato del mio respiro cambiò il corso della mia vita. Intraprendere la pratica del Pranayama fu come piantare un seme nella desolazione della mia anima: crebbe illimitatamente in gioia e libertà interiore. Questa disciplina implicò molto di più che smussare le disarmonie e conflitti entro la mia personalità o raffinare la capacità del godimento estetico: si prese cura delle mie speranze e le portò avanti.

Per quanto riguarda l'esperienza di Kundalini, apparve di nuovo nei mesi seguenti. Quando mi dedicavo a studiare fino a tardi, concedendomi dei brevi momenti di riposo (senza addormentarmi), alcuni minuti dopo che mi ero disteso a letto esausto, accadeva invariabilmente. Una certezza d’eternità, una condizione euforica che si distendeva oltre i confini della mia consapevolezza - come una specie di memoria che si nascondeva nei recessi della coscienza - cominciò a rivelarsi come se una nuova regione del mio cervello fosse stata stimolata verso una condizione di pieno risveglio.

Le attese per alcune opportunità professionali mutarono per sempre. Qualunque professione contemplassi, doveva lasciarmi il tempo necessario per le mie pratiche meditative. La prospettiva di una vita dedicata principalmente al lavoro, anelando per più libertà nella vecchiaia, incontrò un rifiuto radicale.

Mentre mi familiarizzavo col pensiero di Jung, leggendo con entusiasmo il libro della Jacobi, La psicologia analitica di C.G. Jung, e Ricordi, sogni, riflessioni di Jung, Jaffé, credetti che la pura consapevolezza che avevo imparato ad esperire per mezzo del mio esercizio quotidiano e per mezzo dell'esperienza di Kundalini fosse il Sè ipotizzato da Jung. Sentivo la necessità indiscutibile di vivere senza mai tradirlo e di scegliere una professione che mi desse l'opportunità di approfondire ogni giorno tale realizzazione.

Poiché avevo letto che il Pranayama avrebbe operato un processo di pulizia del subconscio, credetti che esso avesse il potere di guidarmi lungo il "Processo di Individuazione" come descritto da Jung. Nel mio cuore di sognatore, immaginavo che avrei fronteggiato gli archetipi dell'Inconscio Collettivo...

Chi conosce il pensiero Junghiano e ha un minimo di esperienza con la psicologia del profondo, troverà che questa idea è una follia. Come avrebbe potuto un giovane intraprendere una simile pericolosa avventura senza la guida di un psicologo appositamente preparato? Cionondimeno, questa idea mi infuse una ulteriore iniezione di entusiasmo, vigilanza e indomita volontà di migliorare incessantemente la mia esecuzione del Pranayama.

Per quanto riguarda i rapporti con gli altri, incontrai delle difficoltà. Nella mia giovanile baldanza, credevo che il Pranayama fosse prezioso per tutti e potesse aiutare i miei amici a vivere meglio. Infatti, il loro modo di agire mi appariva come improntato ad un ossessivo sforzo costante di apparire sempre gradevoli e propositivi. La grande quantità di energia che sprecavano in questa debilitante isteria, era controbilanciata da periodi in cui davano l'impressione di

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"implodere". Scomparivano per un certo tempo e, strano a dirsi, non riuscivano più a sopportare nessuna persona. Cercai di analizzare e smascherare quella che consideravo una farsa. Questo generò un reazione violenta. Risposero che ero incapace di rispettare e di mostrare disponibilità umana verso gli altri. L'essenza della meditazione Yoga che continuavo a lodare instancabilmente, appariva a loro come l'apoteosi dell'egoismo.

Solamente un amico, un "Hippy", manifestò un po' di empatia; l'unica cosa che considerava impropria era il mio eccessivo entusiasmo. Talvolta mi sentivo così disorientato. Dovetti ammettere che non ero capace di parlare esprimendo un senso genuino di rispetto e amore. Tormentato da sensi di colpa, mi convinsi che stavo effettivamente sfruttando le confessioni e i racconti dei miei amici solo per cercare conferma alle mie teorie. Comunque, proseguii lungo la strada che mi ero scelto, ben deciso a migliorare l’arte del respiro.

P.Y. nella sua autobiografia accenna al Kriya Yoga, quel genere di Pranayama, che fu per primo insegnato da Lahiri Mahasaya. Egli scrisse che questa tecnica avrebbe dovuto essere padroneggiata in quattro stadi successivi. Questo fatto accese la mia curiosità. Lahiri Mahasaya era dipinto come l'incarnazione dello Yoga: questo mi faceva pensare che ci doveva essere qualcosa di unico nel suo "sentiero"! Amavo il Pranayama e l’idea di approfondirlo attraverso quattro livelli mi sembrava qualcosa di meraviglioso: se le tecniche che avevo già praticato mi avevano dato risultati così belli, era chiaro che un sistema fatto di quattro livelli li avrebbe ingigantiti!

Continuai a leggere i libri di P.Y. Ero stupito dalla sua personalità, dotata d’incomparabile potere di volontà e spirito pratico. Non mi emozionava quando parlava con un tono puramente devozionale, bensì quando assumeva un tono tecnico che mi permetteva di avvicinarmi a qualche aspetto dell'arte sottile del Kriya -- allora la consideravo un'arte in continuo perfezionamento, non un impegno religioso. Ciò che riuscii a intuire fu che il Pranayama insegnato nel Kriya Yoga consisteva di un modo di respirare lento e profondo, mentre la consapevolezza era focalizzata sulla spina dorsale. In qualche modo l'energia interiore veniva fatta ruotare attorno ai Chakra. L'autore poneva l’accento sul valore evolutivo del Pranayama, non solo includendo il lato spirituale di un uomo ma anche i suoi lati fisici e mentali. Spiegava che se noi paragoniamo la spina dorsale ad una sostanza ferromagnetica, costituita, come insegna la Fisica, di magneti elementari che si volgono verso la stessa direzione quando un campo magnetico è sovrapposto ad essi, allora l'azione del Pranayama è analoga a questo processo di magnetizzazione. Creando un orientamento uniforme di tutte le parti "sottili" dell’essenza fisica e astrale della nostra spina dorsale, il Kriya Pranayama brucia i cosiddetti "cattivi semi" del nostro Karma. Ci riferiamo al Karma allorquando riportiamo la comune credenza che una persona erediti dalle vite precedenti una gran massa di tendenze latenti, comparabili a semi destinati a fiorire, alla fine, nella vita attuale.

Naturalmente il Kriya è una pratica che può essere sperimentata senza dovere necessariamente accettare alcun credo. Comunque, siccome il concetto di Karma sta alla base del pensiero indiano, vale la pena di comprenderlo e parlarne liberamente. Secondo questa credenza, il Pranayama può essere considerato un

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processo che esaurisce gli effetti di quei semi prima che si manifestino nelle nostre vite. È spiegato ulteriormente che le persone che sono attirate intuitivamente da metodi di sviluppo spirituale come il Kriya, hanno già praticato qualcosa di analogo nell’"incarnazione precedente". Si fa notare, infatti, che tale azione non è mai invano e nella presente incarnazione la persona riprende il suo cammino esattamente da dove, in un passato remoto, lo aveva abbandonato.

Mi chiedevo se i quattro livelli del Kriya consistessero nello sviluppare un processo di concentrazione sempre più profondo nella spina dorsale, includendo anche la consapevolezza di particolari aree nel cervello. La mia immaginazione era scatenata e il mio fervore cresceva.

Il mio problema urgente era decidere se dovevo, o no, partire per l'India dove cercare un insegnante per ottenere tutti i chiarimenti necessari al Kriya. Siccome progettavo di completare al più presto possibile i miei studi universitari, esclusi un viaggio immediato.

Un giorno, rileggendo un testo di P.Y. venni a sapere, con mio grande stupore, che questi aveva scritto un intero corso di lezioni sul Kriya, e che queste si potevano ricevere per corrispondenza. Ciò mi avrebbe risparmiato, almeno per alcuni anni un viaggio in India. Mi iscrissi il più velocemente possibile a tale corso. Il materiale scritto viaggiava per nave e i ritardi erano enormi. Quando, dopo quattro mesi, ricevetti la prima lezione, venni a sapere che avrei dovuto proseguire il corso per corrispondenza per almeno un anno prima di poter fare richiesta della lezioni sul Kriya. 4

Nel frattempo, decisi di migliorare gli esercizi che già praticavo, usando i libri che potevo trovare - poco importava in che lingua fossero scritti. Per lo meno ora sapevo cosa ricercare: un tipo di Pranayama in cui si dovesse visualizzare l'energia che ruota in qualche modo attorno ai Chakra. Se questo era - come P.Y. affermava - un processo universale, avevo delle buone probabilità di rintracciarlo presso altre fonti.

Qualcosa riposto in un angolo della mia memoria mi ritornò vivo davanti agli occhi. Mi ricordavo, indistintamente, di aver visto, in un libro di occultismo, dei disegni che ritraevano, di profilo, una persona: c’erano diversi circuiti di movimento energetico che attraversavano il suo corpo. Nacque l’idea di cercare la necessaria informazione nella sfera esoterica piuttosto che nei libri classici di Yoga – come gli Yoga Sutra di Patanjali, lo Hatha Yoga Pradipika.

Cominciai a frequentare una rivendita di libri usati; era molto ben fornita, probabilmente perché una volta era stata la libreria di riferimento della Società Teosofica. Trascurai i testi che trattavano solo di temi filosofici, mentre, estatico e senza badare al tempo, sfogliavo quelli che illustravano degli esercizi pratici. Prima di acquistare un libro mi assicuravo che accennasse alla possibilità di guidare l'energia lungo certi condotti interni, creando così le condizioni per il risveglio dell'energia Kundalini. Fin dalla prima visita fui molto fortunato; leggendo l'indice di un testo in tre volumi, che presentava il pensiero magico della confraternita Rosacroce, fui

4 E ancora potevo ritenermi fortunato. Coloro che abitavano oltre la cortina di ferro (la vicina Yugoslavia per esempio) non potevano ricevere tale materiale.

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attirato dal titolo di un capitolo: Esercizio di respirazione per il risveglio di Kundalini. Si trattava di un approfondimento del Nadi Sodhana; questo era, secondo gli autori, il segreto per svegliare l'energia misteriosa! Delle note ammonivano che l'esercizio non doveva essere usato in modo esagerato, perché rischiava di risvegliare Kundalini prematuramente. Ciò doveva essere evitato con tutti i mezzi. Di sicuro, questo non poteva essere il Kriya di P.Y., il quale, da vari indizi, non era eseguito respirando alternativamente attraverso le narici.

Continuai a frequentare la libreria; il proprietario era molto gentile con me ed io mi sentivo quasi obbligato, anche in considerazione del prezzo conveniente dei libri - di seconda mano ma in condizioni perfette - di comprarne almeno uno ad ogni visita. Spesso troppo spazio era destinato a teorie che rifuggivano dai semplici concetti che trattavano della vita pratica, cercando di descrivere quello che non è visto, quello che non può essere sperimentato - come i mondi astrali, i vari gusci sottili d’energia che avvolgono il nostro corpo fisico.

Un giorno, dopo una faticosa selezione, mi avvicinai al proprietario tenendo in mano un libro; forse mi lesse negli occhi che non ero sicuro del suo valore e mentre lo riguardava decidendo il prezzo, sembrò ricordare qualche cosa che avrebbe potuto accendere il mio interesse. Mi condusse in un angolo nascosto del suo negozio e m’invitò a frugare in un mucchio disordinato di fogli contenuti in una scatola di cartone. Tra una quantità consistente di materiale miscellaneo (serie complete della rivista teosofica, note sparse di un vecchio corso di ipnosi ecc.) - trovai un libretto, scritto in tedesco da un certo K. Spiesberger che illustrava diverse tecniche esoteriche tra cui il Respiro Kundalini. Non avevo allora abbastanza dimestichezza con la lingua tedesca, ma riuscii ad intuire subito la straordinaria importanza di quella tecnica; a casa, con l'aiuto di un dizionario, sarei riuscito indubbiamente a decifrarla.5

La descrizione di questa tecnica ancora mi stupisce; l’autore, infatti, non era tanto vicino al Kriya di Lahiri Mahasaya quanto alla versione portata in occidente da P.Y.. Durante un respiro profondo, l'aria era immaginata, invece del suo corso abituale, fluire dentro la colonna spinale; era perciò indicata la visualizzazione di questa come un tubo vuoto. Inspirando l'aria, questa doveva essere immaginata fluire dentro il tubo cavo dalla base fino alla zona tra le sopracciglia; espirando, si sarebbe dovuto sentire che l'aria andava in giù verso il Muladhara lungo lo stesso percorso. C'era anche la descrizione di due particolari suoni che l'aria originava nella gola.

In un altro libro, in Inglese, c’era una descrizione esaustiva del Respiro Magico - che era circa lo stesso esercizio, ma la differenza consisteva nel visualizzare/sentire l'energia intorno alla spina dorsale, seguendo un percorso ellittico, non entro di essa. Tramite l'inspirazione, l'energia saliva dietro la

5 Sorrido quando sento persone affermare di essere appassionate di Kriya, e tuttavia non si danno da fare nello studiare importanti testi in inglese, avendo paura – così dicono - di interpretare male tale idioma! Sono convinto che il loro interesse è superficiale e piuttosto emotivo. Tale era il mio entusiasmo, che sarei stato in grado di mettermi a studiare il Sanscrito o il Cinese, o qualsiasi altra lingua nella quale, ahimè, fossero stati compilati gli insegnamenti essenziali del Pranayama!

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colonna spinale, fino al centro della testa; espirando, scendeva lungo la parte frontale del corpo, proprio come nella "Orbita microcosmica", la tecnica descritta nei testi dell'Alchimia Interiore che rappresenta la tradizione mistica dell’antica Cina.

Lasciai da parte tutto l'altro materiale. L’espressione di soddisfazione con la quale mi presentai al proprietario della libreria, come se avessi trovato un tesoro di valore insondabile, mi cagionò certamente un aumento di prezzo. Ritornando a casa, non potevo non trattenermi dallo sfogliare quelle pagine, molto curioso a riguardo di alcuni disegni grezzi che illustravano altre tecniche basate sul movimento dell’energia interiore. Lessi che il Respiro Magico era uno dei segreti più preziosi di tutti i tempi: questo mi riempii del più grande entusiasmo; se praticato costantemente, con forza di visualizzazione, avrebbe costruito una specie di sostanza interna che avrebbe poi condotto alla visione dell'occhio spirituale.

Mi convinsi che il Respiro Magico era il Kriya di Lahiri Mahasaya. Lo incorporai nella mia routine quotidiana: esso sostituiva la pratica dell'Ujjayi Pranayama. Ero molto soddisfatto anche se nelle settimane successive non percepii dei sostanziali mutamenti nel mio stato d'animo e nella mie percezioni.

Incontro altri kriyaban Una lettera dell'organizzazione mi informò dell’esistenza di altre persone, vicino a me, che praticavano il Kriya Yoga e che avevano formato un gruppo. Ne fui entusiasta, fremevo dell’anticipazione gioiosa di incontrarle. Quella sera riuscii a stento a prendere sonno.

Il primo contatto avvenne incontrando il kriyaban (colui che pratica il Kriya) che organizzava quelle riunioni. Con grande entusiasmo ed una specie d’euforia, nutrita dalle mie recenti esperienze spirituali, mi avvicinai a lui nella speranza di ricevere maggiori dettagli sulla tecnica del Kriya. "Troppo brillanti erano i nostri cieli, troppo distante, troppo fragile la loro eterea sostanza", scrisse Sri Aurobindo: non avrei mai pensato che alle conseguenze del nostro incontro si sarebbero potute applicare tali parole! Con amara ironia, direi che la fase attuale della mia esistenza era troppo felice per durare. La vita è fatta di brevi momenti di tranquillità ed equilibrio immersi tra alternate vicissitudini durante le quali una persona sperimenta i problemi, le limitazioni, le deformazioni causate dalla mente umana. Avvicinandomi a tale personaggio con totale e disarmante sincerità, non potevo rendermi conto di quale duro colpo stessi per ricevere.

Visibilmente emozionato, mi diede il benvenuto, sinceramente entusiasta di incontrare uno con cui condividere la sua passione. Sin dal primo istante del nostro incontro - non avevo ancora varcato la soglia della sua casa - gli dissi quanto fossi entusiasta della pratica del Kriya! Di rimando mi chiese quando fossi stato iniziato al Kriya, dando per scontato che l’avessi ricevuto dalla stessa organizzazione di cui lui era un membro. Quando seppe come avevo imparato la tecnica, rimase pietrificato, mostrando un sorriso amaro di sconforto. Era come se gli avessi dichiarato di essere l'autore del più gran crimine.

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Mi disse con enfasi che il Kriya non poteva essere appreso attraverso libri. Cominciò il racconto - che in seguito avrei avuto l'opportunità d’ascoltare tante volte fino alla nausea - dello yogi tibetano Milarepa che, avendo acquisito senza le benedizioni del suo Guru, delle tecniche spirituali, non ricavando risultati incoraggianti anche se queste erano state praticate con grande intensità, ricevette finalmente le stesse istruzioni dalla bocca del suo Guru - con le benedizioni di questo - ed i risultati questa volta arrivarono facilmente!

Sappiamo che la mente umana è condizionata più da una storia che dall'inferenza logica! Un aneddoto come questo, anche se completamente immaginato, tanto per costruire la trama di un romanzo, possiede un genere di "luminosità interna" che condiziona il buon senso di una persona: suscitando una emozione in noi, può far accettare conclusioni che apparirebbero assurde alla facoltà raziocinante. Questa storia mi ammutolì, non seppi cosa rispondere.

C'era solamente un modo per imparare il Kriya: essere iniziato da un "Ministro" autorizzato dalla direzione della sua organizzazione! Secondo quanto diceva, nessun'altra persona era autorizzata a insegnare quella tecnica. Lui, e tutte le altre persone del gruppo, avevano ricevuto la tecnica, sottoscrivendo una precisa e solenne promessa di "segretezza"! Segretezza!

Come insolito risuonò tale termine alle mie orecchie, che strano richiamo, che misteriosa fascinazione esercitò sul mio essere! Fino a quel momento avevo sempre creduto che fosse di poco o di nessun valore il modo in cui un certo insegnamento fosse appreso, su quale genere di libri fosse stato studiato; l'unica cosa importante era che dovesse essere praticato in modo corretto, con l’aggiunta, auspicabile, del costante desiderio di perfezionarlo. Cominciò ad entrarmi in testa l'idea che fosse una bella cosa quella di proteggere un insegnamento prezioso da occhi indiscreti. (In seguito, nel corso di molti anni, fui testimone di una serie innumerabile di assurdità che si originarono da questa richiesta; in modo drammatico, ebbi l’evidenza che essa portò delle ripercussioni miserabili nella vita di migliaia di persone.)

Fissandomi direttamente negli occhi, con un enorme impatto emotivo cominciò a dirmi che una pratica imparata da qualsivoglia altra fonte "non valeva nulla, non sarebbe stata effettiva per quanto riguarda la finalità spirituale", ed eventuali effetti, solo apparentemente incoraggianti, sarebbero stati "solo una pericolosa illusione nella quale l'ego sarebbe rimasto intrappolato per molto tempo".

Infiammato da una fede assoluta, si lanciò in una digressione sul valore del "Guru" - Maestro spirituale - un concetto che per me rimaneva enigmatico, anche perché attribuito ad una persona che non era stata conosciuta direttamente. In base a quello che mi comunicava, poiché lui era stato iniziato al Kriya da canali legittimi, P.Y. era una presenza reale nella sua vita: era il suo Guru. La stessa cosa avveniva per coloro che appartenevano al suo gruppo. Il loro "Guru" era l’aiuto che Dio stesso aveva loro inviato, quindi un tale evento era "la più gran fortuna che potesse accadere ad un essere umano". La conseguenza logica - e l’amico rilevò questo con grande enfasi - era che abbandonare di conseguenza tale forma d’aiuto, o cercare un percorso spirituale diverso, equivaleva a "rifiutare con disprezzo la mano del Divino protesa in benedizione".

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Sorrise, poi mi condusse nella sua stanza e mi chiese di dimostrare per lui la mia tecnica Kriya appresa dai libri. Era naturalmente curioso e, suppongo, dalla speranza di verificare un ben radicato pregiudizio secondo cui la tecnica, appresa fuori dai canali legittimi non poteva essere - a causa di una particolare legge spirituale - che corrotta. Fu sollevato, intimamente rassicurato quando vide che stavo respirando attraverso il naso e non attraverso la bocca, come a lui era stato detto di fare; la mia pratica era - secondo la sua impressione - chiaramente sbagliata. Mi chiese di spiegare più profondamente quello che visualizzavo internamente durante la mia respirazione e, mentre glielo stavo descrivendo, vedevo una soddisfazione intima che si diffondeva sul suo volto.

Il lettore ricorderà che, secondo i libri letti, l’energia interiore poteva essere guidata sia lungo un percorso ellittico attorno ai Chakra sia in su e in giù dentro la spina dorsale. Avevo provato entrambi i metodi ma, poiché P.Y. aveva scritto che la pratica del Kriya avveniva facendo ruotare l'energia attorno ai Chakra, mi ero abituato principalmente al primo metodo; perciò questa fu la versione che esposi. Inoltre, avendo letto in un altro libro che durante il Kriya Pranayama si doveva cantare mentalmente Om nei Chakra, aggiunsi anche questo dettaglio. Non potevo immaginare che P.Y. avesse deciso di semplificare le istruzioni e insegnare in occidente l’altra variante omettendo il canto mentale di Om. Mentre parlavo, il mio amico non riconobbe il suo Kriya. Il "segreto" cui lui era legato non era dunque stato violato da alcun autore dei miei libri esoterici!

La situazione era davvero bizzarra: gli stavo esponendo quello che a tutti gli effetti era davvero il Pranayama originale di Lahiri Mahasaya e lui sorrideva con espressione sarcastica, sicuro al cento per cento che stessi dicendo delle sciocchezze! Fingendo di sentirsi addolorato per la mia naturale disillusione, mi confermò in un tono ufficiale, definitivo, che la mia tecnica "non aveva niente a che fare con il Kriya Pranayama"!

Poiché la mia posizione era totalmente inconsistente, mi raccomandò di spedire una descrizione scritta, precisa e dettagliata, delle mie vicissitudini alla direzione della scuola, nella speranza che loro mi accettassero come discepolo. Solo allora avrei potuto legittimamente far parte della grande famiglia del Kriya e praticare in modo sicuro sotto la loro sorveglianza.

Ero come inebetito dal tono che il nostro dialogo stava assumendo; per riattivare l'amabilità iniziale della riunione tentai di rassicurarlo parlando degli effetti positivi che avevo ottenuto con la mia pratica. Quest’affermazione ebbe l'effetto di peggiore la situazione, dandogli l'opportunità per una seconda reprimenda, davvero non completamente sbagliata, ma in ogni modo fuori luogo. Mi chiarì che, nella pratica del Kriya, non avrei mai dovuto cercare degli effetti tangibili; meno ancora vantarmene, perché così "li avrei persi". Quel "bravo giovine", senza rendersi conto, si era cacciato in una chiara contraddizione: stava dicendo che i risultati erano importanti ed uno non doveva neppure rischiare di perderli raccontandoli ma, poco prima, aveva sottolineato che non valevano niente. Realizzando che mi aveva dedicato fin troppo del suo tempo, una strana metamorfosi avvenne nel suo comportamento. Era come se tutto un tratto fosse stato investito da un ruolo sacro: promise che avrebbe pregato per me!Per quel giorno, almeno, avevo perso la partita. Dissi all'amico che avrei seguito

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il suo consiglio. In effetti, da quel momento abbandonai del tutto il Pranayama. La mia pratica si restrinse a semplicemente centrare la mia attenzione nel punto tra le sopracciglia (Kutastha) -- come mi aveva suggerito.

Recito la parte del devoto

Il gruppo di persone che praticavano il Kriya s’incontravano due volte a settimana per praticare insieme tali tecniche. La stanza dedicata alla meditazione aveva un arredamento essenziale, ma piacevole. I membri si erano auto tassati per affittarla affinché la sua fruizione non dipendesse dai capricci del proprietario, e anche per il piacere di consacrarla esclusivamente ad un uso spirituale.

La mia frequentazione avvenne in un periodo che ricordo con particolare nostalgia: l'ascoltare canti spirituali indiani, tradotti ed armonizzati all'occidentale e, soprattutto, il fatto di meditare insieme era una vera gioia! Tutto mi sembrava paradisiaco - anche se l'ammontare di tempo dedicato alla pratica delle tecniche era davvero corto: non più di 20 minuti, spesso solo 15. Una sessione di pratica collettiva, di particolare ispirazione, arricchita da canti devozionali, avveniva alla vigilia di Natale e durava molte ore. Al termine di ciascuna seduta di meditazione era previsto che ci allontanassimo in silenzio, perciò cominciai a conoscere più da vicino i miei nuovi amici solo durante gli incontri mensili. In effetti, una volta il mese c’era il "pranzo sociale". Era una bella occasione di passare insieme del tempo parlando e rallegrandosi della reciproca compagnia. Perché molti di noi non godevano dell'approvazione e meno ancora dell'appoggio nella pratica dello Yoga da parte della loro famiglia, l'occasione unica di trovarsi fra persone con le stesse idee ed interessi era un'esperienza di gran serenità e rilassamento.

Sfortunatamente un certo imbarazzo rovinava la piacevolezza degli incontri. La direzione dell’organizzazione chiedeva di non parlare tra noi di altri percorsi spirituali e di non trattare i specifici dettagli del Kriya. Tale compito doveva essere riservato solamente a persone di proposito autorizzate dalla scuola e nel nostro gruppo nessuno aveva ricevuto tale autorizzazione. Durante gli incontri, la necessità di indirizzare i contenuti delle conversazioni su binari ben definiti rendeva difficile trovare un argomento di conversazione che rispettasse le regole, essendo, nello stesso tempo, interessante. Non era certo quello il luogo per pettegolezzi mondani, disadatti a gruppo spirituale. Certo si poteva conversare sulla bellezza del percorso Kriya, sulla gran fortuna di averlo trovato!

Ma, come si può presumere, dopo alcune riunioni di "reciproca esaltazione", cominciò a regnare nel gruppo una noia quasi allucinante. Come ultima risorsa, qualcuno si arrischiava a fare qualche battuta innocente; non si trattava certo di storielle che potevano offendere qualcuno, ma di un uso moderato del senso dell'humour. Purtroppo questo si scontrava con l'atteggiamento ispirato a devozione tenuto dalla maggior parte dei membri e capitolava di fronte alla loro fredda reazione, incapace di mostrare una sola briciola di vera giovialità. Non posso certo dire che le persone erano sul depresso

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andante, anzi parevano divinamente felici, ma quando si cercava di apparire simpatici, si riceveva uno sguardo e un abbozzo di sorriso che ti lasciava raggelato per il resto della giornata.

Non ci si deve meravigliare che il gruppo fosse caratterizzato da un grande riciclo; molti, entrati con entusiasmo, dopo alcuni mesi non solo decidevano di abbandonarlo ma poi si davano da fare per rimuovere completamente quell'esperienza dalla loro coscienza.

Il mio temperamento aperto mi permise di avvicinare qualche persona e stabilire un legame che più tardi divenne vera amicizia. Comunque, non era così facile trovare quello che si poteva chiamare un libero ricercatore nel campo spirituale: molti erano "devoti" dalla intensa carica emotiva che indossavano un paraocchi. Anche se cercavo di fare del mio meglio per convincermi di trovarmi fra individui simili a me - vale a dire appassionati, entusiasti del Kriya - dovetti ammettere che la realtà era ben diversa! Alcuni reagivano al mio entusiasmo con un certo fastidio: non potevano credere che non coltivassi alcun dubbio o incertezza verso il sentiero del Kriya. Consideravano la mia euforia quella tipica di un principiante immaturo.

Con lo scopo non ben celato di ricevere qualche delucidazione sulla tecnica del Kriya, in svariate occasioni provai a discutere quella che era stata la mia pratica di esso come l'avevo appresa dai libri. Speravo che qualcuno, facendo qualche osservazione su di essa si lasciasse scappare il segreto. Nessun "corteggiamento" riuscì ad estrarre da loro nemmeno una briciola d’informazione. Tutti ripetevano che non erano "autorizzati a dare spiegazioni": questa regola era strettamente rispettata.

Una persona che praticava il Kriya da molti anni mi disse: "Quando riceverai il Kriya resterai deluso". Ancora oggi non so cosa volesse dire. Mentre continuavo a ricevere da chiunque, anche senza chiederle, lezioni di devozione, umiltà e lealtà, il mio interesse per il Kriya divenne una vera e propria brama, una febbre che mi consumava. Un kriyaban si prese gioco di me e, con malcelata crudeltà, e mi disse: "Vedrai che a te il Kriya neanche lo daranno, perché un devoto non deve desiderare una tecnica con tanta intensità: Dio si trova anzitutto con la devozione e l’abbandono alla Sua volontà". Per conto mio cercavo di stare buono; attendevo e sognavo.

Studiando il corso per corrispondenza, imparai diversi modi per creare delle abitudini salutari e come comportarmi onde non ostacolare ma anzi favorire il fiorire delle mie esperienze spirituali. Cercai in ogni modo di abbracciare la visione religiosa Induista-Cristiana della scuola. Fu facile per me ammirare e amare la figura di Krishna, immaginandoLo come la quintessenza di ogni bellezza; più difficile fu avvicinarsi alla figura della Divina Madre, che non era la Madonna, ma un addolcimento dell’idea della dea Kalì. Tanto mi diedi da fare che mi allontanai di molto da me stesso.

Quello che stavo facendo era recitare una parte veramente penosa: quello del devoto umile. Non so come facevo a non urlare di disperazione. Eppure mi piacevano gli scritti di P.Y. Talvolta trovavo un suo particolare pensiero così bello e così perfetto che lo scrivevo su un foglio di carta e lo tenevo davanti a me sulla scrivania, mentre studiavo.

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Tecniche preliminari al Kriya

Ricevetti anche le due tecniche Hong so e Om. La prima (detta Hong-so a causa del Mantra impiegato) calma il respiro e l’intero sistema psicofisico; la seconda riguarda l’ascolto dei suoni interiori (astrali) che, approfondendo, si mescolano, si fondono col suono di Om. Non ricevetti queste istruzioni in un’unica sessione ma in due momenti diversi - la seconda due mesi più tardi. Ebbi perciò la splendida opportunità di dedicarmi per molte settimane solamente alla prima tecnica e, per altri mesi, alla combinazione delle due: la prima il mattino, la seconda di notte. Potei sperimentare perciò il significato e la bellezza di ciascuna. [ Commenterò ulteriormente queste tecniche nella Appendice II]

Mi recai presso una signora anziana che era stata in corrispondenza con P.Y. stesso. Grazie alla sua serietà, sincerità e comportamento leale, aveva ricevuto l’autorizzazione di controllare o spiegare queste tecniche. Il suo temperamento era molto dolce e sembrava più incline alla comprensione che alla censura. Aiutò me ed un piccolo gruppo di persone a praticare correttamente queste tecniche e mi corresse anche i cosiddetti "Esercizi di Ricarica" che avevo già appreso dalle lezioni scritte. Questi erano degli esercizi fisici simili alla ginnastica isometrica che si praticavano stando in piedi. In essi la forza della concentrazione dirigeva il Prana in tutte le parti del corpo.

Poi ripassò la tecnica Hong So che tutti noi avevamo già imparato e praticato. Prevedendo il pensiero che si stava formando nella mente di qualcuno, la mia insegnante precisò che la tecnica Hong so, nonostante la sua apparente semplicità, non era per niente facile! Disse che se i risultati mi avessero deluso, la causa sarebbe stata alcuni sottili errori nella pratica. Rimase un po' sul vago ma, con un sorriso incoraggiante, concluse: "La tecnica contiene tutto ciò di cui avete bisogno per entrare in contatto con l'Essenza Divina".

In particolare, si soffermò sulla tecnica Om. Spiegò che P.Y. aveva cercato di illustrare in modo nuovo l'insegnamento della Trinità. Om è l'Amen della Bibbia - lo Spirito Santo, il suono "testimone" della vibrazione dell'energia che sostiene l'universo. La tecnica Om che stavo per imparare, una scoperta che i mistici fecero tempo addietro, rende possibile percepire tale vibrazione. Grazie ad essa è possibile essere guidati verso l’esperienza del "Figlio" - la consapevolezza Divina presente all’interno della vibrazione energetica summenzionata. Alla fine del proprio viaggio spirituale, uno può raggiungere la più alta realtà: il "Padre" - la consapevolezza Divina che risiede oltre tutto ciò che esiste nell'universo. 6

Il chiarimento ricevuto dalla signora era caratterizzato da un tale sentimento di sacralità che rimase con me nei mesi seguenti e mi aiutò a superare la fase

6 Tale tecnica non appartiene a quelle incluse nel Kriya originale, nel quale i suoni interiori si manifestano senza chiudere le orecchie. Non è una invenzione di P.Y. in quanto è descritta ampiamente nei libri di yoga classico, col nome di Nada Yoga - "lo Yoga del suono." Essa è un’ottima tecnica di preparazione al Kriya in quanto invece di porre l’accento sul "fare" insegna l’atteggiamento di "percepire".

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iniziale della pratica nella quale sembrava improbabile che i suoni interiori apparissero.

Ripenso con nostalgia a quel tempo in cui vivevo confinato nella mia stanza come un eremita. Dopo tre settimane di pratica assidua, un giorno, dopo circa dieci minuti dall’inizio, mi resi conto che stavo ascoltando un suono interiore. Non avvenne all’improvviso: era come se lo stessi già ascoltando da alcuni minuti. Mi trovavo in uno stato di gran rilassamento, il suono mi ricordava il ronzio di una zanzara, poi finalmente si trasformò nel suono di una distante campana, che era un abbraccio di dolcezza. Si trattò di una vera esperienza estatica e si manifestò in un modo talmente strano che mi incantò. Ascoltare il suono interiore dell'Om significò toccare la Bellezza stessa. Non riesco ad immaginare qualcosa di simile che possa far sentire una persona così a proprio agio. Per la prima volta nella mia vita sentii che il concetto di "devozione" aveva un senso.

Appresi a mie spese che non ci si deve mai distaccare volontariamente da quel contatto. Un giorno, mentre mi rilassavo e godevo la vita, decisi di interrompere volontariamente quello stato di grazia, come se esso costituisse un impedimento ad essere pienamente socievole. Non mi rendevo conto che questo apparentemente innocuo e istintivo "tradimento" mi avrebbe reso incapace di entrare in sintonia con la realtà Omkar per un tempo molto lungo. Mi sentivo disperatamente estraneo a quella realtà: dovetti ricreare daccapo un pezzo enorme della mia vita. Incredulo, dovetti riscoprire le motivazioni che mi avevano portato al sentiero spirituale. Come uno che è sbarcato in un altro continente, dovetti trovare di nuovo la mia sorgente vivente di entusiasmo.

Ricordi della cerimonia di iniziazione al Kriya Yoga

Alla fine venne il momento in cui potei formalmente richiedere l’insegnamento per corrispondenza del Kriya. Passarono quattro mesi, ogni giorno speravo di ricevere il tanto desiderato materiale, finalmente arrivò una busta. La apersi con un’aspettativa che non riesco a descrivere: rimasi profondamente deluso perché conteneva soltanto altro materiale introduttivo. Dall’indice del materiale, posto alla prima pagina, compresi che la lezione che tenevo in mano era la prima di una serie e che la tecnica completa sarebbe giunta entro circa quattro settimane. Così, per un altro mese, avrei dovuto studiare le solite filastrocche che conoscevo a memoria.

Avvenne invece che nel frattempo un Ministro di quella organizzazione visitò il nostro paese e potei partecipare ad una cerimonia di iniziazione. Dopo mesi di attesa, finalmente giunse il tempo di "stringere un patto eterno con il Guru e ricevere la tecnica Kriya nell’unica maniera legittima, carica quindi delle Sue benedizioni". Quelli che, come me, erano pronti a ricevere l'iniziazione, erano circa un centinaio. Ci trovammo in una bellissima stanza, affittata per l'occasione ad un costo molto elevato, decorata con tantissimi fiori, quanti non ne ho mai visti in vita mia, neanche nei più sontuosi matrimoni! L’introduzione alla cerimonia avvenne in un modo sfarzoso: una trentina di persone indossando una

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sobria uniforme, entrarono in fila nella stanza, con atteggiamento solenne e mani giunte in preghiera. Mi venne spiegato che quelle persone facevano parte del gruppo locale il cui capogruppo era uno stilista il quale aveva preparato la coreografia di quella entrata trionfale. I due Ministri, appena arrivati dall'estero camminavano umilmente, disorientati, dietro di loro. La cerimonia vera e propria incominciò. Accettai senza obiezioni che ci fosse richiesta una promessa di fedeltà eterna non solo al Guru P.Y. ma anche ad una catena formata da altri cinque Maestri: Lahiri Mahasaya ne era un anello intermedio mentre P.Y. era il così detto Guru-precettore, ovvero colui che si sarebbe parzialmente assunto il peso del nostro Karma.

Sarebbe stato veramente strano se nessuno avesse avuto dubbi su quest’ultimo evento: ricordo, infatti, che un’amica mi chiese se P.Y. - non potendo confermarlo, essendo residente nei mondi astrali - l'avesse realmente accettata come "discepola" prendendosi, di conseguenza, anche il fardello del suo Karma. Ci assicurarono che il Cristo apparteneva a questa catena di Maestri e che un tempo era apparso a Babaji (Guru di Lahiri Mahasaya) chiedendogli di mandare qualche emissario nell'Ovest per diffondere l'insegnamento del Kriya. Questa storia non mi provocò alcuna perplessità: forse non avevo il tempo di pensarci. Ero ansioso di ascoltare la spiegazione della tecnica che sarebbe avvenuta di lì a poco. D’altro canto, considerare che la missione di diffusione del Kriya, fosse originata dal Cristo stesso era un’idea assai carina.

La tecnica Kriya incarnava le più effettive benedizioni di Dio alla Sua creatura privilegiata, l'essere umano, dotata, a differenza degli animali, di sette Chakra. La scala mistica dei Chakra fatta di sette gradini è la vera autostrada verso la salvezza, la via più veloce e più sicura. La mia mente era in una condizione d’enorme attesa per quello che avevo desiderato con tutto il mio essere: per questo mi ero seriamente preparato da mesi. Non partecipavo ad una cerimonia per far contento qualcuno o per salvaguardare una tradizione di famiglia: essa rappresentava il coronamento di una scelta definitiva! Il mio cuore era immensamente e perfettamente felice anticipando la gioia che sarebbe scaturita dalla pratica del Kriya.

Quando arrivammo alla spiegazione del Kriya Pranayama, scoprii che già conoscevo la tecnica: si trattava del Respiro Kundalini che avevo trovato tempo addietro nelle mie letture esoteriche - quello in cui la corrente energetica fluiva totalmente all’interno della spina dorsale. Ho già spiegato che non lo avevo preso in seria considerazione poiché P.Y. nei suoi scritti aveva scritto che l’energia ruotava "attorno ai Chakra, lungo un circuito ellittico". Non fui deluso come mi era stato profetizzato, anzi, la tecnica mi sembrava perfetta. La spiegazione delle tecniche Maha Mudra e Jyoti Mudra (non usavano mai il termine più comune Yoni) concludeva le istruzioni tecniche. Tutte le tecniche vennero spiegate nei minimi dettagli, in un modo che non ammetteva la minima variante e, inoltre, venne caldamente raccomandata una precisa routine. Se fosse sorto il minimo dubbio sulla correttezza di un certo dettaglio, nessuno era incoraggiato a tentare un esperimento per conto proprio e trarre da sé le conclusioni. L'unica azione "corretta" era quella di prendere contatto con la direzione della scuola, esporre il problema, ricevere i consigli appropriati.

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Questo, in effetti, fu quello che sempre feci. Imparai ad interagire solamente con persone "autorizzate"; cercavo con molta serietà il loro giudizio come se fosse dato da esseri perfetti che non potevano sbagliare. Credevo che fossero dei "canali" attraverso i quali le benedizioni del Guru fluivano. Inoltre, ero intimamente convinto che - anche se non lo ammettevano per umiltà - loro avessero già raggiunto il più alto livello di realizzazione spirituale.

Problemi con la routine

Trascorsi degli anni molto belli praticando ogni giorno, mattino e sera, le tecniche ricevute (Esercizi di ricarica, tecniche Hong-so e Om, procedura in tre parti del Kriya Yoga. Ebbi dei problemi con la routine che ora mi accingo a discutere. Questi problemi si sarebbero risolti facilmente se solo avessi usato il buon senso.

La routine prevedeva che il primo esercizio da praticarsi fosse la tecnica di osservazione del respiro (la tecnica Hong-so) che durava da dieci a quindici minuti. Il respiro si sarebbe calmato e ciò avrebbe creato un buon livello di concentrazione. Poi, dopo avere messo gli avambracci su un appoggio, iniziava l'ascolto dei suoni interiori -- questo avrebbe richiesto circa lo stesso tempo. Poi ci sarebbe stata un'altra interruzione a causa del Maha Mudra. Infine, ritornando nella posizione immobile e cercando di ripristinare lo stato di sacralità, s’incominciava il Kriya Pranayama nel rigido rispetto di tutte le istruzioni. Dopo lo Jyoti Mudra, la routine Kriya si sarebbe conclusa con dieci minuti di pura concentrazione nel Kutastha assorbendo gli effetti della pratica.

Nella mia esperienza pratica, le due tecniche preliminari erano profondamente sacrificate, mentre il tempo da dedicarsi alla concentrazione finale era troppo breve. Durante l’esecuzione della tecnica Hong-so, il pensiero che presto avrei dovuto interromperla per passare alla tecnica Om mi creava una sensazione di disturbo, limitando il mio abbandono totale alla sua bellezza. Lo stesso accadeva con la seconda tecnica, che veniva interrotta per praticare il Maha Mudra e il Pranayama. La tecnica d’ascolto dell'Om era in se stessa un universo "completo" e portava all'esperienza mistica: ecco perché l'atto di interromperla era qualcosa di peggio che un semplice disturbo.

Era incompatibile con ogni logica; come se, riconosciuto con piacevole sorpresa un amico in mezzo alla folla, mi intrattenessi con lui, poi, all’improvviso, gli volgessi le spalle, mi mescolassi alla folla con la speranza di sperimentare entro breve tempo la sorpresa di incontrarlo nuovamente per riprendere la conversazione sospesa. Il suono di Om rappresentava l'esperienza mistica stessa, la Meta che cercavo, perché mai avrei dovuto interromperne quella sublime sintonia per poi riconquistarla attraverso un'altra tecnica? Forse perché il Kriya Pranayama era una procedura più elevata? Più elevata? Ma cosa diavolo significa? È una cosa senza senso!

Mi costrinsi a questa assurdità per un periodo estremamente lungo. Provo imbarazzo a confessare che durò non meno di tre anni. Proseguii senza mutare la routine che mi era stata consigliata, sperando in una ipotetica evoluzione futura

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di tale precaria situazione. Purtroppo devo riconoscere che ero divenuto come uno di quegli animali nutriti dall’uomo che perdono il potere di essere auto sufficienti. Allora, il pensiero di usare la mia testa mi pareva un atto di stupida superbia. Tale era il potere di quella follia che nel nostro gruppo era chiamata "lealtà".

Quando tentai di discutere questo problema con altri kriyaban, mi resi conto di quanto fosse difficile per loro parlare di simili argomenti. Talvolta incontrai un’enorme ed irragionevole resistenza verso tale discussione. C'erano coloro che non erano soddisfatti della loro pratica ma progettavano di migliorarla in futuro (in tale occasione avrebbero preferito posporre l'ascolto dei miei ragionamenti), mentre altri non riuscivano a comprendere quello che stavo dicendo.

Parlando con una signora che era divenuta amica mia e della mia famiglia da anni, lei finse di ascoltarmi con attenzione; alla fine disse brutalmente che lei aveva già un Guru e non sentiva il bisogno di un altro. La sua osservazione mi ferì profondamente, poiché non era mia intenzione insegnarle nulla: il mio scopo era quello di portare avanti un discorso razionale che potesse essere di ispirazione per entrambi. A parte questo, che amicizia ci può essere tra due persone quando una si esprime in questo modo?

Fu il susseguirsi di episodi simili a confermarmi l'idea che non essendo stati incoraggiati a fidarsi della limpidità dell’auto osservazione, molti tra i miei amici andavano avanti ad eseguire meccanicamente quello che tante volte era solamente un vuoto rituale, ma che comunque metteva in pace la loro coscienza.

Con l'eccezione di una sola persona (che nutriva veramente delle strane idee sul sentiero spirituale, al punto tale che un giorno pensai che non ci stesse tanto con la testa) questi nuovi amici kriyaban parevano censurare il mio eccessivo interesse per le tecniche, affermando che la devozione era molto più importante. Spesso facevano riferimento ad un concetto che a mio avviso stonava nel campo dello Yoga: il valore supremo della lealtà nei confronti di P.Y. e della sua organizzazione.

Mentre il loro sforzo nel praticare le tecniche di meditazione in modo profondo non era rimarchevole, cercavano con ogni mezzo esteriore (letture, canti devozionali, convocazioni...) di estrarre dalle profondità della loro psiche qualsivoglia traccia di attitudine religiosa, ogni briciola di aspirazione spirituale. La impregnavano col naturale affetto del cuore per il loro Guru - anche se lo avevano conosciuto solo per mezzo di foto - ottenendo in tal modo la fermezza di una dedizione che sarebbe durata per una vita intera. Chiamavano la solidità della loro resa a tale ideale: "Bhakti" – devozione. Pensando a quei tempi, mi chiedo quale potesse essere l'opinione che si erano fatti del mio atteggiamento impaziente, troppo diverso dalla loro quietudine. Nella mia sensibilità, non riuscivo a concepire l'idea di appoggiarmi passivamente alla protezione di un santo che ti risolve i problemi. Questo fatto, assieme ad altri sperimentati in quella scuola, furono la cause di un vero conflitto. Il mio approccio al sentiero spirituale era realmente diverso dal loro e non c'era speranza di raggiungere un punto di contatto, un terreno comune.

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La "predilezione" di un vecchio amico

Conobbi un kriyaban parecchio più anziano di me, degno del massimo rispetto e ammirazione, che aveva intrapreso il sentiero del Kriya molti anni prima. Ci frequentammo nella parte finale della sua vita. Ci furono momenti in cui, conoscendo la solitudine totale in cui viveva, mi si stringeva il cuore nello stare mesi senza vederlo. Per vari motivi ciò fu inevitabile; lo incontravo sempre per brevi e fuggevoli pomeriggi, camminando e parlando tranquillamente. Fui testimone di un processo inesorabile che lo condusse al punto di vivere della sola irradiazione proveniente dal ricordo di uno sguardo e cenno di saluto ricevuto dalla persona che era a capo dell’organizzazione Kriya e successore spirituale di P.Y.. Il suo supremo sogno era sempre stato quello di creare un legame di amicizia con quell'essere divino che sentiva come l'epitome del suo ideale di perfezione. Cercai di convincerlo che scivolare in un acritico culto della personalità, nella deificazione di questa pur ispirante figura potesse significare la fine della sua avventura spirituale. Ma il mio amico sembrava irrimediabilmente affascinato dall'idea di "trasmissione del potere". Mi spiegò che in tutte le grandi tradizioni mistiche la forza dei grandi Maestri del passato, la loro sottile vibrazione è ancora presente nei loro discendenti -- non discendenti per consanguineità, ma tramite trasmissione di potere, come una catena ininterrotta. Era convinto che il progresso spirituale non potesse avvenire se non ricevendo quel "potere". Era normale che egli provasse un grandissimo rispetto per il canale umano che era ufficialmente investito della missione di trasmettere questa particolare "benedizione". È comprensibile che avesse cercato di conquistarsi un posto nel suo cuore.

Il problema è che forse questo raggiungimento era divenuto per lui più importante della meditazione stessa. Espresse quello che, anni prima, non avrebbe nemmeno osato pensare: la presunta evoluzione dell’individuo, conseguita attraverso il Kriya, era innegabile, ma così lenta, da essere praticamente insignificante. Strano a dirsi, l'idea di una evoluzione automatica determinata da ferree leggi matematiche restava in lui come un riflesso istintivo al punto che avrebbe continuato a ripeterla rivolgendosi a quanti gli chiedevano informazioni sul Kriya. Eppure, le tecniche Kriya erano, per lui, come un rito religioso che andava svolto scrupolosamente, ma solo per dimostrare la propria lealtà.

Sfortunatamente questo assioma ineluttabile sosteneva la trama sulla quale aveva continuato a intrecciare il suo pensiero. Aveva pienamente accettato l’idea che su questo pianeta ci fossero persone speciali, "autorealizzate", e persone irrimediabilmente comuni. In una dimensione di totale sincerità, un giorno sfogò tutta la sua malinconia. Considerando quanto superficialmente -- così diceva -- aveva praticato le tecniche di meditazione, non aveva dubbi che, in questa vita, avrebbe certamente mancato l’"obiettivo". Stava già sognando future incarnazioni in cui avrebbe praticato con maggiore impegno. A ciò era dolcemente rassegnato. Sentii un'ondata gigantesca di inesplicabile nostalgia che era pronta a travolgermi, ma che rimase trattenuta, come sospesa, intorno a noi.

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Oggi che lui non c’è più, mi chiedo se l'intuizione del valore trasformante del Kriya non sia fortemente ostacolata o resa addirittura impossibile dal sottolineare con un continuo bombardamento di aneddoti la grandezza di certe persone che sono "sfacciatamente" sante, perfette, maestose. Quanto miserabile fu per il mio amico la credenza che il suo bene supremo dipendesse dallo sguardo permeato d’amore proveniente da una persona che lui sentiva divina! Aveva fatto l’imperdonabile errore di credere che l'eterna sorgente spirituale nel centro del suo essere, si inaridisse lontano dalle benedizioni di questa persona, verso cui aveva diretto la totale aspirazione del suo cuore.

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CAPITOLO 3LO STATO DI ASSENZA DI RESPIRO

P.Y. scrisse che il Secondo Kriya Yoga rende capace uno yogi di lasciare il corpo consciamente a volontà. Apprendere tale delicato meccanismo era uno dei miei sogni. Ero certo che esercitarmi con tale procedura avrebbe avuto un forte effetto sulla mia evoluzione spirituale. Quando ricevetti l'ultima lezione del corso per corrispondenza, potei finalmente richiedere tale istruzione. Purtroppo alcuni dettagli scritti erano ambigui e non venivano mai impartite delle iniziazioni dirette. Avevo dei dubbi su come il Kechari Mudra dovesse essere ottenuto (P.Y. scrisse che esso era un tecnica importante, da essere praticata regolarmente onde risvegliare Kundalini) ed ero incerto su come eseguire la tecnica del Secondo Kriya e come interpretare altre istruzioni.

Mi rivolsi a quella signora anziana che mi aveva già insegnato le tecniche preliminari e che era investita ufficialmente del ruolo chiamato "Meditation Counselor". Lei i Kriya superiori li aveva appresi anni prima e solamente in forma scritta, proprio come me. Cosa alquanto strana - a mio avviso una negligenza imperdonabile - non se li era mai fatti controllare da discepoli diretti di P.Y., pur avendo avuto tante occasioni per farlo. (Siccome sapevo che lei aveva passato molto tempo a parlare con discepoli diretti di P.Y., mi chiesi quali argomenti più importanti avessero dovuto affrontare.) In seguito aveva smarrito tale materiale scritto e non si era mai curata di richiederne una nuova copia. In parole povere, forse ne sapeva meno di me. Era incapace di chiarire i miei dubbi tecnici.

Fra i kriyaban del gruppo di meditazione, c'era una signora, che aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya molti anni addietro e aveva un tempo vissuto presso la sede centrale della nostra scuola. Le chiesi se avesse ricevuto il Secondo Kriya. Sembrò non capire la domanda. Perciò, con stupore, le ricordai che un discepolo di Lahiri Mahasaya, Swami Pranabananda, aveva accompagnato il momento della sua morte con la pratica del Secondo Kriya. Si alterò visibilmente, dicendo che la citazione chiaramente si riferiva alla tecnica del Pranayama: un respiro, poi un altro ancora e questo "secondo respiro" era, a suo dire, il "Secondo Kriya"! La guardai in modo mite ma intenso; mi sentii mancare. Ebbi l'impressione che la stessa idea di un'ulteriore tecnica da aggiungersi col tempo alle troppe già ricevute e praticate quotidianamente, la infastidisse alquanto. Era come se sentisse di aver fatto uno sforzo così grande nello stabilirsi nell'abitudine alla pratica quotidiana del Primo Kriya che non poteva impegnarsi maggiormente - aveva già "dato il massimo". So per certo che fino ad oggi è rimasta ferma nella sua convinzione.

Non mi ero ancora ripreso dallo "shock", che una signora dall'aspetto aristocratico mi rivelò di aver ricevuto molto tempo addietro l'iniziazione ai cosiddetti Kriya superiori. Pieno di entusiasmo sgranai gli occhi. Disse che si era sentita così indegna che li aveva messi in disparte e, dopo un po' di tempo, li aveva dimenticati completamente. Quest'ultimo abominio era inconcepibile per me: senza rendersi conto mi aveva rivelato in quale infimo posto avesse messo quanto P.Y. aveva scritto. La sua ignoranza che si compiaceva di se stessa,

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spacciata per umiltà passava i limiti della decenza. Quando obiettai che il suo comportamento sembrava una manifestazione di indifferenza verso gli insegnamenti elevati del suo Guru, mi guardò smarrita come se la mia impertinenza avesse violato una legge implicita: non entrare impudentemente nella dimensione intima del suo Sadhana. Mi rispose dicendo che quello che aveva le bastava; poi troncò bruscamente il discorso.

Difficoltà col materiale stampato relativo ai Kriya superiori

Dopo un anno ricevetti le lezioni sul Terzo e Quarto Kriya. Non provai nemmeno a chiarire i miei dubbi rivolgendomi ai vecchi kriyaban. Scrissi alla direzione della scuola per fissare un appuntamento con uno dei suoi rappresentanti, un Ministro che presto sarebbe giunto in visita in Italia. Speravo di chiarire ogni cosa in quella occasione e attendevo quell'appuntamento con grande anticipazione.

Quando il Ministro arrivò gli fui presentato. Disse che avrebbe chiarito i miei dubbi appena possibile. Ero tranquillo e attendevo. Fui molto deluso quando mi accorsi che questi continuava a posporre, senza valide ragioni, il momento del nostro incontro. Siccome avevo deciso di non arrendermi, finalmente ci incontrammo. Attraversai un'esperienza veramente spiacevole.

Credevo che l'ipocrisia, la burocrazia, le formalità, le piccole falsità e sottili violenze all’onestà altrui fossero totalmente estranee a chi dedicava la propria esistenza a praticare e insegnare il Kriya. L’impressione che ebbi fu simile a quella di incontrare un manager che aveva altre cose più importanti in testa e che era molto irritabile. Fu irremovibile sul non parlare del Kechari Mudra e per quanto riguarda i movimenti del Thokar, mi consigliò bruscamente di limitare la mia pratica alle tecniche del Primo Kriya. Affermò che ero troppo agitato per essere un buon kriyaban (...ero solo disperato e profondamente deluso); infastidito m’invitò bruscamente ad indirizzare le mie domande, in forma scritta, alla direzione della scuola. Non servì a nulla obiettare che non era possibile verificare per mezzo di una lettera i movimenti della testa, mi trovai di fronte ad un muro ed il rifiuto fu assoluto.

Avevo sempre avuto fiducia e rispettato quella scuola; avevo studiato tutta la relativa letteratura come se avessi dovuto preparare un esame universitario. La mia costernazione era quella d’essere ora un testimone impotente del capriccio insensato di un uomo in una posizione di potere. Dopo l'intervista con quel personaggio mal disposto, mi trovavo in una atroce condizione mentale ed emotiva. Coloro che mi videro subito dopo tale incontro rimasero scioccati: dissero che ero irriconoscibile. Un devoto con voce agnellata suggerì che avevo ricevuto una importante lavata di capo da Gurudeva. Dovevo imparare ad accontentarmi con gli insegnamenti di base. Non riuscivo ad accettare alcun invito alla calma e a lasciar perdere l'intera questione.

Ci sono pensieri infantili che emergono in momenti difficili: temevo, oscuramente, che quest’uomo, ritornato alla direzione della scuola potesse parlare male di me, dicendo qualche cosa che nel futuro avesse potuto mettere in

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pericolo un'altra opportunità di avere quei chiarimenti tanto agognati. Temevo di non poter più affidarmi al rapporto idilliaco con quella organizzazione di Kriya che per tanti anni aveva rappresentato il mio orizzonte.

Un'altra parte di me, che le regole del gruppo non erano riuscite a soffocare completamente, sapeva che quell'esperienza distruttiva si sarebbe trasformata in qualcosa di cruciale non solo per me, ma anche per altre persone. L'autodidatta entusiasta del Pranayama, risvegliato da un sonno fin troppo lungo per mezzo di quel salutare calcio "nel fondo schiena", stava godendosi l'intera situazione.

La signora "Meditation Counselor" che si trovava in un'altra città mi incolpò di aver reso burrascoso il colloquio col Ministro. Sostenne comunque con forza, anche se nel suo modo sempre dolce, che il consiglio del Ministro incarnava la volontà di Dio. Quando ci incontrammo, cercai di ragionare con lei sul mio diritto e dovere di esplorare tutte le fonti possibili. Discussi il progetto di andare in India a perfezionare il mio Kriya. Farfugliò qualcosa sull'India, su tante persone che a suo dire restarono deluse o che trovarono la droga o che persero la grazia del rapporto Guru-discepolo. Non capivo. Mi portò l'esempio di coloro che incontrarono in un famoso Ashram un insegnante che diede loro l'iniziazione al Kriya senza averne alcuna autorizzazione e che diede tecniche che nulla avevano a che fare col Kriya. Mi uscì d'istinto una frase molto forte di cui poi mi sorpresi: "Dovessi ricevere un insegnamento sul Kriya dal peggiore delinquente del mondo, sarei capace di trasformarlo in oro. E se questo fosse inquinato avrei l'intuizione di separare il grano dall'oglio". Rimase sorpresa che tante parole e ammonimenti non fossero serviti a niente. Sospirando disse che la mia logica nasceva da un ego ferito.

Mi girai verso una particolare foto di P.Y., presa lo stesso giorno della sua morte. Era stata incorniciata con molta cura, alcuni fiori e un pacchetto di incenso erano posti davanti ad essa. In quei momenti di silenzio, mi sembrò di vedere come se una lacrima fosse in procinto di formarsi nei suoi dolci occhi (non era una sensazione bizzarra, altre persone mi riferirono la stessa impressione); le riferii questa osservazione, divenne seria, e guardando in lontananza verso un punto indefinito, sospirò gravemente: "Questa impressione prendila come un avvertimento; il Guru non è contento di te"! Non c'era alcun dubbio che non stava affatto scherzando. In quel momento mi resi conto di come P.Y. fosse una "presenza" nella sua vita, anche se non lo aveva mai incontrato di persona!

Mi parlò a lungo, ininterrottamente per circa un'ora. Continuò a spiegare che l'intelligenza è un'arma a doppio taglio: essa può essere usata per eliminare l'ascesso dell'ignoranza e anche per recidere di netto il collegamento con la linfa vitale che sostiene il percorso spirituale. Poi mi parlò di un discepolo di P.Y. il quale, un tempo, aveva fatto parte della direzione della scuola, poi si era messo in proprio aprendo una scuola di Kriya: un "traditore" secondo lei. Lo paragonò all'angelo Lucifero, bello e intelligente. Poi si perse parlando di disciplina, di lealtà ... Ricordo in particolare un aneddoto che voleva illustrare come tutto quello che l'organizzazione mi chiedeva veniva direttamente da Dio. Mi raccontò quanto

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accadde quando un discepolo decise di lasciar l'Ashram di P.Y.. Il Guru, consapevole di ciò, cercò di fermarlo, quando sentì internamente una voce - quella di Dio stesso, Lei assicurò - la quale gli intimava di non interferire con la libertà del discepolo. Il Guru obbedì ed in un bagliore d’intuizione vide tutte le incarnazioni future del suo discepolo, quelle in cui lui si sarebbe perso, nelle quali avrebbe continuato a cercare - in mezzo a sofferenze innumerabili e indicibili, passando da un errore ad un altro - lo stesso sentiero spirituale che ora stava abbandonando. Poi, alla fine, sarebbe ritornato sullo stesso sentiero. La signora disse che il suo Guru specificò il numero delle incarnazioni che quest’immenso e desolato "viaggio" sarebbe durato: approssimativamente trenta (!) La morale di questa storia era evidente, qualcosa da cui non potevo sfuggire: dovevo ubbidire a ciò che mi era stato consigliato e non cercare altro "perché quella era sicuramente la volontà di Dio". Se non lo avessi fatto mi sarei senz'altro perso in un labirinto di enormi sofferenze e chissà quando avrei di nuovo ritrovato la strada giusta.

Sebbene ammirasse la serietà con la quale procedevo lungo il sentiero - diversamente da altre persone tiepide ed esitanti che andavano da lei unicamente per essere ricaricate di una motivazione che non riuscivano a trovare in loro stessi - era delusa per il fatto che la devozione che lei provava per il suo Guru mi era totalmente estranea. Raccontando questo o altri episodi della vita di P.Y., cercava di rendermi partecipe delle sue esperienze. Le sono grato per tutti i suoi sforzi sinceri e per il tempo che spese per me; ma come poteva cambiare la mia natura? Fece quello che era nelle sue possibilità: non poteva dar sollievo alla mia immensa sete di conoscenza dell’arte del Kriya. Guardando i suoi begli occhi rattristati, ebbi la chiara impressione che lei fosse in permanente anticipazione che io agissi in qualche modo "sleale."

Quel monaco almeno su un punto aveva ragione: calmo non ero affatto, anzi non lo sarei stato proprio più. Pur restando fedele alla mia organizzazione Kriya, non accettavo veti. Non seguii i suoi consigli. Volevo conoscere il Kriya alla perfezione e nessuno ormai avrebbe più potuto trattenermi, con nessuna motivazione.

A lungo sperai di trovare in qualche libro indizi che mi aiutassero a chiarire i dubbi che riguardavano sui Kriya superiori - uno era la prassi del Kechari Mudra, il secondo cosa fossero i colpi psicofisici con cui P.Y. assicurava che era possibile risvegliare i Chakra. La mia ricerca prese una particolare direzione: lei stessa mi aveva fatto tre nomi di discepoli diretti di P.Y. che avevano litigato con la direzione della scuola e che in seguito si erano messi per conto proprio. Senza farle sapere nulla, acquistai tutto il materiale pubblicato da loro, persino registrazioni di loro conferenze. Speravo che per mostrare quanto fossero abili col Kriya, essi uscissero fuori con delle frasi interessanti, più profonde del materiale fornito dalla scuola. Avevo anche una debole aspettativa che regalassero al lettore (che trascurava la fonte principale per ascoltare la loro voce di dissenso) il regalo di un materiale didattico più accurato.

Il primo discepolo sembrava un esperto in chiacchiere ed era avaro con le spiegazioni pratiche; il secondo era indubbiamente più professionale, dotato di spirito didattico, ma dalla sua letteratura e registrazioni su nastro solo una delle

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sue frasi gettò una debole luce su uno dei Kriya superiori; nella letteratura del terzo discepolo – sorprendente e preziosa in quanto, avendo incontrato la tragedia della malattia mentale, raccontava dettagliatamente il suo travaglio – trovai (tranne una frase illuminate sul ruolo del Kechari Mudra) solo una devastante banalità. I segreti, se ne avevano, erano ben custoditi!

Mesi più tardi, la meditation counselor venne a sapere che avevo letto dei "libri proibiti". Non avevo dubbi che in questo terzo millennio una persona potesse leggere quello che riteneva più conveniente e così feci; uno di questi libri anche se non chiariva nulla era interessante: ne regalai una copia ad alcuni amici! Dopo alcuni mesi, un amico mi mostrò una lettera nella quale lei si riferiva a me come "uno che pugnala il suo Guru alle spalle e distribuisce pugnali affinché altri facciano lo stesso"! La sua reazione fu così abnorme che non mi ferì affatto; sperimentai piuttosto per lei una sorta di tenerezza. Sentii che aveva agito sull'onda di un’emozionalità irrefrenabile e che decenni di condizionamento avevano influito irreparabilmente sul suo buonsenso. Ravvisando che le sue infauste attese nei miei confronti si erano materializzate, sono certo che mentre scriveva quella lettera e ci riversava molte altre considerazioni come per liberare tutta la tensione accumulata, la sua espressione doveva essere stata finalmente tranquilla e serena come quella di chi assapora una dolce, intima, soddisfazione.

Vincendo una certa riluttanza, cominciai a leggere alcuni libri scritti dai discepoli di Lahiri Mahasaya, che non avevano alcun collegamento con P.Y.. La mia esitazione ad abbandonare la letteratura legata a P.Y. derivava dal fatto che, a mio avviso, egli era unico ed ero certo che avrei usato solo il suo insegnamento durante la mia vita. Se qualcuno affermava che c'erano dei segreti sul Kriya da potersi ottenere al di fuori del lascito di P.Y., questo fatto m’infastidiva. I libri scritti da diretti discepoli di Lahiri Mahasaya (o da loro discepoli) erano pochi: principalmente commenti dei classici spirituali. (A quel tempo certi libri interessanti come Puran Purush non erano ancora stati pubblicati.)

Mi delusero parecchio e mi fecero rimpiangere lo stile chiaro di P.Y. Non vi trovai nient’altro che parole vuote, prive di alcun significato, ripetizioni senza fine unite alla caratteristica intollerabile di saltare continuamente da un argomento ad un altro. I chiarimenti pratici che erano presentati come preziosi non erano altro che delle povere cose copiate dai libri classici di Yoga. Erano scritti così male da far pensare che l'autore non si fosse neanche dato la pena di controllare i testi originali che citava. Probabilmente aveva copiato da un altro libro il quale a sua volta era copiato da altri, in una catena dove ogni autore aggiungeva qualche strana considerazione tanto per contraddistinguere il suo personale contributo.

Decisi di studiare di nuovo tutto il materiale fornito dalla organizzazione e scavare più profondamente in esso. Creai l'abitudine di incontrare alcuni amici kriyaban la Domenica, leggere alcuni pezzi cruciali dalle lezioni e discutere su questi durante una passeggiata. Ciascuno di noi si impegnava in uno studio personale di cui quei discorsi rappresentavano il culmine. Rabbrividisco al pensiero di quanto sterile fosse il nostro sforzo -- come togliere sangue da un muro -- tuttavia così andarono le cose per circa due anni.

Poi una profonda crisi sradicò ogni schema o dogma precedentemente

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acquisito. Essa nacque dalla decisione ostinata di affrontare nel modo yogico i problemi connessi con una delicata relazione umana. Scelsi, fra tutti gli scritti di P.Y., una frase che sembrava confermare quei modi di comportamento verso cui il mio istinto cieco mi conduceva. Ingannai me stesso ripetendola internamente come un Mantra mentre agivo in un modo che era contrario al buon senso. Non riuscii a vedere che questo letale approccio mi impediva di esercitare prudenza e discriminazione. Stavo agendo come sostenuto dall’"alto", immaginando che le benedizioni e la forza del Guru fossero con me. Il fallimento venne e fu desolante e deplorevole. In un primo momento non riuscivo ad accettarlo. Rifiutavo di credere di avere agito in modo errato. Ero convinto che l'altra persona fosse incapace di essere all’altezza del mio modo di agire. Credevo che il mio fosse un fallimento apparente, che un giorno tutto si sarebbe risolto a mio favore. Poi il mio sogno illusorio cominciò a disintegrarsi, lentamente ma inesorabilmente.

Ispirazione dalle opere di Mére e Sri Aurobindo

Per alcuni mesi non fui capace di rintracciare il filo di un pensiero coerente, poi lessi Il materialismo divino, un libro su Mére scritto dal suo discepolo Satprem. Due anni prima ero stato introdotto al pensiero di Sri Aurobindo. I suoi Aforismi e il suo poema epico Savitri mi avevano profondamente impressionato. Dopo la morte di Aurobindo nel 1951, fu Mére che portò avanti la sua ricerca e incarnò il suo sogno, che il Divino - l’intelligente forza evolutiva alla base di tutto ciò che esiste - potesse giungere ad una perfetta manifestazione su questo pianeta! "Il mondo non è un accidente mal riuscito: è un miracolo che si muove verso la sua piena espressione"; "Nella materia, il Divino diviene perfetto…" aveva scritto. Dal 1958 fino al momento della morte nel 1973, Mére cercò di trovare dov'era il passaggio alla prossima specie, di scoprire un nuovo modo di vita nella materia e raccontò la sua straordinaria esplorazione a Satprem. I loro colloqui sono trascritti nell'Agenda [Edizioni Mediterranee].7

Avvicinandomi agli scritti di Mére, pensavo di leggere le solite cose, ma non riuscirò mai a descrivere l’esplosione di gioia, il sentimento di libertà che provai leggendo il suo commento ad un aforisma di Sri Aurobindo. L'aforisma (n.70) era: "Osserva quello che sei, in modo vero e spietato, allora avrai più carità e compassione per gli altri." Commentandolo lei scrisse:

"La necessità di essere virtuosi è il grande ostacolo al dono di sé. È l'origine della falsità, la sorgente stessa dell'ipocrisia -- il rifiuto di accettare di prendere su di sé la propria parte del fardello di difficoltà. Non cercate di sembrare virtuosi. Vedete fino a che punto siete uniti, una sola cosa con tutto ciò che è anti-divino. Prendete la vostra parte del fardello, accettate anche voi di essere impuri e insinceri e in tal modo sarete capaci di prendere su l'Ombra ed offrirla. Solo allora le cose cambieranno. Non cercate di essere tra i puri. Accettate di stare con coloro che vivono nell'oscurità e in un amore totale offrite tutto

7 Questo grandioso documento – 6000 pagine in 13 volumi – è il resoconto delle scoperte di Mére in un periodo di 22 anni.

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questo."

Dicendo in un'altra occasione: "La morale è il grande ostacolo sul cammino spirituale", lei sottolineava il valore di non cercare ad ogni costo di divenire puri davanti agli occhi degli altri, ma di comportarsi in armonia con la verità del proprio essere. Secondo lei, ciascuno dovrebbe riconoscere il proprio lato oscuro, accettare il fatto che nel profondo del suo essere si agita la stessa sostanza che in alcuni si è sviluppata in un modo di vivere disapprovato dalla società. Mére non si atteggiò a Guru tradizionale, sebbene cercasse di estrarre da ogni essere umano che veniva a cercare inspirazione ai suoi piedi, tutte le potenzialità nascoste. Secondo il suo insegnamento, uno diventa un vero individuo solo quando, in un aspirazione costante per una più grande bellezza, armonia, potere e conoscenza, è perfettamente e compattamente unificato attorno al suo centro divino.

Fui molto colpito da come Mére trattava il tema del Japa. Raccontava come durante la proiezione di un film lei ascoltò il Mantra Sanscrito: OM NAMO BHAGAVATE. Si chiese cosa sarebbe successo se lei lo avesse ripetuto durante la sua meditazione quotidiana. Lo fece ed il risultato fu straordinario. Riferì che: "(Il Mantra) coagula qualche cosa: tutta la vita cellulare diviene una massa solida, compatta, in una enorme concentrazione - con una sola vibrazione. Invece di tutte le solite vibrazioni del corpo, c'è ora una sola vibrazione. Diviene dura come un diamante, una sola concentrazione massiccia, come se tutte le cellule del corpo avessero... Mi sono irrigidita. Ero così rigida che ero una sola unica massa". [Questa citazione, così come le prossime, sono tolte dall'Agenda di Mére.] La pratica del Japa divenne una abitudine che durò per tutta la vita. Quando sedeva per la meditazione, cominciava sempre con la ripetizione del Mantra e c'era una risposta nelle celle del corpo: tutte cominciavano a vibrare come "afferrate da un'intensità di aspirazione" e quella vibrazione continuava ad espandersi. Non è qui il luogo per soffermarci sulle fasi sottili del suo lavoro nel corpo: lei usava il Mantra per accelerarlo. Quello che era importante per me era il fatto che osava sfidare l'autorità di Sri Aurobindo. In effetti, disse a Satprem: "Sri Aurobindo non diede alcun [Mantra]; disse che uno dovrebbe essere capace di fare tutto il lavoro senza dovere ricorrere a mezzi esterni. Se lui avesse raggiunto il punto dove mi trovo adesso, avrebbe visto che il metodo puramente psicologico è inadeguato e che un Japa è necessario, perché solamente il Japa ha un'azione diretta sul corpo. Quindi dovetti trovare il metodo tutto da sola, trovare il mio Mantra da sola. Ma ora tutto è pronto, ho fatto il lavoro di dieci anni in pochi mesi." In molti pezzi dell'Agenda di Mére sono riportate le loro discussioni su come il Mantra calma le persone attorno creando un'atmosfera di tale intensità che le disarmonie cessano di esistere. Inoltre: "Il Mantra ha una grande azione: può prevenire un incidente. Esso scaturisce in un lampo, all'improvviso" ma "deve apparire senza che uno lo pensi di proposito: dovrebbe scaturire spontaneamente dall'essere, come un riflesso, esattamente come un riflesso." Ma il Mantra è anche la più dolce di tutte le cose: "Nei giorni in cui non ho delle preoccupazioni o delle difficoltà speciali (giorni che potrei chiamare normali, quando sono normale), tutto quello che faccio, tutti i movimenti di questo corpo,

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tutto, tutte le parole che pronuncio, tutti i gesti che faccio sono accompagnati e sostenuti e ricoperti per così dire, da questo mantra: OM NAMO BHAGAVATEH... OM NAMO BHAGAVATEH... tutti, tutto il tempo, tutto il tempo, tutto il tempo". Un ultimo commento sorprendente che cito è che lei era capace di notare la differenza tra quelli che hanno un Mantra e quelli che non lo hanno. "Con quelli che non hanno un Mantra, anche se hanno una forte abitudine alla meditazione o alla concentrazione, qualcosa attorno a loro rimane fosco e vago, mentre il Japa infonde a quelli che lo praticano una qualche precisione, solidità: un'armatura. Diventano per così dire galvanizzati."

Eppure in quel periodo il Japa non riuscì ad entrare nella mia vita. Feci esperimenti col Mantra di Mére - Om Namo Bhagavate - ma non funzionava per me. Cercai di vivere un modo più consapevole (essere continuamente attento ad ogni percezione, interna ed esterna). Cercai di realizzare la ben nota istruzione di mantenere risolutamente un atteggiamento imparziale verso eventi piacevoli e sgradevoli, mantenendomi come un "testimone" distaccato. (Questa disciplina è raccomandata pressoché in tutti i libri che trattano di pratiche meditative orientali.) Dopo tre giorni, mi sentii insopportabilmente stressato come se tutto fosse una finzione, un'illusione.

Nel frattempo, la mia mente era divorata dalla illusione di adottare dei mezzi più evoluti di "evoluzione". Essa cercò di sminuire il valore del Japa; dopo alcuni mesi smisi di praticare sia il Japa che la disciplina di essere un "testimone" staccato e dimenticai tutta la faccenda.

Leggendo Il materialismo divino (esso comunicava tutto il potere dell'Agenda) ero scioccato dalla bellezza di quello che scriveva e la memoria di quel passato periodo ritornò pienamente. Quello che ora esercitava un grande impatto su di me era che lei ragionava da occidentali e trattavano i temi della spiritualità Indiana con un linguaggio occidentale che era sia lirico che razionale, al sommo grado di eccellenza. Era capace di esprimere in modo euforicamente vivido, le mie più intime convinzioni, quelle che non avevo i mezzi per chiarire così lucidamente nemmeno a me stesso.

Esprimeva in modo impeccabile una verità illuminante e confortevole: sia la contemplazione della bellezza nella natura che l'emozione che nasce dall'ascolto della musica classica erano un tramite per arrivare all'esperienza spirituale. Talvolta, mentre leggevo, avevo l'impressione di avere la febbre. Nella sua aspirazione per una piena manifestazione del Divino negli atomi della materia inerte, c'era una fragranza che mi eccitava e mi commuoveva. Una rivoluzione, un'inversione di valori stava accadendo lentamente ma inesorabilmente in me. Affascinato, stavo contemplando il brillante splendore di un nuovo modo di guardare al percorso spirituale. Due mondi apparentemente opposti, quello di una raffinata atmosfera paradisiaca (che immagino goduta dalle anime degli asceti) e quello del pieno godimento della bellezza terrena (così caro agli artisti) potevano unificarsi nella coscienza di ciascun kriyaban.

Il pensiero di Mére cominciò ad aprirmi gli occhi sulla reale situazione del mio modo di praticare il Kriya Yoga e rivelare la complessità del mio auto inganno. Entrare in una organizzazione fondata sul Kriya significò essere irretito

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e confuso da tanti racconti fiabeschi. Ero convinto che trovare il Kriya fosse come un colpo di fortuna, un regalo dal Divino grazie a non so quale merito. Cominciai a considerare le persone che appartenevano al mio stesso sentiero come persone accorte che sapevano come prendersi il meglio dalla vita; di conseguenza guardavo a quelli che lo rifiutavano o, nonostante molto parlare, erano ancora incerti se dovessero fare il passo decisivo di iniziarne la pratica, come degli idioti che non sapevano quello che stavano perdendo.

Il mio desiderio di rimanere fedele ai valori instillati in me dalla mia cultura (un atteggiamento razionale aperto ai valori della creazione artistica) venne gradatamente distorto. Era come se una larga parte del cervello si chiudesse mentre un'altra, che faceva tutto quanto era in suo potere per credere in quello che le conveniva credere, tentasse di usurparne le funzioni. Se nei primi tempi, il mio cervello "spirituale-orientale" non sapeva come reagire alle obiezioni di altre persone e reagiva fuggendo o rispondendo con violenza; in seguito divenne così furbo che imparai a comportarmi normalmente in società (la gente cominciò a considerarmi un uomo che aveva scelto un semplice stile di vita, contrassegnato da elevati principi...) senza dare a vedere come l'imparzialità di giudizio fosse compromessa, praticamente inesistente.

I miei primi sforzi nell'esplorare il mio Pranayama che avevo appreso dai libri erano accompagnati da intelligenza e anche da un po' di coraggio: potevo servirmi solo della mia intuizione. Questa disciplina era per me un'arte da perfezionarsi con la più grande concentrazione. Mentre praticavo, sognavo i suoi impensabili sviluppi ed ero quietamente eccitato durante ciascun istante di essa. Questo mi rivelò un autentico paradiso!

Per ciò che concerneva il modo con cui avevo affrontato la pratica delle tecniche Hong So e Om, ero stimolato dall'idea (che si rivelò falsa) che esse non erano efficaci come il Kriya Pranayama. Espressi perciò una dedizione che non fui più in grado di riprodurre: il risultato mi ricompensò immensamente.

In seguito, avendo ricevuto il Kriya, l'idea di praticare "la tecnica più veloce tra quelle che favoriscono l'evoluzione spirituale" fece perdere il mordente alla intensità del mio sforzo. Il mio Kriya Pranayama, praticato per dei mesi con entusiasmo, divenne una tranquilla buona abitudine. A parte altri stupidi pensieri, avevo bevuto l'idea infantile che ciascun respiro Kriya producesse "l'equivalente di un anno solare di evoluzione spirituale" e che con un milione di questi respiri avrei raggiunto infallibilmente la Coscienza Cosmica. Cercavo solo di eseguire il più gran numero possibile di Pranayama onde avvicinarmi più velocemente al momento in cui avrei completato il numero menzionato sopra.

La durezza della mia disciplina fu ammorbidita dalla atmosfera ipnotica delle "benedizioni del Guru". Non mi resi conto della situazione in cui ero lentamente scivolato e quindi non sentivo vergogna o rimorso. Mi sentivo un essere privilegiato, cui era stato concesso un vantaggio inaspettato.

"Non siete contenti di aver trovato un vero Guru? - per anni ascoltai questo ritornello dall'organizzazione - Non siete entusiasti che Lui sia stato mandato a voi da Dio Stesso?" "Oh siiii che siamo contenti" rispondevamo con lacrime di gioia. Questa idea, più di qualsiasi altro fattore, ebbe effetti letali su di

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me: fu la culla in cui il mio ego fu nutrito e rafforzato. Il ricordarmi che ero entrato nella organizzazione di Kriya solo per perfezionare la mia già buona pratica del Pranayama creò un dolore pungente. Era imperativo ricreare lo spirito di una autentica ricerca. Dovevo smettere di comportarmi come un uomo che ha trovato un tesoro, lo nasconde e ci dorme sopra soddisfatto; era necessario da questo momento in avanti, se il Pranayama era effettivamente un tesoro come ero convinto, usare la mia intelligenza per perfezionarlo.

Due decisioni importanti

Quello che sto per descrivere fu il periodo più gratificante della mia vita. Lo considero come un sole e spero di non dimenticare mai la sua lezione. Dopo aver letto Sri Aurobindo e Mére, trovai il coraggio di essere di nuovo un autodidatta. Durante la stagione del mio primo interesse in cose esoteriche e in pratiche orientali di meditazione trovai delle istruzioni facili da seguire in un libro senza pretese. Le istruzioni erano semplici: ci misi la mia passione, specialmente il desiderio di inseguire, attraverso lo Yoga, il mio ideale di Bellezza. Giorno dopo giorno, quando mi venivano altre distrazioni e dubbi, quando l'entusiasmo iniziale scemava, portai avanti tenacemente i miei ideali e la mia disciplina. Il risultato fu l'esperienza di Kundalini. Ora, circa 12 anni dopo, mi ritrovai nella stessa situazione. Ero pronto a portare avanti tenacemente, nonostante critiche e dubbi, due idee base: [a] Dovevo mettere da parte la routine Kriya suggeritami dalla mia organizzazione e applicare i principi di Patanjali. [b] Dovevo ottenere lo stato di silenzio mentale usando il Japa, il meraviglioso strumento usato da Mére, durante il giorno. Rispettai tale decisione e il risultato fu l'assenza di respiro. Chiariamo ciascun punto.

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1. Routine Kriya rispettando i principi di Patanjali

Nel sentiero mistico (Yoga), Patanjali individua otto passi: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi. 8 Ci sono diversi modi di tradurre questi termini sanscriti. Yama: autocontrollo (non-violenza, non mentire, non rubare, non lussuria e non attaccamento). Niyama: osservanze religiose (pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé, e resa al Dio Supremo). Per quanto riguarda Asana (posizione del corpo) Patanjali spiega che deve essere stabile e comoda.

Fin qui nulla che sia degno di nota. Il primo concetto interessante è il Pranayama, definito come regolazione del Prana tramite la ripetizione di particolari schemi di respirazione. Dunque non parla di esercizi preliminari di concentrazione e tanto meno di meditazione. Dal Pranayama nasce uno stato di calma e di equilibrio che diviene il fondamento del passo successivo: il Pratyahara, dove la consapevolezza si scollega dalla realtà esterna; tutti i cinque sensi sono quindi volti all'interno. Si comprende che le tecniche che richiedono movimento devono essere completate prima di arrivare a questa fase: il respiro e il cuore devono avere tutto il tempo necessario per rallentare. I cosiddetti Kriya superiori dovevano essere praticati idealmente all'interno della fase Pranayama (ciascuno di essi richiedeva movimento). Ad essi doveva seguire una lunga fase di interiorizzazione della coscienza e dell'energia nella perfetta immobilità.

Cosa viene dopo il Pratyahara? Patanjali spiega che, dopo la scomparsa del respiro, lo Yogi dovrebbe cercare un oggetto concreto o astratto verso cui volgere la sua concentrazione ed esercitarla in una specie di meditazione contemplativa fino a perdersi in esso. Dharana significa concentrazione (focalizzare la mente su di esso). Dhyana è la prosecuzione dell'azione di focalizzazione -- meditazione o contemplazione come un flusso costante ininterrotto della consapevolezza che esplora pienamente tutti gli aspetti dell'oggetto scelto). Samadhi è perfetto assorbimento spirituale (contemplazione profonda, nella quale l'oggetto della meditazione diviene inseparabile da colui

8 Patanjali fu un pioniere nell’arte di considerare razionalmente il sentiero mistico, cercando di individuare una direzione agli eventi che fosse universale, fisiologica, che spiegasse come mai un certo fenomeno, inerente al sentiero spirituale, dovesse precederne un altro e necessariamente seguirne un altro. La sua estrema sintesi potrebbe essere criticata, o, a causa della sua distanza temporale, essere di difficile comprensione; in ogni caso, è di straordinaria importanza. Molti autori di Kriya Yoga dicono che la teoria espressa da Patanjali è la stessa del Kriya Yoga, che Patanjali e Lahiri Mahasaya si riferirono essenzialmente alla stessa pratica. Io credo che questo sia vero solo in parte. Patanjali è ben lontano dal chiarire tutti gli aspetti del Kriya e c'è una notevole differenza tra le tappe finali del suo Yoga (in particolare Dharana e Dhyana) e le fasi corrispondenti del Kriya Yoga.

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che medita). Dall'esperienza di molti anni e da alcune letture, non avevo dubbi che tali

istruzioni dovevano essere interpretate come concentrazione sui Chakra. Dharana rappresenta l'atto di concentrazione; Dharana diventa spontaneamente Dhyana, i confini tra le due essendo in pratica indistinguibili: come ti concentri nei Chakra, ti dimentichi di te stesso. Samadhi è l'improvviso bruciare di gioia che talvolta ne deriva. Questa era la mia comprensione di base in quei giorni. Entro pochi giorni, dopo la pratica intensa del Japa, avrei realizzato che Dhyana non è solo dimenticarti di te stesso ma è raggiungere lo stato senza respiro; Samadhi non è solo gioia illimitata ma è il rallentamento del ritmo cardiaco mentre il corpo appare come morto.

Da quel momento in poi, incominciai la mia routine col Maha Mudra, poi passavo alla fase Pranayama che consisteva di tre sotto fasi: Kriya Pranayama (12-24), Terzo Kriya (12) e Kriya Pranayama con il Mantra Om, Na, Mo... (6-12). Il Terzo Kriya era la tecnica coi movimenti della testa che avevo ricevuto dalla mia scuola di Kriya. Il Kriya Pranayama col Mantra Om, Na, Mo... era il Pranayama arricchito dal porre le sillabe del Mantra nei rispettivi Chakra, senza fare movimenti fisici -- esso aveva lo scopo di preparare la fase del Pranayama. Il Pratyahara incominciava con una procedura che anche oggi chiamo: "Pranayama mentale". La mia consapevolezza faceva una pausa di circa dieci secondi in ogni Chakra - come un'ape attratta dal nettare nei fiori, che si libra su ciascuno in grande delizia - "toccando" lievemente il suo nucleo lungo un percorso antiorario (se guardato dall'alto). Ero assorbito in una grande delizia dove perdevo ogni riferimento spazio temporale. La concentrazione sul terzo occhio - l'"occhio interiore" che Wordsworth con parole appropriate definisce come "l'estasi della solitudine" - avveniva spontaneamente.

2. Silenzio mentale e Japa

Ricordando i miei fallimenti passati col Japa, decisi di cambiare Mantra e provai con quello di Swami Ramdas di cui in quei giorni leggevo la biografia. 9 Egli si

9 In cerca di Dio di Swami Ramdas. Swami Ramdas nacque nel 1884 a Hosdrug, Kerala, India e venne chiamato Vittal Rao. Visse una vita normale finché raggiunse i trentasei anni e sperimentò pure gli alti e bassi della vita di un capofamiglia. Spesso ricercò quale fosse il vero significato della vita e sentì la necessità di intraprendere il percorso spirituale per trovare la "Pace" reale. Al momento propizio, suo padre l'iniziò nel Mantra di Ram, assicurandolo che ripetendolo incessantemente avrebbe, a tempo opportuno, raggiunto la felicità divina alla quale aspirava. Fu allora che rinunciò alla vita secolare ed andò in cerca di Dio quale un Sadhu mendicante. I primi anni della sua nuova vita sono descritti nella citata autobiografia. Il Mantra "Om Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram" era sempre sulle sue labbra. Oltre alla pratica del Japa, adottò la disciplina di guardare tutte le persone come forme di Ram - Dio - e di accettare ogni evento come provenisse dalla volontà di Dio. In breve tempo il Mantra sparì dalle sue labbra ed entrò nel suo cuore. Vide una piccola luce circolare nel punto tra le sopracciglia che gli regalava brividi di delizia. Poi la luce abbagliante lo permeò e l'assorbì. Perso in questa

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era mosso in lungo e in largo attraverso tutta l’India ripetendo incessantemente il Mantra Sri Ram Jai Ram Jai Jai Ram Om. Incontrare la semplicità della sua vita e la grandezza della sua esperienza fu molto ispirante: la sua fotografia - la semplicità quasi infantile del Suo sorriso - accese la mia intuizione e mi spinse a provare il suo Mantra.

Con l'aiuto di un mala (rosario) incominciai a praticare il Japa ad alta voce per 108 volte durante una passeggiata e poi continuarlo mentalmente durante la restante parte del cammino e durante le attività della giornata. Sebbene le tradizioni Orientali raccomandino che il Japa sia fatto mentalmente, avevo la certezza che esso doveva essere fatto a voce alta - perlomeno durante un insieme iniziale di un centinaio di ripetizioni. Il suono di quel Mantra che già avevo ascoltato in una registrazione di un canto spirituale, era molto piacevole. Amavo accarezzare la sua vibrazione, prolungarla sulle mie labbra, farla vibrare nel mio petto, investirla dell’aspirazione del mio cuore. Il mio atteggiamento non fu mai l’attitudine di supplica di un devoto che si lamenta e singhiozza ma quella di un uomo che si trova ad un passo dalla sua meta. Anche se qualche volta mi sentivo un po’ stordito, ero determinato a non abbandonare mai la pratica. Dal momento che, facendolo, notai un impulso irresistibile di mettere tutto in ordine, pensai che il Mantra potesse lavorare in un modo simile pulendo la mia sostanza mentale e mettendo in ordine la mia "mobilia psicologica".

Assenza di respiro

Da questa decisione venne qualche cosa che è rimasta sempre nella mia vita come un’esperienza di vetta. Praticavo il mio Japa ogni giorno di mattina e il Kriya a mezzodì in campagna. Un giorno, durante il Pranayama mentale, mentre stavo salendo e scendendo su e giù attraverso i Chakra, percepii distintamente una fresca energia che sosteneva il corpo dall’interno. Più mi rilassavo più divenivo simultaneamente consapevole sia dei Chakra che del corpo nel suo insieme. La respirazione, che nel frattempo era divenuta molto corta, alla fine raggiunse l'immobilità, come un pendolo che arriva dolcemente al punto di equilibrio. Anche la mente si placò. Questa condizione durò vari minuti, senza alcun sentimento di disagio: non c'era né il minino fremito di sorpresa, né il pensiero: "Finalmente ce l'ho fatta!" Questo evento era di una gioia oltre le parole: in una profondità fatta di blu, ero implacabilmente travolto dalla bellezza della natura e, allo stesso tempo, ero situato al di sopra del mondo intero. Nei giorni successivi lo stesso meccanismo si accadde di nuovo. Prima di cominciare la mia pratica Kriya, guardavo il panorama circostante e mi chiedevo se tra poco avessi sperimentato ancora una volta quello stato: dopo circa 35-40 minuti avevo già completato la parte attiva - gli ultimi respiri del Pranayama - e poi, dopo non più di due o tre minuti, mentre a malapena avevo completato un giro di

beatitudine inesprimibile rimaneva seduto per ore. Il mondo gli sembrava come una fioca ombra. Raggiunse ben presto uno stadio in cui questo dimorare nello Spirito divenne un'esperienza permanente ed immutata. Ramdas raggiunse il Mahasamadhi nel 1963.

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concentrazione sui Chakra in su e in giù, il miracolo avveniva.

Coabitazione con la preghiera continua

Osservai una perfetta associazione tra la pratica del Japa e l'ottenimento dello stato di assenza di respiro. Fui sorpreso che il Japa, una delle più semplici tecniche del mondo, potesse condurre a tale prezioso risultato! Dove fallirono le mie migliori intenzioni, esso produsse un miracolo! Vidi che trascurare il Japa da parte di uno che pratica il Kriya Yoga significa abbandonare uno strumento formidabile. A mio avviso, il Japa annulla il rumore di fondo delle mente, della cui presenza siamo consapevoli solo quando sediamo per praticare il Kriya – quante vole ci sentiamo disperati poiché questo rumore bloccava ogni tentativo di concentrazione! Ci sono pensieri che possiamo visualizzare, identificare e bloccare, ma un diffuso persistente rumore di fondo annulla tutti i nostri sforzi. Questo è vinto quando pratichiamo il Japa!

Iniziò un nuovo periodo: ero capace di riversare una buona dose di creatività e sensibilità nella mia routine Kriya. Sentii che il mio subconscio collaborava con i miei sforzi; era naturale ascoltare i sottili suggerimenti dell'intuizione. Sentii un più grande rispetto per la tecnica Kriya più elementare, riuscendo a trovarvi delle sottigliezze impensabili e infiniti modi di applicazione. Con entusiasmo mi tuffai nella letteratura sul Japa e studiai il concetto di Mantra e preghiera in diversi sentieri mistici.

Qualche autore donava un esempio eloquente di come scrivere un libro sul nulla. Molti suggerimenti sulla pratica del Japa erano null'altro che un cumulo di banalità -- il mala che usi per il Japa dovrebbe essere fatto di questo o di quel materiale; non dovrebbe essere visto da altri. La perlina Sumeru non dovrebbe mai essere oltrepassata: se vuoi farti il mala due volte, la devi girare e far sì che l'ultima perlina diventi la prima del secondo giro -- che stupidaggini, che istruzioni prive, in modo devastante, di ogni passione!

Una grande passione e sincerità si poteva trovare nel materiale letterario relativo alla esperienza di Santa Teresa di Avila, all’Esicasmo e al sentiro mistico dei Sufi.

Negli scritti di Santa Teresa di Avila (e anche di San Giovanni della Croce) vidi chiaramente che la perfezione nella vita spirituale può essere raggiunta solo espandendo al limite la pratica della Orazione Interiore. Non c'è bisogno di chiarire che ci stiamo riferendo ad una Preghiera che va oltre la supplica, oltre le parole - una "Preghiera del cuore".

Santa Teresa di Avila descrisse nove livelli di preghiera. Penso che pochi cattolici siano consapevoli di questa ricchezza. Lungo i secoli, tantissima incomprensione offuscò la pratica della Orazione. Per molti devoti la preghiera ha – con rare eccezioni – il significato di supplica a Dio per ottenere dei favori personali o benedizioni per l'umanità che soffre. Il concetto di Orazione interiore rischiò una quasi totale eclissi.

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L'esicasmo è un movimento Cristiano ortodosso che considera la pace interiore una necessità per ogni essere umano. Essi interpretano l’ingiunzione di Cristo nel Vangelo di Matteo: "quando vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta" come il dovere di ritirarsi internamente. Essi affermano che il primo passo è mantenere il corpo immobile per lungo tempo. Poi si occupano di un ascetismo mentale ovvero del rifiuto delle tentazioni. Dopo aver limitato le attività esterne, sforzandosi, al meglio, di ignorare i sensi fisici, essi cercano di sperimentare la quiete interiore e percepire la "Luce Increata", la qual cosa è considerata il più elevato dei raggiungimenti mistici. La disciplina è molto dura: essi osservano i pensieri negativi e li combattono con coraggio. Molta della loro letteratura si occupa dell'analisi psicologica di tali insidie. Una grande enfasi è posta sull’umiltà: si spiega che disastri possono capitare a colui che procede con orgoglio, arroganza o presunzione. La Preghiera viene detta con il "cuore" - percependo intensamente il significato delle sue parole. Tale pratica prende dentro l’intero essere umano – anima, mente e corpo.

L'essenza di questo movimento mistico si trova nel libro I racconti di un pellegrino russo. (Anonimo) L'origine di questo classico spirituale è, per molti versi, un mistero. La storia è quella di un pellegrino di ritorno dal Santo Sepolcro che si fermò a Monte Athos e raccontò ad un monaco la sua ricerca, durata una vita intera, dell'insegnamento su come fosse possibile "pregare continuamente" - secondo le raccomandazioni di San Paolo. Nessuno sa per certo se si tratta di una storia vera che riguarda un particolare pellegrino, o un romanzo spirituale creato per diffondere il lato mistico della fede Cristiana Ortodossa. Alcuni, sulla base di testimoni, identificano l'autore come il monaco russo Archimandrita Ortodosso Mikhail Kozlov.

La ragione principale dell'attrazione che quest’opera suscita è la presentazione della vita di un eremita vagabondo come il modello di condurre la vita a beneficio di coloro che si propongono di condurre una vita spirituale. Fui colpito dalle parole di apertura: "Per grazia di Dio sono un Cristiano, per le mie azioni un grande peccatore, e per vocazione un vagabondo di umile nascita senza dimora che erra da luogo in luogo. I miei beni sono una bisaccia con un po' di pane secco, ed una Bibbia nel taschino. Questo è tutto". È un libro semplice, edificante, di universale appello spirituale. Nel suo consiglio pratico di non esitare ad incominciare la pratica della Preghiera di Gesù, è veramente incalzante.

Il pellegrino era deciso a percorrere le steppe fino all’infinito pur di trovare una guida spirituale che gli svelasse il segreto di come riuscire a pregare in tal modo. Un giorno il suo ardore fu premiato e un maestro spirituale lo accettò come discepolo chiarendogli, nel corso del tempo, ogni dettaglio della pratica della "Preghiera continua".

Onde realizzare l'ideale di "pregare incessantemente", il pellegrino è istruito a ripetere la Preghiera di Gesù 6000 volte al giorno, poi passare a 12000. Poi scopre che la Preghiera è sulle sue labbra e nella sua mente ogni momento in cui lui è sveglio, così spontaneamente e senza sforzo come il respiro stesso. In questa meravigliosa condizione riesce a sperimentare il fulgore della luce divina, l'intimo "segreto del cuore". Per dare l'idea di quello che, da ora in avanti, è

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divenuta la sua vita, cita il passaggio Evangelico degli uccelli dell'aria ed dei gigli del campo, identificandosi con essi come completamente dipendenti da Dio: qualunque cosa che avviene non può separarlo da Dio. Simile a colui che, vicino al focolare, si gode la bellezza dell’inverno ventoso, freddo, che circonda il nido della sua casa, colui che pratica la Preghiera continua contempla sia il triste sia il gioioso spettacolo della vita, avendo trovato nel centro del suo cuore l'infinità dei cieli! La Preghiera è una gemma meravigliosa il cui splendore riscalda la propria vita. La sua magia si diffonde in ogni sfaccettatura della vita, sarà come camminare fuori da una stanza scura nell'aria fresca, nella luce del sole.

Cominciai a leggere la Filocalia, che è spesso usata dagli Esicasti. Si tratta di una raccolta di testi sulla preghiera e sull’ascetismo scritti dal quarto al quindicesimo secolo. A mio avviso, è un testo noioso che rappresenta la tendenza della mente, ossessionata dal peccato e dalle tentazioni, di complicare le cose più semplici. Qui e là sono disseminate alcune perle.

Fui colpito dal fatto che molte istruzioni avevano somiglianze stupefacenti con il percorso del Kriya Yoga. Scoprii che la pratica esicasta prevede un esercizio di respirazione con una posizione della lingua simile a quella del Kechari Mudra. Il pronunciare la Preghiera è sincronizzato con il proprio respiro. Nella tradizione esicasta troviamo scritto: "Fate che il ricordo di Gesù sia presente in ciascun respiro, e poi capirete il valore della Hesychia.

Ero colpito dal fatto che esistesse una tradizione Cristiana, metodica e precisa, simile al Kriya Yoga. Anni dopo, avendo ricevuto il Navi Kriya di Lahiri Mahasaya potei apprezzare il fatto che uno è incoraggiato ad essere tenace nel pregare con il centro dell'attenzione sull’ombelico. "... in questo modo è possibile scoprire in se stessi un'oscurità senza gioia, senza luce interiore ma, perseverando, si raggiungerà una felicità senza limiti". Una volta superato l'ostacolo dell'ombelico, si apre, infatti, il sentiero che porta al cuore.

Il paragone con la tecnica del Navi Kriya è impressionante. San Simeone scrive: "Siediti in un luogo tranquillo e fai quello che ti dico: chiudi la porta, distogli la mente da ogni cosa temporale e caduca. Appoggia la barba sul petto e focalizza lo sguardo assieme al tuo intelletto l’attenzione sul centro della pancia ovvero sull’ombelico. Fai sì che il respiro passi attraverso le narici con una certa resistenza e cerca con l’intelletto il posto del cuore, dove risiedono tutti i poteri dell'anima. Dapprima troverai laggiù un’oscurità ed una densità impenetrabile. In seguito, se perseveri nella concentrazione senza posa, giorno e notte, vi troverai una gioia incessante. La mente, così avvinta, illuminerà il luogo del cuore e là vedrà subito cose tali, quali non aveva mai viste né conosciute. Vedrai lo spazio aperto all'interno del tuo cuore e scoprirai di essere tu stesso luminoso e pieno di discriminazione. " Pseudo-Simeone, "I Tre Metodi di Preghiera," in: La Filocalia (5 vol.; tr. G.E.H. Palmiere, P. Sherrard, e K. Ware; Londra: Faber e Faber, 1995) 4.72-3.

Non vi trovai la descrizione della pratica del Thokar (come la trovai in seguito nella letteratura Sufi) ma la descrizione del momento in cui la Preghiera entra nel cuore è indimenticabile; il più grande effetto è ottenuto coll'unire le sillabe della preghiera al pulsare del cuore. La coscienza vi entra e là contempla

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la "Luce Increata". La parte più segreta è la descrizione di quanto avviene nello spazio entro il cuore. La persona è guidata attraverso l'oscurità e attraverso "una densità impenetrabile" verso le profondità del cuore. Questa discesa è da prendersi alla lettera, non è affatto un’espressione metaforica. Questo è uno stadio evoluto della pratica spirituale e tentare di raggiungerlo prematuramente può causare delle ferite emotive molto serie. L’istruzione è quella di sentire la propria testa che si muove nel torace e lì risiede, poi di "aprire" gli occhi in tale luogo e guardare il mondo dal proprio petto. Il mondo è percepito in un modo totalmente diverso: non come aspro e ostile, ma come delicato, caldo e che risponde alle emozioni dell’amore! Il cuore è riempito della beatitudine più sottile, carica d’amore! In questo stato, il devoto diventa lui stesso "permeato" di luce. L’illuminazione proviene dall’interno, si irradia dallo spazio aperto contenuto entro il cuore. L’esicasta, quando ha ottenuta tale esperienza, ritorna alla vita di tutti i giorni completamente trasformato. Il "dialogo interno" che ostacolava la meditazione è sotto controllo: egli può vivere permanentemente in uno stato che è detto "la sentinella della mente". È lo stato più sano e naturale della mente. La coscienza non è più oppressa dalla produzione spontanea di immagini - questo è l’attributo principale della vera vita religiosa.

Tutte queste istruzioni possono aiutare un kriyaban a riconsiderare la tecnica del Japa e del Thokar da una nuova prospettiva. Quando studiate e considerate tutto questo, cosa potete rispondere a quei kriyaban che obiettano che nessuno dei Guru del Kriya raccomandò tale pratica? Non hanno compreso una cosa fondamentale: il Kriya Yoga è un modo particolare di percorrere il sentiero Esicasta, dove la Preghiera ha una importanza capitale.

Lessi anche qualcosa sul sentiero dei Sufi dove l'arte della preghiera (Dhikr) era sviluppata in modo stupefacente. Nella loro letteratura, vengono date istruzioni molto ispiranti per evitare le distrazioni, in modo tale che il cuore non sia occupato "né con la famiglia né con i soldi". Si comincia la pratica pronunciando il Mantra ad alta voce - questo è il Dhikr della lingua. Si continua finché un grande assorbimento rende impossibile proseguire in questo modo. "La ruggine sul cuore è arsa, l'oscurità si trasforma in giorno e la candela della mente è resa inutile dal sole della luce divina (Corano)". Il cuore è continuamente impegnato nel Dhikr. Il devoto persevera assiduamente, finché le sillabe sono cancellate dal suo cuore e solo il significato delle parole rimane: un tocco del divino ricordo fa impazzire la mente – esplode la più inebriante delle gioie.

La ispirazione proveniente da questa letteratura mi spinse a realizzare la condizione della "Preghiera ininterrotta, continua". Sentii un'ondata di attrazione per la vita vagabondante dell'eremita. Mi ispirava il suo modo coraggioso di vivere e l'idea centrale di incominciare con un numero fisso di ripetizioni del Mantra e poi aumentarlo finché diviene automatico. Naturalmente, continuai risoluto la pratica utilizzando il Mantra che avevo scelto. Lo vissi come una Preghiera luminosa. La sua Magia Divina si diffuse in ogni sfaccettatura della mia vita. Era come uscire da una stanza scura nell’aria fresca e nella luce del sole. Come quando mi trovo all’aria fresca, non mi concentro su di essa ma la

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respiro, nello stesso modo il nostro sentiero divenne un’esperienza di pura gioia. Quello sforzo straordinario creò una condizione paradisiaca nella mia vita, che durò circa tre mesi.

Comunque ci furono giorni in cui avevo l'impressione di usare un martello pneumatico che distruggeva il cemento di tutti i miei freni interiori. La resistenza interiore era gigantesca. Il mio essere protestava che stavo facendo la cosa più stupida del mondo. Lasciai sciogliere ogni dubbio camminando il più possibile e ripetendo il Mantra in un modo appassionato. Mi presi tutto il tempo necessario per attraversare innumerevoli paludi mentali e raggiungere una condizione dove il Japa proseguiva senza sforzo. Ciò creò una forza morale che si trasformò in calma euforia: la certezza di avvicinarmi a qualcosa di stabile e immutabile entro l'evanescente flusso della mia esistenza. Guardando al passato, molte belle esperienze durante le mie routine di meditazione sembravano avere la consistenza di un'infinita teoria di riflessi sull'acqua. Ora tutti i miei sforzi sembravano compattarsi attorno un'ebbra immersione in uno stato celestiale di beatitudine. La sostanza mentale era percepita chiara come uno specchio senza macchia. Questa condizione mi ricordava ciò che Sri Aurobindo scrisse sul momento in cui posò il piede sul suolo indiano, dopo il lungo periodo di studi in Inghilterra. Parlò di una vasta calma che discese su di Lui, lo circondò e con Lui rimase per sempre. Sentivo che avevo raggiunto qualcosa di solido. Mi sentivo perfettamente a mio agio, quieto, senza alcun desiderio da realizzare.

Interrompevo il canto mentale del Mantra solo quando parlavo ad altre persone, ma ero capace di conservare lo stato di silenzio mentale: il segreto era di non essere coinvolto nelle immagini che sorgono dalle parole, rimanendo centrato sul senso di immutabile calma.

Pensai: "Non devo perdere mai di quest’esperienza, voglio provarla ogni giorno della mia vita poiché è la cosa più vera mai sperimentata"! Sembrava impossibile perderla. Durò alcuni mesi, poi la persi. Il mondo dei "Guru itineranti" si stava avvicinando alla mia vita e non potei evitare di incontrarne alcuni. Molti anni dovettero passare prima che una simile condizione celestiale si materializzasse di nuovo nella mia vita.

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CAPITOLO 4RICERCA DEL KRIYA ORIGINALE

Durante una gita a Vienna (Austria), trovai un testo scritto da uno Swami Indiano, che affermava di insegnare il Kriya originale di Lahiri Mahasaya - quello di P.Y. era menzionato come una forma lievemente modificata. Ovviamente il testo, come infiniti altri che avrei letto in futuro, doveva servire da esca, per interessare le persone a quella scuola di Kriya fondata dallo Swami e non includeva spiegazioni pratiche. Ero molto incuriosito quando lessi che la pratica del Pranayama doveva essere considerata errata se, dopo un opportuno numero di respiri di assestamento, il praticante - senza chiudere gli orecchi - non avesse ottenuto l’esperienza del suono interiore dell’Om. L'affermazione valeva la pena di essere presa in considerazione: era chiaro che l'insegnante si riferiva ad una pratica molto profonda del Pranayama. Leggendo il libro, ebbi la sensazione che l'autore conoscesse il processo del Kriya Yoga più profondamente di altri insegnanti. Non avevo alcuna idea su quando e dove avrei avuto l’opportunità di incontrare questo insegnante ma pregustavo la meravigliosa possibilità di approfondire il Pranayama e di chiarire, probabilmente, ogni altro dubbio che riguardava il Kechari Mudra e i Kriya superiori.

Uno di quegli amici che avevo contaminato con la mia ossessione di scoprire tutti i meccanismi del Kriya, specialmente i Kriya superiori mi portò delle importanti informazioni. Durante una "convocazione", aveva parlato con un Ministro e chiesto chiarimenti su una frase di P.Y. secondo cui: "I Chakra possono essere risvegliati da colpi psico-fisici diretti verso le loro sedi." Il Ministro lo rassicurò sul suo significato: non si riferiva ad un'altra ipotetica tecnica, oltre a quelle descritte pienamente nel materiale scritto. Si riferiva all'uso di un Mantra abbinato col respiro. Spiegò che se una sillaba è pensata con molta intensità mentale nella sede di un Chakra, mentre si inspira o si espira, essa crea un "colpo psico-fisico". Sul Kechari Mudra, disse che viene con tempo, specialmente insistendo nel toccare l'ugola con la punta della lingua.

Sentii anche di un Kriya Ashram in Europa dove secondo quanto si diceva viveva uno Swami che insegnava il Kriya originale. Dopo alcuni mesi lui era là, solo per scoprire che questo Swami era molto vecchio, prossimo ad abbandonare il corpo e la persona che lo ospitava non aveva ricevuto il Kriya da lui, né mai con lui aveva parlato di tecniche. Sentii anche di un altro gruppo di kriyaban in Europa, che aveva invitato un personaggio indiano. Di costui non si conosceva l'identità. Al suo arrivo, dopo avere dato una occhiata al materiale scritto pubblicato dalla nostra organizzazione che gli fu mostrato, finse di non riuscire a collegarlo con il Kriya Yoga che praticava da tempo. Spiegò che era necessario cominciare tutto daccapo, dall'iniziazione al Primo Kriya. Molti non accettarono di stringere con lui un patto di discepolato come questi richiedeva e così perse Ipso Facto due terzi dei suoi studenti. Quelli che accettarono le sue condizioni ricevettero l'iniziazione. Incidentalmente, la assoluta riservatezza non fu rispettata; e preziose informazioni (Talabya Kriya, Navi Kriya...) trapelarono. Più tardi, il gruppo ricevette parte dei Kriya superiori -- anzi solo il Secondo Kriya

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credo. Alcuni di quei kriyaban entrarono nell'orbita di quel maestro indiano e scomparvero come risucchiati da un buco nero; altri, stanchi di una pratica caratterizzata da molta insoddisfazione, ritornarono presso le spiagge sicure della nostra organizzazione.

Fu allora che qualcosa di così meraviglioso, di così dolce accadde. Quello che speravo tanto ardentemente un tempo e che mi fu negato in maniera così brutale, si materializzò tanto facilmente. Ebbi un colloquio privato con un altro Ministro della mia scuola di Kriya. Tutti i miei dubbi furono chiariti: la persona sembrò intelligente e non dogmatica. Potei parlare anche su come costruire una buona routine, ed addirittura del Japa. Ci trovammo in perfetta sintonia su tutto. Sarebbe bastato considerare conclusa la ricerca, ritornare alla semplicità della routine prima descritta, attendere che il Kechari si realizzasse col tempo, ed un paradiso si sarebbe aperto per me. Ogni caos, isterismo, confusione sarebbe finito per sempre. Ma la porta che avevo aperto non poteva essere richiusa. Divorato dal demone di trovare il Kriya originale, inseguito dalla frase secondo cui P.Y. aveva insegnato una forma leggermente diversa di Kriya, decisi di proseguire con la ricerca. Il libro trovato all'estero scritto dallo Swami Indiano, che indicherò con S.H., stimolò il mio interesse per intuire in che modo il Pranayama potesse essere approfondito. Leggendo e rileggendo il suo libro, ero eccitato come un bambino che sta per ricevere il più bel regalo. Ricordando una frase sfuggita alla meditation counselor su una variante del Kriya Pranayama insegnata ad alcuni discepoli da P.Y., mi convinsi che la decisiva aggiunta tecnica consisteva nel cantare mentalmente Om nei Chakra, esercitando, allo stesso tempo, tutta la possibile attenzione all’ascolto dei suoni interiori. Con la speranza di riportare in vita quel periodo in cui ricevetti la più profonda delle soddisfazioni dalla tecnica di ascolto dell’Om (ricevuta dalla mia scuola), mi dedicai totalmente a tale pratica.

Non ricordo quanti di questi respiri ero solito praticare ciascun giorno: di sicuro non più di 48-60 unità. Siccome la mia scuola di Kriya mi aveva insegnato a praticare il Pranayama con la bocca aperta o semichiusa, così continuavo a fare. Dopo questi piacevoli respiri continuavo ad ascoltare internamente. Il suono interiore apparve dopo appena quattro giorni di pratica assidua. Vissi per alcuni giorni nella più dolce realtà. La cosa curiosa è che ancora non conoscevo l’insegnante, avevo soltanto letto il suo libro: era l’intensità della mia pratica che era totale! Avevo la chiara percezione che uno stato di inconcepibile dolcezza era mio, che potevo assaggiarlo ogni giorno, durante la pratica ed in ogni momento quando riposavo, libero dal lavoro. Omkar divenne l'unico obiettivo della mia concentrazione, un contatto da essere conservato con la massima cura durante il giorno.

Primo insegnante al di fuori dell'organizzazione

L’autore del libro, a causa della necessità di essere sottoposto ad un intervento chirurgico negli Stati Uniti, si sarebbe presto fermato in Europa; mi diedi molto da fare per incontrarlo e ricevere da lui l’iniziazione al Kriya. Quel momento

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giunse finalmente! La conferenza introduttiva fu di grande impatto emotivo. Egli aveva un aspetto maestoso e nobile, era "bello" nel suo abito ocra, anziano con capelli lunghi, barba pure - era la personificazione del saggio. Lo sbirciavo nascosto dietro alcune file di persone; sentivo che parlava del lascito di Lahiri Mahasaya per esperienza diretta.

I concetti teorici che introdusse erano assolutamente nuovi per me e creavano una cornice bella e coerente per una pratica Kriya concepita come un unico processo progressivo di sintonia con la realtà Omkar. Come un filo in cui sono infilate delle perle, la percezione Omkar attraversava tutte le diverse fasi del Kriya. Il Maha Mudra non era separato dalla sua particolare forma di Pranayama il quale non era separato dal Pranayama mentale. Inoltre, la realtà Omkar doveva essere percepita non solo nell'aspetto di suono e luce ma anche come "sensazione di oscillazione" (altre volte parlò di un senso di pressione).

Le sue stupende e affascinanti parole erano per me una rivelazione ma in certi momenti, essendo enormemente curioso di apprendere i nuovi dettagli tecnici, ero incapace di prestare la dovuta attenzione a quanto diceva e perciò non compresi subito tutte le implicazioni di quei concetti. La mia ossessione era: "Che tipo di suoni nella gola devono essere prodotti in questo Kriya originale? Fino a quale centro sale l'energia durante l’inspirazione?"

Per far sì che gli studenti comprendessero l'aspetto di movimento proprio di Omkar, "toccò" alcuni di loro (testa e torace) vibrando la sua mano, cercando di trasmettere questo tremito al loro corpo. Stava guidando noi ascoltatori in una meravigliosa dimensione, si donò completamente a noi affinché potessimo intuire il profumo di quella esperienza.

L'iniziazione al Primo Kriya mi entusiasmò e mi deluse allo stesso tempo: i piegamenti che precedevano il Maha Mudra erano realmente preziosi e così fu anche la meditazione finale, chiamata impropriamente Paravastha, ma il Pranayama sembrava sparito e ridotto ad un brevissimo processo puramente mentale. Anche quello Swami, durante il corso degli anni, aveva purtroppo semplificato la tecnica originale. Non insegnava più il Pranayama col respiro lungo. Tra le persone che frequentavano i suoi seminari da anni, non erano un mistero i vari cambiamenti dei dettagli delle tecniche del Kriya Yoga che continuava a fare, anno dopo anno. Uno dei suoi discepoli intimi mi confermò che in passato aveva insegnato il Pranayama col respiro lungo e il canto di Om in ciascun Chakra. Ritornato a casa, non mi riuscii di fare neanche una seduta di meditazione esattamente come lui diceva. Decisi infatti di aggiungere alla mia routine (dopo il Maha Mudra e prima della sua forma di Pranayama) il "mio" Pranayama col respiro lungo.

Era d’inverno e avevo tre settimane di vacanza. Trascorsi tutte le mattine nel caldo della mia casa praticando il più possibile. Siccome nel suo libro era scritto che se volete fare un notevole progresso spirituale, dovrete prendervi l'impegno di essere consapevoli almeno di 1728 respiri al giorno, ebbi l'opportunità di farlo. La cosa migliore era di rimanere consapevole del respiro (un respiro calmo, breve, quasi impercettibile che pare quasi stia per scomparire), ponendo in relazione ciascun respiro con un Chakra diverso. Sperimentai un appagamento totale come se il percorso Kriya fosse giunto alla fase finale.

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Durante il giorno tutte le cose sembravano essere circondate da un alone magico che rendeva ogni dissonanza impossibile. Tutto era come trasfigurato; era come vivere in una realtà perfetta, ogni cosa mi sorrideva in estasi; ogni dolore era volato lontano dal mio sguardo. Trascorsi anche alcuni giorni in una bella località di sport invernali, dove ero libero di camminare nella campagna bianca di neve senza una destinazione prefissata. Mentre oziosamente camminavo senza una meta, il tramonto veniva presto e colori meravigliosi tingevano il paesaggio; le luci del piccolo villaggio sprofondato nella neve si accendevano nel buio. Quello rimarrà per sempre lo splendido simbolo del mio contatto con l’esperienza Omkar.

Le vacanze invernali finirono e ripresi il lavoro. Nei pochi momenti liberi pensavo alla preziosità del Kriya e visualizzai per il mio futuro la possibilità di approfondire, con totale dedizione, anche i Kriya superiori. Un giorno, sul luogo di lavoro, mi trovavo in una stanza da cui, attraverso una porta di vetro, potevo vedere da lontano le montagne e contemplare sopra di loro un cielo di un puro celestiale. Ero in estasi! Quel cielo distante era lo specchio dei miei anni futuri dove avrei gioito solamente del mio Kriya. Per la prima volta, il progetto di andare in pensione e vivere con un minimo reddito, permanendo in questo stato per il resto dei miei giorni, venne a me.

Egli insegnava anche una forma semplificata di Secondo Kriya, che appresi mesi dopo. Per quando riguardava il ricevere la forma completa di esso o altre tecniche evolute, si espresse in modo molto fermo: la richiesta di essere iniziati in esse dimostrava uno scarso impegno nelle tecniche di base. Consapevole che lo spirito del Kriya originale fosse stato perso presso le altre scuole, si concentrò solo sul farci toccare il suo nucleo. Le tecniche originali del Kriya di Lahiri Mahasaya, lui le aveva provate tutte e aveva concluso che alcune non erano essenziali, che altre erano troppo delicate e difficili da praticare. Il tentativo maldestro di applicarle avrebbero potuto risolversi in un’inutile distrazione per gli studenti e, per lui, insegnante, in una perdita di tempo.

Quanto diceva era vero, eppure finì per isolarlo. Non aveva tenuto conto della realtà della mente umana, della sua curiosità insaziabile, del rifiuto totale di ubbidire a qualunque censura. La sua infausta decisione di non spiegare alcune delle tecniche che Lahiri Mahasaya ci aveva tramandato (non solo parte dei Kriya superiori ma anche alcune tecniche base come il Kechari Mudra e il Navi Kriya) mise in moto un meccanismo inesorabile che allontanò le persone a lui più indispensabili. Letteralmente divorati dalla brama di ricevere gli insegnamenti completi, cominciarono a volgersi alla ricerca di altri maestri. Deluso dalla loro defezione, si intestardì a focalizzarsi sempre più sull'essenza dell'insegnamento semplificando ulteriormente l'insieme di tecniche del Primo Kriya. Coloro che cercarono di fargli capire l’assurdità della situazione e di impedirla, si trovarono davanti ad un muro impossibile da valicare. Aveva tutti i mezzi necessari per attrarre il mondo occidentale. Il libro che aveva scritto era stato una perfetta azione strategica che lo aveva reso popolare in occidente, facendogli ottenere un posto di centrale importanza nel campo del Kriya. Inoltre c'era anche la sua figura di saggio indiano che colpiva le persone. C'erano centinaia di ricercatori che erano entusiasti di lui, che erano pronti a sostenere la

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sua missione, che l'avrebbero sempre trattato come una "divinità" e si sarebbero comportati in maniera altrettanto rispettosa anche con eventuali suoi collaboratori o successori. Tuttavia il terreno che lui aveva dissodato e stava coltivando cominciò a diventare sterile. Ebbi la prova drammatica del suo isolamento quando un giorno, durante una seduta di ripasso del Kriya, rivolgendosi al pubblico, affermò che il vero Pranayama poteva avvenire solo nello stato di respiro calmo: al contrario, quello con contrassegnato da un respiro lungo, profondo (che molti sapevano era la caratteristica del lascito di Lahiri Mahasaya), era "buono solo per bambini di asilo"! Chiuse le narici con le dita e rimase in quella posizione per un certo tempo. Intendeva in tal modo alludere al fatto che egli aveva padroneggiato lo stato di assenza di respiro; sembrava volesse indicare che il pubblico non era in grado né di capire né di praticare il Kriya. Dentro di me pensavo a chissà quante delusioni lo avevano portato a quella singolare dimostrazione. Forse aveva incontrato solo persone che non erano state capaci di adottare la disciplina di una meditazione regolare e quindi non avevano realizzato nulla se non curiosità per chissà quali altri segreti del Kriya. Molti recepirono questo come uno sgradevole commento al fatto che lui ci stava dando delle spiegazioni solo per cortesia ma che il pubblico non era in grado di capire veramente il senso profondo di quanto ci stava illustrando. Le persone lo guardavano senza capire; lo ritenevano bizzarro, originale. Il risultato fu che i principianti non percepirono altro che una distanza incolmabile tra loro e il maestro. Coloro che avevano già una buona conoscenza del Kriya videro confermato il loro sospetto che quello che lui aveva insegnato fino a quel momento fosse una semplice introduzione al Kriya e che non avesse fornito la chiave per ottenere l'esperienza decisiva. È vero che molti si trovavano bene col suo Kriya, ma si trattava di persone che tendenzialmente mai si sarebbero date da fare per organizzargli dei seminari. Per dirla franca, la fedeltà di molti non gli bastò ad evitare il peggiore esito. Il suo sforzo ammirevole, tutte le meravigliose sottigliezze con cui aveva arricchito il nostro Kriya, rendendo questa pratica molto più bella, non fu sufficiente ad impedirgli di incontrare il naufragio di tutta la sua missione, almeno qui in Europa.

Usando gli stessi volantini, solo cambiando foto e nome, molte di quelle persone che si erano date da fare per organizzare i suoi seminari, invitarono un altro insegnante dall'India perché sapevano che costui era favorevole a spiegare il Kriya nella sua forma completa. Questo invito era molto strano e fatto forse più per disperazione che per convinzione, in quanto coloro che lo avevano già incontrato in India sapevano che la sua realizzazione spirituale era quasi inesistente. Ci vollero due anni affinché riuscisse a superare problemi del visto e potesse venire in Europa ma quando arrivò si trovò praticamente tutti i discepoli dell'insegnante descritto sopra pronti ad accoglierlo come un messaggero mandato da Dio.

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Letture

In quel periodo felice della mia vita cercai di rintracciare nella letteratura spirituale qualsivoglia movimento o eminente figura che avesse un collegamento con il tema: "Omkar". Il suono di Om (Omkar) è anche indicato nella letteratura come "Pranava", "Shabda", "Nada Brahman."

Lessi di nuovo quello che, molti anni prima, mi era stato insegnato dalla mia prima organizzazione di Kriya. Secondo questo insegnamento, l'essenza Divina sostiene questo universo per mezzo della vibrazione Om. Dio non è l'universo ma l'universo è parte di Lui. Qualsiasi cosa esista nel mondo fisico, astrale o causale, animata o inanimata, è fatta e sostenuta dalla vibrazione Divina. "In principio era il Verbo. E il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio." (Vangelo di San Giovanni). "Ed i suoi piedi erano come splendido ottone, incandescente; e la sua voce era come il suono di molte acque" (Rivelazione 1:15).

Non c’è dubbio che San Giovanni della croce ascoltò il tipico suono di molte acque tipico della vibrazione di Om. Egli diede una splendida descrizione del suo incontro con i "fiumi risonanti", la "musica silenziosa", la "solitudine sonora". Teresa di Avila nel suo libro "Il castello interiore" scrisse: "Esso ruggisce come molti grandi fiumi e cascate; ci sono flauti ed uno stormo di piccoli uccelli che cinguettano, non negli orecchi ma nella parte superiore della testa, dove si dice che l'anima abbia il suo posto speciale".

Leggendo alcuni estratti della letteratura Sufi, provai nostalgia della mia prima esperienza con la "musica di Dio." "Cerca il Suono che mai non cessa, cerca il sole che mai non tramonta", scrisse il grande mistico Rumi. Il suono di Om è il suono "non prodotto da colpo" (Anahata) - non prodotto dall’azione di due o più oggetti che si urtano. È, infatti, un suono che non arriva all'orecchio umano dall’esterno ma dall’interno. Il suono gioca un ruolo vitale in tutte le tradizioni mistiche, essendo il ponte tra il mondo fisico e quello astrale, l'inconscio e il conscio, la forma e ciò che è senza forma.

"L'universo emerse per mezzo del Suono Divino; da esso emerse la Luce." (Shams-i Tabrizī). "Chi sta suonando un flauto in mezzo al cielo? Il flauto risuona in trikuti (centro tra le sopracciglia) la confluenza di Gange e Jamuna. Il suono emana dal Nord! Le mandriane, sentono il suono del flauto ed eccole, cadute in trance dal Nada." "È una musica senza note che suona nel corpo. Penetra le cose interiori e quelle esteriori e ci guida fuori dall’illusione." (Kabir). "Il Suono è in noi. È invisibile. Dovunque guardo lo trovo." (Guru Nanak).

Lessi qualcosa su Kabir [1398 Benares - 1448/1494 Maghar] e Guru Nanak (1469 Nankana Sahib - 1539 Kartarpur). C'erano profonde somiglianze con le esperienze e il pensiero di Lahiri Mahasaya. I loro insegnamenti combaciavano perfettamente.

Tessitore analfabeta, musulmano d’origine, Kabir fu un gran mistico, aperto all'influenza vedantica e yogica, cantò il Divino in modo straordinario concependolo al di là d’ogni nome e forma. Le poesie e i detti, a lui attribuiti,

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sono espressi in un linguaggio particolarmente efficace che rimane inciso per sempre nella memoria del lettore. Nel secolo scorso Rabindranath Tagore, il gran poeta mistico di Calcutta, riscoprì la validità dei suoi insegnamenti e la forza della sua poesia e fece una bellissima traduzione in inglese dei suoi canti.

Kabir concepì l'Islam e l'Induismo come due vie convergenti verso un’unica meta: fu sempre convinto della possibilità di superare le barriere che dividono queste due grandi religioni. Non sembrò basare il suo insegnamento sull'autorità delle sacre scritture; rifuggiva i rituali religiosi. Insegnò a non rinunciare alla vita e divenire un eremita, a non coltivare alcun approccio estremo alla disciplina spirituale, in quanto indebolisce il corpo e aumenta l'orgoglio. Che Dio debba essere riconosciuto interiormente, nella propria anima - come un fuoco che, se nutrito con continua cura, brucia trasformando in ceneri tutte le resistenze, dogmi, ignoranza - appare molto bene nel suo detto: "un giorno la mia coscienza, come un uccello, volò in cielo ed entrò nel paradiso. Quando arrivai, vidi che non c’era Dio: realizzai infatti che dimorava nel cuore dei Santi". Dall’Induismo Kabir accetta il concetto di reincarnazione e la legge del Karma, dall'Islam prende il monoteismo assoluto e la forza per combattere il concetto di casta e ogni forma d’idolatria. Trovai in lui il senso pieno dell'esperienza yogica; egli afferma che nel nostro corpo c'è un giardino pieno di fiori, i Chakra, e invita a stabilire la coscienza nel Loto dai mille petali dal quale contemplare, la bellezza infinita. Per quanto riguarda il suo concetto di "Shabda", che può essere tradotto come "Parola" (la parola del Maestro) possiamo porlo in relazione con l’insegnamento Omkar. Secondo lui questo Shabda-Om allontana tutti i dubbi, tutte le difficoltà del discepolo, però è vitale mantenerlo continuamente, come una presenza vivente, nella nostra consapevolezza. Om, il richiamo divino presente nel corpo di ognuno, che nasce nel silenzio di un dolce Kriya, è l’ago della bussola. Seguendolo ci viene rivelato il Kutastha.

L'amato Guru Nanak diede lo stesso insegnamento. Egli disapprovò le pratiche ascetiche ed insegnò invece a rimanere internamente distaccato facendo la vita del capofamiglia. "L'ascetismo non è nei vestiti da asceta, o nel bastone per camminare, né nel visitare luoghi di sepoltura. L'ascetismo non è nelle mere parole; l'ascetismo è rimanere puri in mezzo alle impurità!" Tradizionalmente, la liberazione dalla schiavitù mondana era la meta, perciò la vita del padrone di casa era considerata un impedimento ed un ostacolo. In contrasto, nell'insegnamento di Guru Nanak, il mondo divenne l'arena dello sforzo spirituale. Egli era incantato dalla bellezza della creazione e considerava il panorama della natura come il più bel scenario per l'adorazione del Divino.

Scrisse i suoi insegnamenti in Punjabi, la lingua parlata dell'India Settentrionale. La sua noncuranza per il Sanscrito suggerì che il suo messaggio non facesse alcun riferimento alle sacre scritture esistenti. Si sforzò di liberare totalmente i suoi discepoli da tutte le pratiche rituali, modi ortodossi di adorazione e dalla classe sacerdotale. Il suo insegnamento richiedeva un approccio completamente nuovo. Mentre una piena comprensione del Divino è al di là degli esseri umani, descrisse Dio come non completamente inconoscibile.

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Dio deve essere visto attraverso "l'occhio interiore", cercato nel "cuore": enfatizzò la rivelazione attraverso la meditazione. Nei suoi insegnamenti ci sono cenni alla possibilità di ascoltare un'ineffabile melodia Interiore (Omkar) e di gustare il nettare (Amrit). Si ha l'impressione che lui dava un significato unico al concetto del monoteismo.

Riflettendo attentamente, a conclusione delle mie letture, concepii il sentiero Kriya come un processo di raffinamento, in fasi successive, della nostra sintonia con Omkar. Il Kriya Yoga è la fede di Kabir e Guru Nanak: una religione monoteistica dove il Dio "unico" è sostituito da Omkar! Tutti gli altri nomi dati alla Realtà Finale (usati anche da Lahiri Mahasaya nei suoi diari) sono parole del tutto inutili, coperture effimere imposte dalla mente umana. Omkar è la meta finale di Kriya e l'unica essenza che scorre attraverso tutte le sue fasi. Una religione monoteista che ha la Realtà Omkar come "Dio unico" esisteva, era ben conosciuta ed era la fede Radhasoami che è considerata come una derivazione del Sikhismo. 10 Ad essa ci si riferisce anche come Sant Mat (Sentiero dei Santi). Studiai tale sentiero con molto entusiasmo perché ogni cosa che lessi mi fece ricordare gli scritti di P.Y.! Con le stesse parole dell'organizzazione di P.Y., affermavano che questo Shabda era la Parola a cui ci si riferiva nella Bibbia: "All'inizio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio". (Giovanni 1:1). La vibrazione del Suono, la forza dinamica dell'energia creativa che fu emessa dall'Essere Supremo all'alba della manifestazione dell'universo, e che è continuamente emanata, attraverso i secoli, plasmando tutte le cose, animate ed inanimate, può essere ascoltato attraverso il Surat Shabda Yoga. Questo è un insegnamento pratico su come ascoltare il suono interiore Omkar -- esattamente lo stesso insegnamento, con le stesse parole che ricevetti dalla mia prima organizzazione di Kriya! Surat vuole dire "anima", Shabda vuole dire "parola." La "parola" è la "Corrente sonora", il "Flusso di Vita udibile" o l'"Essenza dell'Essere Supremo ed Assoluto". La tecnica Om è praticata dai gruppi Radhasoami chiudendo orecchi ed occhi, sia usando la posizione classica di accovacciarsi, appoggiando i gomiti sui ginocchi o usando un sostegno per le braccia. Alcuni abbinano l'ascolto dei suoni interiori col tentativo di assaggiare nettare (Amrit) tenendo la punta della lingua premuta sul palato. Prima di ascoltare il suono e vedere la luce, alcuni gruppi muovono il Prana su e giù nella spina dorsale... Leggevo con brividi di sorpresa quella che era stata la mia vita, le mie più profonde convinzioni. Era la stessa esperienza Omkar di cui avevo sempre sentito parlare. In qualche libro sul Kriya era scritto che P.Y. aveva fatto parte di questo movimento. Se questo è vero, allora a tutti gli effetti, avevo fatto parte di un gruppo Radhasoami senza esserne consapevole. Avevo praticato alcune tecniche (le buone tecniche Hong So e Om) che

10 La religione Sikh è fondata sugli insegnamenti di Guru Nanak e nove Guru successivi; è la quinta tra le religioni organizzate più grandi del mondo. È interessante notare che la chiave caratteristica distintiva di Sikhismo era un concetto non-antropomorfico di Dio, al punto tale che uno può interpretare Dio come l'Universo stesso.

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incarnavano sia i principi di Radhasoami che quelli del Kriya Yoga.

Potevo affermare che, in tutti i sensi, la mia organizzazione di Kriya e il mio primo insegnate dopo di essa (S.H.) mi avevano dato l'iniziazione alla luce e al suono, proprio come fanno i gruppi Radhasoami. Ricordo che nella concezione di S.H. il Kriya era suddiviso in sei livelli che costituivano sei gradini progressivi di sintonia con la dimensione Omkar quale suono, luce e sensazione di movimento. Spiegava che questa fusione dell'ultima traccia del nostro ego nell'oceano Omkar sarebbe avvenuta nel cavità vuota del cervello detta "grotta di Brahma". Nella parte frontale di questa regione vi è la ghiandola ipofisi e, dietro, la pineale: rispettivamente la sede del sesto e del settimo Chakra. Fra questi due "poli" si sarebbe prodotta un’emissione di luce, una specie d’arco di voltaico il quale avrebbe "illuminato" la regione. Questo fatto era descritto come un "matrimonio mistico". La descrizione era accompagnata da uno schizzo suggestivo che invogliava a credere alla validità e universalità dell'esperienza.

Ora, la stessa teoria era riportata in qualche particolare (forse non ortodossa) letteratura Radhasoami. Veniva sottolineato il ruolo della ghiandola pineale, alcuni Chakra supplementari erano individuati nel cervello! Quante volte mi ero chiesto quale fosse l'origine di certe varianti del Kriya! Ora non avevo dubbi che certi discepoli di Lahiri Mahasaya avevano fatto parte nella loro gioventù di un gruppo Radhasoami e forse, senza nemmeno esserne completamente consapevoli, aggiunsero al Kriya degli elementi di teoria e pratica che appartengono al pensiero Radhasoami.

Diedi un'occhiata a pagine dove era celebrato il ruolo del Guru. Non c'è dubbio che il concetto di Guru ha un posto speciale nel pensiero Indiano. Uno dei principali testi indù, la Bhagavad Gita è un dialogo tra Dio nella forma di Krishna ed il principe guerriero Arjuna. Il loro dialogo rappresenta il rapporto ideale tra Guru e discepolo. Nel pensiero Radhasoami questo rapporto è elaborato in grande dettaglio -- proprio come avevo ascoltato dalla mia organizzazione di Kriya. Veniva spiegato che durante l'iniziazione, il Satguru vivente (Sat - vero, Guru - insegnante) attiva questo Shabda che diviene il Satguru interno collocato presso il terzo occhio del discepolo. Attraverso la sua Luce interiore il discepolo viene a "conoscere Dio." Un Guru si assume su di sé parte del karma del discepolo, appare a questi nel momento della morte per presentarlo a Dio. Questo ruolo è così importante che c'è un detto che se il devoto fosse presentato al Guru e a Dio, prima dovrebbe inchinarsi al Guru, poiché il Guru è stato lo strumento che lo ha condotto a Dio. Un discepolo non poteva mai recidere il collegamento sacro col Guru per nessuna circostanza.

Nella letteratura Radhasoami, il concetto di Guru-Parampara è sottolineato. Il potere spirituale di un Guru è trasmesso dopo il suo Mahasamadhi da una serie ininterrotta di rappresentanti autorizzati. In questo modo, la trasmissione del potere mistico (Diksha) avviene proprio come se il Guru fosse fisicamente presente. Un riconoscimento formale di questo fatto include il Gurudakshina, un segno prezioso di gratitudine al suo Guru, che è dato al rappresentante autorizzato che conduce la cerimonia di iniziazione.

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Secondo insegnante al di fuori dell'organizzazione

Durante un viaggio in Francia, trovai uno strano libro sul Kriya Yoga di Babaji. Conobbi una scuola Kriya che era situata in una zona idealmente diversa da tutte le altre scuole. Essa era nata dalle esperienze e insegnamenti di un personaggio indiano che proclamava di essere discepolo diretto di Babaji. In questa scuola la tecnica principale era denominata Kriya Kundalini Pranayama. Kriya Hatha Yoga, Kriya Dhyana Kriya, Kriya Mantra Yoga vi ruotavano attorno quella tecnica di respirazione, estendendo la sua sfera di azione su tutti gli aspetti della vita umana. L'idea di avere scoperto una fonte da cui apprendere tutto sul Kriya, mi eccitò parecchio. Anche se delle illustrazioni nel libro mi diedero l'impressione di leggere un libro di favole per bambini, ero fiducioso. Non mi accorsi che non c'era alcun cenno alle tecniche Talabya Kriya, Kechari Mudra, Navi Kriya, Omkar Pranayama, Thokar.... Questa scuola presentava tre livelli di Kriya che si potevano ricevere nel giro di tre anni purché si desse prova di un serio impegno.

Il primo livello non mi deluse, tuttavia mi lasciò un poco perplesso. L'insegnante era ossessionato dal precetto di non trattenere mai il respiro: in tal modo veniva subito accantonata la tecnica dello Yoni Mudra. Pur essendo essa fondamentale per Lahiri essa era considerata pericolosa e quindi vietata. Il Kriya Kundalini Pranayama sembrava però una bella tecnica. La cosa più fastidiosa era che una volta fatti 16 respiri, il processo messo in moto veniva abbandonato del tutto e si praticava il Dhyana Kriya, una pratica meditativa che nulla centrava con la spina dorsale, i Chakra ecc. Prima di ricevere istruzioni da questa scuola, mescolando quello che avevo imparato dall'organizzazione con l'insegnamento di S.H., mi ero creato una routine molto dolce, la cui parte finale (concentrazione sui Chakra), era una vera delizia. Praticando questa nuova routine si creò in me una grande nostalgia per quanto avevo abbandonato. Cambiando poi, ogni giorno la tecnica di meditazione (c'erano sette tecniche diverse per ogni giorno della settimana) avevo la sensazione di vivere un periodo caotico della mia vita, senza dare origine a nulla di sostanziale.

Il punto centrale del suo Secondo Livello era l'iniziazione ai Mantra. Questo argomento mi era più congeniale che la strana forma di Dhyana Kriya. I Bija Mantra dei Chakra erano simili ma non esattamente identici ai classici: Lam, Vam, Ram... Purtroppo avremmo dovuto ripetere questo corso due o tre altre volte per ricevere la serie completa di Mantra dei Chakra. La cosa strana è che l'insegnante sembrava perso nella dimensione New Age e non si rendeva conto di quanto mal organizzato fosse il suo insegnamento. Diede a sua moglie il ruolo di pontificare su molti temi (macrobiotica, come vedere l'aura, come fare diagnosi di Ayurveda e altre amenità). Si rese ridicolo spiegandoci la tecnica del "disperdere le nubi": fissare una nube in cielo con lo scopo di dissolverla!

Sopportavo ogni cosa in quanto ponevo tutta la mia speranza nel terzo livello. Questo fu una delusione terrificante, al di là delle mie peggiori aspettative. Non c'erano Kriya superiori ma Yoga comune, di quello che si trova su tutti i libri -- anzi la spiegazione che si trova sui libri è impostata in modo

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molto più soddisfacente. Le tecniche di Samadhi, date come conclusione di un corso snervante e noioso, erano una rilettura della tecnica Hong So11, tre tecniche di visualizzazione abbastanza comuni, la classica istruzione di consapevolezza continua durante il giorno ed una variante della tecnica Om che avevo un tempo appreso dalla organizzazione. Per molti di noi che avevamo l'esperienza di una vita con le tecniche preliminari al Kriya offerte dalla organizzazione e che avevamo investito tempo, emozioni e denaro in questo corso, ricevere di nuovo le tecniche che già conoscevamo, in qualche modo camuffate e spacciate per tecniche di Samadhi, fu veramente una doccia fredda.

Qualcuno di noi osò chiedere l'opinione dell'insegnante sul Kriya di Lahiri Mahasaya. Sulle prime, sembrava reticente e non pareva contento del nostro interesse per l'argomento, poi prese coraggio e ci spiegò il suo punto di vista. Credeva che Lahiri Mahasaya non avesse praticato con totale dedizione tutti gli insegnamenti ricevuti da Babaji, per questo ... morì. Scioccati, comprendemmo che siccome Lahiri Mahasaya non aveva ottenuto l'immortalità (come, secondo lui, dovrebbe accadere a chi si dedica totalmente ad applicare il Kriya integralmente) il nostro insegnante non gli attribuiva una grande considerazione. Penso che il lettore non abbia bisogno di altri dati per capire come, entro poco tempo, abbandonai questo maestro.

Intermezzo: Kriya Yoga inquinato dal New Age

La mentalità sviluppata seguendo tale scuola mi portò ad incontrare persone e gruppi dove dove il Kriya Yoga era inquinato da temi "New-Age". Questo periodo mi ritorna in mente quando ascolto le registrazioni di alcuni canti devozionali che acquistai allora. In quel periodo ero molto felice: mi innamoravo di un bhajan indiano e lo cantavo entro di me tutto il santo giorno. Per me aveva la consistenza del cibo; anzi avevo proprio l'impressione di mangiare quella musica in quanto dopo alcuni giorni di canto realizzavo di averla esaurita e cercavo un altro canto per tuffarmi in esso come se fosse l'unico degno di essere cantato.

L'incontrare diversi gruppi di persone che praticavano il Kriya fu come incontrare la mia più vasta famiglia. Nuotando nel mio stato di esaltazione, non capivo nulla delle altre persone e mi sembrava che vivevano una vita bellissima, facevano lavori bellissimi e io sognavo di vivere sempre come loro. Legati ad uno stile di vita orientaleggiante, amavano particolarmente un'atmosfera, un modo di atteggiarsi caratterizzato da specifiche sensazioni che cercavano di coltivare con piccole attenzioni e, soprattutto, innocenti manie. Imparai ad associarmi con ognuno - per esempio quelli che mi ospitarono quando frequentai seminari in città distanti - come un esploratore affronta degli animali ignoti, preparandomi a qualsivoglia eccentrica rivelazione. A volte reagivo alle loro

11 In realtà più idiota della tecnica Hong So poiché, mentre Hong So è un Mantra universale le cui sillabe sono state scelte in modo specifico per il loro potere di calmare il respiro, col quale hanno un collegamento vibrazionale, noi usavamo il Mantra "Om Babaji".

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stranezze con un po' d’ironia, che sgorgava da me spontanea, intrattenibile. Per quando riguarda il Kriya vero e proprio, ricevetti varie iniziazioni da

parte di diversi insegnanti. Esplosero conflitti e polemiche se qualche insegnante che un tempo era stato il braccio destro di qualche Guru famoso, si era reso poi indipendente per propria scelta o perché erano stato ripudiati da questi. Sebbene sentissi che quella atmosfera mi era estranea, la accettai come un inevitabile inconveniente per riuscire ad ottenere le informazioni che cercavo con tanta passione. Era prescritto di portare dei fiori, qualche frutto e un'offerta in denaro -- di solito veniva stabilita una precisa somma di denaro. In linea di massima, dopo diversi rituali, la spiegazione era sempre rapida e superficiale; spesso c'era anche una polemica spietatamente distruttiva nei confronti delle informazioni ricevute da altre fonti. Uscivo da quelle "iniziazioni" ripetendomi quanto fossi soddisfatto, proponendomi da allora in poi di abbandonare altre pratiche e dedicarmi con gran serietà solamente a quelle appena ricevute. Rifuggivo dalla consapevolezza che la nuova iniziazione aveva solo aggiunto qualcosa di insignificante rispetto a quello che già conoscevo, che restringermi solo ad esso sarebbe presto divenuto una "gabbia" che prima o poi avrei trovato troppo stretta e da cui mi sarei allontanato.

Per molti tra di noi, quelle iniziazioni erano come un vizio. Avevamo la tendenza ad accumulare tecniche come per prepararci ad una carestia. Questa abitudine creò dei conflitti in noi. Tanto per fare un esempio, in quasi tutti questi seminari d’iniziazione un impegno solenne di segretezza era la parola d'ordine per essere accettati. Tutti devotamente facevano questa promessa e, appena la riunione era finita, condividevano al cellulare le informazioni ottenute coi loro amici, i quali, in cambio, avrebbero preso parte ad altre iniziazioni e restituito il favore.

Nel gruppo legato con la prima organizzazione, incontrai persone il cui entusiasmo verso il Kriya era molto tiepido, e sembrava praticassero le poche tecniche che conoscevano come se stessero compiendo un sacrificio per espiare la "colpa" di esistere. In questo nuovo ambiente, conobbi molte persone che, invece, erano persino "troppo entusiaste" del Kriya e di qualunque cosa avesse a che fare con lo sviluppo della personalità. Sottolineando il potere catartico delle pratiche meditative orientali, molti focalizzavano la loro attenzione solo su aspetti secondari del sentiero mistico e avevano perso di vista la meta. Nella loro stanza di meditazione, colma di poster e cuscini dai mille colori, decorazioni, cristalli e altri oggetti, erano soddisfatti dalla bella atmosfera creata. Non esisteva altra realtà da essere ricercata. Ricerche su medicine alternative, terapie di gruppo dirette da bizzarri personaggi privi di formazione accademica, erano distrazioni costose da abbinarsi al Kriya.

Fui colpito dalla tendenza a spendere molti soldi in seminari dedicati a strani metodi terapeutici come aroma terapia, terapia coi cristalli, terapia coi colori… Queste innocue distrazioni suscitavano grande entusiasmo, sembravano intensificare la loro esperienza del Kriya: funzionavano per un certo tempo, dopo di che venivano abbandonate.

Per pulire i propri conflitti interiori, un gruppo kriyaban era sotto l’influenza di un individuo astuto il quale, a seconda delle necessità, assumeva il

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ruolo di psicoterapeuta, di insegnante spirituale, di medico alternativo e -- con il pendolo in mano -- pretendeva di diagnosticare tutto, dalle più lievi indisposizioni alle malattie più serie, così come di suggerire rimedi. I suoi metodi davano grande importanza a riferire in pubblico i propri traumi infantili. Seduti in circolo sul pavimento, formavano gruppi di lavoro e, vincendo delle resistenze interiori, condividevano, talvolta con acuta sofferenza, esperienze che non avevano mai detto prima. Dal punto di vista legale, questa psicoterapia alternativa doveva essere camuffata da attività culturali o religiose.

Alcuni furono irretiti dalla affermazione secondo cui le pratiche meditative classiche - i metodi sobri adottati da sempre dai mistici delle varie religioni - non sono più validi per il nostro tempo. Andavano bene 50 anni fa, ma con la nuova era l’uomo si è evoluto ed è pronto a impiegare mezzi più veloci. Furono sedotti dalla tentazione di applicare mezzi più veloci. Coloro che partecipavano al gruppo divennero entusiasti di "tecniche costose" condivise nei fine settimana, le quali in 20 minuti al giorno avrebbero prodotto una rigenerazione del DNA, una espansione di coscienza mai ottenuta con altri mezzi, la liberazione finale ecc.

C’erano anche quelli che cercavano di ritrovare, attraverso la regressione ipnotica le proprie vite passate per far rivivere e quindi comprendere i traumi più profondi… Sembrava - e l'idea non era affatto malvagia - che questo processo di rimozione dei blocchi interiori potesse aiutare l'energia a fluire meglio nel corpo durante il Kriya. Questo processo, a sua volta, divenendo più intenso poteva dare l'aiuto decisivo nelle fasi più delicate del processo di pulizia globale. L'idea di porre in moto questo circolo virtuoso li affascinava oltre ogni limite, purtroppo alcuni si allontanarono molto dal Kriya fino a perderlo del tutto.

Quanto a me, cominciai a comprendere che stavo andando alla deriva perdendo delle acquisizioni fondamentali come lo stato di assenza di respiro, l'ascolto del suono di Om... Avevo dimenticato tutto, ero come ipnotizzato. Questa colossale perdita di tempo era stata come preparare la propria casa per un ospite distinto, continuando a pulirla e decorarla, estasiati dalle varie comodità che la loro casa offre – mentre l'ospite, dopo aver suonato varie volte il campanello, sedeva, trascurato, sullo stuoino davanti alla porta…

Mi resi conto anche -- e forse questa è la cosa più importante -- che il mio criterio per giudicare la bontà di una nuova tecnica di meditazione (o di qualche confusa mescolanza di metodi catartici di auto guarigione) dal vago senso di benessere percepito durante la pratica stessa, significava aver fatto del mio ego la bussola del mio viaggio spirituale.

Non mi entrò mai in mente la mania pericolosa e potenzialmente distruttiva di cercare senza sosta di esplorare i misteri inerenti al "potenziale umano". Alcuni furono convinti ad investire in costosi seminari dove i loro canali energetici sarebbero stati aperti ed essi avrebbero appreso il segreto di come usare l'Energia Universale. Tutto questo veniva a costare parecchio, anche perché i seminari non erano tenuti nelle vicinanze ma all'estero, presso costose residenze.

Quando osai porre in dubbio la validità dell'intera cosa, una signora,

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infastidita, mi disse che non c'era alcuna ragione di essere perplessi riguardo a tali pratiche senza averle provate: "È il nostro Karma che ci sta dando la migliore opportunità di crescere su tutti i piani." "Ci si aspetta che noi rispondiamo in modo positivo. Non dobbiamo opporci a questa benefica corrente altrimenti potrebbe rendersi necessario ... morire e rinascere di nuovo solo per vivere quelle esperienze che ora stiamo rifiutando!" "La tecnica Kriya -- aggiunse -- si pratica con l’energia presente nel corpo. Quindi se questa energia è ricaricata dal flusso dell’energia universale, quello che si presenta come un lungo cammino diventa una passeggiata".

In seguito ebbi diverse occasioni di incontrare e avvicinarmi più intimamente a coloro che organizzavano i seminari. Essi davano l'impressione di essere ricercatori onesti e anzi davano la rassicurazione che dalla loro bocca non sarebbe mai uscita alcuna sciocchezza. Rimasi stupito quando uno di loro, non per pura e semplice esibizione, citò a memoria alcune righe di uno scritto di P.Y. - proprio quelle stesse frasi sibilline che erano state un tempo la fonte di tante incertezze. Aveva letto e riletto quei testi moltissime volte tentando di decifrarli, chino su di essi, ci aveva "sofferto" veramente. Sentii che simili ricercatori erano la mia vera "famiglia"; imparai ad ascoltarli con rispetto ed in silenzio quando corressero molte mie interpretazioni fantasiose sul Kriya. Il nostro rapporto era basato su un reale affetto e non c'era mai disapprovazione, acidità o formalità. Furono sempre generosi verso di me e rispettosi della mia personalità. Mai cercarono di impormi qualche loro convincimento, mentre condividevano tutto quello che conoscevano, anche quanto era costato tempo, sforzo e denaro.

Eravamo concordi che i nostri insegnanti erano principalmente persone mediocri, talvolta sgarbate e immorali. Questo contrastava terribilmente con la personalità che ci si aspettava da persone che si presentavano come "guide spirituali."

Non fummo capaci di trovarne almeno uno che lasciasse trasparire quell'abilità essenziale in una questione sottile e delicata come il lavoro pedagogico che pensava di svolgere. Dei fatti secondari confermarono la prima impressione di precarietà ed improvvisazione e, in un caso, persino d’instabilità mentale. Sapevano pochissimo del Kriya Yoga ed in modo ancora più superficiale lo insegnavano. Come era possibile che tollerassimo questa situazione? Il fatto che essi affermavano che erano autorizzati ad iniziare, ci accecava. Eravamo soggiogati dal mito che il Kriya va appreso da un insegnante "autorizzato". È strano pensare che questa suggestione profondamente radicata in noi, ricevuta dalla scuola di P.Y. era proprio ciò che sosteneva il nostro atteggiamento deferente e tollerante verso personaggi che stavano realmente abusando delle nostra buona fede.

Alcuni nostri amici, di ritorno dall’India, mostravano l'emozione di avere conosciuto una terra straordinaria e, nello stesso tempo la delusione per tutto quanto non erano riusciti a imparare. Capitò spesso che qualcuno avesse incontrato un millantatore il quale li aveva assicurati di conoscere il Kriya e di poter dare loro l'iniziazione. Questo a patto che essi mantenessero la più totale segretezza sul fatto, senza stabilire alcun contatto con altri ricercatori. In tal modo questi si sentiva sicuro che per molto tempo i suoi iniziati non si sarebbero

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resi conto che in realtà quello che avevano ricevuto non aveva nulla a che fare con il Kriya. Mi accorsi di ciò solo quando riuscii a vincere le resistenze interiori di qualcuno e mi feci dire la tecnica che avevano appreso; si trattava della semplice ripetizione di un Mantra! La cosa che più mi dispiaceva non era tanto la sostanziosa offerta che questi amici avevano fatto a quelle persone (che per un indiano significava una fortuna) ma il fatto che così, pur viaggiando in varie parti dell'India si erano privati della possibilità di apprendere il Kriya da altre fonti, in altri posti.

Un fatto di diversa natura accadde ad un amico il quale incontrò un discendente di Lahiri Mahasaya, un nipote diretto, un uomo di grande istruzione accademica e anche di profonda conoscenza del Kriya, ma non ne ricavò assolutamente nulla. Rimasi allibito quando, ritornato dall'India mi annunciò qualcosa di veramente singolare. Mi disse che a Benares, e probabilmente ovunque in India, il Kriya non si praticava più. Mantenni abbastanza controllo da non interromperlo o contestarlo, poi ponendogli delle domande apparentemente marginali, cercai di capire quello che era accaduto. Il mio amico, come era solito fare, aveva aperto la conversazione introducendo argomenti futili come domande sulle abitudini indiane, l'indirizzo di un Ashram dove voleva recarsi, poi, verso la fine dell'intervista - quasi ricordando improvvisamente di trovarsi nella casa di Lahiri Mahasaya - aveva chiesto se per caso qualcuno dei discendenti di Lahiri Mahasaya praticasse ancora il Kriya. Il suo modo di atteggiarsi deve aver raggelato l’illustre ascoltatore perché la risposta, che nascondeva un amaro sarcasmo, fu negativa; in altre parole: "certo che no, qui nessuno lo pratica più. In India non si pratica più. Sei rimasto solo tu a praticarlo!"

Finito il suo racconto l'amico mi guardava con occhi stupiti. Non so ancora se sperava di convincermi o se, più che altro, era immerso nella sua amarezza e frustrazione. Non dissi nulla. Credo che non si rendesse conto di quanto stupidamente si era comportato con quella nobile persona. La batosta gli arrivò un mese dopo, quando venne a sapere che un suo concittadino aveva ricevuto l'iniziazione al Kriya proprio da quella stessa persona da lui intervistata a Benares. Fu molto contrariato, offeso dalla notizia e fece il progetto di ritornare in India e protestare presso quel Kriya Acharya. Purtroppo non ci ritornò più, perché una grave malattia ci portò via quest’amico. Nonostante la diversità abissale del nostro carattere, gli sarò sempre grato per tutto quello che del sentiero spirituale in generale volle condividere con me.

Un altro amico si era fermato per alcuni giorni presso un Ashram dove sapeva che si poteva ricevere il Kriya Yoga. Il monaco che guidava questo Ashram non era presente, però l'amico ricevette l'iniziazione al Kriya da un suo discepolo. Acquistò un grosso volume dove c'era la descrizione sintetica delle tecniche. Di ritorno dall'India l'amico, visibilmente soddisfatto, mi mostrò questo libro: le tecniche non erano molto diverse da quelle che conoscevo però c'erano tanti altri dettagli in più. Non c'era nulla, in ogni caso, che andasse a chiarire i miei dubbi, non un cenno a come ottenere il Kechari Mudra, nulla sul Thokar. Ricordo invece una tecnica molto complicata basata sulla visualizzazione dei Chakra come sono descritti nei testi tantrici. Ogni tecnica era preceduta da un'introduzione teorica con citazioni da libri antichi e accompagnata da

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un'illustrazione che eliminava ogni possibile dubbio. Alla fine del libro veniva data una routine graduale molto precisa. C'era naturalmente l’affermazione che tutte queste tecniche costituivano il Kriya come spiegato da Babaji, il mitico Guru di Lahiri Mahasaya. Siccome il materiale era molto interessante, mi sarebbe tanto piaciuto illudermi che la mia ricerca fosse finalmente conclusa e che quegli appunti contenessero quanto cercavo! Bastava solo credere che Babaji, per creare il Kriya Yoga, non avesse fatto nient'altro che fare una sintesi del comune tantrismo. Ci voleva inoltre l’audacia di pensare che il Thokar potesse essere considerato null’altro che una banale variante del Jalandhara Bandha! E se non c'erano le istruzioni per il Kechari Mudra, pazienza, ciò voleva dire …. che tale Mudra non era importante! Con un po’ di buona volontà sarei riuscito a far quadrare il cerchio! Il caso volle che ascoltassi la registrazione di una conferenza dell'autore Swami S. S.. Raccontava di aver trovato tali tecniche in alcuni testi tantrici e di averne fatto una selezione accurata per formare un sistema coerente: quello costituiva il suo sistema Kriya! Come poteva spiegarsi allora l'affermazione secondo la quale quegli insegnamenti provenivano da Babaji? Semplice! Come molti altri insegnanti indiani, erano stati i suoi discepoli, non lui, a redigere quel materiale; questi ebbero la bella pensata di renderlo più interessante accennando alla derivazione dal mitico Babaji. L'insegnante, sempre rispecchiando un tipico costume indiano, non aveva mai controllato quegli appunti - rimase, infatti, sconcertato quando seppe di quell’aggiunta. Difese però l'operato dei suoi discepoli affermando che, in fondo … "anche il Kriya di Babaji aveva origini tantriche".

Terzo insegnante al di fuori dell'organizzazione

Quando giunse il momento di incontrare il tanto atteso insegnante dall’India - quello che, speravo, mi spiegasse il Kriya nella sua forma completa – non ero nello stato d’animo ottimale. Da alcuni indizi, sapevo che stavo per fare i conti con un approccio radicalmente nuovo. Temevo che questo potesse scombussolare la semplice e abbastanza remunerativa routine nella quale mi ero stabilito. La magica dimensione di Omkar, nella quale l’insegnante precedente mi aveva immerso in un modo così appassionato, non poteva essere messa da parte o dimenticata. Non potevo nemmeno pensare di porre altri principi a fondamento del mio sentiero spirituale. Perciò mi avvicinai al nuovo insegnante, bene deciso a rifiutarlo se lui, in qualche modo, sembrasse portarmi lontano da tale realtà.

Lo incontrai in un Centro Yoga dove era stato invitato da alcuni discepoli. La sintesi del suo discorso introduttivo era che il Kriya non significava gonfiare mente ed Ego muovendosi verso un’ipotetica mente superiore, ma un viaggio oltre la mente, in un territorio incontaminato. Da certe risposte a domande poste dal pubblico, vidi che conosceva il mio ultimo insegnante ed era consapevole della sua scelta di non insegnare tutte le tecniche del Kriya. Ci fece capire in modo chiaro che la ragione del suo viaggio in occidente era ripristinare gli insegnamenti originali. Questo fu sufficiente a vincere le mie resistenze. Nel seguente seminario d’iniziazione osservai con indulgenza alcuni difetti di

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comportamento che impressionarono negativamente altre persone. Rivelò, infatti, un temperamento irascibile. Esplodeva quando gli venivano rivolte troppe domande, anche se erano legittime; trovava sempre, al di sotto delle parole, un’intenzione nascosta di contestarlo, una forma velata di opposizione.

Ma io focalizzai tutta la mia attenzione sull'apprendere la sua forma di Kriya e non mi curavo delle sue evidenti manchevolezze. La spiegazione delle tecniche era ragionevolmente chiara ma in alcune parti sintetica in modo inusuale. Per esempio le istruzioni sul Pranayama - formalmente corrette - potevano essere capite solamente da chi già praticava da molto tempo il Kriya.

Kechari Mudra

Dopo tre mesi di Talabya Kriya raggiunsi il Kechari. Un giorno, usando le dita per spingere la base della lingua verso l'interno, la sua punta rimase come "intrappolata" nella faringe nasale. Ebbi qualche disagio a causa di un aumento di salivazione e un senso d’irritazione. Per alcuni giorni provai un senso di "intontimento" e le mie facoltà mentali sembravano ottuse. Poi tutto cessò e il mio Kriya prese il volo. Quando uscivo per una passeggiata, se incontravo qualcuno e mi fermavo ad ascoltarlo, non importa quello che dicesse, un’improvvisa gioia scoppiava nel mio petto, saliva fino agli occhi, tanto che era difficile trattenere le lacrime. Guardando le montagne lontane o altre parti del paesaggio, cercavo di indirizzare verso di esse quello che sentivo, onde trasformare la gioia paralizzante in un rapimento estetico: questo tratteneva la gioia che serrava il mio essere, e la nascondeva.

La cosa più bella fu sperimentare un aumento dell'esperienza Omkar. Ero fuori di me dalla gioia perché sentivo che avevo finalmente trovato la completa serie di tecniche del Primo Kriya. Come era possibile che la mia prima scuola non insegnasse una tecnica così semplice come il Talabya Kriya, preferendo sostenere infinite polemiche e speculazioni che si trascinano fino ai giorni nostri? Scrissi le mie ragioni alla mia organizzazione e ne uscii fuori.

Navi Kriya e Alchimia Interiore

Nel tentativo di comprendere il senso del Navi Kriya scoprii l'importanza di studiare l'Alchimia Interiore Taoista. Il mio primo testo di studio fu: Lo Yoga del Tao di Charles Luk& Lu Kuan. La mia attenzione era stata notevolmente stimolata; ricordo come fotocopiai molte pagine del libro, ritagliai i pezzi più importanti, li misi in ordine e li incollai su quattro fogli di carta evidenziando le quattro fasi dell'Alchimia Interiore Taoista. La somiglianza col Kriya Yoga era veramente impressionante.

La prima tappa è la base di tutto il processo. Essa consiste nell'attivare l'Orbita Microcosmica. Durante l'inspirazione, la consapevolezza e l'energia (Qi) sono sollevate lungo il canale di Controllo dietro la spina dorsale e lasciate fluire in

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basso lungo il canale di Funzione durante l'espirazione. Lo scopo di questa azione è "portare Tre a Due, Due ad Uno". Vediamo cosa significa. I tre sono Jing (energia sessuale), Qi (energia dell'amore) e Shen (energia spirituale). Queste energie sono fuse, mescolate insieme. Esse si originarono da una frattura, una divisione al momento della nascita. Il primo scopo nell'attivare l'Orbita Microcosmica è di creare armonia tra di loro e così esercitare una azione di risanamento permanente sulla personalità. Questa procedura è molto simile al Kriya Pranayama. Le varie metafore usate per spiegare il suo meccanismo (la zampogna capovolta, il flauto senza fori...) ci riportano alla mente con sorprendente analogia alcune strane spiegazioni relative al Kriya Pranayama e al Kriya in generale -- che abbiamo ricevuto da varie fonti.

Nella seconda fase l'energia accumulata nel cervello è guidata in giù nel Dantian, dietro l'ombelico, nel basso addome. Da qui essa ascende spontaneamente nella regione del cuore. La descrizione di questo stadio esemplifica chiaramente il principio del Navi Kriya.

Nella terza tappa, il Prana è aumentato nel canale di spinta. Questo canale si estende dal perineo alla Fontanella percorrendo l'asse centrale del corpo davanti alla spina dorsale. Nella quarta tappa l'energia raggiunge la regione tra le sopracciglia e accade un fenomeno spontaneo di circolazione di energia nel corpo (l'Orbita Macrocosmica.)

Il Kriya Yoga si rivela una disciplina che può essere descritta attraverso i simboli di due culture diverse. Nasce il pensiero che il Kriya Yoga non sia una tradizione indipendente ma non sia altro che l'Alchimia Interiore Taoista insegnata entro un contesto Indiano. Non è un'idea bizzarra che il mitico Babaji fosse/sia uno degli "immortali" della tradizione Taoista. Studiai ogni titolo che mi riuscì di trovare sul soggetto (Taoismo incluso). La mia risposta entusiasta derivò dall'intuizione che il Kriya Yoga e l'Alchimia Interiore Taoista condividevano un fondamento comune e, studiando quest'ultima, avrei potuto comprendere più chiaramente il funzionamento di qualche tecnica del Kriya Yoga. C'erano due idee chiave che eccitavano in particolare il mio interesse.

a. L'energia sessuale è il combustibile dell'energia spiritualeMolto interessante per comprendere l'azione vitale del Kriya Pranayama è quello che l'Alchimia Interiore spiega sulle tre energie Jing (energia sessuale), Qi (energia dell'amore) e Shen (energia spirituale). Il Kriya Pranayama crea armonia tra di loro e questo non è chiaramente spiegato nei libri di Kriya Yoga. Col Kriya Pranayama l'energia sessuale si trasforma in amore puro e questo in aspirazione spirituale: questo evento implica un'azione di risanamento permanente sulla personalità. Il Kriya Pranayama libera una persona da tutte le schiavitù.

L'energia sessuale non è solo ciò che il nome implica ma è l'agente che ci fa gioire delle percezioni sensoriali e ci dà la forza, la determinazione di combattere la battaglia della vita ed ottenere tutte le cose necessarie ad essa (sfortunatamente noi lottiamo anche per ottenere cose che sono superflue al nostro vivere, ma questo è un altro problema...). L'energia dell’amore è un

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profondo sentimento verso un'altra persona, creature viventi, la vita in generale e anche la gioia che noi sentiamo di fronte ad un'espressione artistica, il combustibile di azioni giuste e imparziali originatesi da nobili istinti e da leggi etiche. L'energia spirituale vibra durante i momenti più alti della contemplazione estetica, dove le vaste visioni profetiche possono manifestarsi. È stato spiegato che queste energie derivano da un'unica realtà, essendo la loro divisione originata al momento della nostra nascita e rafforzata dalla educazione ricevuta e dalla vita sociale. Sappiamo infatti che molti percorsi religiosi insegnano a mantenere, anzi a coltivare come una virtù la divisione tra materia e spirito, la sessualità è repressa come impura: questa è la causa principale di logoranti conflitti in persone tendenzialmente spirituali. Durante il Kriya Pranayama, respiro dopo respiro, i pensieri sessuali (che sembrano essersi rafforzati) si trasformano in pensieri d'amore. L'energia dell'amore acquista forza, determinazione a non soccombere ad alcun ostacolo; essa è poi guidata in testa dove si mescola con l'energia dello Spirito e da qui scende nel corpo. È solo in tal modo che ogni frattura nella nostra personalità scompare e la nostra vita intera incarna la gioia dello Spirito.

Ora, affinché questo avvenga, l'energia deve salire in testa e poi scendere nel corpo intero passando attraverso la lingua. Alcuni kriyaban, - specialmente se non praticano il Kechari Mudra - durante i profondi respiri iniziali del Kriya Pranayama sviluppano pensieri sessuali - talvolta si arriva alla eccitazione sessuale. Questo evento non dovrebbe dare luogo a delusioni e perdita dell'autostima! È confortante essere rassicurati che questo è un normale fenomeno. Essi dovrebbero assumere il Kechari Mudra, sia vero e proprio o una forma semplificata di esso, e concentrarsi, durante l'espirazione, sul flusso di Prana che scende dalla cima della testa, passando attraverso la punta della lingua nella gola e nel corpo, ciascuna parte del corpo, come una pioggia beatifica, risanante che riporta la vita nel corpo. Sperimenteranno immediatamente come i pensieri sessuali spariscono e diventano puro amore. Questa grande energia dell'amore si trasformerà gradatamente in pura aspirazione per la meta spirituale.

b. L'Orbita Macrocosmica incarna la perfezione del Kriya PranayamaQuando le tre energie (sessuale, amore e spirito) sono mescolate armoniosamente, esse creano l'elisir dell'immortalità. Esso cola infondendosi nel corpo e nutre ciascuna cellula. Questo avviene in uno stato detto "respirazione prenatale" che è un movimento di energia interna che dona delle percezioni simili a quelle ottenute con l'Orbita Microcosmica ma è ora sperimentato nello stato di assenza di respiro (Kevala Kumbhaka). Questa sottile esperienza rende il sentiero spirituale completo: Il Divino è infuso nel nostro corpo. Il sentiero spirituale non termina con un volo fuori dal corpo verso le rarefatte dimensioni dello Spirito. L'Orbita Macrocosmica svela degli scenari che non si osavano nemmeno sognare. Appare un'esperienza di perfetta Bellezza.

Quando ebbi abbastanza confidenza per comunicare la mia scoperta al mio terzo insegnante, egli reagì infastidito sostenendo che il Navi Kriya era puro Yoga ed era citato anche da Patanjali. Patanjali (Sutra III/29) semplicemente afferma:

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"nābhicakre kāyavyūhajñānamḥ" che è tradotto: "concentrandosi sull'ombelico, il ricercatore ottiene conoscenza sui diversi organi del corpo e sulla loro disposizione." Nel mio piccolo vidi che questo Sutra non aveva nulla a che fare con lo scopo del Navi Kriya.

Ebbi lunghi discorsi appassionati con persone che avevano studiato e seguivano quel percorso da decadi. Fu di grande aiuto leggere alcuni articoli e saggi scritti da Michael Winn. Questo ricercatore studiò il Kundalini Yoga negli anni '70 e poi il Kriya Yoga con un rinomato insegnante. Osservò che mentre attraverso il Kundalini Yoga uno sta semplicemente cercando di salire fino alla corona della testa per sperimentarvi l'estasi divina, nella Alchimia Interiore Taoista uno utilizza quello stato per raggiungere il corpo, nutrirlo e trasformarlo. Notò che sebbene il Kriya Yoga abbia molti parallelismi con l'Alchimia Interiore Taoista, rimane sostanzialmente un sentiero di "fuoco", un sentiero di "ascesa." Ma ogni movimento energetico verso l'alto deve essere bilanciato da un movimento discendente, fino a quando uno si stabilisce nel quieto punto di non movimento. Nel nostro corpo questo punto è il Dan Tien, la via d'accesso per raggiungere lo stato prenatale di beata assenza di respiro. Michael Winn si dedicò completamente all'Alchimia Interiore e al Qigong (Chi Kung). Secondo lui nessuna tradizione rispetta l'intero mistero della natura umana come l'Alchimia Interiore Taoista. Uno che vuole seguire il percorso spirituale potrebbe evitare un'ampia serie di problemi ascoltando la saggezza pratica che essa incarna. Si prese l'impegno vincolante di insegnare solamente ciò che proveniva dalla sua diretta esperienza personale. Secondo lui, gli insegnamenti orali o scritti possono divenire trappole: solamente l'esperienza vivente promuove la vera auto-indagine che conduce alla Auto-realizzazione. Uno dovrebbe prendere in considerazione gli insegnamenti ricevuti dalla tradizione, provarli con molto rispetto e prendere anche il coraggio di risolvere da solo i problemi che potrebbero sorgere. Riferisce che, nei molti anni della sua propria pratica, cercò sempre di muoversi verso la semplicità -- ha fiducia che qualcuno prenderà in considerazione le sue versioni migliorate e le migliorerà ulteriormente.

Fra le informazioni molto interessanti che trovai nei suoi scritti, fui sorpreso nell'apprendere che il problema fastidioso della segretezza concerneva anche l'Alchimia Interiore Taoista. Come vuole la prassi si diceva che la segretezza era intesa per proteggere la purezza del lignaggio e prevenire la corruzione da parte di persone egoiste che potrebbero abusare del potere spirituale ottenuto... L'autore afferma che questi sono pretesti, non sinceri e su cui non si riflette abbastanza. In realtà un taoista gli disse: "Non sappiamo perché gli antichi tenessero la loro conoscenza così segreta. Noi non facciamo altro che imitarli". La nobile posizione definitiva di Michael Winn è che se uno si sente spiritualmente attirato a qualche particolare insegnamento e si sente degno di riceverlo, allora ha il diritto di impararlo senza mettersi prono ai piedi di alcuno. A nessun essere umano dovrebbe essere negata l'opportunità di raggiungere la vera indipendenza spirituale!

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L'insegnamento di Krishnamurti

Siccome le opere di Sri Krishnamurti (Krishnaji per coloro che lo amavano) erano la fonte da cui il mio terzo insegnante attingeva a piene mani per i suoi discorsi sui danni causati dai vizi della mente umana, ci misi anima e cuore in uno studio sistematico di essi.

La prima riga che lessi fu: "... il pensiero è astuto, con infinite possibilità di auto-inganno". Come era vero! La cosa strana era che il pensiero di Krishnaji conteneva la spinta cruciale e conclusiva che mi avrebbe aiutato, dopo molti anni di controverso ma leale discepolato, a spezzare ogni dipendenza nei confronti del mio terzo insegnante. Sul concetto di Guru, Krishnaji diceva quello che allora mi era difficile da condividere: "Quale è la necessità di un Guru? [...] Devi camminare da solo, devi iniziare il viaggio da solo, ed in quel viaggio devi essere il tuo maestro ed allievo nello stesso tempo." Mentre leggevo queste righe sentivo indubbiamente che esprimevano un verità profonda ma la mia logica subito suggeriva in modo perentorio: "Questo è un sofisma: anche Krishnaji agì da Guru e agisce su di me proprio adesso per mezzo dei suoi scritti". Il tempo non era maturo per vivere pienamente quelle parole: la paura mi frenava. Molti errori dovevano essere ancora concepiti, portati a termine e digeriti.

Per ora, il concetto che entrò nella mia mente fu che il Kriya Yoga (Krishnaji parlava in generale di "meditazione") conduce in un terreno che non può essere afferrato dai ragionamenti, dalle molte fantasie della mente umana. Accennava a qualcosa di immenso: una corrente di verità che non ha inizio e non ha fine. Studiai molti libri di questo autore ma fui letteralmente travolto dalla bellezza di La sola rivoluzione. Camminavo in campagna cercando di guardare tutte le cose con i miei sensi pienamente svegli, ma senza un solo pensiero in mente. Quanto era difficile! Ma per me non impossibile. Come aveva ragione Krishnaji quando diceva: "La vita comincia dove il pensiero finisce." Avevo una grande necessità di ricreare silenzio in me, di ritornare alla semplicità, di trovare il tempo per contemplare di nuovo la Bellezza. Camminare con questa attitudine divenne beatitudine pura, costante! Negli ultimi anni la Bellezza era sempre attorno a me, ma io non l'avevo notata perché ero perso nelle mie costruzioni mentali basate su fantasie New Age, o su letteratura pseudo spirituale che era spazzatura. Non ero capace di vedere quella Bellezza perché ero perso -- come Krishnaji direbbe -- nella Bellezza che avevo io stesso creato. Più leggevo Krishnaji e più sentivo di aver, recentemente, attraversato un inferno. L'ossessione di trovare le tecniche del Kriya originale non era l'espressione di una forma elevata di spiritualità ma era non dissimile dal desiderio di ottenere qualcosa di materiale. Era infatti con questo brutto atteggiamento che, parzialmente inconsapevole, stavo vivendo la mia ricerca febbrile. Essa non solo mi distraeva impedendomi di gioire di quello che già avevo ma mi impoveriva prosciugando il flusso di una genuina aspirazione verso il Divino.

Lo sforzo di creare il silenzio mentale mi riportò agli inizi del mio sentiero spirituale. Ricordo come decisi di conquistare la tendenza a fantasticare e saltare da un ricordo all'altro durante i miei momenti di inattività. Allora sapevo

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perfettamente che il pensiero non controllato era una vera dipendenza, un vizio che regalava momenti di piacere ma era la causa primaria di molte miserie. Fu per disciplinarmi che contemplai l'idea di studiare l'arte del Pranayama e scoprii il Kriya Yoga.

Vidi che era il momento di chiudere per sempre col mondo New Age, evitando quelle persone che sembravano irrimediabilmente perse in esso. Una pranoterapista aveva preso l'abitudine di venire, non invitate, nella mia vita a derubarmi del mio tempo e della mia pace -- disse che voleva insegnarmi a "vivere con il cuore". Da anni mi stava stressando con le sue critiche alla mia razionalità ed eccessiva dedizione al Kriya Yoga. Indubbiamente pensava che avessi un cuore di ghiaccio. Ma io avevo un cuore pieno di compassione e soffrivo di perdere il tempo con lei. Fu proprio col cuore che le diedi il diritto di continuare a nuotare nelle sue paludi mentali e mi estraniai per sempre dalla sua presenza.

In quel periodo lessi anche Puran Purush di Ashoke Kumar Chatterjee. Sebbene non sembra rispettare alcun ordine logico nella disposizione degli argomenti e contiene un numero infinito di ripetizioni e frasi retoriche, penso che studiarlo possa aiutare molto più di altri libri, a capire la personalità di Lahiri Mahasaya - con ciò, il nucleo del Kriya può essere intuito con la rapidità di una freccia. Puran Purush è basato sui diari di Lahiri Mahasaya. Uscì in Bengali (poi in Francese e in Inglese) grazie ad uno dei nipoti di Lahiri Mahasaya, Satya Charan Lahiri [1902 - 1978] che possedeva materialmente quei diari. Con l'aiuto del suo principale discepolo Ashoke Kumar Chatterjee, decise di operare una selezione dei principali pensieri che sarebbero potuti tornare utili per coloro che praticavano il Kriya. Notevole era la grande importanza che lui dava al Pranayama, al Thokar e allo Yoni Mudra. Colpisce la sua capacità di comunicare concetti astratti quando afferma che tutto il cammino del Kriya è una grande avventura che comincia col Prana dinamico e finisce col Prana statico. Uno sente un palpito di delizia quando incontra delle frasi che hanno una luce in sé: "Kutastha è Dio, Lui è il Brahma supremo".

In estate lo portavo con me in campagna; tante volte, dopo averne letto una parte, guardavo le montagne distanti e ripetevo dentro di me "finalmente, finalmente...!". Guardavo la fotografia di Lahiri Mahasaya sulla copertina; chissà in quale stato elevato si trovava quando fu scattata tale foto! Osservai sulla sua fronte delle linee orizzontali, le sopracciglia sollevate come nel Shambhavi Mudra, dove la consapevolezza è stabilita in cima alla testa; una leggera tensione del mento sembrava rivelare che stava praticando il Kechari Mudra. Durante quei giorni la sua figura, con quel lieve sorriso pieno di beatitudine, era un sole nel mio cuore; era il simbolo della perfezione cui volevo arrivare.

Lessi anche avidamente i commenti alle sacre scritture attribuiti a Lahiri Mahasaya. Egli, infatti, commentò a voce alcuni testi sacri. Le sue interpretazioni furono stampate più tardi dal suo discepolo P. Bhattacharya. Questi libri per molto tempo rimasero poco conosciuti, perché redatti in Bengali. In seguito furono tradotti in Inglese. Molte persone li studiarono con entusiasmo, sperando di trovarvi delle informazioni utili alla

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comprensione del Kriya, eppure ne rimasero delusi.Esaminandoli, non riusciamo a ricavarne alcunché di utile; non ce la sentiamo di

affermare che essi siano adulterati ma riconosciamo obiettivamente che il loro valore, dal punto di vista esegetico, è quasi nullo. Mi sembra quasi impossibile che provengano realmente da lui: non trovo la stessa saggezza pratica e l'enorme realizzazione che egli espresse nei suoi diari. Ci trovo piuttosto una mente con una tendenza quasi maniaca ad interpretare ogni cosa alla luce del Kriya, come se secoli fa gli autori di quei lavori spirituali conoscessero esattamente, una per una tutte le tecniche del Kriya. Secondo me è possibile ipotizzare che, leggendo i versi di quei testi, Lahiri Mahasaya fosse trasportato dalla forza del suo acume, dimenticasse completamente la scrittura di partenza e, rapito, parlato ampiamente e liberamente sulle sottigliezze del Kriya. Molto probabilmente quello che disse in quell'occasione fu preso come un specifico commento a quel testo. Inoltre, è possibile che per pubblicare quelle note difficili da comprendere, l'editore le abbia completate con la propria filosofia.

Kriya superiori e Routine ad incremento progressivo

Fu in quel periodo che mi familiarizzai con il concetto di Routine ad incremento progressivo che trovai subito provvidenziale. Quando pensiamo alla pratica del Kriya, immaginiamo il classico schema costante, immutato che consiste in una pratica giornaliera dello stesso insieme di tecniche, senza cambiare né il loro ordine di pratica, né il numero delle loro ripetizioni. Una routine ad incremento progressivo è una caratteristica particolare del Kriya di Lahiri Mahasaya. Essa consiste, una volta alla settimana, per un certo numero di settimane (20 - 24 - 36 …), nel mettere da parte la routine solita e nell’utilizzare una sola tecnica, il cui numero di ripetizioni è gradualmente aumentato fino a raggiungere un determinato numero che la tradizione ha tramandato come ottimale. Questa è la pratica più remunerativa del Kriya perché conduce a una grande padronanza (impensabile da ottenere con altri schemi) delle tecniche oggetto di tale procedura ed ha un positivo effetto sulla personalità, liberandola da molti ostacoli interiori. Questa procedura si può applicare a tutte le tecniche Kriya, in particolare al Navi Kriya, al Kriya Pranayama e a tutti i Kriya superiori.

Queste routine rivelarono ben presto il loro grande valore euristico. Il nucleo essenziale di ciascuna tecnica, privata di qualunque abbellimento, apparve come qualcosa di fisso, definitivo, inevitabile, qualcosa che non poteva essere altro che così. Se una certa variante di una tecnica Kriya era superflua o inefficace, finiva necessariamente per auto eliminarsi. Quello che rimaneva era null'altro che la più semplice logica realizzazione pratica delle parole di Lahiri Mahasaya.

Durante le lunghe sedute delle routine ad incremento progressivo del Navi Kriya e del Kriya Pranayama, spesso ogni mio serio sforzo veniva vinto da una sonnolenza invincibile. Sullo schermo interiore della consapevolezza apparivano molte immagini come sogni ad occhi aperti. Non mi fu d’aiuto il mutare la posizione delle gambe, praticare frequentemente il Maha Mudra oppure interrompere, per una pausa, la pratica. Molte volte mi chiedevo quale effetto benefico potesse provenire da quello che sembrava essere un viaggio nel mondo inconscio dei sogni. Tuttavia non abbandonai il progetto e continuai ad

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aumentare la lunghezza della mie sedute. Da un certo momento in poi, specie con l'adozione del Kechari Mudra, la sonnolenza si trasformò in uno straordinario stato di rilassamento. Non capivo come ora dimoravo nella più totale tranquillità avendo praticato centinaia e centinaia di tali respiri, mentre un tempo, dopo aver sorpassato le 60 ripetizioni del Pranayama, ottenevo tanto nervosismo da non riuscire nemmeno a rimanere seduto.

Il periodo in cui mi tuffai nella routine ad incremento progressivo del Thokar fu meraviglioso: mentirei se dicessi che non ne ho una nostalgia infinita. Credo di aver realmente esagerato nell'usare anche troppo questo formidabile strumento. Cominciai questa routine all'inizio di Marzo in un giorno che pareva perfetto, quando il cielo libero da nubi e l'aria pungente ma pura m’invitavano a praticare all'aperto. Le sillabe del Mantra che ponevo con cura come dei semi in ciascun centro, avevano una radiazione simile al sole che stava riscaldando la natura. Quando nel tardo pomeriggio la pratica si avvicinava alla fine, mi piaceva soffermarmi a percepire la vibrazione di ciascuna sillaba. Creavo una piccolissima pausa tanto per percepire una dolce irradiazione che proveniva da ciascun centro. Questo amplificava l’esperienza della gioia – illimitatamente. Una sera da un distante villaggio venne il suono di campane: fu come una cascata di luce! La sorpresa fu così inaspettata! Una parte di me ripeteva: "Non so se ad un essere umano sia mai stata accordata tanta gioia!"

Tutto procedeva molto bene. Stavo vivendo un periodo magnifico. Un giorno ricevetti la visita della coppia che organizzava i tour del maestro in Germania. Avevo conosciuto quegli amici durante i seminari del mio precedente maestro S.H.. Rincontrandoci di nuovo e considerando la situazione attuale potevamo ben dire di essere contenti. Parlando, evidenziammo la necessità di fare una particolare proposta al nostro insegnante: organizzare, al termine del suo futuri seminari di iniziazione al Kriya, una pratica di gruppo guidata che serviva come ripasso sia per i nuovi iniziati che per coloro che stavano già praticando. Mi occupai di far arrivare al maestro tale richiesta tramite un amico che andava in India. Gli diedi una lettera da consegnare al Maestro con i miei saluti e un caloroso abbraccio. La reazione del maestro fu inspiegabile. Come risposta, mi eliminò dall'elenco dei suoi discepoli. La sua decisione fu trasmessa al coordinatore italiano che nemmeno si degnò di informarmi. Passarono dei mesi e probabilmente la mia avventura con quest’insegnante sarebbe finita lì, se non mi fossi recato a dargli il benvenuto al suo arrivo in Europa. Ci abbracciammo come se nulla fosse accaduto. Probabilmente interpretò la mia presenza come una mossa di pentimento. (Infatti egli aveva interpretato la mia lettera come una forma obliqua di critica.) Quando il suo collaboratore, con un lieve, indecifrabile, cenno di imbarazzo, mi spiegò cosa era avvenuto dietro le quinte, rimasi sgomento e disorientato. Per non disturbare la pace di tutte le persone che erano con me e che si accingevano a ricevere l'iniziazione ai Kriya superiori, decisi di fare finta che nulla fosse accaduto, di continuare a collaborare con lui e di lasciar perdere l'argomento trattato nella lettera. Ma deliberatamente cominciai a controllarmi e mi proposi di non dargli mai più in futuro consigli che non fossero

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richiesti. Per spiegare la rottura definitiva dei nostri rapporti, è necessario ritornare

sulla fretta e superficialità con cui spiegava le tecniche Kriya. La conferenza introduttiva al Kriya (che veniva di solito tenuta il giorno prima dell'iniziazione) e gran parte del tempo del seminario di iniziazione era dedicato ad un puro discorso filosofico che non concerneva la basi del Kriya Yoga ma era un riassunto dei punti fondamentali del pensiero di Krishnamurti, principalmente il discorso della non mente, che lui chiamava impropriamente Swadhyaya. Non c'era una sola parola che si potesse criticare, tutto quanto andava dicendo era corretto, ma molti studenti, seduti in modo disagevole sul pavimento, con la schiena e i ginocchi che cominciavano a far male, aspettavano solo la spiegazione delle tecniche sopportando la sua lunghezza come una colossale scocciatura. Le offerte tradizionali (egli richiedeva anche una noce di cocco, che nei nostri luoghi era molto difficile da trovare, costringendo gli studenti a cercarlo disperatamente di negozio in negozio) giacevano ammucchiate disordinatamente davanti ad un altare fatiscente. Poiché egli arrivava con grande ritardo rispetto al tempo concordato, coloro che provenivano da altre città vedevano tutti i loro piani per il viaggio di ritorno andare in fumo ed erano molto agitati.

Quando, giusto in tempo per prendere l'ultimo treno, qualcuno aveva già lasciato la stanza, nonostante fosse tardi e le persone fossero stanche, amava indugiare su Yama e Niyama di Patanjali, prendendosi tutto il tempo necessario per chiedere agli astanti di fare un voto solenne: che da allora in avanti i suoi studenti maschi guardassero le donne (tranne la propria moglie) come madri e, parimenti, le donne guardassero i maschi (tranne il proprio marito) come padri. Il pubblico ascoltava le sue vane parole con un sospiro di malcelato fastidio. Ognuno assentiva con un cenno del capo, tanto per far cessare i suoi vaneggiamenti. 12

Solo allora lui passava ad una spiegazione affrettata delle tecniche base. In un'occasione lo cronometrai e vidi che non aveva dedicato più di due minuti alla spiegazione della tecnica fondamentale del Pranayama! Dava dimostrazione del Pranayama facendo un suono esageratamente forte, vibrato. Sapeva che questo suono non era corretto ma continuava ad utilizzarlo allo scopo di essere udito anche dalle persone sedute nelle ultime file, risparmiandosi la fatica di muoversi vicino a loro, come di solito fanno gli insegnanti di Kriya. Purtroppo non si 12 Naturalmente rispetto Yama-Niyama (le cose che è giusto fare come anche quelle che è giusto evitare) ma, a mio avviso, chiedere alle persone che sono ansiose di imparare le tecniche del Kriya Yoga di far voto di rispettarle è solo una farsa e una perdita di tempo. La richiesta del mio insegnante era in particolare impossibile, un impegno che nessuno mai avrebbe rispettato. Perché non affidarsi al potere trasformante del Kriya? Perché pensare che senza giuramenti la vita del kriyaban sarebbe dissoluta? La necessità di accettare dei precisi schemi di comportamento, è qualcosa che appare spontaneamente dopo aver gustato il miele dell'esperienza spirituale. Forse all'inizio la cosa migliore è non stracciarsi le vesti a causa di un comportamento problematico dello studente. Per dirla in modo semplice, si è visto che delle persone che conducono una vita moralmente discutibile hanno avuto successo con il Kriya arrivando spontaneamente alla cosiddetta vita virtuosa, mentre molti "benpensanti" hanno fallito.

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prendeva la pena di chiarire che il suono doveva essere pulito e non vibrato. So che molte persone, pensando che esso fosse il "segreto" che lui ci aveva portato dall'India, tentarono, per mesi, di produrre lo stesso rumore. Continuò così per anni, nonostante le gentili rimostranze dei suoi intimi collaboratori.

Per quanto riguarda i suoi Kriya superiori la situazione era la stessa. Avvenne che da un anno all’altro mostrò il Thokar in un modo visibilmente diverso. Quando uno tra i presenti chiese chiarimenti sul cambiamento, sostenne che non aveva cambiato nulla, che probabilmente, nei seminari precedenti, c'era stato un problema di traduzione. Le persone si ricordavano bene i suoi movimenti della testa avendoli visti con i loro occhi: la sua bugia era fin troppo evidente. Pur passando settimane con lui, non riuscii mai a discutere tale dettaglio tecnico con lui. Mesi dopo, durante un altro tour, quando eravamo soli e lui stava cercando qualcosa in una stanza, trovai il coraggio di fare accenno ad una questione tecnica che contrapponeva una scuola di Kriya contro un’altra. Si volse improvvisamente verso di me con gli occhi iniettati di un tale odio che sembrava sul punto di ammazzarmi; mi urlò che la mia pratica non era affare suo. Questo, in base a quanto ricordo, fu l’unico "discorso" tecnico che ebbi con lui nel giro dei miei sei anni con lui.

Considerando altri cambiamenti, avevo l'impressione di essere il collaboratore di un archeologo che intenzionalmente altera alcuni reperti per presentarli al pubblico all’interno del suo abituale quadro di riferimento teorico. Vidi che tante cose non andavano per niente bene. Il mio inconscio faceva sentire la sua voce: ancora è vivo nella mia memoria un sogno nel quale nuotavo nel letame. Sentivo che quest’uomo, cui cercavo di soddisfare ogni pur piccolo capriccio come se stessi compiendo un atto sacro, non amava il Kriya. Se ne serviva, invece, soltanto per condurre qui in occidente un vita molto più bella rispetto alla vita grama in India come spesso mi aveva descritto. Collaboravo a programmare i suoi viaggi in modo che egli potesse diffondere il Kriya nel suo modo affrettato e superficiale: dietro alla mia maschera di finta delizia, la mia anima conosceva un’agonia di aridità. C'erano momenti in cui, pensando ai miei semplici inizi con lo Yoga, il mio cuore distillava una nostalgia indefinita per tale periodo che non aspettava altro che coerenza e integrità da parte mia per sorgere di nuovo e fiorire senza impedimenti. Spesso ripetevo come un Mantra questi versi da una poesia (Fine del viaggio) di Sri Aurobindo:

Ora i terreni vaghi, ora il silenzio;Un muro nero nudo, e dietro il cielo.

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Svolta

Per ragioni che non voglio qui esplorare, un giorno mi chiese di insegnare il Kriya a quelle persone che si dimostravano interessate e che non potevano incontrarlo durante i suoi tour. Ero felice di questa opportunità perché sognavo che avrei potuto finalmente spiegare il Kriya in un forma completa ed esaustiva. Volevo che nessuno provasse il dolore di vedere una domanda legittima rimanere senza risposta. Dopo alcuni mesi -- circa una dozzina di persone avevano ricevuto il Kriya -- sentivo che stavo facendo un lavoro praticamente inutile. Concedevo l'iniziazione al Kriya rispettando il protocollo fisso che lui mi aveva intimato di seguire. Dopo avere presentato il tema della non-mente, passavo alla spiegazione delle tecniche di base. Prendevo congedo da quegli studenti, consigliando una routine minima, ben sapendo che avrebbero praticato per settimane, poi la maggior parte avrebbe abbandonato tutto per inseguire altri interessi esoterici. Uno o due tra i più tenaci studenti si inventavano delle domande e mi telefonavano se non altro per avere l'illusione di portare avanti, a distanza, un rapporto con una persona reale. Rispondevo gentilmente ma in modo succinto e li invitavo al prossimo seminario dove il mio insegnante sarebbe presente. Di solito, non "sopravvivevano" a tale incontro. Osservando nel mio insegnante la totale mancanza di umana comprensione entravano in una crisi profonda. Dubitavano che il Kriya funzionasse e di aver fatto la giusta scelta nel ricevere iniziazione in esso.

Passò un altro anno. Come risposta alla richiesta di alcuni amici all’estero, andai nel loro gruppo ad insegnare il Kriya Yoga, sempre per conto del mio insegnante. In quel gruppo incontrai uno studente molto serio che conosceva bene i modi del mio insegnante e che partecipava alla iniziazione solo come occasione di ripasso. Mi pose delle domande molto pertinenti e trovò sempre precise risposte. Il problema fu proprio quello: "Da chi hai appreso tutti questi particolari?" mi chiese. Egli sapeva bene che il mio insegnante era un disastro totale da un punto di vista didattico. Percepiva che avevo appreso molti dettagli da altre fonti. Come potevo allora dare l’iniziazione al Kriya usando una conoscenza che non proveniva dal mio insegnante?

Poteva comprendere il mio imbarazzo ma era perplesso che, proprio per il fatto che questi mi aveva autorizzato ad insegnare il Kriya, non avessi mai avuto l’occasione di parlargli apertamente di dettagli tecnici! Era logico, anzi per me doveroso, risolvere la questione e il più presto possibile. Conoscendo però il temperamento irascibile del mio insegnante, esitai molto, ma non c'era alternativa. Tramite un amico gli spedii un fax dove menzionavo il problema in oggetto e lo pregavo di predisporre il suo tempo in modo che ne potessimo discutere dopo il suo arrivo nel mio gruppo durante il suo prossimo giro. Lui si trovava in Australia ma al massimo entro una settimana avrei avuto la risposta. Il mio inconscio era pronto al cataclisma, in anticipazione di un evento che intuitivamente sapevo che sarebbe avvenuto. Molto probabilmente il mio insegnante si sarebbe molto arrabbiato e avrebbe dato in escandescenze. Se l’intera situazione mi fosse sfuggita di mano e, come risultato della nostra

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rottura, non fosse venuto più nel nostro gruppo, coloro che gli volevano bene ne avrebbero sofferto. Pochi avrebbero potuto comprendere le ragioni del mio agire. Sarei stato colui che aveva disturbato un situazione non perfetta ma comunque confortevole. Lui piaceva infatti ai miei amici; il fatto che ogni anno visitasse il nostro gruppo era molto stimolante; si preparavano a quelle occasioni con una pratica intensa del Kriya.

La risposta da parte del mio insegnante arrivò pochi giorni dopo. In tono sprezzante non si indirizzò direttamente a me ma finse di rispondere alla persona che materialmente gli aveva spedito il fax. Scrisse che il mio eccessivo attaccamento alle tecniche non mi avrebbe mai permesso di uscire fuori dai recinti della mia mente -- ero come San Tommaso, troppo desideroso di toccare con mano e verificare la bontà dei suoi insegnamenti. Aggiunse che avrebbe soddisfatto la mia richiesta ma solo per gratificare il mio ego.

Leggendo il termine "gratificazione" vidi che non aveva capito nulla. Avremmo dovuto parlarci, parlarci tanto tempo prima! Mi chiesi perché non mi aveva mai lasciato esprimermi. Non volevo contestarlo, non volevo distruggerlo, la necessità che mi portò a scrivergli fu per stabilire una volta per sempre cosa avrei dovuto dire e cosa non dire ai kriyaban durante l'iniziazione. Perché mi era sempre sfuggito? Decisi di comportarmi limpidamente come se non avessi afferrato il suo tono: volevo proprio vedere cosa avrebbe fatto. Non chiesi scusa e nemmeno risposi in tono risentito. Risposi che un incontro per parlare sulle tecniche Kriya era necessario in quanto io insegnavo il Kriya a nome suo. Aggiunsi che a tale evento avrebbero potuto prendere parte anche le altre tre persone in Europa similmente autorizzate da lui. Gli feci dunque capire che non avrebbe sprecato il suo tempo e fiato solo per me. Non ebbi, né allora né mai più, alcuna risposta. Settimane dopo mi fecero notare che sul suo sito Internet, il piano della sua visita in Italia era stato cambiato e il nome del mio paese non figurava più: la mia seconda lettera aveva compiuto la rottura definitiva. L’incubo era finito!

Mi presi una giornata di vacanza e feci una lunga passeggiata; camminai molto, nervosamente, immaginando un ipotetico discorrere con lui. A un certo punto mi ritrovai a piangere di gioia. Era troppo bello: ero libero, ero stato troppi anni con lui, ed ora era veramente finita!

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CAPITOLO 5UN SENTIERO MISTICO PULITO

Gli anni che seguirono alla rottura dei rapporti col mio ultimo insegnante furono del tutto diversi da quelli precedentemente descritti. Avendo "mandato al diavolo" quel losco individuo, una situazione snervante aveva trovato la parola fine. Non dovevo più andare di qua e di là per organizzare i seminari; non dovevo più indossare una maschera di ipocrisia rispondendo a quanti mi chiedevano informazioni su di lui.

Tale rottura fu percepita con sconcerto dagli amici kriyaban che si sentivano discepoli di costui. Quasi tutti compresero, anche se non immediatamente, le ragioni della rottura e mi furono solidali. Come un effetto domino, alcuni coordinatori appartenenti ad altri gruppi qui in Europa, che da tanto tempo mal tolleravano i suoi modi, colsero l’occasione per tagliare definitivamente i legami con lui. Non ne potevano più della pesantezza dei suoi discorsi filosofici seguite da povere spiegazioni tecniche, che non soddisfacevano la loro sete di una completa spiegazione del Kriya.

Non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe divenuto il nostro gruppo senza un insegnante che fosse venuto a visitarci in futuro. Il senso di tutto il tempo buttato via -- di tutte le cose sciocche che erano state portate avanti senza pensare -- mi opprimeva. La mia prima organizzazione di Kriya e i tre maestri che io seguii per tanti anni mi avevano deluso per un unico motivo. Nessuno di essi insegnava il Kriya in modo serio. Per meglio dire: quando si trattava di insegnare cose semplici e banali che le capivano anche i bambini di asilo c'era una grande profusione di parole, e le cose venivano ripetute fino alla nausea; quando si arrivava alle cose essenziali e quando tra il pubblico c'era uno che con gentilezza ma con fermezza chiedeva una spiegazione precisa, sembravano uscire da uno stato ipnotico e, visibilmente incavolati, vomitavano addosso al malcapitato insulti per umiliarlo e chiudergli la bocca.

Alcuni mesi dopo sembrò che la ruota della buona sorte riprendesse a girare; c'era la possibilità di invitare un nuovo Kriya Acharya in Europa. Poiché si trattava di una persona stimata, accettai la proposta di collaborare con tale progetto impegnandomi a sostenere parte delle spese per il suo viaggio. Un caro amico andò in India per incontrarlo e parlargli personalmente.

Riflessioni sul Rapporto Guru-discepolo

Era Inverno. Un giorno feci una gita presso le montagne vicine con un paio di amici per sciare. Tutto andò splendidamente. Durante una pausa nel pomeriggio, riuscii a restare solo. Mi fermai a guardare le montagne lontane che delimitavano, in tutte le direzioni, l'orizzonte. In meno di mezz'ora il sole le avrebbe dipinte di rosa -- di più quelle ad oriente, di un rosa che sfumava nel blu quelle ad occidente. Immaginai che l’India fosse là dietro, che l’Himalaya fosse il prolungamento di quelle montagne. Il mio pensiero andò a tutti gli appassionati di Kriya che, come me, trovavano degli ostacoli insuperabili nella comprensione

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della loro amata disciplina. Tutti quegli ostacoli sembravano un'assurdità che vestiva i panni di un incubo -- provai una infinita ribellione.

Visualizzai un libro sul Kriya dove ogni tecnica era spiegata nei dettagli. Tante volte mi ero chiesto cosa sarebbe successo se Lahiri Mahasaya o uno dei suoi discepoli lo avesse scritto! La mia immaginazione mi portò a visualizzare il colore della copertina, a dare uno sguardo alle sue scarse pagine – un libro sobrio ma molto ricco in contenuto. Se questo libro esistesse, avremmo avuto un affidabile manuale di Kriya che avrebbe limitato le tante piccole o grandi varianti inventate da diversi maestri. Forse alcuni commentatori avrebbero tentato di "forzarne" il significato per adattarlo alle loro teorie. Anzi, sono certo che qualche pseudo-guru avrebbe suggerito che le tecniche incluse erano intese per i principianti, che c’erano tecniche più "evolute", che solamente le persone "autorizzate" potevano comunicare a discepoli qualificati. Alcuni avrebbero abboccato, preso contatto con l'autore, pagato cifre enormi per ricevere tecniche che, o con la fantasia o prendendole da qualche libro esoterico, questi aveva messo insieme. Queste son cose che accadono, questa è la natura umana. Ma i veri ricercatori sarebbero sicuramente stati capaci di riconoscere la forza, l'intrinseca evidenza autosufficiente del testo originale senza commento...

Il problema consisteva nel fatto che il mio era solo un sogno! Lasciai che i pensieri si soffermassero liberi su cosa sarebbe successo se avessi scritto io tale libro. Per la prima volta osai contemplare questa possibilità, che da molto tempo indugiava nel mio inconscio. Era difficile, pur tuttavia possibile, sintetizzare la totalità di quello che conoscevo sul Kriya in un libro -- armonizzando teoria e tecniche in una visione pulita, razionale. Di sicuro l’intenzione non era quella di celebrare me stesso o porre le fondamenta di una nuova scuola di Kriya. Se avessi accennato alle mie esperienze, questo sarebbe stato solamente per essere più chiaro nelle spiegazioni teoriche e tecniche. Non più retoriche affermazioni di legittimazione, non più frasi enigmatiche per far intuire qualche particolare tecnico, creando però più dubbi di prima! Che bello era sognare un libro che provasse la sua validità incarnando il pensiero di Lahiri Mahasaya nel modo più semplice e logico, in un insieme completo, armonioso di tecniche! Mi venne in mente il libro di Theos Bernard Hatha Yoga resoconto di un’esperienza personale [1943]. 13 Un libro simile dedicato al Kriya Yoga sarebbe una vera benedizione per studenti e ricercatori. Il mio libro non poteva essere una minaccia alla attività di nessun onesto insegnante di Kriya, soprattutto se questi avesse accettato di comunicare le varie parti del Kriya, gradualmente, con la delicatezza e la cura richiese dalla materia, senza tenere alcuna cosa per sé. Buoni insegnanti sono e saranno sempre richiesti, in qualsiasi campo, quando si tratta di trasmettere una particolare abilità. Ma come rassicurarli senza collidere

13 Questo straordinario manuale riesce più che altri a chiarificare gli insegnamenti contenuti nei tre testi fondamentali del tantrismo: Hatha Yoga Pradipika, Gheranda Samhita e Shiva Samhita. Nonostante gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione ed i numerosi testi di Hatha Yoga apparsi recentemente, tale libro rimane ancora uno dei migliori. Delle tecniche polverose divennero attuali più che mai, fattibili, chiare davanti agli occhi dell'intuizione. Ecco perché pensai che un lavoro analogo sul Kriya sarebbe stato per molti studenti e ricercatori una vera "manna dal cielo".

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con i condizionamenti radicati nella loro stessa "chimica cerebrale"? Di certo, alcuni insegnanti di Kriya - quelli che vivono per mezzo delle donazioni ricevute durante le iniziazioni e, grazie al vincolo della segretezza, esercitano il loro potere sulle persone - avrebbero considerato il libro una minaccia al loro lavoro. Forse quello che sembrava virtualmente eterno per alcuni -- vivere come dei pascià, circondati da persone pronte a soddisfare tutti i loro capricci nella speranza di ricevere le briciole di ipotetici "segreti" -- avrebbe potuto cambiare, e lo avrebbero temuto come la peggior peste. Essi avrebbero tentato di distruggerne l’affidabilità con una censura impietosa. Già sentivo i loro commenti sprezzanti mentre lo sfogliavano velocemente: "Contiene solo fantasie che nulla hanno a che vedere con l'insegnamento di Babaji e Lahiri Mahasaya. Diffonde un insegnamento falso!" Altre persone per ragioni diverse potrebbero non gradire il libro, sia perché sono sconcertati dalla sobrietà di una esposizione priva di fronzoli, che urta le loro convinzioni, sia perché la loro affinata sensibilità non riesce a percepire quella vibrazione che dovrebbe caratterizzare la genuinità dell'esperienza dell'autore. Solo quelli che amano il Kriya più dei loro capricci avrebbero provato un immenso sollievo a scoprirlo in un libreria esoterica. Io già vivevo nella loro felicità. Grazie a loro, il libro avrebbe continuato a circolare, e chissà quante volte sarebbe ritornato davanti agli occhi di quegli insegnanti che ne aveva decretato la condanna. Talvolta questi avrebbero dovuto far finta di non vedere che, durante i loro seminari, alcuni se lo stavano passando, sfogliandolo, perdendo con ciò parte della conferenza…

Immergendo lo sguardo nel blu del cielo sopra le cime dorate dei monti, vidi quella strana situazione come fortemente reale. Ciascuna parte di questo sogno si sviluppò nello spazio di alcuni secondi, invase la mia coscienza come un torrente in piena, come se ogni parte di esso fosse già stata provata ed accarezzata infinite volte.

Ma quando ritornai alla mia vita, ero assillato da molti dubbi. Come avrei potuto trovare il coraggio di violare il dogma delle segretezza, sfidando rudemente la sacralità del rapporto Guru-discepolo quale unico modo per essere iniziato al Kriya? Certo, tante volte avevo pensato: "Tale regola è la causa di disastrosi effetti, di strazianti conflitti e sofferenze; dicono che sia una regola sacra, ma non può esserlo: è umana, frutto di meschini calcoli".

In base alla mia esperienza, la segretezza era un dogma cieco, insensibile alla sofferenza di molti ricercatori. Mi ricordai di quanto accadde tante, tante volte quando alcuni miei amici che non comprendevano l'Inglese, mi chiesero di ricevere l'iniziazione ai Kriya superiori -- tale istruzione veniva data solo in forma scritta a coloro che avevano completato lo studio del corso completo di lezioni che esistevano solo in Inglese, Tedesco e Spagnolo. La risposta era sempre un no irremovibile. Percepii questo come una forma crudele di discriminazione.

Mi ricordai che in un paio di casi la rigida ingiunzione era stata ignorata dal buon senso. Un paio di persone che erano altrimenti fedeli all'organizzazione avevano, in condizioni eccezionali, infranto questa regola. Un kriyaban spiegò la dinamica del Kriya Pranayama a sua madre invalida ma desiderosa e in grado di

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praticare. In un altro caso che mi turbò particolarmente, un sacerdote cattolico voleva sinceramente apprendere il Kriya ma non poté riceverlo attraverso i canali corretti per un problema di coscienza nell'atto di firmare il modulo di richiesta delle lezioni; trovò comunque un kriyaban che gli spiegò la tecnica e condivise con lui le sue lezioni -- la qual cosa egli era strettamente proibito di fare.

Comunque, era chiaro che scrivere un libro era tutta un'altra cosa: la stessa idea ora mi creava una stretta dolorosa nel petto accompagnato da un senso generale di disagio ed irrealtà. Compresi che per essere in pace con la mia coscienza, dovevo prima aver sviscerato il concetto Guru. Se il rapporto Guru-discepolo è un'illusione che un giorno si dissolve, come va considerata, come ci si deve relazionare ad essa, durante quella lunga fase del percorso in cui l'illusione ci appare a tutti gli effetti come realtà?

Di certo il Guru non può essere considerato identico a Dio. Lahiri Mahasaya rifiutò di essere adorato come un Dio. Questo è un fatto che alcuni tra i Suoi seguaci sembrano aver dimenticato. Disse infatti: "Non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo". Aggiunse che voleva essere considerato a guisa di "specchio". In altre parole, ciascun kriyaban avrebbe dovuto guardare a Lui non come ad un ideale irraggiungibile, ma come alla personificazione di tutta la saggezza e realizzazione spirituale che, a suo tempo, la pratica del Kriya sarebbe riuscita a far emergere. Quando il kriyaban realizzerà che il suo Guru è la personificazione di quello che risiede potenzialmente in lui, di quello che un giorno lui stesso diventerà, allora quello specchio deve essere "gettato via".14

Alcuni anni prima, ero rimasto perplesso quando dei rappresentanti della mia prima organizzazione cercarono di farmi capire che Dio e il Guru erano una sola realtà. Un capo del più importante gruppo italiano della mia scuola mi aveva a suo tempo istruito: "Non capisci che P.Y. è la Madre Divina Stessa"? Solo ora riuscivo a vedere quanto estraneo fosse questo insegnamento dalla mia sensibilità. Dall'idea che il Guru e Dio fossero la stessa realtà, viene l'idea che l'organizzazione è la materializzazione della volontà di Dio. Ora, se non ci fosse la richiesta di segretezza, il Guru-Dio apparterebbe a tutti, diventerebbe inevitabilmente più "umano". L'organizzazione diventerebbe nulla più che una istituzione dedicata a pubblicare le opere del Maestro. Solo tramite il dogma della segretezza possono sperare di affermare che un kriyaban non può avvicinarsi a Dio, se non attraverso quel Guru e quella organizzazione. Il mito della segretezza permette di tenere in vita il mito del ruolo insostituibile dell'organizzazione.

Altre giustificazioni a questo mito sembrano fragili. Spesso si dice che la segretezza aiuta "a mantenere gli insegnamenti puri". Conoscendo alcune

14 Sì, piaccia o non piaccia, dice proprio così: gettato via. Le persone che sono state istruite con i soliti dogmi sul rapporto Guru-discepolo non possono capire appieno l'impatto di queste parole, se lo capissero incontrerebbero una intima contraddizione. Per incontrare la verità, ci vuole coraggio unito ad un approccio intelligente, discriminante che aiuti ad abbandonare le proprie illusioni, specie quelle che sono gradevoli e fanno comodo. Oltre al coraggio ci vuole anche un buon cervello che vinca la tendenza alla suggestionabilità.

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modifiche minori ma comunque importanti alla pratica del Kriya portate avanti dalle organizzazioni, si farebbe meglio a dire: "per mantener la purezza delle modifiche!" Forse sbaglio, ma sento che l'unico beneficio della segretezza per un individuo è di far sì che il suo piacere di possedere qualcosa di esclusivo aumenti al parossismo. 15 So bene che costui può assicurarmi che le vibrazioni spirituali ricevute per mezzo dell'Iniziazione formale portarono la sua pratica ad una "ottava superiore". Non oserei contraddirlo. Ma se un giorno egli abbandonerà la pratica, rifiutando tutta la questione Kriya come una ossessione superata, nessuno mi toglierà il piacere di chiedergli dove sono andate tutte quelle buone vibrazioni... e a quale "ottava" si è accordato oggi.

Ma di nuovo il mio pensiero si era perso in un fatto secondario. La cosa strana era che il termine Guru era attribuito ad una persona che i discepoli non avevano conosciuto direttamente. Gli studenti dovevano giurare la loro eterna devozione non solo ad una persona ma anche ad una catena di Maestri, anche se solamente uno di loro doveva essere considerato il Guru-precettore. È il Guru-precettore che ti presenta a Dio. Non c'è altro modo di raggiungere l'Auto realizzazione. Essendo stati iniziati in una disciplina spirituale dai canali legittimi (discepoli autorizzati), si affermava che il Guru, anche se non più su questa terra, sarebbe stato una presenza reale nella loro vita. Gli si spiegava che il Guru avrebbe bruciato in qualche modo parte del loro Karma e li avrebbe sempre protetti; egli era uno speciale aiuto scelto da Dio Stesso già prima che loro avessero iniziato a cercare il percorso spirituale. Cercare un diverso percorso spirituale equivaleva ad "un odioso rifiuto della mano Divina, protesa in benedizione". Un ricercatore spirituale che abbia un approccio ben equilibrato tra il razionale e il devoto, ha buone ragioni per rimanere perplesso da tutto questo.

I miei pensieri cominciarono a ruotare di nuovo attorno alla situazione della diffusione del Kriya. Mi era molto difficile porre tutti i punti essenziali in un ordine logico. Cercai di pensare in logica sequenza ma, sia perché la fatica mentale e fisica stava indebolendo la mia capacità di ragionare, oppure perché vari condizionamenti incisi nel mio cervello agivano come entità che avevano una vita propria, ogni volta che cercavo di organizzare la mia visione in un tutto ben integrato e coerente, questo, per una ragione o per l'altra, mi appariva come una mostruosità.

Una sera mentre praticavo il Pranayama con la coscienza totalmente centrata nel Sahasrara e la lingua in Kechari Mudra ebbi la visione interiore di tre montagne bellissime. Quella centrale, la più alta, era nera e aveva la forma della punta di una freccia fatta di ossidiana. Il mio cuore esultava, ero pazzamente innamorato di quella immagine; mi ritrovai a piangere di gioia. Rimasi il più calmo possibile, abbandonando l'assillo di completare il numero di 15 È strano notare che solo nel mondo della magia iniziatica un metodo è privo del suo valore se è appreso attraverso modi non-convenzionali. La minaccia di eventuali sciagure che capiterebbero a chi la viola il dogma della segretezza stona con tutto quello che leggiamo nelle biografie dei santi; s'addice perfettamente invece con la dimensione esoterico-magica di certe società – anzi, la segretezza è indispensabile alla loro esistenza.

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respiri che mi ero proposto, e mi abbandonai a quella particolare forza e pressione che aumentava e mi serrava l’intera zona del torace con una stretta di beatitudine. Quell’immagine era forte, tremendamente forte davanti a me. Non c’era nulla di più bello che mi facesse maggiormente vibrare d’amore. Sentivo di aver gettato uno sguardo alle indistinte sorgenti da cui si originava il mio presente corso di vita. Era come se un filo interiore legasse tutte le mie azioni passate a quella immagine, ricevendo senso e significato da essa.

Quella montagna era il simbolo del sentiero mistico universale. Essa parlava alla mia intuizione: "Un Guru può essere importante per il tuo sviluppo spirituale, ma il tuo sforzo personale quando resti solo è molto più importante. In ogni rapporto Guru-discepolo viene un momento in cui rimani solo e ti risvegli alla realizzazione che il tuo percorso è un solitario volo tra te e il tuo Sè interiore. Il rapporto Guru-discepolo è un'illusione -- utile e confortevole -- che appare come reale fintantoché non vieni travolto da ciò che travalica la tua mente."

Quella abbagliante intuizione scomparve dopo alcuni giorni. Una sera, dopo una lunga passeggiata, spento da un'improvvisa stanchezza, mi trascinai a casa. Logorato dai miei pensieri, il problema del rapporto Guru-discepolo cominciò ad emergere oscuramente, più come una ferita che come una teoria che dispiega i suoi miti. Regolai il lettore CD con la funzione "repeat" sul secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven... Era mai successo che qualcuno, carico delle benedizioni del Guru ricevute dal frequentare tutte le possibili cerimonie di iniziazione tenute da canali legittimi, avesse mai praticato il Kriya con quella dignità e coraggio con cui Beethoven aveva sfidato il suo destino? Spensi la luce e contemplai il sole che scendeva in lontananza dietro gli alberi in cima ad una collina. La silhouette di un cipresso eclissava in parte il grosso disco del sole, rosso come il sangue. Quella era la bellezza eterna! Quella era la norma a cui ispirarsi. Mi sedetti un po’ assonnato; una strana immagine afferrò la mia attenzione: quello della "investitura" di Vivekananda da parte del suo Guru Ramakrishna. Avevo letto che un giorno, verso la fine della sua esistenza terrena, Ramakrishna entrò in Samadhi mentre il suo discepolo Vivekananda (Naren) gli era vicino. Quest’ultimo cominciò a sentire una forte corrente, poi perse conoscenza. Quando ritornò in sé, il suo Guru, piangendo, gli sussurrò: "O mio Naren, oggi ti ho dato tutto, ora sono divenuto un povero fachiro, non possiedo nulla; con questo potere farai un immenso bene al mondo". In seguito Ramakrishna spiegò che i poteri che aveva passato a Vivekananda non potevano essere utilizzati dal suo discepolo per accelerare la propria realizzazione spirituale - perché ognuno deve sostenere da solo tale fatica - ma lo avrebbero aiutato nella sua missione futura quale insegnante spirituale. Il mio inconscio si manifestò con quest’immagine come per ammonirmi a non cedere alla tentazione di gettare via qualcosa di valido e prezioso. Ora, se affermavo che Ramakrishna era il Guru di Vivekananda era chiaro che mi riferivo ad un fatto autentico e di profondità insondabile.

Mi venne spontaneo rileggere l’indimenticabile, straordinario discorso di Dostoevskij sul ruolo dei padri anziani - Starec - nei monasteri Russi (I fratelli Karamazov).

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"Ma allora che cos'è uno starec? Lo starec è colui che accoglie la vostra anima, la vostra volontà nella propria anima, nella propria volontà. Quando scegliete uno starec, voi rinunciate alla vostra volontà e gliela affidate in completa sottomissione, con assoluta abnegazione. Questo tirocinio, questa terribile scuola di vita viene accettata spontaneamente da colui che offre se stesso, nella speranza, al termine della lunga prova, di sconfiggere il proprio essere e di dominarsi fino al punto di conquistare infine, attraverso una vita di ubbidienza, la libertà assoluta, vale a dire la libertà da se stesso, per evitare il destino di coloro che hanno vissuto tutta una vita senza trovare dentro di sé se stessi."

Compresi finalmente che la storia di Vivekananda e l'estratto di Dostoevskij rappresentavano situazioni che erano intrinsecamente, molto diverse dalla mia. L'organizzazione mi aveva fatto credere che avevo un Guru -- mentre infatti ero distante anni luce dall'averne uno. Mentre i grandi esempi di relazione Guru-discepolo erano basati su un vero incontro fisico tra due persone, il mio rapporto era puramente ideale. Non c'era altro Guru in cui mi potessi specchiare se non il fuoco mistico che bruciava nel mio cuore.

Dovevo accettare l'idea di una netta separazione dei ricercatori spirituali in due classi distinte? Da un lato ci sono coloro che hanno un Guru e lo seguono umilmente; dall'altro lato ci sono quelli senza un Guru che possono seguire solo la loro intuizione e ragionamenti. Quante volte ho sentito l'acida considerazione secondo cui coloro che non hanno un Guru, hanno il loro Ego come Guru! Le organizzazioni in particolare sottolineano questo. Sentii che non c'è tale netta divisione, che la situazione è semplice. Visualizziamo una rete: ciascun individuo è un nodo dal quale partono diversi collegamenti, come quelli fra i neuroni del cervello. Quando il singolo individuo fa una azione -- intendo un movimento significativo, come intraprendere il sentiero mistico e farvi buoni progressi -- egli tocca i fili della rete nelle immediate prossimità. Chi pratica seriamente non è mai isolato: egli sarà aiutato dalla risposta positiva di altre persone e sarà rallentato dalla loro indolenza e apatia. A mio avviso, tutte le persone fanno parte di una rete: non c'è divisione. Chi segue il sentiero spirituale trascina in avanti l'evoluzione di tante altre persone. Questa rete che ci collega tutti è l'Inconscio Collettivo. 16 Le mie riflessioni arrivarono fino a questo punto e qui si fermarono -- per mesi.

16 Per Freud l’Inconscio era simile ad un deposito pieno di vecchie cose "rimosse" - rifiutate da un atto quasi automatico della volontà - un ammasso che oggi non riusciamo più a richiamare alla coscienza. Jung scoprì un livello più profondo di esso: l'Inconscio Collettivo che lega insieme tutti gli esseri umani attraverso gli strati più profondi della loro psiche. L'Inconscio Collettivo è "ereditato con la nostra struttura cerebrale" e consiste dei "modi umani tipici di risposta" alle situazioni più intense che possono accadere nella vita: nascita di un bambino, matrimonio, morte di una persona amata, malattia seria, crisi familiare, amore vero, calamità naturali, terremoto, inondazioni, guerra....

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Uno Shock utile

Quell'amico kriyaban che andò in India per una lunga vacanza a incontrare quell'insegnante che stavamo progettando di invitare in Europa mi telefonò: aveva avuto l'opportunità di avere un'intervista privata con lui e aveva buone notizie. Alcune ore dopo, eravamo seduti nella mia stanza. Ero tutt'orecchi. Lui era entusiasta. Avevano parlato della deplorevole situazione della diffusione del Kriya qui in occidente: questi si dimostrò addolorato e disse di essere disposto ad aiutarci. L’amico si era fatto controllare il Pranayama. Mi chiese quindi di praticare il Pranayama davanti a lui. Affermò che riscontrava un errore nella mia pratica. Gli chiesi di cosa si trattasse, la sua risposta mi gelò: disse, infatti, che non poteva dirlo perché aveva promesso solennemente all’insegnante di non rivelare nulla. 17 Precisò che, in riferimento al nostro gruppo, aveva chiesto all’insegnante il permesso di correggere i principali errori derivati dalle affrettate spiegazioni del nostro ultimo insegnante: la risposta era stata negativa anzi il maestro aveva preteso un vero e proprio giuramento di non rivelare nulla. Quest’insegnante - che aveva manifestato l’intenzione di aiutarci - aveva forse paura che, una volta chiarito l’errore, non lo avremmo più invitato da noi, o non ci saremmo più recato da lui? Era veramente così meschino e scortese? Non pretendevo certo che il mio amico mi raccontasse per filo e per segno tutte le cose che si erano dette lui e l’insegnante; non potevo e non volevo entrare nell’intimità di quell’esperienza, ma come poteva lasciarci portare avanti quello che lui riteneva un errore? Il fatto che mi sconvolgeva era vedere un amico col quale avevo condiviso ogni cosa del percorso spirituale, che mi aveva accompagnato in tutte le vicissitudini relative ad entrambi gli insegnanti precedenti e sofferto sulla sua pelle per gli stessi motivi, soddisfatto quasi nell'aver constatato il nostro errore, come se ciò giustificasse il suo viaggio in India, i soldi e il tempo che ci aveva speso. Non mi misi a litigare, ma reagii molto male e mi rifiutai di vedere e di parlare d'ora in avanti con quell'amico.

Alcuni giorni più tardi, contattato dalla segretaria di tale maestro, lei trattò il lato finanziario del viaggio in modo che mi sembrò rozzo, aggiungendo delle condizioni che mi parvero inaccettabili. Declinai l'offerta. In realtà non me la sentivo di intraprendere daccapo un enorme lavoro di organizzazione. In quanto ad andare io da lui non ci pensavo dato che ero certo che la prima cosa che mi avrebbe richiesto sarebbe stato il classico giuramento di non dire nulla. Eravamo arrivati a questa situazione assurda: se le persone, gli amici del mio gruppo avessero voluti ricevere una briciola in più di informazione sul Kriya, essi dovevano essere posti su un aereo e spediti in India. Altrimenti sarebbero vissuti senza questa informazione. Ciascun anno, una serie innumerabile di voli charter avrebbero dovuto trasportare tutti quegli interessati al Kriya - non importa se vecchi o malati - ad un distante città indiana, come un pellegrinaggio a Lourdes o

17 Ripensando all’episodio compresi qual era questo particolare errato: non avevo fatto un respiro visibilmente addominale. Son sicuro di questo perché era l’unica cosa che il mio amico fu capace di vedere – non parlammo dei dettagli interiori della pratica.

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Fatima! Questa farsa non era neanche degna di essere presa in considerazione.Con le facoltà mentali quasi paralizzate da questo improvviso volgersi

degli eventi, migliorai la stesura dei miei appunti sulle diverse tecniche Kriya che avevo scritto durante vari seminari e li diedi a coloro che avevano già ricevuto l'iniziazione ma non a tutti i livelli del Kriya.

Insegnai il Kriya a due persone molto serie che non avrebbero potuto ricevere il Kriya a causa di questo cambiamento di piani. Mi assunsi la responsabilità di scegliere un piano didattico: per concepirlo, presi come punto di partenza le mie esperienze passate. Ero sicuro che le tecniche Kriya funzionano al di fuori del rapporto Guru-discepolo. Seguii il loro progresso: mi fornirono la prova che stavano migliorando in un modo degno di ammirazione. Alcuni mesi prima avrei giurato che fosse impossibile praticare il Kriya senza averlo elemosinato e ottenuto da un’organizzazione o da un Guru vivente. Una delle prime cose che mi erano state insegnate era che se il Kriya non è ricevuto dal canale corretto non aveva valore; era inefficace. Ebbene ora avevo la prova del contrario.

Io credo che il futuro della diffusione del Kriya appartenga anche a quei ricercatori la cui serietà è così grande che essi sono capace di trasformare le istruzioni, non importa come ricevute, in "oro." Ho fiducia in coloro che pensano: "Al di là di tutte le aspettative, ragionevoli o improbabili, di trovare un esperto di Kriya a mia disposizione, mi rimbocco le maniche e vado avanti!"

La prima Stesura del Libro

Acquistai un computer e, da prigioniero volontario, ridussi al minimo la vita sociale per dedicare tutto me stesso a scrivere il libro. Non era facile estrarre dai miei consistenti fascicoli di appunti, raccolti in tanti anni presso insegnanti diversi, il nucleo essenziale del Kriya Yoga. Avevo l’impressione di trovarmi a ricomporre un ampio puzzle, senza avere qualsiasi anteprima di quello che sarebbe apparso alla fine. Non sapevo se il quadro finale prevedesse quattro, sei o più livelli di Kriya. Invero, non ero del tutto sicuro su come definire questi livelli. Mi chiedevo se questi dovessero essere posti in una qualche corrispondenza biunivoca col processo di sciogliere i nodi interiori di cui parla la tradizione Yoga (Brahma, Vishnu e Shiva situati nel primo, quarto e sesto Chakra rispettivamente) ai quali altri due secondari (lingua e ombelico) furono aggiunti da Lahiri Mahasaya. Nella prima stesura, la descrizione dei Kriya Superiori fu data come una catena di tecniche (undici), ciascuna che preparava idealmente la successiva. Dopo vari ripensamenti, decisi di descrivere tutte le tecniche nello schema di quattro livelli di Kriya (il significato di essi verrà discusso nel capitolo 7). Scrissi tutto quello che conoscevo sulle tecniche Kriya. Mi restano alcune varianti nei blocchi di appunti stenografati, pronte ad essere aggiunte al libro, ma solo nel caso in cui ricevessi altre informazioni che andranno ad avvalorarle mostrandone l'intrinseco valore alla luce del pensiero di Lahiri Mahasaya.

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Allo stesso tempo decisi di riprendere col massimo della serietà la pratica delle cosiddette Routine ad incremento progressivo. 18 Fu forse perché le vissi all'aria aperta e più in Estate che in altre stagioni che le associo a lunghi tramonti, a serate che sembravano non avere fine. Era necessario fare le cose per bene e dedicare attenzione a quello che, anni prima, era stato affrontato in modo superficiale. Ora potevo far risorgere l'entusiasmo iniziale e ridare nuova vita al mio sentiero Kriya. Purtroppo in passato, la forza trainante che mi spingeva a completare al più presto possibile il numero di ripetizioni prescritte per ciascun Kriya superiore fu anche l'ansietà di ottenere dal mio insegnante l’iniziazione successiva. Il desiderio ardente di "spremere" qualunque cosa potesse insegnarmi, era nutrito da uno strano timore: come se, per qualche insondabile ragione, temessi di non poterlo incontrare più in futuro.

Praticai di nuovo le tre parti della tecnica del Secondo Kriya che avevo ricevuto dal mio terzo insegnante e che avevo corretto e perfezionato per mezzo di preziose informazioni ricevute da altra fonti della stessa scuola (scuola Tribhangamurari che sarà spiegata nel capitolo 8.)

Si dice che questo Secondo Kriya serva a tagliare il nodo del cuore. Non potei evitare che questa procedura portasse alla superficie vecchie ferite profondamente radicate. Lahiri Mahasaya scrisse che un kriyaban è trasformato profondamente da esso ed impara a vedere "quello che altri non possono o non vogliono davvero vedere".

Partecipai ad un pellegrinaggio con un gruppo di persone camminando tutta la notte poiché l'arrivo ad un bel santuario era previsto per la mattina seguente. Mi muovevo intorno sentendo nel cuore un braciere ardente. Percepivo che il centro della mia personalità non era nel cervello ma nel cuore. Camminando, sussurravo a bassa voce le sillabe Om Na Mo... (tipiche della tecnica Thokar), immaginando di porle ciascuna nel rispettivo centro. Sapevo perfettamente che questo non era il modo canonico di praticare ma non potevo resistere a ciò.

Qualche cosa nel mio cuore, come una tensione di tenerezza, cominciò quasi immediatamente ad essere percepita, poi venne la realizzazione che l'esistenza dei miei compagni di viaggio era immersa nell’amore. Vidi che la realtà dell’amore era la forza più intensa della vita, corrotta solo dall'inquinamento della mente. Pensando all’umanità come ad un tutt’uno, sentii che l’uomo non può, a causa dell’istinto, evitare la condizione d’amare qualcuno - i suoi figli per esempio - e di prendersi cura di qualcuno e, di conseguenza, di essere costretto a vivere anche esperienze dolorose. Sentii intensamente che anche la persona più egoistica è capace di donare la sua vita per i propri figli e può trovare in se stesso la forza per grandi, incredibili azioni. Ma la stessa persona che tu ammiri come nobile e coraggiosa, non è capace di mantenere tale attitudine per ciò che concerne la Religione. Notando quante illusioni sono propagate dalle religioni e dalle sette, mi sentivo triste per quelle persone che - nell'abisso della loro tragedia – non erano capaci di dar voce al loro profondo

18 I dettagli precisi di come varie routine ad incremento progressivo sono strutturate si trovano nella terza parte del libro.

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grido di dolore rivolgendosi a Dio in un atto di protesta ma continuavano ad implorarLo non in uno spirito di devozione e resa ma con un atteggiamento talmente prostrato di supplica, come se temessero ancor peggiori calamità. Il sentimento di questa realtà ineluttabile fu sperimentato come una stretta dolorosa che mi lacerava il petto. Quando il sole sorse sul nostro sentiero e il santuario apparve sopra un'altura, qualcosa si sciolse e ne venne una tale intensità di amore che la stessa esperienza si trasformò in un dolore "pieno di beatitudine".

Durante questa Routine Incrementale, di quando in quando consultavo un paio di Forum sul Kriya. Il mio desiderio era vedere se altri kriyaban avevano avuto i miei stessi problemi. Molte persone cercavano informazioni sul Kechari Mudra. Se avessi avuto la loro email gli avrei mandato le istruzioni in forma anonima.

Mi colpì il tono saccente di alcuni che abusavano della genuina e onesta curiosità di altri. Con una tenerezza faziosa, tradendo la forma più bassa di considerazione, continuavano ad identificare il desiderio dei ricercatori di approfondire la pratica Kriya come una "pericolosa mania." Avevano l'audacia di mettere a tacere l'umile studente consigliandogli di migliorare quello che già avevano. Parlavano con lo stesso tono usato dai miei vecchi "ministri", cariatidi, testimoni di un passato che credevo molto più distante di quanto fosse in realtà. Mi chiedevo come osassero entrare (non invitati) nella vita di una persona, nel suo spazio personale, di cui nulla sapevano, trattando quella persona come un principiante incompetente e superficiale! Era proprio così difficile rispondere con sincerità: "Non ho quelle informazioni?"

Ricordo una discussione in cui uno affermava di avere avuto accesso al Kriya originale. Purtroppo, quella persona era talmente segreta ed esclusiva. Disse che oggi esistevano ancora alcuni buoni insegnanti, non era disposto a condividere nomi e indirizzi. Trovai questo molto stupido. Colmo di rabbia, immaginai che l'idea meschina di possedere una conoscenza segreta, non cedibile agli altri, era l'unica cosa che teneva insieme i pezzi della sua mente sparpagliata, camuffando con un aria di avanzamento spirituale quel nulla che lui era da un punto di vista umano. Perché il Kriya doveva appartenergli? Il Kriya era un insieme di strumenti di introspezione presi da tradizioni diverse. Era assurdo affermare che appartenevano ad una persona, in particolare ad una così sgradevole.

Fu una fortuna che il momento della pensione venne presto nella mia vita. Dopo alcuni mesi di libertà, ricevetti la proposta di cominciare un altro lavoro che era più vincolante del precedente. Avevo aspettato molti anni e desiderato all’apice delle mie forze di affrontare le dosi impossibili della routine ad incremento progressivo del micro movimento Tribhangamurari; non c'era altra occupazione per me! Ho sempre amato quella tecnica: anche una piccola pratica fu sempre un miracolo di dolcezza.

Il periodo in cui fui assorbito in questo processo appare alla mia memoria circondato da un’aura di sogno; trovo difficile riferire dettagli specifici ascrivibili ad esso. Passai molto tempo all’aperto. Portavo con me un sedile fatto da uno strato di plastica ed uno di lana, qualche cosa da bere ed un piccolo rosario di

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trentasei grani. Mi sedevo, respiravo profondamente e poi procedevo col Mantra e col conseguente micromovimento. Alla fine d’ogni ciclo, spostavo un oggetto, un sassolino da un lato del corpo all'altro per contare il numero complessivo dei cicli di trentasei. Tante volte sperimentai una grande, irresistibile, sonnolenza. Alcune volte proprio non riuscii a resistere alla tentazione di interrompere la pratica e riposarmi per un po’. Naturalmente quest’azione non risolvette il problema poiché la sonnolenza riappariva immediatamente non appena riprendevo la pratica. Non ci fu modo (caffè, molto sonno...) di salvarmi da tale situazione; imparai ad accettare la situazione e il più delle volte mi trovai a praticare con la schiena leggermente piegata in avanti; anzi dovetti imparare a non raddrizzarla di scatto perché questo interrompeva la condizione di assorbimento e di quiete. Dopo molte ore di pratica, vicino alla fine del giorno, talvolta fui afferrato da tale euforia che sentii l'istinto irresistibile di oscillare il corpo. Fu come una danza da seduto accompagnata da una forma sottile di Thokar. Quando pronunciavo la settima sillaba, il tronco si muoveva leggermente a sinistra, poi pensando la seguente, si muoveva a destra, poi di nuovo a sinistra. Quando pensavo l’ultima sillaba, c'era un piccolo sussulto del tronco accompagnato da una tale profusione di beatitudine!

Imparai a praticare senza essere disturbato da nulla: in questo modo la tecnica sbarcò nella mia vita e si mescolò con essa. Un giorno mi trovavo in un luogo roccioso vicino ad una spiaggia frequentata da un numero modesto di persone che ci passavano per una passeggiata e, qualche volta, si fermavano nei pressi. Nascosto dietro degli alberi, durante il giorno mi riparai dal sole; al tramonto mi avvicinai alla spiaggia, appoggiai la schiena ad una roccia e rimasi lì fingendo di guardare un oggetto distante. Praticai con gli occhi aperti: il cielo era un cristallo indistruttibile d’infinita trasparenza; le onde cambiavano continuamente il loro colore dal fascino quasi insostenibile. Cercavo di nascondere le mie lacrime dietro le scure lenti dei miei occhiali da sole. Non riesco a descrivere quello che sentivo se non in forma poetica.

C’è un canto indiano (nella parte finale del film Mahabharata) le cui parole sono prese dalla Svetasvatara Upanishad: "Conosco questo Grande Spirito, raggiante come il sole, trascendente ogni concezione materiale di oscurità. Solo chi Lo conosce può trascendere i limiti della nascita e della morte. Non c’è altra strada per raggiungere la liberazione che conoscere questo Grande Spirito". Quando ascoltai la bella voce della cantante Indiana ripetere "Non c’è altra strada", il mio cuore si infiammò. Nulla avrà il potere di tenermi lontano da questo stato e da questa pratica fantasticamente bella che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni.

Per quel che riguarda gli effetti, qualcosa avvenne. Molti ceppi psicologici – condizionamenti che sembravano inalterabili – cominciarono a frantumarsi. C'era la tendenza di andare in profondità, inesorabilmente, fino a toccare la verità non inquinata. Il mio pensare divenne compatto, di una solidità che le suggestioni da parte di altre persone non riuscivano a intaccare. Non riuscivo a tollerare la più lieve deformazione della verità. Cercavo di entrare inesorabilmente, di andare in profondità in qualunque problema, fino a trovare la verità. Ma la verità è verità totale: toccai la realtà della vita e annullai la mia

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maschera diplomatica. Purtroppo la difficoltà di sostenere il comportamento superficiale altrui fu la causa di alcune rotture. La natura odia il vuoto, così altre persone entrarono nella mia vita a tenere viva la fiamma dell'amicizia.

Ero scomparso dal mondo, ma non avevo dimenticato il progetto del libro. Il tempo impiegato in questa attività divenne molto più lungo del previsto. I miei amici dicevano che non avrei mai posto la parola fine all’impresa. Eppure io non sentivo nessuna urgenza, volevo vivere quel periodo tranquillo della mia vita, apprezzando il senso di appagamento che viene a coloro che dedicano tutti i propri sforzi ad un unico scopo. Alla fine, un giorno il libro fu pronto e lo misi in rete.

Dopo un paio di mesi arrivò la reazione di colui che era stato il mio terzo insegnante. Durante un seminario aveva motivato le mie azioni come quelle di uno che vuole fare affari col Kriya. Mi definì una "prostituta intellettuale." La mia reazione fu strana: ero divertito e soddisfatto. Ma quella notte non mi riuscì di prendere sonno. Solo allora cominciai a rendermi conto che il mio proposito era stato portato a termine e il libro era accessibile a tutti.

Was entstanden ist, das muß vergehen!Was vergangen, auferstehen!Hör auf zu beben!Bereite dich zu leben!Gustav Mahler (1860-1911)

Ciò che è sorto deve svanire!Ciò che è passato, deve risorgere!Smetti di tremare!Preparati a vivere!

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PARTE II: CONDIVISIONE DELLE TECNICHE DEL KRIYA YOGA

CAPITOLO 6TECNICHE BASE DEL KRIYA YOGA

Importante

Le tecniche qui descritte sono esposte solamente per motivi di studio, per servire come raffronto col lavoro di altri ricercatori. Da questa condivisione spero derivi un feedback intelligente. Osservazioni, critiche, correzioni e aggiunte saranno ben ricevute. Prima di cominciare a porvi tutte le domande più strane possibili e immaginabili, leggete completamente la Parte II e III di questo libro in modo da avere una completa visione della materia. Scoprirete che molte domande trovano risposta man mano che proseguite con la lettura.

Tengo a precisare che questo libro non è un manuale di Kriya Yoga! Forse in futuro ne scriverò uno e allora affronterò il problema di come dividere l'intero argomento in diverse lezioni cercando, per ciascuna fase d’apprendimento, di fornire tutti i consigli necessari. In ogni caso, certe tecniche non possono essere apprese leggendo un manuale. Ci sono tecniche delicate come per esempio il Maha Mudra, il Kriya Pranayama, il Thokar, lo Yoni Mudra che è impensabile apprendere senza l'aiuto di un esperto che controlli la loro esecuzione. Ogni persona è diversa e nessuno può dire a priori quali saranno gli effetti di una determinata tecnica, soprattutto se praticata in dosi consistenti.

L'autore non si assume alcuna responsabilità nel caso di risultati negativi, particolarmente nel caso in cui uno decida di praticare le tecniche senza aver cercato la supervisione di un esperto. Coloro che intendono portare avanti questa pratica dovrebbero farlo con il dovuto senso del sacro e la consapevolezza della ricchezza che essa potrà portare nella loro vita. Sebbene ognuno ha il diritto e il dovere di controllare il suo destino, garantirsi il consiglio o la guida di un esperto è indispensabile.

N.B. Quando ci si reca da un esperto, è necessario comunicargli l’esistenza di ogni eventuale problema fisico, come ipertensione, problemi ai polmoni, segni di iperventilazione… Se avete particolari problemi fisici, un esperto potrà raccomandarvi una forma delicata di Kriya Pranayama e dei Mudra ad esso collegati – e se necessario potrebbe raccomandare di praticarli solo mentalmente.

Visitate almeno una volta all'anno il sito www.kriyayogainfo.net per scaricare l'ultima edizione del libro

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Introduzione alla localizzazione dei Chakra

I Chakra sono sottili organi astrali entro la spina dorsale; gradini ideali di una scala mistica che conduce una persona, senza alcun pericolo, alla più elevata esperienza estatica. Molti credono di poter applicare automaticamente al Kriya quello che è scritto sui libri di Yoga, ma questo non funziona. Tali testi sono riempiti di inutili, devianti raffigurazioni. Perdendo tempo a visualizzare tutto quel materiale, un kriyaban potrebbe correre il rischio di perdere l’autentico significato delle tecniche del Kriya, o parte delle loro ricchezze.

Il Kriya è un processo naturale che porta a dei risultati benefici e non dovrebbe essere distorto dal potere della cosiddetta visualizzazione "creativa", specie se essa si pone in contrasto con la fisiologia del corpo -- il Kriya non si propone di creare una condizione artificiale in esso.

Quando certe condizioni naturali si stabiliscono - silenzio mentale, rilassamento del corpo, intensa aspirazione dell’anima - la Realtà Spirituale si manifesta, assorbendo l'attenzione. In tal caso, dei movimenti sottili di energia nel corpo – o un particolare raccogliersi dell'energia in qualche parte del corpo – rivelano l'essenza dei Chakra.

Coloro che praticano il Kriya Yoga (useremo il termine kriyaban) incominciano la loro pratica della tecnica base del Kriya Pranayama visualizzando la spina dorsale come un tubo vuoto che si estende dalla base di essa fino al cervello. Con ulteriore pratica, essi cercano di localizzare i sette Chakra.

Figura 1. Percezione dei Chakra

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Primi cinque Chakra

II primo Chakra, Muladhara è localizzato alla base della colonna spinale proprio sopra la regione del coccige; il secondo Chakra, Swadhisthana, si trova nella regione sacrale a metà strada tra Muladhara e Manipura; il terzo Chakra, Manipura, è nella regione lombare all'altezza dell'ombelico. Il quarto Chakra, Anahata, è nella regione dorsale; la sua sede può essere individuata avvicinando le scapole e concentrandosi sui muscoli tesi tra di esse. Il quinto Chakra, Vishuddha, si trova dove il collo si unisce alle spalle, all'altezza delle clavicole. La sede del quinto Chakra può essere individuata oscillando la testa lateralmente, mantenendo il busto ben fermo, concentrandoci sul punto dove si percepisce un particolare suono come di un qualcosa che scricchiola, o che viene macinato.

La localizzazione fisica dei Chakra è accompagnata da qualche forma di visualizzazione. La più semplice visualizzazione che favorisce le dinamiche del Kriya Pranayama è la seguente -- quando la consapevolezza sale lungo la spina dorsale, i Chakra sono percepiti come piccole "luci" che illuminano il tubo cavo che è visualizzato al posto della colonna spinale. Quando la consapevolezza scende lungo la spina dorsale, essi sono intimamente percepiti come organi che distribuiscono energia (che scende dall'alto) nel corpo. Raggi di luce partono dalla loro sedi, ravvivando, quella parte del corpo che si trova davanti a loro. Darsi la pena di rispettare tale visualizzazione elementare, evitando quelle suggerite dai libri New Age o tantrici è la miglior garanzia di star portando avanti un lavoro proficuo.

Anche se ciò può ora sembrare prematuro, è utile far notare che la vera localizzazione dei Chakra può avvenire solamente nella dimensione astrale -- poiché essi non sono una realtà fisica. Questo si ottiene quando il Kriya Pranayama prende, per così dire, la "strada interiore" e noi ascoltiamo i suoni interiori che emanano dalla sede fisica di ciascun Chakra. Non appena la mente è sufficientemente calma (durante una profonda e lunga seduta di Kriya Pranayama ) si possono ascoltare i suoni astrali e localizzare astralmente ciascun Chakra.

Ci sono diversi livelli di sviluppo di questa abilità: il Kechari Mudra da origine ad un grande processo di interiorizzazione che favorisce l'esperienza specialmente quando il "vento" del respiro si calma. Che importanza ha il fatto di localizzare astralmente i Chakra? È legato all'abilità di viaggiare lungo il tunnel spinale, che a sua volta è la base di un superiore raggiungimento: quello di realizzare che i primi cinque Chakra sono cinque diversi stati di coscienza. La tradizione Kriya li mette in relazione con i cinque Tattwa: terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Offrire ciascun Tattwa individualmente alla luce dell'"occhio spirituale" che si raccoglie e si intensifica nella regione tra le sopracciglia, è l'azione più elevata mai concepita per distruggere l'ultimo guscio dell'illusione. Spiegheremo tutti questi aspetti della pratica Kriya nei prossimi capitoli; la nostra anticipazione è intesa solo a scoraggiare i kriyaban ad essere precisi in

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modo maniacale per quanto riguarda la localizzazione dei Chakra: la pratica dei diversi livelli del Kriya Yoga raffinerà tale percezione.

Ajna (midollo allungato, Bhrumadhya, Kutastha)

Secondo la tradizione, la sede del sesto Chakra Ajna è la parte centrale della testa. Alcuni identificano tale sede con l'ipofisi, altri con la pineale, altri col terzo ventricolo del cervello. È preferibile seguire la seguente procedura in due passi.

[a] Prima individua la sede del midollo allungato (alla sommità della spina dorsale). Solleva il mento tendendo i muscoli del collo alla base dell'osso occipitale; concentrati sulla fossetta sotto la nuca ed entra idealmente all'interno di due tre centimetri; mantenendo la contrazione dei muscoli del collo, oscilla la testa lateralmente (due, tre centimetri per parte); rilassa i muscoli del collo e mantiene la concentrazione sul midollo allungato per un minuto: noterai come ogni irrequietezza scompare. (Può essere interessante aggiungere che la tradizione dice di visualizzare il midollo allungato come avente la forma del dorso di una piccola tartaruga.)

[b] Rimanendo centrato nel midollo allungato, convergi lo sguardo interiore verso Bhrumadhya, il punto tra le sopracciglia, e osserva la luce interiore in quella regione. La tua percezione può essere debole ma se continui a guardare internamente accontentandoti di qualsivoglia percezione luminosa, tale luce si intensificherà. Se vieni indietro di otto centimetri dal luogo dove appare la luce, avrai trovato la sede del sesto Chakra Ajna. Meditare con la tua consapevolezza focalizzata su di esso ti prepara per l'esperienza del Kutastha (detto anche "terzo occhio" o "occhio spirituale"): un punto luminoso che appare in mezzo di una radianza sferica. In tale regione, un giorno, sperimenterai lo splendore di un milione di soli, pur avendo la freschezza di un milione di lune.

Ajna Chakra è la porta regale per avere esperienza di quella parte della Coscienza Divina che è immanente nell'universo fisico. Sentirai l'intero universo come il tuo corpo. Tale esperienza è detta anche "Kutastha Chaitanya", "Coscienza Cristica" o "Coscienza di Krishna".

Sahasrara (Bindu, fontanella)

Secondo la tradizione, la sede del settimo Chakra Sahasrara è la sommità del capo. Esso è visualizzato come un disco orizzontale con un diametro di circa 12 centimetri, situato immediatamente sotto la parte superiore del cranio. Nella terza fase del Kriya Pranayama, quando solleviamo la consapevolezza dal sesto al settimo Chakra, tale visualizzazione è sufficiente per ottenere un assorbimento estatico. Ma nel Kriya Yoga c'è sempre posto al perfezionamento. Le scuole di Kriya più affidabili (attente a non causare degli effetti difficili da sostenere) sono quelle che insegnano un graduale approccio alla concentrazione sul Sahasrara. Esse consigliano di porre la consapevolezza in Bindu e da lì divenire consapevoli della fontanella. Bindu è localizzato nella regione occipitale, dove l’attaccatura

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dei capelli forma una specie di vortice. (È qui che alcuni Indù, con la testa rasata, mantengono una ciocca di capelli.) Durante la prima parte del Kriya Pranayama la coscienza tocca il Bindu per alcuni istanti, alla fine di ciascuna ispirazione. Nelle fasi più elevate del Kriya Pranayama, quando la consapevolezza trova la Tranquillità in Bindu, diveniamo consapevoli della fontanella anteriore. Il nome corretto di tale regione in un adulto è il Bregma: situato al punto di incontro, sul cranio, delle suture coronale e sagittale. Si raccomanda di non trascurare il precedente stadio di localizzazione del sesto Chakra Ajna e di praticare la concentrazione sulla fontanella solo quando ciò è esplicitamente richiesto dal tuo insegnante -- non fare di testa tua.

Una posizione adatta alla meditazione

Ci si siede rivolte ad Oriente. Secondo Patanjali, la posizione dello Yogi (Asana) deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei kriyaban si trova a proprio agio praticando il cosiddetto Mezzo-loto. Questa posizione è usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una posizione seduta comoda, molto facile da ottenersi. Il segreto è di mantenere una spina dorsale eretta sedendo sul bordo di uno spesso cuscino in modo tale che le natiche siano leggermente sollevate. Sedete a gambe incrociate mentre le ginocchia stanno sul pavimento. Sollevate il piede sinistro e portatelo verso il corpo in modo che la suola del piede sinistro aderisca comodamente all'interno della coscia destra. Tirate il tallone del piede sinistro il più possibile verso l'inguine. La gamba destra è piegata al ginocchio ed il piede destro è posto comodamente sopra la coscia sinistra o il polpaccio o entrambi. Il ginocchio destro è abbassato il più possibile verso il pavimento. La migliore posizione per le mani è con dita intrecciate come si può osservare nella famosa foto di Lahiri Mahasaya. Ciò crea un buon equilibrio di energie dalla mano destra alla sinistra e viceversa. Le spalle sono in posizione naturale, la testa, il collo, il torace e la spina dorsale si trovano in una linea diritta come se fossero una sola cosa. Quando le gambe sono stanche, scambiate i loro ruoli in modo di prolungare la durata della posizione. In certe situazioni delicate - mi riferisco a problemi di salute o a particolari condizioni fisiche - può essere provvidenziale praticare il mezzo loto su una sedia, purché non abbia braccioli e sia abbastanza grande. In questo modo, una gamba alla volta può essere abbassata e l'articolazione del ginocchio rilassata! Di difficoltà media è Siddhasana (Posa Perfetta): la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra mentre il tallone preme sul perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Kriya Pranayama facile e proficuo. Si spiega che questa posizione aiuta a divenire consapevoli dei movimenti del Prana. Nella difficile posizione Padmasana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con le piante dei piedi rivolte verso l’alto. Si spiega che, accompagnata dal Kechari e dal Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra. Essa aiuta a mantenere il torso eretto

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quando, con il raggiungimento del profondo Pratyahara, esso tende a piegarsi o a cadere. Sedere in Padmasana (posizione del loto) è incomodo per un principiante, le ginocchia e le caviglie danno un dolore intenso. Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni avevano imposto alle loro membra la posizione Padmasana.

LE TECNICHE BASE DEL KRIYA YOGA

Le tecniche relative alla prima iniziazione del Kriya Yoga sono otto: Talabya Kriya, Om Japa, Kriya Pranayama (spesso indicato semplicemente come Pranayama), Navi Kriya, Pranayama mentale, Maha Mudra, Pranayama col respiro breve e Yoni Mudra. Nella tecnica del Kriya Pranayama individueremo tre fasi. Le prime due sono spiegate in questo capitolo; siccome la terza non è adatta ai principianti ed è particolarmente favorita dal raggiungimento del Kechari Mudra, sarà introdotta nel prossimo capitolo.

Anticipiamo uno schema teorico, una mappa che può essere apprezzata da quegli studenti che amano contemplare un quadro completo di tutte le fasi del Kriya Yoga come sono concepite in questo libro. (Un discorso più approfondito verrà ripreso nel capitolo 7).

Il percorso del Kriya è diviso in quattro fasi:

Prima fase: Jihuah (Jiwha) Granthi Ved -- Sollevare la lingua.Seconda fase: Hridaya Granthi Ved -- Attraversare il nodo del cuore.Terza fase: Navi Granthi Ved -- Attraversare il nodo dell'ombelico.Quarta fase: Muladhara Granthi Ved -- Attraversare l'ultima ostruzione che blocca la piena immersione nell' "occhio spirituale.

I. La tecnica del Talabya Kriya, la pratica del Kriya Pranayama (in tre parti) e il raggiungimento del Kechari Mudra incarnano la prima fase del Kriya Yoga.

II. La seconda parte del Kriya Pranayama è legata alla seconda fase del Kriya Yoga. L'apparizione dei suoni interiori -- specialmente il suono di una campana -- comincia a sciogliere ogni ostacolo legato al passaggio dell'energia dai Chakra elevati alla parte bassa della spina dorsale e viceversa.

III. Il Navi Kriya e il Pranayama mentale incarnano la terza fase del Kriya Yoga dove il respiro comincia a calmarsi completamente.

IV. Maha Mudra, Pranayama col respiro breve e Yoni Mudra sono i mezzi per avvicinarsi all'ultima fase del Kriya Yoga. Questa fase rappresenta il lavoro più delicato. L'energia Kundalini è risvegliata e sollevata (Maha Mudra); poi è pazientemente guidata attraverso i Chakra e fatta circolare (Pranayama col respiro breve) e in fine, arrivando a sciogliere il nodo localizzato presso il

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Muladhara e il centro tra le sopracciglia (Yoni Mudra), la liberazione è ottenuta.

1. Talabya KriyaCominciando dalla posizione nella quale la lingua è rilassata e con la punta che tocca il lato interno dell'arcata superiore dei denti, il kriyaban preme il corpo della lingua contro il palato superiore per creare un effetto di ventosa. Avendo così premuto la lingua al tetto del palato, la mascella inferiore è abbassata per allungare il frenulo (il tessuto che unisce la lingua alla base della bocca). L'effetto di stiramento dovrebbe essere percepito distintamente (vedi figura 2). La lingua che per alcuni istanti è rimasta premuta contro il palato superiore si libera e ritorna a scendere nella sua posizione naturale con uno schiocco. La lingua è poi spinta fuori dalla bocca e puntata verso il mento. All'inizio è opportuno non ripetere questa procedura più di 10 volte al giorno onde non sforzare troppo o produrre uno strappo nel frenulo! In seguito è possibile raggiungere le 50 ripetizioni. L'intera procedura di 50 ripetizioni richiede circa due minuti (110-120 secondi) per essere completata. Molti praticano il Talabya Kriya in modo sbagliato poiché volgono istintivamente indietro la lingua (o la tengono verticale) e questo annulla completamente l'effetto. È molto importante che la punta della lingua, prima di essere premuta contro il palato superiore, tocchi il lato interno dell'arcata superiore dei denti. 1

Figura 2. Talabya Kriya

Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, dovrebbe essere possibile inserire la lingua nella cavità della faringe nasale: questo è chiamato Kechari Mudra (vedi Figura 4 nel prossimo capitolo). Che il principiante non si ponga troppe domande su ciò. Ne riparleremo nel prossimo capitolo. Siccome il Talabya Kriya crea un distinto effetto calmante sui pensieri, esso non dovrebbe 1 Nei testi di Hatha Yoga ci sono diversi consigli per allungare il frenulo. Uno molto noto è avvolgere un pezzo di tela attorno alla lingua e con l'aiuto delle mani, tirare gentilmente (rilassando e ripetendo diverse volte) la tela sia orizzontalmente che in su, verso la punta del naso. Lahiri Mahasaya era assolutamente contrario al taglio del frenulo per ottenere risultati più veloci e più facili.

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mai essere messo da parte, neanche quando il Kechari Mudra è realizzato. Non è facile giustificare per quale motivo, agendo sul frenulo, sia possibile riuscire a calmare il processo di formazione di pensieri inutili. Sta di fatto che chiunque può osservare questo effetto.

2. Om JapaNon prestare attenzione al respiro. Cominciando col Muladhara (primo Chakra), canta il Mantra "Om" concentrandoti su di esso; poi fai lo stesso con il secondo Chakra e così via fino al Chakra cervicale Vishuddha, e poi Bindu. Durante questa salita della consapevolezza lungo la spina dorsale, cerca di fare il tuo meglio per riuscire a toccare intuitivamente il nucleo interno di ciascun Chakra. Poi canta "Om" nel midollo allungato, poi nel Chakra cervicale e così via fino al Muladhara. Durante questa discesa della consapevolezza, cerca di percepire la sottile radiazione di ciascun Chakra. Una salita (Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e Bindu) e una discesa (midollo allungato, 5, 4, 3, 2, 1) costituiscono un ciclo; esso dura circa 30 secondi. Fai da sei a dodici di questi cicli. È opportuno, nei primi tre cicli, cantare il Mantra a voce, in tutti gli altri si può continuare a dirlo a voce oppure mentalmente. Questo esercizio, eseguito con concentrazione, aiuta a "generare" la migliore forma di Kriya Pranayama.

3. Kriya Pranayama (respirazione spinale)Il Kriya Pranayama è la più importante tecnica del Kriya Yoga. Essa agisce direttamente sull'energia (Prana) presente nel corpo. Gli insegnanti di Kriya hanno diverse strategie didattiche per illustrare questa tecnica. Ci accingiamo a spiegarne i punti essenziali, sebbene non sia facile mostrare come essi siano integrati in un tutto armonioso.

Prima parte del Kriya Pranayama: mescolare Prana e Apana Chi è capace di porre la lingua in Kechari Mudra lo fa adesso -- in caso contrario, la punta della lingua è rivolta indietro toccando il palato superiore nel punto dove il palato duro diventa molle. La bocca è chiusa. Gli occhi sono chiusi e rilassati ma focalizzati nel punto tra le sopracciglia. La consapevolezza è nel midollo allungato.

Un respiro Kriya avviene nel modo seguente1. Una profonda inspirazione attraverso il naso che produce un suono

sordo nella gola agisce come una "pompa idraulica" per sollevare l'energia (Prana) dalla base della spina dorsale fino al midollo allungato e al Bindu (regione occipitale).

2. Il movimento dell'aria è sospeso per alcuni istanti, favorendo anche la sospensione dell'attività mentale: appare uno stato di stabilità. Questa dovrebbe essere comunque una pausa breve (2-3 secondi).

3. Una profonda espirazione attraverso il naso, della stessa lunghezza dell’inspirazione accompagna il movimento di ritorno dell’energia verso la base della spina dorsale. Durante l'ultima parte della espirazione, c'è una chiara percezione dell'ombelico che si muove verso la spina dorsale. Raffinando questa

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esperienza, ovvero accompagnando con la consapevolezza il movimento dell’ombelico verso l’interno, si percepisce l’azione dei muscoli del diaframma e si diventa consapevoli del calore che aumenta nell’ombelico. Tale calore sembra sorgere dalla parte inferiore dell’addome.

4. La pausa di 2-3 secondi viene ripetuta ora e vissuta intimamente come un momento di confortevole pace. La mente dinamica diventa statica e si placa.

Nella letteratura di riferimento è indicato che il Kriya Pranayama perfetto avviene con 80 respiri in un'ora - circa 45 secondi per respiro. I kriyaban possono raggiungere questo ritmo solo durante delle lunghe sedute. I principianti dovrebbero raggiungere un ritmo di circa 18-20 secondi per respiro Kriya e completare 12 respiri in un modo naturale, senza fretta che richiederà circa 4 minuti.

Osservazionia. Il percorso seguito dall’energia si rivela gradualmente durante la

pratica. Non è necessaria alcuna complicata visualizzazione. Sei centrato nella sede del midollo allungato, lo sguardo interiore è volto verso Bhrumadhya tra le sopracciglia. La consapevolezza sale dal Muladhara lungo la colonna spinale, verso il secondo Chakra, il terzo, il quarto, il quinto, il midollo allungato e il Bindu. Segue la pausa, l’irradiazione luminosa del Kutastha appare come una luce indistinta o un bagliore che permea la parte frontale del cervello e quella del Sahasrara come una lieve sensazione di luce crepuscolare che permea la parte superiore della testa. In questa fase iniziale del Kriya Pranayama l'energia non può raggiungere né il punto tra le sopracciglia, né il Sahasrara; questo avverrà negli stadi più evoluti.

b. Il respiro che usiamo durante il Kriya Pranayama non è un respiro libero ma un respiro controllato che produce un suono chiaramente udibile nella gola. Il suono nella gola mentre si inspira è come un tranquillo schhhh… simile a quello prodotto da un altoparlante che trasmette un rumore di fondo amplificato; c'è solo un leggero sibilo durante la espirazione.

Purtroppo non possiamo fare riferimento ai molti esempi del suono di Ujjayi Pranayama che si possono trovare in rete. Ci sono tanti video di yogi che producono un orribile suono durante Ujjayi. Essi usano le loro corde vocali: questo non è corretto -- potrebbe essere corretto per qualche forma di Ujjayi ma non per il Kriya Pranayama. Per essere certo che il tuo suono è corretto, concentrati solo sull'aumentare l'attrito dell'aria che passa attraverso la gola. Ne nasce un suono sordo e smorzato. Aumenta la sua frequenza. Se l'ambiente è perfettamente silenzioso, una persona riuscirà ad ascoltarlo entro un raggio di 4-5 meter -- e non sentirà nulla oltre tale distanza. Comunque non pretendiamo la perfezione del suono adesso. Quando verrà raggiunto il Kechari Mudra, il suono della espirazione sarà come quello di un flauto, Shiii Shiii. Discuteremo il significato e le implicazioni di questo suono nel prossimo capitolo.

c. L'aria inspirata è percepita come moderatamente fresca mentre l'aria espirata è percepita come moderatamente tiepida; di conseguenza anche l'energia che sale è percepita come moderatamente fresca mentre quella che scende è

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percepita come moderatamente tiepida.d. Durante l’inspirazione, l’addome si espande e durante l’espirazione,

l’addome rientra. La respirazione è prettamente addominale; durante l'inspirazione, la parte superiore dei polmoni è riempita per due terzi. È sbagliato sollevare la cassa toracica e le spalle.

e. Per quanto riguarda il valore delle pause, più divieni consapevole di questi stati di stabilità, più la tua pratica diventa profonda.

f. Durante i primi respiri del Kriya Pranayama evita di cantare Om o un altro Mantra in ciascun Chakra. Non disturbare l'impiego di una grande intensità mentale durante l'inspirazione volta a sollevare l'energia.

Seconda parte del Kriya Pranayama: Om Japa in ciascun ChakraMentre nella prima parte la consapevolezza era nel midollo allungato, ora essa cerca di espandersi in tutta la regione occipitale fino al Bindu. Ci poniamo come scopo quello di riuscire, senza chiudere gli orecchi, ad ascoltare i suoni interiori (varianti del suono Omkar). Durante l'inspirazione, Om è cantato mentalmente (meglio sarebbe dire "posto mentalmente") in ciascuno dei primi cinque Chakra. Durante la pausa, Om è cantato nel midollo allungato, nel punto tra le sopracciglia e di nuovo nel midollo. Durante l'espirazione, ritornando al Muladhara, Om è cantato mentalmente in ciascuno dei Chakra come "toccandolo" dolcemente da dietro. Quindi l'energia è visualizzata fluire lungo la parte posteriore della colonna spinale. Quello che è importante è portare avanti una continua volontà di ascoltare internamente. L'attenzione è focalizzata sui suoni sottili che provengono dall’interno e non sui suoni udibili che provengono dall’esterno. La consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi. Le proprie capacità di ascolto miglioreranno e la sensibilità ai suoni aumenterà. Ogni canto mentale delle sillaba Om dovrebbe essere permeato dalla tua volontà di inseguire l'eco che questo suono lascia nella nostra mente. La procedura è ripetuta almeno 24 volte.

I suoni interiori, rivelano l'attività dei Chakra. Essi afferrano la consapevolezza del kriyaban e la conducono in profondità senza alcun pericolo che si perda per strada. Essi non sono suoni fisici: non hanno niente a che vedere coi suoni tipici del Kriya Pranayama prodotti dall'aria che si muove in giù dal retro della gola nella trachea e viceversa. Essi appaiono in forme diverse: calabrone, flauto, arpa, tamburo, ronzio come di un trasformatore elettrico, campana....

L'evento di percepirli non è prodotto dall'intensità di un unico momento di profonda concentrazione, ma dalla accumulazione dello sforzo manifestata durante le precedenti sedute di Kriya (lo sforzo è l'attenzione meticolosa a qualsivoglia suono interiore, non importa quanto debole possa essere). Coloro che non sono capaci di sentire alcun suono interiore, non dovrebbero concludere che qualche cosa non va. Forse hanno fatto un sforzo enorme i cui frutti saranno goduti durante la pratica del giorno successivo. Un segnale che uno si sta muovento verso la direzione corretta è un senso di mite pressione, come una pace liquida sopra o intorno alla testa. Spesso un certo ronzio accompagna questa pressione: non serve chiedersi se questo è il vero suono di Om oppure no.

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Probabilmente è solo un segnale che la vera esperienza si sta avvicinando. Pazienza e la costanza sono richieste. Un giorno uno si sveglia alla realizzazione di star davvero ascoltando un suono di "acqua che scorre."

Il suon di Om è simile al suono di acque che scorrono o a quello di onde che si frangono sugli scogli. L'unico dovere di un kriyaban è l'atto di essere assorbito nel confortante suono di Om. Lahiri Mahasaya descrive questo suono come "prodotto da molte persone che continuano a colpire il disco di una campana." Aggiunge che è continuo" come l'olio che fluisce fuori da un contenitore."

Terza parte del Kriya PranayamaDurante la prima parte del Kriya Pranayama la consapevolezza è nel midollo allungato, durante la seconda parte è focalizzata nella regione occipitale. Impariamo come spostare la consapevolezza si sposta nella parte superiore della testa. Solo quando ti sei stabilito sui 48 respiri Kriya giornalieri, possibilmente quando il Kechari Mudra è raggiunto, potrai affrontare questa terza fase del Kriya Pranayama. Comincia sempre la tua pratica con la prima fase per almeno 12 respiri, poi passa alla seconda finché avrai completato 48 respiri Kriya.

Shambhavi Mudra è solitamente definito come l'atto di concentrarsi sul Bhrumadhya, lo spazio tra le sopracciglia, avvicinando le sopracciglia verso il centro con un lieve corrugamento della fronte. Consideriamo un forma più elevata di Shambhavi Mudra: sebbene le sopracciglia sono chiuse o chiuse a metà, gli occhi guardano verso l’alto il più possibile, come per guardare il soffitto ma senza alcun movimento della testa. La leggera tensione che è percepita nei muscoli legati ai globi oculari gradualmente scompare e la posizione può essere mantenuta abbastanza facilmente. Chi ci osserva può vedere il bianco della cornea sotto l'iride perché molto spesso le palpebre inferiori si rilassano. (Lahiri Mahasaya nel suo ben noto ritratto sta mostrando questo Mudra.) Tramite questa forma evoluta di Shambhavi Mudra, tutto il proprio essere è in cima alla testa. Continua a praticare le istruzioni date nella seconda parte del Kriya Pranayama (canta Om nei punti prescritti) eccetto che il centro della consapevolezza è ora nella parte superiore della testa. Continua finché avrai completato il numero previsto di respiri (60. 72...). Questa pratica è un vero gioiello, rappresenta la quintessenza della bellezza: con essa il tempo vola senza accorgersi e quello che potrebbe sembrare un compito spossante (108 o 144 ripetizioni per esempio) risulta essere facile come un momento di riposo. Noterai come il respiro sia piuttosto lento. Gioirai della bella sensazione di aria fresca che sembra salire attraverso la spina dorsale perforando ciascun Chakra e quella della tiepida aria espirata che permea ciascuna zona del corpo dall'alto in basso. Percepirai questo: non lo produrrai col puro potere dell'immaginazione! L'atteggiamento è apparentemente passivo, in realtà intelligentemente sensibile e quindi attivo. Il suono del respiro è liscio e senza interruzioni come l'olio versato da una bottiglia. La pratica raggiunge il suo massimo potere e sembra avere una vita sua propria. Procedendo in tal modo, a un certo momento avrai l'impressione di attraversare un stato mentale che assomiglia all'addormentarsi, poi riacquistare improvvisamente la piena consapevolezza, scoprendo di star nuotando nella luce

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spirituale. È come quando un aeroplano emerge dalle nubi nel chiaro cielo trasparente.

4. Navi KriyaCon lo stesso metodo descritto nella tecnica Om Japa e senza tentare di controllare il respiro, la consapevolezza sale lungo la spina dorsale. Il Mantra Om (ooong) è posto nei primi cinque Chakra, nel Bindu e nel punto tra le sopracciglia. Poi il mento è abbassato sulla cavità della gola. Le mani sono unite con le dita intrecciate, palme in basso e i polpastrelli dei pollici che si toccano. Om è cantato 75 volte (un calcolo approssimato va benissimo) nell'ombelico sia a voce che mentalmente. I pollici premono leggermente l'ombelico per ciascun Om.

Man mano che si procede con la tecnica, si percepisce che una calma energia si raccoglie nella parte medio bassa dell’addome (la corrente pranica che vi risiede è chiamata Samana). Il mento è poi sollevato senza esercitare troppa forza; tuttavia i muscoli della nuca sono contratti. La concentrazione va prima nel Bindu e poi nel terzo Chakra (muovendosi giù in linea retta, fuori dal corpo). Le dita sono intrecciate dietro, questa volta il palmo delle mani è rivolto verso l’alto, e a ciascun canto del Mantra, i pollici praticano una pressione leggera sulle vertebre lombari. Om è cantato – o con la voce, o mentalmente - approssimativamente 25 volte nel terzo Chakra. Per ciascun Om, i pollici premono leggermente le vertebre lombari. Il respiro non è in alcun modo coordinato con il canto di Om. La posizione normale del mento è poi ripristinata e Om è cantato mentalmente in ordine inverso dal punto tra le sopracciglia al Muladhara. Questo è un Navi Kriya (dura circa 140-160 secondi). Un kriyaban ripete il Navi Kriya quattro volte.

5. Pranayama mentalePer entrare il più facilmente possibile in una perfetta immobilità fisica e mentale si fanno tre respiri profondi, ciascuno che termina con un’espirazione veloce e completa come un sospiro. La spina dorsale è immaginata come un tubo lungo il quale la consapevolezza sale e scende, fermandosi in ciascun centro spinale. La sillaba Om (ooong) può essere cantata mentalmente in ciascun Chakra. Comunque talvolta è preferibile limitarsi a porre tutta la propria attenzione in ciascun Chakra incominciando col primo, poi dopo circa 10-20 secondi passare al secondo, terzo … e così via.

I Chakra sono come dei nodi che possono essere sciolti "toccandoli" con la concentrazione; il segreto è di mantenere la consapevolezza in ciascuno di essi fino a percepire una particolare sensazione di dolcezza, come se quel Chakra si stesse "sciogliendo". Completata la salita al Bindu, incomincia la discesa soffermandosi in ciascun Chakra. Oltre alla sensazione di qualcosa che si scioglie, si può anche percepire la sottile irradiazione che si origina da ciascun Chakra e che è rivolta verso il corpo. Questo è solo un fatto di pura consapevolezza, un naturale sentire che conduce alla realizzazione che i Chakra sostengono la vitalità di ciascuna parte del corpo. Talvolta, si percepisce una luce nella parte superiore della testa ed il kriyaban continua a concentrarsi per molto

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tempo su di essa senza provare alcuna fatica.Il processo di salire e scendere attraverso i Chakra è portato avanti fintanto che è agevole. (Un giro completo dura 2-4 minuti.) Questa è la parte più bella della routine. Un kriyaban non ha la sensazione di star praticando una particolare tecnica, ma gioisce di momenti di dolce rilassamento. Questo è il momento in cui un profondo silenzio mentale si stabilisce nella coscienza e nel corpo. Tranquillità, "Sthir Tattwa" (Prana calmo, statico) è sperimentato nel settimo Chakra. Lahiri Mahasaya chiamò questo stato Paravastha or Kriyar Paravastha – "lo stato che si manifesta dopo la azione del Kriya". Se, per mezzo del puro potere della volontà, tale stato fosse richiamato alla consapevolezza il più possibile, in mezzo alle attività della giornata, i risultati sarebbero straordinari. NotaAlcuni non comprendono la sottile differenza tra Om Japa e il Pranayama mentale. Praticare Om Japa, prima del Kriya Pranayama, serve a stimolare fortemente ciascun Chakra. Ci si ferma in ciascun Chakra per pochi istanti, giusto il tempo di farvi vibrare il Mantra.

Nel Pranayama mentale uno assume un atteggiamento più passivo, predisposto più a percepire che a stimolare; le pause sono molto più lunghe. Quando la consapevolezza si ferma per almeno mezzo minuto su ciascuno di essi, la percezione di una sensazione dolce e piacevole è quasi immediata. Dei suoni interiori così come dei colori che provengono dalle loro sedi approfondisce il contatto con la dimensione Omkar.

In alcune scuole di Yoga si consiglia di visualizzare il loro colore specifico (rosso, arancio, giallo… come la sequenza dei colori dell’arcobaleno). Possono anche essere visualizzati come dei loti, ciascuno con un particolare numero di petali con una lettera dell'alfabeto Sanscrito su ogni petalo. Un kriyaban non ha bisogno di tutto ciò per percepire la realtà dei Chakra. Col tempo un kriyaban ottiene l’abilità di distinguere le diverse frequenze vibratorie di ciascun Chakra, la qualcosa ha un valore decisivo nel raggiungere la meta finale del Kriya.

6. Maha MudraSi incomincia piegando la gamba sinistra sotto il corpo in modo tale che il tallone sinistro sia il più possibile vicino al perineo, con la gamba destra estesa in avanti. La posizione ideale (anche se non necessaria) è quando il tallone sinistro esercita una pressione sul perineo. Questa pressione è il modo migliore per stimolare la consapevolezza del Muladhara Chakra nella regione coccigea alla base della spina dorsale. Per mezzo di una profonda inspirazione l’energia è sollevata attraverso il tubo cerebrospinale nel centro della testa (Ajna Chakra). Questa è una sensazione semplice e facile da ottenere, non c’è bisogno di renderla troppo complicata.

Trattenendo il respiro, ci si piega in avanti (in maniera molto rilassata) in modo che le mani intrecciate riescano ad afferrare il pollice del piede esteso e serrarsi attorno ad esso. In questa posizione estesa il mento è premuto sul petto in modo naturale. Continuando a trattenere il respiro, si canta mentalmente Om 2 nel 2 Il Mantra non dovrebbe essere pronunciato: "ommm" ma "ooooong", in altre parole una "o" abbastanza lunga che finisce in una "n" nasale. In questa procedura "Om" è una pura vocale. Quando si pronunciano i Mantra indiani - Om namo

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punto tra le sopracciglia da 6 a 12 volte. Ancora trattenendo il respiro, si ritorna alla posizione iniziale e con una lunga espirazione, si visualizza l'energia tiepida che scende alla base della spina dorsale. L’intera procedura è ripetuta nella posizione simmetrica, col tallone della gamba destra vicino al perineo e la gamba sinistra estesa frontalmente. La procedura è ripetuta un’altra volta ancora, tenendo ambo le gambe estese e questo completa un ciclo di Maha Mudra. Questo ciclo di tre movimenti (che richiede circa 60-80 secondi) è ripetuto due volte ancora per un totale di nove estensioni.

Alcune scuole insegnano, durante l’inspirazione, ad avvicinare il ginocchio della gamba che sta per essere allungata (o entrambi i ginocchi, prima del terzo movimento) al corpo, cosicché la parte superiore della gamba è il più possibile vicina al petto. Le mani, con le dita intrecciate, sono poste attorno al ginocchio ed esercitano pressione su di esso. Si spiega che questo serve a raddrizzare la schiena e a far sì che il suono interno del Chakra Anahata divenga udibile.

Questo Mudra deve riuscire facilmente, uno non deve farsi male! Per quanto riguarda la distensione in avanti, la maggior parte dei kriyaban non è capace di raggiungere tale posizione senza farsi male alla schiena o al ginocchio. Essi non dovrebbero, per alcuna ragione, tenere la gamba diritta, ma piegarla un po’ al ginocchio nel modo più opportuno! Nella posizione estesa, trattenendo il respiro, si mantiene una contrazione muscolare alla base della spina dorsale mentre i muscoli addominali sono leggermente tirati in dentro in modo che l'ombelico è premuto verso il centro lombare.

Come abbiamo visto, nella posizione estesa, l’alluce è afferrato con fermezza. Alcune scuole ritengono che questo dettaglio sia particolarmente importante. Esse spiegano che ripetendo questa azione su ciascuna gamba l'equilibrio tra i due canali di Ida e Pingala è rafforzato. Una variante è la seguente: l’unghia dell’alluce è premuta col pollice della mano destra mentre l’indice e il dito medio sono dietro di esso e la mano sinistra tiene a mo’ di coppa la pianta del piede. Quando la procedura è ripetuta con entrambe le gambe estese, le mani allacciate afferrano entrambi i pollici. (Una variante è che i pollici di ciascuna mano premono le unghie rispettive degli alluci mentre indice e medio tengono l’alluce da dietro.)

Il Maha Mudra contiene tutti i tre Bandha.3 Applicati simultaneamente con il corpo piegato in avanti, senza usare una eccessiva contrazione, essi aiutano ad essere consapevoli di entrambe le estremità del Sushumna e producono la sensazione di una corrente energetica che si muove in alto nella spina dorsale. Col tempo uno percepirà l'intera Sushumna come un canale raggiante.

bhagavate…, Om namah Shivaya…- la consonante "m" in "Om" è pronunciata, qui invece non si sente poiché la "o" è molto lunga e, sul finire della pronuncia di detta vocale, la bocca non è chiusa completamente, creando così il suono nasale "ng".

3 Abbiamo dato la definizione di Bandha nel capitolo 1

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7. Pranayama col respiro breveIl Pranayama col respiro breve è basati sul lasciare il respiro muoversi liberamente, sull'osservalo, sull'essere coscienti di ogni movimento di esso -- pause comprese -- e coordinare con esso il movimento dell'energia dal Muladhara a ciascun Chakra e viceversa. Questo fatto invita l'energia a muoversi liberamente verso l'alto attraverso il Sushumna e verso il basso in ciascuna parte del corpo. Questa azione completa il Maha Mudra e prepara allo Yoni Mudra.

Dopo avere tratto tre profondi respiri, ciascuno che finisce con una espirazione veloce e completa come un sospiro, il tuo respiro dovrebbe essere calmo. Se poni il tuo dito sotto entrambe le narici, il respiro che entra ed esce toccherà appena il dito. Questo è un segnale che il respiro è interiorizzato come nel Kriya Yoga dovrebbe essere. Pratica il seguente esercizio e ripeti il test alla fine. Sentirai una notevole differenza.

Concentra l'attenzione sul Muladhara Chakra. Quando diventa naturale fare una inspirazione, fallo quel poco che serve tanto velocemente come l'istinto vuole (circa un secondo), fermati un istante nel secondo Chakra. Quando ti viene naturale espirare, espira, fermati nel Muladhara. Quando ti viene naturale inspirare, inspira, fermati nel terzo Chakra. Quando ti viene naturale espirare, espira, fermati nel Muladhara.

Continua in tal modo, ripeti la procedura tra il Muladhara e il quarto Chakra, Muladhara e il quinto Chakra (poi Bindu, midollo allungato, quinto, quarto, terzo e secondo Chakra). Un ciclo è fatto di 10 respiri brevi. Ripeti più di un ciclo, finché percepisci molto intensamente che il tuo respiro è molto calmo -- quasi impercettibile.

8. Yoni MudraLa notte, prima di andare a letto, inizia la pratica calmando l’intero sistema psicofisico con una breve routine Kriya (alcuni respiri Kriya Pranayama come pure una breve pratica di Navi Kriya). Dopodiché con una profonda inspirazione solleva l’energia nella parte centrale della testa. Se sei capace di praticare il Kechari Mudra, premi fermamente la lingua sul punto più alto all’interno della faringe nasale - altrimenti lascia che la lingua stia nella sua normale posizione. Chiudi le "aperture" della testa - gli orecchi con i pollici, le palpebre con gli indici, le narici con i medi, le labbra con l’anulare e il mignolo - in modo che tutta l'energia "illumini" il punto tra le sopracciglia. Durante tutta la pratica, i gomiti sono paralleli al suolo e puntano verso l'esterno. Si può usare un sostegno, se necessario in modo che essi non scendano. Durante questa speciale azione di osservare la luce, gli indici non devono premere sugli occhi, nel modo più assoluto - questo è dannoso e, in ogni caso, di nessuna utilità! Se un kriyaban, per qualsiasi motivo, non si trova a proprio agio a causa della pressione esercitata dalle dita sulle palpebre, le tira in giù con gli indici e applica pressione sugli angoli degli occhi – o sulla parte superiore degli zigomi.

Trattenendo il respiro e ripetendo mentalmente diverse volte Om (Ooong), osserva la luce dell’"occhio spirituale" che va raccogliendosi ed aumentando di

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intensità. La luce si condensa in un anello dorato. Il respiro è trattenuto finché ciò è confortevole, finché la necessità di espirare richiama l'attenzione. Espira, scendendo con la consapevolezza lungo la spina dorsale. Yoni Mudra è eseguito, normalmente, una volta sola.

Inspirare profondamente e poi trattenere il respiro causa un senso di disagio dopo pochi secondi. Ecco un piccolo suggerimento su come diminuire il disagio e rendere possibile l'approfondimento della pratica. Alla fine di una moderata inspirazione (non la tipica del Kriya Pranayama, ma una molto breve), si chiudono fermamente tutte le aperture della testa tranne le narici, si lascia uscire una piccola quantità di aria, poi immediatamente si chiudono le narici. Si rilassano i muscoli del torace come se si volesse incominciare una nuova inspirazione: ciò dà la sensazione che il respiro sia divenuto calmo nella zona che va dalla gola al punto tra le sopracciglia. In questa situazione, la concentrazione sul punto tra le sopracciglia e la ripetizione di Om per diverse volte, può essere portata avanti e goduta al meglio. L'istruzione tradizionale è aumentare il numero delle ripetizioni di Om di una al giorno, fino ad un massimo di 200. Naturalmente, il forzare deve sempre essere evitato.

Indicazioni sulla routineLa routine completa che abbiamo già implicitamente dato numerando le tecniche dall'1. al 8: Talabya Kriya • Om Japa • Kriya Pranayama • Navi Kriya • Pranayama mentale • Maha Mudra • Pranayama col respiro breve• Yoni Mudra, non è un routine che funziona per tutti. Un kriyaban esperto è capace di usare il Maha Mudra subito dopo il Pranayama mentale, seguito dal Pranayama col respiro breve per entrare nello stato di assenza di respiro. Un principiante invece potrebbe ricevere solo disagio dall'interrompere il Pranayama mentale.

È naturale utilizzare il Maha Mudra ed il Navi Kriya come tecniche preliminari ed evitare, dopo il Kriya Pranayama, tecniche che richiedono movimento. Ecco due esempi di routine semplici ed estremamente godibili:

• Maha Mudra • Navi Kriya • Yoni Mudra • Talabya Kriya • Kriya Pranayama • Pranayama mentale

oppure

• Talabya Kriya • Maha Mudra • Navi Kriya • Kriya Pranayama • Pranayama mentale + Yoni Mudra di notte

Alcuni insegnanti affermano che durante il giorno non si dovrebbe praticare lo Yoni Mudra. In realtà si può benissimo! Comunque, la tecnica è praticata al meglio nella calma profonda della notte, in un rilassamento perfetto e totale. Yoni Mudra di notte può essere sperimentato nel seguente modo: dopo aver calmato i pensieri e rilassato il corpo con alcuni respiri profondi, si pratica il Maha Mudra. Poi ci si gode il Pranayama col respiro breve il più a lungo possibile, infine lo Yoni Mudra. Poi si rimane con la concentrazione nel punto tra le sopracciglia cercando di percepire la luce del Kutastha. Lo Yoni Mudra genera una tale concentrazione di energia nel punto tra le sopracciglia

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che cambia in meglio la qualità del sonno che segue. In altre parole, dopo aver attraversato gli strati del subconscio, la coscienza riesce a toccare il cosiddetto stato "supercosciente."

All'inizio, il Kriya Pranayama è praticato 12-24 volte, quindi solo la prima e la seconda fase. In certe occasioni (per esempio durante una meditazione più lunga una volta alla settimana) si possono aggiungere più ripetizioni; in quella occasione è bello sperimentare anche la terza parte del Kriya Pranayama.

I momenti ideali per la pratica del Kriya sono prima della colazione, prima del pranzo a mezzogiorno, pomeriggio tardi prima della cena, e di notte almeno 2-3 ore dopo aver mangiato.

Che non ti venga l'idea di praticare soltanto la terza parte del Kriya Pranayama! Una routine che sia basata totalmente su una forte concentrazione sul Sahasrara non è adatta per studenti principianti o di medio livello. Costruire un forte magnete nel Sahasrara attraverso la terza parte di Kriya Pranayama è il modo più potente di stimolare il risveglio di Kundalini. Questo implica che molto materiale dalla mente subcosciente è portato alla superficie. (Vedi anche la discussione nel Capitolo 9.) Potresti sperimentare tutta una gamma di stati d'animo negativi che vanno da una marcata alienazione dalla realtà ad un attacco di panico.

Non dimenticare mai di dare la massima importanza alla fase distensiva e confortante del Pranayama mentale. Una routine di Kriya che non termina con il Pranayama mentale è come un complesso musicale che abbia accordato gli strumenti e poi abbandoni il palcoscenico! È la fase che porta tutti ad unificarsi in armonia; le increspature nel lago della mente si placano, la consapevolezza diviene trasparente, e la Realtà Ultima è rivelata. È una calma diffusa; la mente è placata ed in silenzio e guadagna l'energia necessaria per essere più acuta e vigile. È come una spirale, che gradualmente e sistematicamente si prende cura di tutti i livelli dell'essere: è un processo di guarigione. Il suo valore si manifesta durante i momenti difficili della vita quando dobbiamo prendere una importante decisione. Si ha l'impressione che nulla possa interferire e che anche le più grandi difficoltà si dissolvano. Entro la perfetta trasparenza di un ordine interiore, tutti i problemi sono risolti. Si nasce al Kriya proprio per mezzo di tale dolce pratica: essa ti proietta in un vero paradiso e la sua bellezza trabocca e inonda la vita.

".... è difficile restare arrabbiati, quando c'è tanta bellezza nel mondo. Talvolta mi sembra di vederla tutta in una volta, ed è troppo, il mio cuore si riempie come un pallone che sta per scoppiare... e poi mi ricordo di rilassarmi, e cesso di tentare di trattenerla, e allora fluisce attraverso di me come pioggia. E non posso che sentire gratitudine per ogni solo momento della mia piccola stupida vita. (American Beauty, film; 1999) "

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CAPITOLO 7ALTRE INFORMAZIONI SUL PRIMO KRIYA

Rimanendo nel campo delle tecniche del Primo Kriya, discuteremo ora alcuni ulteriori sviluppi nella teoria e nella pratica del Kriya. Questo capitolo è dedicato a quei studenti che hanno dato prova di impegno appassionato nella loro pratica del Kriya. Il momento giusto per studiare questo capitolo è dopo aver praticato il Kriya Yoga quotidianamente per almeno 3-6 mesi. Quotidianamente significa una volta al giorno -- una lunga seduta quando è comodo, in qualunque momento del giorno, più la pratica dello Yoni Mudra di notte, prima di dormire.

Quando coloro che sono stati iniziati al Kriya applicano per mesi le istruzioni condivise nel capitolo precedente, ci sono alcuni risultati che cominciano a farsi notare. Capire da un punto di vista teorico cosa succede è utile a non ostacolare questo processo, anzi a guidarlo saggiamente verso il fine agognato.

A_TEORIA

Il Kriya Yoga Vijnan, di Swami Nityananda Giri contiene una visione teorica concisa e che prede dentro tutti gli aspetti del Kriya Yoga. 4 La maggior parte dei libri sul Kriya contiene una retorica tediosa, ripetizioni innumerevoli, il tutto immerso in inutili riferimenti ad astruse teorie filosofiche - ci sono uno o due righe interessanti, mentre il resto è da buttare. Ma nel libro citato ci sono alcune pagine che sono un vero tesoro. Preziose sono le idee in esso contenute per ispirare la pratica personale.

Due altri importanti scritti sono: Kriya Quotes from Swami Satyananda (2004) e Light of Kriya Yoga (2008) di Sri Sailendra Bejoy Dasgupta. Il primo contiene alcune note prese da una conversazione con Swami Satyananda Giri, un discepolo di Sri Yukteswar; la visione è molto razionale e convincente. Il secondo è un documento scritto da Sri Sailendra Bejoy Dasgupta, un altro discepolo di Sri Yukteswar. Proviamo a riassumere come i tre autori concepiscono le quattro fasi del Kriya Yoga. Secondo Swami Nityananda Giri la prima fase del Kriya è incarnata in un evento che avviene durante l'esecuzione del Kriya Pranayama. Dopo l'inspirazione e dopo l'espirazione, si gioisce di alcuni istanti di Quiete sperimentati alle due estremità della corda spinale. Durante questi intervalli, Prana ed Apana si immergono l'una nell'altra.

Sappiamo che l'energia Apana è sollevata dalla base della spina dorsale fino ai Chakra superiori mentre l’energia Prana ["Prana" qui indica solo quella particolare energia che si trova nella regione del torace] è fatta scendere fino alla base della spina dorsale. Una sottile alchimia avviene continuamente entro il

4 L'opera apparve in rete per alcuni mesi e poi fu tolta. Ora la potete acquistare da www.sivabooks.come. Ho recentemente notato che il filo delle stesse idee si trova anche in: Kriya Yoga: Its mystery and performing art, di Swami Sadhananda Giri ( West Bengal: Jujersa Yogashram, 1998).

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Kriya Pranayama. Durante l'inspirazione, mente e Apana salgono verso Ajna attraverso la colonna spinale. Poi, quando, come è naturale, l'aria tenderebbe ad uscire attraverso il naso, un atto di volontà la dirige in giù entro la spina dorsale. Apana (accumulatasi nell'aria inspirata) è immersa (sacrificata) nel Prana (che si trova nella parte alta del torace). Sia Prana che Apana sono trascinate in basso. Quando il respiro e la consapevolezza raggiungono il Muladhara e una nuova inspirazione sta cominciando, è naturale che una certa quantità di aria fresca, ricaricata di Prana, cerchi di entrare attraverso il naso: un atto di volontà la dirige alla base della colonna spinale, facendo sì che essa salga entro la spina dorsale. Una nuova quantità di Prana è così immerso (sacrificato) in Apana (che ha la sua sede nella parte bassa della spina dorsale). Entrambi, Prana e Apana, sono guidati verso l'alto. Ripetendo questo processo, Prana divora Apana e viceversa Prana scompare in Apana. In tali istanti un kriyaban ha idea dello stato di Stabilità che verrà espanso nelle fasi successive del Kriya.

La seconda fase del Kriya è identificata con la pratica dell'Omkar Kriya dove viene introdotto il Mantra di Vasudeva: "Om Namo Bhagavate Vasudevaya". La consapevolezza dei Chakra è intensificata e quindi la mente incontra la Stabilità presso la sede di ciascun Chakra. Questo fatto è decisivo per la percezione del Suono interiore e della Luce spirituale.

La terza fase (Thokar Kriya) permette ad un kriyaban di percepire e divenire uno con l'elemento "aria" (il quarto dei cinque Tattwas) la cui sede è il quarto Chakra. I Tattwa (Sanscrito) sono i cinque elementi: terra, acqua, fuoco, aria ed etere (spazio). Questa è una teoria filosofica che afferma che tutto nell'universo può essere suddiviso in cinque energie primarie. Per un kriyaban la teoria dei Tattwa non costituisce un tema di inutile speculazione. Essi sono concepiti come una concreta successione di stati di coscienza, la cui intima essenza viene da noi sperimentata nel nostro ultimo viaggio verso la Coscienza Assoluta. Ora, entrare in sintonia con il Tattwa dell'aria, significa entrare in uno stato sublime: la frequenza cardiaca rallenta, il respiro sembra scomparire mentre la consapevolezza del Suono e della Luce Divina vengono intensificate enormemente.

La quarta fase (Dhyana Kriya) si basa sul muovere la mente su e giù lungo la spina dorsale rimanendo però nello stato di Kevala Kumbhaka (assenza di respiro senza sforzo). Ciò permette di sperimentare i cinque Tattwa. Lo stato elevato ottenuto nel Chakra del cuore per mezzo della pratica del Thokar è ora ricreato in ciascun Chakra. Ed è proprio questa procedura finale che frantuma l'ultimo guscio di illusione.

Lievemente diversa ma non in contraddizione con la precedente, è la concezione di Swami Satyananda Giri. Le quattro fasi sono1. sollevare la lingua2. attraversare il nodo del centro dorsale3. attraversare il nodo dell'ombelico 4. attraversare il nodo del centro del coccige.Questo "Viaggio verso il Basso" è la principale caratteristica del Kriya Yoga e si dice che segua l' "Ordine pre-inverso".

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Cosa significa: "Ordine pre-inverso"? Dal momento del nostro concepimento, Kundalini cominciò un lento viaggio di discesa partendo dalle cellule che formano il nostro cervello e midollo allungato nelle cellule della nostra nuova spina dorsale, dimorando infine nel Muladhara. Nel risveglio di Kundalini, la direzione del flusso è inverso al cammino precedente. Perciò il "Viaggio verso il Basso" in quattro passi del Kriya che è la preparazione al risveglio di Kundalini si dice che segue un "Ordine pre-inverso".

Sollevare la lingua si compie con l'aiuto del Kechari Mudra. In tal modo il Kriya Pranayama verrà continuamente perfezionato. Attraversare il nodo del centro dorsale si compie con il Pranava -- il suono Omkar. Swami Satyananda Giri spiega che se durante il Kriya Pranayama, uno non si focalizza sui sei Chakra nella spina dorsale e pratica il Japa in ciascuno di essi, fa solo un banale esercizio di respirazione, sedendo e pensando a varie cose. Il risultato è "tamasico." Se durante il Kriya la coscienza non si perde in distrazioni, e nessuno errore è fatto nel cantare Om in ciascun Chakra, allora la pace si stabilirà da sola nella mente. Senza Om, il Kriya è privo di sostanza. Swami Satyananda Giri mostra che i Kriya superiori sono stati concepiti per raggiungere gradualmente il più alto livello di sintonia con Omkar. Molto suggestivamente, spiega che è il flusso spontaneo di gioia che emana dal suono di Om che rappresenta l'anelito del kriyaban. La realizzazione del suono interno Pranava è l'essenza della seconda fase del Kriya. Utilizzando le sillabe del ben noto Vasudeva Mantra insieme alla pratica di fare un breve Kumbhaka in ciascun Chakra (Omkar Kriya), viene sperimentato un profondo suono che assomiglia al lungo riverbero di una campana.

Poi viene data l'istruzione di applicare una particolare pressione o colpo sull'Anahata Chakra. Questa tecnica (Thokar Kriya) ha due livelli. Col primo livello, esperienze di felicità, dolore, pace ecc. sono sentire emanare dal Chakra del cuore, pervadendo l'area del torace e stabilendo pace illimitata nella mente. Il secondo livello del Thokar Kriya consiste nell'applicare un colpo fisico e mentale tante tante volte nell'area di cuore. Lo stato senza respiro è raggiunto perché il respiro è dominato dal plesso nervoso del cuore. L'autore fa notare che sembra difficile o impossibile ruotare 200 volte la testa senza interrompere il trattenimento. Spiega che il segreto è cominciare con 12 rotazioni ed aumentare di una al giorno. Con questa procedura livelli molto profondi di Suono Omkar sono rivelati. Ma assai importante è l'esperienza della Luce Spirituale. Nella quiete del testimoniare quella Luce, la porta del Sushumna è aperta. Questo significa che questa Luce è anche rivelata presso l'ubicazione dei diversi Chakra, nel punto tra le sopracciglia e nel Sahasrara.

La terza fase, attraversare il nodo dell'ombelico, si compie con il Navi Kriya. Nella visione di Swami Satyananda, sembra, che tutto sia già avvenuto durante la seconda fase. Avendo attraversato il nodo di cuore, Sthir Vayu (respiro tranquillo) si muove verso il prossimo centro: il lombare. La pratica del Terzo Kriya è insegnata per guidare la vibrazione di Pranava in giù attraverso la spina dorsale verso il Muladhara. Questo concorda con la definizione di Navi Kriya che, come è ben noto, non è fatta di sola concentrazione sull'ombelico e sul Chakra lombare ma anche dal fatto di porre mentalmente Om in ogni Chakra su

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e giù attraverso la spina dorsale mentre il respiro è libero e si calma sempre di più.

La quarta fase, attraversare il nodo del coccige, si compie con la piena esperienza dell'aspetto luce di Omkar. Per spiegare come il nodo del Muladhara vien spezzato e Kundalini risvegliata, l'autore parte da un fatto preciso. Per mezzo del Thokar, abbiamo percepito la luce interna nel Chakra del cuore e compreso che questa luce splende anche nel Kutastha. Dopo la terza fase incontriamo la rivelazione della Vera e Tranquilla Luce nella forma di un "Bindu": un punto. Pur apparendo nel Chakra del cuore, essa diviene la piccola stella bianca nel punto tra le sopracciglia che illumina il Percorso verso la Libertà Eterna. L'autore spiega che dopo aver sollevato il Prana nel Kutastha, un kriyaban vi pratica una particolare forma di Japa. Il Prana deve rimanere sempre nel Kutastha. Se scende sotto la gola, deve essere sollevato di nuovo.

Abbastanza simile è la concezione di Sri Sailendra Bejoy Dasgupta. Le prime due fasi sono definite nella stessa maniera. La terza fase invece di essere definita come "attraversare il nodo dell'ombelico" è qui identificata con il prodotto del Thokar utilizzato nella seconda fase e chiamata Omkar Kriya. Egli spiega che il suono di Omkar appare come il suono di una moltitudine di api, che si raffina gradualmente in una nota come quella di un flauto e poi di un tuono. Con questa rivelazione, il kriyaban percepisce luci diverse ad ogni centro in Sushumna. Spiega che un kriyaban si sforza di rimanere continuamente immerso nel sacro suono di Omkar. Questo costituisce il percorso reale al successo nella disciplina del Kriya. Non ci sono informazioni sulla quarta fase del Kriya, salvo il fatto che essa è un raffinamento delle procedure Omkar e Thokar.

L'autore conclude dicendo che dopo avere completato il numero richiesto di Kriya, colui che pratica deve rimanere seduto in quiete, assorbito nello "Stato di Equilibrio." La mente deve gradualmente essere separata da tutti i pensieri, immergendosi alla fine nel Nirvikalpa Samadhi. Spiega anche che una volta che il Quarto Kriya è stato padroneggiato, il kriyaban non ha più bisogno di alcuna guida. Egli intuisce i processi del Quinto, Sesto e altri Kriya superiori per rimanere continuamente immerso nella Tranquillità Eterna.

Schema Adottato in questo Libro

Prima Fase: Attraversare il Nodo della Lingua (Jihuah -- o Jihva -- Granthi Bheda) Il "nodo" della lingua consiste nel fatto fisiologico che la nostra lingua non riesce normalmente a toccare l'ugola e certi centri nella faringe nasale. Noi siamo tenuti scollegati dalla riserva di energia della regione del Sahasrara. Il Kechari Mudra elimina tale frattura tra il cervello e il corpo e fa sì che l'energia circoli (in un modo chiaramente percettibile) entro il corpo. Esso chiude il circuito della spina dorsale. Il nettare (amrit) scende giù passando attraverso la lingua, nel corpo e nella spina dorsale. Il viaggio del Prana calmo dal Sahasrara verso il Muladhara, aprendo via via ciascun nodo e dissolvendo tutti gli ostacoli, è

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incominciato. Attraversare il nodo della lingua non si ottiene col solo Kechari Mudra

vero e proprio. Avviene anche quando la punta della lingua è semplicemente volta indietro a toccare la parte media del palato superiore nel punto dove il palato duro diventa molle. Si ottiene anche col Talabya Kriya dove la lingua è orizzontale, attaccata al palato e il frenulo teso. Si ottiene anche con alcune altre tecniche Kriya, specialmente quelle previste dalla terza e quarta fase del Kriya Yoga.

Seconda Fase: Attraversare il Nodo del Cuore (Hridaya Granthi Bheda) Questa fase comprende le seguenti parti: I. Risvegliare la percezione Omkar. Questo avviene principalmente durante la seconda parte del Kriya Pranayama e durante l'Omkar Kriya -- che è essenzialmente una variante del Kriya Pranayama. È favorito anche da tante altre pratiche come Navi Kriya, Maha Mudra, Pranayama col respiro breve e Yoni Mudra. Avviene anche per mezzo del costante ascolto del suono simile al flauto del respiro durante il Kriya Pranayama col Kechari Mudra. II. Intensificare l'esperienza Omkar con una forte stimolazione del Chakra del cuore. Questo avviene per mezzo del Thokar Kriya (livello base); la consapevolezza di un distante, lungo rintocco di campana riempie la coscienza. La stessa procedura è intensificata con la pratica evoluta del Thokar; gli intervalli di Kumbhaka sono gradualmente estesi. Appare un particolare stato dove il più alto livello di sintonia con Omkar diviene possibile.

Terza Fase: Attraversare il Nodo dell'Ombelico (Terzo Chakra) (Nabhi Granthi Bheda)Questa fase comprende le parti seguenti: I. Attraversare il nodo dell'ombelico per mezzo dell'azione del Navi Kriya. Ciò avviene con l'unione delle correnti di Prana e Apana nella regione dell'ombelico dopo essere state attivate ed equilibrate per mezzo del Kriya Pranayama.II. Distribuire il Prana statico a tutti i Chakra, dal Sahasrara al Muladhara.III. Approfondire la pratica precedente, ottenendo, quando il tempo è maturo, lo stato di assenza di respiro.

Alcuni mistici hanno osservato come il processo di Samadhi comincia nel centro dell'ombelico; in realtà essi intendono riferirsi al centro Dantian. Certa letteratura Yoga identifica l'attraversare il nodo dell'ombelico con l'apertura del Chakra Manipura ma questo non è corretto. Attraversare il nodo dell'ombelico significa raggiungere con la consapevolezza il centro Dantian. Tale centro, introdotto dalla Alchimia Interiore taoista non è solo una ipotesi teorica ma un realtà tangibile. Si spiega che stabilirsi in questa zona significa essere nati alla vita spirituale. Esso è localizzato circa otto centimetri sotto l'ombelico e circa quattro centimetri all'interno: può essere visualizzato come una sfera di circa quattro centimetri di diametro.

Si spiega inoltre che noi abbiamo tre Dantian. Quello appena descritto

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nell'addome è chiamato Dantian inferiore, il successivo è nella regione del cuore (Dantian mediano) e infine un terzo (Dantian superiore) si trova nella regione tra le sopracciglia. Pacificare il Prana in questi precisi luoghi è proprio il nucleo dell’azione del Kriya.

Il Dantian inferiore o "Campo di cinabro" è il luogo dove le energie sessuali, dell’amore e quelle spirituali sono raccolte e fuse insieme. Esso contiene la nostra peculiare vibrazione, la "nota" che incarna la nostra volontà di vivere nel corpo fisico. Stabilirsi in questa zona, vuole dire nascere alla vita spirituale. Questo evento è designato con espressioni come: la "Coltivazione dell'embrione spirituale" o dell'"elisir dell'immortalità"; "Ritornare al centro"; "La nascita del fiore d'oro"; "La creazione della perla lucente."

Approfondendo la pratica del Navi Kriya, la vibrazione che è creata nel Dantian ascende spontaneamente nella regione del cuore. Essa illumina lo spazio del cuore (il Dan Tien mediano) e rivela la propria natura fondamentale. Là si manifesta la "vera serenità". La natura del respiro muta, ne viene una grande immobilità sui piani mentale, energetico e fisico. L'esperienza Omkar nell'aspetto di luce interiore si manifesta -- questo dettaglio sarà decisivo nell'attraversare il nodo del Muladhara. La caratteristica distintiva del padroneggiamento della terza fase è l'arresto del respiro. Tale stato è detto "Bahir (esterno) Kevala Kumbhaka" -- assenza di respiro senza sforzo con l'aria fuori dai polmoni.

Quarta fase: Attraversare il Nodo Basale e il Nodo di Rudra (Muladhara Granthi Bheda)Questa fase comprende le parti seguenti: I. Attraversare il nodo del Muladhara invitando Kundalini ad entrare nel Sushumna. Questo avviene passando dal Bahir (esterno) Kevala Kumbhaka ad Antar (interno) Kevala Kumbhaka. II. Perfezionare il Pranayama fino a sperimentarlo nello stato di assenza di respiro. Questa è la più alta forma di Kriya Pranayama. L'energia si muove da sola in un grande circolo. Questo grande evento incarna la fase finale del sentiero spirituale. P.Y. lo descrive con queste parole: "... la corrente si muoverà automaticamente e la gioia provata sarà indescrivibile." L'Alchimia Interiore Taoista accenna a questo grande evento come un fenomeno spontaneo di circolazione di energia nel corpo (l'Orbita Macrocosmica) che ha enormi implicazioni psicologiche. III. Attraversare il nodo di Rudra (il punto tra le sopracciglia.) Questo avviene per mezzo dello Yoni Mudra e della tecnica del Quarto Kriya, che è detta Omkar Gayatri Kriya. Questo processo è anche chiamato la fase Dhyana ovvero meditativa del Kriya Yoga. Ripetendo questa procedura si entra nello stato di Samadhi ma per pochi istanti. Il risultato finale avviene dopo anni di impegno serio. La liberazione finale (moksha) non è infatti ottenuta in un solo giorno. Durante l'epoca della nostra vita quando siamo occupati con questa procedura, accadranno molte esperienze splendide e gli ultimi ostacoli interni saranno superati uno dopo l'altro.

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Scopo di ciascuna fase Pratiche Kriya superiori

FASE 1Attraversare il nodo della lingua

■ Kechari Mudra (sia forma semplificata che forma completa). Talabya Kriya■ Kriya Pranayama (prima e terza parte)

Uso del Mantra e del Micro Thokar sulla corona e sui sottili centri della testa (vedi Terzo & Quarto Kriya)

FASE 2 1.Attraversare il nodo del cuore risvegliando la percezione Omkar

■ Kriya Pranayama seconda parte 2° Kriya parte 1: Omkar Kriya

2.Attraversare il nodo del cuore dirigendo il Prana nel quarto Chakra

—————————————2° Kriya parte 2 & 3: Thokar Kriya (livello di base e livello evoluto)

FASE 31.Attraversare il nodo dell'ombelico ■ Navi Kriya —————————————

2.Distribuire il Prana statico a tutti i Chakra, dal Sahasrara al Muladhara

■ Pranayama mentale

3° Kriya parte 1: Omkar Kriya mentale

3° Kriya parte 2: Micro Thokar

3.Approfondire la pratica precedente fino allo stato di assenza di respiro

FASE 4 1.Attraversare il nodo del Muladhara

■ Maha Mudra —————————————

2.Perfezionare il Pranayama fino a sperimentarlo nello stato di assenza di respiro

■ Prendere il Pranayama col respiro breve quale punto di partenza —————————————

3.Attraversare il nodo di Rudra ■ Yoni Mudra 4° Kriya: Omkar Gayatri Kriya

B_KECHARI MUDRA

Prima di prendere in considerazione alcune importanti varianti e sviluppi delle tecniche fondamentali del Primo Kriya, discuteremo nei dettagli come raggiungere il Kechari Mudra.

Dopo mesi di pratica regolare del Talabya Kriya, un kriyaban può ritenere che la situazione sia matura per tentare di raggiungere il Kechari Mudra. La verifica decisiva è controllare se la punta della lingua riesce a toccare l'ugola. Nel caso positivo, allora per alcuni minuti al giorno, la base della lingua è spinta verso l'interno usando le dita finché la punta della lingua va oltre l’ugola e tocca il palato duro sopra essa. Un giorno, rimuovendo le dita, la punta della lingua rimarrà come "intrappolata" in quella posizione. Ciò è possibile in quanto il palato molle (la parte da cui pende l'ugola) è elastico e la punta della lingua riesce ad entrare per un centimetro nella faringe nasale creando come un uncino il quale impedisce che essa scivoli fuori e ritorni nell'usuale posizione rilassata.

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Questo è il momento di svolta. 5

Figura 3. Kechari Mudra

Da allora in poi, sforzandosi ogni giorno di praticare almeno 6-12 Kriya Pranayama con la lingua in questa posizione -- sebbene con qualche inconveniente come per esempio un aumento della salivazione, inghiottire e conseguente interruzione per ripristinare la posizione -- il vero Kechari verrà raggiunto. Dopo circa tre settimane di pratica in questo modo, dovreste riuscire a raggiungere la stessa posizione senza usare le dita. La lingua entrerà completamente nel cavo della faringe nasale nel palato superiore. Nella cavità ci sarà ancora spazio sufficiente per inspirare ed espirare attraverso il naso. Il senso d’irritazione e l’aumento della salivazione saranno superati e da allora la pratica del Kriya Pranayama col Kechari Mudra sarà facile e confortevole.

Ci sono due principali livelli di Kechari Mudra. Dopo alcuni mesi di pratica instancabile dello stadio 1 che abbiamo appena descritto, uno raggiunge lo stadio 2 dove la lingua arriva al punto di confluenza del passaggio nasale entro la cavità del palato. Il tessuto soffice sopra i fori nasali è descritto nella letteratura Kriya come un' "ugola sopra l'ugola". La punta della lingua tocca questa piccola zona e ci rimane "attaccata" facilmente.

La letteratura sul Kriya afferma che la lingua può anche essere spinta più in alto in modo che la sua punta tocchi un centro più elevato nella parte superiore della faringe nasale. Come qualsiasi atlante d’anatomia può mostrare, la lingua, completamente contenuta nella faringe nasale, non può andare oltre. L’affermazione di Lahiri Mahasaya può essere letta in senso simbolico e riguarda il sollevamento dell’energia. In effetti, estendendo la lingua al massimo limite, è possibile sperimentare una grande forza di attrazione verso il punto tra le sopracciglia assieme alla sensazione di aver raggiunto, con la punta della lingua

5 Talabya Kriya e Kechari Mudra sono completamente diversi! (Confronta la figura 3 con la figura 2 nel capitolo 6). Mentre pratichi il primo, aprendo la bocca davanti ad uno specchio, noti le parti cave ai lati del frenulo, che appaiono come isolate dal corpo della lingua. Invece durante il Kechari Mudra non vedi altro che la radice della lingua: è l’ugola che viene in avanti.

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una posizione più in alto. La stessa letteratura afferma anche che, per mezzo del Kechari uno è

capace di percepire "Amrita", il "Nettare", l'elisir della vita che è un fluido dal gusto dolce che scende dal cervello nel corpo attraverso la lingua. Per quanto riguarda l'importanza di sorseggiare il nettare, non sono in grado di aggiungere nulla in quanto non ho ancora avuto questa esperienza né, devo ammettere, ho mai cercato di averla. Anche se la seguente informazione mi lascia perplesso, la condivido nel tentativo di essere il più possibile accurato e completo.

La letteratura sul Kriya afferma che per ottenere questa esperienza, la punta della lingua dovrebbe toccare tre punti specifici: l'ugola, una piccola asperità sul tetto della faringe nasale sotto la ghiandola pituitaria e il tessuto molle sopra il setto nasale. La punta della lingua dovrebbe ruotare su questi punti almeno per 20-30 secondi; poi facendo un movimento con labbra e bocca come per centellinare un liquore, si percepirà un certo particolare sapore sulla superficie della lingua. Si può ripetere l’esercizio diverse volte durante il giorno. Si spiega che quando la vera sensazione di nettare si manifesta, uno deve concentrarsi su di essa, tenendo la lingua in contatto con uno dei centri descritti sopra. (Questo insegnamento può sembrare affascinante; quello che avviene è che un kriyaban di solito si esalta un po' con queste cose e poi le dimentica bellamente, alla faccia di tutta la letteratura!)

Il Kechari Mudra può essere paragonato ad un ponte in un circuito elettrico che scavalca il sistema energetico della mente. Esso devia sia il sentiero che la direzione del Prana facendo sì che la forza vitale venga sottratta dal processo del pensiero. La qualità del silenzio e della trasparenza comincia a divenire la caratteristica della propria coscienza. La mente lavora in modo più sobrio; ciascun pensiero sembra essere più preciso e concreto. Il Kechari ferma il colloquio interiore, donando un riposo essenziale alla nostra mente. Effettivamente, non è poca cosa! A volte, durante la vita quotidiana, dei momenti di pura calma e di silenzio mentale riempiono l’essere! Talvolta, senza fare alcuna pratica yogica aggiuntiva, un'esplosione di gioia interiore, che non ha causa concreta, può apparire nei modi più imprevedibili.

Il Kechari Mudra rende il kriyaban capace di fare un passo gigantesco verso la perfezione del Kriya Pranayama. Durante il Kriya Pranayama col Kechari Mudra, la espirazione che sorge nella faringe nasale ha un bel suono come di un flauto, come di un lieve fischio. Alcune scuole lo chiamano il Shakti Mantra. Esso è stato paragonato al "flauto di Krishna." Lahiri Mahasaya lo descrisse come "simile a quando uno soffia aria attraverso il buco della serratura." Dice che è come "un rasoio che taglia tutto ciò che è collegato con la mente". Esso ha il potere di eliminare ogni fattore esterno di distrazione inclusi i pensieri ed appare nel momento massimo del rilassamento. Uno può farsi una idea di come dovrebbe essere questo suono tenendo tra le labbra il bordo di un foglio di carta e soffiando gentilmente. Se sopravviene distrazione o ansietà, esso svanisce immediatamente. Praticare il Kriya Pranayama in questo modo e gioire degli effetti che ne conseguono, rappresenta una esperienza incantevole, uno dei migliori momenti della vita di un kriyaban.

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Coltivare la perfezione di questo suono, concentrandosi fermamente su di esso, significa creare la migliore base per far sorgere il suono di Om senza dover passare attraverso la seconda fase del Kriya Pranayama. La letteratura sul Kriya spiega che quando accade questo evento, l'esperienza Omkar acquisisce l'aspetto dinamico di Kundalini; l'anima viaggia attraverso la spina dorsale e brucia nella gioia del Samadhi.

La modestia è sempre la benvenuta, ma quando questo risultato è realizzato, un'euforia positiva (come se uno avesse trovato la lampada magica di Aladino) non può essere trattenuta. Nel letteratura Kriya c'è una frase che descrive che se uno ha realizzato un Pranayama perfetto, può ottenere tutto attraverso di esso. Bene, se vogliamo pensare ad un Kriya Pranayama ideale, senza difetti, il Kriya Pranayama con il Kechari Mudra e il suono del flauto corrisponde al nostro ideale.

Chiudiamo con una nota importante. Appena ottenuto il Kechari Mudra (supponendo che questa posizione venga mantenuta ogni giorno per una media di almeno cinque minuti), durante la prima settimana dell'impiego di esso, potreste sperimentare un senso di "intontimento" dove le facoltà mentali sembrano essere ottuse. Dovete essere preparati a questa eventualità e considerare, durante quella settimana, di astenervi dal guidare e da qualsiasi lavoro che implichi una significativa percentuale di rischio.

C_VARIANTI

Descriveremo alcune interessanti varianti del Kriya Pranayama, Navi Kriya e Maha Mudra. Applicando le seguenti istruzioni, uno potrebbe pensare di rendere la propria routine intricata e innaturale. Se uno possiede uno spirito autodidatta, non ci sarà problema nel far sì che essa fluisca in modo naturale. Credo che non si dovrebbero aggiungere simultaneamente diversi dettagli tecnici: è importante provarli separatamente e utilizzarli ciascuno almeno una settimana prima di aggiungere il successivo. Ciascun dettaglio intensifica il potere di una specifica fase del Kriya, la incide nella vostra coscienza: esso deve essere gradualmente assimilato e integrato nella vostra personalità.

Varianti del Kriya PranayamaIn confronto al già spiegato Kriya Pranayama in tre parti, le seguenti varianti potrebbero essere definite delle "semplificazioni"; tuttavia potrebbero essere di ispirazione e utili. Esse devono essere praticate con la bocca chiusa e, possibilmente, con la lingua in Kechari Mudra. I suoni nella gola sono quelli che abbiamo già spiegato.

Variante 1. Circuito entro e dietro il SushumnaInspira, visualizzando il respiro che sale attraverso il Sushumna, sentendo la sua freschezza che tocca ciascun Chakra dal Muladhara al Vishuddha, poi midollo

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allungato finché raggiunge il punto tra le sopracciglia. Om è cantato mentalmente in ciascuno di questi punti. Dopo una breve pausa con la consapevolezza totalmente focalizzata nel punto tra le sopracciglia, comincia l'espirazione. Durante la prima parte della espirazione, la corrente sale sopra la fronte, poi si piega e si muove indietro sopra il cervello, sotto le ossa del cranio, sotto la fontanella, attraversando il Bindu e poi il midollo allungato. L'espirazione si completa col visualizzare il respiro che scende attraverso la parte posteriore della colonna spinale. Senti il tepore del respiro che tocca da dietro ciascun Chakra, dal Vishuddha al Muladhara. Om è cantato mentalmente nel Bindu, midollo allungato, Vishuddha, .... Muladhara.

Variante 2. Pranayama con Aswini MudraAswini Mudra significa contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale col ritmo di approssimativamente due contrazioni al secondo. 6

Una procedura saggia è praticare intensivamente e continuamente Aswini Mudra durante il Kriya Pranayama. Durante l'inspirazione e l'espirazione dei primi 12 respiri Kriya, Aswini Mudra dovrebbe essere forte; in seguito, dovrebbe decrescere in intensità e divenire come una lieve contrazione interna della parte inferiore della spina dorsale -- questa è solo la nostra sensazione, perché è chiaro che la spina dorsale non può essere contratta.

Se questa procedura appare fastidiosa e crea disturbo, è essenziale essere incrollabile ed andare avanti con essa. Ad un certo punto, proseguendo impassibilmente, uno ha la certezza che sta succedendo qualcosa di positivo. Uno percepisce un piacevole brivido nella spina dorsale. La pratica continua di Aswini Mudra durante il Kriya Pranayama crea la condizione per il risveglio di Kundalini. Essa spinge dolcemente la corrente di Apana verso l'alto nella regione dell'ombelico dove incontra Prana. Kundalini si risveglia quando c'è immobilità del corpo e Prana ed Apana sono unite. È solamente l'unione di queste due correnti che può aprire la porta di Sushumna.

Il giorno dopo la pratica del Kriya Pranayama con Aswini Mudra una gioia diffusa è percepita durante tutto il giorno, anche se uno può dedicare solamente cinque minuti alla pratica del Kriya.

Variante 3. Pranayama con Mula BandhaMula Bandha significa contrarre i muscoli del perineo, esercitando pressione mentale sulla parte bassa della spina dorsale (c'è solo una lunga contrazione e non una serie di contrazione-rilassamento come nell'Aswini Mudra.) Pratichiamo Mula Bandha durante la pausa del respiro dopo l'inspirazione. Lo scopo è di creare la percezione del Kutastha. Questa è una procedura molto delicata che dovrebbe essere appresa gradualmente.

6 Quando si apprende la tecnica, lo yogi contrae e rilassa anche i glutei, il perineo o persino l’intera regione pelvica; col tempo, si riesce a contrarre solo i muscoli dello sfintere.

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I. Durante gli ultimi istanti dell'inspirazione, prima di fare il Mula Bandha, noi visualizziamo la corrente che raggiunge il Bindu, poi la corrente "ruota" a sinistra, scende un po' ed entra nel midollo allungato.

II. È in questo momento che il Mula Bandha è praticato intensamente, il respiro è trattenuto e le sopracciglia sono sollevate. Sentirete che l'energia è spinta dal midollo allungato al Kutastha. Simultaneamente percepirete luce interiore che si diffonde dal Kutastha alla parte superiore del cervello.

Poi l'espirazione comincia, tutta la tensione è liberata e l'energia scende nel Muladhara. Respiro dopo respiro, il potere creato nel Kutastha accenderà la grande luce dorata dell'occhio spirituale. Il Kechari Mudra, se uno riesce a praticarlo, aiuta il processo: durante l'azione del Mula Bandha la lingua è spinta in avanti e verso l'alto.

Variante 4. Rapporto 2:3Un'importante scuola considera il rapporto 2:3 (inspirazione:espirazione) molto più naturale di quello visto 1:1. In questo approccio più liberale alla lunghezza del respiro nel Kriya Pranayama, si spiega che il trattenimento del respiro dovrebbe durate almeno 4 secondi, ma la condizione ideale è uguale alla lunghezza dell'inspirazione. Tanto per fare un esempio: inspirazione 12 secondi; 4 seconda pausa; 18 secondi espirazione è corretto, ma lo schema ideale da raggiungere è: 12-12-18.

Variante 5. Contare i respiri Kriya sui ChakraLa seguente non può essere chiamata una autentica variante: è solo un particolare modo di contare i respiri Kriya, senza usare mala o movimenti delle dita. Forse può sembrare una sciocchezza, ma se lo adottate vi renderete conto di quanto profondamente esso calma la mente.

Praticate qualsiasi delle sopra descritte varianti del Kriya Pranayama (o la prima parte del Kriya Pranayama come descritto nel capitolo 6.) Durante il primo respiro concentratevi su tutta la spina dorsale come prevede la tecnica, ma sul Chakra Muladhara in particolare, come se esso fosse il punto più importante della spina dorsale. Dopo un respiro completo, durante il secondo respiro, considerate il Chakra Swadhisthana come se questo fosse il punto più importante della spina dorsale ... e così via (terzo, quarto, quinto, Bindu, midollo allungato, quinto... Muladhara). È come se con ciascun respiro successivo voi evocaste la calma, la dolcezza di un diverso Chakra. Dopo dodici respiri, sentirete che qualcosa è cambiato, che siete più interiorizzati.

Varianti del Navi KriyaLe due seguenti varianti del Navi Kriya sono molto dolci e confortevoli.

Variante 1. Respirare attraverso la Corda d'ArgentoConsidera la spiegazione base nel capitolo 6. Tutti i dettagli fino all'azione di

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piegare la testa in avanti rimangono immutati. In questa variante il Mantra Om è mentalmente cantato alternativamente tra il punto tra le sopracciglia e l’ombelico (Om nel punto tra le sopracciglia, Om nell’ombelico, Om nel punto tra le sopracciglia, Om nell’ombelico… e così via). Facoltativo (ma molto utile se fatto con un atteggiamento rilassato) è sincronizzare il respiro con il canto di Om.

Soffermiamoci su questo punto delicato. Visualizza un sottile canale d'argento che collega (fuori dal corpo) il punto tra le sopracciglia con l'ombelico. Quando ti viene naturale avere una inspirazione molto breve, inspira solo quanto è necessario, visualizza il movimento di aria che sale, attraverso il canale visualizzato, dall'ombelico al punto tra le sopracciglia, soffermati un istante tanto quanto basta per cantare Om mentalmente. Quando ti viene naturale espirare, espira, visualizza il movimento di aria che scende, attraverso il canale visualizzato, nell'ombelico, soffermati un istante e canta Om mentalmente nell'ombelico. Ripetendo questo, sentirai in modo molto marcato, che il respiro comincia a calmarsi e scomparire. Quando questo avviene, continua a cantare il Mantra Om alternativamente tra il punto tra le sopracciglia e l'ombelico e a muovere il centro della consapevolezza tra questi due punti, senza cessare di essere consapevole del "canale d'argento." Continua. Quando Om è cantato circa 75 volte, piega indietro la testa e ripeti una procedura simile cantando Om alternativamente tra Bindu e il terzo Chakra. Visualizza un altro sottile canale d'argento che collega (fuori dal corpo) il Bindu con il terzo Chakra. Lascia che il tuo respiro -- se c'è ancora una traccia di respiro -- fluisca liberamente in quel canale. Quando Om è cantato circa 25 volte, riprendi la normale posizione del mento e canta mentalmente Om nel punto tra le sopracciglia, midollo, Chakra 5, 4, 3, 2 e 1. Questo è un Navi Kriya. La situazione ottimale è quando ci sono 4 cicli di Navi Kriya. È naturale e desiderabile che dalla seconda ripetizione in poi, il respiro non abbia alcun ruolo.

Variante 2. Discesa attraverso Quattro DirezioniLa seguente variante del Navi Kriya è quella che molti kriyaban preferiscono.

Ricordo anzitutto che il Dantian è localizzato circa otto centimetri sotto l'ombelico e circa quattro centimetri all'interno: può essere visualizzato come una sfera di circa quattro centimetri di diametro.

Come di norma, la consapevolezza del kriyaban sale lungo la spina dorsale ponendo mentalmente la sillaba Om (ooong) nei sei Chakra. Poi il mento è avvicinato alla cavità della gola. Una breve inspirazione è seguita da un lunga espirazione, durante la quale si sente che l’energia scende, lungo un sentiero che si trova fuori dal corpo, dalla parte frontale del cervello verso l’ombelico, arrivando attraverso di esso alla regione addominale -- al Dantian, per essere precisi. Durante questa espirazione, Om è cantato mentalmente, rapidamente, da 10 a 15 volte, accompagnando la discesa dell’energia lungo il percorso, come applicando tante "piccole spinte". La testa ritorna nella sua posizione normale ed è seguita da una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) che solleva l’energia in testa. La testa si piega sulla spalla sinistra, senza girare la faccia. Una lunga espirazione

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(assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che scende dalla parte sinistra del cervello e si muove un sentiero che si trova fuori dal corpo nella parte sinistra di esso (dimenticate che ci sia spalla e braccio) fino alla cintura dove si piega e si muove verso l’interno della regione addominale (Dantian). La testa ritorna nella sua posizione normale; ancora c'è una breve inspirazione (due secondi al massimo senza concentrarsi su alcun Chakra) per sollevare l’energia in testa. La testa ora si piega indietro. Una lunga espirazione (assieme al canto di Om, Om, Om…) accompagna il movimento verso il basso dell’energia che parte dalla zona occipitale e si muove (esternamente al corpo) giù verso la cintura dove si piega, passa attraverso il terzo Chakra Manipura e si muove verso l’interno della regione addominale (Dantian). La procedura è ripetuta allo stesso modo a destra, poi avanti, poi a sinistra, ecc.

La seduta base di questa particolare forma di Navi Kriya è costituita da 36 discese (9 rotazioni complete della testa). Essa si chiude col canto mentale di Om in ciascun Chakra da Ajna al Muladhara. (Il tutto dura da 8 a 10 minuti e sostituisce le 4 ripetizioni della forma base del Navi Kriya.) Procedendo con le rotazioni, i movimenti della testa diventano meno marcati; questo è del tutto normale. Si possono anche avere risultati incoraggianti arrivando gradualmente all'immobilità e completando il numero prescritto da un puro e semplice processo mentale.

Procedure che completano l'azione del Navi Kriya

Le seguenti procedure non fanno parte del tradizionale insieme di tecniche del Kriya Yoga. Esse sono attualmente insegnate da alcuni Kriya Acharya poiché si sono rivelate molto utili nel trattare alcuni casi difficili. Il loro potere di sbloccare quasi tutti gli ostacoli psicologici è degno di nota e non ha paragoni. Ma esse richiedono grande cura poiché toccano il comportamento della persona durante la vita quotidiana. Potreste reagire eccessivamente ad ostacoli banali e al comportamento irrazionale delle persone. In altre parole, alcuni vostri difficili tratti della personalità possono venire in superficie. Certo, non appaiono dal nulla -- essi esprimono quello che avete trattenuto per lungo tempo. L'aspetto positivo di queste procedure è che esse hanno il potere di ravvivare il "fuoco interiore" del sentiero spirituale.

Prima proceduraStimolo delle Regione dell'Ombelico in tre parti

Parte 1Il Kapalabhati Pranayama è qui usato in modo mirato per agire sull'ombelico. Esegui inspirazione ed espirazione rapidamente: l'espirazione dovrebbe avvenire forzatamente e rapidamente contraendo i muscoli addominali la qual cosa crea una spinta indietro. Espirazione ed inspirazione si alternano con uguale lunghezza ed avvengono circa due volte al secondo. L'ombelico si comporta come una pompa, come se l'addome venisse usato a mo' di mantice.

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L'espirazione è attiva, l'inspirazione passiva. Un'improvvisa contrazione dei muscoli addominali solleva il diaframma ed una quantità di aria esce dai polmoni. Il suono assomiglia un po' al soffiarsi il naso. Non appena l'aria è fatta uscire, i muscoli addominali sono rilassati, il che fa sì che lo stesso volume di aria entri dentro: l'inspirazione avviene automaticamente.

Kapalabhati è qui usato per agire sull'ombelico. Durante ciascuna espulsione si guida il Prana verso l'ombelico e si canta mentalmente Om nell'ombelico. Dopo 15-20 simili brevi espirazioni, c'è una pausa e il respiro riprende il suo ritmo normale. Poi ancora 15-20 respiri brevi e così via per circa 100 conteggi di Om.

Parte 2 (facoltativa -- solo poche persone sono capaci di praticarla)La pratica tradizionale del Nauli collabora con il risveglio di Kundalini. Pratica stando in piedi con i piedi distanti tra loro un po' più della distanza tra le spalla con le ginocchia un po' piegate, e piegandoti in avanti abbastanza per appoggiare le mani sulle tue ginocchia. Espelli tutta l'aria dai polmoni, e poi sali e scendi col diaframma. Respira normalmente. Poi con l'aria fuori, contrai i muscoli addominali premendo sulle ginocchia con entrambe le braccia. Noterai i tuoi muscoli addominali che paiono venir fuori verticalmente.

Col tempo uno impara a "roteare" quei muscoli: la chiave per farli girare è separare la contrazione del muscolo addominale sinistro dalla contrazione di quello destro, e poi coordinare le due contrazioni in un movimento rotatorio. Questo avviene premendo differentemente sulle ginocchia -- si richiedono alcune settimane. (Le istruzioni si trovano nei manuali di Hatha Yoga.) Fai almeno venti rotazioni. Fai una breve pausa, fai uno o due respiri profondi, espira di nuovo, e continua. È stato spiegato che l'effetto è quelli di Kundalini che comincia a risvegliarsi. Come divieni familiare col Nauli, sarai anche capace di farlo meno formalmente in situazioni che non comportano la posizione eretta. Col tempo sarai anche capace di farlo senza un movimento visibile. Generalmente parlando, Mudra e Bandha cominciano in un modo pronunciato e visibile, e poi naturalmente si raffinano col tempo agendo profondamente sul nostro sistema nervoso.

Parte 3Questo esercizio è chiamato Nabhi Kundalini. Il respiro segue un percorso "inverso" -- inverso rispetto a quello che è sperimentato nel Kriya Pranayama vero e proprio.

Il Prana presente nell'aria inspirata è attratto in giù al livello del Manipura. Apana è spinto in su con l'aria espirata. L'inspirazione avviene in tre parti: attraverso la prima parte, attrai respiro ed energia dal punto tra le sopracciglia nel Vishuddhi, fai una piccola pausa per sentire l'energia che si raccoglie in tale punto; attraverso la seconda parte, attrai respiro ed energia dal Vishuddhi in Anahat, fai una piccola pausa per sentire l'energia che si raccoglie in tale punto; attraverso la terza parte, attrai respiro ed energia da Anahat nel Manipur.

Trattenendo il respiro, intensifica la concentrazione nel Manipur per

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mezzo dei tre Bandha (Mula Bandha, Uddiyana Bandha e Jalandhara Bandha). Canta mentalmente Om 12 volte nel Manipur esercitando su tale centro una forma mentale di pressione. Poi rilassa i Bandha ed espira gentilmente e lentamente in tre parti: attraverso la prima parte, senti la calda energia dal Manipura salire attraverso la spina dorsale in Anahata; attraverso la seconda parte senti la calda energia salire in Vishuddhi; attraverso la terza parte guida l'energia nel punto tra le sopracciglia.

C'è una versione più tradizionale di Nabhi Kundalini. Poni la tua attenzione al Manipura Chakra. Visualizza nel suo centro un triangolo invertito fiammeggiante, incandescente. Inspira gradualmente attraverso le narici, e senti che il respiro entra davvero nel Manipura, scaldandolo intensamente, come ravvivando una fiamme. Trattenendo il respiro, esegui Mula Bandha, Uddiyana Bandha, Jalandhara Bandha -- mantenendo la tua attenzione intera sul Manipura caldo ed ardente.

Visualizza una successione di gocce di luce bianca che cadono in esso, mentre canti mentalmente Om con ogni goccia. Rilassa i Bandha, e rilassa il respiro. Espira dolcemente e lentamente, sentendo l'energia che sale lungo la spina dorsale, scaldando l'Anahata Chakra, poi il Vishuddha Chakra, l'Ajna Chakra e il Sahasrara Chakra. Come l'energia attraversa ogni Chakra, tu vi canti Om. Rimani alcuni istanti nel Sahasrara Chakra. Puoi aumentare di 12 respiri, ogni 6 mesi, onde arrivare gradatamente a 108 ripetizioni. Si ammonisce a non trascurare questa restrizione.

Seconda proceduraRespirazione a VasoSiedi calmo, fai alcuni respiri, fin quando potrai tangibilmente sentire che respiri energia. Visualizzi il tuo corpo come completamente cavo. Nel centro del tuo corpo, proprio davanti alla spina dorsale è il canale centrale, un tubo cavo trasparente di diametro pari ad una monetina. Esso corre diritto dalla base della spina dorsale alla corona della testa. Ci sono due ulteriori canali che partono rispettivamente dalla narice destra e sinistra, viaggiano verso l'alto in cima alla testa e poi curvano per correre verso il basso su entrambi i lati del canale centrale. Si uniscono al canale centrale all'altezza del Dantian. 7

Pratica il Mula Bandha sollevando l'energia nel Dan Tian. Inspira un respiro completo attraverso entrambe le narici. L'aria ed il Prana viaggiano dalle narici in giù attraverso i canali di destra e di sinistra e raggiungono il Dantian e quindi il canale centrale. Completata la inspirazione, fai l'atto di ingoiare e spingi dolcemente in giù col diaframma per comprimere fermamente l'energia portata in giù dall'alto: ora l'energia dell' aria è completamente racchiusa, compresso da 7 Non sognatevi di sostituire il Dantian o l'ombelico con il Manipura! La tendenza a ripulire la pratica Kriya da ciò che può richiamare concetti non yogici appartiene ad una mente limitata che crea restrizioni non necessarie. Tanto per fare un esempio ci sono degli insegnanti che hanno stravolto il Navi Kriya - o eliminandolo del tutto o cancellando la concentrazione sull’ombelico e riducendo la tecnica ad una pura concentrazione sul terzo Chakra. Molti praticanti non muovono la loro consapevolezza di un solo centimetro fuori dalla colonna spinale temendo che con ciò la pratica divenga meno "spirituale"! Questo è ovviamente un falso assunto: il Kriya Yoga avviene sia dentro che fuori la spina dorsale. Lahiri Mahasaya scrisse senza ambiguità sull’azione profonda, insostituibile del sciogliere il nodo dell’ombelico – non del Manipura!

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sopra e da sotto. Il respiro si trova nel Dan Tian. Trattieni il respiro finché è comodo. Questa pratica è come tenere una palla di aria tra due mani, solamente qui tu usi la concentrazione mentale ed un piccolo pezzo di pressione muscolare iniziale per creare questo senso di compressione. Visualizza nel Dan Tian una fiamma crescente che diventa più calda mentre la pratica procede.

Quando sei pronto, rilassa i muscoli leggermente tesi ed espira dolcemente e completamente. Anche se l'aria esce attraverso le narici, visualizza che essa si solleva attraverso il canale centrale e in esso si dissolve. Il Prana sale attraverso il canale centrale e fuori attraverso la fontanella. Quando la prima espirazione è completa, di nuovo contrai i muscoli alla base della spina dorsale, inspira una seconda volta, inghiotti e spingi in giù col diaframma, comprimi di nuovo così l'energia dell'aria nella regione sotto l'ombelico. Trattieni il respiro e concentrati su questa area, sentendo l'energia che aumenta in tale zona. Poi, di nuovo, quando diviene scomodo trattenere il respiro ancora più a lungo, espira, ancora una volta lasciando che l'aria salga attraverso il canale centrale.

Dopo circa dieci respiri, visualizza il Prana delle espirazione diretto a riempire ogni parte del corpo fino ad un livello cellulare. Il respiro fisico pare dissolversi. Si spiega poi che ogni dieci cicli di respirazione a vaso portano il praticante ad uno stadio più elevato: i Chakra superiori fino al Sahasrara sono raggiunti dalla fiamma interiore. Quando questo avviene, il nettare (Amrita) viene percepito. Esso scende in giù attraverso il percorso della lingua (Kechari Mudra), risana l'intero corpo e porta una stabile beatitudine.

Se questa pratica è fatta senza preparazione, tanto per sperimentare qualcosa, il risultato sarà solo uno stato d'animo di nervosismo -- di qualcosa che non è andato nel verso giusto. Il potere generato, infatti, non riesce ad essere assorbito. Se la persona rispetta una saggia gradualità, alcuni importanti risultati appaiono. I risultati sono una grande quiete nel respiro seguita da una straordinaria chiarezza mentale e da un senso di beatitudine. In seguito questa beatitudine aumenta mentre brevi stati di Samadhi appaiono, specialmente se lo yogi ha la saggezza di distendersi dopo la pratica.

Varianti del Maha MudraDiscutiamo per prime due varianti assai preziose del Maha Mudra. Esse sono molto utili nel produrre l'esperienza dei suoni interiori.

Variante 1PiegamentiPrima di praticare il Maha Mudra vero e proprio, siedi nella posizione del mezzo loto o sui talloni. Per mezzo di una profonda inspirazione (non lunga come nel Kriya Pranayama -- impiega metà tempo) solleva il primo Chakra nella Fontanella/Sahasrara, trattieni il respiro, piega il corpo in avanti. La testa è posta nella regione fra i ginocchi (vedi figura 4). Tocca il pavimento con la fronte. Le mani possono essere usate come più viene naturale; il respiro è trattenuto durante l'intera sequenza dei piegamenti. La testa si avvicina al ginocchio destro, la faccia è girata verso il ginocchio sinistro cosicché sia possibile percepire una pressione sul lato destro della testa; una sensazione di

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spazio è percepita entro la parte sinistra del cervello. Poi assumete la posizione simmetrica, invertendo le percezioni. Poi la testa è di nuovo posta nella regione tra i ginocchi, la faccia è rivolta in basso. Una pressione è percepita sulla fronte. Una sensazione di spazio è percepita entro la regione occipitale. Dopo aver completato i tre movimenti, si ritorna nella posizione di partenza con la schiena diritta. Tramite una lunga espirazione, si guida l'energia in giù dal punto tra le sopracciglia al Muladhara.

Poi concentrati sul secondo Chakra e ripeti la procedura (sollevalo, piegati in avanti, e così via). Si possono fare sei piegamenti, uno per ciascun Chakra ma siccome si può anche sollevare idealmente la Fontanella di otto centimetri, si possono avere sette piegamenti.

Figura 4. Piegamenti in avanti partendo da seduto sui talloni o dalla posizione del mezzo loto

Quello che abbiamo spiegato è solo il guscio esterno della pratica. Quando ti concentri su un Chakra, prova, per un paio di secondi, di percepire una sensazione di movimento in esso. Ripetendo la procedura spiegata per vari giorni, questo diventa possibile ed è una grande esperienza. Quando la testa tocca il pavimento, è facile sentire una sensazione di oscillazione in testa. In tale posizione, la testa è idealmente divisa in due parti: quella in basso e quella in alto. Se vi date da fare a sentire la diversa sensazione tra queste due, percepirete in ciascuna parte questa importante sensazione. Se ciò non funziona, praticate più lentamente e senza trattenere il respiro.

Variante 2.Migliorare il Maha Mudra tradizionale con le sottile percezioni del precedente esercizioOra pratica il Maha Mudra, ma quando la gamba destra è distesa, la mano destra afferra le dita del piede destro e la mano sinistra afferra il lato interno del piede destro (l'arcata del piede); la faccia è girata verso sinistra mentre il respiro è trattenuto. Una "pressione interna" sulla parte destra della testa è percepita. Ciò contrasta con la sensazione di spazio libero nella parte sinistra del cervello. Praticando la posizione opposta, le sensazioni sono invertite. Quando entrambe le gambe sono distese, la pressione deve essere percepita sulla parte frontale della testa. Come al solito, si ripete questo esercizio tre volte. Mentre ti allunghi in avanti trattenendo il respiro nella posizione prevista per il Maha Mudra, canta Om nei Chakra in salita, cercando di percepire l'oscillazione in ciascuno. (La

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tecnica può essere praticata più lentamente e senza trattenere il respiro.)

Procedure che completano l'azione del Maha MudraLeggi quello che abbiamo scritto prima di introdurre le procedure che completano l'azione del Navi Kriya. Lo stesso ammonimento va ripetuto adesso.

Prima proceduraInvitare Kundalini ad Entrare nel Sushumna (Tadan Kriya)Inspira profondamente sentendo che il respiro riempie i polmoni dall'alto in basso mentre il Prana (contrariamente a quanto avviene nel Kriya Pranayama) scende verso il Muladhara. Alla fine della inspirazione, la consapevolezza è focalizzata nel Muladhara. Solleva il corpo con l'aiuto delle mani per alcuni millimetri e poi fai in modo che le natiche tocchino con un lieve sussulto il pavimento. Espira liberamente percependo un brivido estatico -- questo avviene quando il sussulto è vissuto non come un movimento fisico ma come un intenso stimolo mentale sul Muladhara.

Seconda proceduraGuidare Kundalini nella Regione del Quarto ChakraInspira come nel precedente esercizio. Durante l'inspirazione il respiro scende verso il Muladhara. Poi, durante l'espirazione, respiro e Prana si sollevano attraverso la spina dorsale fino alla corona della testa. Ascolta il suono del tuo respiro. Ascolta "Hahm" durante l'inspirazione e "Sah" durante la espirazione.

Dopo 6 respiri, l'espirazione è frammentata. Dopo ciascun "Hahm" fermati un istante, poi lascia uscire il respiro attraverso il naso in piccoli pezzetti, ascoltando "sah, sah, sah, sah, sah..." tante volte quanto è necessario affinché i polmoni si svuotino.

Respira circa sei volte in questo modo, poi rilassa il Kechari Mudra ed espira attraverso le labbra, aumentando la frammentazione: s-s-s-s-s-s-s-s-s-s ... (I vari "s" sono perfettamente udibili.) Le labbra si toccano nella parte centrale e l'aria esce attraverso gli angoli della bocca, producendo una sensazione di calore tra le labbra. Trasferisci mentalmente tale sensazione alla base della spina dorsale, percependo una sensazione di calore che sale spontaneamente attraverso la spina dorsale. Guida questa sensazione di calore nel Chakra del cuore. Dopo circa 12 respiri, l'esercizio è terminato.

Terza proceduraFissare Kundalini nella Regione del Quarto ChakraIl Bhastrika Pranayama è uno dei più importanti Pranayama dello Yoga classico. Esso non fa parte del Kriya Yoga -- anche se alcune scuole suggeriscono che esso dovrebbe essere considerato parte di esso.

"Bhastrika" consiste in una veloce e profonda respirazione, fatta col solo diaframma. Si può cominciare con sei ripetizioni. Respira attraverso il naso, circa un respiro completo per secondo, consapevole di quello che avviene nella spina dorsale. Concentrandoti dietro il Chakra del cuore, senti l'energia che oscilla tre centimetri sotto ed altrettanti sopra esso. La sensazione è quella di pulire con

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forza l'area dietro questo Chakra. Sentirai calore nella zona del quarto Chakra. Poi inspira profondamente, trattieni il respiro e senti che il calore aumenta ancora. Espira intensificando tale sensazione. Col tempo si potrà aumentare la lunghezza e le ripetizioni di questa tecnica.

Particolari Procedure da Essere Praticate alla Fine di una Routine Kriya da Parte di Coloro che Sono Riusciti a Raggiungere lo Stato di Assenza di Respiro

Prima proceduraAntar Kevala Kumbhaka (Muladhara Granthi Bheda proper)Dopo aver raggiunto lo stato di assenza di respiro per mezzo di qualsivoglia procedura, inspira profondamente riempiendo i polmoni. Espandi la gabbia toracica e mantienila espansa dopo aver completato l'inspirazione. Cerca di rimanere nella stessa condizione che adotti istintivamente quando stai per inspirare un altro sorso di aria. Concentrati sull'aria e il Prana che riempiono la parte superiore della gabbia toracica: essi sono immobili, come congelati. Vai oltre il pensiero di respirare. La leggera tensione nei muscoli della gabbia toracica impedisce di espirare.

Questo stato non è stabile: dopo un po' di secondi è probabile che tu senta la necessità di respirare. Per raggiungere uno stato stabile, devi entrare con la consapevolezza nel sottile canale della spina dorsale. Concentrati perciò sul Muladhara e comincia a cantare mentalmente Om Om Om ... tante volte, veloce. Sali come un formichina attraverso il canale più interno della spina dorsale (non rimanere concentrato sul Muladhara per più di un paio di secondi). Sali millimetro dopo millimetro continuando a ripetere mentalmente Om Om Om... (ed evitando ovviamente di respirare). Dopo non più di 15-20 secondi avrai raggiunto il Chakra del cuore. Ora percepirai una più profonda e più stabile libertà dal respiro. Ciò ti arreca un incomparabile senso di pace. Se, rimanendo concentrato sul Chakra del cuore e sull'aria e sul Prana che riempiono la gabbia toracica, percepisci questa pace e il respiro non esiste più, ciò significa che sei pronto al passo successivo -- altrimenti puoi ripetere l'azione di inspirare ed espandere la gabbia toracica.

Seconda proceduraCircolazione della luceDimentica il respiro: sollevando le sopracciglia, diventa sensibile alla luce interiore che è percepita nel punto tra le sopracciglia. Poi guida intuitivamente la luce nella "componente frontale" di ciascun Chakra. Questo concetto - raramente citato nella letteratura Kriya - non era stato fin qui introdotto. "Frontale" significa sulla parte anteriore del corpo. Così, dopo il Kutastha, la consapevolezza scende attraverso la lingua nella parte frontale superiore della gola che è collegata al quinto Chakra. La percezione della luce interiore avviene in quel punto per pochi secondi. La consapevolezza scende nella regione centrale dello sterno... vi si percepisce luce interiore... poi nell'ombelico... poi nella regione pubica e finalmente nel perineo. Poi la concentrazione si muove in su dietro la colonna

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vertebrale e la stessa percezione di luce avviene nel secondo Chakra; poi nel terzo... e così su fino al midollo allungato, la regione occipitale, la Fontanella, finendo di nuovo nel Kutastha dove ti fermi a lungo. Poi apri gli occhi e cerca di percepire la luce spirituale in ciascun oggetto che ti circonda.

Quando ti sei familiarizzato con questo processo, puoi intensificarlo cantando mentalmente Om tre volte in ciascun centro.

Terza procedura. Sollevare Kundalini nel Kutastha (Rudra Granthi Bheda proper)Dopo aver lasciato che "la ruota giri da sola per alcune volte, dopo che questo fenomeno è avvenuto un certo numero di volte, pratica una variante della procedura 1. Fai una profonda inspirazione, applica il Mula Bandha, l'Uddiyana Bandha (solleva gentilmente il diaframma e tira in dentro l'addome). Concentrati sul Muladhara e sali lentamente con la coscienza su per la spina dorsale, senza respirare, millimetro dopo millimetro ripetendo continuamente Om, Om, Om ... tante volte. Raggiunto il midollo allungato e il Kutastha continua a ripetere continuamente Om, Om, Om ... tante volte. Dopo aver raggiunto il punto tra le sopracciglia, continua ad osservare la luce dell'"occhio spirituale" che diventa sempre più intensa.

D_COME ORGANIZZARE LA ROUTINE

Abbiamo già accennato al fatto che una routine di Kriya Yoga in cui ci sia una azione specifica su ciascuno dei quattro nodi e questa azione segua strettamente l'"Ordine pre-inverso" di essi (lingua, cuore, ombelico e coccige) non funziona bene per chiunque.

Viene naturale cominciare la routine con un paio di tecniche come Maha Mudra e Navi Kriya che sono state concepite per essere usate nella quarta e terza fase. È preferibile porre all'inizio della routine tutte le tecniche che richiedono movimento. Da un certo momento in poi, vogliamo praticare indisturbati. Il criterio che ora introduciamo completa questo principio.

Dividiamo idealmente il lavoro per ciascun nodo in due parti: un'azione forte che richiede movimento fisico e un'azione sottile che elabora l'effetto della precedente e persegue audacemente lo stesso obiettivo lavorando su piani più elevati. Chiamiamo "formale" la prima e "informale" la seconda. La routine sarà organizzata nel modo seguente:

Parte formale della quarta, terza e prima fase seguita dalla parte informale della prima, seconda, terza e quarta fase.

Simbolicamente: F4; F3; F1 + I1; I2; I3; I4

Sviluppiamo questo schema.

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F4Parte Formale -- Quarto Nodo

La tecnica del Maha Mudra è l'inizio della quarta fase. Esse aiuta a sviluppare una pratica del Kriya Pranayama senza impedimenti. Per mezzo di essa, il Prana localizzato nella colonna spinale è sollevato in testa, la qualcosa riempie il corpo e la mente di euforia e vitalità, li rende stabili per la meditazione e aiuta ad equilibrare le attività degli emisferi sinistro e destro del cervello.

Le scuole più serie di Kriya raccomandano che per ogni 12 Kriya Pranayama sia eseguito un Maha Mudra -- restando tre il numero minimo. (Tanto per capirci chi pratica 60 Kriya Pranayama dovrebbe praticare per cinque volte il Maha Mudra, mentre chi ne pratica 12 o 24 dovrebbe praticarne tre.) Purtroppo, avendo ascoltato vari kriyaban, posso affermare che è un miracolo trovarne uno che pratica le tre ripetizioni previste. Ci sono persone che s’illudono di praticare correttamente il Kriya senza mai praticare neanche un solo Maha Mudra! È chiaro che, privandosi permanentemente di esso e vivendo una vita sedentaria, la spina dorsale diviene meno elastica. Col passare degli anni le condizioni peggiorano e diviene quasi impossibile mantenere per più di alcuni minuti la posizione corretta di meditazione – ecco perché il Maha Mudra è così importante per un kriyaban.

Potete godervi la variante descritta sopra. Questo è il posto giusto per praticare le procedure che completano l'azione del Maha Mudra. Esse sono descritte nell'ordine corretto, se volete utilizzarle tutte e tre.

F3Parte Formale -- Terzo Nodo

Potete godervi la forma base del Navi Kriya oppure una delle sue varianti. Questo è il posto giusto dove potete mettere alla prova il potere delle procedure descritte sopra che completano la sua azione. Diversamente dalle procedure che abbiamo dato per completare l'azione del Maha Mudra, ne praticate solo una delle due!

F1Parte Formale -- Primo Nodo

Pratichiamo il Talabya Kriya con una forte consapevolezza dell'essenza del nodo della lingua. Questo significa che siamo acutamente consapevoli della frattura che esiste nel nostro corpo e coscienza tra il corpo al di sotto di Ajna Chakra e la parte superiore della testa dove risiede il Prana statico. Noi viviamo nella prima parte ed è solamente durante l'ultima fase della nostra routine di Kriya che noi possiamo risiedere pienamente nella seconda. Sopra Ajna Chakra esiste una riserva immensa di energia. Dobbiamo addestrarci a sentirla chiaramente.

Talabya Kriya è utilizzato non solo per stirare il frenulo. Quando la lingua si attacca al palato e la bocca è aperta, in quel istante il circuito è chiuso, le due parti del nostro corpo si uniscono. Noi dovremmo essere consapevoli che la pressione unita alla forza di suzione provocata dall'effetto ventosa della lingua

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sul palato crea una calma improvvisa nel nostro processo pensante.

I1Parte Informale -- Primo Nodo

La parte informale della nostra routine comincia con la prima lunga inspirazione del nostro Kriya Pranayama. Andiamo verso l'alto, il più possibile, per invitare Prana calmo dal Sahasrara per scendere attraverso la lingua nella gola e in tutti i Chakra. Il viaggio di discesa del Prana statico -- la caratteristica principale del Kriya Yoga di Lahiri Mahasaya per aprire ciascun nodo e liberare la nostra coscienza dalla schiavitù della materia -- sarà sperimentato senza alcun ostacolo. Con l'aiuto del Kechari Mudra il flusso del respiro diventa sempre più regolare, fluente, bello e sottile come un filo serico.

I2Parte Informale -- Secondo Nodo

Questo è il momento di applicare la seconda parte del Kriya Pranayama. Lo scopo è di riuscire ad ascoltare il suoni interiori e il suono Omkar senza chiudere le orecchie -- come avviene nel Nada Yoga. Portiamo dunque avanti una continua volontà di ascoltare internamente. La consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi.

I3Parte Informale -- Terzo Nodo

Abbiamo visto che la terza fase del Kriya comprende l'unione di Prana e Apana nella regione dell'ombelico (per mezzo dell'azione del Navi Kriya) seguita dalla elevata procedura del Pranayama mentale. Questa fase regala, quando il tempo è maturo, l'esperienza fondamentale dello stato di assenza di respiro. Perciò potete richiamare in pochi istanti di concentrazione, tutto il potere che avete creato con la fase F3 praticando per uno o due minuti una delle due descritte varianti, diminuendo il lieve movimento fisico che esse richiedono fino ad evitarlo completamente. L'essenza del Navi Kriya può anche essere sperimentata intensificando il movimento dell'ombelico durante una lunga espirazione di Kriya Pranayama.

Per quel che riguarda il trasformare la calma del respiro nello stato di assenza di respiro, è del tutto normale che gli esperimenti durino mesi e mesi. La corrente Samana, attivata lavorando sulla regione dell'ombelico (Dantian), crea quella condizione indefinibile cui alcuni insegnanti di Kriya alludono come lo "stato di assorbimento del Kriya". In quello stato, un giorno, quando il tempo è maturo, un kriyaban ha, tutt'a un tratto, l'impressione di attraversare uno schermo e di emergere in una altra dimensione. Qui nasce la realizzazione che il corpo non ha bisogno di respirare. Il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la decisa percezione di non star respirando affatto; egli percepisce un'energia fresca nel corpo, che sostiene la sua vita dall’interno, senza bisogno di ossigeno. È uno stato fantastico! Senza alcun sentimento di disagio, questa condizione dura vari minuti. Non c’è il minimo fremito di sorpresa oppure il pensiero: "Finalmente ci

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sono riuscito!". Ciò non significa che la persona sia inconsapevole: è perfettamente consapevole, ma in un modo calmo, molto distaccato. Uno è trasportato lontano, più lontano di qualsiasi territorio conosciuto ed è consapevole tanto quanto basta per capire che questa è la esperienza chiave della sua vita; un'esaltazione, che nulla nella vita può dare, è sperimentata.

C'è un alone di mistero sulla descrizione di questo stato; le persone pensano che sia impossibile e che ogni affermazione relativa al suo verificarsi è falsa. Ciononostante, esso è possibile, anche se può essere ottenuto soltanto dopo anni di pratica Kriya. Esso non ha nulla a che vedere con il trattenere forzatamente il respiro. Essa non consiste nel banale fatto che il respiro divenga sempre più calmo. È lo stato in cui il respiro è del tutto assente - con la conseguente dissoluzione della mente. Quando si manifesta, un kriyaban non sente il bisogno di inspirare; oppure fa una breve inspirazione e non sente il bisogno di espirare per un tempo molto lungo. (Più a lungo di quanto la medicina giudichi possibile.) Questo stato incarna le caratteristiche dell’autentica vita "religiosa". Per ottenerlo è necessario vivere in un modo attivo ma anche introverso. Il Prana presente nel corpo perde ogni irrequietezza; una profonda calma pervade ogni parte della costituzione psicofisica.

I4Parte Informale -- Quarto Nodo

Prendete in considerazione le "particolari procedure da essere praticate alla fine di una routine Kriya da parte di coloro che sono riusciti a raggiungere lo stato di assenza di respiro." Esse sono da praticarsi qui.

Coloro che non sono capaci di raggiungere tale stato, devono usare il loro respiro nel modo più saggio per avvicinarsi il più possibile a tale stato. Il Pranayama col respiro breve è la tecnica migliore.

Un grande insegnamento del mio primo maestro di Kriya, quello che mi diede enormi risultati è che se volete fare un notevole progresso spirituale, dovrete prendervi l'impegno di essere consapevoli almeno di 1728 respiri al giorno. Sperimentare 1728 respiri brevi attraverso il Pranayama col respiro breve richiede circa tre ore e può essere fatto una volta alla settimana. Devi rimanere sempre sul confine tra il respiro e il non respirare affatto. Il processo non dovrebbe mai diventare puramente mentale. Questo è per il beneficio di aumentare l'esperienza Omkar ed evitare che appaia la sonnolenza. Perciò fai quanto meglio puoi per mantenere un esile filo di respiro fino al completamento del numero prescritto.

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CAPITOLO 8KRIYA SUPERIORI

Kechari Mudra, Kriya Pranayama, Omkar Kriya e Thokar Kriya sono le quattro istruzioni chiave che, come pilastri, sostengono la vasta struttura del Kriya Yoga. Abbiamo ampiamente discusso (sia dal punto di vista pratico che teorico) le prime due, ora stiamo per spiegare Omkar Kriya e Thokar Kriya. Le definiremo e discuteremo come esse aiutano a realizzare i quattro stadi del Kriya Yoga.

Ma anzitutto prendiamo in considerazione il Kechari Mudra. La letteratura di riferimento sul Kriya afferma senza ombra di dubbio che raggiungere il Kechari Mudra è cruciale per essere iniziati ai Kriya superiori. Infatti gli insegnanti del Kriya originale chiedono di vedere l’effettiva esecuzione del Kechari -- domandano che si apra la bocca di fronte a loro e controllano che la lingua scompaia nella cavità nasale. Possiamo comprendere la ragione di questo. Il Kechari Mudra aiuta a percepire lo stato vibrazionale, il ritmo e l'ubicazione astrale di ciascun Chakra.

A coloro che si sentono depressi in quanto non riescono ad ottenere il Kechari Mudra diciamo, senza alcun timore di essere smentiti, che ci sono tante persone che praticano il Kriya con entusiasmo, con ammirevole dedizione, che gioiscono dei suoi notevoli effetti, senza aver realizzato questo Mudra. La frase che si sente ripetere "finché uno non è stabilito nel Kechari Mudra, non può raggiungere lo stato di Eterna Tranquillità" è una pura falsità. Se fosse vera, allora molti mistici, la maggior parte dei quali non sentirono mai parlare di Kechari Mudra, non avrebbero mai potuto avere una piena esperienza del Divino.

PROCEDURE EVOLUTE CONOSCIUTE GLOBALMENTE COME "SECONDO KRIYA"

Secondo Kriya - parte 1. Omkar Kriya Le mani con le dita intrecciate sono appoggiate sull'addome. Inspirazione ed espirazione sono divise in sei + sei parti. Cominciando dalla posizione col mento appoggiato al petto, inspira muovendo la consapevolezza lungo la colonna spinale verso l'alto, sollevando simultaneamente il mento come per accompagnare e spingere l'energia nel suo cammino verso l'alto. Le sillabe del Vasudeva Mantra ("Om Namo Bhagavate Vasudevaya") sono poste mentalmente nella sede di ciascun Chakra facendo una breve pausa in ciascuno. 8

Durante il primo "sorso" dell'inspirazione, la concentrazione è sul Muladhara, dove la sillaba Om è idealmente "posta"; durante il secondo "sorso", la concentrazione è sul secondo Chakra, dove la sillaba Na è idealmente posta... 8 Di sicuro il lettore conosce la pronuncia corretta del Mantra, perciò non aggiungo alcun simbolo fonetico. Notiamo che nel Bindu non pensiamo Va ma Ba: questa convenzione si è stabilita attraverso gli anni.

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e così via, finché Ba è posta nel Bindu, l'inspirazione è completata e il mento è orizzontale. Anche l'espirazione è divisa in sei parti ben marcate come pulsazioni. Abbassando dolcemente il mento sul petto, la consapevolezza scende lungo la colonna spinale. La sillaba Te è posta nel midollo allungato, Va è posta nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va, finché Ya è cantato mentalmente nel Muladhara.

Quando poni mentalmente una sillaba in un Chakra, tu eserciti una pressione mentale su di esso. Questa pressione è intensa ed è fatta con tutto il tuo potere mentale. Alcuni insegnanti di Kriya considerano questa azione una forma effettiva di Thokar.

Siccome essa è assolutamente importante, cerchiamo di spiegare meglio come va fatta. Visualizza ciascun Chakra come un disco orizzontale o moneta con un diametro di approssimativamente 2-3 centimetri. Visualizzali come guardandoli dall'alto. Il centro della tua consapevolezza rimane tutto il tempo nella regione occipitale. Da là guarda idealmente ciascun Chakra. Non c'è differenza quando stai salendo col tuo canto o scendendo, la pressione è sempre la stessa. Possiamo dire approssimativamente che la consapevolezza sale "dentro" e scende "dietro" la spina dorsale. Ma quello che è essenziale è sentire mentalmente (o creare o scoprire un potere per creare) una pressione al posto di ogni Chakra; perciò dire che tu poni le sillabe discendenti da "dietro" ha nessuno più il significato che aveva durante la seconda parte del Kriya Pranayama. In altre parole la pressione su ciascun Chakra avviene da tutte le parti; è un'azione che viene realizzata con una sorta di potere che proviene da mesi (ed anni) di pratica del Kriya Yoga e del Kechari Mudra. (È per questa ragione che il Kechari Mudra è prescritto con molta enfasi: esso aiuta effettivamente a creare la giusta pressione.)

Il tempo globale di un respiro frammentato dipende dall'individuo: di solito è di circa 20 secondi, ma può essere più lungo.

Consideriamo due dettagli facoltativi. Nel processo di applicarli, saggezza e buon senso sono richiesti. Ogni dettaglio dovrebbe essere introdotto gradualmente, così che esso non disturbi l'armonia del quadro generale.

1. Durante l'inspirazione i muscoli alla base della colonna spinale possono essere leggermente contratti. Questa contrazione è mantenuta fino alla fine dell'inspirazione e durante la pausa che segue, poi è rilassata e l'espirazione comincia.

2. Non appena ciò è confortevole, si aggiunge una pausa di 2-3 secondi sia alla fine dell'inspirazione che dell'espirazione. Durante queste pause la consapevolezza fa una completa rotazione in senso antiorario lungo la corona della testa e attorno al Chakra Muladhara, rispettivamente. La rotazione in alto avviene entro il cervello, sotto l'osso cranico, cominciando dalla regione occipitale, sopra il Bindu, e lì ritornando; la testa accompagna questo movimento energetico con un movimento di rotazione non molto marcato (piegandosi leggermente indietro, poi a destra, davanti, a sinistra e in fine indietro). La rotazione in basso avviene nell'immobilità.

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Il punto chiave di questa procedura è di percepire i due movimenti tipici di Kundalini nella spina dorsale. Abbiamo già scoperto il primo movimento nel Kriya Pranayama. Nella letteratura Kriya esso è paragonato al procedere di una formica -- la consapevolezza si sposta lungo la corda spinale senza perdere mai il senso della continuità. Il secondo movimento è paragonato al saltare di una rana o di una scimmia: da un Chakra al successivo. Durante Omkar Kriya questi due movimenti sono percepiti contemporaneamente, senza che uno disturbi o cancelli del tutto la consapevolezza dell'altro.

Da un certo momento in poi, tutti i dettagli fisici sono vissuti in un modo molto sottile. È stato spiegato che avviene un momento in cui il Kriya Pranayama intraprende il "percorso interiore". Il respiro produce solamente un lieve, debole suono oppure fluisce senza alcun suono. Il movimento della testa è solo accennato e poi sparisce quando viene a stabilirsi una perfetta immobilità. La rotazione antioraria della consapevolezza attorno alla corona della testa sembra abbassarsi all'interno e toccare anche il midollo allungato, avvolgendosi attorno ad esso. Questa percezione si estende in modo naturale agli altri Chakra. Il percorso di salita e di discesa dell'energia non è più lineare ma simile ad un'elica che circonda e accarezza ciascun Chakra. Questo è lo stadio del Kriya Pranayama in cui il controllo del Prana avviene non più usando il respiro come un agente intermedio ma servendosi del puro potere mentale.

Secondo Kriya - parte 2. Thokar Kriya (forma base) Con il mento abbassato sul petto, inspira sollevando la consapevolezza lungo la colonna spinale, toccando ciascun Chakra con le sillabe del Mantra (la sillaba Om è posta nel primo Chakra, Na nel secondo, Mo nel terzo, Bha nel quarto...) - simultaneamente solleva il mento come a seguire il movimento interiore. Il movimento è caricato della massima possibile intensità mentale: come spremere con una matita un tubetto quasi vuoto di dentifricio per fargli uscire tutto quello che rimane. Le mani (con dita intrecciate) sono poste sopra l'area dell'ombelico come per spingere la regione addominale verso l'alto, creando così una pressione mentale sui primi tre Chakra. Il respiro produce solamente un lieve, debole suono nella gola o avviene senza suono. Quando il mento è sollevato, parallelo al suolo, l’inspirazione finisce e la percezione si trova in Bindu.

Descriviamo ora come viene fatta una completa rotazione antioraria della testa, seguita da un movimento brusco della testa per mezzo del quale il mento è portato verso il centro del petto. La testa comincia la sua rotazione muovendosi verso la spalla sinistra (l’orecchio sinistro viene avvicinato alla spalla sinistra, la faccia non si gira né a destra né a sinistra, inoltre il movimento non prevede alcun sobbalzo); Te è pensato nel midollo allungato. La testa si muove leggermente indietro e, tracciando un arco, raggiunge la spalla destra (l’orecchio destro si avvicina alla spalla destra), la sillaba Va è pensata nel Chakra cervicale. La rotazione prosegue, la testa viene in avanti di poco e si muove verso sinistra finché l’orecchio sinistro è vicino alla spalla sinistra (la faccia non è volta a sinistra).

Da qui il mento va in giù diagonalmente a colpire il centro del torace mentre simultaneamente Su è pensato nel Chakra del cuore. Per mezzo di

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quest'ultimo movimento, si percepisce nel Chakra del cuore una specie di ben preciso colpetto. Segue una breve pausa: il respiro è immobile nelle narici mentre la mente è rapita nella radiazione di energia che emana dal Chakra del cuore. La contrazione alla base della spina dorsale è rilassata; per mezzo di una espirazione molto sottile le rimanenti sillabe sono "poste" nei primi tre Chakra -- De nel terzo, Va nel secondo, Ya nel primo. Durante ciò la testa è di solito tenuta abbassata. La durata di questo processo è di circa 24 secondi. La procedura è ripetuta almeno 12 volte.

Figura 5. Rotazione della testa nella forma base del Thokar

Per diverse settimane, un kriyaban è istruito ad eseguire questa tecnica 12 volte al giorno, poi ad aumentare gradualmente il numero delle ripetizioni. Ciascuna settimana egli può aggiungere sei ulteriori ripetizioni.

Un esperto insegnante di Kriya controlla che il colpo fisico non sia forzato. Non si dovrebbe permettere che il peso della propria testa spinga il mento verso il petto: in questa condizione, il movimento fisico è decisamente troppo potente e dannoso per la testa e per il collo. Quindi, uno sforzo fisico particolarmente attento è volto ad abbassare il mento, resistendo contemporaneamente alla forza di gravità, concludendo con un leggero sussulto che è percepito intensamente all’interno del quarto Chakra. La presenza di problemi fisici (le vertebre cervicali sono molto sensibili!) può richiedere che egli si fermi per alcuni giorni o che pratichi a giorni alterni. È molto meglio incrementare il numero delle ripetizioni solo dopo molto tempo, piuttosto che fronteggiare la prospettiva di sperimentare dolore in testa e nel collo durante l’intera giornata!

La tradizione orale tramandata da insegnante a discepolo, è di aumentare il numero delle ripetizioni fino a 200. Aumentando il numero delle ripetizioni, i movimenti della testa descritti precedentemente sono solo accennati: il mento non si avvicina molto al petto e il colpo sul quarto Chakra è raggiunto principalmente dal puro potere della concentrazione mentale. Un approccio prudente e saggio è costituito dallo stabilirsi nella ripetizione quotidiana di 36 ripetizioni senza oltrepassare questo numero.

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Secondo Kriya - parte 3. Thokar Kriya (Livello Evoluto)La tecnica è la stessa, ma il canto mentale di Te nel midollo, Va nel cervicale e Su nel Chakra Anahata avviene non una ma diverse volte (Te, Va, Su, Te, Va, Su, Te, Va, Su ...), trattenendo il respiro. 9

Dopo aver inspirato (con Om, Na, Mo...) e sollevato il Prana nella parte superiore dei polmoni, mantieni i muscoli della cassa toracica come chi sta per cominciare una nuova inspirazione. Evita l'azione di sigillare i polmoni (trachea) come si fa quando ci si tuffa. In questo stato d'animo rilassato, i cicli dei movimenti della testa sono portati avanti senza alcuna fretta.

Semplifica la dinamica e l'intensità fisica dei movimenti. Avvicina il mento al petto prima di avere completato la rotazione della testa. Vale a dire, dopo avere ruotato la testa da sinistra a destra, lasca che il mento "cada" in giù verso il torace dal lato destro, poi sollevalo verso sinistra e prosegui con le rotazioni. Mantenendo il torace espanso ed i muscoli addominali e il diaframma perfettamente immobile, lasci che un minimo (quasi impercettibile) sorso di aria esca ogni qualvolta il mento è abbassato verso il torace ed un sorso impercettibile di aria entri ogni qualvolta il mento è sollevato. (Non fare alcun specifico atto di inspirare o espirare: rilassati ed il fenomeno prima descritto accade spontaneamente. La sensazione sarà sempre quella di non respirare affatto.) Fermati quando l'intuizione ti suggerisce di fermarti, espira lentamente e poni le sillabe De, Va, Ya nei primi tre Chakra. Mentre fai questo, la testa è di solito tenuta abbassata. Questa pratica è fatta rigorosamente solamente una volta al giorno -- anzi se ci sono problemi con le vertebre cervicali, si pratica a giorni alterni.

Un giorno ti accorgerai di star ruotando la testa mentre il respiro è veramente dissolto! Il respiro sembrerà congelato, dissolto e il trattenimento sarà perfetto. Proverai uno stato di ebbrezza. Nessuno può dire a che punto del processo accadrà questo. Una gioia mai provata prima e un perfetto senso di libertà si riverserà nel tuo essere. Comprenderai il senso della frase di Lahiri Mahasaya: "La mia adorazione avviene in uno strano modo. Non si richiede acqua benedetta, ne mezzi speciali. Persino i fiori sono superflui. In questa adorazione tutti gli dei sono scomparsi e il vuoto si unisce con l'euforia."

Per quanto riguarda l'aumento del numero delle rotazioni della testa, ci sono due schemi che apparentemente sembrano inconciliabili. In realtà, col tempo, un kriyaban, lasciandosi guidare dalla esperienza e dalla intuizione, può passare da uno schema all'altro.

1. Schema di base. La tecnica è eseguita una volta sola ma l’intero insieme di movimenti è gradualmente aumentato di uno al giorno. 200 rotazioni (200 insiemi di movimenti della testa, ciascuno collegato col canto mentale di Te, Va, Su) è il limite massimo, insuperabile!

2. Prudente schema alternativo La tecnica è ripetuta 12 volte ma in

9 Per dare un'idea della velocità dei movimenti, l'intero processo, inspirazione ed espirazione incluse, con 12 ripetizioni della rotazione della testa (ciascuna rotazione si conclude con il movimento del mento verso il petto) può durare circa 70-80 secondi.

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ciascun respiro abbiamo 3 ripetizioni del movimento della testa. Nel corso del tempo, il numero delle rotazioni della testa entro un singolo respiro, viene incrementato gradualmente fino ad arrivare a dodici rotazioni.

L'argomento Thokar è di importanza straordinaria. La sua applicazione pratica richiede un'estrema delicatezza. Cercare di fare un gran numero di rotazioni (ci riferiamo al livello superiore del Thokar) ad alta velocità con l’ossessione di trattenere il respiro, significa solamente una violenza verso il corpo! Il modo giusto di praticare questo Terzo Kriya è una questione di realizzazione interiore -- un istinto che viene col tempo. I kriyaban sottolineano il fatto che il segreto della tecnica sta nel riempire la parte superiore del torace e della testa della più grande quantità possibile di Prana - proprio come una brocca può essere riempita d’acqua fino all'orlo.

Esperienza Omkar dopo la pratica del Thokar

Presto o tardi raggiungerete il livello in cui ascolterete il suono interno di una campana. Al suo primo apparire, tale suono regala un appagamento totale e un senso di sollievo come se il percorso fosse giunto al suo adempimento. La sua bellezza è inesplicabile. Non c'è altra altra cosa nell'universo concreta e reale quanto lo è questa vibrazione -- espressione della vibrazione cosmica di Om. Nella sua delicatezza, dà l'idea di una distanza insondabile. Lieve come una pioggia di petali, bussa dolcemente alle porte dell'intuizione. Sentiamo che questo suono è la Realtà che sta alla base di ogni Bellezza sperimentata nella vita e che tutte le esperienze d'amore sono come splendidi cristalli che fioriscono attorno al suo filo dorato. Da ora in avanti, purché questa sintonia sia mantenuta, la meditazione diviene una storia di amore con la Bellezza stessa. Tale esperienza ineffabile ci circonda nei momenti difficili della vita, guida i nostri passi quando gli eventi sembrano cospirare a farci dimenticare il sentiero spirituale.

Avviene una vera comprensione, un processo di risanamento di vecchie ferite attraverso il risvegliarsi della saggezza. Tutto sarà come trasfigurato, circondato da un manto morbido che riduce tutte le dissonanze. I nostri ricordi, conflitti ed impossibilità riprendono vita, si placano, si avverano nell'azzurra immobilità che si irradia dal centro del nostro cuore. Una fino ad ora mai sperimentata Bhakti (devozione) sorgerà spontanea dal nostro cuore, attraverserà il muro della sfera psicologica e renderò vita ed esperienza spirituale indistinguibili.

Col tempo, si manifesterà un'altra esperienza elevata. Un punto luminoso (Bindu) appare nel Chakra del cuore. Una forte concentrazione nel punto tra le sopracciglia sorge spontanea ed è accompagnata da un enorme aumento di beatitudine. La porta del Sushumna è ora aperta. Una piccola stella bianca illumina il sentiero verso la Libertà Eterna. Mente ed ebbrezza si mescolano e la mente entra in una calma perfetta. Ottenendo questa esperienza, un kriyaban è pronto a passare ai livelli più elevati del Kriya.

È chiaro che questi due eventi (suono interiore di una campana ed esperienza della luce spirituale nell'Anahat Chakra) rappresentano il miglior

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criterio per giudicare se hai praticato veramente il secondo livello del Kriya Yoga o una pallida imitazione di esso. Se tu onestamente ti rendi conto che sei lontano da questi risultati, evita di cimentarti con altre procedure evolute. Pratica lunghe sedute di Kriya Pranayama (tre fasi) e cerca in esse l'esperienza Omkar.

PROCEDURE EVOLUTE CONOSCIUTE GLOBALMENTE COME "TERZO KRIYA"

Terzo Kriya - parte 1. Omkar Kriya mentaleDimentica totalmente il respiro. Visualizza ciascun Chakra come un disco orizzontale, circondalo con le ripetizioni della relativa sillaba ruotando in senso antiorario attorno al Chakra tre volte. ["Antiorario" in questo libro è sempre inteso come se osservato dall'alto]. Le sillabe sono ovviamente Om, Om, Om... nel Muladhara; Na, Na, Na... nello Swadhistan; Mo, Mo, Mo nel Manipura.... Salire e scendere in questo modo dal Muladhara al Bindu è un ciclo: il tempo richiesto è circa 6-9 minuti. Completare da tre a sei cicli è un ottimo raggiungimento! Passando da un Chakra al successivo, noterai anche il cambiamento della vibrazione luminosa nella regione tra le sopracciglia. La pratica converge verso il percepire un meraviglioso stato di calma -- Prana statico -- in ciascun Chakra. Gioirai di una particolare sensazione di immobilità fisica; essa sarà così forte che la spina dorsale ti sembrerà rigida come una barra d'acciaio.

• Facoltativamente, puoi estendere l'azione dell'Omkar Kriya alla corona. L'ellisse della corona, visto dall'alto, può essere idealmente diviso in 12 parti. Grazie ad una breve inspirazione, solleva idealmente il Chakra Muladhara nella corona della testa, sopra la zona occipitale, a destra (nella parte "1" della figura 5). Adesso dimentica il respiro ma mantieni l'energia in tale punto.

Ripeti mentalmente Om, Om, Om, Om ... ruotando entro la parte "1" della corona proprio come hai fatto col Muladhara. Nello stesso modo solleva il secondo Chakra nella parte "2" della corona. Ruota in tale luogo la sillaba associata Na, Na, Na, Na ... e approfondisci l'esperienza. È chiaro come la stessa procedura è ripetuta per gli altri Chakra (3, 4, 5, Bindu, midollo allungato, 5, 4, 3, 2 e 1) attivando così tutte le parti della corona. Dopo due o tre cicli completi una beatitudine improvvisa si manifesta e uno non riesce a cantare mentalmente più nulla. La procedura termina nell'assorbimento estatico.

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Figura 6. Corona della testa vista dall'alto

Terzo Kriya - parte 2. Micro Thokar Dopo aver inspirato (con Om, Na, Mo...) e sollevato il Prana nella parte superiore dei polmoni, mantieni i polmoni come quando stai per cominciare una nuova inspirazione. Con uno stato d'animo molto rilassato, comincia a ruotare la testa -- ma stai attento di fare movimenti lievi! Rispetto ai movimenti del livello evoluto del Thokar, diminuisci ulteriormente la dinamica dei movimenti della testa. Consideriamo la fontanella come un punto, esso traccerà un cerchio di non più di 2 - 3 centimetri di diametro. Ci potrà essere anche un leggero ma visibile movimento oscillatorio del corpo (torso) che accompagna il movimento della testa.

Trasferisci in testa le ripetizione di Te, Va, Su. Ci sono tanti modi per farlo: una semplice procedura è: pensare Te nel lobo sinistro del cervello, Va nel lobo destro (dopo un breve momento in cui divieni consapevole della regione occipitale) e Su nella parte frontale della testa, colpendo leggermente la regione tra le sopracciglia. Mentre pensi Su, puoi aver un piccolo (fisicamente quasi invisibile) sobbalzo. Ripeti varie volte. Espira ed inspira, riprendendo la rotazione della testa. Mentre parte della tua consapevolezza rimane in testa, cerca, simultaneamente, di essere consapevole del quinto Chakra. Trasferisci le ripetizioni di Te, Va, Su nel quinto Chakra. Pensa "Te" quando ti muovi a sinistra, "Va" quando ti muovi a destra, "Su" quando c'è un piccolo colpetto nel centro del quinto Chakra. Sposta l'attenzione sul quarto Chakra e ripeti la procedura. Ripetila nel terzo Chakra ... e così via ( 2, 1, 2, 3, 4, 5, 4, 3, 2, 1, 2 ..... su e giù lungo la spina dorsale diverse volte, facendo i movimenti sottili finché raggiungi la perfetta immobilità.

Puoi, ma non sei obbligato, espirare ed inspirare tra un Chakra e un altro. Se hai padroneggiato il livello evoluto del Thokar, riuscirai a fare tutto il lavoro durante un unico respiro. Una buona pratica è quella che ti permette di notare come, stimolando un particolare Chakra, una particolare luce, di un particolare

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colore, diviene percepibile.

Due Procedure che Completano l'Azione del Micro Thokar

Prima ProceduraEstendere l'Azione Micro Thokar ai centri della testa

Inspira sollevando il Muladhara Chakra fino al midollo allungato. Trattieni il respiro. Il Micro Thokar è ora praticato entro il midollo allungato. Oscilla lentamente la testa a sinistra - destra - ritorna al centro, mantenendo il fuoco della concentrazione nel midollo allungato. Pensa (canta mentalmente) Te quando ti muovi a sinistra, Va quando ti muovi a destra, Su quando ritorni al centro e, per intensificare la percezione del midollo allungato, accenni col mento ad un piccolo sobbalzo. Ripeti tre volte, sempre trattenendo il respiro. Espira.

Figura 7. Localizzazione di alcuni importanti centri all'interno della testa

Ora solleva il secondo Chakra fino alla parte posteriore del cervelletto. Trattieni il respiro. Ripeti tre volte la procedura descritta sopra con Te, Va, Su, focalizzando l'attenzione sulla parte posteriore del cervelletto. Espira e scendi fino alla sede del terzo Chakra: inspira e sollevalo al ponte di Vairoli (per percepirlo, vieni in avanti dal cervelletto verso il centro della testa, sopra il midollo allungato ma due tre centimetri più avanti.) Trattieni il respiro. Ripeti tre volte la procedura descritta sopra con Te, Va, Su, focalizzando tutta la tua attenzione nel ponte di Vairoli. Espira e scendi fino al quarto Chakra. Inspira, sollevalo sopra il ponte di Vairoli nel punto che abbiamo indicato con "4" nella figura 7. Per percepire la sua sede oscilla leggermente la testa avanti e indietro. Senti una linea orizzontale che dal punto tra le sopracciglia viene indietro. In contemporanea senti la linea verticale che scende dalla fontanella. Questo centro è il punto di intersezione delle due linee. Quando sei sicuro di percepirlo, ripeti tre volte la procedura descritta sopra

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con Te, Va, Su. Espira e scendi fino alla sede del quinto Chakra. Inspira, sollevalo nel punto indicato con "5" in figura 7. Per percepirlo, oscilla leggermente la testa avanti e indietro. Senti una linea orizzontale che dal Bindu viene orizzontalmente in avanti. In contemporanea senti la linea verticale che scende dalla fontanella. Questo centro è il punto di intersezione delle due linee. Ripeti in quel punto tre volte la procedura descritta sopra con Te, Va, Su. Espira e scendi fino al midollo allungato. Inspiralo e ponilo idealmente nel Bindu. Ripeti ivi tre volte la procedura descritta sopra con Te, Va, Su. Espira e scendi nel punto tra le sopracciglia. Inspira solleva idealmente la regione tra le sopracciglia nella fontanella -- il punto che funge come da interruttore alla coscienza del settimo Chakra. Ripeti ivi tre volte la procedura descritta sopra con Te, Va, Su.

Espira dalla fontanella al punto tra le sopracciglia. Inspira. Espira dal Bindu al midollo allungato. Inspira. Espira dal punto "5" al Chakra cervicale. Inspira. Espira dal punto "4" al quarto Chakra. Inspira. Espira dal ponte di Vairoli al terzo Chakra. Inspira. Espira dal cervelletto al secondo Chakra. Inspira. Espira dal midollo allungato al Muladhara. Ripeti tutto questo maxi processo dall'inizio, rendendo i movimenti più sottili finché raggiungi la perfetta immobilità -- nel corpo, mente e respiro.

Seconda ProceduraUtilizzare il Micro Thokar all'Interno del Pranayama con respiro breve

Il Pranayama col respiro breve è un meraviglioso insegnamento dove si pone in relazione ciascun respiro con un Chakra diverso. Non è superfluo ricordare che quando si pratica correttamente, se ponete il dito sotto entrambe le narici, il respiro che entra ed esce non toccherà il dito. Il respiro è quasi impercettibile e sul punto di scomparire. Ora stiamo per sperimentare lo stesso esercizio aggiungendo la percezione di un lieve, esile movimento oscillatorio entro ciascun Chakra.

Concentra l'attenzione sul Muladhara Chakra. Vibra (pensa con enfasi) "Te Va Su" nel Muladhara. Fallo una volta sola. Cerca di sentire che "Te Va Su" crea un movimento oscillatorio entro il Muladhara. Quando diventa naturale fare una breve inspirazione, inspira quanto è necessario, fermati un istante e concentrati sul secondo Chakra. Trattieni il respiro delicatamente e vibra "Te Va Su" nel secondo Chakra. Esala un respiro breve, concentrati sul Muladhara, vibra "Te Va Su" nella sua sede. Quando viene naturale per te, inspira un respiro breve e concentrati sul terzo Chakra. Trattieni il respiro delicatamente e vibra "Te Va Su" nel terzo Chakra. Esala un respiro breve, concentrati sul Muladhara, vibra "Te Va Su" nella sua sede.

Continua in tal modo, ripeti la procedura tra il Muladhara e il quarto Chakra, Muladhara e il quinto Chakra (poi Bindu, midollo allungato, quinto, quarto, terzo e secondo Chakra). Un ciclo è fatto di 10 respiri brevi. Ripeti più di un ciclo, aumentando la tua concentrazione finché il tuo respiro è quasi inesistente. Soffermati in Anahata Chakra, ripeti in quel luogo "Te Va Su" tante, tante volte, finché percepisci luce sia in Anahata Chakra che nel punto tra le sopracciglia. Questa è la condizione migliore per realizzare lo stato senza respiro.

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Questa procedura ti da l'abilità di toccare il nucleo più intimo di ciascun Chakra. Pensare, cantare mentalmente "Te Va Su" nella sede di un Chakra non è come pensare qualsivoglia altro Mantra. Esso ti richiama tutto quanto hai imparato col Thokar. Quando il respiro si fermerà come per miracolo, capirai perchè Garcia Lorca disse: "no me pidáis que lo explique. Tengo el fuego en las manos".

PROCEDURA EVOLUTA CONOSCIUTA COME "QUARTO KRIYA"

Quarto Kriya. Omkar Gayatri KriyaPrima di poter praticare correttamente Omkar Gayatri Kriya è necessario aver raggiunto lo stato di assenza di respiro. Dopo questo, è necessario aver raggiunto lo stato di Antar (interiore) Kevala Kumbhaka.

Copiamo qui le istruzioni specifiche che abbiamo già condiviso nel capitolo 7:

"Dopo aver raggiunto lo stato di assenza di respiro per mezzo di qualsivoglia procedura, inspira profondamente riempiendo i polmoni. Espandi la gabbia toracica e mantienila espansa dopo aver completato l'inspirazione. Cerca di rimanere nella stessa condizione che adotti istintivamente quando stai per inspirare un altro sorso di aria. Concentrati sull'aria e il Prana che riempiono la parte superiore della gabbia toracica: essi sono immobili, come congelati. Vai oltre il pensiero di respirare. La leggera tensione nei muscoli della gabbia toracica impedisce di espirare.

Questo stato non è stabile: dopo un po' di secondi è probabile che tu senta la necessità di respirare. Per raggiungere uno stato stabile, devi entrare con la consapevolezza nel sottile canale della spina dorsale. Concentrati perciò sul Muladhara e comincia a cantare mentalmente Om Om Om ... tante volte, veloce. Sali come un formichina attraverso il canale più interno della spina dorsale (non rimanere concentrato sul Muladhara per più di un paio di secondi). Sali millimetro dopo millimetro continuando a ripetere mentalmente Om Om Om... (ed evitando ovviamente di respirare). Dopo non più di 15-20 secondi avrai raggiunto il Chakra del cuore. Ora percepirai una più profonda e più stabile libertà dal respiro. Ciò ti arreca un incomparabile senso di pace. Se, rimanendo concentrato sul Chakra del cuore e sull'aria e sul Prana che riempiono la gabbia toracica, percepisci questa pace e il respiro non esiste più, ciò significa che sei pronto al passo successivo -- altrimenti puoi ripetere l'azione di inspirare ed espandere la gabbia toracica."

Rimanendo nello stato di Antar (interiore) Kevala Kumbhaka, solleva idealmente il Chakra Muladhara nel punto tra le sopracciglia per essere qui visto come una "luna" brillante. 10 Con l'attenzione sia nel punto tra le sopracciglia che nella

10 Questa luna è grande tanto da far sì che la luce del Kutastha possa contenere sei "lune", una sopra l'altra. Se il Kutastha è visualizzato come un cerchio, considera che stai per ricreare tutta la spina dorsale con sei Chakra in questo cerchio. Visualizza dunque il Muladhara nella parte inferiore di questo cerchio.

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sede del primo Chakra, vibra mentalmente il Mantra Om Bhur tre volte. Qualcosa come un gentile tocco - sia nel punto tra le sopracciglia che nella sede del Chakra - è percepito con ciascuna ripetizione del Mantra. Poni l'attenzione sul Chakra successivo dove la stessa procedura è ripetuta. La posizione del secondo Chakra nella luce del Kutastha sarà un po' più in alto di quella del primo Chakra. Om Bhuvah è usato per il secondo Chakra, Om Mahah per il terzo, Om Swaha per il quarto, Om Janah per il quinto, Om Tapah per il midollo allungato. Om Satyam è cantato mentalmente tre volte nel Bindu. (Il Bindu non è portato nel punto tra le sopracciglia.) Adesso si inverte l'ordine ( Om Tapah nel midollo allungato, Om Janah nel cervicale.... infine Om Bhur è vibrato mentalmente tre volte nel Muladhara. Questo è un ciclo: le istruzioni dicono di praticarne 12 ma se sei capace di non perdere la concentrazione, sarai travolto ben prima di completare i 12 cicli da uno stato di profonda estasi!

Il Kechari Mudra permette ad una persona di volare nello "spazio interiore." "Ke-chari" è tradotto letteralmente come "lo stato di coloro che volano nel cielo, nell’etere". Un particolare "spazio" si viene a creare nella regione tra la punta della lingua e il punto tra le sopracciglia ed è percepito come un "vuoto", sebbene non sia un vuoto in senso fisico. Immergendosi in questo spazio vuoto, un kriyaban percepisce i ritmi di ciascun Chakra ed è capace di distinguerli uno dall'altro.

Figura 8. Sei Chakra sollevati nel Kutastha

Alcune osservazioni sul Gayatri Mantra

La struttura di questa tecnica è ben nota in India ed è considerata il più sottile tra i metodi di utilizzare il Gayatri Mantra. Con leggere varianti e ulteriori aggiunte rituali è pubblicata in alcuni libretti. La particolarità dell'uso di questa tecnica nel Kriya di Lahiri Mahasaya è la sua pratica nello stato di assenza di respiro.

Il Gayatri Mantra è considerato essere il veicolo supremo per ottenere l’illuminazione spirituale. La sua forma più pura è Tat Savitur Varenyam Bhargho Devasya Dhimahi Dhiyo Yonaha Prachodayat. (Oh grande Luce Spirituale che hai creato l'Universo noi meditiamo sulla Tua gloria. Sei l'incarnazione della Conoscenza. Sei Colei che elimina l'Ignoranza. Possa Tu

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illuminare il nostro Intelletto e risvegliare la nostra Coscienza Intuitiva.) Questo Mantra è preceduto o da una breve o da una lunga invocazione. L’invocazione breve è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha. I termini Bhur, Bhuvah, Swaha sono delle invocazioni per onorare i piani di esistenza (fisico, astrale e causale) e rivolgersi alle divinità che presiedono ad essi. La lunga invocazione è: Om Bhur, Om Bhuvah, Om Swaha, Om Mahah, Om Janah, Om Tapah, Om Satyam. Quest’invocazione è più completa in quanto riconosce che ci sono più livelli di esistenza: i sette Loka. Mahah è il mondo mentale, il piano dell’equilibrio spirituale; Janah è il mondo della pura conoscenza; Tapah è il mondo dell'intuizione; Satyam è il mondo della Verità Assoluta, Finale. Possiamo essere soddisfatti dalla spiegazione secondo la quale questi sono i sette suoni che attivano i nostri Chakra e li mettono in contatto con i sette grandi regni spirituali dell’esistenza.

Nella nostra procedura usiamo solamente l’invocazione completa, non tutte le componenti del Gayatri Mantra. La tradizione Kriya che stiamo qui seguendo associa al Manipur Om Mahah e all’Anahata Om Swaha. Il motivo di ciò è da ricercarsi nel fatto che il mondo del pensiero, evocato da Om Mahah s'addice più alla natura del terzo Chakra, mentre il mondo causale delle idee pure, evocato da Om Swaha è in relazione con Anahata Chakra. Per concludere noi associamo un Mantra a ciascun Chakra nel modo seguente: Muladhara - Om Bhur; Swadhistan - Om Bhuvah; Manipur - Om Mahah; Anahata - Om Swaha; Vishuddhi - Om Janah; Medulla - Om Tapah; Bindu - Om Satyam.

Alcune osservazioni tecniche

[1] Questa pratica non dovrebbe essere interrotta da eventi esterni, altrimenti un kriyaban sarà disturbato ad un livello pranico e difficilmente recupererà lo stato senza respiro durante quella sessione.

[2] All'inizio di questa pratica, cercando di percepire un ritmo interiore, puoi compiere una lieve oscillazione della testa da sinistra a destra e viceversa. L'estensione dell'oscillazione non è più ampia di quattro centimetri da sinistra a destra e viceversa. L'oscillazione della testa è eseguita facoltativamente durante uno o due cicli, poi il corpo si stabilisce nella perfetta immobilità. Non c'è nessun motivo di essere contrariato se, essendoti "perso per strada", scopri di aver passato tutto il tempo in un Chakra, dimenticando di spostarti nel successivo.

[3] Di solito, procedendo, si manifesta anche lo stato del fermarsi dei battiti del cuore, ma il kriyaban non ne è consapevole eccetto che in un modo indiretto: un aumento di gioia e rigidità in tutto il corpo. Non ci si agita per questo, altrimenti l'esperienza finisce.

[4] Dopo mesi di applicazione del metodo appena descritto, un giorno scoprirai che il canto del Mantra prosegue più di tre volte. Il Tattwa che è in relazione con un Chakra ti ha catturato. Il punto tra le sopracciglia è una regione dove puoi aprire il sigillo di ciascun Chakra e sperimentare il Tattwa che è in relazione con

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esso. Sperimenterai una sensazione meravigliosa. È un senso di immobilità e leggerezza, come se il corpo fosse fatto di aria. La propria consapevolezza è situata pienamente in quel Chakra che è percepito come una grande sfera luminosa. Circa trenta sei ripetizioni di quel Mantra sono eseguite. Questa esperienza è rivissuta nel prossimo Chakra ... e così via. C'è un unico "sollevamento". Alla fine uno rimane più a lungo nella luce del Kutastha.

Come Concepire una Buona Routine che Contenga i Kriya superiori

Avendo così tante tecniche a nostra disposizione, quale criterio può aiutarci a concepire una routine razionale, che funzioni? Praticare ogni giorno tutti i Kriya superiori è idealmente possibile ma, in pratica, goffo e dispersivo. I Kriya superiori dovrebbero sempre cooperare a stabilire un fondamento di armonia e di calma. I buoni effetti di pace, gioia interiore, calma del respiro e ascolto dei suoni interiori dovrebbe sempre aumentare. Se noi produciamo e accettiamo la situazione opposta, significa semplicemente che abbiamo momentaneamente perso di vista la meta del Kriya.

Per evitare questo è bene ricollegarci a quanto discutemmo nel capitolo 7. Introducemmo un criterio per creare una routine razionale. Esso si basava sul dividere idealmente il lavoro per ciascun nodo in due parti: un'azione forte (Formale) e una sottile (Informale). Organizzammo la routine nel modo seguente:

F4; F3; F1 + I1; I2; I3; I4 [F=parte formale; I=parte informale]

Ora possiamo considerare:

F4; F3; F2; F1 + I1; I2; I3; I4

in quanto abbiamo imparato come applicare una forte azione sul nodo del cuore: Thokar! Thokar è F2.

Comunque, siccome la pratica del Thokar funziona meglio dopo il Kriya Pranayama, una routine molto buona è:

F4; F3; F1 + I1; F2 (Thokar); I2; I3; I4

Ci resta da chiarire come si può interpretare I2, I3 e I4.

I2. Dopo il Thokar, è bello spendere molto tempo o con la seconda parte del Kriya Pranayama o con l'Omkar Kriya per viaggiare entro la spina dorsale e lasciare che la loro dolcezza ti immerga nella Bellezza.

I3. L'oasi di calma e di abbandono vissuta durante la fase I2 non dovrebbe essere interrotta solo a causa della smania di passare alla fase I3. Sappiamo che I3 è costituito da una qualsivoglia variante del Navi Kriya, purché non disturbi

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seguita da una (o da entrambe) le tecniche del Terzo Kriya. Ma potrebbe accadere che con la sola pratica di Omkar Kriya si ottenga l'assenza di respiro. Se questo avviene oppure state ascoltando beatamente i suoni interiori, dimenticate I3, dimenticate il nodo dell'ombelico -- verrà sciolto automaticamente come effetto corollario dello stato di assenza di respiro.I4. Le procedure di I4 descritte alla fine del capitolo precedente non disturbano. Se non avete raggiunto lo stato di assenza di respiro, praticate il Pranayama col respiro breve. Se avete raggiunto lo stato di assenza di respiro, praticate la meravigliosa tecnica dove inspirate profondamente, riempite la parte alta della cassa toracica con Prana e poi cercate di trasformare lo stato di assenza di respiro nello stato di Samadhi. Se avete a disposizione il tempo necessario, potete tuffarvi nella rarefatta atmosfera della tecnica del Quarto Kriya.

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APPENDICE AL CAP. VIII: UNA IMPORTANTE VARIANTE DEL THOKAR BASATA SUL MOVIMENTO INTERIORE TRIBHANGAMURARI

È giusto riservare uno spazio per descrivere come una scuola di Kriya concepisce la pratica del Thokar in un modo molto particolare. L'insegnamento centrale è guidare la consapevolezza lungo un percorso a tre curve detto Tribhangamurari (Tri-vanga-murari = tre-curva-forma). Questo sentiero incomincia in Bindu, piega a sinistra, scende nella sede del Rudra Granthi (la regione che va dal midollo allungato al Bhrumadhya tra le sopracciglia), ci passa attraverso e prosegue verso il lato destro del corpo. Raggiunto un punto nella schiena (circa 2-3 centimetri più in su dell’altezza del capezzolo destro), inverte la direzione tagliando il Vishnu Granthi la cui sede è nel Chakra del cuore. Dopo aver raggiunto un punto nella schiena che è 2-3 centimetri più in basso dell’altezza del capezzolo sinistro, cambia di nuovo direzione e punta verso la sede del Brahma Granthi nel Muladhara. (Vedi figura 09).

Figura 09. Movimento interiore Tribhangamurari

PRIMA PARTE: UCCHA KRIYA

Amantrak [detto anche "Secondo Kriya"]Dopo la pratica del Kriya Pranayama, dimentica completamente il respiro. Lascia che la tua consapevolezza salga lungo la colonna spinale: mezzo minuto è richiesto per raggiungere il Bindu. Poi la tua consapevolezza discende attraverso il percorso sopra illustrato con tre curve. Lo stesso tempo è richiesto per scendere. Un giro completo dura quindi un minuto, ma se avviene che esso è più

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breve, diciamo 45/50 secondi, questo non significa che hai praticato troppo in fretta. Per due settimane ripeti questa tecnica 25 volte al giorno, una seduta al giorno. Poi per altre due settimane la ripeti 50 volte .... e così via fino a 200 volte per due settimane.

Questa prima fase Amantrak è sicuramente la più difficile da sostenere, perché non è aiutata da alcun Mantra e si svolge nella immobilità -- non ci sono i movimenti del mento a guidare il flusso dell'energia; in compenso, in questa immobilità si può costruire e sperimentare un enorme potere.

È importante sentire quello che si sta facendo. La salita dell'energia verso la parte superiore della testa (evento che è la meta del Kriya Yoga) incontra tre grandi ostacoli. Noi siamo abituati a considerarne due: [1] quello che blocca l'entrata nella spina dorsale (è per questa regione che cominciamo la nostra routine col Maha Mudra) e [2] i disturbi creati dal plesso del cuore (quante volte esso rovina le migliori esperienze meditative creando un improvviso aumento della frequenza del polso, come se fossimo spaventati a morte!). Raramente consideriamo l'ultimo ostacolo: la netta separazione tra le regioni appartenenti al sesto e al settimo Chakra. La coscienza che è in sintonia con Ajna Chakra e dimora nell'area tra il midollo allungato e il Bhrumadhya (il punto tra le sopracciglia) non riesce a salire facilmente nella parte superiore della testa, sede della Tranquillità Eterna.

Ebbene, quello che succede con questa tecnica Amantrak è semplicemente meraviglioso. Scendendo lungo il percorso a tre curve, tu non "accarezzi" il midollo allungato, ci passi attraverso, lo tagli via. Ripetendo la procedura, logori questo nodo e rendi più libera la strada per la salita dell'energia. Stessa cosa avviene col nodo del cuore, il cui taglio da destra a sinistra è percepito in modo molto netto. Una analoga operazione avviene col nodo del Muladhara -- ogni volta che lo raggiungi da sinistra e cominci a salire entro il canale spinale.

Samantrak [detto anche "Terzo Kriya"]Dopo il completamento delle 200 ripetizioni, la percezione della corrente Tribhangamurari è intensificata cantando mentalmente le sillabe del Mantra...

Mentre Om, Na, Mo, Bha, Ga e Ba sono fatte vibrare nei primi cinque Chakra e in Bindu, Teeee è vibrato dal midollo al punto tra le sopracciglia ; Va, Su, De e Va sono poste fuori dalla spina dorsale nei quattro nuovi centri; Ya è vibrato nel Muladhara. Questi quattro nuovi centri sono quattro "vortici" nel flusso principale della corrente -- non sono un nuovo insieme di Chakra. Ciascuna sillaba quando viene fatta vibrare agisce come un Thokar mentale (colpetto) diretto nella posizione del relativo centro: siccome la tecnica è eseguita lentamente (mezzo minuto per sollevare la consapevolezza, lo stesso per scendere) c'è tutto il tempo per rendere questa stimolazione molto efficace.

Per due settimane, si ripete questa tecnica 25 volte; poi per altre due settimane, 50 volte... e così via fino a 200 volte. Dopo il completamento di questo numero si aggiungono i movimenti della testa.

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Thokar lungo il sentiero Tribhangamurari [detto anche "Quarto Kriya"]Cominciando col mento sul petto, muovi la tua consapevolezza molto lentamente lungo la colonna spinale partendo dal Muladhara e venendo in su. Il mento sale lentamente seguendo il movimento interiore; come al solito i Chakra sono toccati con le sillabe del Mantra (Om è posto nel primo Chakra, Na nel secondo...). Il movimento è caricato della massima possibile intensità mentale: come spremere con una matita un tubo quasi vuoto di dentifricio per farne uscire ciò che rimane. Le mani (con dita intrecciate) sono poste sull'area dell'ombelico così da spingere in su la regione addominale, creando così una pressione mentale sui primi tre Chakra. Quando il mento è parallelo al terreno, la percezione è nel Bindu.

Senza girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi la testa si piega un po' indietro e, tracciando un arco, comincia a muoversi verso la spalla destra; ma si ferma nel mezzo dove il mento è sollevato il più possibile. I muscoli dietro al collo sono contratti. Durante questo movimento, il flusso Tribhangamurari discende dal Bindu al midollo allungato restando sulla sinistra. Teeee è vibrato dal midollo allungato al punto tra le sopracciglia . Da quella posizione col mento in su la faccia si volge a destra (come quando si vuole guardare attentamente all'area alla nostra destra, più indietro possibile). Durante questo movimento (ricorda: il movimento è lento!), il flusso interno Tribhangamurari raggiunge l'ottavo centro. Il mento è sopra la spalla destra; da tale posizione la tocca per un istante (questo è il primo di cinque colpi; la spalla pure fa un piccolo movimento verso il mento per rendere il contatto più facile) mentre la sillaba che Va è vibrata nell'ottavo centro. Poi la faccia comincia a girare molto lentamente verso sinistra accompagnando - millimetro dopo millimetro - la percezione del flusso interno che si muove attraverso il quarto Chakra. La faccia si volge a sinistra (come quando si vuole guardare attentamente all'area alla nostra sinistra, più indietro possibile). Il secondo colpo avviene sul lato sinistro quando la sillaba che Su è vibrato nel nono centro. Poi il mento, sfiorando la parte sinistra della clavicola, si muove lentamente verso la posizione iniziale ciò verso il centro del petto. Ma durante tale movimento - proprio quando le sillabe De e Va sono pensate nel decimo e undicesimo centro - due colpetti sono assestati sulla clavicola in posizioni intermedie. In fine, quando Ya è posto nel Muladhara, l'ultimo colpo del mento sul petto (posizione centrale) è assestato. Questa procedura è ripetuta 12-36 volte. Come nella tecnica precedente, mezzo un minuto è richiesto idealmente per sollevare la consapevolezza, lo stesso tempo è richiesto per lasciare che la tua consapevolezza discenda attraverso il percorso di Tribhangamurari. Se impieghi 45/50 secondi, va bene lo stesso.

La supervisione di un esperto aiuta ad evitare problemi - intendo problemi fisici di sforzo eccessivo e di dolore nelle vertebre cervicali e nei muscoli del collo. Movimenti bruschi dovrebbero essere evitati; è possibile usare al loro posto una grande intensità mentale di concentrazione nel momento in cui ciascuna delle ultime cinque sillabe è pensata. Durante le prime settimane

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conviene praticare non ogni giorno ma ogni due o tre giorni.

Figura 10. Thokar - Tribhangamurari

A questo punto uno comincia la routine ad incremento progressivo del Thokar praticando (rigorosamente non più di un giorno alla settimana) le dosi seguenti: 36x1, 36x2, 36x3,….. 36x35, 36x36. Questa è veramente una impresa colossale. Un minimo di 8-10 mesi sono richiesti per completarla; ma di solito il tempo richiesto è maggiore.

Alcune osservazioni sull'Uccha Kriya

Questa forma Tribhangamurari nonché percorso energetico interiore è un simbolo del Kriya Yoga perché mostra il taglio dei tre Granthis principali. È anche un simbolo di Sri Krishna. La sua forma, come dipinto nell'iconografia, è anche una forma con tre curve: il suo collo, gambe e schiena sono tenute in una posizione particolare che chiaramente delinea queste tre curve. Una frase attribuita a Lahiri Mahasaya è: "Per fare di questo corpo un Tribhangamurari ovvero per renderlo simile a Krishna, tre nodi devono essere tagliati." Ricordate questo quando alcuni critici affermano che questa tecnica porta l'energia fuori del Sushumna.

Questo Thokar ti piacerà sempre e non ti deluderà mai. Ma la prima tecnica Amantrak è difficile da sostenere. Non ci sono i movimenti del mento a guidare il flusso dell'energia; in compenso, in questa immobilità si può costruire e sperimentare un enorme potere.

È importante sentire quello che si sta facendo. La salita dell'energia verso la parte superiore della testa (evento che è la meta del Kriya Yoga) incontra tre grandi ostacoli. Noi siamo abituati a considerarne due: [1] quello che blocca l'entrata nella spina dorsale (è per questa regione che cominciamo la nostra routine col Maha Mudra) e [2] i disturbi creati dal plesso del cuore (quante volte esso rovina le migliori esperienze meditative creando un improvviso aumento

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della frequenza del polso, come se fossimo spaventati a morte!). Raramente consideriamo l'ultimo ostacolo: la netta separazione tra le regioni appartenenti al sesto e al settimo Chakra. La coscienza che è in sintonia con Ajna Chakra e dimora nell'area tra il midollo allungato e il Bhrumadhya (il punto tra le sopracciglia) non riesce a salire facilmente nella parte superiore della testa, sede della Tranquillità Eterna.

Ebbene, quello che succede con questa tecnica Amantrak è semplicemente meraviglioso. Scendendo lungo il percorso a tre curve, tu non "accarezzi" il midollo allungato, ci passi attraverso, lo tagli via. Ripetendo la procedura, logori questo nodo e rendi più libera la strada per la salita dell'energia. Stessa cosa avviene col nodo del cuore, il cui taglio da destra a sinistra è percepito in modo molto netto. Una analoga operazione avviene col nodo del Muladhara -- ogni volta che lo raggiungi da sinistra e cominci a salire entro il canale spinale.

Tenete presente che durante i mesi di pratica di Amantrak, stati d'animo opposti si alternano. Passando attraverso il Chakra del cuore, il flusso Tribhangamurari pulisce molta sporcizia; questo è il motivo che spiega il suo particolare effetto di separarci momentaneamente dalla realtà. L'azione di questa tecnica diminuisce la condizione febbrile causata dalle emozioni superficiali, nutrita da certe energie che sorgono dai Chakra inferiori. Questo conduce ad un totale cambiamento della prospettiva da cui si guarda alla vita. L'attività onirica è molto coinvolgente, come se avessi vissuto un'avventura profondamente intrigante ed affascinante. In seguito ti troverai a vivere entro uno stato d'animo molto strano: durante il giorno ti senti senza entusiasmo; non c'è luogo dove ci si possa sentirsi a proprio agio e non c’è alcuna attività che dia soddisfazione. Nel passato, quando ti trovavi a camminare in campagna, sembravi assorbire la bellezza che sembrava diffondersi da ogni cosa che ti circondava; ora non ci sarà più nulla - ti senti estraneo a tutto. Per un mese intero ti piacerà restare a casa, come un convalescente. Aumentando il numero, quando ti avvicinerai alle 200 ripetizioni, ti sembrerà di star per esplodere! Questo accadrà ogni volta che l'energia, scendendo dal lato sinistro raggiungerà il Muladhara.

Samantrak sarà molto più facile e, direi, euforico. Purtroppo molti non comprendono che Samantrak non consiste nel pensare semplicemente le sillabe: si tratta di praticare Amantrak ovvero sentire l'intera corrente millimetro dopo millimetro più accendere una luce in ciascuno dei dodici centri (in realtà undici). Di grande aiuto è abbinare a questa pratica 200-300 Kriya Pranayama al giorno.

Gli effetti della routine incrementale del Thokar fino a 36x36 ripetizioni sono molto forti e possono essere definiti una profonda pulizia interiore. A chi ha il tempo e la volontà di completarla, la raccomando come la più grande impresa della vita.

Ma ricordate che prima di potenziare l'intensità della vostra percezione di questo movimento interiore fatta a forma di tre curve con la procedura del Thokar, è necessario percepirlo molte volte restando perfettamente immobile. Perciò non trascurate di raggiungere 200 ripetizione prima con Amantrak e poi con Samantrak.

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Thokar con occhi aperti

Fra i tanti miglioramenti che vengono spontanei praticando ce ne è uno in particolare i cui effetti psicologici sono tremendi. Quando questo tipo di Thokar è praticato con gli occhi aperti, l'effetto sulla attività onirica è notevole. Chi ha provato questo, si innamora della procedura e si propone di farla ogni giorno in piccole dosi. Alcuni la praticano di notte prima di addormentarsi. Questo è un modo privilegiato di dialogare con la nostra sfera inconscia.Per essere più chiari, la procedura è la seguente:Durante Om Na mo si solleva mento ed occhi dolcemente senza sobbalzi, spostando lo sguardo centimetro dopo centimetro verticalmente su quello che si trova davanti. Poi, con il Teee gli occhi si sollevano dolcemente e guardano quello che sta in alto. Dalla posizione col mento in su, la faccia si volge lentamente a destra. Gli occhi seguono il movimento e finiscono per guardare attentamente l'area alla tua destra, il più indietro possibile. Poi la faccia si volge molto lentamente a sinistra. Gli occhi seguono il movimento spostandosi orizzontalmente senza perdere alcun particolare di ciò che sta davanti e finiscono per guardare attentamente l'area alla tua sinistra, il più indietro possibile. Durante i quattro rimanenti colpi che vengono dati a sinistra, l'intensità del guardare diminuisce e lentamente le palpebre si chiudono. Negli istanti finali senti che ti stai addormentando. Se hai dei dubbi sugli effetti della procedura ti chiedo di praticarla una volta solo: percepirai gli effetti la notte stessa!

Thokar con trattenimento del respiro

Tutto avviene come nella fase precedente ma ora devi trattenere il respiro e devi essere leggermente più veloce. Mentre inspiri il mento si solleva come a seguire il movimento interno. Quando il mento è sollevato ed orizzontale, l'inspirazione finisce e la tua consapevolezza è in Bindu. Inspira dal Muladhara al Bindu sollevando il mento. Poi trattieni il respiro mentre pratichi tutti i movimenti descritti sopra facendo vibrare Teeee, Va, Su, De, Va, Ya nei punti prescritti. Nel Muladhara fai pausa di circa un secondo prima di incominciare la espirazione. Durante l'esalazione senti la corrente che si diffonde dal Muladhar, attraversando ciascun Chakra su fino al midollo allungato, Bindu e Fontanella. Questa procedura è ripetuta 12-36 volte. Non ho notizie su una possibile routine incrementale ma penso che noi possiamo usare lo stesso schema (12 + 6 + 6 ....) che abbiamo incontrato nella forma base del Thokar.

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SECONDA PARTE: PURNA KRIYAQuesta scuola designa come Purna Kriya (Purna significa "completo") l'esperienza del movimento Tribhangamurari in piccole dimensioni entro ciascun Chakra, Bindu, midolla allungato e negli altri quattro centri localizzati lungo il flusso Tribhangamurari, al di fuori della spina dorsale -- quelli collegati alle sillabe (Va, Su, De, Va.)

Percepire un movimento all'interno della perfetta quiete - cosa impossibile da afferrarsi intellettualmente - ha un enorme impatto sulla capacità del kriyaban di sciogliere la sua piccola individualità nel più grande Sé. Questa esperienza è la via più sicura verso la realizzazione del Sè. Solo poche scuole di Kriya hanno svelato la natura di questo micromovimento e rivelato la sua importanza. Purtroppo molti cercano freneticamente impossibili surrogati di tale esperienza.

Micro movimento senza Mantra [detto anche "Quinto Kriya"]Solleva il Muladhara Chakra nel punto tra le sopracciglia tramite una breve inspirazione. Quando la presenza dell'energia è sentita chiaramente nel punto tra le sopracciglia, guarda "in giù" verso il Muladhara Chakra - visualizzato come un disco orizzontale o moneta con un diametro di circa 2-3 centimetri. Il tuo respiro è molto calmo e libero. Disegna sul disco del Chakra la forma del movimento Tribhangamurari in piccole dimensioni -- simile a quello che abbiamo già provato in grandi dimensioni.

Se ciò non disturba fai un debole movimento della spina dorsale (avanti, sinistra, destra, sinistra, centro). La stessa procedura avviene in ognuno dei dodici centri (i primi cinque Chakra + Bindu + midollo allungato + i quattro centri fuori della spina dorsale + Muladhara). Questo è un percorso completo: di solito la tecnica è ripetuta dodici volte.

Figura 11. Micro movimento Tribhangamurari entro un Chakra

Quando ti sei familiarizzato con questa procedura, cerca di essere consapevole che tramite questo micro movimento, tu puoi annientare ogni forma di dualità che vieta alla tua coscienza di contattare il nucleo di un Chakra e quindi ottenere la sua apertura.

La natura di ciascun Chakra presenta due aspetti, uno interno ed uno esterno. L'essenza di un Chakra, il suo aspetto interno, è una vibrazione di "luce" che attrae la

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tua coscienza verso l'alto, verso lo Spirito. L'aspetto esteriore di un Chakra è una "luce" diffusa che ravviva e sostiene la vita del corpo fisico. Noi entriamo in sintonia con la componente interiore di un Chakra ponendo la coscienza idealmente nella parte dietro del Chakra stesso. Spostando la coscienza in avanti noi contattiamo la parte esteriore del Chakra. Inoltre, sul lato sinistro di un Chakra fluisce Ida, mentre sul lato destro fluisce Pingala. Ora, durante il micro movimento, dalla componente posteriore di un Chakra tu vieni in avanti verso la componente anteriore; oscillando a sinistra, a destra e di nuovo a sinistra, tu tocchi le sue parti laterali influenzate dalla dualità di Ida e Pingala; ma allo stesso tempo, tu ritorni dalla componente anteriore di nuovo a quella posteriore. Tu ritorni al punto di partenza avendo compiuto un viaggio dalla parte interna di un Chakra alla sua parte esterna e di nuovo alla sua parte interna. Con questa azione, ripetuta tante e tante volte, tu entri sempre più profondamente nella natura intima di un Chakra. Tanto più sei consapevole di questo mentre pratichi la tecnica del micromovimento, tanto più velocemente entri nel cuore del Chakra stesso.

Micro movimento con Mantra [detto anche "Sesto Kriya"]Dimentica il respiro. In qualunque Chakra ti concentri (può essere un Chakra o uno dei nuovi centri fuori della spina dorsale) se pronunci mentalmente le sillabe "Om-Na-Mo-Bha-Ga-Ba-Te-Va-Su-De-Va-Ya" percepirai qualche cosa che si muove, che oscilla in esso. Le sillabe sono come piccole "spinte" o "pulsazioni." Durante uno percorso percepirai questo micro movimento 36 volte (3x12). Da quattro a sei giri completi sono raccomandati. La durata di un giro è determinata dalla velocità del canto del Mantra. Per molte persone il canto del Mantra e, di conseguenza, il micro-movimento dura approssimativamente 10-12 secondi. La raccomandazione di Lahiri Mahasaya era "Non abbiate fretta!".

Una routine ad incremento progressivo che regala profonde esperienze si ottiene percependo, nel primo giorno, il micro-movimento 12 volte in ognuno dei 12 centri -- un solo giro completo. Dopo una settimana, durante il secondo giorno della routine ad incremento progressivo, il micro movimento è percepito 24 volte in ciascuno dei 12 centri -- solo un giro completo. Poi 36 volte in ciascun Chakra/centro...L'aumento è di 12 in 12, fino all'ultimo numero 12x12, che è fattibile in un giorno. Questo vuole dire che l'ultimo giorno percepisci 144 micro movimenti nel primo Chakra, 144 nel secondo... e così via.

La più difficile di tutte le routine incrementali, adatta a quelli che si sono ritirati in pensione, è la seguente. Nel primo giorno, il micro-movimento è percepito 36 volte in ognuno dei 12 centri. Uno ha un totale di 36x12 percezioni del micro movimento micro - un giro. Dopo una settimana uno percepisce 36x2 = 72 volte (72 volte nel primo Chakra, 72 nel secondo ... e così via). Dopo alcuni giorni, l'ammontare è 36x3 in ciascun Chakra....

Ad un certo punto, un intero giorno non è sufficiente a completare il "giro". Il carico di lavoro deve essere diviso in due giorni. Nella mattina del secondo giorno, la tecnica è ripresa esattamente, dove era stata interrotta la notte precedente. Dopo questi due giorni di pratica, potreste aver bisogno di riposare non solo per alcuni giorni ma anche per settimane.

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Ad un certo punto, una singola tappa richiederà tre giorni, poi quattro e così via. Il finale 36x36 richiederà una settimana o anche di più per essere completato! Questa routine incrementale rappresenta un gigantesco raggiungimento, nondimeno un kriyaban dovrebbe concedersi la gioia, il privilegio di procedere lentamente. Scivolare in una pratica affrettata non porta a nulla. Una particolare gioia emana dal Chakra in cui dimora la consapevolezza. Uno dovrebbe aspettare intenzionalmente che si produca un particolare senso di gioia dopo ciascuna ripetizione del Mantra. Durante ogni tappa, è saggio mantenere il silenzio, evitando qualsivoglia opportunità di conversazione. Comunque, l'uso del buon senso dovrebbe sempre prevalere; se uno si rivolge a noi, una gentile risposta è sempre d'obbligo.

Una nota sul Mahasamadhi

Questa routine ad incremento progressivo è un'ottima preparazione per la cosciente uscita dal corpo al momento della morte (Mahasamadhi). Si spiega che esso esaurisce la necessità di reincarnarsi. Come lo Yoni Mudra caratterizza l'ultimo momento del giorno quando, avendo concluso tutte le attività, un kriyaban sottrae la sua consapevolezza dal corpo e dal mondo fisico - una "piccola morte", per così dire - la procedura intensiva prima descritta è come un Yoni Mudra in più grandi dimensioni, un addio alla vita, un ritorno all'origine. In questo modo uno "muore per sempre": muore ai propri desideri, alla propria ignoranza. Secondo questa tradizione, il meccanismo della morte viene invitato (al momento opportuno) calmando respiro e cuore ed immergendosi profondamente nella realtà Omkar.

Nei mesi che precedono tale momento – l'intuizione guida il kriyaban progredito a CAPIRE quando tale momento si avvicina - uno dovrebbe praticare estensivamente questa tecnica. È raccomandato di percepire il micro movimento nel punto tra le sopracciglia 36x48 per ogni centro. Questo vuole dire percepire un totale di 20736 micro-movimenti. Siccome è possibile completare ciò con ragionevole facilità in un periodo di 24 giorni, si può presumere che esso sia ripetuto più di una volta. Non è sicure che, nel momento della morte, un kriyaban esegua la tecnica del Thokar. Possiamo presumere ragionevolmente che non sia sempre possibile compiere il movimento fisico del Thokar. Essere consapevoli del punto tra le sopracciglia può essere l'unica cosa possibile: è possibile che uno vi faccia vibrare il suo Mantra preferito e si immerga nell'Infinito. Sperimentare ciò, è la nostra ardente speranza e determinazione.

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ALTRE VARIANTI DELLA TECNICA THOKAR

Dopo aver presentato la tecnica del Thokar nel capitolo 8 e discusso in questa appendice la più importante tra le sue varianti, che bisogno c'è di accennare ad altre varianti? La ragione è che non ho mai smesso di chiedermi da dove sia scaturita la variante Tribhangamurari del Thokar. Alcuni affermano che il percorso Tribhangamurari è una realtà universale presente in ciascun uomo, esistente in modo indipendente dai nostri sforzi di percepirla. Secondo questo assai suggestivo punto di vista coloro che hanno scoperto questa variante Tribhangamurari non hanno fatto altro che guardare dentro di loro, percepire un fenomeno naturale ed escogitato in modo molto intelligente un metodo per intensificarlo. Questa idea non si può certo contestare. Per quel che mi riguarda, credo che il Thokar Tribhangamurari sia scaturito dalla variante che sto per presentare che è una maniera ben nota di praticare il Dhikr dei Sufi.

Variante del Thokar che sembra legata al Thokar TribhangamurariL'inspirazione avviene come nella forma base del Thokar. Il mento si solleva...

Om, Na, Mo, Bha, Ga e Ba nel Bindu. Poi il respiro è trattenuto. Senza girare la faccia, la testa si muove verso la spalla sinistra, poi va un po' indietro e, tracciando un arco, comincia a muoversi verso la spalla destra. Ciò viene eseguito solo a metà: la testa si ferma nel mezzo dove il mento è sollevato tanto quanto è possibile. Nel frattempo, l'energia è scesa dal Bindu al midollo allungato, non seguendo una linea verticale ma curvando a sinistra. Quando il mento è in su, cantando Teeee, la coscienza viene iniettata come una freccia nel punto tra le sopracciglia. Kutastha illumina la parte frontale della testa. (Durante questa azione, Mula Bandha può essere aggiunto -- se ciò non disturba.)

Figura 12. Flusso interiore della corrente che va a colpire i primi quattro Chakra

Da questa posizione col mento in su e continuando a trattenere il respiro la faccia si volge a destra (come quando si vuole guardare attentamente all'area alla nostra destra, più indietro possibile) e poi a sinistra (come quando si vuole guardare attentamente all'area alla nostra sinistra, più indietro possibile). Durante questo movimento si

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percepisce il quinto Chakra cantando mentalmente la sillaba Va in esso. Poi, dalla posizione a sinistra, il mento colpisce il centro del torace (come nella forma base del Thokar) e la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore. (Se avete praticato il Mula Bandha, ora rilassatelo.) Espirando, le restanti sillabe De, Va e Ya sono poste rispettivamente nel terzo, secondo e primo Chakra. La procedura è ripetuta almeno 12 volte.

Questa forma di Thokar può essere estesa a tutti i Chakra. Dopo che la sillaba Su è vibrata nel Chakra del cuore, continuando a trattenere il respiro, un altro simile movimento del mento in diagonale da sinistra al petto è ripetuto e l'energia è diretta verso il terzo Chakra dove la sillaba De è vibrata; un altro simile movimento dirige l'energia e la sillaba Va nel secondo Chakra; in fine un ultimo colpo dirige l'energia e la sillaba Ya nel primo Chakra. Una espirazione molto lunga accompagna il movimento dell'energia che, come una luce liquida, sale attraverso la spina dorsale, attraversa ciascun Chakra fino al midollo allungato, Bindu e fontanella. Il movimento dell'energia viene intensificato usando il movimento del mento che si solleva molto lentamente come per spingere in su l'energia. Questa procedura può essere ripetuta per un totale di sei a dodici volte. Ma, di solito, una ripetizione è più che sufficiente. Solo un esperto Acharya può guidare un kriyaban ad aumentare le ripetizioni di questa tecnica. I suoi effetti sono molto difficili da essere assimilati! 11

Alla fine di questa pratica, Kundalini può essere invitata a risvegliarsi. Ciò è ottenuto per mezzo di una successione di espirazioni molto lunghe e profonde (ciascuna espirazione è preceduta da una rapida inspirazione che non prevede alcuna visualizzazione) per mezzo delle quali noi spingiamo in su l'energia di Chakra in Chakra. Dal Muladhara Chakra l'energia sale come onde di una marea che si muove sempre più in alto. Essa raggiunge un Chakra, cade di nuovo in giù e riparte sempre dalla base della spina dorsale verso un centro più alto. I centri della testa vengono risvegliati aumentando la pressione mentale attorno a ciascuno di essi nell'ultima parte di ciascuna espirazione, quando la dissoluzione del respiro è accompagnata da un aumento del potere mentale. Un kriyaban realizza quanto facile è ora ottenere tanta concentrazione quanto serve nei vari centri, e infine in Bindu e nella fontanella.

Ultima variante del Thokar: la più semplice!Per chiudere questa appendice, mi sia concesso presentare una variante che

potrebbe tornare utile a chi non ama il forte impatto del Thokar e preferisce un approccio più delicato. L'inspirazione avviene come nella forma base del Thokar. Il mento si solleva... Om, Na, Mo... Ba nel Bindu. Poi il respiro è trattenuto. Il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola: una certa pressione interiore tocca la parte frontale del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e poi si piega leggermente verso la spalla sinistra, senza volgere la faccia. Avviene di nuovo la stessa esperienza: una certa pressione interiore è sentita nella parte sinistra del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega indietro: riaccade la stessa esperienza e la pressione è sentita nella parte dietro del Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale e si piega leggermente verso la spalla destra, senza volgere la faccia: la pressione è percepita nella parte destra del

11 Alcuni insegnanti di Kriya insegnano a questo punto a sollevare il corpo solo di alcuni millimetri con l'aiuto delle mani e poi far sì che le natiche tocchino con un lieve sobbalzo il pavimento. Questa azione è detta Maha Veda Mudra, "Posizione della grande perforazione" -- ovviamente è il nodo del Muladhara ad essere attraversato e tagliato. Se il sobbalzo è accompagnato dalla corretta intensità mentale, si percepisce un brivido estatico.

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Chakra del cuore. La testa ritorna nella sua posizione normale, poi il mento si piega in avanti, abbassandosi verso la cavità della gola... la pressione è percepita nella parte frontale del Chakra del cuore. Poi la testa ritorna nella sua posizione normale. Durante questi cinque piegamenti trattenendo il respiro, nessun Mantra viene utilizzato. Poi la espirazione guida la consapevolezza attraverso i Chakra nel Muladhara. La sillaba Te è posta nel midollo allungato, Va nel quinto Chakra.... e così via.... Su... De... Va, finché Ya è cantato mentalmente nel Muladhara. Il tempo impiegato dipende dalla persona; di solito è di 20-25 secondi, ma può essere maggiore. La procedura è ripetuta per lo meno 12 volte. Va detto che le varie pressioni sul Chakra del cuore sono più simili a apporto di energia che fluisce giù tranquillamente proveniente da una regione sopra la testa che ai tipici colpetti del Thokar. Il movimento della testa si può paragonare al movimento del coperchio di una pentola che spostandosi permette alla pentola di essere riempita da un flusso di energia.

È ovvio come questa forma può evolversi. Al termine dell’inspirazione, l’intero insieme dei movimenti della testa è ripetuto non una ma diverse volte -- sempre trattenendo il respiro. I movimenti diventano più fluidi: dopo il piegamento in avanti, la testa non ritorna nella sua posizione iniziale, ma colpisce subito a sinistra, poi dietro....

È facile estendere il Thokar a tutti i Chakra e anche ai centri della testa. Noi attiviamo un movimento interno antiorario in ciascun Chakra e/o centro della testa. Proseguendo in tal modo, spostando la nostra attenzione nei diversi punti e ripetendo la procedura, facciamo dei movimenti sempre più lievi fino a raggiungere la perfetta immobilità. In questa immobilità scopriamo un tesoro, tutto da godere.

Tecnica Thokar e Dhikr dei SufiNon v'è dubbio che il Thokar abbia una grande affinità con un modo particolare

di praticare il "Dhikr" da parte dei Sufi. Mi riferisco a quelle procedure in cui la pronuncia della Preghiera Lâ Ilâha Illâ Allâh viene accompagnata da movimenti della testa. Interessante è apprendere che Lahiri Mahasaya diede il Mantra islamico Lâ Ilâha Illâ Allâh ai suoi discepoli musulmani da praticarsi durante il Thokar. Non abbiamo i dettagli esatti di tale procedura ma sembra ragionevole che la Preghiera venisse sollevata (con o senza l'aiuto del respiro) da sotto l'ombelico su fino al cervello; dopo aver raggiunto il cervello, venisse spostata dal cervello alla spalla destra, poi alla spalla sinistra e poi colpisse il cuore. Una moderna confraternita Sufi pratica nel modo seguente: "La" è posto nella testa, "ilaha" (con la testa che si piega a destra) nella parte superiore destra del torace "illaal" (con la testa che si piega a sinistra) nella parte superiore sinistra del torace, e "lah" (con la testa che si china in avanti) nel cuore; poi di nuovo "La" nella testa, sollevandola....

Penso che se uno vuole seguire il sentiero dei Sufi usando le tecniche Kriya, non incontrerà alcuna difficoltà. Chiaramente dovrebbe essere dotato di un forte spirito di autodidatta. Per quanto riguarda il numero delle ripetizioni di ciascuna tecnica, può attenersi ai numeri dati nelle scuole di Kriya o può andare oltre esse in una dimensione completamente diversa. Man mano che il canto aumenta di intensità, un'ebbrezza profonda sarà percepita nel cuore: potrà raggiungere numeri di ripetizioni inconcepibili per un kriyaban.

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PARTE III: APPRENDERE IL KRIYA YOGA -- ASPETTI PRATICI

CAPITOLO 9PREMESSA SUI POTENZIALI PERICOLI DELLA MEDITAZIONE E DEL KRIYA

YOGA

Il tema di questo capitolo sono i pericoli potenziali del Kriya Yoga che possono essere riassunti come: alienazione dalla realtà e risveglio prematuro di Kundalini. Un lettore che fa una ricerca su Internet cercando informazioni sul Kriya Yoga o sul Kundalini Yoga troverà alcune pagine che segnalano i pericoli del "risveglio prematuro di Kundalini". È necessario trattare questo tema prima di affrontare qualsivoglia problema didattico.

Ci sono milioni di persone nell'Ovest che praticano la meditazione ogni giorno, ma c'è poca informazione su come evitare i pericoli. Di solito la meditazione è presentata come un'attività omni-benefica. Ma meditazione significa fare un cammino nel regno interiore della psiche e quindi devono per forza esistere ostacoli e pericoli da prendere in considerazione. 1

Questo argomento ha suscitato molto interesse: l'elenco dei problemi che il presunto risveglio prematuro di Kundalini causerebbe, non ha limiti. Oltre a Kundalini, ci sono alcuni siti web che mettono in guardia contro qualsiasi forma di meditazione: tutti accennano alla possibilità di una sconnessione con realtà con un estremo rafforzamento delle emozioni, in particolare agitazione e angoscia, disorientamento a lungo termine dove uno spazia dentro e fuori piani più elevati ed è reso incapace di concentrarsi abbastanza lungo per essere capace di lavorare.

Ci sono delle evidenti esagerazioni. Purtroppo in Internet c'è la tendenza a copiare brani e riportarli su altri siti senza nemmeno cambiare una virgola. Se uno si inventa che uno yogi è morto di autocombustione durante la pratica del Pranayama, potrà verificare che questa notizia apparirà dopo un tempo fisiologico (uno o due mesi) su diversi siti. Così possiamo leggere anche che: "Attraverso la pratica del Kundalini yoga, un aspirante può sviluppare poteri occulti. Questi poteri possono essere usati per scopi positivi o distruttivi, ma molto spesso sono adoperati male. Per esempio l'abilità di leggere la mente di un'altra persona può creare problemi e probabilmente coloro su cui tale potere è 1 Questo tema poteva essere posto nelle prime pagine di questo libro, ma io penso che sia opportuno parlarne adesso perché pochi leggono una prefazione. La maggior parte dei lettori si comportano come animali timorosi in un territorio che non gli è familiare, domandandosi se dare un briciolo di fiducia all'autore. Preferiscono farsi un’idea generale sulle motivazioni (…e manie) dell'autore, soffermandosi su alcune tecniche, tanto per vedere a quale livello di profondità esse sono state trattate. Solo se si convincono del valore del libro, essi possono prestare attenzione a quello che l'autore vuole comunicare nella prefazione. Ho deciso anche che la prima parte del libro trasmetta la mia prima idea entusiastica del Kriya come un sentiero di Bellezza. Non ero consapevole di qualsivoglia pericolo. Ora mi rendo conto che eventuali pericoli devono essere discussi seriamente; comunque nella mia convinzione ciò rimane marginale nella discussione del sentiero mistico, legato piuttosto a comportamenti devianti delle persone.

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usato ... si risentiranno." Questo fa proprio ridere. "... si risentiranno" !!! Quando troviamo tali sciocchezze ci chiediamo: "chi mai ha scritto tali assurdità e con che scopo"?

Possiamo leggere anche che gli Yogi, presto o tardi, si troveranno coinvolti nella stregoneria e nella magia nera poiché evocano, benché inconsapevoli, delle entità negative. Uno spiegava che: "Quando ripetete quel Mantra Om, Om... state invocando in realtà uno spirito demoniaco che venga e prenda possesso della vostra mente. Tutto quel che segue è il risultato di quel specifico Demone indù che state invocando. " Questa stessa persona aggiunge anche che durante una seduta di meditazione cominciò a sollevarsi e aggiunge: "... da quel secondo non ho dormito più come una creatura umana, persi il sonno! Ogni qualvolta chiudevo gli occhi, vedevo le fiamme dell'Inferno, non osavo chiudere gli occhi, non ci riuscivo! Divenni un caso psichiatrico, e sono stato ricoverato in ospedale per 26 volte."

Siamo sconcertati quando incontriamo persone in carne ed ossa (forse nostri stessi amici) che ti dicono che il Kriya è responsabile di tutti i loro problemi psicologici e psichiatrici e di alcuni disturbi fisici. Essi vogliono convincerti che respirando aria fresca (Pranayama) hanno sviluppato tutte le specie di disturbi mentali, persino la schizofrenia. Da una benedizione come sembrava all'inizio, il Kriya si è rivelato una maledizione, una disgrazia. Accennano con disprezzo a quelle stesse tecniche che noi abbiamo sperimentato più volte, con tanto amore, ricavandone la più pura delle delizie.

Quando lessi o ascoltai tutto questo, la mia prima reazione fu: "Ebbene, se devo impazzire, preferisco impazzire col Kriya, piuttosto che a causa della vita stessa. Se in me ci sono i germi della pazzia, questi sbocceranno sia nel caso io pratichi il Kriya che in caso contrario. Qualsivoglia discussione se il Kriya è capace di accelerare o peggiorare la situazione è perfettamente inutile perché la risposta corretta non sarà mai provata. Tuttavia, ripensando ai momenti gloriosi provati, percorrerò tale sentiero senza un minimo di paura, dovesse pure bruciarmi in esso."

Questo è stato per molto tempo il mio modo di pensare, anche perché in fondo credevo che i supposti pericoli fossero immaginati da menti piene di confusione. Ma la vita mi ha insegnato che c'è una parte di verità. Io continuo con l'entusiasmo e il coraggio di sempre ma sono prudente quando parlo del Kriya ad altre persone.

L'argomento che mi trova totalmente impreparato è quello che può capitare a chi ha fatto uso di droghe o hanno dimostrato dei sintomi, anche deboli, di malattie mentali e si mettono a praticare il Kriya come moda o come cura. Non so cosa consigliare loro oppure se in questa situazione sia meglio escludere completamente la pratica del Kriya.

Spesso la situazione non è chiara e devo limitarmi a sospettare quello che mi viene confermato dai suoi amici e mai dalla persona restia: uno stile di vita disordinato contrassegnato dall'uso di droghe. Personalmente, mi sono sempre sorpreso quando le persone accusano la loro pratica spirituale di aver danneggiato la loro psiche ma non dicono nulla sulle droghe che hanno assunto! Come mai andavano in India ogni anno regolarmente per una lunga serie di anni? Come è possibile che in questi anni non svilupparono mai alcun interesse verso lo Yoga? Ora da pochi mesi li troviamo praticare

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qualche banale forma di concentrazione ed ecco: la catastrofe! Dicono che ora soffrono tremendamente in quanto Kundalini si è prematuramente risvegliata! La stessa persona che per anni ha preso acidi, ogni sorta di amfetamine, oppiacei e (emulo di Castaneda) non si è negato l'uso di piante psicotrope, ora accusa i più semplici esercizi dello Yoga dicendo che essi hanno causato la sua catastrofe. Non voglio mettere sale sulla ferita -- nessuno ama porre un passato che non può essere cambiato in relazione causale coi guai e le tragedie di oggi. Chiunque vuole esorcizzare il pensiero di avere danneggiato seriamente il proprio cervello ed essere in una condizione di permanente, fatale disturbo psichico. Ci chiedono di rispettare il muro psicologico che hanno eretto. Quello è il loro passato, finito per sempre: noi ora siamo pregati di occuparci solo del Kriya e dei suoi effetti che avrebbero dovuto essere meravigliosi (come forse noi avventatamente avevamo promesso loro) ed invece sono stati spaventosi. Ascoltiamo quindi annuendo e non possiamo invocare uno specchio in cui essi possano rivedere il riassunto dei loro anni passati e quanto sconsiderati e crudeli sono stati verso il loro corpo.

In altri casi percepiamo che c'è un preesistente problema psichiatrico. Raramente le persone confessano come in passato al culmine di un crollo psicologico gli fossero prescritte medicine che rifiutarono. Affermano che riuscirono a risolvere tutto con il puro uso della loro volontà. Ma noi vediamo che non è vero. Come è terribile talvolta l'illusione dell'auto guarigione! Se uno è psicologicamente fragile, è molto improbabile che usi le tecniche dello Yoga nel modo corretto. Probabilmente non aggravano la condizione della loro alienazione ma paura e angoscia potrebbero sorgere come inconscia resistenza a risvegliare incubi mentali che per ora sonnecchiano tranquilli. Diciamo le cose chiaramente: spesso è lo stesso disturbo mentale che porta una persona a sviluppare interessi spirituali ed esoterici. Il fallimento è certo: la paura forza uno a rimanere in superficie e blocca la strada alla pratica profonda. Una trasformazione radicale è impossibile, temuta come il peggiore spettro, una minaccia alla propria stabilità psicologica. Ricordiamoci di questo, quando essi tireranno fuori le scuse più assurde e strampalate per giustificare l'abbandono del Kriya.In tale occasione guai a contestarli: stanno facendo la cosa giusta!

Spesso la peggiore esperienza per un kriyaban che ha cercato di aiutarli è essere testimoni di quella che sembra una gigantesca ingratitudine: non solo abbandonano il percorso Kriya ma si rivoltano contro di esso come se fosse una cosa orribile che causa devastazione. Talvolta affermano che il Kriya è il nemico giurato dell'esperienza spirituale. Mordiamoci la lingua: non sono degli ingrati ma delle persone malate. Il nostro errore è stato quello di non comprendere la situazione e di credere in una pseudo, praticamente automatica, azione risanante del Kriya.

Spesso incontreremo sia l'abuso di droga che il disturbo mentale e non comprenderemo mai se sono state le droghe a danneggiare il cervello e il sistema nervoso, o se era a causa di un danno preesistente che loro cercarono le droghe come fossero una medicina. Le regole della cortesia richiedono che noi li ascoltiamo silenziosamente senza replicare.

Un'altra situazione di vera rovina è quando uno studente, volendo esplorare lo sconosciuto territorio dell'Aldilà o sognando un contatto con un parente o amico deceduto approda alla pratica dello spiritismo. Ho dei motivi per ipotizzare che l’infido territorio dello spiritismo sia una delle migliori aree per coltivare spaccature entro la personalità. A mio avviso questo è un campo dove uno si provoca certamente dei danni nel campo della psiche. Ne parlo qui perché ci sono persone che affermano di avere il privilegio di ... parlare direttamente ai Maestri storici del Kriya. È patetico e persino divertente sentirsi riferire il loro messaggio proveniente dall'aldilà: "In questa epoca, il Kriya è fuori moda ed inutile. Basta la devozione!".

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Lo spiritismo classico – caratterizzato da un Medium che sprofonda nello stato di trance e il tavolino che batte i colpi come risposta cifrata alle domande poste dagli astanti – ha ceduto il posto ai metodi moderni dove tutti i partecipanti, ponendo le mani sul bicchiere capovolto che si muove così agevolmente tra le lettere dell’alfabeto, stampate su una comoda tavoletta pieghevole, sono loro stessi dei medium. Molti preferiscono le rivelazioni più accessibili di un Channeler. Questo è una persona che, senza tante complicazioni, lascia che l’entità invocata si esprima attraverso il fiume in piena della sua stessa eloquenza. È curioso vedere come le biografie dei Channeler ricalchino un unico schema. Tutti raccontano come un tempo fossero scettici delle loro facoltà e non volevano cedere alla Volontà suprema che aveva deciso di affidare loro la difficile missione di fare da tramite tra gli spiriti e l’umanità. Una volta accettata la missione, dalla fonte ultraterrena venne l’ispirazione a mescolare il flusso delle varie rivelazioni alla diagnosi d’improbabili malattie, alla prescrizione di costosissimi rimedi alternativi.

Se lo spiritismo mantenesse le sue promesse, sarebbe la più valida miniera di informazioni - un collegamento diretto con l'aldilà, molto più accurato di qualsiasi altra fonte! Purtroppo la realtà non ha nulla a che vedere con la loro immaginazione. A parte la scrittura automatica nella quale chi chiede è la stessa persona che dà la risposta, il medium sa in anticipo le preferenze e le anticipazioni della persona che a lui si rivolge. Perciò tutto diviene come un circuito chiuso: domanda e risposta si riverberano in una spirale senza fine come il fischio di reazione di un microfono posto vicino al relativo altoparlante. Come chiunque può osservare, le comunicazioni sono sempre gradevoli. Ogni adepto, anche di intelligenza limitata, riceve la comunicazione che il Divino gli ha assegnato un'importante missione… Credo che questo sia, psicologicamente parlando, assai pericoloso. Conobbi delle persone che si ficcarono in situazioni di tale ristrettezza di visione da apparire grottesche. Ciò di cui fui testimone, con un dolore acuito dalle particolari situazioni che allora si vennero a creare, fu la loro fragilità mentale. Mi sbalordirono non solo in base alle loro affermazioni ma anche in base a quanto scorgevo nei loro occhi. Era come se, da dietro la maschera del loro volto, apparisse un'altra personalità, estremamente sicura di sé, ma che in realtà permetteva agli altri di ingannarli e defraudarli nel peggiore dei modi. Il loro desiderio originale di trovare la libertà totale finì nella peggiore di tutte le prigioni. Diedero tutti i loro possessi, e la loro vita, ad una persona che era una autentica canaglia.

Kundalini

Prendiamo in considerazione quello che si dice su qualsivoglia libro di Kundalini. Tale concetto offre una conveniente struttura per esprimere quello che accade lungo il percorso Kriya. Kundalini è il termine sanscrito per "a spirale": è concepito come una particolare energia avvolta come un serpente nel Chakra radice (Muladhara). La rappresentazione di essere avvolto come una molla comunica l'idea di energia potenziale intatta. Una concentrazione tremenda di energia spirituale giace presumibilmente alla base della spina dorsale. Dorme nel nostro corpo, sotto gli strati della nostra coscienza, aspettando di essere risvegliata dalla disciplina spirituale.

Nel Kundalini Yoga un ricercatore aspira a imbrigliare questo potere tremendo attraverso tecniche specifiche (particolari schemi di respirazione, Bandha, Mudra, Bija Mantra...) per invitare la sua salita dal Muladhara su,

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attraverso il Sushumna, "attivando" ciascun Chakra. Si spiega che quando Kundalini arriva al Sahasrara Chakra, si ottiene infinita beatitudine, illuminazione mistica etc.

Ogni libro mette in guardia contro il rischio del risveglio prematuro di Kundalini e asserisce che il corpo deve essere preparato per l'evento. Alcuni spiegano che il problema si manifesta quando Kundalini sale attraverso il canale sbagliato. Altri spiegano che anche se Kundalini salisse attraverso il canale giusto, la persona è impreparata a sostenere tutto quel potere. Affermano che anche le esperienze illuminanti e belle possono essere così potenti che le persone dubitano della loro sanità mentale.

Gopi Krishna

Consideriamo una testimonianza eccellente, quella di Gopi Krishna. Nel 1967 pubblicò il suo primo più importante libro in India: Kundalini, l'Energia Evolutiva dell'uomo (Ubaldini). Il libro dà un chiaro e conciso resoconto autobiografico del fenomeno del risveglio di Kundalini. Lui lo sperimentò nel 1937 sebbene non avesse un insegnante spirituale e non fosse iniziato in alcun lignaggio spirituale. La sua vita dopo il risveglio fu benedetta da beatitudine estatica ma tormentata alquanto da sconforto fisico e mentale.

Egli praticò esercizi di concentrazione per molti anni. La sua pratica fu visualizzare "un immaginario Loto in piena fioritura, che irradiava luce" posto al posto della corona della sua testa. Mentre sedeva meditando - precisamente come aveva fatto per tre ore prima dell'alba, ogni giorno per diciassette anni - divenne consapevole di una sensazione potente, piacevole alla base della spina dorsale. Continuò a meditare; la sensazione cominciò a spargersi ed estendersi verso l'alto. Continuò ad espandersi finché sentì, quasi senza preavviso, un rombo come quello di una cascata e sentì un ruscello di luce liquida entrare nel suo cervello.

"Improvvisamente, con fragore simile a quello di una cascata, sentii un flusso di luce liquida entrare nel cervello attraverso il midollo spinale. Del tutto impreparato per un tale sviluppo, fui completamente preso di sorpresa; ma riconquistando istantaneamente l'autocontrollo, restai seduto nella stessa posizione, mantenendo la mente sul punto di concentrazione. L'illuminazione crebbe sempre più brillante, il fragore divenne sempre più rumoroso. Provai la sensazione di oscillare e poi mi sentii scivolare fuori dal corpo, interamente avvolto in un alone di luce."

Questa esperienza cambiò radicalmente lo schema della sua vita. Egli sperimentò un continuo "bagliore luminoso" attorno alla sua testa e cominciò ad avere una varietà di problemi psicologici e fisiologici. A volte pensò di star impazzendo. Adottò una dieta molto severa e, per anni, rifiutò di fare altri esercizi di concentrazione.

"L'acuto desiderio di sedermi a meditare, che era sempre stato presente nei giorni precedenti, svanì improvvisamente e fu sostituito da una sensazione di orrore per il

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soprannaturale. Volevo fuggirne il solo pensiero. Nello stesso tempo provai tutto d'un tratto disgusto per il lavoro e la conversazione, con l'inevitabile risultato, una volta restato senza niente che mi tenesse occupato, che il tempo cominciò a pesarmi e tale problema si aggiunse alla condizione già turbata della mente. [...] Ogni mattina si annunciava un nuovo terrore, una nuova complicazione del sistema già disordinato, un più profondo attacco di malinconia o una maggiore irritabilità della mente che dovevo reprimere, affinché non mi sopraffacesse, tenendomi sveglio, di solito tutta una notte insonne; e dopo aver sopportato pazientemente i tormenti del giorno, mi dovevo preparare per quelli ancora peggiori della notte."

Vediamo dunque come l'esperienza si stabilizzò e lui emerse da questa esperienza negativa in un risveglio che lo benedisse per il resto della sua vita. Egli scoprì che gli insegnamenti esoterici contenevano un numero di semplici pratiche che potevano aiutarlo a riportare di nuovo in equilibrio l'energia dopo che era stata risvegliata in modo incorretto. Quello che lui praticò come rimedio ricorda molto la pratica del Kriya Pranayama.

"...una spaventosa idea mi colpì. Forse avevo destato Kundalini attraverso Pingala -- il nervo solare che regola il flusso di calore nel corpo ed è situato sul lato destro di Sushumna. Se così era, allora ero condannato -- pensai disperatamente, e, come se per consiglio divino, mi attraversò la mente l'idea di fare un ultimo disperato tentativo di portare in attività Ida (il nervo lunare sul lato sinistro) neutralizzando così la spaventosa azione bruciante del fuoco interno che mi divorava. Con la mente che turbinava ed i sensi tramortiti dal dolore, ma con tuta la forza di volontà rimasta ancora in mio possesso, cercai di portare un immaginaria corrente fredda verso l'alto attraverso il centro del midollo spinale. In quello straordinariamente esteso, tormentoso ed esaurito stato di coscienza, avvertii distintamente la sede del nervo e mi sforzai mentalmente di deviare il suo flusso nel canale centrale. Poi, come se avesse atteso il momento predestinato, avvenne un miracolo. Vi fu un suono simile ad un nervo che si spezza e istantaneamente un lampo argenteo attraversò zigzagando il midollo spinale, esattamente come il sinuoso movimento di un riversante e fulgente serpente bianco in rapido volo, che rovescia piogge di splendente energia vitale nel mio cervello empiendomi la testa di un 'estatica lucentezza al posto della fiamma che mi aveva tormentato per le ultime tre ore. Del tutto preso di sorpresa da questa improvvisa trasformazione dell'infiammata corrente che sfrecciava attraverso l'intera rete dei miei nervi solo un momento prima, e pazzo di gioia per la cessazione del dolore, restai assolutamente quieto ed immobile per qualche tempo, assaporando la felicità del sollievo con la mente inondata di emozione, incapace di credere che ero veramente libero da quell'orrore. Torturato ed esaurito, quasi fino al collasso, dall'agonia che avevo sofferto durante il tremendo intervallo, mi addormentai immediatamente, bagnato nella luce e per la prima volta dopo settimane di angoscia provai il dolce abbraccio di un sonno riposante."

Da ora in avanti, Gopi Krishna fiducioso che questa esperienza avesse dato inizio ad un processo nel quale il sistema nervoso si sarebbe lentamente riorganizzato e trasformato, scrisse sull'esperienza mistica e sulla evoluzione della coscienza da un punto di vista scientifico. Teorizzò che ci fosse un meccanismo biologico nel corpo umano, conosciuto da tempi antichi in India come Kundalini, responsabile della creatività, genio, abilità psichiche paranormali, esperienza religiosa e

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mistica. Secondo lui, Kundalini è la vera causa dell'evoluzione.

B. S. Goel

Un'altra testimonianza interessante è quella di B. S. Goel (1935-1998) descritta nel suo: Psicanalisi e Meditazione. Egli fu una persona veramente senza uguali. La sua esperienza di risveglio di Kundalini all'età di 28 anni fu piuttosto drammatica. Kundalini si risvegliò da sola. I suoi amici pensarono che stesse "uscendo di senno" durante questo lungo processo. Percorse ogni angolo dell'India per cercare qualcuno che sapesse spiegare quello che gli stava accadendo. Molte persone non sapevano far altro che citargli e commentargli varie teorie. In pratica non sapevano nulla. La unicità di questa persona sta nella sua esperienza di psicoanalisi classica unita alla meditazione di cui era acceso sostenitore. Quando aveva 35 anni, il suo Guru gli apparve in sogno, e gli disse che la Psicanalisi ed il Marxismo, che aveva entrambi abbracciato, erano false strade che non potevano portare verso la felicità. Gli disse anche che l'unico percorso verso la pace e la gioia interiori doveva passare attraverso Dio. Nel 1982, aprì un ashram nell'Himalaya per aiutare e guidare altri aspiranti che avevano avuto delle esperienze di Kundalini.

Quello che a noi interessa è che il Dott. Goel parla dettagliatamente di diversi gradi di sofferenza che lui superò mentre il suo ego veniva distrutto e ricostruito. Egli è l'unico, a parte il defunto Swami Satyananda Saraswati, a studiare il ruolo del punto Bindu, nella zona occipitale della testa. Spiegò che "quando la coscienza marcia verso Bindu (che lui chiama Brahma-randhra), le formazioni dell'ego saranno esposte di fronte alla coscienza in libere-associazioni, in scritti improvvisati, in sogni e soprattutto, nella stessa meditazione.

Nell'ultima parte del libro, discutendo i "segnali che indicano l'avvicinarsi della meta finale", fra un insieme di segni, ebbe il coraggio di citarne uno in particolare che non è trattato solitamente nei libri -- a parte quei libri che vogliono ironizzare su tutta la faccenda dei "Guru". Egli riferisce "il grande desiderio di essere forato e penetrato." Per quanto concerne "forato", lo esemplifica come il "desiderio di mettere un'unghia nel punto a metà fra le due sopracciglia. Per quanto concerne "penetrato" chiarisce che il desiderio di penetrazione al Bindu può, a causa dell'ignoranza che proviene dall'ego, divenire il "desiderio di penetrazione anale passiva." Chiarisce che un comune atto sessuale non può soddisfare la persona che realmente ha bisogno di essere penetrata nel Bindu per trovare la beatitudine spirituale finale. Egli aggiunge che: "finché non raggiunge quello stadio, lo yogi può spesso indulgere in una omosessualità compulsiva. È probabile che molti santi di tutte le secoli sarebbero rimasti grandi omosessuali se si fossero fermati nel loro periodo di pre-santità."

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Un approccio realistico

Il vero problema è la paura causata dai primi segni del risveglio di Kundalini. Questo è quello che avviene a molti kriyaban, specialmente durante i primi mesi del loro impegno. Di solito questa paura (che può essere vera angoscia) è assorbita in breve tempo, senza problemi, anche se per un paio di giorni uno sente di star camminando in equilibrio su una corda, tra salute mentale e alienazione. Questo fenomeno è accaduto a tutti i santi ed è solamente un'impressione fugace. Non c'è nulla da temere! Tutto può cessare automaticamente, ma se non fai niente, potresti vivere un paio di giorni in uno stato di instabilità emotiva. Qui ci sono alcune azioni urgenti da compiere.

1. Quando senti dei movimenti incontrollati di energia nella spina dorsale accompagnati da sensazioni di calore (più o meno intenso) e senti paura, siedi con la spina dorsale diritta e concentra tutta la tua forza mentale nel punto tra le sopracciglia. Usa tutta la tua immaginazione per sollevare una fresca corrente sulla spina dorsale. Questo può essere fatto inspirando attraverso la bocca o attraverso la narice sinistra -- avendo chiuso in qualche modo la narice destra. Ripeti questo finché senti qualcosa che cambia. Questo è precisamente quello che Gopi Krishna fece per uscire dalla sua situazione terribile.

2. Siedi quietamente e pratica lentamente ma intensamente 108 Mula Bandha. Contrai i muscoli alla base della spina dorsale, mantieni la contrazione per un paio di secondi e rilassa. Ripeti. Dimentica il respiro, cerca di entrare in sintonia con la calma nel punto tra le sopracciglia, Non avere fretta: ogni contrazione e rilassamento dovrebbero durare almeno quattro secondi. Puoi avere più di una sessione onde completare 108 ripetizioni. Oltre a questo, cerca di avere una sana attività fisica. Utilizza questa pratica in quei giorni quando ti senti troppo nervoso, depresso o hai un attacco di panico.

3. Quando, dopo alcuni giorni o settimane, la crisi è superata, riprendi il Kriya Pranayama, ricorda che esso fu concepito per essere il fondamento di un metodo intrinsecamente sano. Può aiutare uno a coprire tutto il viaggio spirituale in un modo sicuro. Nel Kriya Pranayama ti è stato insegnato di sentire il fresco ed il calore del respiro per bilanciare Ida e Pingala. Se questo è rispettato, se è combinato con Maha Mudra, Navi Kriya e Yoni Mudra, questa azione non può mai provocare problemi. Il segnale che indicherà che tutto ha ripreso a funzionare normalmente è il provare una particolare gioia, la sensazione di aver ritrovato lo stato d'animo dei tempi migliori.

4. Quando pratichi i Kriya superiori, se ti concentri per un certo tempo sul Muladhara, dai la stessa concentrazione a tutti gli altri Chakra e termina sempre concentrandoti nel punto tra le sopracciglia. In un commento di Lahiri Mahasaya alle sacre scritture, è scritto: "Essendo tranquillo nel centro coccige, non sostarvi molto. Se ti soffermi molto nel centro coccigeo, poi otterrai la controparte negativa dello stato di Samadhi. Quindi dopo esserti svegliato di nuovo, dovresti incominciare a praticare il Kriya." Se usi il Thokar e colpisci il Chakra

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Muladhara e non integri questo con altre pratiche, il risultato è principalmente è uno stato grigiastro della mente che appare nel giorno della pratica e nel giorno seguente. È difficile sostenere quell'oscuro umore - è come se la propria anima fosse graffiata. L'azione del Thokar è fortissima ed è difficile assimilarne gli effetti psicologici. Quindi dopo un Thokar sul Muladhara segui le istruzioni date per spingere in su l'energia. Puoi anche riprendere la forma più semplice di Kriya Pranayama e creare un umore rilassato e molto profondo: dopo il Kriya Pranayama, se non hai tempo di praticare il Navi Kriya, usa per lo meno una lieve forma di Uddiyana Bandha per sollevare l'energia.

5. Una routine basata totalmente su una forte concentrazione sul Sahasrara non è adatta a studenti principianti o medi. Costruire un grande magnete nel Sahasrara è il modo più potente per stimolare il sollevarsi di Kundalini. Ciò è naturalmente la meta del Kriya Yoga, ma potresti non essere preparato per questo. Il Kriya è un sentiero in cui uno cerca di risvegliare Kundalini preparando le condizioni per il suo risveglio in un modo sicuro. La concentrazione finale sul Sahasrara dovrebbe essere preparata da una lunga concentrazione nel punto tra le sopracciglia.

6. Dopo aver studiato la teoria dei nodi (Granti), non concentrarti troppo insistentemente sull'eliminarli, o adottando per il tuo scopo alcune tecniche dei Kriya superiori, o estrapolando altre procedure dall'Hatha Yoga classico. Tu rischi di rafforzare proprio quegli stessi nodi che vuoi eliminare. Non essere come un chirurgo che vuole rimuovere un calcolo biliare conficcato in un organo, senza prendersi tutte le precauzioni necessarie per evitare di distruggere l'organo ed uccidere il paziente.

Non coltivare stupide teorie secondo le quali tutti i tuoi problemi nascono dal blocco di questo o di quell'altro Chakra. Non utilizzare tecniche che agiscono su un singolo Chakra con la speranza di sbloccarlo. I nostri nodi interiori non sono come ce li rappresentiamo, ovvero come i nodi di una corda. Essi possiedono una dipendenza reciproca, sono sottilmente coinvolti l'uno nell'altro. Ricorda che le tecniche equilibrate di Kriya Pranayama e di Omkar Kriya lavorano pazientemente ma in modo sano e sicuro su tutti i nodi simultaneamente. Aumentare gradualmente la ripetizione di queste procedure di base è sempre la migliore delle scelte!

7. Sii sempre prudente col Kumbhaka (trattenere il respiro). L'autore J.K. Taimni nel suo La Scienza dello Yoga (Ubaldini) scrive: "Il Kumbhaka agisce sul flusso delle correnti praniche in un modo molto marcato e decisivo e rende uno Yogi capace di ottenere il controllo su queste correnti. [...] Non solo questo Kumbhaka è l'elemento essenziale del vero Pranayama ma è anche la fonte di pericolo nella pratica del Pranayama. Il momento in cui uno incomincia a trattenere il respiro, specialmente, dopo l'inspirazione, in qualsiasi modo anormale il pericolo comincia e uno non può mai sapere a cosa condurrà [...] Kumbhaka apre le porte di esperienze e poteri inaspettati. Se è affrontato senza la preparazione e guida necessaria è sicuro che condurrà al disastro." Il Kumbhaka è molto potente e nel Kriya Yoga è adottato con delle procedure speciali: Yoni Mudra, Thokar... Tra le due eventualità estreme: non trattenere mai il respiro o esagerare con tale trattenimento, scegli una percentuale intermedia di secondi di

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trattenimento. Regola questa percentuale a seconda della tua abilità di sostenere il potere che ne viene.

8. Mantieni il tuo sentiero sempre pulito. Un sentiero pulito raggiunge il nucleo del Kriya velocemente come una freccia. Sporco è un sentiero inquinato dal New Age, esoterismo, magia, riti occulti, channeling, pratiche spiritiche... Essere implicato in questa attività è un modo straordinariamente semplice di distruggere, in breve tempo, anni di genuino sforzo spirituale. Se da una certa scuola hai ricevuto tecniche di visualizzazione con la promessa che presto o tardi la tua visualizzazione diventerà realtà, pulisci il tuo sentiero e la tua vita per sempre da tale pattume. Sii realistico e nota come in quell'ambiente hai incontrato persone che vanno in giro facendo finta di essere spirituali, mentre non son altro che rottami umani.

Ci sono molte attività pseudo spirituali/occulte che non ti porteranno da alcuna parte. Il peggio di certe scuole è che dopo aver distrutto l'attrazione verso la vita reale, esse ti insegnano a creare una realtà virtuale con la forza della immaginazione. La procedura di visualizzazione portata al limite estremo è inutile e infida. Sfortunatamente, essa è la base di una illimitata serie di metodi New Age. Tu credi di essere molto spirituale ma stai entrando nel regno della alienazione. Ricorda sempre che quando fai un lavoro puramente mentale che non prevede verifica, il pericolo è certo.

Ricordo le parole di Jung: "Gli stati psicotici deliberatamente indotti, che in certi individui mentalmente instabili potrebbero facilmente condurre ad una vera psicosi, è un pericolo che ha bisogno davvero di essere preso molto seriamente. Queste cose sono realmente pericolose e non dovrebbero entrare a far parte del nostro mondo tipico Occidentale. Ciò significa intromettersi col destino, che colpisce alle stesse radici dell' esistenza umana e può scatenare un'inondazione di sofferenze delle quali nessuna persona sana si sarebbe mai immaginata. "C. G. Jung, Introduzione al Libro tibetano dei Morti]

Cosa sono, secondo Jung, gli "stati psicotici indotti deliberatamente"?Sfortunatamente non lo spiega in dettaglio e non porta esempi. Comunque non è difficile comprendere che uno stato psicotico è quello in cui tu vedi cose che non esistono, hai un rapporto (ascolti voci, ricevi messaggi...) da una dimensione che hai creato nella tua mente e che esiste solo per te.

9. Se impari altre tecniche di meditazione, non abbassare mai la guardia e non cessare mai di usare il buon senso. La meditazione rilassa i lati diffidenti, prudenti delle tua personalità: chi trascura la saggezza interiore riceverà ferite in vari modi sottili. Anche la persona più razionale e intelligente diventa uno sciocco che crede a cose impossibili.

C'è il pericolo di accettare teorie che ti fanno perdere l'equilibrio. Mi riferisco a insegnamenti che ti mettono contro il mondo, che ti alienano dalla società in cui ti trovi a vivere. Non dovresti coltivare disgusto per tutto ciò che è interessante ed entusiasmante nella vita e vedere la vita di ogni giorno come una malattia. Se non sei un monaco o una monaca, questi atteggiamenti sono semplicemente tossici, come prendere antibiotici se non hai un'infezione. Terribile è il rifiuto dell'amore, rinuncia alla famiglia, andando verso modi anormali di vivere e comportamento come il volgere le spalle a tutto e ad ogni

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obbligo. Qualsivoglia pratica mistica che è appaiata ad una vita non equilibrata è pericolosa.

Non amputare la tua individualità e i tuoi desideri; non intraprendere una guerra contro te stesso. Non tagliarti via da ogni cosa interessante e stimolante nella vita.

Non importi la castità. Alcuni kriyaban cercano inutilmente di arrivare a questo stato con una certa ossessione e affermano delle autentiche sciocchezze (che i kriyaban sposati pratichino il sesso una volta solo in un anno per creare bambini). Questo atteggiamento può produrre disastri. C'è una visione più assennata che spinge alla conservazione dell'energia sessuale, senza essere ossessivi.

Lahiri Mahasaya nei suoi diari ammise di aver provato a volte un desiderio sessuale molto forte. Un giorno un discepolo gli pose una domanda diretta: "Come ci si può liberare definitivamente dalla sessualità?" Lui rispose in un modo che ammutolì il discepolo: "Io sarò libero dalla sessualità solamente quando il mio corpo giacerà sulla pira funebre." Dio benedica la sua sincerità! Curiosamente alcuni prendono la citata affermazione di Lahiri Mahasaya come un segno ... che lui non era completamente realizzato spiritualmente!

Come ci si dovrebbe comportare quando avviene l'esperienza di una consistente e spontanea salita di energia attraverso la spina dorsale?

Questo stato dura di solito da pochi istanti a un paio di minuti. Può apparire come una serie di ondate di beatitudine che salgono lungo la spina dorsale ed entrano nel cervello. Talvolta è un vento elettrico sulla superficie del corpo, propagantesi dai piedi alla testa, che annuncia l'esperienza. È come avere un vulcano che esplode interiormente, un "razzo" sparato attraverso la spina dorsale! Altre volte, può accadere come una intensa beatitudine nella regione del petto -- improvvisamente ti trovi immerso in una gioia immensa e ti svegli con le lacrime agli occhi.

La più profonda esperienza è quando il punto (Bindu) nel centro del Kutastha emerge gradualmente e si espande in un tunnel. La consapevolezza è attirata attraverso di esso. È come un tuffo nell'Eternità, bruciare per alcuni secondi di una gioia infinita -- siete colmo dell'euforia ottenuta da questo breve ma indimenticabile sguardo alla tua eterna natura. Alcuni chiamano questa esperienza "risveglio di Kundalini".

Vorrei segnalare la somiglianza con l'esperienza di quasi morte -- NDE, dall'inglese: "near death experience." Poichè penso che lo studio di questa somiglianza sia molto utile ad un kriyaban, consiglio agli studenti di Kriya di leggere il libro: La vita oltre la Vita di Raimond Moody. Nelle testimonianze di coloro che ebbero una esperienza NDE, troviamo alcuni dettagli in comune con la sopra citata esperienza. Troviamo la sensazione di muoversi verso l'alto, attraverso un tunnel o un corridoio stretto, di galleggiare sopra il proprio corpo e di vedere l'area circostante. L'intera esperienza è vissuta con un senso di infinito amore e di pace. Seguono alcuni resoconti sull'incontro con parenti deceduti, e

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con figure spirituali (esseri di luce). Ciascuno interpreta tale incontro a seconda della propria cultura e delle sue aspettative. Poi la sensazione di essere arrivati ad una soglia e di essere rispediti indietro nel proprio corpo -- spesso con profonda riluttanza a ritornarvi -- sembra concludere l'esperienza.

Se avete avuto una simile esperienza, come risultato di un serio incidente, sapete come questo evento vi abbia portati sull'orlo dell'Eternità, offrendoti l'opportunità unica di gettarci uno sguardo. Per te essa rimane l'esperienza più reale, paradossalmente la più "viva" della vostra esistenza.

Se vi è capitato di aver e avete tuttora questa esperienza come risultato della pratica Kriya, non vi sentirete disorientati. Avete i mezzi per essere dottori di voi stessi e far sì che gli effetti della beata esperienza crescano e si mescolino con la vostra vita. Se non rifiutata o repressa, il ripetersi di tale esperienza vi dona una incrollabile certezza sul valore delle tecniche spirituali. Nessuno può venirvi a dire che l'Auto-realizzazione è qualcosa che avviene nel regno dei tuoi pensieri -- come un risveglio di saggezza ottenuto da stretti sofismi. Avete avuto questa esperienza anzitutto nel corpo e poi il vostro modo di pensare ha ricevuto uno shock. Ma questo lampo di intuizione è impossibile senza che il corpo entri in uno stato molto particolare. Alcuni ricercatori spirituali incoronano la loro pigrizia indulgendo nel pensiero che è proprio la nostra idea di non avere ricevuto l'Illuminazione, che ci impedisce di ottenerla. Voi capite che questa è una sciocchezza.

Se chi ha avuto questa esperienza mi chiede cosa fare, lo invito a continuare con la pratica del Kriya e non andare presso "guru itineranti" a raccontare quello che è successo. Essi non hanno il tempo di prendersi cura di nessuno. Ripetono con fretta alcune linee generali di guida e vanno via. Possono persino non riconoscere la genuinità di una esperienza. La loro mancanza di realizzazione spirituale è, a volte, veramente rimarchevole.

Chi ha avuto questa esperienza è come uno che, morto in apparenza, abbia visitato l'aldilà e poi sia ritornato a camminare di nuovo tra gli esseri umani. È chiaro che nessuno lo capisce. Ma questo non vuol dire nulla: quello che ci interessa è che il suo Ego è intatto, non si è trasformato in un "Ego divino". Perciò il sentiero dell'illuminazione dovrebbe incominciare ora e nessun gradino di esso dovrà essere trascurato. Per divenire un'Anima Liberata, uno non deve mai dimenticare quella esperienza, deve sforzarsi continuamente di ritrovarla e di approfondirla. Ma questo non basta, l'illuminazione si ottiene dando tutto il proprio essere ad attirare quella esperienza giù nella dimensione terrestre della vita. Qualche volta la fatica è grande, ma nulla nella vita può essere ottenuto senza un duro lavoro.

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CAPITOLO 10COSTRUIRE UNA SOLIDA BASE PER IL SENTIERO DEL KRIYA YOGA

Nel presente capitolo e nei seguenti 11 e 12, condividerò il mio pensiero didattico su come uno studente dovrebbe essere guidato dai primi passi del Kriya Yoga fino agli ultimi tentativi di raggiungere l'elevato stato del Samadhi. Farò una sintesi delle difficoltà pratiche che si possono presentare se non volete comunicare una ricetta da seguire sempre nello stesso modo per tutta la vita ma svelare un modo impegnativo ma stimolante per realizzare una dopo l'altra, le quattro fasi del Kriya Yoga.

Cominceremo con l'introdurre il mezzo più importante per ottenere una reale trasformazione della personalità: la "routine incrementale". Questo lavoro non ha nulla a che fare con le miti e sonnolente routine quotidiane che tutti conosciamo. Nel capitolo 11 ci concentreremo su come guidare uno studente a sperimentare lo stato di assenza di respiro. Nel capitolo 12 esamineremo un modo particolare di perfezionare il Kriya Pranayama, modo che non è discusso nella letteratura Kriya. Aggiungeremo anche una appendice dove spiegheremo come una persona che ha ricevuto il Kriya da una organizzazione può percorrere completamente il sentiero più elevato, senza includere nella sua routine altre pratiche oltre quelle già apprese dall'organizzazione.

Come verificare la predisposizione di una persona per il Kriya

A mio avviso un insegnante dovrebbe sempre mettere alla prova la predisposizione di uno studente al Kriya. Se uno ha già praticato il Pranayama per mesi (sia il Pranayama classico che simile al Kriya Pranayama) non c'è bisogno di prove. Ma per coloro che ritenete potrebbero non reggere alla disciplina del Kriya, potete consigliare una routine alternativa -- consiglio quella che ho praticato all'inizio del mio sentiero, cui accenno nel capitolo 1. Va da sé che se un principiante non riesce a praticarla regolarmente per almeno 3 a 6 settimane, non si pone neanche il problema di spiegare loro il Kriya. La routine consiste in: Nadi Sodhana (con i tre Bandha dopo la inspirazione durante il trattenimento); Ujjayi con o senza Aswini Mudra e un profonda concentrazione nel punto tra le sopracciglia.

Ho scelto Nadi Sodhana perché dopo anni di ricerca e di sperimentazione, sono giunto alla conclusione che Nadi Sodhana Pranayama è molto più importante di quanto attualmente si possa pensare. In effetti, un principiante viene letteralmente trasformato da tale pratica: vari schemi di squilibrio energetico scompaiono. Inoltre, se uno lo pratica per 20-30 minuti, scopre di essere entrato in un naturale stato di meditazione. Questo senza praticare alcun'altra tecnica. Penso davvero che sia stato un errore non includere Nadi Sadhana fra le tecniche base del Primo Kriya. È molto importante per equilibrare le correnti di Ida e Pingala. Ida (di natura femminile, legata all'introversione e allo stato di riposo) fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale, mentre Pingala (di natura maschile legata alla estroversione e alla attività fisica) fluisce parallelamente a Ida sul lato destro. Sushumna fluisce nel mezzo e rappresenta l'esperienza a metà strada tra le due: lo stato ideale da essere

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ottenuto prima di affrontare la pratica del Kriya. Un disequilibrio tra Ida e Pingala è responsabile della mancanza di

armonia tra introversione ed estroversione in molte persone. Quando Ida eccede nel funzionamento abbiamo un eccesso di introversione, quando Pingala predomina abbiamo un eccesso di estroversione. Sappiamo che ci sono momenti nella giornata in cui ci sentiamo più esteriorizzati; altri in cui siamo più interiorizzati. In una persona sana, quest’alternanza è caratterizzata dall'equilibrio tra una vita di positivi rapporti e un sereno contatto con le profondità del proprio essere. Invece la persona troppo introversa tende a perdere il contatto con la realtà esterna. La conseguenza è che le vicissitudini della vita sembrano coalizzarglisi contro e ciò mina il senso di controllo, di padronanza dei fatti della vita. La persona troppo estroversa tradiscono fragilità nel fare i conti con ciò che sale dal regno subcosciente e può trovarsi a dover affrontare degli inaspettati momenti di angoscia.

Un disequilibrio tra Ida e Pingala è un problema serio per coloro che cercano di interiorizzare la loro consapevolezza. Essi non riescono ad ottenere una prontezza attenta ma pacata che è la base stessa dello stato meditativo. Usando una suggestiva immagine, un insegnante di Kriya diceva che Ida e Pingala sono così attorcigliate alla base della spina dorsale che la nostra coscienza non riesce ad entrare nel canale più intimo della spina dorsale durante la pratica del Kriya Pranayama.

Non mi piace citare delle ricerche scientifiche che avvalorino la bontà di una tecnica. Ma nel caso del Nadi Sodhana è obbligatorio. Come sapete ci sono quattro tipi di onde cerebrali. Durante il sonno profondo le onde delta sono predominanti (1-4 oscillazioni per secondo), mentre in un pisolino le onde theta (4-8 oscillazioni per secondo) dominano. Le onde del cervello che ci interessano maggiormente sono le onde alfa (8-13 oscillazioni per secondo.). Esse appaiono maggiormente quando la persona ha gli occhi chiusi, è rilassata mentalmente, ma ancora sveglia e capace di sperimentare. Quando gli occhi sono aperti, o la persona è distratta, le onde alfa sono indebolite e c'è un aumento delle onde beta più veloci (13-40 oscillazioni per secondo). L'ammontare di onde alfa perciò mostra a che grado il cervello è in un stato di consapevolezza rilassata. Le misurazioni fatte con l'ECG hanno mostrato che l'ammontare di onde alfa aumenta durante la meditazione. Ma questo è risaputo. A noi interessa che è stato provato un equilibrio di onde alfa tra le due parti del cervello dopo la pratica del Nadi Sodhana. Ovvero si può misurare separatamente la quantità di onde alfa in ciascuna parte e scoprire che tanto più noi pratichiamo Nadi Sodhana, tanto più esse tendono ad essere uguali. In un cervello normale, un spontaneo spostamento di equilibrio accade continuamente durante la giornata tra sinistra e destra, in base a quello che si sta facendo. Il Nadi Sodhana crea quel perfetto equilibrio che è la migliore condizione per cominciare a praticare il Kriya Yoga.

Ho scelto Ujjayi perché esso rappresenta la migliore preparazione al Kriya Pranayama. Coloro che lo praticano e pongono la dovuta attenzione ai suoni che naturalmente si formano nella gola cominciano a percepire l'energia che fluisce in su e in giù lungo la spina dorsale.

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Nadi Sodhana Pranayama. È importante, prima di cominciare l'esercizio, pulire le narici così che il respiro possa fluire liberamente. Questo può essere fatto usando acqua, inalando essenza d’eucalipto e soffiandosi il naso. Talvolta qualcuno si lamenta del fatto che una delle due narici è sempre ostruita: questo è un problema medico che va preso nella dovuta considerazione. Se l’ostruzione è causata da un serio raffreddore, non si dovrebbe praticare nessun esercizio di Pranayama.

Per incominciare, la bocca deve essere chiusa, la narice destra deve essere tenuta chiusa dal pollice destro e l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice sinistra. L’inspirazione dura da sei a dieci secondi. È importante non esagerare e sentire l’esercizio come faticoso. Dopo avere inspirato attraverso la narice sinistra, si chiude la narice sinistra col mignolo ed anulare - sempre della stessa mano. Una breve pausa per un conteggio mentale di tre, avviene dopo ciascun’inspirazione. Si espira attraverso la narice destra, sempre secondo lo stesso lento, uniforme e profondo ritmo. Poi, le narici si scambiano il ruolo: mantenendo chiusa la narice sinistra, l’aria è lentamente, uniformemente e profondamente inspirata attraverso la narice destra. Segue la breve pausa. Poi l’espirazione avviene attraverso la narice sinistra, sempre in modo lento, uniforme e profondo.

Questo è un ciclo: all’inizio se ne fanno sei, poi dodici. Si può usare un conteggio mentale per essere sicuri che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. Le dita possono essere usate per aprire e chiudere le narici in diversi modi ed ognuno può fare come preferisce. La tecnica facile ed estremamente efficace dei "piegamenti in avanti" che discuteremo in questo capitolo (vedi: "Una preziosa variante del Maha Mudra in tra parti) può essere abbinata al Nadi Sodhana la qual cosa comporta benefici immediatamente visibili. Una famosa scuola di Kriya sottolinea l'utilità di far precedere o seguire Nadi Sodhana da Viparita Karani Asana.

Variante. Ricordiamo la definizione di Bandha: quando il collo e la gola sono leggermente contratti, e il mento s’inclina verso il petto, questo è Jalandhara Bandha. Uddiyana Bandha (in una forma semplificata utile per questo esercizio) consiste nel leggermente contrarre i muscoli addominali per intensificare la percezione d’energia nella spina dorsale. Durante Mula Bandha, i muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali - sono contratti come a volerli sollevare verticalmente mentre, in contemporanea, la parte inferiore dell'addome è premuta indietro.

In questa variante, l'espirazione dovrebbe durare un tempo doppio di quello usato per l'inspirazione, mentre la pausa dopo l'inspirazione dovrebbe essere lunga ben quattro volte tanto. Il rapporto tra inspirazione, trattenimento ed espirazione è indicato con 1:4:2. Durante la pausa, i tre Bandha sono applicati simultaneamente per produrre un risveglio interiore del Prana. Col tempo si percepisce una sensazione di corrente energetica che sale lungo la colonna spinale - un brivido interno quasi estatico.

Il tempo può essere misurato col canto mentale di Om. Chiudi la narice destra col pollice destro. Inspira attraverso la narice sinistra fino a contare lentamente 3 Om. Immagina che stai attirando il Prana con l'aria che inspiri. Chiudi la narice sinistra.

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Pratica i tre Bandha intensamente. Trattieni il respiro per un conteggio di 6 Om. Libera i Bandha ed espira lentamente attraverso la narice destra contando 6 Om. Ripeti il processo partendo dalla narice destra. Ripeti l'intero ciclo almeno 3 volte. Gradualmente si può aumentare il conteggio di Om mentre si trattiene il respiro fino a 12 conteggi.

L'esercizio può essere ulteriormente potenziato con una forte concentrazione nel Dan Tian durante il Kumbhaka. Si sente che il Prana si sta intensificando in tale regione. Trattenendo il respiro, si tirano in dentro i muscoli addominali sincronizzando questi movimenti col canto mentale di Om o con le sillabe del Mantra favorito. Tutto ciò aiuta a risvegliare Kundalini. Il grande Swami Sivananda di Rishikesh consigliava, durante il Kumbhaka, di percepire un intensificarsi di energia nel Muladhara Chakra invece che nel Dan Tian. Si percepisce che la corrente colpisce il Muladhara Chakra e risveglia Kundalini. Il rapporto tra inspirazione, trattenimento ed espirazione è sempre 1:4:2.

Ujjayi Pranayama. La tecnica consiste nell'inspirare profondamente e poi espirare attraverso entrambe le narici, producendo un suono/rumore nella gola. Durante l’espirazione tale suono non è forte come durante l'inspirazione. Dopo la pratica d’alcuni giorni, l'azione respiratoria si allunga senza sforzo. Quest’esercizio è praticato normalmente per dodici volte. Un conteggio mentale aiuta a far sì che inspirazione ed espirazione abbiano la stessa durata. È importante non solo concentrarsi sul processo stesso, ma anche sul senso di benessere e di calma indotta; in tal modo la concentrazione si approfondisce. Ora dimenticate il respiro, per almeno cinque minuti, la vostra attenzione, con una attitudine di profondo rilassamento è intensamente indirizzata nel punto tra le sopracciglia.

Come introdurre uno studente al Kriya Yoga

Eviterei quella particolare frenesia che accompagna una iniziazione tradizionale al Kriya, ove tutta l'istruzione pratica è data in fretta, in una sola lezione! 2 Ho visto che è più naturale e logico insegnare le tecniche Kriya un po' alla volta e far sì che uno sperimenti ciascuna senza alcuna tensione. Anche quando è necessario mostrare ad una persona tutto l'insieme delle tecniche del Primo Kriya per ragioni contingenti, raccomando di non intraprendere subito la pratica completa. Naturalmente, non consiglio nemmeno di attendere la situazione "perfetta" per cominciare la pratica, altrimenti la decisione rischia di essere spostata indefinitamente! Nella prima lezione non insegnerei il Navi Kriya, il cui "momento" verrà col tempo, e Yoni Mudra, che potrebbe sembrare sgradevole e fonte di disturbo, e limiterei il Kriya Pranayama solo alla prima parte.

La seconda lezione, dopo un paio di settimane, dovrebbe essere dedicata a

2 Alcuni giorni dopo quasi tutto è dimenticato e la persona entra in crisi. Questo è quello che di solito avviene con le iniziazioni di massa. Di certo le cose possono andare diversamente! Alcune rare persone ricorderanno sempre le poche parole pronunciate dal loro insegnante, con la stessa inflessione di voce, e dopo il lavoro di una vita, il loro pieno significato verrà realizzato.

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sottolineare quei dettagli che veramente contano.

1. L'importanza di Talabya Kriya e di Om Japa.Un kriyaban non dovrebbe mai trascurarle. Potete chiedere che qualche seduta di meditazione sia composta solo di Talabya Kriya e Om Japa seguite da dieci secondi di gioire della calma che tramite esse viene indotta. Quando questo avviene, si può sperimentare il potere che nasce dalla pratica limitata a queste due sole tecniche. La calma che esse inducono in pochi minuti è veramente incredibile.

Alcune organizzazioni, nel loro sforzo didattico di portare il Kriya Yoga alle persone, scelsero alcune semplici tecniche come preparazione. P.Y. scelse di prescrivere le tecniche Hong So e Om per sei mesi. La prima tecnica calma il respiro ed il sistema psico fisico. La seconda riguarda l'ascolto dei suoni interiori (astrali), ed il suono di Om. Queste sono tecniche meravigliose ma nel Kriya di Lahiri Mahasaya le tecniche preliminari sono Talabya Kriya e cantare Om nei Chakra. Esse conducono un kriyaban ad ottenere uno stato che è considerato una vera "benedizione."

Un fatto strano è che il Talabya Kriya non richiede concentrazione su nulla, solo una pura azione fisica. Inoltre possiamo notare che la semplice pressione della lingua contro il palato superiore, mantenendo l'effetto di suzione sul palato per 10-15 secondi, può, in sé e per sé, generare sensibilità nell'area dell'Ajna Chakra in un tempo molto breve. Anche il dettaglio di estendere la lingua gioca un ruolo importante. Quando la lingua è pienamente estesa, essa tira con sé alcune ossa craniali e guida alla decompressione nell'area del Rudra Granthi.

2. L'importanza del Maha Mudra.Un punto importante è di fare sentire ad una persona la differenza tra Kriya Pranayama con e senza Maha Mudra. È molto saggio che un kriyaban pratichi il Maha Mudra sia prima del Kriya Pranayama che dopo di esso. Un buon insegnamento è di praticare un Maha Mudra ogni 12 Kriya Pranayama finché uno non cominci a sentire le correnti nella spina dorsale.

Ci sono resoconti di yogi che hanno raggiunto esperienze fantastiche usando solo questa tecnica. Secondo quando dicono, la percezione della Nadi Sushumna è aumentata enormemente. Ci sono kriyabans che ha hanno accantonato tutti gli altri Kriya e stanno praticando 144 Maha Mudra in due sessioni quotidiane. Essi considerano il Maha Mudra la tecnica più utile di tutto il Kriya Yoga.

3. Importanza del Pranayama mentale alla fine della routine.Alla fine della routine il kriyaban deve godersi il Pranayama mentale per almeno dieci minuti. Il Pranayama mentale ha una divina bellezza, senza di esso posso scommettere che (a meno che uno non sia sostenuto per anni dalla eccitazione delle illusioni create in lui da un processo di indottrinamento) uno abbandona il Kriya sicuramente. Senza il Pranayama mentale, il Kriya Yoga diviene una torture che ci siamo imposti, un incubo, un condanna a morte.

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4. L'importanza di ascoltare i suoni interiori.Quasi ogni studente di Kriya ha difficoltà nel comprendere quale sia l'oggetto della meditazione Kriya. "Meditazione su cosa?" si sente spesso chiedere. All'inizio dei loro sforzi, spesso la "meditazione" consiste nell'elaborazione di pensieri elevati sostenuta da fervida immaginazione. Col tempo, i pensieri si calmano e non disturbano. In seguito appare una dolce consolazione, gioia interiore, inspiegabile trasporto mistico. È forse la meditazione Kriya la consapevolezza della beatitudine interiore? Meditazione Kriya è senz'altro questo ma è anche l'incontro con l'ineffabile, con Realtà che sta oltre la mente, che non è vuoto ma è pienezza. Questo avviene ascoltando i suoni interiori. Rimanere assorbiti in essi fino che essi diventano il suono di Om, è il primo dovere del kriyaban -- è il modo più elevato di vivere l'esperienza della meditazione Kriya.

Il giusto atteggiamento dell'insegnante e dello studente

Un insegnante dovrebbe accettare che all'inizio del sentiero Yoga, c'è sempre un marcato scollamento tra il nuovo interesse spirituale di un kriyaban e altre ben radicate consuetudini che possono essere sociali, intellettuali o artistiche. I segni di progresso sono molto sottili e instabili. Un insegnante dovrebbe evitare atteggiamenti censori e far finta di non vedere tanti fatti discutibili riguardanti il comportamento dell’allievo. I principi dello Yoga, come le regole di Patanjali, non sono facili da mettere in pratica. Paradossalmente, è più facile per la maggior parte delle persone liberarsi di dannose abitudini a cause di una nuova moda ecologista piuttosto che essere capaci di comprendere ed analizzare in profondità il meccanismo per cui alcune abitudini ci rendono schiavi. Un insegnante di Kriya ha gran fiducia nell’effetto trasformante della pratica del Kriya.

La principale qualità di uno studente Kriya è di trattare il Kriya Pranayama come una scoperta gioiosa, un sorgente di benessere e di gioia e di affidarsi alla pura "naturalezza" della procedura. Sebbene guardino a questa tecnica con prudenza, la praticano agevolmente, adottando l'atteggiamento simile a quello di una domestica seria che, munita di pazienza e cura, prepara un pasto occupandosi di tutti i dettagli, dal lavoro noioso di spellare patate all'arte di occuparsi dei ritocchi finali. Gli studenti dovrebbero avere la qualità di un autodidatta ed essere capaci di usare il buon senso per adattare leggermente le istruzioni ai fatti contingenti della propria vita. Non telefonano un giorno sì e un giorno no con domande che sono principalmente intellettuali; non chiedono con troppa insistenza, a volte ossessione, che tutti i possibili e immaginabili dettagli del Kriya Pranayama siano loro chiariti. Per loro non è una tragedia non vedere l'occhio spirituale. Ma per loro è una grande soddisfazione scoprire che la parte migliore del loro essere ne esce amplificata. Le percezioni mutano ed essi scoprono i molti belli aspetti della vita. Alcuni scoprono una quasi dimenticata potenzialità di godimento estetico, specialmente nella natura, osservando tutto ciò che li circonda; altri scoprono la meraviglia del proprio lavoro, mentre si commuovono rendendosi conto quanto la loro famiglia rappresenti per loro.

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Sono inondati da una sensazione di amore di cui non si ritenevano capaci. È come se avesse occhi e cuore per la prima volta.

Purtroppo, alcuni studenti di Kriya portano nella loro pratica lo stesso atteggiamento avido, impaziente, a volte insensibile, che hanno nella vita -- specialmente quando sono imbevuti di Esoterismo e di Pensiero Magico. Non comprendono quanto importante sia prima rilassarsi e godere, e poi perfezionare i piccoli dettagli. Si stancheranno ben presto di fare domande e abbandoneranno tutto. È come se la loro conoscenza fosse uno scudo che impedisce che la genuina bellezza del Kriya possa entrare nella loro vita. Non dimostrano fiducia nella naturalezza del Kriya ma credono che il miracolo possa scaturire solo con un esecuzione impeccabile della ricetta magica che il Kriya per loro rappresenta. Sono stati fuorviati da qualche libro oppure non comprendono la dimensione spirituale della vita. Più si sforzano, più problemi si procurano. Ed è una benedizione quando lasciano.

È ovvio che non si può raggiungere con pochi giorni di pratica. Alcuni considerano le tecniche talmente "sacre" da guardarle con

diffidenza, con un timore reverenziale. Non c'è da meravigliarsi che queste tecniche possano sembrare, a un primo sguardo, complicate o strane; ma poi uno dovrebbe accorgersi quanto sono naturali. Qualche volta le domande difficili, le obiezioni sono un tentativo vero e proprio di esasperare l'insegnante per crearsi una scusa ed abbandonare la pratica.

Il successo nel Kriya è di coloro che si Uno non dovrebbe essere troppo esigente con se stesso; ciò porterebbe a sviluppare una tensione eccessiva, di cui sarebbe poi difficile sbarazzarsi. Molti sono convinti che uno dei prerequisiti per praticare il Kriya sia l'abilità di raggiungere facilmente uno stato di perfetta concentrazione: ma questo è uno dei risultati finali, non il primo passo! È normale che la mente vaghi continuamente in mille opposte direzioni. Se questo avviene, ebbene lasciamolo avvenire!

Certo possiamo scorgere i primi timidi segnali di ben più importanti effetti.

CONSOLIDARE IL SENTIERO KRIYA TRAMITE LE ROUTINES INCREMENTALI

Usualmente i kriyaban praticano ogni giorno lo stesso insieme di tecniche, nello stesso ordine e con lo stesso numero di ripetizioni. Una routine invariante che richiede sempre lo stesso ammontare di tempo è ciò che viene raccomandato da molte organizzazioni. Tale routine fissa è la miglior cosa da raccomandarsi ad un principiante. Purtroppo, il rischio di noia e perdita di entusiasmo è grande. Questa è un "legge" cui nessuno sfugge. Non c'è alcun dubbio che uno dovrebbe continuare a praticare anche durante delle fasi apparentemente non produttive e tuttavia ottenere delle esperienze molto belle. Molti raggiungimenti come l'ascoltare i suoni interiori, vedere l'occhio spirituale, avvengono senza alcun

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dubbio praticando una routine invariante. Ora, praticare una routine fissa per un periodo di tempo è una cosa, mentre

praticarla per tutto il resto della propria vita è tutt'altra cosa! Uno yogi scrisse che sperare di ottenere una profonda trasformazione con tale prassi è lo stesso che sperare sia sufficiente colpire un pezzo di metallo una volta il giorno con un martello per far sì che questo emetta, dopo anni, l'energia atomica in esso contenuta. Dopo aver attraversato la fase iniziale i kriyaban raggiungono infine un punto morto ove ogni ulteriore progresso pare impossibile. Soffrono sensi di colpa e sviluppano tutte le specie di paranoie. Pochi sanno come venir fuori da questa situazione inaspettata in modo positivo. Istintivamente molti riescono a riaccendere il loro entusiasmo, ma solo parzialmente e per un breve periodo di tempo, con letture, ascoltare registrazioni di discorsi spirituali, prender parte a kirtans ... Molti si rivolgono a persone esperte (in qualsiasi organizzazione ci sono persone che esercitano il ruolo del "meditation counselor") per chiedere consiglio, ma non appena palesano i loro dubbi sulla validità della loro routine, o sulla possibilità del Kriya Yoga di produrre o meno cambiamenti reali nella personalità, allora vengono coinvolti profondamente sul discorso della lealtà. Tante volte, gli viene raccontata la bizzarra storiella di kriyaban leali che ebbero una vera esperienza spirituale solo sul letto di morte! "Un discepolo leale non si lamenta nel caso che anche dopo anni o dopo una vita intera non abbia avuto chiari segni di progresso!" -- questo è il rimprovero. Questo è il momento pericoloso dove interesse e passione per il Kriya sono molto prossime a svanire completamente.

Nella prima parte del libro ho accennato alle Routine ad incremento progressivo. Poiché esse hanno un effetto unico, insostituibile sulla propria personalità, raccomando fortemente che uno studente si concentri su tecniche fondamentali come Navi Kriya, Kriya Pranayama e Thokar e le pratichi in modo intensivo aumentando progressivamente il numero delle loro ripetizioni. Ho visto dei risultati incredibili in coloro che hanno completato Routine ad incremento progressivo, risultati che sono inconcepibili per coloro che seguono la pratica tradizionale. Queste routine costituiscono le migliori fondamenta per gioire del Kriya per tutta la vita. I risultati ottenuti comprovano che le Routine ad incremento progressivo sono una delle più vantaggiose attività in cui un kriyaban si può imbarcare. Per queste ragioni, quando mi fido della serietà dello studente, incoraggio sempre ciascun kriyaban a intraprendere almeno una routine ad incremento progressivo. Do questo consiglio senza indugiare o investigare troppo.

Quello che avviene nell'atletica ci fornisce molte spunti di riflessione. Atleti che desiderano raggiungere dei traguardi degni di nota devono in qualche modo aumentare l'intensità e la qualità della loro pratica. Solo alternando allenamento e riposo secondo schemi ben precisi onde spingere al massimo, oltre i livelli consueti, il loro grado di resistenza fisica e mentale, riescono a fornire prestazioni altrimenti irraggiungibili.

Non ci si deve offendere dal paragone tra il Kriya e gli sport. Il Kriya non è uno sport ma negli stadi iniziali del Kriya, applicando le sue diverse tecniche

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psico fisiche, esso possiede tanti punti a comune con l'essenza dell'atletica. Entrambi rifuggono l'impiego della forza bruta, entrambi richiedono di porsi degli obiettivi e di canalizzare diligentemente la propria forza verso il raggiungerli. Entrambi richiedono autoanalisi: analizzare e valutare la propria modo di esecuzione e imparare dall'esperienza ed entrambi richiedono un istruttore.

Capisco ovviamente che incominciare questo processo è un atto di coraggio, un maturo atto di fiducia nel Kriya e in se stessi, una decisione che dovrebbe essere ispirata dalla propria intuizione. Sto ben attento a spiegare che è importante aver dimestichezza con l'inconscia resistenza a cambiare e saper interpretare le ragioni degli stati d'animo alternanti che appaiono quando pratichiamo intensamente una tecnica Kriya.

Le tecniche Kriya producono precisi effetti (percepiti specialmente nel giorno che segue la pratica) in molti modi: stati d’animo, fantasie, ricordi e desideri che sorgono improvvisamente. Tutto questo è benefico. Vivere in modo molto vivo parti della nostra vita, da molto dimenticate, per mezzo della memoria così stimolata è un processo di pulizia. Questo processo ha in se stesso un meccanismo equilibrante che aiuterà ad evitare di essere sommersi da tempeste di improvvisi umori grigiastri. Però accetta di avere umori altalenanti. Devi essere intelligente, familiare con le leggi della psiche umana. Devi conoscere il principio di resistenza inconscia al cambiamento: capire le profonde ragioni degli stati negativi che appaiono quando pratichi intensamente le tecniche Kriya. Le esperienze di risveglio interiore portano dei problemi psicologici sepolti alla superficie. Questo è un effetto detergente e non ti danneggia. Comunque uno dovrebbe sentire se sia necessario interrompere la pratica per qualche settimana o se la tecnica dovrebbe essere praticata in maniera meno intensa. Dopo una salutare pausa di due-tre settimane, il "guerriero" è di nuovo sul campo pronto a portare a compimento il lavoro.

I. Routine incrementale del Navi KriyaEcco le precise parole con cui la spiego: "Di Sabato, o in qualsiasi giorno libero, lascia perdere la routine tradizionale e, dopo una breve pratica di Talabya Kriya, Maha Mudra e Kriya Pranayama, pratica il doppio delle ripetizioni del Navi Kriya, ovvero 8 unità. Completa la seduta col Pranayama mentale, come è tua abitudine. La Domenica, concediti un giorno di riposo dalle pratiche Kriya e concediti invece un tranquillo Japa e, se il tempo atmosferico lo permette, goditi una lunga passeggiata per calmare le regioni profonde della tua psiche. Nei giorni seguenti riprendi la primitiva routine completa. Il prossimo Sabato pratica tre volte la quantità standard del Navi Kriya: 12 unità. Naturalmente questo deve sempre avvenire entro la cornice di una preparazione come Talabya, Maha Mudra... e concludere con qualcosa come il Pranayama mentale. La Domenica riposati col Japa e fai una passeggiata... Dopo una settimana, o due se preferisci, pratica 16 unità di Navi Kriya... e così via ... 20, 24... fino a 80 unità, ovvero venti volte la dose standard. L'aumento di questa delicata tecnica Kriya dovrebbe essere graduale. Se pensi di fare il furbo e fare subito tantissime ripetizioni tutte

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in un colpo, sappi che è come fare niente, perché i canali interiori si chiudono. I nostri ostacoli interiori non possono essere eliminati in un giorno, non solo perché la nostra costituzione non è abbastanza forte ma perché la nostra forza interiore per dissolverli è inizialmente debole e deve essere aumentata settimana dopo settimana. Inoltre, questo processo dovrebbe integrarsi con una regolare vita attiva. Sta a te rendere il più piacevole possibile la giornata dedicata alla pratica; è consigliabile dividere le lunghe sedute in due o tre parti -- da completarsi prima di andare a dormire. Ciascuna di queste parti può terminare distendendosi su un tappetino in Savasana (la posizione del cadavere) per alcuni minuti. Puoi completare la prima parte della pratica presto al mattino, stando attento a rispettare ogni dettaglio -- e praticare la seconda parte nel pomeriggio. Dopo un pasto leggero ed un piccolo sonnellino, esci se puoi, raggiungi un luogo bello dove ti puoi sedere, prendere un po’ di tempo per contemplare la natura. Poi, perfettamente a tuo agio, puoi completare il numero che ti eri prefisso. Tutto procederà armoniosamente e l'effetto aumenterà quando il giorno cederà al crepuscolo. Se pratichi nella tua stanza, fai in modo di riuscire a fare un tranquilla passeggiata nella sera, quando viene la benedizione di un silenzio carico di beatitudine."

Allo studente spiego che si può scegliere qualsiasi variante del Navi Kriya: la migliore è sicuramente la variante illustrata nel capitolo 7 (Variante 2. Navi Kriya -- Quattro Direzioni.) Essa afferra l'attenzione in una maniera che è impossibile ottenere con la forma base del Navi Kriya. Il suo tranquillo spostare l'energia lungo la circonferenza della testa ha un effetto che non ha paragoni. Per quando riguarda questa variante, siccome una unità consiste di 36 discese di energia, precedute e seguite dal cantare Om nei Chakra, il processo comincia con 36 x 2 discese. I prossimi passi sono 36 x 3, 36 x 4 … 36 x 19, 36 x 20. È stato provato sperimentalmente che non serve andare oltre le 36 x 20 ripetizioni. Durante lunghe sedute, dopo la prima mezz'ora, i movimenti della testa si notano appena. In altre parole, il movimento del mento in avanti, indietro, e lateralmente che è inizialmente di circa cinque centimetri si riduce a tre millimetri!

Come mai questa variante è da preferirsi? Dopo molte ripetizioni di questa variante del Navi Kriya, un fenomeno molto interessante può essere osservato: ad un certo punto la espirazione sembra divenire interna. Nello stesso momento in cui viene formulata la volontà di espirare, si sente come se i polmoni non riuscissero a muoversi. Alcuni istanti dopo la consapevolezza di un qualche cosa di sottile che comincia a scendere nel corpo accompagna una espirazione molto piacevole. La espirazione è un atto mentale, come una pressione interiore che si estende ovunque e che produce un particolare senso di benessere, armonia e libertà. Si ha la sensazione di poter restare così per sempre. L’aria esce ancora dal naso ma colui che pratica giurerebbe che questo non avvenga. Questa può essere considerata la prima timida apparizione del Pranayama col respiro interno.

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Osservazioni principali che riguardano questa routine incrementale.Un buon effetto di questa pratica è scoprire un notevole aumento della chiarezza mentale – probabilmente dovuto ad una forte azione sul terzo Chakra che governa il processo pensante. Un processo logico più calibrato, preciso e chiaro sorgerà da questa più efficiente sinergia tra pensieri ed emozioni. L'intuizione fluirà liberamente e fronteggerà quei momenti della vita in cui si devono prendere importanti decisioni.

Accetta anche che tratti di durezza possano apparire nel tuo temperamento. Alcuni kriyaban si trovano a pronunciare delle affermazioni che in quel momento sentono essere sincere ma che altri trovano offensive e taglienti. Sostenuto da una luminosa intuizione interiore, potresti ferire a parole i tuoi amici e solo ore dopo, solo e distaccato, osservare come quelle parole riecheggiano nella tua mente in tutta la loro crudeltà. Con grande imbarazzo, è possibile tu realizzi che quelle osservazioni erano totalmente fuori luogo.

Cerchiamo di capire come mai questo problema appare frequentemente. Vediamo cosa rappresenti l'attraversare il nodo dell'ombelico. Si spiega che il taglio del cordone ombelicale alla nascita crea una divisione di un'unica realtà in due parti: il lato spirituale di una persona, che si manifesta come gioia e calma nei Chakra più elevati e nella testa e il lato materiale nei Chakra più bassi. Questa frattura tra materia e spirito entro ciascun essere umano è la fonte permanente di laceranti conflitti. Per mezzo di questa routine incrementale e attraverso uno sforzo cosciente di armonizzare nella nostra vita di ogni giorno le due dimensioni di Spirito e materia, avviene il risanamento di questa frattura. Sebbene il risanamento sia un evento armonioso, la sua manifestazione che traspare all'esterno può essere interpretato negativamente dagli altri, spesso a causa della eccessiva sicurezza da parte del kriyaban delle proprie convinzioni che sembra cocciutaggine o dogmatismo. La personalità di un kriyaban è destinata ad essere idealmente raccolta attorno ad un punto centrale e ogni conflitto interno ad essere risanato. Gli effetti sono percepiti internamente ed osservati chiaramente nella propria vita pratica. Si percepisce un ordine interiore che si stabilisce; ciascuna azione sembra come se fosse circondata da un alone di calma e sembra andare diritta verso lo scopo. Mi ricorda l'atteggiamento di Achab nel Moby Dick di Herman Melville: "Deviarmi? Voi non potete deviarmi,... Il percorso verso il mio scopo fisso è posato con sbarre di ferro, su cui la mia anima è scanalata per correre. Nulla è da ostacolo, nulla forma un angolo alla mia strada di ferro!"

II. Routine incrementale del Kriya PranayamaDopo alcuni mesi (quando il Navi Kriya è completato o, almeno, completato a metà) invito a incominciare un processo analogo per il Kriya Pranayama. 36 x 2, 36 x 3….36 x 20 Kriya Pranayama è un progetto molto buono; 24 x 2, 24 x 3,…..24 x 24 è più leggero ma comunque valido. È chiaro che in esso si introducono le tre fasi del Kriya Pranayama rispettando quanto detto nei capitoli 6 e 7. In altre parole non si elimina mai la prima fase e si passa alla terza solo dopo aver praticato almeno 48 respiri. Quando la pratica viene spezzata in due o

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tre parti -- per esempio tra mattina e pomeriggio -- è necessario alla ripresa rispettare lo stesso principio di ripartire dalla prima fase ecc. La risposta non può essere che positiva.

Aggiungiamo anche che una volta superati i cento respiri, è preferibile introdurre il Mantra di 12 sillabe, il che non significa applicare tutti i dettagli sottili dell'Omkar Pranayama ma semplicemente servirsi della bellezza del Mantra per superare quella normale noia che verrebbe usando solo il Mantra Om. Chiariamo infine che durante ciascuna fase del processo, è importante mantenere sempre un filo di respiro, fino al completamento del numero che si è deciso di praticare. In altre parole, il processo non dovrebbe mai diventare puramente mentale.

Osservazione principale che riguardano questa routine incrementale.Per molti kriyaban questa routine diventa uno straordinario viaggio nella propria memoria. Accadde infatti che, concentrando la propria attenzione sui Chakra, otteniamo un particolare effetto: lo schermo interiore della nostra coscienza comincia a mostrare molte immagini. Questo è un fatto fisiologico e abbiamo tutte le ragioni di sospettare che coloro che affermano di esserne esenti non hanno abbastanza lucidità per notarlo. I Chakra sono come scrigni contenenti la memoria dell'intera propria vita: essi fanno sorgere il pieno splendore di reminiscenze perdute. L'essenza di eventi passati (la bellezza contenuta in essi e mai apprezzate appieno) è rivissuta nel quieto piacere della contemplazione mentre il cuore, talvolta, è pervaso da un pianto trattenuto. É una rivelazione: la luce dello Spirito pare brillare in quelli che sembrano banali attimi della nostra vita.

III. Routine incrementale del ThokarLa terza routine dal valore inestimabile ad Incremento Progressivo è basata sulla forma base del Thokar. Abbiamo già detto che il kriyaban è istruito ad aumentare gradualmente il numero delle ripetizioni. Questo fatto deve essere progettato con grande cura: cominciando con 12, un kriyaban aggiunge sei ripetizioni per settimana. Dopo la prima settimana con 12 ripetizioni al giorno, prendiamo in considerazione 18 ripetizioni: se non ci sono problemi, questa quantità di 18 ripetizioni può essere praticata ogni giorno, oppure a giorni alterni, durante la seconda settimana. Non è necessario praticare ogni giorno; anzi è saggio lavorare in media tre giorni alla settimana. La ragione è che quando raggiungete un consistente numero di ripetizioni (più di 60) gli effetti sono molto forti. La terza settimana potete praticare 24 ripetizioni a giorni alterni e così via... Il numero massimo di ripetizioni è 200. (Durante le due precedenti Routine Incrementali si lasciava passare un minimo di sei giorni tra due pratiche intensive.)

Per quanto riguarda la forma evoluta del Thokar (quella con molte rotazioni della testa) una routine incrementale non è cosa che si può "consigliare". Colui che riesce ad ottenere l'assenza di respiro e riesce a trattenere senza sforzo il respiro durante questa pratica, non ha più bisogno di numeri e non seguirebbe alcuna indicazione. Chi riesce in tale forma di Thokar non ha la pazienza di aumentare

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gradualmente il numero delle rotazioni. Una forza, un rapimento interiore lo guida in modo irrefrenabile.

Osservazioni principali che riguardano questa routine incrementale.Durante questo processo, avvengono delle importanti esperienze. Una Bellezza senza fine, che crea un ardore di amore mai provato prima, si intensifica attorno al quarto Chakra, come se una mano possente spremesse la regione del torace. Uno si sente come immobilizzato da una forza immensa. È a causa dell'intensità di questa esperienza che sembra talvolta difficile da sostenere, che l'effetto del Thokar è stato descritto come "ubriacante." Tu senti di appartenere per l'Eternità a quella dimensione paradisiaca.

Il punto risplendente che si percepisce nel centro del cuore e che si rivela essere la stella entro il terzo occhio regala al kriyaban un'esperienza più profonda. Nasce il sentimento di essere diviso in mille parti - ognuna che pare esplodere di beatitudine. Inspirato da questa nuova condizione, paragonando il suo vivere con quella dei mistici, uno comprende come sia difficile portare avanti i doveri quotidiani e mondani, senza essere paralizzato da tale beatitudine! È difficile anche darsi una ragione di come coloro che non hanno mai gustato una simile beatitudine siano capaci di trovare la forza per continuare a praticare il Kriya per anni e anni. Forse possiamo ringraziare tutte quelle fantasiose promesse che si fanno agli interessati di Yoga e meditazione per attrarli al sentiero Kriya e che li tengono legati fedelmente ad esso finché accade la vera esperienza.

È solamente adesso, avendo nel cuore il riverbero di tale stato, che uno impara a meditare senza inquinamento mentale, e senza immaginazioni.

IV. Una Deliziosa Parentesi: 20736 Omkar PranayamaIn certi momenti della vita è bene prendersi il piacevole impegno di completare 20736 respiri Omkar Pranayama -- scegliendo tra il praticarne 144 al giorno per 144 giorni oppure 72 al giorno per 288 giorni. Questa non è una Routine Incrementale vera e propria, ma molto simile nelle sue intenzioni -- funziona come un bulldozer spirituale donandoti l'esperienza ineffabile della Realtà Omkar!

Non praticare solo il puro Omkar Pranayama. Usa il buon senso e fai sì che lo stesso processo ti guidi. Comincia ciascuna sessione col Maha Mudra e poi comincia a respirare come nel Kriya Pranayama ma usando il Mantra Om Na Mo.... Entra, al più presto possibile, nella dolce dimensione della seconda fase del Kriya Pranayama. Poi rimani tutto il tempo a metà strada tra il Kriya Pranayama (secondo e terza fase) e l'Omkar Pranayama. Inoltre ad un certo momento col tuo Omkar Pranayama ti avvicini sempre di più alla dimensione del Pranayama mentale.

A differenza della routine incrementale del Kriya Pranayama, non preoccuparti di perdere il filo del respiro: prenditi tutto il tempo che vuoi per soffermarti in qualsivoglia Chakra per godere qualche particolare esperienza Omkar, quando manifesta. Può essere suono interno, luce, qualsiasi cosa...

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L'immersione nella Realtà di Omkar gioca un importante ruolo: la vita e l'esperienza spirituale divengono uno. Gli strati più profondi della tua psiche ne saranno influenzati armoniosamente. Questa pratica crea un'aspirazione bruciante che scava un ruscello di devozione genuina. Ti immergerai in qualche cosa di così intensamente bello. Tra le macerie di molte illusioni, questa procedura, nella semplicità della sua essenza, ti aprirà le porte della realizzazione spirituale.

Risultati Complessivi Raggiunti tramite il Completamento delle Routine Incrementali

Queste tre routine ad incremento progressivo sono tali che alla fine del processo, uno avrà l’impressione che epoche siano passate e di avere ottenuto un risultato concreto e permanente. Dopo questa esperienza che si fa una volta sola nella vita, una persona sembra "invecchiata", in saggezza e modo di fare, di molti lustri.

1. Il Raggiungimento della Maturità EmotivaQueste routine insegnano ad un kriyaban come tenere a bada le proprie emozioni -- intendo quelle superficiali, in modo che solo i sentimenti profondi guidino le decisioni.

Ho provato a rintracciare questo argomento in alcuni libri orientali ma ho incontrato tanta retorica, tante parole che non dicono nulla. Tali testi distinguono tra emozioni positive (affetto, felicità, appagamento...) e negative (invidia, aggressività e illusione ...). Ma alla fine di noiose discussioni non si riesce ad afferrare il fatto essenziale: le emozioni non dominate possono creare disastri nella nostra vita. Questo fatto è serio, mostruosamente urgente. A mio avviso, i kriyaban che non fronteggiano almeno una volta nella vita le routine incrementali saranno sempre sul punto di perdere tutto quello che hanno realizzato.

Sappiamo tutti che spesso emozioni violente, frenetiche ed isteriche sorgono improvvisamente nel nostro essere e poi scompaiono. Esprimono una realtà privata d’autentica profondità ma possiedono una forza propulsiva che termina in azioni affrettate, vissute in una specie di febbre cerebrale nutrita da un angusto piacere viscerale. Quando la passione infiamma l’intero essere, non è possibile ascoltare la guida del buon senso: la conseguenza è che quelle che furono le nostre scelte più serie, talvolta cedono ad arresti irrevocabili.

Proprio come in estate i grani di grandine sono creati, condensati ed ispessiti nell'aria prima di precipitare sulla terra producendo tutti i possibili disastri, decisioni fatali cominciano a prendere forma nella nostra immaginazione. Durante quotidiane, frequenti fantasticherie, la prospettiva di rinunciare a lottare getta una falsa luce sul nostro futuro immediato, così che ciò che in passato ci avrebbe fatto vergognare per viltà, ora sembra brillare all'orizzonte della nostra esistenza come un opaco, informe, tetro cielo che improvvisamente diventa sereno e si accende di un azzurro luminoso. Quando badiamo a simili seducenti emozioni superficiali noi spianiamo la strada per la

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nostra sciagura.Le emozioni sopra citate non sono tenute a bada con l'autoanalisi. Il nostro

modo di reagire alle emozioni è il sigillo che protegge il "nostro diritto al dolore e alla sofferenza" (la frase tra virgolette è una espressione di Mére.) Questi meccanismi possono divenire la nostra croce, il nostro patto con l'infelicità. Noi possiamo stupidamente gettare via la nostra vita, professione, famiglia e amici. Questo cedere alle emozioni ha effetti che non differiscono da quelli di un asteroide che precipita attraverso l'atmosfera portando fuoco e distruzione. "Maturità emotiva" è un rapporto sano con la realtà, la quintessenza di quello che istintivamente visualizziamo quando usiamo il termine "salute mentale".

Inoltre è difficile rendersi conto di come restare fedeli al percorso Kriya è un'operazione delicata che può guastarsi improvvisamente! Siamo governati da emozioni ed istinti che includono il nostro condizionamento religioso, i nostri punti deboli, le nostre paure, i nostri dubbi, ed il nostro pessimismo. Molto importante è l'abilità di tenere le emozioni superficiali sotto controllo, restare calmi, proseguire lungo la propria strada anche quando gli amici più vicini cercano di convincerti a seguire la loro strada.

2. L'Abilità di Stare sui Propri PiediUn altro effetto che, come importanza, viene subito dopo il precedente è quello di aiutare gradualmente un kriyaban insicuro e pieno di dubbi a divenire un autodidatta che sa essere acutamente creativo e migliora giorno dopo giorno l'esecuzione delle tecniche, "leggendo" con obiettività i risultati ottenuti.

Purtroppo molti kriyaban intraprendono il sentiero Kriya da persone credulone, pronte a farsi gabbare. Essi coltivano l'illusione che il Kriya sia un insieme di segreti (di efficacia crescente man mano che vengono rivelati i Kriya superiori) che funzionano in modo quasi automatico. Praticano molto poco, pur facendo finta di praticare molto -- gli basta la convinzione che il loro Kriya sia la "suprema fra tutte le tecniche spirituali, la via aerea alla realizzazione del Divino".

Le routine incrementali cambiano la propria vita: esse sostituiscono l'infantilismo di pendere dalle labbra degli insegnanti "autorizzati" con un'obiettiva valutazione degli effetti di ciascuna routine che uno ha personalmente concepito. Esse ci danno la possibilità di rivelare eventuali errori nella nostra comprensione di una tecnica e di fornire uno o più metodi per correggerli. Mentre pratichi, riceverai degli indizi molto importanti, specie quando avrai sperimentato varie tappe del percorso: certi dettagli della tecnica ti diventeranno insopportabili, altri spariranno senza che tu sul momento te ne accorga; altri dettagli che sembravano insignificanti verranno amplificati e valorizzati grandemente. Nei giorni che seguono le lunghe sedute di pratica avrai una comprensione più profonda di tale tecnica percependo intuitivamente la sua essenza. Altri aspetti ti verranno rivelato a distanza di tempo. Forse mesi o anni dopo tale routine ad incremento progressivo potrai fare degli interessanti collegamenti e deduzioni e quindi correggere ulteriormente il tuo punto di vista.

Smettiamola di affidarci all'autorità di un Guru itinerante: la nostra vita è troppo preziosa per porla nelle mani di un'altra persona. All'inizio del nostro

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sentiero, è giusto dare una certa fiducia ad una scuola o ad un Maestro ma in seguito è bene basarci su di una sperimentazione accurata. Non abbiamo altri mezzi per verificare il valore di una tecnica. Quando diverse routine ad incremento progressivo sono state completate, uno ha sviluppato la qualità di autodidatta. Un kriyaban avrà creato una semplice ma perfettamente sostenibile visione del Kriya tanto che non sentirà la necessità di discutere quella routine con altri esperti Kriya.

Prima di chiudere lasciatemi dire che un risultato sicuro è quello di imparare a meditare profondamente e ovunque, non essendo mai più disturbato da nulla. Mentre i principianti nel Kriya sono maniacali nel preparare un buon ambiente per la loro meditazione e basta un niente per innervosirli e preoccuparli, chi ha completato le routine ad incremento progressivo è capace di meditare nei luoghi più strani e in situazioni impossibili - come viaggiare in treno o guardando uno spettacolo teatrale o un film che non li interessa. Strano a dirsi, quelle occasioni possono creare per contrasto, una particolare attenzione - diciamo di "soglia" - eliminando radicalmente il pericolo di addormentarsi e portano a risultati insperati.

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CAPITOLO 11UN MOMENTO DI SVOLTA: LO STATO DI ASSENZA DI RESPIRO

L'assenza di respiro è un risultato decisivo che segna svolta nella propria vita: è una stupenda rivelazione, è la vera Iniziazione. Vorrei consolare coloro che si sentono orfani di un Guru, che si trovano a percorrere il percorso spirituale senza una guida. Vorrei dire loro che nell'assenza di respiro troveranno tutte le "benedizioni" che non hanno ricevuto prima durante una iniziazione formale.

Mediamente, la realizzazione dello stato di assenza di respiro richiede, a mio avviso, due - tre anni di regolare pratica Kriya. Quando il tempo è maturo, questo stato si manifesta naturalmente e spontaneamente durante il Pranayama mentale. Dopo la pratica delle Routine ad incremento progressivo, dopo la trasformazione descritta nel capitolo precedente, lo stato di assenza di respiro è possibile. Ci sono, come ora spiegheremo, delle procedure appositamente disegnate per favorire questo stato. L'impegno di cui ora andiamo a parlare regalerà ad un kriyaban l'esperienza fondamentale che contrassegnerà il periodo più bello e profondamente soddisfacente della sua vita.

Il più grande aiuto -- son sicuro di questo, per lo meno per la maggior parte delle persone -- è estendere il proprio impegno spirituale all’intera giornata. Non ha senso vivere in un modo caotico e poi sedersi a praticare il Kriya e pretendere che in un istante la mente diventi come un laser. C'è una sola azione che risana e calma la mente: ripetere continuamente una preghiera, un Mantra. Intendo quella pratica che in certe tradizioni mistiche viene detta Preghiera Continua. Ricolleghiamoci all'atmosfera e all'insegnamento presenti nel libro I racconti di un pellegrino russo [Anonimo; Bompiani] perché è di quell'insegnamento che ora voglio parlare.

Alcuni kriyaban pensano che la loro disciplina non abbia nulla a che vedere con la preghiera -- "...il Kriya Yoga è un Pranayama adatto a risvegliare Kundalini, a mutare la costituzione atomica delle celle della corda spinale... Per quanto riguarda il Japa, affermano che: "né il mio Guru né Lahiri Mahasaya lo insegnavano. Non mi serve."

Al contrario, non solo serve ma è essenziale. Credo che il Kriya Yoga sia il perfezionamento del sentiero spirituale, mentre il Japa ovvero la pratica della Preghiera Continua, sia il suo fondamento. Ho visto gli occhi splendere di gioia e di una beatitudine sconfinata da parte di quei pochi kriyaban che hanno sviluppato un approccio basato sul Japa. Mantenere la mente sempre in sintonia con un stato di calma, la quale fiorisce ripetendo il nostro Mantra prediletto, è l'azione più efficace che si possa fare per ottenere risultati insperati durante la pratica della nostra routine Kriya. Attraverserai momenti in cui solo il Japa rimarrà, anche quando le vicissitudini della vita cercheranno di distruggere la stessa idea della dimensione mistica. Rimarrà quando il tuo Sadhana (sentiero) sembrerà frantumarsi in mille maldestri tentativi, ciascuno fragile e vulnerabile.

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Come Praticare il Japa

Se vuoi mettere alla prova quanto dico, scegli un Mantra (Preghiera.) Non devi sentirti costretto ad usare il Mantra favorito da Lahiri Mahasaya "Om Namo Bhagavate Vasudevaya". Può scegliere, tra le formule preferite di preghiera, una (aggiungendo, se necessario, Om o Amen all'inizio o alla fine) che abbia dodici sillabe. Dodici è un numero perfetto in quanto si potrà usarlo anche durante il Kriya, ponendo ciascuna sillaba in un Chakra diverso. Dei bei Mantra di dodici sillabe possono essere ottenuti dai Bhajans o da poesie. Tanto per fare un esempio da un canto del famoso Adi Shankara possiamo gioire di questo bel verso: Chi-da-nan-da-ru-pah-shi-vo-ham-shi-vo-ham (Quella Forma che è pura consapevolezza e beatitudine, io sono quell'Essere supremo, io sono quell'Essere supremo!)

Spero tu non sia così ingenuo di credere che un Mantra funzioni solo se è ricevuto dal proprio Guru. Certo se vuoi alleggerire il tuo portafoglio allora corri da un Maestro e corri a comprare il tuo Mantra personale. Sia chiaro che non contesto il fatto che una persona esperta che ti aiuta a scegliere un Mantra ed usa tutto il suo potere di persuasione per convincerti ad applicarlo continuamente. Questa persona ti fa il più grande di tutti i favori ed è giusto ricompensarlo, ma questo è tutto!

Il tuo Mantra devi sceglierlo tu perché dovrebbe esprimere quello che tu vuoi raggiungere. Per esempio l'atteggiamento di resa è espresso da quei Mantra che cominciano con Om Namo... altri Mantra esprimono la realizzazione assoluta non-duale. Ci sono persone che fanno una scelta veramente infelice del Mantra attraverso la quale danno l'impressione di auto punirsi: la loro formula è un'affermazione dei propri limiti, un senso di indegnità o la condanna del proprio comportamento. Dopo breve tempo, la loro pratica si disintegra; talvolta si trovano a ripeterla una o due volte al giorno come un sospiro di avvilimento. Ciò non ha nulla a che fare con quello che stiamo descrivendo qui. Il Mantra scelto dovrebbe avere un tono forte e dolce allo stesso tempo. È importante gioirne. "Tono forte" significa che è incompatibile con un atteggiamento di supplica o di lamento. La Preghiera scelta dovrebbe implicare il presentimento di una felicità che, con la stessa ripetizione delle sue sillabe, attireremo a noi. 3

Nel mio caso ho scelto il Mantra di Ramdas (8 sillabe: Sri Ram Jay Ram Jay Jay Ram Om) durante il giorno e quello di Lahiri's (12 syllables: Om Na Mo Bha Ga Va Te Va Su De Va Ya) durante la pratica Kriya.

Dopo aver scelto da solo il tuo Mantra, usalo per alcune settimane onde 3 Coloro che hanno familiarità ed esperienza con lo Hatha Yoga e con il concetto di Bija Mantra possono crearsi dei bei Mantra. Ad un Mantra preesistente, dopo l'Om iniziale, si può aggiungere qualche "Bija" (seme) Mantra: Aim, Dúm, Gam, Glamu, Glom, Haum, Hoom, Hreem, Hrom, Kleem, Kreem, Shreem, Streem, Vang, … Questi suoni vennero scelti da antichi yogi che sentirono il loro potere e li usarono. Non vennero dati da alcuna divinità, furono una scoperta umana. La letteratura o un esperto possono aiutare a fare una buona scelta. Purtroppo la letteratura tende a esaltare eccessivamente la virtù di tutti i Mantra tradizionali, mentre un esperto tende a consigliare a tutti il suo Mantra preferito.

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renderti conto se il corpo lo accetta o meno. Sperimentare per conto proprio è l'unica cosa che conta. Avviene talvolta che una persona decide di recitare un Mantra, comincia a farlo con entusiasmo e poi, dopo pochi minuti, si trova a recitarne un altro. Da ciò e da altri segni, ci si rende conto che non si è trovato il giusto Mantra e che la ricerca deve proseguire.

Prendi la determinazione di completare ogni giorno a voce almeno un Mala (un rosario di 108 grani) di tale Mantra, dopodiché lascialo risuonare automaticamente nella propria mente. Ma quando lo dici con la voce, concentrati su di esso con un fervore assoluto. Riprendilo, ogniqualvolta che è possibile, a voce alta. Certo questo richiede tempo. Ed è per questo motivo che uno deve essere saggio e scegliere la vita più semplice, adatta al suo temperamento. Per questo ponevo come condizione essenziale che la vita non sia stata tanto carina nei tuoi confronti. Se la vita è troppo buona con gli uomini, questi rispondono riempiendo la vita di sciocchezze. Altrimenti essi ripuliscono la vita di tutte le "necessità" non necessarie e, per mezzo del Japa, pur soffrendo inevitabili tracolli, saranno sempre capaci di riconquistare il loro equilibrio ed attraversare la vita con un sorriso.

Imparerai a far riecheggiare il suono del Mantra (preghiera) nella tua testa e sentirai la sua vibrazione estendersi a tutte le parti del corpo. Quello che è richiesto è la volontà adamantina di continuare in questa attività finché si emerge nella dimensione del Silenzio Mentale. Quando ciò accade, sarai circondato da un guscio protettivo fatto di pace tangibile - questa non è una visualizzazione ma una vera esperienza.

Un amico che realizzò questo insegnamento, pronunciò un giorno una parola: "SFINIMENTO". Egli praticava il Kriya senza ottenere alcun risultato. Gli parlai del Japa ma le cose non cambiarono. Ebbi l'impressione che questa attività fosse per lui un atto cerebrale. Erano i suoi pensieri che lo ripetevano, la sua vibrazione non era collegata in alcun modo al suo corpo. Lo osservai attentamente mentre praticava: fui testimone di una pratica esangue, una stanca richiesta di misericordia a Dio. Non per nulla aveva messo da parte il suo bel Mantra indiano e scelto una espressione nella sua lingua madre che non era altro che un sospiro di autocommiserazione. Non c'era da meravigliarsi se, dopo alcuni giorni, abbandonò del tutto la pratica. Non sapeva che si accingeva a divenire il più grande sostenitore del Japa. Il momento di svolta avvenne quando un giorno partecipò ad un pellegrinaggio di gruppo. Qualcuno incominciò a recitare il rosario - un numero fisso di ripetizioni della stessa Preghiera: a questo tutti i pellegrini si unirono. Anche se stanco e quasi senza fiato, il mio amico non si sottrasse a quest’atto ispirato a devozione. Camminando e sussurrando la preghiera, cominciò ad entrare in uno stato di tranquillità mai conosciuta prima. Guardò con occhi diversi lo spettacolo dei paesaggi che mutavano attorno a lui man mano che procedeva e gli sembrò di vivere una situazione paradisiaca. Continuò a ripetere la Preghiera senza sosta lungo tutto il percorso, dimenticando completamente che era stanco e assonnato. Quando il gruppo si fermò per una sosta ebbe la fortuna di essere lasciato solo – indisturbato; entrò in uno stato introspettivo e fu pervaso da qualcosa che vibrava nel suo cuore e che lui identificò con la Realtà Spirituale. Lo stato estatico assunse la consistenza della realtà, diviene quasi insostenibile, lo travolse. Questa esperienza gli insegnò il modo corretto di praticare il Japa. Mi rivelò che il segreto era raggiungere e

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superare lo stato di "sfinimento". Dopo alcuni esperimenti scelse di ripetere il Mantra indiano: Sri Ram Jay Ram Jay Jay Ram Om e con esso raggiunse l’assenza di respiro non solo una volta, ma ogni volta che praticava questo Mantra (Preghiera) durante il giorno e il Kriya Yoga di sera.

La tentazione di abbandonare la pratica del Japa è tremenda. Se sopraggiungono problemi di aridità, concediti qualche lettura di ispirazione. Ottimi libri sono: In cerca di Dio di Swami Ramdas e I racconti di un pellegrino russo. Si tratta di libri semplici, facili da trovarsi, che spiegano con semplicità sorprendente tutto ciò che è essenziale sul Japa. Ma ci sono sicuramente anche dei siti che ti possono ispirare. Questi ti spingono a praticare oltre il punto di sfinimento. Uno ha bisogno di confrontarsi con le biografie dei santi, sentire la meta come la più vicina delle cose vicine, seducente come nessun'altra cosa al mondo, deve ardere di entusiasmo per essa.

La letteratura Sufi, dove una celebrazione di Dio e della natura risplende con una forza ed una ampiezza che non hanno paragone, dà un'idea di questo stato.

Sono morto come minerale e divenuto pianta; sono morto come pianta e risorto come animale; sono morto come animale e risorto come uomo. Perché temere allora di divenire meno morendo? Ancora una volta morirò come uomo, per risorgere come un angelo perfetto; ed ancora quando da angelo soffrirò la dissoluzione, muterò in ciò che nessuna mente ha mai concepito! (Rumi)

Il Mantra crea un ordine totale nella tua vita ma devi anche fare ogni possibile sforzo nel pensare in un modo chiaro e logico quando è necessario, altrimenti non riuscirai a rimanere nella vibrazione del silenzio mentale. Un kriyaban deve essere in grado di esprimere uno sforzo al cento per cento e questo non può avvenire se ci sono dei conflitti interiori che minacciano costantemente l'unità della personalità. Il cuore deve essere volto solo in un'unica direzione. Per questo ci vuole tempo, intelligenza, abbinata ad una costante auto osservazione.

Vivi il Japa come se fosse il solo mezzo capace di sfondare il muro che la vita ti ha posto davanti. Ti potresti sentire come un convalescente in un difficile processo di guarigione; il rumore proveniente dal mondo esterno arriva alle tue orecchie come amplificato, mentre la sensibilità allargata ti darà l'impressione di essere divenuto più fragile, vulnerabile ed indifeso. Ma quando tocchi con mano quanto dura, terribile e crudele sia la vita, quando l'esistenza sembra non offrire più nulla che valga la pena di cercare, allora cerca di realizzare una alchimia interiore e trasforma il tuo dolore in una forma di dignità interiore. Il Japa deve diventare la genuina espressione del tuo bruciante desiderio di estrarre "qualcosa di più" dal modo comune di vivere.

Alcuni cambiamenti attorno a te cominceranno ad apparire. Apparentemente Japa è privo di azione; tuttavia è da esso che nasce l’azione che

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cambia il proprio destino. Aurobindo scrisse "La mente non agisce; semplicemente dai suoi recessi origina un’azione irresistibile".

Osservazioni sulla routine Kriya

Supponiamo dunque che tu abbia praticato durante l'intera giornata (sia a voce alta che mentalmente -- NON solo mentalmente!) il Japa in un modo talmente risoluto che sembra che il tuo corpo diviene un'unica solida vibrazione. Dopo aver praticato il Maha Mudra e aver trovato una posizione comoda, scopri che lo stesso Mantra utilizzato durante il giorno procede automaticamente nella tua coscienza. Tu siedi con la schiena diritta, pronto a toccare la pienezza e la pace del silenzio. Gli occhi sono chiusi, implicando un'intenzione di distaccarti dal mondo circostante. Lo stato d'animo è profondamente sereno. Corpo e mente raggiungono facilmente una chiara percezione di immobilità a livello pranico.

È a quel punto che c'è la scoperta che la routine Kriya si sviluppa in un modo semplice e naturale, come la prosecuzione dell'atto di preghiera sperimentato durante il giorno. L'idea di fare un lungo respiro e cantare il Mantra durante l'inspirazione e ripeterlo (o completarlo) durante l'espirazione viene naturale! Con molta calma porti l'attenzione su un solo fatto: fondere il canto interno del Mantra con un respiro dal ritmo lento e regolare.

Puoi dire: ma questo non è Kriya. Sì, è Kriya, è simile al nostro ben noto Omkar Pranayama e può essere portato avanti per 24-36 respiri. Prolunga la bellezza di questa attività per un lungo periodo di tempo, se ciò viene spontaneo.

Si verrà a creare uno stato particolare in cui starai per scivolare nello stato di sonno, ma la pratica del Japa ti aiuterà a stabilirti nella zona intermedia tra le percezioni della realtà esterna e l'attrazione di godere di qualche fantasia. A un certo punto scoprirai che non stai respirando. Da quel momento in poi ripeti l'intero Mantra in ciascun Chakra e gioite dello stato di assenza di respiro. Questa è la tua routine, non serve nient'altro! Talvolta è necessario aggiungere almeno 12-24 Thokar. Sappiamo che Lahiri Mahasaya diceva: "Nel Primo Kriya c'è tutto" ma non bisogna essere testardi. Il Thokar aiuta a calmare, pacificare i gangli che regolano il pulsare del cuore. Esso è stato concepito per stabilire una particolare calma (tranquillità) nella zona del cuore. Lahiri Mahasaya spiegò anche che quando il plesso cardiaco è colpito dalla forte azione del Thokar, il Prana che è collegato alla respirazione è diretto internamente e questo comporta uno stato spontaneo di profondo e lungo assorbimento. Disse anche che: "Il Thokar apre le porte del tempio interiore". 4

4 Spero che richiamare una teoria che è spesso citata nella letteratura sul Kriya non disturbi; non sono sicuro che essa provenga da Lahiri Mahasaya stesso, nondimeno vale la pena almeno di citarla. Ora, secondo una tradizione, la ripetizione di 12 Kriya Pranayama è sufficiente per arrivare allo stato di Pratyahara; la ripetizione di 144 Kriya Pranayama è sufficiente per arrivare allo stato di Dharana; la ripetizione di 1728 Kriya Pranayama (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Dhyana; la ripetizione di 20736 Kriya Pranayama (in una sola seduta!) è sufficiente per arrivare allo stato di Samadhi. Si spiega (una teoria davvero attraente - se non è del tutto vera, comunque è ben pensata!) che i Kriya superiori vengono insegnati proprio per evitare

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Abbiamo già spiegato come concepire una routine contenente la pratica del Thokar senza creare disturbo.

Una buona soluzione è:

Maha Mudra • Navi Kriya • Talabya Kriya • Om Japa • Kriya Pranayama (o parte 1 e parte 2 o tutte le 3 parti) • Thokar (12-24 ripetizioni della sua forma base) • Omkar Pranayama (solo 6 respiri) • Kriya Pranayama (6-12 respiri della parte 2) • Pranayama mentale dove cerchi di raggiungere lo stato di assenza di respiro.

Altri Preziosi Dettagli TecniciSono convinto che questo sia sufficiente. Ma è corretto considerare anche le esperienze altrui. Per alcuni kriyaban, praticare il Kriya Pranayama con l'Aswini Mudra è il dettaglio prezioso che fa uscire da un punto di stallo.

L'ultima parte del capitolo 7, quella che fornisce ulteriori dettagli per approfondire ciascuna delle quattro fasi del Kriya Yoga, può fornire ottimi spunti per aumentare l'intensità della propria routine Kriya. Certi dettagli tecnici possono essere il decisivo punto di svolta per quei kriyaban cui le precedenti istruzioni sembrano non bastare -- il loro respiro si calma in modo netto ma la vera assenza di respiro sembra averli sempre elusi.

Fronteggiando ogni possibile resistenza, aggiungi durante ciascun Kriya Pranayama un continuo, forte Aswini Mudra -- intensificando la concentrazione nel punto tra le sopracciglia. Dopo il Thokar, intensifica la presenza di energia nel Chakra del cuore per mezzo del Bhastrika Pranayama. Approfondisci il Pranayama mentale nel modo seguente:

[1] Incidere in ciascun Chakra la pratica devota della Preghiera. Alcuni profondi respiri (3 o 6) sono sufficienti per riconquistare una buona calma iniziale. Ripetete l'intero Mantra in ciascun Chakra, salendo e scendendo nella spina dorsale. Lasciate che il respiro si calmi completamente. Concentratevi su un Chakra alla volta. L'ordine è sempre: Chakra 1, 2, 3, 4, 5 e regione occipitale; midollo allungato, Chakra 5, 4, 3, 2, 1. Potete rimanere in ciascun Chakra il tempo necessario per ripetere una volta, mentalmente, lentamente la Preghiera (si può ripeterla due, tre volte). È come seminare con la massima cura ciascuna delle sue lettere nel terreno di ciascun Chakra. Continuiamo sempre più sottilmente, mentre la coscienza si stabilisce in un vasto spazio che si estende oltre e sopra il Bindu. La nostra intenzione non è di stimolare i Chakra ma semplicemente di abbandonarsi a un irresistibile processo di interiorizzazione. Ricordate che dovete essere completamente isolati in modo di non poter essere disturbati. Se, purtroppo, questo dovesse avvenire, ci vorranno non minuti ma ore per ricreare lo stato d'animo pacifico e rilassato che è stato perso.

[2] Perfetta immobilità del corpo e della mente.

di star seduti per tale lungo tempo e raggiungere in meno tempo gli stati di Dhyana (e quindi lo stato di assenza di respiro) e Samadhi.

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Avete la percezione di aver calmato i movimenti interiori del corpo, persino ad un livello molecolare. Dopo il primo giro, sentite intuitivamente il potere di fare a meno del respiro. Percepite distintamente una fresca energia che sostiene il corpo dall'interno. Certo questa è solo una sensazione -- comunque quando la provate, lo stato di assenza di respiro aspetta il momento propizio per riversare un'ineguagliabile esperienza di beatitudine divina nel vostro essere.

[3] Dolce assorbimento. Un senso di conforto e di essere avvolti in un dolce assorbimento è la prima esperienza. Gli occhi, se fossero aperti o chiusi a metà, si chiuderebbero da soli. Se fossero tenuti aperti - per esempio per evitare la sonnolenza - non vedreste nulla. La vita attorno è momentaneamente estranea. Questo è un segnale che i gangli del cuore che regolano il polso e il ritmo del respiro sono placati.

[4] Assenza di respiro. Potete "perdervi" per alcuni secondi in un Chakra ma dovete muovervi su e giù per la spina dorsale, spostando la vostra coscienza da un Chakra all'altro. Tanto più siete consapevoli del vostro corpo nella sua interezza, tanto più il respiro raggiunge l'immobilità, come un pendolo che dolcemente raggiunge il punto di equilibrio. Vi accorgete che il "vento" del vostro respiro si è placato completamente; la mente manifesta un perfetto silenzio ed è rapita dal brivido di una finora sconosciuta libertà. Con calma vi renderete conto che non avete più bisogno di respirare. Le cellule del vostro corpo sono ricaricate internamente da una sorgente misteriosa che percepite come fresca luce liquida. Siete proiettati fuori del tempo, siete al di sopra della vita. Non c'è bisogno di respirare! Gioite della fresca energia che sta sostenendo il corpo dall'interno: i polmoni non si muovono. Questa condizione dura vari minuti, senza alcun fremito di sorpresa -- avete il potere di "vedere" e "toccare" ciascun pensiero e perciò "fermarlo."

[5] Preghiera del cuore. Per molte settimane (forse mesi) siete così rapiti dalla gioia che non siete capaci di andare oltre questo stato elevato. Un giorno scoprirete che la Preghiera è entrata nel cuore. La Preghiera è divenuta la Realtà che pulsa entro il Chakra del cuore. La radiosità generata dalla Preghiera diviene l'oro della vostra prima esperienza del Divino. I mistici descrivono i suoi effetti come una forma paradossale di mite di dolore perfettamente fusa con una dolce bontà, che non può essere paragonata con alcun piacere della vita. Il viaggio spirituale si avvicina alla sua fine. Luce interiore può apparire nel punto tra le sopracciglia e nella parte superiore del cervello. Essa varia da una diffusa intensità fino alla luce brillante del cosiddetto occhio spirituale. Il vostro corpo è costituito da un'intensità di luce dorata. Si ascolterà, molto probabilmente, il suono di una campana lontana o di acque che scorrono.

[6] Perdersi nello stato meditativo.Nasce l'esperienza di essere in contatto con una Bontà Senza fine (non conosco un altro modo per descriverla, prendo in prestito un'espressione di S.

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Teresa di Avila): siamo permeati da un sapore di Eterno. La coscienza è trasportata più lontano di qualunque territorio conosciuto. Questo è un stato che ci regala indifferenza nei confronti della morte e da cui nasce un Bene incommensurabile. L'esperienza è la quintessenza dell'amore, conforto e compimento. Il cuore palpita nel dare il benvenuto a tale stato; centelliniamo il miele celestiale di una radiazione di dolcezza che annichilisce ogni desiderio e riempie l'anima di Bellezza ineffabile. Questo evento è godibile al di là delle parole: contiene molto più di quello che uno ha sognato. È uno stato incredibile – paragonato ad esso, il modo comune di vivere è soffocamento. Certamente la reazione è: "Non lo perderò, qualunque cosa avvenga!". Dopo questa meditazione, ogni oggetto apparirà come trasfigurato, la realtà fisica rivelerà l'immanente presenza dello Spirito.

Ora puoi praticare fruttuosamente la tecnica del Quarto Kriya ed ottenere lo stato di Samadhi. Quando ti distendi supino dopo la routine Kriya, il Samadhi è a portata di mano. La tua routine Kriya dovrebbe essere intensa e, come previsto nel Quarto Kriya, essa dovrebbe includere una intensa concentrazione nel punto tra le sopracciglia -- meglio se seguita da quella sul Sahasrara. Quando ti distendi, tendi e rilassa il corpo varie volte. Poi pratica il Pranayama mentale finché ti addormenti. Improvvisamente il tuo corpo sarà attraversato da un'ondata di fresca energia e sarai proiettato nello stato estatico.

È difficile ottenere la stessa esperienza nella posizione eretta. È quasi impossibile attraversare lo stato di sonno -- sonno molto profondo -- e allo stesso tempo mantenere una posizione perfetta. Quando l'esperienza del Samadhi avviene, scoprirai che la posizione di meditazione è ben lontano dall'essere corretta. Tutto questo avverrà abbinando la pratica quotidiana di 12 ripetizioni del Quarto Kriya con uno sforzo costante di mantenere l'aspirazione spirituale viva e bruciante.

Ora, cosa dire della famosa affermazione (paralizzante per alcuni kriyaban, stimolante per altri) secondo cui il grande Sri Yukteswar avrebbe concesso l'iniziazione a questa tecnica a pochissimi discepoli, tanti da contarsi sulle dita di una mano? Le istruzioni di Lahiri Mahasaya richiedono lo stato di assenza di respiro e ciò, come uno può intuire, spiegano tutto.

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CAPITOLO 12KRIYA DELLA DISCESA

In qualsiasi momento durante il processo di apprendimento del Kriya Yoga, quando suppongo che una persona potrebbe apprezzare un nuovo modo di considerare la tecnica base del Kriya Pranayama, discuto quello che potrebbe essere considerato un modo interessante di rendere completo il sentiero spirituale. Questo processo che definisco "Kriya delle cellule", richiede grande intuizione e sensibilità per poter essere sviluppato. 5

A seconda della persona che ho davanti, introduco questa pratica basandomi su:a. Una particolare affermazione di Lahiri Mahasaya.b. Una contrapposizione "in basso" a quanto visto finora: il maestoso movimento "verso l'alto" del sentiero mistico tradizionale.c. Il concetto dell'Orbita Macro Cosmica tratto dalla Alchimia interiore taoista.d. Il significato di sciogliere l'ultimo nodo del Muladhara.

Ovviamente questi quattro punti di vista sono indubbiamente una approssimazione di un argomento "di frontiera" che pur essendo stato ampiamente esplorato da tempo immemorabile, non è stato finora descritto compiutamente nella letteratura mistica.

a. Un paio di anni dopo la sua iniziazione sull'Himalaya, Lahiri Mahasaya scrisse: "Dopo un Pranayama eccellente, il respiro si è completamente orientato verso l'interno. Dopo un lungo periodo, oggi lo scopo della mia discesa sulla terra si è compiuto"! Cos'è un respiro "completamente orientato verso l'interno"? Sicuramente non è quello esperito da un kriyaban principiante.

b. Molte esperienze che Mirra Alfassa (Mére), discepola e successore spirituale di Sri Aurobindo, raccontò a Satprem ci riportano ai temi trattati qui. La sua Agenda merita letta, non c'è dubbio. Essa è uno splendido "giornale di bordo" del tentativo di Mirra di discendere nel corpo cercando di contattare la "Coscienza delle Cellule", attraversando vari strati di coscienza: pensieri, emozioni, sensazioni. Nella sua impresa trovò nel Mantra un aiuto inestimabile. Lei amava il Mantra: "Om Namo Bhagavate" che ripeteva camminando avanti e indietro nella sua stanza, ininterrottamente concentrata sul corpo. Ricaricava ciascuna sillaba del Mantra con la sua volontà ed aspirazione, potenti come un laser. Quella vibrazione luminosa apriva facilmente la strada attraverso il corpo finché fece emergere uno strato negativo che, secondo la sua spiegazione, è la base delle malattie e degli incidenti apparentemente casuali, l'origine d’ogni senso di disperazione depositato là nel corso di millenni. Attraverso la sua volontà indomita, fu capace di attraversare e raggiungere un territorio inesplorato: "... 5 Poiché queste idee non sono condivise dalla maggior parte degli autori Kriya e poiché nel capitolo 7 dove ho presentato la teoria della quattro fasi del Kriya non volevo rendere le mie riflessioni troppo elaborate, ho deciso di non discuterle allora.

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perfetto, eterno, oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre il movimento ... oltre tutto nel ... non so, in un'estasi, una beatitudine, un qualcosa di ineffabile." Quello stato sublime era la stessa "coscienza del corpo", intendendo che le cellule avevano la loro propria coscienza. Secondo lei, le cellule agiscono come porte che si aprono su una dimensione totalmente nuova della coscienza – l'unica libera dai labirinti della mente. L'esperienza che lei descrive è come un respirare col corpo senza servirsi dei polmoni.

L'insegnamento principale che riceviamo da Mére è che, secondo una legge spirituale universale, ciascun ricercatore spirituale e, in particolare ciascun yogi, è chiamato a collaborare con l'evoluzione collettiva. Tutti i sentieri spirituali hanno una componente ascendente ed una discendente. Nella fase di discesa, l'esperienza spirituale si mescoli con tutti gli aspetti della vita. L'idea di una salvezza personale dove tutto attorno a noi rimane esattamente lo stesso è insostenibile -- la liberazione finale implica pure il dissolvere le sofferenze mentali e fisiche di altre persone. Dovremmo sempre essere aperti a lasciare che la Forza Divina discenda nel nostro corpo. Questo surrender (abbandono) è la migliore cosa che possiamo fare. Se nella nostra predilezione (o Karma) è scritto che pratichiamo il Kriya Pranayama, questo dovrebbe essere il mezzo che noi utilizziamo per riempire il nostro corpo di consapevolezza e toccare così l'Inconscio Collettivo.

c. Per quanto riguarda l'Alchimia interiore taoista, abbiamo osservato che la tecnica dell'Orbita Micro Cosmica assomiglia alla forma base del Kriya Pranayama. Ebbene, il Kriya Pranayama col respiro interiorizzato che ora ci accingiamo ad introdurre, è simile al concetto di Orbita Macro Cosmica. Il nostro "Kriya delle cellule" è infatti un fenomeno particolare di circolazione di energia nel corpo. Esso incarna la quarta fase della Alchimia Interiore taoista.

d. Sappiamo che sciogliere l'ultimo nodo, Muladhar, costituisce l'ultima fase del sentiero spirituale. Non c'è alcun dubbio sul potere liberante della tecnica del Quarto Kriya che sviluppa la visione interiore dei Tattwa vincendo così l'illusione di Maya. Ora, una teoria molto suggestiva spiega che il nodo del Muladhar esiste non solo nella regione del coccige ma anche in ciascuna cellula del corpo. Le cellule hanno, o sono connesse con, una mente particolare -- una mente universale. Se tu cerchi un contatto completo con il Muladhara, non avrai altra scelta che guidare energia e consapevolezza nel corpo. Questa esperienza riesce a spezzare la barriera della mente e tocca la dimensione psicologica che lega insieme tutti gli esseri umani: il vasto oceano dell'Inconscio Collettivo. Questo non è un concetto poetico ma una autentica espansione della nostra consapevolezza. I contenuti dell'Inconscio Collettivo non hanno mai fatto parte della nostra coscienza, e quando anche una parte infinitesimale di essi irrompe nella nostra psiche, siamo momentaneamente scioccati. Questo spiega la caratteristica di "frontiera" e la difficoltà sostanziale nel descrivere qualsivoglia fenomeno che emerge da esso. Consapevole o inconsapevole di quanto sta accadendo, sciogliere completamente il nodo del Muladhar significa toccare direttamente questa vasta distesa.

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In questo aspetto più vasto il nodo del Muladhara incarna non solo l'illusione che impedisce la visione della Realtà ma anche l'ignoranza presente in tutte le menti umane. Quando avrai attraversato lo spesso muro della opacità collettiva, potrai entrare in sintonia con l'intelligenza divina racchiusa nella materia e toccare la più vera dimensione dell'esistenza.

TECNICA DEL KRIYA DELLE CELLULE

Siccome l'esercizio è relativamente difficile, chiediamoci se si può escogitare qualche utile preparazione. La prima pratica da prendere in considerazione è il Japa nel corpo. Un Mantra appropriato, ripetuto a voce e poi mentalmente, con totale concentrazione nel corpo (sia concentrandosi sul corpo nella sua interezza o seguendo un piano ordinato di "conquistare" ciascuna parte di esso) è il miglior mezzo per avvicinarsi all'esperienza del Kriya delle cellule e per far sì che esso perda la sua fascinazione e degeneri in speculazioni mentali. Un fatto poco noto è che ci sono mistici che "pensano" la Preghiera nel corpo. Queste Preghiere sono molto brevi, essendo ridotte talvolta ad una sola vocale o sillaba. I pochi scritti di tali mistici sono pubblicati quasi esclusivamente da case specializzate nel campo esoterico. Questi libri possono essere trovati rovistando fra testi d’occultismo e di magia. Kerning, Kolb, Lasario, Weinfurter, Peryt Shou, Spiesberger... sono solo alcuni nomi. Questi mistici, sebbene siano nati nell’ambito della cristianità e si siano sentiti mediamente in sintonia con tale insegnamento, sono stati rilegati in un angolo come esponenti del pensiero esoterico, come se fossero dei maghi che aspiravano a sviluppare dei poteri nascosti. Il lettore che ha la pazienza di fare una ricerca in quel campo e passare oltre varie pagine riempite di teorie e pratiche di poco conto, messe là quasi per confonderlo, troverà infine alcuni paragrafi d’inimitabile fascino. L'essenza del loro insegnamento è che una vibrazione di qualsivoglia suono, se ripetuta con immutabile concentrazione nel corpo, può raggiungerne le sue cellule -- "il corpo intero sarà attivato con nuova vita e così sarà fatto rinascere". La tecnica principale consiste nel scegliere una vocale e cominciare a ripeterla e farla vibrare nei piedi e gradualmente sollevarla nelle diverse parti del corpo. Poi ripetere lo stesso processo con un'altra vocale e così via. Possiamo usare il nostro Mantra preferito in modo simile, iniziando con un preciso sforzo mentale e poi passando ad un modo di praticare senza sforzo.

A mio avviso, meditare in campagna con gli occhi aperti e la volontà adamantina, irremovibile di divenire uno con una montagna, un lago, un albero che stanno davanti a noi, e toccare la loro bellezza, è molto più efficace di qualunque preparazione. È molto importante che la sensibilità sia posta in sintonia ciò che sta attorno. Per quel che riguarda il giusto atteggiamento, è necessario ascoltare l'inconscio e la voce dell'intuizione che nasce dalle stesse pratiche meditative. La cosa più strana è che le migliori esperienze avvengono talvolta in condizioni sfavorevoli alla propria concentrazione, per esempio: praticarla in una sala d'attesa fingendo di leggere una rivista; viaggiare in treno

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seduti con la spina dorsale diritta, dando l'impressione di esser assorbiti nei propri pensieri... In tali occasioni, la gioia diventa talmente grande che è difficile trattenere le lacrime. È meglio evitare qualsiasi forma di Kechari Mudra: talvolta sembra persino che esso ostacoli i nostri sforzi -- ma dopo aver padroneggiato la procedura, si possono fare esperimenti, con o senza Kechari. Indubbiamente prezioso -- come sempre -- rimane il Maha Mudra.

Istruzione pratica in quattro passi

I. Il suono Shii della espirazione guida l'energia nel corpo.Durante l’inspirazione, fai un suono forte e visualizza una potente vibrazione che parte dalla zona sessuale, assorbe l’energia proprio da lì e la porta nel Chakra del cuore, e poi nella testa dove si fonde con una sostanza luminosa. Poi, durante l'espirazione, mantieni una piena consapevolezza del corpo e percepisci non solo il flusso dell'energia verso il basso ma anche il fatto che essa permea tutte le parti del corpo. Osserva come si diffonde negli organi interni e nella pelle. Mantenendo un ritmo lento, profondo di respirare, comincia ad aumentare l'intensità del suono nella gola prodotto dall'aria che esce. Il suono Shii dell'espirazione aiuta ad infondere energia nelle cellule del corpo come se fosse un microscopico ago ipodermico. Esso trasforma il respiro in un puro flusso di energia. Dopo ciascuna inspirazione, negli istanti in cui non respiri, rafforza l'intenzione di trovare (o di aprire) una via interna per raggiungere le cellule del corpo. Neanche la più piccola parte di vitalità si troverà nell'aria che esce dal naso, tutta rimarrà nel corpo. Il suono Shii dovrebbe essere come "il grido che spezza la roccia più dura" -- così Sri Aurobindo accennava al potere del Bija Mantra, il "sacro suono dei Rishi". Focalizzando la tua volontà sull'ottenere una illimitata pressione interna della tua consapevolezza sull'intero corpo, scoprirai e renderai libero:

il tesoro del cielo nascosto nella caverna segreta come il piccolo dell'uccello, dentro la roccia infinitaRig-Veda, I.130.3

II. Concentrazione sull'ombelico, allungando la espirazione. All'inizio dell'inspirazione, espandi l'addome spingendo in fuori l'ombelico la qual cosa spinge in giù il diaframma. L'incontrario avviene durante l'espirazione: concentrati intensamente sull'ombelico che si muove verso la spina dorsale. Hai già appreso a fare questo durante il Kriya Pranayama di base; focalizza l'attenzione sull'accumularsi interiore di energia e su una particolare sensazione estatica che comincia a diffondersi nella regione addominale e nel petto. Dopo circa 24 respiri, viene spontaneo far sì che l’espirazione duri molto più della inspirazione: il suono del respiro risulta più acuto e pare più facile guidare l'energia in tutte le cellule. Il tempo della inspirazione è limitato a sei secondi; quello della espirazione comincia ad allungarsi indefinitamente. Per mezzo di una breve inspirazione, il Prana salirà dall'ombelico e si accumulerà nel cervello.

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Poi ancora un'espirazione molto lunga aumenterà la pressione interiore su tutta la pelle. L'esperienza è simile ad un Navi Kriya diffuso in tutto il corpo. Forse accadrà che ti troverai ad impazzire di gioia -- talvolta col mento leggermente abbassato, attratto verso l'ombelico come se questo fosse un magnete e inconsapevole di aver perso la posizione diritta. La sensazione piacevole diventerà orgasmica e solo un lieve segnale che ti richiama alla necessità di respirare frenerà la sua crescita progressiva.

III. Espirazione frammentata.A questo punto c'è solo un'esile velo che ti separa dalla condizione dove ogni sforzo cessa: è possibile raggiungere tale condizione servendosi di una espirazione sottilmente frammentata. Essa è in se stessa un'esperienza piacevole, specialmente quando le frazioni del respiro tendono a divenire microscopiche. Solo se ciò è veramente necessario puoi ... "ingannare" un po' - ma con molta delicatezza. "Ingannare" vuole dire interrompere, quando necessario, l'espirazione per un istante, concederti una breve inspirazione onde ottenere un piccolo apporto di ossigeno, poi riprendere l'espirazione e il movimento verso il basso dell'energia. Essere capaci di fare questo senza disturbare la delicatezza del processo è un'arte.

IV. Respiro interno. Il processo del Kriya Pranayama ti conduce verso qualcosa di incredibilmente nuovo: una rotazione di energia indipendente dall'atto di respirare. L'espirazione sembra allungarsi senza fine e i frammenti del respiro sembrano praticamente dissolti! C'è anche una debole ma chiara componente di energia che sale lungo la spina dorsale. Senti che puoi prolungare all'infinito questo processo, senza mai esaurire la sua meraviglia. Hai attraversato una barriera e raggiunto uno stato di apparente assenza di respiro dove non c'è più aria che esce dal naso -- anche se questo non può essere affermato con scientifica certezza. C'è una sorgente interiore di energia fresca che ti rende più leggero e ti empie di forza. La sensazione ricorda una veloce passeggiata nel vento. Questo non può essere chiamato semplicemente uno stato gioioso: è un senso di infinita sicurezza circondata dallo stato cristallino di una mente immobile. Di solito, questa esperienza è arricchita dall'ascoltare un suono forte e continuo di Om. Questo suono confortevole è la conferma che stai seguendo la direzione giusta!

Un'intera vita non è sufficiente ad esplorare tutte le meraviglie contenute in questo Kriya delle cellule. Questo modo tranquillo di mutare il modo di respirare ci fa sentire la bellezza del vivere in un modo sorprendentemente nuovo. È come se per anni avessimo lavorato affinché il Divino divenisse parte della nostra vita di ogni giorno senza mai vedere alcun risultato e improvvisamente scoprissimo che il Divino era sempre stato là. È come se un pittore impressionista fosse finalmente riuscito a rendere attuale la sua concezione visionaria, trasmettendo l'idea che la sostanza inerte della materia da lui ritratta è composta di multicolori particelle di luce, come innumerevoli soli

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che irradiano in una luminosa trasparenza.

Il fuoco del cielo è acceso nel petto della terrae i soli immortali ardono.(Sri Aurobindo, Una fatica di Dio.)

Osservazioni personali

Le mie prime esperienze con questo "Kriya della discesa" incominciarono nel periodo in cui vivevo della bellezza che emanava dall'Agenda di Mére. La mia esperienza fu più o meno quella descritta sopra: fu come immergere la totalità del mio essere nel potere del Kriya Pranayama.

Cercando un modo per migliorare l'esperienza, scoprii il ruolo di praticare in posti impossibili dove tutta l'attenzione è naturalmente volta all'esterno e si deve fare fatica per portarla all'interno. Lo stato di meditazione dopo il Kriya Pranayama fu allungato e vissuto come se fosse la ricerca di una perfetta Bellezza irraggiungibile attraverso mezzi ed abilità umane. L'ingenua concezione della devozione come una emozione febbrile che nasce dai bhajan devozionali, da certe foto, dal profumo di certi incensi... fu superata per sempre.

Nessun aiuto provenne dal Kechari Mudra: sentii un'inesplicabile repulsione nell'usarlo. La natura era per me la sorgente di ispirazione da cui non mi volevo staccare. Il Kechari Mudra distoglieva la mia attenzione dal mondo esterno e dal corpo fisico in un modo troppo incisivo.

La pratica mi assorbì in una profondità colorata di azzurro dove percepivo la luminosità dei cieli della mia infanzia. Tutti i problemi connessi con le mie emozioni, come pure stati d'animo negativi connessi con intricati e contrastati piani per il futuro, sembravano un incubo che si era dissolto per sempre, una illusione dalla quale ero emerso definitivamente. La mia vita, che, fino ad ora, era stata piena di asperità, sembrava distendersi serenamente e senza intoppi verso il futuro. La bellezza del vivere, sembrava scaturire da ogni atomo, come il vino da una tazza ricolma e mi empiva il cuore; gioivo nel sentire una insondabile chiarezza della mente.

Poi, nei giorni seguenti sperimentai uno strano effetto: sentii come se "non avessi più la pelle". Ebbi l'impressione di aver toccato e disturbato l'ambiente che mi circondava; sentivo che potevo percepire - non solo con la consapevolezza ma anche "con il corpo" - quello che stava avvenendo nella coscienza di un'altra persona (non ciascun pensiero ovviamente, ma il suo stato d'animo) e, strano a dirsi, scambiarlo per mio. Per essere chiaro, riferisco un episodio ricorrente. 6 Avviene che improvvisamente una depressione profonda prende possesso del mio animo (non sono mai stato soggetto a depressione), dura

6 Prima di scrivere questo ho esitato a lungo. Il lettore può restare deluso dal fatto che esso può richiamare le manie New Age. È solo dopo avere ascoltato simili effetti ottenuti da altri ricercatori e tenuto conto della mia decisione di aderire alla più totale sincerità, che ho deciso di riferire questa particolare esperienza.

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diverse ore e poi scompare; non si tratta di una semplice dissonanza, una disarmonia, ma di un dolore straziante in un momento in cui non c'è giustificazione per tale stato. Immancabilmente mi rendo conto che si è verificata una circostanza significativa: sono stato presentato ad una nuova persona, c'è stata una stretta di mano e abbiamo parlato con sincero coinvolgimento. Sappiamo come la nostra mente sia brava quando si tratta di arrampicarsi sugli specchi; ma quando un simile episodio è osservato con il dovuto distacco e si ripete con matematica precisione nel corso del tempo, allora l’evidenza del fenomeno di sintonia con la coscienza di un’altra persona non può essere negato. Quello che uno è e quello che altri sono si mescola.

Ora, asserire che il Kriya Pranayama ci porta a percepire la realtà in modo diverso significa dire una cosa ovvia, ma presumere che esso faccia accadere quello che non sarebbe altrimenti accaduto (oppure che sarebbe accaduto comunque, ma in modo diverso) è tutta un'altra cosa. Questa ipotesi ha tutto l'aspetto di essere il frutto della nostra immaginazione. Il principio di causa-effetto implica che il mondo ignora quello che avviene nella tua coscienza mentre siedi immobile nel tuo ritiro segreto. Come è possibile concepire l'idea che quello che avviene entro di te, possa avere un effetto sul mondo circostante? Anche dopo mesi non riuscirai a dire con certezza se si tratta semplicemente di un'impressione o di una realtà.

Viene in mente l'immagine di un formicaio: quando qualcosa lo urta, folle di formiche escono subito per iniziare le operazioni di riparo. Similmente l'ambiente che ti circonda ti apparirà agitato, talvolta attivo in modo frenetico e in parte aggressivo nei tuoi confronti. È come se tutto (specie nel campo delle relazioni umane) cospirasse affinché "i nodi vengano al pettine". Sorpreso, osservi che molte tra le persone che conosci riappaiono nella tua vita dopo lunga assenza ponendoti delle sfide audaci che richiedono radicali mutamenti del tuo atteggiamento. Senti il dovere, cui non puoi sfuggire, di fronteggiare delle faccende complicate, irrisolte, che nel passato eri riuscito argutamente ad evitare. Essere completamente con te stesso diventa un fatto da cui non si può prescindere.

Quante volte mi son chiesto: come è possibile che, guidando respiro e consapevolezza nelle cellule del corpo, otteniamo un tale importante risultato, che ha degli effetti così tangibili sui piani materiale, emotivo e psicologico? Credo che le scoperte di Jung siano preziose per la comprensione del percorso mistico – forse più di qualsiasi altro concetto formulato durante il 20° secolo. Jung scoprì che la nostra psiche umana è fatta di diversi strati, parte di essa è condivisa con l'umanità ed è chiamata Inconscio Collettivo. Sebbene egli sia stato prudente nelle sue affermazioni, la comunità scientifica non gli perdonò di essersi occupato di questioni che non erano considerate parte della psichiatria - l'alchimia, che sembrava un'assurdità, il mondo dei miti, che erano considerati un'immaginazione priva di significato e, più d’ogni altra cosa, il gran valore che lui attribuiva alla dimensione religiosa che considerava qualche cosa d’universale, fondamentalmente sano e non, come altri avrebbero preferito, una patologia. Al giorno d’oggi rimane l’entusiasmo per i suoi scritti, specialmente

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fra coloro che si occupano di argomenti spirituali o esoterici. Jung introdusse una terminologia che permette di sondare un aspetto del percorso mistico che altrimenti rischierebbe di essere totalmente estraneo non solo alla nostra capacità di espressione ma anche alla nostra comprensione.Siccome abbiamo accennato a fatti particolari che nella loro manifestazione sembrano ignorare il principio di causa-effetto, è importante ricordare che Jung pose una base razionale per lo studio di questo soggetto in La sincronicità (1980 Boringhieri). Tanto più consideriamo intelligente, affascinante e stimolante il suo pensiero, tanto più vuote ci appaiono le quattro fesserie che troviamo nei libri di Yoga quando affrontano l'argomento dei Siddhi. Nella letteratura esoterica c'è il vasto capitolo dei miracoli e dei Siddhi (poteri), ovvero delle leggi sottili che operano nella vita di un mistico. Coloro che scrivono libri sullo Yoga non sanno resistere alla tentazione di copiare alcune linee dagli Yoga Sutra di Patanjali. Un classico è trovare il ridicolo avvertimento del pericolo che viene dall'abuso del Siddhi. Citando Patanjali (IV:1), raccontano che i Siddhi sono i poteri spirituali (abilità psichiche) che possono avvenire grazie a rigide austerità; spiegano che esse variano da forme relativamente semplici di chiaroveggenza, telepatia, ad essere capaci di levitare, ad essere presente in vari luoghi contemporaneamente, di divenire piccoli come un atomo, di materializzare oggetti e chi più ne ha più ne metta. E quindi raccomandano ai loro lettori di non indulgere mai in questi poteri poiché "sono un grande ostacolo al progresso spirituale". Indulgere: che bel termine! Avete mai visto una persona che pratica alcune forme di Pranayama e poi indulge nella bilocazione? Probabilmente non pensano a quello che scrivono poiché si lasciano sedurre dal sogno di possedere tali poteri ... forse già immaginano tutto il chiasso che ne verrebbe: interviste, prendere parte a vari talk show ecc.

La fase finale del sentiero spirituale

Se semplicemente cerchiamo di dimenticare il mondo onde focalizzarci sulla nostra concezione della Realtà Finale perché vogliamo vivere pacificamente in sintonia con i Chakra superiori e i centri occulti nel cervello, qualcosa costringerà la nostra attenzione verso il corpo. Se non consideriamo l'impegno di empire il corpo di consapevolezza ed energia come parte integrante del sentiero Kriya, è sicuro che riceveremo diversi strattoni verso il basso -- intendo disturbi mentali e fisici. 7

Per fortuna, la necessità di incominciare questa fase di discesa verso il basso, avviene solo dopo aver percorso una lunga strada e quando il tuo ego si è arreso sinceramente alla dimensione spirituale. Nasce puro amore per l'umanità. Unire la tua coscienza con quella di un'altra persona è un fatto inevitabile e

7 Abbiamo fatto tante volte esperienza di come una malattia sia un segnale mandato dal corpo per richiedere la nostra attenzione ed obbligarci a intraprendere le cure necessarie, onde risvegliare i suoi poteri di auto guarigione, che sono sempre stati presenti in esso ma necessitavano della partecipazione attiva della nostra attenta consapevolezza per poter funzionare.

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significa lasciarti coinvolgere dai suoi problemi. Una trasformazione duratura nella coscienza di un'altra persona avviene solo quando l'oscurità che c'è in loro è schiarita un po' alla volta. Non si ottiene con altri mezzi se non condividendo parte della altrui sofferenza, una impresa che implica una momentanea perdita della tua realizzazione spirituale. Rituali magici, trucchi New Age e scappatoie esoteriche sono completamente inutili. Come altri mistici, Lahiri Mahasaya uscì fuori dal guscio della sua coscienza individuale e pose il suo essere in quello dei suoi discepoli e anche in quello di molte altre persone che non incontrò mai fisicamente. Lahiri Baba è uno specchio per tutti i kriyaban.

Possiamo mandare buone vibrazioni al mondo se vogliamo -- e di sicuro questa è una azione positiva -- ma il vero lavoro avviene nel nostro corpo. Per cooperare con l'evoluzione collettiva dobbiamo scendere nella materia, usando il Kriya Pranayama per guidare l'energia in giù negli organi del corpo, nelle sue cellule.

La nostra meta non è solo fuggire dal corpo verso le rarefatte dimensioni dello Spirito, ma di infondere il Divino nel nostro corpo e poi, se possibile, nell'ambiente che ci circonda. Il Kriya delle cellule con la sua dolce pressione sul corpo ha effetti che non possiamo nemmeno immaginare. Giorno dopo giorno, con indomabile serenità un altro strato di oscurità è dissolto e la luce emerge.

È vero che stiamo per contattare in qualche modo le paludi dell'Inconscio Collettivo e non possiamo dire quale sarà la nostra capacità di resistenza ma l'equilibrio intrinseco del sentiero Kriya (il suo unico processo di aprire i nodi dall'alto in basso) ci risparmia gran parte della sofferenza psicologica. Tutto il lavoro che abbiamo fatto precedentemente per aprire il nodo del cuore ci ha reso forti come l'acciaio. È in questo modo che possiamo interpretare il senso della frase attribuita al mitico Babaji (che a sua volta citava la Bhagavad Gita): "Anche una piccola pratica di questo rito religioso (interiore) ti salverà da grandi paure e colossali sofferenze. "

Abbiamo sentito molte volte l'espressione: "bruciare nel proprio corpo il Karma di altre persone" e abbiamo capito che questo è quello che i santi fanno. Molte volte essi fronteggiano un periodo di straziante sofferenza fisica e psicologica. Forse non capiscono cosa sta avvenendo.

San Giovanni della Croce afferma che i mistici quasi invariabilmente devono fronteggiare un periodo critico che lui chiama "notte oscura dell'anima". Essi sentono come se Dio li avesse improvvisamente abbandonati e dubitano della validità del loro sentiero spirituale. In una lunga e profonda assenza di luce e di speranza, anche se sentono l'istinto di andare avanti con espressioni esteriori della fede, possono persino dubitare dell'esistenza di Dio.

Come è possibile questo? Purtroppo l'insieme delle loro credenze potrebbero essere un ostacolo alla vera comprensione. Spesso sono portati a considerare ogni malattia fisica come l'espiazione del debito che rimane delle loro colpe passate e l'agonia psicologica della "notte dell'anima" come una dura prova imposta dalla volontà divina. I dogmi religiosi rendono tutto molto più difficile. Eppure basterebbe poca riflessione per comprendere la recondita

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bellezza di quanto sta succedendo. Per poter "amare un altro come te stesso", il mistico deve uscire da se stesso e mescolare la sua coscienza con quella di un'altra persona. I dubbi che allora appaiono nella coscienza (causati dalla contaminazione con l'altrui stato mentale) non sono l'emergere di una qualche propria indegnità.

Se essi non capiscono questo, la conseguenza è la disperazione più nera, il sentirsi irrimediabilmente impuri e quindi persi per l'eternità. Sebbene la loro coscienza dovrebbe essere colma della gioia dello Spirito, essi continuano a credere di essere peccatori e la loro sofferenza psicologica aumenta.

Se avessero portato consapevolezza e luce divina nel corpo, questo processo potrebbe svilupparsi più positivamente. Ma pochi hanno imparato il grande segreto di infondere consapevolezza nel corpo pensandovi la Preghiera. La nobiltà di questa pratica non è afferrata anche se ne leggono da qualche parte. Se l'avessero capito e praticato fin dall'inizio del sentiero, quante cose sarebbero cambiate!

Secondo me, portare energia e consapevolezza nel corpo diminuisce il tempo che una malattia karmica può agire sul nostro corpo. Mentre la sofferenza fisica è resa meno penosa dal contattare la "mente delle cellule", la sofferenza psicologica è demolita da un calma dignità interna che rifiuta di cedere alla disperazione.

Inutile dire che quanto andiamo dicendo non può avvenire nei seminari che attraggono centinaia di nuovi discepoli o quando i Kriya Acharya concedono automaticamente l'iniziazione a migliaia di persone. Quando l'iniziazione è data a tutti coloro che la richiedono, quasi nessuno ha l'opportunità di parlare e presentarsi all'insegnante. Se è vera la teoria secondo cui un Guru si assume un quarto del karma del discepolo, tali Acharya attrarrebbero continuamente tonnellate di karma negativo e quindi enormi sofferenze. (La stessa teoria afferma che solo un quarto del karma rimanente è bruciato dallo sforzo del discepolo, poiché Dio stesso brucerebbe l'altra metà.) I veri maestri non si fanno pubblicità; anzi indugiano molto prima di accettare un nuovo studente. Sanno benissimo che prendersi questa responsabilità significa accettare pienamente tutti i problemi che tale relazione può implicare. Un mistico non è un semidio; è un essere pienamente umano con i nostri stessi istinti, nonché sensibilità. Quindi cercherà sempre, come primo moto istintivo, di evitare la sofferenza e tutto ciò che può distoglierlo dallo stato estatico. Un ricercatore è raramente accettato come discepolo a meno che non ci sia una ratifica interiore, forte e tranquilla nella sua inevitabilità.

Conclusione

Alcuni studenti si perdono in speculazioni su improbabili livelli di Kriya che vanno oltre il Quarto. Alcuni autori e scuole di Kriya affermano che Babaji ci introdurrà a questi livelli nei mondi astrali. Tutto sembra una parodia del pensiero esoterico e teosofico. A mio avviso, raggiungere un Kriya Pranayama

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eccellente, ove "il respiro si è completamente orientato verso l'interno" è veramente l'ultimo passo. Toccare la "mente cellulare" è il raggiungimento finale. Non abbiamo né la saggezza di Lahiri Mahasaya, né il "sole" interiore di Mére ma possiamo almeno pazientemente volgere il cuore verso questa nuova dimensione: il Divino immanente nella materia e "gli abissi di verità e gli oceani di sorriso che stanno dietro le auguste cime di verità" (Sri Aurobindo). Forse non siamo pronti per questo; certo, ma se eliminiamo dai nostri sogni e dalle nostre mete ogni difficile raggiungimento, la nostra avventura spirituale rischia di cadere a pezzi, soffocata dalla assuefazione alla consolidata routine. L'ossessione di concepire il Kriya solo come un mezzo per ottenere la trance estatica rischia di rendere il cuore duro e resistente e bloccare la sua naturale aspirazione. Allora il nostro Yoga potrebbe divenire uno stato cronico di sonnolenza.

Cercando il riposo del cielo o la pace dello spirito senza mondo,o in corpi immobili come statue, fissenelle sospensioni estatiche del loro pensiero insonne,anime addormentate meditavano, e questo pure era un sogno.(Sri Aurobindo, Savitri; Libro X - Canto IV)]

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APPENDICE 1 OSSERVAZIONI SUL KRIYA INSEGNATO DALLE ORGANIZZAZIONI

■ Kechari Mudra e routine del Kriya Pranayama■ Informazioni sul K3 e sul K4■ Informazioni sul K2■ Una nota sullo stato di assenza di respiro prima di discutere il K2■ Alcune note sulle tecniche preliminari■ Hong So■ Tecnica Om

Questa appendice non è una specie di "lettera aperta" indirizzata a coloro che fanno parte di una delle organizzazioni che diffondono gli insegnamenti di PY -- non mi permetterei mai di fare una cosa simile. Lo scopo del seguente testo è di esprimere qualcosa di preciso e utile agli studenti che, fedeli agli insegnamenti di PY, cercano di trovare in questo libro una chiave per chiarire i loro dubbi tecnici, supposto che l'organizzazione non abbia accettato di chiarirli.

[Userò i simboli K1, K2, K3 e K4 per indicare i Kriya come sono descritti negli insegnamenti scritti di PY. Dunque, quando leggete "K4", ricordate che non sto parlando del Quarto Kriya come è descritto in questo libro (capitolo 8). È ovvio che non troverete qui una descrizione di K1, K2, K3 e K4. Ciò di cui parlo in questa appendice è comprensibile da coloro che hanno familiarità con quelle tecniche.]

Per molti miei amici kriyaban, e per me, la crisi con l'organizzazione cominciò quando fronteggiammo lo studio dei Kriya superiori. La nostra organizzazione (altre compresero ben presto che non gli conveniva comportarsi in tale modo) non tenne mai un seminario sui tali tecniche. Purtroppo rimase alquanto vaga, per non dire contraddittoria, nelle risposte per lettera. Insoddisfatti per quanto riguardava la nostra pratica, non la mettemmo da parte ma continuammo a nutrire molti dubbi. La crisi fu a volte acuta, a volte temperata dal pensiero che la colpa risiedeva in noi. Eravamo contenti di aver trovato questo grande sentiero che è il Kriya Yoga ma non pienamente soddisfatti; non sapevamo se era corretto o necessario intraprendere una qualche ricerca per poter avere i nostri dubbi chiariti e ricevere una chiave esaustiva per migliorare la nostra pratica delle tecniche Kriya di PY.

Ho compiuto questa ricerca e le informazioni che trovai sono riassunte qui. Gli argomenti sono molti. Ne parlerò nello stesso ordine di priorità che emerse in una sere di colloqui con un confratello studente8 che incontrai dopo un fruttifero scambio di email.

Dopo che il mio libro apparve su Internet, tenni un intenso scambio di email con vari ricercatori. Non c'è dubbio che tra questi, coloro che avevano

8 In diversi momenti delle nostre vite studiammo lo stesso materiale. Riferendomi a lui in questa appendice, evito il fastidioso "lui/lei".

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studiato attentamente gli scritti di PY si dimostrarono essere le persone più "serie". Un kriyaban "serio" è secondo me uno che non mescola il Kriya Yoga con le suggestioni New Age o i deliri del pensiero esoterico-magico e che non si è impantanato nei dogmi religiosi.

L'amico cui mi riferisco in questa appendice stava seguendo il sentiero del Kriya solo per una ragione: andare oltre il regno della mente per immergersi nell'Ineffabile. Mi colpì per la sua straordinaria dedizione al Kriya. Aveva letto e studiato il mio libro, da cui aveva appreso vari aspetti del Kriya originale. Aveva progettato di riprenderli in esame in futuro in quanto ora intendeva perfezionare solo quello che aveva ricevuto dalla organizzazione. Tecnica del Kechari Mudra a parte, non sentiva la necessità di aggiungerne altre tecniche alla sua pratica. Era convinto, e la mia piena approvazione lo rassicurò, che le tecniche di PY sono effettivamente buone, che ogni loro parte è preziosa.

Eravamo d'accordo sul fatto che il solo problema era che quegl'insegnamenti ci erano stati descritti solo nella loro forma base, tramite una definizione nuda e cruda, senza accennare a tutti i possibili sviluppi. Inoltre, sentivamo la mancanza di un saldo schema teorico che ci fornisse le basi per concepire -- e successivamente ridisegnare -- la nostra routine secondo i vari stadi del nostro sviluppo.

Mentre gli fornivo delle spiegazioni, sentivo che l'amarezza, mista a curiosità e fiducia, che avevo percepito nel suo animo quando, pochi minuti prima, mi aveva riassunto le vicissitudini del suo sentiero Kriya, si stava dissolvendo. Ebbi l'impressione che il suo cuore fosse inondato dalla stessa emozione che provò quando lesse per la prima volta la AOY. Era necessario che io incontrassi tale ardente devoto per trovar di nuovo, riflesso nei suoi occhi, quell'oro che illuminò un tempo la mia vita quando, molti anni addietro, sfogliavo le pagine di quello stesso libro.

Kechari Mudra e routine del Kriya Pranayama

Il primo punto di discussione con qualsiasi studente di Kriya è la tecnica "originale" del Kriya Pranayama col Kechari Mudra. 9 A coloro che vogliono raggiungerlo, è necessario controllare la pratica del Talabya Kriya. Molti non la stanno praticando correttamente, in quanto non hanno capito cosa significa far aderire la lingua al palato come una ventosa prima di aprire la bocca e stirare il frenulo. L'errore è di concentrarsi solo su quello che accade alla punta della lingua. In un corretto Talabya Kriya, la lingua è perfettamente orizzontale, la punta della lingua non fa niente di particolare: l'effetto ventosa è ottenuto con

9 Talvolta la discussione verte sul dettaglio di cantare Om nei Chakra e sulla prima versione delle istruzioni Kriya scritte da PY dove la parte alta della testa veniva percorsa dalla corrente legata alla espirazione. È stato spiegato che praticando questo dettaglio sin dal primo respiro Kriya può creare sbalzi di umore. La pratica più sicura è quella attuale. Ricorda sempre che, per ragioni prudenziali, la consapevolezza dovrebbe essere spostata dal punto tra le sopracciglia alla fontanella solo dopo 40-50 respiri Kriya.

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l'intero corpo della lingua!

Il Kechari Mudra è importante ma non indispensabile -- questa è la mia opinione. La decisione di PY di non negare l'iniziazione ai Kriya superiori a coloro che sono incapaci di praticare il Kechari Mudra mi trova perfettamente d'accordo. Non sto dicendo che il Kechari non sia importante. Semplicemente preferisco credere che Lahiri Mahasaya abbia concesso delle Iniziazioni superiori anche a coloro che non riuscivano ad assumere la posizione corretta del Kechari Mudra. La sua attitudine, il suo prendere parte alle sofferenze umane mi inducono a credere in questo. Non riesco a concepire che l'ottenimento del Kechari divida le persone in due categorie nette. Da un lato abbiamo delle persone molto orgogliose illuse nel credersi più evolute di altri, dall'altro lato coloro che si deprimono inutilmente per non aver ottenuto qualcosa che non dipende dal loro sforzo ma dalla loro costituzione fisica. A chi giova dividere i kriyaban in tal modo?

Ho già scritto che: "Attraversare il nodo della lingua ... avviene anche quando la punta della lingua è semplicemente volta indietro a toccare la parte media del palato superiore nel punto dove il palato duro diventa molle: la corrente passando attraverso la lingua, scende giù nel corpo e nella spina dorsale." (Capitolo 7) Tutti possono farlo. Coloro che non sono capaci di raggiungere il Kechari Mudra vero e proprio possono praticare in questo modo. Naturalmente non possono rispettare alla lettera le istruzioni ricevute dalla organizzazione e, allo stesso tempo, tenere la lingua in tale posizione. Quando la lingua è in Kechari Mudra non si può respirare attraverso la bocca. La lingua, essendo oltre l’ugola, blocca il flusso dell'aria nella bocca.

Di solito i kriyaban che ho incontrato, praticavano il Kriya Pranayama con la bocca aperta seguito da quello con la bocca chiusa. Certe polemiche se il Kriya Pranayama praticato con la bocca sia superiore a quello attraverso il naso perché, come alcuni sostengono, "grazie ad esso il Prana si muove nel Sushumna", non hanno senso. Solo lo stato senza respiro può riuscire a portare l’energia nel sottile canale del Sushumna. Entrambe le forme di Kriya Pranayama servono a preparare questo evento.

Per uno studente che ha appreso il Kriya dalla organizzazione, il miglior modo di migliorare il Kriya Pranayama è quello di concedersi il piacere di praticarlo sia attraverso la bocca che attraverso il naso. Il Kriya Pranayama come insegnato da PY possiede un notevole potere di farti percepire una chiara sensazione fresca-tiepida di Prana che si muove lungo la colonna spinale -- non c'è nessun motivo per metterlo da parte.

A colui che non è soddisfatto della propria esecuzione, che sente di essere ben lontano dal percepire il movimento del Prana lungo la spina dorsale, consiglio di aggiungere il Nadi Sodhana Pranayama all'inizio delle routine. Questa semplice pratica ha il potere di aprire la porta del Sushumna. Molti kriyaban hanno fatto divenire questo esercizio parte integrante della loro routine giornaliera. È chiaro altresì che moderati esercizi per la spina dorsale, che aggiungono ai piegamenti in avanti del Maha Mudra i piegamenti laterali e la torsione, costituiscono

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quanto di meglio si possa fare. Molte posizioni dello Hatha Yoga includono questi movimenti che, tra l'altro, sono ampiamente utilizzati negli Esercizi di Ricarica di PY. Penso che il valore dell'esercizio preliminare di inspirare ed espirare attraverso il tubo creato dai pugni prima di cominciare il Kriya vero e proprio non dovrebbe essere sottovalutato. Non credo che questo esercizio sia concepito come mezzo didattico da usarsi solo durante l'iniziazione al Kriya. Esso è una acuta variante del Sitali Pranayama.10 Io consiglio di aggiungerlo, e anche di praticarlo con un respiro frammentato. Suddividere sempre di più il respiro in piccoli frammenti mentre sei intensamente concentrato nella spina dorsale sentendo l'energia che si solleva millimetro dopo millimetro (e similmente discende durante la espirazione frammentata) è una azione molto efficace. Non so se è anche per il fatto che i movimenti simili a pulsazioni dell'ombelico stimolano la regione del Dan Tian, ma questo esercizio è straordinariamente efficace. Dopo di esso, la pratica di quattordici respiri Kriya regala un meraviglioso senso di presenza nella spina dorsale.11

Dopo questi respiri, possiamo chiudere la bocca ponendo la lingua in Kechari Mudra -- non importa se uno può solamente volgere la punta della lingua verso l'alto, toccando la parte centrale del palato molle. Consiglio quindi di praticare le tre fasi del Kriya Pranayama come spiegato nei capitoli 6 e 7, senza modificare il circuito che lo studente ha imparato durante l'iniziazione. Una situazione ideale è quella di riuscire a praticare almeno 12 ripetizioni di ciascuna fase realizzando la formula 14+12+12+12.

Durante la prima parte del Pranayama attraverso il naso, raccomando di non cantare mentalmente Om nei Chakra. Ognuna delle tre parti del Kriya Pranayama ha una funzione precisa: questa prima parte è tutta dedicata ad avvicinarsi il più possibile al suono perfetto nella gola e nella faringe nasale. Uno dovrebbe restare in sintonia con gli stessi suoni che avvenivano con la tecnica praticata con la bocca aperta. Anche il suono del respiro non è forte e chiaro, un giorno sarà come quello di un flauto. Questo sarà un grande evento: il potere nascosto, racchiuso in esso, condurrà all'esperienza di vetta del sentiero Kriya. L'energia nel Muladhara si risveglierà e salirà come un missile attraverso il Sushumna nel cervello. Il suono oceanico di Om diventerà udibile e la gioia provata sarà travolgente. Ma questo avviene solo quando la spina dorsale è pulita, come il tubo cavo che noi visualizziamo durante il Kriya Pranayama.

Durante la seconda parte del Pranayama attraverso il naso, noi cantiamo mentalmente Om in ciascun Chakra. Poiché ho raccomandato di non modificare 10 "Arrotola la lingua come a voler formare un tubo e spingila in fuori un po' oltre le labbra. Inspira profondamente e dolcemente attraverso la lingua e la bocca -- sentirai una fresca sensazione sulla lingua e nella gola. Espira attraverso il naso dirigendo idealmente il respiro fresco in tutte le parti del tuo corpo." Questo è un modo comune di praticare il Sitali Pranayama.

11 Alcuni kriyaban praticano con la bocca visibilmente aperta (come insegna qualche discepolo diretto di PY), altri con la bocca socchiusa con la parte centrale delle labbra che si sfiorano (come altri discepoli diretti hanno insegnato).

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il circuito appreso durante l'iniziazione, consiglio, durante l'inspirazione, di cantare Om nei primi cinque Chakra e nel midollo allungato; poi fare una pausa nel punto tra le sopracciglia; poi cantare Om di nuovo nel midollo allungato e nei Chakra in ordine inverso durante la espirazione. Questa parte della pratica è molto bella, specialmente quando lo studente comincia ad ascoltare i suoni astrali interiori, senza chiudere le orecchie.

È solo a questo punto, e non prima, che lo studente pone tutto il proprio essere nella fontanella. Con le palpebre chiuse o semichiuse, egli volge gli occhi verso l'alto tanto quanto possibile, come se stesse guardando il soffitto, ma senza sollevare il mento. Stabile in questa posizione, pratica come nella seconda parte (canto mentale di Om...)

Dopo il Kriya Pranayama, comincia la parte più delicata della routine: la fase di meditazione. Meditazione non significa restare immobili aspettando che la forte carica energetica della spina dorsale si dissolva -- come uno che sta aspettando l'effetto di una iniezione intramuscolare. Se il Kriya Pranayama ci ha regalato la bella esperienza di ascoltare i suoni interiori, allora meditazione significa continuare ad ascoltare tali suoni per alcuni minuti, prima senza chiudere le orecchie e poi, eventualmente, con le orecchie chiuse.

Siccome questo avviene raramente, meditazione Kriya significa portare avanti una concentrazione attiva sui Chakra muovendo la consapevolezza su e giù lungo la spina dorsale, soffermandosi in ciascun Chakra per 10-20 secondi. Rientra poi nello schema teorico del Kriya il praticare lo Jyoti Mudra alla fine della routine -- facoltativamente preceduto dal Maha Mudra.

Informazioni su K3 e K4

Durante un secondo incontro con lo stesso studente appassionato di Kriya Yoga, l'argomento di discussione fu l'insegnamento che nel Kriya originale è chiamato Thokar. Questo insegnamento è descritto in modo chiaro che non si presta ad errate interpretazioni negli insegnamenti scritti di PY (K3 e K4) ma ci manca il vederlo ben sistemato entro una routine completa. Il nostro discorrere prese il via da ciò e poi si sviluppò liberamente.

Avemmo le stesse esperienze. Quando ricevemmo il K3 e il K4, non fummo capace di resistere alla tentazione di provare il K4 seduta stante -- "se ti porta al Samadhi, perché non provarlo subito"? Alla fine di una breve routine, affrettata causa l'impeto di provare la tecnica "suprema", provammo a praticare il K4. Dopo circa 15 - 20 rotazioni, il Kumbhaka causava notevole disagio. Invece di lasciar perdere, ripetemmo il tentativo molte volte, mentre il disagio aumentava e un senso di nausea continuava a lanciare segnali di allarme. Alla fine ci fermammo sconfitto: il risultato era zero, meno che zero! Non solo non c'era traccia di Samadhi, ma lo stato iniziale di raccoglimento creato dalle tecniche precedenti era guastato. Eppure, non ci riuscì di dimenticare le belle promesse con cui veniva introdotta la spiegazione del K4 e utilizzammo questa tecnica in altre occasioni. Ma i risultati furono nettamente insoddisfacenti.

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Venne chiarito (questo è il risultato della mia ricerca, non pretendo di affermare una verità assoluta -- questo vale ovviamente per tutto quello che segue) che ricevere il K3 e il K4 non significa ricevere un insegnamento principale (K4) accompagnato da una sua semplificazione (K3) temporanea, destinata ad essere ben presto abbandonata. In realtà, gli insegnamenti sono tre e molte scuole di Kriya li concedono in tre diverse iniziazioni. [1] K3 senza i movimenti della testa -- questa procedura si chiama Omkar Kriya.[2] K3 con i movimenti della testa -- questa procedura si chiama forma base del Thokar. [3] K4 -- questa procedura si chiama forma evoluta di Thokar.

Ciascuna tecnica va padroneggiata con molto impegno prima di passare alla successiva!

• La tecnica dell'Omkar Kriya (K3 senza i movimenti della testa) è ottenuta applicando tutti i dettagli della tecnica ricevuta (pressione mentale alla base della colonna spinale; inspirazione ponendo le sillabe dove prescritto; intensificazione della coscienza nel punto tra le sopracciglia) ma restando immobile durante tutta la espirazione che comincia immediatamente dopo la concentrazione nel punto tra le sopracciglia. La lunga espirazione guida la corrente nel midollo allungato, poi nel centro cervicale, nel Chakra del cuore e poi giù in tutti gli altri Chakra. Questo è esattamente quello che accadeva nel Kriya Pranayama. La differenza è che il kriyaban usa tutto il potere della sua concentrazione (e anche del Kechari Mudra se è capace di assumerlo) per far vibrare sottilmente ciascuna sillaba con intensità, creando una micro pausa in ciascun Chakra. Comunque, il flusso del respiro non perde la sua qualità di omogenea fluidità e il suono della inspirazione e della espirazione rimane continuo.

Con questa pratica nell'immobilità "un kriyaban impara l'arte di viaggiare astralmente entro il tunnel spinale". L'essenza della pratica sta nello sforzo costante di sollevare la propria consapevolezza lungo la colonna spinale millimetro dopo millimetro con continua pressione mentale. Spiego che è come spremere col pollice un tubo quasi vuoto di dentifricio (dalla base fino alla sua apertura) per farne uscire quel poco che ne rimane. Uno deve aver allenato il potere della propria concentrazione fino a mantenere tale sensazione con ininterrotta continuità. Il Kechari Mudra è straordinario nel creare questa particolare "pressione mentale". L'espirazione è più tranquilla: l'energia scivola in giù e la precedente pressione è percepita senza sforzo sopra la sede di ciascun Chakra come una cascata di luce proveniente dall'alto.

Questo grande lavoro sarebbe disturbato dai movimenti della testa del K3 effettivo. Esso deve essere vissuto nell'immobilità. Il risultato è questo: durante il sonno, esperienze cariche di beatitudine cominceranno ad apparire nella spina dorsale e la persona ne gioirà in uno stato in cui il corpo è mezzo addormentato ma la coscienza è lucida come non mai; in seguito, dopo mesi o anni di sforzo, tali esperienze cominciano ad avvenire durante profonde sedute della propria routine quotidiana di Kriya.

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• Il nucleo della forma base del Thokar (K3 con i movimenti della testa) ha come nucleo l'azione di abbassare la testa in avanti così che il mento colpisca il torace. Coloro che si imbarcano in questa avventura, dovrebbero compiere questo movimento in un modo molto delicato. Uno non dovrebbe permettere che sia il peso della propria testa a spingere il mento verso il torace: in tale condizione, il movimento fisico è definitivamente troppo potente e dannoso il collo. Perciò, un attento sforzo fisico è simultaneamente inteso sia ad abbassare il mento ma anche a resistere alla forza di gravità. Alcuni definiscono quest'ultimo movimento della testa un "colpo". Meglio definirlo un "colpetto" o un piccolo "sobbalzo". "Sobbalzo" significa che il mento viene in giù, tocca il torace per un istante e viene su immediatamente, non rimane incollato lì. Quello che è importante è che il suo effetto sia sentito intensamente all'interno del quarto Chakra. Chiariamo la velocità. Di solito, tutte le 12 sillabe sono cantate con lo stesso ritmo. Bene, se i tre movimenti collegati con Te, Va, e Su avvengono senza alterare quel ritmo, questa è considerata la velocità normale del K3. Alcuni praticano Te, Va, Su in un modo più lento. Siccome ci sono solo tre sillabe De, Va, Ya che accompagnano l'espirazione, è naturale cantarle con un ritmo più lento. Ora, Te, Va, Su possono essere cantati con lo stesso ritmo di De, Va, Ya. In questo modo, c'è tutto il tempo che serve per concentrarsi meglio su ciascun colpo e percepire qualche cosa che emana da ciascun punto.

• La forma evoluta del Thokar (tecnica K4) è indubbiamente una variante del K3, ma è anche qualcosa di più. La concentrazione sulla luce spirituale nella testa è un punto chiave. La difficoltà nel praticare questa tecnica risiede nell'andare troppo di fretta e nel cercare di trattenere il respiro senza aver prima calmato il Prana nel corpo e sollevato l'energia (Apana) che risiede sotto la cintura nella parte alta del torace. Ci sembra impossibile, una mera illusione, aumentare il numero delle rotazioni della testa fino a 200, senza respirare. E invece è possibile qualora la persona abbia completato la giusta preparazione.

La giusta preparazione per il K4

La procedure decisiva -- dotata di un dirompente potere di pulizia psicologica -- è di completare due routine incrementali che riguardano i due aspetti della tecnica del K3. [Vedi capitolo 10 per la definizione di routine incrementale.]

[a] La prima routine incrementale riguarda l'Omkar Kriya (K3 senza i movimenti della testa). La tradizione prevede di cominciare con 12 ripetizioni e aggiungere una ripetizione al giorno fino a raggiungere le 200 ripetizioni. Questo si fa una volta al giorno, nella seduta principale. (Dopo tale pratica dimentica il respiro e rimani immobile praticando la forma migliore di Pranayama mentale.) In una eventuale seduta secondaria la stessa tecnica può essere ripresa per 12-36 volte. Invece di aggiungere una ripetizione al giorno, puoi seguire un piano più semplice: pratica 25 ripetizioni al giorno per due settimane. Poi 50 ripetizioni al

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giorno per altre due settimane. Poi 75 ripetizioni al giorno per altre due settimane... poi 100... ...125... e così via finché pratichi 200 ripetizioni al giorno per due settimane.

Completare questa routine incrementale è un compito impegnativo, ma non particolarmente difficile: il tempo passa senza accorgersi e quello che sarebbe potuto sembrare un compito spossante (superare le 100 ripetizioni) risulta essere facile come un momento di riposo.

[b] La seconda routine incrementale riguarda la forma base del Thokar (K3 con i movimenti della testa). Quando la precedente routine incrementale è stata completata, lo studente riparte dall'inizio e pratica solo il K3 vero e proprio (con i movimenti) aumentando il numero delle ripetizioni. Il piano di incremento che si segue è esattamente lo stesso.

L'abilità ottenuta attraverso la procedura precedente assicura che durante ciascun movimento della testa, non si perderà la percezione della corrente che raggiunge e attraversa ciascuno dei Chakra superiori (midollo allungato, Chakra cervicale e Chakra del cuore). Questo è un dettaglio cruciale la cui importanza non sarà mai abbastanza sottolineata.

Quando entrambe le procedure sono completate (ci vuole un anno o più) lo studente è capace di dirigere una enorme quantità di energia nel Chakra del cuore ed è pronto a raggiungere alti livelli di perfezione con il K4.

K4: la grande procedura di Samadhi astrale

Un metodo facile per affrontare la tecnica del K4 è qui esposto. Esso non può dirsi un metodo canonico; anzi diciamo pure che esso troverà molti detrattori. Io so che può realmente aiutare chi si trova impantanato in una pratica insoddisfacente del K4.

Supponiamo che trattenendo il respiro in un modo non forzato, lo studente sia capace di praticare i movimenti del K4 per un certo numero N di volte prima di espirare. Se il giorno successivo a questa pratica, egli non senti dolore nelle vertebre cervicali o nei muscoli del collo, potrà tentare di praticare N+6 rotazioni rispettando il principio seguente. Inspira lentamente seguendo le istruzioni sul porre correttamente le sillabe nei Chakra, percepisce un aumento di Prana nella parte superiore dei polmoni. Non fa l'atto di sigillare i polmoni (chiudere la trachea -- come quando ci si accinge ad andare sott'acqua) ma li tiene come se stesse per cominciare una nuova inspirazione. Prova la sensazione che il respiro sia stato annientato. Egli pratica N+6 cicli di movimenti della testa senza alcuna fretta.

Però, mantenendo il torace espanso ed i muscoli addominali e diaframma perfettamente immobili, egli lascia che un eventuale piccolo sorso di aria (un qualcosa di impercettibile) possa uscire quando il mento si abbassa sul torace; ed un sorso impercettibile di aria possa entrare ogni qualvolta il mento si solleva. Attenzione: egli non fa l'atto di inspirare ed espirare, il suo ruolo è quello di limitarsi a lasciare che il fenomeno su menzionato accada liberamente, non

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ostacolato. Quello che è importante è che egli non perda minimamente la sensazione che il respiro fisico non esiste più e che tutto il Prana sia immobile e continui a restare immobile nella parte superiore dei polmoni.

Quando N+6 movimenti sono completati, egli espira tranquillamente e non ripete la procedura fino al giorno successivo. Per una settimana egli non cerca di superare il suo nuovo "record" N+6. Se ci sono problemi con le vertebre cervicali, può saggiamente praticare a giorni alterni. Se tutto procede nel migliore dei modi, aumenta di sei rotazioni alla settimana. Aumenta finché ciò è gradevole, quindi non si pone per ora l'obiettivo di arrivare alle 200 rotazioni durante un'unica respirazione.

Con questo modo di procedere, qualche cosa di bello si sta avvicinando. Un giorno si accorgerà che durante la pratica i sopramenzionati sorsi di aria non avvengono più, non sono necessari. Si accorge che sta ruotando la testa mantenendo un perfetto Kumbhaka senza sforzo. Un aumento di energia nel quarto Chakra sarà fortemente percepito. Ne nasce un meraviglioso senso di libertà dal respiro.

A questo punto egli riesce a raggiungere le 200 rotazioni -- la gioia che si espande nel suo cuore diventa il suo "Guru" e lo guida.

Informazioni sul K2

Molti son convinti che il K2 come insegnato da PY sia impropriamente chiamato "Secondo Kriya". In effetti è del tutto diverso dal Secondo Kriya insegnato da varie scuole. La leggenda che PY abbia ricevuto questa istruzione da Swami Kebalananda è plausibile. Credo che ad una tecnica simile si accenni nel Gheranda Samhita: "... chiudi gli orecchi, occhi .... medita sui sei Chakra uno dopo l'altro". Ho conosciuto degli studenti che si sono sentiti ingannati da questa scelta e non lo praticavano più da molti anni concentrandosi invece sul K3 e K4 che ormai su vari forum vengono indicati come il reale, ovvero "originale", Secondo Kriya.

Effettivamente, gli scritti di PY che riguardano il Secondo Kriya sono alquanto strani: la tecnica K2 è un insegnamento evoluto e assai difficile che è in qualche modo in rapporto col quarto livello del Kriya. Si basa su una procedura che non è ristretta a "localizzare fisicamente i centri." Noi focalizziamo mente e Prana su ciascuno di essi finché la loro essenza viene rivelata come variante del suono astrale e come un particolare stato di coscienza. Tale procedura porta a percepire i colori dei Tattwa ovvero dei cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria, etere) ciascuno legato ad un Chakra diverso. PY spiegò in modo molto chiaro i mutamenti fisici che accadono quando la coscienza entra in sintonia coi vari Tattwa: il modo in cui il respiro fluisce attraverso le narici e la percezione di diversi sapori in bocca.

Il fatto notevole è che non c'è solo questa tecnica nel gruppo degli scritti relativi al K2! Dopo alcune pagine, prive di un nome specifico, troviamo descritte due tecniche che sono incomparabilmente importanti. Una è la pratica del "Micro

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Thokar", l'altra è una tecnica delicata per percepire la spina dorsale astrale.

[I] Tecnica del Micro Thokar per risvegliare i ChakraLa procedura del "Micro Thokar" è accennata in una frase che non è facile da comprendersi e che riguarda i "colpi psico-fisici dati presso le diverse sedi dei Chakra." Purtroppo non è data alcuna ulteriore spiegazione pratica. L'informazione che ho ricevuto è che questo è ottenuto tramite un modo particolare di porre mentalmente le sillabe di un Mantra nella sede di ciascun Chakra. Il Thokar (K3 e K4) agisce sui Chakra elevati (midollo allungato, Chakra cervicale e del cuore). La procedura per estendere il Thokar a tutti gli altri Chakra è detta "Micro Thokar" perché è caratterizzata da una drastica diminuzione della dinamica dei movimenti della testa e da una contrazione delle dimensioni del movimento interno di energia e consapevolezza. Nel capitolo 8 ho dato una versione di questa bella procedura. Qui do un'altra versione.

• Dimentichiamo il respiro. Ripetiamo mentalmente in ciascun Chakra il Mantra: Om Na Mo Bha Ga Ba Te Va Su De Va Ya. Spieghiamo come, con l'aiuto di questo Mantra, noi diamo quattro colpi psico-fisici a ciascun Chakra. Dividiamo il Mantra in quattro terne: Om Na Mò // Bha Ga Bà // Te Va Sù // De Va Yà. Quattro colpetti avvengono quando pensiamo le sillabe accentate Mò, Bà, Sù e Yà,.

Cominciamo ponendo la consapevolezza nel Muladhara Chakra. Guardiamo dall'alto questo Chakra come un disco orizzontale grande come una moneta, cantiamo mentalmente "Om" alla sinistra del suo centro, "Na" alla destra e "Mò", con un leggero colpetto, nel centro di esso. L'oscillazione percepita ora in ogni Chakra è un qualcosa di pochi millimetri. Un leggero movimento oscillatorio della spina dorsale può accompagnare e rafforzare il movimento interiore. Restando sempre nel Muladhara, ripetiamo la stessa procedura con Bha Ga Bà, dando in tal modo un secondo colpo psico-fisico al Muladhara. Poi vibriamo Te Va Sù e poi ancora De Va Yà. Ripetiamo la stessa procedura con tutti gli altri Chakra. L'ordine è lo stesso che PY utilizza: primo, secondo, terzo, quarto, quinto Chakra, poi midollo allungato, punto tra le sopracciglia, midollo allungato, quinto, quarto, terzo, secondo e primo Chakra. Poi ripetiamo l'intero giro cercando di essere più interiorizzati. Questa volta cerchiamo di mantenere la spina dorsale immobile. L'ideale sarebbe riuscire a completare da tre a sei giri.

[II] Tecnica per percepire la spina dorsale astraleLa tecnica per percepire la spina dorsale astrale è spiegata dopo che PY ha dissertato su Kundalini e ha dato un chiaro suggerimento sulla necessità del Kechari Mudra. Ad un certo punto, PY spiega come, stabilitosi nella posizione di meditazione, un kriyaban gentilmente oscilla la spina dorsale, sinistra e destra, per sentire la spina dorsale astrale come separata dal corpo. Il nucleo dell'insegnamento è vissuto subito dopo nell'immobilità percorrendo su e giù la spina dorsale, cantando mentalmente Om nella sede dei Chakra. 12 È un

12 C'è un discepolo diretto di PY che insegna il Secondo Kriya esattamente in questo modo. Si canta mentalmente Om nella sede di ciascun Chakra, dal Muladhara al

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insegnamento semplicissimo eppure è grandioso! Il risultato può lasciarvi stupefatti! Non lo commento ulteriormente in quanto gli scritti di PY sono esaurienti. La pratica delle tecniche [I] e [II] è la cosa migliore per preparare il corpo per il K2.

Una nota sullo stato di assenza di respiro prima di discutere il K2

K2 è una tecnica evoluta la cui padronanza può essere raggiunta solo dopo aver padroneggiato lo stato di assenza di respiro. Molti kriyaban non sono capaci di concepire questo stato finché non lo sperimentano direttamente. Quando discuto con un kriyaban sul K3 o sul K4, di certo lui ha praticato il Kriya da almeno tre o quattro anni. Questo è, a mio avviso, il momento giusto per fare uno sforzo ulteriore e raggiungere lo stato senza respiro.

Quando incontro un kriyaban, cerco di capire se egli si trova in quel momento della sua vita in cui egli ha la determinazione di fare uno sforzo maggiore. Ho scritto che: "... un buon calcio negli stinchi da parte della vita è la miglior cosa. Uno deve impegnarsi come per sfondare un muro che la vita gli pone davanti... "

Per chi si trova in questa fase del sentiero spirituale, cerco di convincerli che è arrivato il momento di realizzare appieno le parole di PY nella AOY dove spiega come il Kriya ti libera dalla catena che tiene legata la tua anima al corpo: il respiro.

A questo punto non posso che accennare all'importanza di calmare la mente col Japa. Sì, lo ammetto: ho una fissazione per questo strumento! D'altra parte, non ho mai trovato nulla come il Japa per migliorare il mio Kriya. Il Kriya è un'arte impegnativa per sollevare lo stato della propria coscienza verso quattro stati principali: il primo è caratterizzato da un perfetto silenzio mentale, il secondo è una tremenda euforia nel cuore dove uno si scioglie di devozione, il terzo è l'assenza di respiro, il quarto è il rapimento finale dato dal risveglio di Kundalini (...ecco in due parole il senso dei quattro livelli del Kriya Yoga).

Sappiamo che per il secondo stadio c'è il K3 e il K4, ma per il primo stato cosa abbiamo? Non è il Kriya Pranayama perché il Kriya Pranayama è omni comprensivo -- esso tocca tutti i livelli del Kriya.

Specifico del primo livello è il Talabya Kriya -- il Kriya del "palato", inteso sia come esercizio per tendere il frenulo, sia come profondo assorbimento nel Kechari Mudra. La prima parte di qualsivoglia routine costruita razionalmente e in un modo funzionale è aiutata -- e quindi portata a perfezione -- dal silenzio mentale durante la vita quotidiana. Per questo scopo io consiglio il Japa: un qualcosa che agisce sia sulla mente conscia che su quella inconscia. Allo studente spiego che non può praticare il Kriya con la sola forza della volontà, che non riuscirà a muovere il Prana lungo il sottile canale spinale

punto tra le sopracciglia, poi nel Sahasrara, cervicale, Chakra del cuore... Questo ciclo deve essere ripetuto ma la pratica si conclude con una salita finale nel Sahasrara.

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servendosi solamente della più intensa visualizzazione. È necessario vivere una vita spirituale, ovvero una in cui la mente è quasi sempre in uno stato di silenzio.

Penso che sia un errore che le scuole Kriya non diano ufficialmente l'insegnamento del Japa. Forse la superbia e la arroganza di alcuni kriyaban li allontanò da una pratica che consideravano troppo semplice. Eppure, alcuni grandi discepoli di PY accennarono effettivamente a questo insegnamento: sapevano che chi pratica il Kriya immerso nello stato che ne deriva, non incontrerà mai ostacoli nel calmare il respiro quasi subito, dopo pochi respiri di Kriya Pranayama.

Quindi controllo che l'insegnamento del Japa sia compreso senza equivoco. Per esempio voglio essere sicuro che lo studente comprenda che non è importante pensare al significato del Mantra mentre è essenziale farlo vibrare fortemente nel petto e nella testa. Voglio che lo pratichi e mi dica se non è vero che viene anche a lui l'impulso irresistibile di mettere tutto in ordine. Poi consiglio una routine estremamente semplice in cui ci sia il K1 e anche il K4 ma con un numero moderato di ripetizioni. A ciò seguono le tecniche sopra descritte [I] e [II]. Di solito l'assenza di respiro appare nella procedura [II]. A questo punto il kriyaban può fronteggiare l'insegnamento evoluto.

Come sperimentare l'insegnamento del K2 entro lo stato di assenza di respiro

Per chi ha realizzato lo stato di assenza di respiro, consiglio quanto segue:Avendo raggiunto lo stato di assenza di respiro, un kriyaban mette le sue

braccia sul poggia gomiti. Poi, con la lingua in Kechari Mudra, fa una lunga inspirazione. Espande la gabbia toracica e la mantiene espansa dimenticando completamente il respiro. Non espira. Il suo respiro rimane immobile nella parte superiore dei polmoni. Si concentra sul Muladhara e sale lentamente con la coscienza su per la spina dorsale, senza respirare, millimetro dopo millimetro. Quando arriva al Chakra del cuore proverà una particolare forma di beatitudine. Qui avrà l'assicurazione che può procedere ulteriormente col trattenere il respiro. Questo stato è un dono divino ed è il risultato del completamento delle routine incrementali e di una buona padronanza della tecnica del K4.

A questo punto, senza espirare, applica le istruzioni del K2 al Muladhara. Ma prima compie l'atto interiore di sollevarlo idealmente nel punto tra le sopracciglia -- questo avviene senza usare il respiro fisico. Applica quindi la tipica procedura del K2 che ben conosce (contrazione dei muscoli vicini al Chakra, rotazione delle dita, concentrazione sul mutamento di colore...). Poi rilassa i muscoli e la concentrazione e si prepara a spostarsi sugli altri Chakra.

Se sente che il suo corpo ha bisogno di respirare, respira. Non c'è posto per tensione e disagio. Se ora non è più capace di restaurare lo stato di assenza di respiro, se sente che il Prana è scivolato in basso, al di sotto del petto, può fermarsi qui per questo primo giorno. Verrà un giorno in cui sarà capace non solo di ripristinarlo ma non avrà più bisogno di respirare tra un sollevamento e il successivo. Solleverà ciascun Chakra nella luce del Kutastha, rimanendo sempre senza respiro, mantenendo sempre il Prana immobile nella parte superiore dei

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polmoni.

Dunque K2 significa chiudere le orecchie e contrarre certi muscoli, più muovere la consapevolezza da un Chakra all'altro percependo la vibrazione Omkar che si diversifica da un Chakra all'altro e rivela come ogni centro abbia una sua vibrazione (un suo "ritmo") -- il tutto rimanendo nello stato di Antar Kevala Kumbhaka (trattenimento senza sforzo del respiro dopo l'inspirazione).

Alcune note sulle tecniche preliminari

La routine raccomandata dalle organizzazioni che diffondono gli insegnamenti di PY è: •Esercizi di Ricarica •Hong So • Tecnica Om •Maha Mudra •Kriya proper •Jyoti Mudra •Concentrazione finale nella spina e nel Kutastha. Quando si aggiungono i Kriya superiori, essi vengono praticati dopo il Kriya proper o dopo lo Jyoti Mudra.

Col tempo, viene la tendenza a semplificare. Molti eliminano del tutto le tecniche preliminari Hong So e Om; alcuni ne praticano una sola o entrambe dopo il Kriya proper, al posto della concentrazione finale nel Kutastha. Coloro che hanno letto il mio libro e, pur restando fedeli agli insegnamenti ricevuti, si propongono di raggiungere il Kechari Mudra, cominciano la routine con il Talabya Kriya. Perciò raramente parliamo delle tecniche Hong So e Om.

Il mio pensiero in proposito è che queste tecniche si possono utilizzare con ottimi effetti. A mio avviso, Hong So è ottimo per una seduta breve, oppure come Pranayama mentale dopo il Kriya proper; la tecnica Om è la prosecuzione ideale del K2 e dello Jyoti Mudra -- specie di notte: una calma meditazione dove non si ponga alcun termine di tempo, dove non ci sia alcuna traccia di fretta.

Hong So

Affrontando il discorso sulla tecnica Hong So, tutti sono d'accordo sul fatto che essa non è una tecnica che ti regala la concentrazione se già non la possiedi! Chiunque decida di praticarla, deve essere dotato dell'abilità di mantenere un alto livello di concentrazione. Essa comincia con alcuni respiri profondi che sono molto simili al Kriya Pranayama. La letteratura spiega che essi ossigenano il sangue e calmano il sistema: in realtà essi mettono in moto il meccanismo essenziale del Kriya Pranayama -- mescolare ed equilibrare Prana e Apana.

Per quel che riguarda il Mantra Hong-so 13 c'è ben poco da dire: non dovrebbe essere preso come una "formula magica". Esso deve fondersi col nostro respiro, di cui dobbiamo essere costantemente coscienti. Se noi lasciamo scemare l'acuta consapevolezza di esso e restiamo lì come ipnotizzati dal suono delle due

13 Questa tecnica è anche insegnata con So durante l'inspirazione e Hong durante la espirazione. Si scopre che praticando con So-Ham invece che con Hong-So, l'effetto è lo stesso.

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sillabe Hong e So, resteremo delusi. La mente non si lascerà affatto interiorizzare e quindi non si aprirà allo stato di meditazione.

Supponiamo dunque di metterci nelle condizioni ideali: abbiamo solo dieci minuti a disposizione, abbiamo fatto dei respiri profondi. Ebbene se rispettiamo due principi fondamentali, nel giro di due tre minuti ci troveremo in uno stato fantastico.

Il primo principio suona strano a molti studenti: quanto sia importante non stabilire mai un ritmo nel canto mentale di Hong So. Il canto mentale di questo Mantra, ripetuto tante e tante volte, può facilmente e naturalmente conformarsi ad un ritmo che ha la tendenza a mantenersi immutato. Se il respiro segue questo ritmo è chiaro come il sole che non rallenterà mai! Quando tale ritmo si è stabilizzato, anche se il corpo "potrebbe" rimanere dei momenti senza respirare, il processo del respiro continuerà implacabilmente.

Sono sicuro che molte volte lo studente non comprende il senso di quello che vado dicendo. Il fatto è che mi trovo con persone che hanno praticato questa tecnica per anni e non possono dubitare della correttezza della loro pratica. Talvolta passo un bel po di tempo a soffermarmi sul concetto di ritmo. Quando lo studente capisce che nella sua pratica il ritmo era quasi sempre presente, allora il problema è quasi risolto. Dopo l'inspirazione o dopo l'espirazione, uno studente deve sempre aspettare che appaia l'impulso di respirare. Quando ci sono le condizioni fisiologiche che una pausa possa esistere, essa dovrebbe essere esperita, non importa se dura solo un istante! Uno studente che rispetta questo principio, potrà subito verificare come questo piccolo dettaglio è sufficiente a calmare drasticamente il respiro.

Il secondo principio è quello di essere coscienti del movimento della cassa toracica. Durante l'inspirazione il torace si dilata e si crea una tensione elastica. Questa forza elastica tende ad annientare la pausa tra inspirazione ed espirazione. In altre parole, la pausa del respiro dopo l'inspirazione è contrastata dall'elasticità della cassa toracica -- non solo dal ritmo. Uno studente deve essere consapevole di questa forza elastica: ciò garantisce che la pausa dopo l’inspirazione possa esistere liberamente. Mettendo tutto questo in pratica, un "circolo virtuoso" tra la calma crescente e la ridotta necessità di ossigeno si mette in moto.

Dicevamo che questa pratica si può usare come Pranayama mentale dopo il Kriya proper. In tal caso si può osservare che il respiro sale nella spina dorsale con Hoooong e scende con Soooo. Si tratta di un respiro naturale, breve, non il respiro forte del Kriya Pranayama. Essere consapevoli della spina dorsale calma enormemente il respiro.

Quando il respiro si calma e diviene così breve che questa procedura sembra svanire nel nulla, uno cerca di sentire questo micro respiro come se avvenisse all'interno di ciascun Chakra. Un respiro breve, quasi invisibile avviene nel Muladhara ed è fuso con il suadente canto di Hong so -- una piacevole vibrazione in una mente silenziosa. Lo stesso avviene nel secondo Chakra, poi nel terzo ... e così via ... su e giù lungo la spina dorsale ... finché

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non c'è più respiro, solo Hong So in ciascun Chakra. Dopo la pratica del Kriya proper, questa procedure può regalarti la visione dell'occhio spirituale.

Tecnica Om

È auspicabile che un kriyaban pratichi la tecnica Om rimanendo nello stesso stato che abbiamo descritto trattando la forma evoluta dello Jyoti Mudra. L'ideale è praticarla per almeno 30 minuti. Questa tecnica realizza appieno i tre ultimi livelli del percorso Yoga descritto da Patanjali: Dharana, Dhyana e Samadhi. Concentrandosi attivamente sui suoni interiori, uno si perde in essi e infine incontra lo stato estatico. Nonostante apparentemente infruttuosi tentativi, è probabile che dopo giorni o settimane, avvenga una notevole esperienza di risveglio di Kundalini. Essa avviene solo in uno stato di profondo rilassamento; per alcuni avviene quando il corpo è disteso per dormire e la coscienza entra nell'oblio dello stato di sonno.

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APPENDICE 2 DIVERSE TIPOLOGIE DI RICERCATORI[Questo tema verrà espanso nella prossima edizione del libro]

Mentre finivo di completare il libro, fui invitato dalla locale università della terza età a tenere lezioni sulla storia dei percorsi mistici. Dopo avere completato il primo ciclo di lezioni, accettai di ripetere il corso negli anni seguenti che in tutto divennero cinque. Il percorso mistico fu considerato da diversi punti di vista e, durante gli ultimi due anni, ci fu anche un'introduzione pratica ad alcune pratiche elementari come il Japa e il Pranayama preso dallo Yoga classico... Mi dilettai a preparare le lezioni studiando i migliori saggi e manuali che potevo rintracciare. Mi riferisco a libri scritti da studiosi che non appartenevano (o erano così intelligenti da nascondere la loro appartenenza) ad alcuna particolare scuola mistica e manifestavano un atteggiamento distaccato verso l'intera materia.

Questo fu un periodo molto sereno della mia vita: ero molto appagato dall'avere il tempo e l'opportunità di occuparmi di tali studi. Apprezzai quei testi che sapevano cogliere l'essenza di quei movimenti religiosi che erano fioriti liberamente attorno alle grandi religioni. L'impatto di certe letture, la vivezza di certe testimonianze biografiche, avevano l'effetto di spazzare via alcuni forti condizionamenti, lasciati entrare in tutta innocenza nella mia vita attraverso la porta di una mite conformazione agli ideali della mia prima organizzazione di Kriya.

Proposi di aggiungere al nostro studio alcune informazioni sui movimenti esoterici più noti. Il mio scopo era paragonarli alle tendenze New Age e mostrare dove, entro esse, era situata la linea di confine tra la ricerca mistica genuina e il coltivare ambizioni magiche.

Il mio insegnamento era che anche se in alcuni contesti la parola mistico evoca una relazione col mistero, col concetto di iniziazione (dal Greco μυστικός [mustikos], un iniziato) a segreti rituali religiosi (anche questo dal Greco μύω, celare) un mistico è uno che cerca sinceramente (adottando qualsivoglia forma di disciplina mentale e fisica) di arrendersi a qualche cosa che è la quintessenza del supremo conforto, qualche cosa che sta oltre i territori della mente -- irraggiungibile dalle acrobazie di una mente mai soddisfatta.

Non era difficile vedere la devastante inconsistenza teorica di molti movimenti esoterici, ampiamente riconosciuti come impegnativi ed elitari. Una vastissima terminologia che colpiva per la grandiosità e che un tempo mi avrebbe entusiasmato, mi riempiva di nausea come se fosse un'oscenità creata da un mostro. Ero sempre più colpito dalla debolezza della mente umana, dalla sua scoraggiante lentezza nel dissolvere lampanti falsità e ragionamenti ingannevoli. Fui inevitabilmente traghettato nel più interessante campo di studio: la psiche umana, la sua suggestionabilità e vulnerabilità quando si tratta di avvicinarsi al sentiero spirituale.

Purtroppo, l'interesse dei miei studenti su questo tema era quasi nullo. Non sembravano rendersi conto della relazione che esso aveva con la loro vita, interessi e comportamento. Anzi, rimasi stupefatto nel comprendere che troppi ascoltatori venivano alle mie lezioni per ricevere sostegno e nutrimento per le loro illusioni.

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Quando questo periodo fu finito, ebbi molte opportunità di riflettere su quanto comuni erano quelle tendenze. Anche dei ricercatori Kriya seri e affidabili erano più o meno nella stessa situazione. Abilmente camuffavano atteggiamenti impropri. Parlai sinceramente con molti ricercatori spirituali senza usare alcuna censura, anzi a volte fin troppa empatia. Vidi che molto raramente sembravano apprezzare il concetto di sentiero mistico pulito -- un sentiero non inquinato dalle fantasie e deformazioni della mente umana. Di solito appartenevano a una delle seguenti quattro categorie: con dei condizionamenti religiosi; persone mentalmente disturbate o psicologicamente fragili; coloro per cui la conoscenza esoterica è tutto; con tendenze magiche ed esoteriche.

A. Condizionamenti religiosiAlcuni riversano nel loro sentiero di Kriya Yoga un impegno straordinario ma non ottengono nulla. Non si rilassano abbastanza, non hanno fiducia nella pura applicazione di una tecnica a meno che non sia abbinata ad un sforzo faticoso di tormentare la loro struttura psicologica. Sono convinti che devono portare avanti un lavoro enorme sul piano psicologico. Rimuginano un solo pensiero: "Cosa posso fare nel regno della mia mente, delle mie abitudini per migliorarmi?" Vogliono costruire mattone dopo mattone, faticando fino all'estremo delle forze, come se si trattasse di un complesso edificio, la loro Redenzione.

Perdersi nel nucleo della meditazione Kriya è soltanto un corollario di questo lavoro cardine. Con questo atteggiamento, ogni progresso sul sentiero spirituale è veramente difficile. L'esperienza mistica avviene quando uno si rilassa totalmente ed è in pace con se stesso. Solo allora qualche cosa di tremendamente vasto, oltre la mente, si manifesta improvvisamente e travolge ogni senso di colpa e ogni dicotomia di degno o indegno. Loro sono così ammirevoli nei loro sforzi ma se durante la meditazione il respiro sembra scomparire, essendo sempre in allerta, invece di rilassarsi bloccano l'esperienza.

Il problema è che si sentono totalmente indegni di una beata esperienza divina. Forse si tratta solo di una mia percezione, ma la loro idea di base è che il Divino risieda al di fuori degli esseri umani e che un individuo possa avvicinarsi ad Esso solo dopo essersi guadagnato un qualche merito. I condizionamenti religiosi possono essere molto forti, fatali in certi casi.

All'inizio del loro sentiero, essi lavorano molto duramente con l'autodisciplina e con penose rinunce. Coltivano l'idea di limitare al massimo le attività della giornata per abbracciare un lavoro di studio spirituale, aumentando anche il tempo per la meditazione. Spesso sognano una vita di pura meditazione. Solo in questo modo, pensano, è possibile sradicare le cattive abitudini profondamente radicate, nonché le stesse radici dell'iniquità e dell'egoismo.

Che cosa ne viene cedendo a questo progetto? Scoprono che questo improvviso salto in una "nuova e felice condizione" ha posto un freno ad una occasione di crescita e non è dato per scontato che divenga il migliore terreno per meditazioni profonde. Spesso la nuova situazione corromperà il nostro kriyaban col vizio della noia e della ignavia, mentre il suo tempo libero diverrà riempito di occupazioni banali. Ci può essere solamente una via d'uscita -- che una

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esperienza spirituale avvenga quando sono stanchi fisicamente, quando hanno lavorato duramente, sudato nel fare il loro dovere. Se questo non avviene, col tempo il Kriya sparirà dalla loro vita.

B. Mentalmente disturbati o psicologicamente fragiliAlcuni scambiano la meditazione con una medicina alternativa. La speranza che il Kriya potesse funzionare come terapia mentale cominciò a prendere forma in me quando lessi un libro di un medico che descriveva come aveva curato alcuni casi di disturbi mentali con lo Yoga. Altri libri che sottolineavano il valore evolutivo del Kriya, mi spinsero ad incoraggiare un paio di persone sofferenti di una specie di infelicità cronica ad avventurarsi in questa impresa. Il risultato fu quasi nullo.

La ragione per cui alcune persone ripongono inutilmente le loro speranze nel Kriya viene dal fatto che alcuni autori sprecarono il loro tempo nell'asserire che il Kriya è una scienza ed i suoi risultati sono garantiti. "Garantiti"? Ma cosa significa? Sebbene ci siano delle condizioni fisiche (respiro, polso, onde cerebrali) che possono essere influenzate dalla meditazione, l'essenza del Kriya non può essere né misurata né garantita. Possiamo esporre razionalmente i suoi principi ma non portare la sua interezza sul tavolo di un laboratorio. Lasciamo che la Scienza sia Scienza e il percorso mistico sia tutt'altra "faccenda".

Spero che le persone comprendano che non è corretto e non porta a nulla applicare le tecniche mistiche del Kriya sperando di uscire come per miracolo da una depressione. Coloro che praticano il Pranayama entro lo stato negativo di una persona malata che si aggrappa ad esso come un'altra improbabile medicina alternativa, sapendo già in cuor proprio che ne resteranno delusi, non avranno altro risultato che mal di testa.

Cercando goffamente di camuffare il loro scetticismo fingendo un inesistente interesse spirituale, essi paiono guardare il Kriya con sospetto - "funziona realmente"? Nessun uomo può toccare il Bene supremo del Kriya se non per elezione, mettendolo già con certezza assoluta sopra tutti gli altri conseguimenti. Il Kriya non può essere un innesto di un organo estraneo. Il Kriya può funzionare anche se tu non sei una persona "religiosa", ma dovrebbe divenire parte integrante della tua vita. Forse il più grande miracolo che esso produrrà sarà la felice decisione di abbandonare tutte le abitudini inutili con cui hai ferito il tuo essere e tuffarti coraggiosamente in una nuova vita.

Accettai di sostenere delle persone nel loro sforzo di utilizzare il Kriya come una medicina alternativa, solo quando vidi che si sforzavano di padroneggiare il Kriya con una dedizione che accese la mia ammirazione. Ero perplesso a causa della loro eccessiva auto osservazione ma accettai con entusiasmo di lavorare con loro. In quasi tutti i casi osservai due tendenze negative: spingono lontano da sé ogni persona intelligente e sincera che può aiutarli e, allo stesso tempo, non sono capaci di sbarazzarsi da persone parassite e da situazioni negative.

Hanno la tendenza a spremere le persone, lentamente ma inesorabilmente fino al punto che, come scrive Carlo Castaneda, non rimaneva più nulla.

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Avevano esasperato e poi eliminato definitivamente quelle poche persone che in passato avevano accettato di aiutarli. In questo parevano usare sempre lo stesso schema letale di comportamento. Erano soliti "estorcere" un accurato e particolareggiato consiglio terapeutico, poi, applicandolo, si producevano qualche danno. Cercando di fare sentire in colpa il loro amico per aver dato loro un consiglio errato, speravano di ottenere una maggiore attenzioni da questi. Piagnucolando raccontavano di aver seguito le istruzioni alla lettera ma che ora stavano molto male ... sottolineando il fatto che la sofferenza presente non era dovuta alla loro malattia cronica ma a questo specifico consiglio errato. Invece di legare a loro tale amico lo perdevano, inesorabilmente. Costui giurava di non aiutarli mai più in alcun modo. Avendo visto lo spettro dell'ingratitudine, afferrato da una furia cieca e dimenticando ogni passata abitudine alla cortesia, li annientava con un giudizio spietato, della cui durezza e inflessibilità avrebbe avuto, per lungo tempo, di che pentirsi. 14

Passando molto tempo con loro, ebbi altre ragioni per sentirmi a disagio. Per quanto riguarda la incapacità di sbarazzarsi da persone e da situazioni negative, sentii che nella loro vita c’era una regione dove loro proteggevano e nutrivano un fungo malefico dal quale estraevano l'elisir della loro sofferenza. Era impossibile per me avere un quadro completo della loro vita. Come nella favola di Barbablù, c’erano delle "stanze" dove loro non mi permettevano di entrare. Non mi riferisco a fatti intimi ma a fatti sui quali è accettabile discutere - per esempio mantenere una doppia vita quando non è essenziale ed è estremamente logorante... Quando toccai tali argomenti, si incupirono e troncarono rudemente il discorso.

C. La conoscenza è tuttoDi solito danno grande enfasi ai principi morali. Concepiscono il sentiero spirituale come una filosofia che possiede in se stessa un potere di redenzione. Amano coltivare la pura conoscenza esoterica. Tu cerchi invano di far sì che si rendano conto che una ricchezza senza fine sta aspettando di manifestarsi dietro lo schermo delle loro rivoluzioni mentali, ma essi non permettono che la sua radiosità pulisca la cantina polverosa dove preferivano vivere. Trascorrono troppo tempo a leggere libri spirituali, cercano di intrappolarti in infinite discussioni. Non c'è molto da dire su di loro. Racconterò un aneddoto.

Dopo una grande insistenza, accettai di leggere quello che per un mio amico era un capolavoro di letteratura esoterica. Il libro mi sorprese per la quantità di informazioni che conteneva. Mentre lo leggevo, entrai in un stato quasi ipnotico

14 Questo meccanismo perverso potrebbe aver esacerbato non solo persone ma anche le organizzazioni. Mi chiedo se quelle organizzazioni di Kriya che hanno gradualmente abbandonato un atteggiamento positivo nei confronti delle persone e hanno adottato tutto un insieme pesante di proibizioni e di quella che appare come una burocrazia assurda, furono spinte a reagire in questo modo dalle recriminazioni di persone ingrate e mentalmente disturbate come quelle che stiamo considerando qui, che hanno accusato le tecniche di aver causato le loro sofferenze.

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e non mi resi conto subito che ogni catena di idee ivi contenuta non aveva alcun sostegno, era il parto dell'immaginazione sfrenata dell'autore. Ero stupito nel vedere come, tramite una ubriacatura di parole, l’immaginazione dell'autore si dispiegava libera dal rapporto con la realtà e dalle regole della logica. Il tutto mi pareva un puro divertimento -- paragonabile al leggere una saga di fantasia. Come potevano pensare, studiando tale pattume, di sperimentar qualcosa oltre la mente? Gli consigliai dei buoni libri dai quali potevano trarre benefici. Affermò di averli già letti tutti, ma era una bugia. Preferì tenerli a debita distanza. Tutto finì quando un giorno avviò una polemica sul fatto che l'aspirazione a padroneggiare una tecnica di meditazione come il Kriya Yoga significava coltivare un desiderio, la qual cosa andava contro principi Buddisti. Si chiedeva come fosse possibile praticarla senza usare nemmeno un'oncia di volontà. Il caso mi sembrò disperato, rispettai la sua scelta e immediatamente posi fine alla farsa. Con mia sorpresa, dopo circa cinque anni dal nostro ultimo incontro, un amico comune mi disse che il nostro "filosofo" si era dato un nome indiano e faceva l'insegnante di Yoga. Aveva un seguito di signore che erano incantate dai suoi discorsi spirituali. Mi venne da sorridere e non riuscii ad evitare la ridarella per il resto della giornata.

D. Tendenze esoterico e magicheInfine c'erano coloro per cui il Kriya era una scuola di esoterismo tra tante che a volte sconfinava con la magia. Ricordo un amico che era irremovibile nel praticare il Kriya con delle modalità sbagliate, commettendo palesi errori. (Per esempio trascurava le normali regole della salute, rifiutava, durante la meditazione, di assumere la posizione corretta della spina dorsale, non badava a mantenere l'immobilità nella parte finale della routine.) Era impossibile correggerlo. Si comportava verso me in un modo molto cordiale ma, quando si trattava di difendere la sua scelta, rivelava un talento dialettico che mi faceva sentire un idiota. Ai suoi sofismi avrei preferito cento volte ascoltare un buontempone gridarmi in faccia: "Lascio il Kriya ad idioti come te: mi piace mangiare, bere e godermi la vita!" Cercava la totale armonia con la vita, allo stesso tempo facendo appello freneticamente ad ogni mezzo per sviluppare il suo nascosto potenziale psichico. Continuò a prestare attenzione alle rivelazioni che provenivano da un channeler guaritore (da cui si recava affinché gli spiriti gli rivelassero le ragioni karmiche di una malattia, come pure gli atteggiamenti da cambiare affinché i suoi problemi fossero distrutti astralmente) ma, allo stesso tempo, frequentava una chiesa dove fingeva una devozione genuina chiedendo una "particolare" benedizione quale blanda forma di esorcismo. Capiva intuitivamente la differenza tra magia e dimensione mistica, tuttavia, non smetteva di sognare che nel campo esoterico esistessero delle tecniche segrete, conosciute solo a pochi eletti, che costituivano una scorciatoia all'Auto realizzazione. Per un certo tempo egli cercò di "migliorare" le tecniche del Kriya incorporandovi varie tecniche esoteriche, come quelle descritte nei rituali di magia cerimoniale. Era convinto che solamente usando certi rituali, formule e simboli iniziatici, fosse possibile completare il salto evolutivo che portava alla

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liberazione. Incontrò un auto nominatosi esperto in materie occulte che gli rivelò di conoscere i segreti di un sentiero esoterico quasi scomparso e, in particolare, una tecnica spirituale - molto più evoluta di quelle conosciute oggi - che era praticata secoli o millenni fa da pochi eletti privilegiati. Entrò in una situazione in cui le stesse basi economiche, essenziali al suo vivere rischiarono di essere spazzate via, annientate fin nelle minuzie. Il pseudo esperto, che dava l'impressione di essere un sognatore ma che non era così ingenuo come sembrava, lo ammaliò facilmente. "Ora che l’umanità non è più quella di un tempo, tali insegnamenti non sono più rivelati ad alcuno" esordì; fece una pausa e infine, con un sospiro, concluse: "Gli attuali ricercatori non saprebbero apprezzarli e, nelle loro mani, diverrebbero pericolosi." Usava una terminologia affascinante vicina alla Cabala (movimento mistico entro l’Ebraismo) e parlò anche del Cristianesimo originale, dei cui testi sacri (canonici e apocrifi) offriva un’interpretazione non convenzionale. Il mio amico, cercò di circuire l’insegnante per ricevere più informazione. Confidando di esser disposto a qualunque sacrificio purché gli fossero rivelati questi straordinari segreti, cadde nella trappola. Dopo aver simulato una certa perplessità, alla fine il nostro furbo insegnante sembrò capitolare ma … "Solo per te, soltanto perché mi sento guidato a fare un’eccezione" sussurrò. Il mio amico, una povera vittima tremante di emozione, visse il miglior momento della propria vita, convinto che l’incontro con l’esperto fosse stato deciso nelle alte sfere. L’offerta che portò all’iniziazione - unita alla promessa di mantenere l’assoluta segretezza – non poteva che essere cospicua in quanto, attraverso essa, egli doveva dare prova di attribuire un grande valore a tale evento. La donazione sarebbe servita all’insegnante per compiere buone opere .... ovviamente! (Tali insegnanti affermano invariabilmente di trasmettere le offerte ad un certo frate - curiosamente non ad un prete - che si prende cura di un orfanotrofio.) Mentre il mio amico, tutto soddisfatto, si preparava a ricevere tale ineguagliabile dono (il nostro esperto dell'occulto aveva sottolineato con grande enfasi che di dono si trattava e nulla avrebbe potuto ricompensare adeguatamente le benedizioni che tale iniziazione avrebbe comportato nella sua vita) il lestofante decideva pigramente quali chiaviche gli avrebbe esposto, con splendente solennità. L’amico ricevette con indicibile emozione la nuova tecnica e trascorse uno o due giorni di pura esaltazione. In seguito, imprigionato nella sua chimera, sperimentò il riaccendersi della sua passione e la farsa si ripeté. Sentì ancora parlare di altre "rivelazioni" dal valore ineguagliabile. L’illusione in cui viveva era, in effetti, invincibile. Ricevuta la sua droga, continuò la corsa, inesorabile, verso il baratro. Non so se un giorno potrà capire che le tecniche per le quali pagò una fortuna furono prese da alcuni libri comuni e deformate affinché egli non riuscisse a intuirne l’origine. Durante la stagione estasiata del suo apprendimento, ricevetti da lui una lunga lettera. Era un saggio delle teorie di base che appoggiavano la sua pratica, era scritta con una logica stringata, implacabile.

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Dopo averla letta, annaspando per potermi "ritrovare", sentii il bisogno di camminare nell'aria aperta e praticare il Japa. Il senso di estraniamento sembrava allargarsi fino all'orizzonte e toccare l'orlo del cielo. Non mi riuscì di praticare il mio Mantra se non un paio di volte. Il mio pensiero era fisso su una frase di Sri Aurobindo che ripetevo come ipnotizzato:

Abbastanza, abbastanza della mente e delle sue false stelle, accendiamo i soli che mai si spengono!

Ebbi un pensiero luminoso e caldo e immaginai di dirlo a lui: "Anche se tutti i miei amici, tutte le persone che io conosco lasciassero il Kriya, io vi rimarrei saldo comunque, non perché ho fede nell'ottenere un giorno da esso un qualche particolare risultato, ma perché il Kriya mi ha già dato qualche cosa di incomparabile. Non ho bisogno di una ricarica di motivazione rivolgendomi di nuovo alle vecchie letture: è la radianza della mia memoria che mi salva ogni volta, ogni giorno."

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GLOSSARIO

Questo glossario è stato aggiunto per quelli che già conoscono il significato dei termini più comuni usati nel Kriya, ma preferiscono non avere incertezze sul modo in cui essi sono utilizzati nel presente libro.

Alchimia interiore [taoista -- Nei Dan] L’Alchimia Interiore taoista è la tradizione mistica dell’antica Cina. Essa richiama con tale accuratezza le tecniche del Primo Kriya da offrirci tutte le ragioni per credere che essa consista nello stesso processo. Le ipotesi, campate in aria, che le tecniche della Alchimia Interiore siano state, nei tempi antichi, portata dall'India alla Cina, rivela la tendenza a considerare l’India l’unico possibile luogo dove l'uomo intuì - o gli furono rivelati - i segreti del percorso mistico.La considerazione di uno sviluppo indipendente dei due sentieri conduce al concetto molto fecondo dell’universalità degli strumenti mistici. Studiare il Kriya alla luce di altre tradizioni mistiche può produrre un insperato approfondimento della loro essenza e incoraggiare il rispetto per ciascuna delle sue tecniche originali – anche se esse non sembrano propriamente indiane o yogiche.

D’altra parte, con una analoga attitudine a distruggere la ricchezza di una procedura mistica che non si riesce a comprendere, ci sono insegnanti di Alchimia Interiore che hanno privato la loro disciplina di tutto ciò che riguardava il respiro; essi hanno così sottratto al tesoro della loro arte forse proprio il fattore che dà a questa disciplina il diritto di essere considerata una vera e propria alchimia – ovvero una trasformazione chimica del respiro in una sostanza più raffinata. Apana Apana è una delle cinque forme di energia nel corpo. Associata alla regione dell’addome inferiore, è responsabile di tutte le attività (processo di eliminazione per esempio) che ivi hanno luogo. Il Kriya Pranayama, nella sua fase iniziale, è essenzialmente il movimento del Prana (la particolare energia presente nella parte superiore del tronco – polmoni e cuore) in Apana e dell’Apana nel Prana. Quando inspiriamo, l'energia dall’esterno del corpo è portato all’interno ed incontra Apana nel basso addome; durante l'espirazione l'Apana si muove dalla sua sede su verso l’alto e si mescola col Prana. La continua ripetizione di questo evento genera un aumento di calore nella regione dell'ombelico: ciò calma il respiro e accende la luce dell'Occhio Spirituale.

Asana Posizione del corpo adatta alla meditazione. Come disse Patanjali, la posizione assunta dallo Yogi deve essere stabile e comoda. La maggior parte dei kriyaban si trova bene con il cosiddetto Mezzo-loto [vedi]: esso, infatti, evita alcuni problemi fisici. Per il kriyaban medio, Siddhasana [vedi] è considerata superiore a tutte le altre Asana. Se infine prendiamo in considerazione i kriyaban esperti di Hatha-Yoga, che hanno delle articolazioni molto flessibili, la posizione perfetta è indubbiamente Padmasana [vedi].

Assenza di respiro Può essere ottenuto soltanto dopo anni di pratica Kriya. Esso non ha nulla a che vedere con il trattenere forzatamente il respiro. Essa non consiste nel banale fatto che il respiro divenga sempre più calmo. È lo stato in cui il respiro è del tutto assente - con la conseguente dissoluzione della mente. Quando si manifesta, un kriyaban non sente il bisogno di inspirare; oppure fa una breve inspirazione e non sente il bisogno di espirare per un tempo molto lungo. (Più a lungo di quanto la medicina

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giudichi possibile.) Il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la decisa percezione di non star respirando affatto; egli percepisce un'energia fresca nel corpo, che sostiene la sua vita dall’interno, senza bisogno di ossigeno. Secondo la teoria del Kriya, questo stato è il risultato dell’aver completato il lavoro di tagliare il nodo del cuore.

Aswini Mudra "Ashwa" significa "cavalla"; "Aswini Mudra" significa "Mudra della cavalla" perché la contrazione anale assomiglia al movimento che questa fa col suo sfintere immediatamente dopo l'evacuazione degli intestini. Ci possono essere definizioni lievemente diverse di tale Mudra e, qualche volta, è confuso col Mula Bandha [vedi]. La definizione di base è di contrarre ripetutamente i muscoli alla base della spina dorsale [sfintere] col ritmo di approssimativamente due contrazioni il secondo. Questo Mudra è un modo diretto per entrare in contatto con l’energia bloccata e stagnante alla base della spina dorsale e spingerla verso l’alto.

Bandha Nello Yoga nessuna pratica del Pranayama può dirsi completa senza i Bandha. Esse sono valvole di energia, serrature, non semplici contrazioni dei muscoli che impediscono all'energia di essere dissipata e la dirigono all’interno della spina dorsale. [Vedi Jalandhara Bandha, Uddiyana Bandha e Mula Bandha]Nella parte iniziale del percorso Kriya, lo yogi ha solo una comprensione approssimata dei Bandha, in seguito addiverrà ad una loro completa padronanza e potrà utilizzarli, con leggeri adattamenti, in moltissime tecniche Kriya. I tre Bandha, applicati simultaneamente, creano la sensazione di un brivido interno quasi estatico, una corrente energetica che si muove in su lungo la spina dorsale. Il risveglio di Sushumna è favorito e prolungato. Bindu Centro spirituale localizzato nella regione della nuca dove l’attaccatura dei capelli forma come un vortice. Fin tanto che l’energia, diffusa in tutto il corpo, non raggiunge il Bindu, una specie di schermo impedisce allo yogi di contemplare l’Occhio Spirituale. Portare tutta la propria forza, là, in quel piccolo spazio, non è un compito facile perché le radici dell'Ego hanno la loro sede in tale centro; esse devono essere affrontate e sradicate.

Bhrumadhya La regione tra le sopracciglia, collegata con Ajna Chakra e con la visione del terzo occhio (Kutastha).

Chakra La parola Chakra viene dal Sanscrito cakra che significa "ruota" o "cerchio." I Chakra sono le "ruote" della nostra vita spirituale; sono descritti nei testi tantrici come emanazioni dello Spirito, la cui essenza si espanse gradualmente in livelli sempre più grossolani di manifestazione, raggiungendo in fine la dimensione del Chakra di base, il Muladhara, che rappresenta il mondo fisico. L'energia-coscienza, discesa, giace arrotolata e addormentata alla base della spina dorsale ed è chiamata, Kundalini - colei che è arrotolata. Noi esseri umani consideriamo come reale solo il mondo fisico: è solamente quando la nostra Kundalini si risveglia che riconquistiamo la piena memoria della realtà della dimensione sottile dell'Universo.

Nessun autore ha mai "provato" l’esistenza dei Chakra - come nessun uomo ha mai provato l'esistenza dell'anima. Siccome non possiamo portarli sul tavolo di un laboratorio è difficile descriverli. In qualsivoglia libro di Yoga troviamo descrizioni che si appoggiano su una traduzione di due testi indiani, il Sat-Cakra-Nirupana, ed il Padaka-Pancaka, scritti da Sir John Woodroffe, alias Arturo Avalon in un libro

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intitolato Il potere del Serpente. L’argomento che ivi è descritto sembra essere innaturalmente complicato, quasi impossibile da essere utilizzato. Questi concetti sono stati ulteriormente inquinati dalla teosofia e simile letteratura esoterica. Il libro i Chakra scritto dall’autore controverso C. W. Leadbeater, è in grande parte il risultato dell'elaborazione mentale delle sue proprie esperienze. Per mezzo della pratica del Kriya, possiamo avere esperienza dei Chakra. Localizzato sopra l’ano, proprio alla base della colonna spinale, nella parte più bassa del coccige, incontriamo il Chakra radice Muladhara, un centro che distribuisce energia alle gambe, alla parte più basso del bacino, irradiando in modo particolare le Gonadi (testicoli negli uomini, ovaie nelle donne). Il Muladhara simboleggia la coscienza obiettiva, la consapevolezza dell'universo fisico. È posto in relazione all’istinto, alla sicurezza, alla nostra abilità di radicarci nel mondo fisico, al desiderio di beni materiali ed anche a costruire una buon immagine di Sé. Se questo Chakra è in uno stato armonioso, siamo ben centrati ed abbiamo una forte volontà di vivere.

Il secondo Chakra sacrale - Swadhisthana - è localizzato nella spina dorsale tra le ultime vertebre lombari e l'inizio del sacro. Si dice che la sua area di proiezione energetica è l'area degli organi sessuali - in parte interseca la regione dell'influenza del Muladhara. Poiché è posto in relazione con le emozioni di base, con la vitalità sessuale, creatività, e con la parte più profonda dei regni del subcosciente, uno stimolo profondo a tale centro produrrà dei sogni profondi molto coinvolgenti; la sua azione può essere percepita come un sentimento di star vivendo una favola, la cui natura è dolce, allettante.

Il Manipura, Ombelico o Plesso Solare, è posto nella spina dorsale allo stesso livello dell'Ombelico, vicino alla fine delle vertebre dorsali e all'inizio di quelle lombari. Si afferma che influenzi il pancreas e le ghiandole surrenali sopra i reni. Questo legame ha suggerito l'idea che questo Chakra abbia lo stesso ruolo esercitato da tali ghiandole: forti emozioni ed l’energia - proprio come gli effetti dell’adrenalina.Si dice che contribuisca a creare un senso di potere personale, un sicuro sentire del "Io sono". Radicati e a proprio agio nel nostro posto nell'universo, siamo capaci di affermare con determinazione lo scopo della nostra vita.

Si afferma che Anahata, il Chakra del cuore, localizzato nella spina dorsale all'altezza della parte media delle vertebre dorsali, influenzi il timo che è parte del sistema immunitario. Tutti sono d’accordo sul fatto che Anahata è collegato con le più alte emozioni, compassione, amore, ed intuizione. Quando una persona si concentra su di esso, sentimenti di tenerezza profonda e di compassione cominceranno a svilupparsi.Un Chakra del cuore sano e completamente aperto significa riuscire a vedere la bellezza interna negli altri nonostante i loro apparenti difetti, amare ognuno, anche gli estranei che incontriamo per strada. C'è un procedere graduale dalle "buone emozioni" dei Chakra più bassi alle emozioni più alte ed ai sentimenti del Chakra del cuore. Quello che riveste un grande interesse, è che l'apertura di questo centro comporta il vedere la vita in una maniera più neutrale e vedere quello che altri non possono vedere. Cessa la predisposizione ad essere influenzati dalle altre persone, dalle chiese e dalle organizzazioni in generale.

Si assicura che Vishuddha, Chakra della Gola, precisamente tra le ultime vertebre cervicali e le prime vertebre dorsali, influenzi la Tiroide e la Paratiroide; siccome controlla anche l'attività delle corde vocali, si afferma che esso ha qualche cosa a che vedere con la nostra capacità di esprimere le nostre idee nel mondo.Sembra che possa essere posto in relazione con la capacità di comunicazione e col prendere su di sé la responsabilità personale per le nostre azioni. La persona non biasima più gli altri per i suoi problemi e può portare avanti la sua vita con piena

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responsabilità. Molti autori affermano che esso risveglia l'inspirazione artistica, l’abilità di sviluppare una superiore percezione estetica.

Ajna, Chakra del terzo occhio, localizzato nella parte centrale del cervello, influenza la ghiandola pituitaria [l'ipofisi] ed il cervelletto. L’ipofisi ha un ruolo vitale nell’organismo, nel senso che insieme all’ipotalamo agisce come un sistema di comando di tutte le altre ghiandole endocrine. In Sanscrito, "Ajna" vuol dire "comandare," che significa che esso ha il comando ovvero controlla le nostre vite: per mezzo di una azione controllata, porta alla realtà il frutto dei nostri desideri. Di conseguenza, si afferma che l’Ajna Chakra abbia un ruolo vitale nel risveglio spirituale di una persona. Esso è la sede dell’intuizione.

Il Chakra supremo è il Sahasrara, Chakra della Corona, proprio sopra la cima della testa. Si afferma che esso influenzi, o sia legato, con la ghiandola pineale. Esso permette il distacco dall’illusione ed è in relazione alla propria capacità di espansione di coscienza e al grado di sintonia con la Realtà Divina. È una realtà superiore e noi possiamo sperimentarlo solamente nello stato di assenza di respiro. È possibile "entrare in sintonia" con esso utilizzando il Bindu come una via d'accesso.

Insegnamenti che riguardano i "Chakra Frontali" si trovano presso alcuni kriyaban provenienti dalla scuola di Sri Yukteswar. Il perineo è il primo, la regione dei genitali è il secondo, l'ombelico è il terzo, la parte centrale della regione dello sterno è il quarto, il pomo di Adamo è il quinto e il punto tra le sopracciglia può essere considerato come il sesto. Il punto chiave è capire che quando questi punti sono toccati con la concentrazione, l'energia attorno al corrispondente Chakra nella spina dorsale è stimolata.

Dharana Secondo Patanjali, Dharana è la concentrazione su un oggetto fisico o astratto. Nel Kriya, Dharana consiste nel far convergere la nostra attenzione verso la rivelazione dello Spirito: il suono interiore di Omkar, luce o sensazione di movimento. Questo avviene subito dopo aver calmato il respiro.

Dhyana Secondo Patanjali, Dhyana scaturisce dal contemplare la natura essenziale dell’oggetto scelto, come un costante, ininterrotto flusso di coscienza. Nel Kriya la consapevolezza, soffermandosi sulla realtà Omkar, è presto persa nello stato di Samadhi.

Esicasmo Il termine Esicasmo deriva dalla parola greca "hesychia" che significa quiete interna, tranquillità e calma: senza questa condizione, la meditazione non è possibile. È una disciplina che integra la ripetizione continua della Preghiera di Gesù ("Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore". Essa fu già usata dai primi Padri della Chiesa nel quarto e nel quinto secolo) con la pratica dell'ascetismo.

C’erano eremiti che dimoravano nel deserto, cercando la pace interiore e l’introspezione spirituale praticando la contemplazione e l'autodisciplina: non avevano dubbi sul fatto che la conoscenza di Dio poteva essere ottenuta solo attraverso la purezza dell’anima e la preghiera, non tramite il semplice studio o i puri piaceri mentali nel campo della filosofia. Più tardi, il loro metodo ascetico cominciò a rivelarsi come un insieme concreto di tecniche psicofisiche: questo è, effettivamente, il nucleo dell’Esicasmo. Fu Simeone, "il nuovo teologo" (1025-1092), che sviluppò la teoria quietistica con tale precisione tanto da poter essere considerato il padre di tale movimento. La pratica, che implicava specifiche posizioni del corpo e precisi schemi di respirazione, era intesa a percepire la Luce Increata di Dio. I monaci di Athos avrebbero potuto continuare tranquillamente a contemplare questa Luce Increata (che

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loro consideravano essere la meta più alta meta da ottenersi nella vita) se i loro metodi non fossero stati denunciati come superstiziosi e assurdi. L’obiezione era basata principalmente su un energico rifiuto della possibilità che la loro Luce Increata costituisse l’essenza Divina. Verso l'anno 1337, l’Esicasmo attirò l'attenzione di un dotto membro della Chiesa Ortodossa, Barlaam di Seminara, un monaco Calabrese (più tardi divenne l'insegnante greco del Petrarca) che era abate in un monastero di Costantinopoli e che visitò Monte Athos. Là egli incontrò gli esicasti e ascoltò le descrizioni delle loro pratiche. Barlaam, addestrato nella teologia Scolastica Occidentale, fu scandalizzato e cominciò a combatterlo sia a voce che nei suoi scritti. Chiamava gli esicasti "omphalopsychoi" - persone che hanno le loro anime nei loro ombelichi (a ragione del molto tempo che passavano indirizzando la loro concentrazione sulla regione ombelicale). Barlaam proponeva un approccio alla conoscenza di Dio più intellettuale di quello che gli esicasti insegnavano: egli asseriva che questa conoscenza poteva essere ottenuta solamente attraverso un lavoro d’indagine portato avanti dalla mente e tradotto in discriminazione tra il vero e il falso. Egli sosteneva che nessuna parte di Dio poteva mai essere vista dagli esseri umani.La pratica degli esicasti fu difesa da San Gregorio Palamas. Egli era ben istruito nella filosofia greca e difese l’Esicasmo nel 1340, in tre sinodi diversi a Costantinopoli, e scrisse anche un numero di lavori in sua difesa. Lui usò una distinzione, già formulata nel quarto secolo nei lavori dei Padri della Cappadocia, tra le energie o opere di Dio e l'essenza di Dio: mentre l'essenza di Dio non può mai essere conosciuta dalle sue creature, le Sue energie od operazioni possono essere conosciute sia in questa che nella prossima vita; esse trasmettono all’esicasta la vera conoscenza spirituale di Dio.

Nella teologia Palamita, sono le energie non create di Dio che illuminano l’esicasta a cui è stata concessa un'esperienza della Luce Increata. Nel 1341 la disputa fu stabilita: Barlaam fu condannato e ritornò in Calabria, in seguito divenne vescovo nella Chiesa Cattolica Romana. In seguito, la dottrina esicasta fu stabilita come la dottrina della Chiesa Ortodossa. Fino ad oggi, la Chiesa Cattolica Romana non ha mai accettato pienamente l'Esicasmo: l'essenza di Dio può essere conosciuta, ma solamente nella prossima vita; non ci può essere distinzione tra le energie e l'essenza di Dio.

Oggi Monte Athos è il noto centro della pratica dell’Esicasmo.

Flauto, suono del (durante il Kriya Pranayama) Durante la espirazione del Kriya Pranayama, si produce nella gola un leggero sibilo; quando un kriyaban riesce ad assumere la posizione del Kechari Mudra, allora la frequenza del suono della espirazione aumenta. Questo suono è stato paragonato al "flauto di Krishna." Lahiri Mahasaya lo descrive: "come quando qualcuno soffia attraverso il buco della serratura". Questo suono, estremamente godibile, fa sì che la mente cresca in calma e trasparenza e aiuta a prolungare senza sforzo la pratica del Kriya Pranayama. Un giorno il suono del flauto si trasforma nel suono di Om. In altre parole, fa sorgere il suono di Om, la cui vibrazione è così forte da coprire il suono stesso del flauto. Durante questo evento, un forte movimento di energia sale lungo la spina dorsale.

Granthi [vedi Nodo]

Guru L'importanza di trovare un Guru (insegnante) che faccia da supervisore all'addestramento spirituale del discepolo è una delle credenze fondamentali di molti sentieri spirituali. Un Guru è un insegnante, una guida e molto di più. Le sacre scritture dichiarano che il Guru è Dio e Dio è il Guru. Siamo abituati a spiegare il termine "Guru" come un'interazione metaforica tra l'oscurità e la luce: il Guru è visto come

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colui che disperde l'oscurità: "Gu" vuole dire oscurità e "Ru" colui che la rimuove. Alcuni studiosi non accettano questa etimologia; secondo loro "Gu" sta per "oltre le qualità" e "Ru" per "privo di forma". Per ricevere tutti i benefici dal contatto col Guru uno deve essere umile, sincero, puro in corpo e mente e pronto ad arrendersi alla volontà e alle istruzioni del Guru. Di solito, durante l'iniziazione (Diksha) un Guru trasmette la conoscenza esoterica al discepolo in modo che questi possa avanzare lungo il percorso verso l'auto realizzazione. Avviene il fenomeno interiore di Shaktipat: viene risvegliata la realizzazione spirituale che giace sopita all'interno del discepolo.

Le organizzazioni che diffondono il Kriya non insistono sul concetto di Shaktipat ma accettano tutto il resto, anzi esse sono proprio fondate sui summenzionati principi. Al contrario le idee di Lahiri Mahasaya sembrano andare in una direzione marcatamente differente. Un giorno egli disse: "Io non sono il Guru, io non mantengo una barriera tra il vero Guru (il Divino) ed il discepolo". Aggiunse che voleva essere considerato come uno "specchio". In altre parole, ciascun kriyaban avrebbe dovuto guardare a Lui non come ad un ideale irraggiungibile, ma come alla personificazione di tutta la saggezza e realizzazione spirituale che, a suo tempo, la pratica del Kriya sarebbe riuscita a far emergere.

Ora si pone la domanda: le tecniche Kriya funzionano al di fuori del rapporto Guru-discepolo? Di sicuro non v’è risposta provata scientificamente. In questo campo possiamo usare sia la fede che la ragione. Molti kriyaban hanno la fiducia di riuscire a trasformare le tecniche, non importa come ricevute, in "oro". Pensano: "Al di là di tutte le aspettative, ragionevoli o improbabili, di trovare un esperto di Kriya a mia disposizione, mi rimbocco le maniche e vado avanti!"

Ida [vedi Nadi]

Jalandhara Bandha Nel Jalandhara Bandha il collo e la gola sono leggermente contratti, mentre il mento è premuto contro il petto. Japa [Vedi Preghiera]

Kechari Mudra Il Kechari Mudra si ottiene in uno dei due modi seguenti:[a] Mettendo la lingua in contatto con l'ugola nella parte dietro del palato molle.[b] Infilando la lingua nella faringe nasale, toccando, se possibile, il setto nasale.

Secondo Lahiri Mahasaya, un kriyaban dovrebbe realizzarlo non tagliando il frenulo della lingua ma per mezzo del Talabya Kriya [vedi]. Kechari si traduce letteralmente come: "lo stato di coloro che volano nel cielo, nell'etere", nello "spazio interiore". Kechari è paragonato al bypassare il sistema energetico della mente. Esso muta il percorso del flusso del Prana facendo sì che la forza vitale sia sottratta dal processo pensante. Invece di permettere ai pensieri di saltare come rane qui e là, fa sì che la mente sia quieta e fa sì che essa si concentri sulla meta della meditazione. Noi non ci rendiamo conto della quantità di energia che dissipiamo quando noi siamo persi nei nostri pensieri, nei nostri piani. Kechari trasforma questo modo pernicioso di consumare tutta la nostra vitalità nel suo opposto. La mente comincia a perdere il suo ruolo dispotico: la "attività interiore" non avviene più per mezzo del processo pensante ma per mezzo dello sviluppo, privo sforzo, dell'intuizione. Abbinato al Kriya è un aiuto sostanziale nel chiarificare le proprie complesse strutture psicologiche. Un tema di dibattito è l'esperienza dell'elisir della vita, "Amrita", il "Nettare." Esso è un fluido dal gusto dolce percepito dal kriyaban con la punta della lingua quando tocca l'ugola oppure la prominenza ossea, nel tetto del palato, sotto l'ipofisi. La tradizione dello Yoga

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spiega che c'è una Nadi che scorre attraverso il centro della lingua; dell’energia s’irradia attraverso la sua punta e quando tocca quella prominenza ossea, la sua radiazione arriva e stimola l'Ajna Chakra nel centro del cervello. Kevala Kumbhaka [vedi Assenza di respiro]

Kriya Yoga Se vogliamo comprendere l'essenza del Kriya Yoga, è necessario mettere da parte alcune definizioni che si trovano nei siti web. "Il Kriya Yoga è la scienza del controllo dell’energia vitale [Prana]." "… una tecnica che stimola i centri astrali cerebrospinali." ".. accelera lo sviluppo spirituale di colui che pratica e aiuta a generare uno stato profondo di tranquillità e di comunione con Dio." "…crea la calma degli stimoli trasmessi dai sensi."

Non voglio contestarle, mi limito a sostenere che il Kriya è più ampio di quanto loro lascino presupporre. Ci sono definizioni che non dicono nulla: esse fanno una sintesi fallace dei suoi metodi ed elencano i suoi effetti nello stesso modo in cui uno descriverebbe la pratica dello Hatha o del Raja Yoga. Patanjali usò una volta sola il termine Kriya Yoga: "Il Kriya Yoga è formato da disciplina fisica, controllo della mente, e meditazione su Iswara." [Yoga Sutras II:1] Ciò è indubbiamente corretto, ma seguendo l’evoluzione del suo pensiero siamo condotti fuori strada. Sebbene gli affermi che, ricordando quel Suono, possiamo raggiungere la rimozione di tutti gli ostacoli che bloccano normalmente la nostra evoluzione spirituale, egli non sviluppa questo metodo. È ben lungi dal descrivere la medesima disciplina spirituale insegnata da Lahiri Mahasaya.

Il Kriya è un "sentiero mistico" che utilizza i migliori strumenti usati dai mistici di tutte le religioni. Esso consiste nel controllo del respiro [Kriya Pranayama], Preghiera [Japa, Mantra] e nel puro sforzo di entrare in sintonia con la Realtà Omkar. Il processo calmante del respiro, seguito dalla procedura del Thokar, guida l’energia del corpo nel Chakra del cuore, fermando così, come in una stretta di calma, l’incessante riflesso che da origine al respiro. Quando una calma perfetta è stabilita, quando tutti i movimenti interni ed esterni cessano, il kriyaban percepisce una irradiazione di fresca energia che sostiene ogni cellula dall’interno; allora lo stato di assenza di respiro diventa stabile. Quando il respiro fisico è totalmente trasceso e nel corpo avviene la circolazione di una forma sottile d’energia - si dice che il respiro è "Interiorizzato" - nasce un senso d’infinita sicurezza, solidità e fiducia. La sensazione è quella di avere attraversato una barriera e di essere penetrati in uno spazio smisurato: il Kriya Yoga è un miracolo di bellezza.

Kumbhaka Kumbhaka significa trattenere il respiro. È una fase del Pranayama, talmente importante che alcuni insegnanti di Yoga dubitano se un esercizio di respirazione che non includa alcun Kumbhaka possa essere correttamente considerato Pranayama. Si osserva che quando stiamo per fare qualche cosa che richieda la nostra totale attenzione, o per lo meno ne richieda molta, il nostro respiro è automaticamente trattenuto. Questo dimostra come tale fatto sia naturale. L'inspirazione nel Pranayama viene detta Puraka ovvero "l'atto di riempire"; l'espirazione viene detta Rechaka, ovvero "l'atto di vuotare." Il trattenimento del respiro è detto Kumbhaka, ovvero "trattenere." Kumbha è una brocca: proprio come una brocca trattiene l’acqua, così nel Kumbhaka il respiro ed il Prana è trattenuto nel corpo. Nella letteratura classica sullo Yoga sono quattro i tipi di Kumbhaka descritti.I…Si espira, profondamente e si trattiene il respiro per alcuni secondi. Questo è noto come "Bahir Kumbhaka" (Kumbhaka Esterno).

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II… Il secondo, "Antar Kumbhaka" (Kumbhaka Interiore), è trattenere il respiro dopo un'inspirazione profonda. Di solito questo tipo di Kumbhaka è accompagnato dall’esecuzione dei tre Bandha.III…Il terzo tipo è quello praticato durante la respirazione alternata - inspirare profondamente attraverso la narice sinistra, poi trattenere il respiro ed espirare attraverso la destra…. È considerato la forma più facile di Kumbhaka.IV…. Il quarto è il più importante di tutti, la vetta del Pranayama. È detto Kevala Kumbhaka o sospensione automatica del respiro: è lo stato di assenza di respiro dove non c’è inspirazione o espirazione, e nemmeno il minimo desiderio di respirare.

Nella pratica del Kriya il principio fondamentale di [I] è presente in alcune varianti del Navi Kriya e in tutte quelle procedure che implicano una serie di espirazioni molto lunghe e calme che sembrano terminare in un nulla dolcissimo. Il Kumbhaka interno [II] lo troviamo in diverse tecniche del Kriya; in particolare nello Yoni Mudra, Maha Mudra e Thokar. Il Maha Mudra, con la sua azione di bilanciamento sul lato destro e sul lato sinistro della spina dorsale, contiene pure - in senso lato – i principi del [III]: respiro alternato. Un punto di svolta nel Kriya è il raggiungimento di [IV] Kevala Kumbhaka. Nel Kriya noi distinguiamo tra "Bahir" (esterno) e "Antar" (interno) Kevala Kumbhaka. "Bahir (esterno) Kevala Kumbhaka" (sviluppo e apice di [I]) appare durante il Pranayama mentale (o durante qualsivoglia procedura legata al Terzo Kriya) dopo aver rilassato e quindi svuotato la gabbia toracica.

"Antar (interno) Kevala Kumbhaka" (sviluppo e apice di [II]) appare durante i più alti raffinamenti dello Yoni Mudra, Maha Mudra e Thokar (o durante qualsivoglia procedura legata al Quarto Kriya) dopo aver completato una lunga inspirazione, con la gabbia toracica moderatamente riempita di Prana-aria.

Kundalini Il concetto di Kundalini e, in particolare, del suo risveglio, offre una comoda cornice per esprimere quello che avviene nel sentiero spirituale. La maggior parte delle tradizioni spirituali hanno una certa consapevolezza di Kundalini; non tutte sono ugualmente aperte nell’esporre i dettagli pratici di questo processo. Kundalini è un termine Sanscrito per "arrotolata": è concepita come una particolare energia avvolta come un serpente nel Chakra Muladhara. L’immagine di essere arrotolata come una molla rende l'idea di energia potenziale, ancora intatta. Essa dorme nel nostro corpo e sotto gli strati della nostra coscienza, aspettando di essere destata sia attraverso la disciplina spirituale sia attraverso altri mezzi – come particolari esperienze di vita. Si dice che essa salga dal Muladhara attraverso il canale spinale Sushumna, attivando ogni Chakra nel suo procedere; quando arriva al Chakra Sahasrara in cima alla testa, essa concede beatitudine infinita, illuminazione mistica ecc. È solo attraverso ripetuti sollevamenti di Kundalini che lo yogi riesce ad ottenere la realizzazione del Sé. Il suo risveglio non consiste in sensazioni piacevoli come un mite senso dello scorrere di energia nella spina dorsale. Il movimento di Kundalini è come avere una "eruzione vulcanica" interna, un "razzo" sparato attraverso la nostra spina dorsale! La sua natura è benefica; ci sono ragioni evidenti di perplessità nel considerare come autentici i rapporti di risveglio di Kundalini accompagnati da problemi come schemi di respirazione palesemente disturbati, distorsione dei processi di pensiero, insoliti o estremi rafforzamenti delle emozioni… Siamo piuttosto inclini a pensare che una qualche malattia latente, fatta emergere apertamente dalla pratica sconsiderata di violenti esercizi o di droghe sia la causa di quei fenomeni. Fenomeni come l'insonnia, l'ipersensibilità all’ambiente possono in realtà seguire l'esperienza autentica. In un "vero risveglio" la forza di Kundalini eclissa completamente l'ego e la persona si sente, per un

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certo tempo, disorientata. Ma tutto è assorbito senza problemi. Purtroppo la ricerca della ripetizione dell'episodio può condurre alla pratica disordinata e imprudente di tecniche strampalate, senza mai stabilire un minimo fondamento di silenzio mentale. Ogni libro avverte contro il rischio di un prematuro risveglio di Kundalini e afferma che il corpo deve essere preparato per quell’evento. Quasi tutti gli yogi pensano di essere capaci di sostenere questo risveglio prematuro, e la segnalazione del pericolo li eccita più che mai: il problema è che molti non hanno (o l'hanno perso) un genuino approccio spirituale e ne nutrono uno piuttosto egotistico.

Nella cornice teorica del Kriya consideriamo che Kundalini è la stessa energia che esiste dappertutto nel corpo e non in particolare nel Muladhara Chakra. Nel Kriya usiamo raramente il termine "risveglio di Kundalini" e cerchiamo di evitare quanto potrebbe dare l’impressione che tale esperienza abbia una natura aliena: Kundalini è la nostra energia, è lo strato più puro della nostra coscienza.

Kutastha Kutastha, il "terzo occhio" o "occhio spirituale" è l'organo della visione interiore (la componente astrale unificata dei due occhi fisici), il luogo nel corpo dove si manifesta la Luce spirituale. Concentrandosi tra le sopracciglia, percepiamo anzitutto un buio informe, poi una piccola luce crepuscolare, poi altre luci; infine abbiamo l'esperienza di un anello dorato che circonda una macchia scura con un punto luminoso al suo interno. C’è un collegamento tra il Kutastha ed il Muladhara: quello che scorgiamo nello spazio tra le sopracciglia non è altro che l’apertura della porta spinale, che ha la sua sede nel primo Chakra. Alcuni insegnanti di Kriya affermano che la condizione per entrare nell’ultimo e supremo stadio del Kriya è che la visione dell’occhio spirituale sia costante; altri identificano questo stato con la condizione in cui l’energia è perfettamente calma alla base della spina dorsale. Le due affermazioni sono quindi equivalenti.

Maha Mudra Maha Mudra è una particolare posizione di allungamento (stretching) del corpo. L’importanza di questa tecnica diviene chiara non appena si pensi che essa incorpora i tre Bandha principali dello Hatha Yoga. Ci sono davvero mille ed una ragioni per praticare con fermezza il Maha Mudra. C'è un rapporto tra il numero delle sue ripetizioni ed il numero dei respiri: si raccomanda che per ciascuno gruppo di 12 Kriya Pranayama, si esegua un Maha Mudra.

Mahasamadhi [vedi Secondo Kriya]

Mantra [vedi Preghiera]

Mezzo-loto Questa asana è stata usata per la meditazione da tempo immemorabile perché fornisce una confortevole posizione a sedere, molto facile da ottenersi. La gamba sinistra è piegata e portata verso il corpo e la pianta del piede sinistro si appoggia sulla parte interna della coscia destra. Il tallone del piede sinistro è tirato il più possibile vicino al corpo. La gamba destra è piegata ed il piede destro è posto sopra la zona della piega della gamba sinistra. Il ginocchio destro è avvicinato il più possibile al pavimento. Le mani riposano sui ginocchi. Il segreto è di mantenere la spina dorsale eretta: questo può essere ottenuto solamente sedendo su un cuscino, abbastanza spesso, con i glutei appoggiati verso la metà anteriore del cuscino. In questo modo le natiche sono leggermente sollevate, mentre i ginocchi sono a livello del pavimento. Quando le gambe si stancano, la posizione è prolungata invertendo le gambe. In certe situazioni, può essere provvidenziale assumere questo Mezzo-loto su una sedia, purché questa non

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abbia braccioli e sia abbastanza larga. In tal modo si può abbassare una gamba alla vota e rilassare la articolazione del ginocchio! Alcuni insegnanti di Yoga spiegano che la pressione di una palla di tennis (o di un asciugamano ripiegato) sul perineo può dare i vantaggi della posizione Siddhasana.

Mula Bandha Nel Mula Bandha i muscoli del perineo - tra l'ano e gli organi genitali – sono leggermente contratti mentre è esercitata una pressione mentale sulla parte bassa della spina dorsale. (Differentemente dall’Aswini Mudra, uno non si limita semplicemente a contrarre i muscoli dello sfintere; nel Mula Bandha il perineo sembra chiudersi verso l'alto mentre il diaframma pelvico è tirato verso l'alto per mezzo del movimento dell'osso pubico.) Contraendo questo gruppo muscolare, la corrente Apana che gravita normalmente verso il basso è sollevata verso l'alto, gradualmente unendosi col Prana presso l'ombelico. Il Mula Bandha ha così l'effetto di fare sì che il Prana fluisca entro il canale di Sushumna, piuttosto che lungo Ida e Pingala.

Nada Yoga Nada Yoga è il sentiero che porta all’unione col Divino attraverso l’ascolto dei suoni interiori. Surat-Shabda-Yoga è un altro nome per designare questa pratica. Nada Yoga è una meditazione esperienziale. Essa ha la sua base nel fatto che colui che segue il sentiero mistico incontra infallibilmente questa manifestazione dello Spirito - qualsivoglia possa essere la sua preparazione e le sue convinzioni. È una forma di meditazione estremamente godibile; chiunque può esserne coinvolto anche senza averla pienamente compresa.

Si può usare una particolare posizione del corpo - accucciati con i gomiti che appoggiano sulle ginocchia, tanto fare un esempio - per tappare con le dita entrambi gli orecchi. Seduti quieti si focalizza l'attenzione sui suoni sottili che provengono dall’interno e non sui suoni udibili che provengono dall’esterno. Si raccomanda di ripetere mentalmente, incessantemente, il Mantra favorito. La consapevolezza dei suoni interiori apparirà prima o poi; le proprie capacità di ascolto miglioreranno e la sensibilità ai suoni aumenterà. Ci sono diversi livelli di progresso nell'esperienza dei suoni interiori: una volta acquietata la mente, possiamo sentire i suoni astrali che stanno al di sotto dei suoni esteriori. Si potrà ascoltare un calabrone, un tamburo, il liuto, il flauto, l'arpa, il mormorio del tuono o il ronzio di un trasformatore elettrico. Alcuni di questi suoni non son altro che i suoni del proprio corpo, specialmente il pompare del sangue. Altri suoni sono realmente i "suoni oltre i suoni udibili." È in questo regno più profondo che, continuando a calmare la mente e a volgerla in una concentrazione rilassata, verrà attratta la propria consapevolezza. Dopo alcune settimane di pratica zelante si entrerà in sintonia con un suono più profondo di tutti i citati suoni astrali. Questo è il suono cosmico di Om. Il suono è percepito con diverse varianti: Lahiri Mahasaya lo descrive come "prodotto da molte persone che continuano a colpire il disco di una campana". Esso è continuo "come l’olio che fluisce da un contenitore".

Nadi Canali sottili attraverso i quali fluisce l'energia in tutto il corpo. I più importanti sono Ida che fluisce verticalmente lungo il lato sinistro della colonna spinale (si dice che sia di natura femminile), e Pingala (di natura maschile) che fluisce parallelamente al canale precedente sul lato destro; Sushumna fluisce nel mezzo e rappresenta l'esperienza situata oltre la dualità.

Nadi Sodhana Esercizio di respirazione a narici alternate, non fa parte propriamente del Kriya Yoga. Poiché il suo effetto di calmare e rasserenare la mente (specialmente se l’esercizio è praticato di mattina) non ha paragoni, alcuni kriyaban lo hanno fatto

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divenire parte della loro routine.

Navi Kriya L’essenza di questa tecnica è di dissolvere inspirazione ed espirazione nello stato di equilibrio nell'ombelico, sede della corrente Samana. È abbinata in modi diversi alla pratica del Kriya Pranayama. Alcune scuole che non l'insegnano specificamente, offrono dei sostituti di essa

New Age La sensibilità New Age è caratterizzata dalla spiccata percezione di un qualcosa di "planetario" all’opera. Siccome alla sensibilità New Age contribuirono uomini di scienza, non è il caso di soffermarci sull’affermazione, irrilevante, secondo cui tale progresso coincise con l’entrata del sistema solare nel segno dell’Acquario - anche se proprio da questa credenza deriva il termine "Età dell’Acquario o New Age". Ciò che è essenziale è che le persone si accorsero che le scoperte della Fisica, le Medicine Alternative, gli sviluppi della Psicologia del profondo, tutti portavano verso un’unica comprensione: la sostanziale interdipendenza tra universo, corpo, psiche e dimensione spirituale dell’uomo. Le società esoterico-iniziatiche superando, da sempre, le differenze di cultura e di visione religiosa avevano già riconosciuto questa verità, la quale, ora, divenne patrimonio comune. Nel ‘900 il pensiero umano ha fatto un passo in avanti in una direzione senz’altro sana.

Ci sono tanti motivi per credere che, in futuro, tale epoca sarà studiata con quello stesso senso di rispetto con cui oggi si studia l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo. Il pensiero New Age merita profondo rispetto per tante ragioni. Se parlo di "manie" mi riferisco all'uso eccessivo da parte di alcuni di ricorrere a costosi rimedi alternativi per ogni tipo di disturbi reali o immaginari e a ancora più pericolose teorie prese a prestito con molta superficialità da varie correnti esoteriche, piuttosto che a un profondo progresso nella comprensione, nella espansione della coscienza fuori dai ristretti confini del piccolo ego legato ossessivamente alla conservazione delle sue meschine comodità.

Nirbikalpa Samadhi [vedi Paravastha]

Nodo La definizione tradizionale dei Granthi individua tre nodi: il Brahma Granthi presso il Muladhara Chakra; il Vishnu Granthi nel Chakra del cuore e il Rudra Granthi punto tra le sopracciglia. Questi sono i luoghi dove le Nadi Ida, Pingala e Sushumna si riuniscono.

Brahma Granthi (localizzato nel Muladhara) è il primo nodo. Esso è in relazione al nostro corpo fisico: mantiene l'ignoranza della nostra infinita natura ed è il primo ostacolo nella ricerca spirituale, poiché ostruisce il percorso di Kundalini quando comincia a muoversi verso i centri più elevati. Il mondo dei nomi e delle forme crea irrequietezza e impedisce alla mente di divenire concentrata in un solo punto. Ambizioni e desideri intrappolano la mente. Finché uno non scioglie questo nodo non può meditare efficacemente.

Vishnu Granthi è localizzato nell'area del Chakra del cuore (Anahata) ed è posto in relazione al corpo astrale ed al mondo delle emozioni. La Divinità Vishnu è il Signore della conservazione. Questo nodo crea il desiderio di preservare l’antica conoscenza, le tradizioni, le istituzioni e gli ordini religiosi. Esso produce "compassione", un acuto desiderio di aiutare l’umanità che soffre. La conoscenza discriminante combinata con lo sforzo nello Yoga può sciogliere il Nodo di Vishnu e può ottenere la liberazione da quei legami tradizionali che sono profondamente radicati nel nostro codice genetico.

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Rudra Granthi è posto in relazione al corpo causale ed al mondo delle idee, visioni ed intuizioni. Nella zona tra le sopracciglia, le Nadi Ida e Pingala s’incrociano e poi scendono nella narice sinistra e destra, rispettivamente. Ida e Pingala, sono legate al tempo; dopo avere attraversato il nodo di Rudra, la coscienza limitata del tempo si dissolve – lo yogi si stabilisce nell'Atman supremo la cui sede è il Chakra Sahasrara. Lo yogi raggiunge la perfetta emancipazione.

Lahiri Mahasaya sottolinea l'importanza di superare due ulteriori ostacoli: lingua e ombelico che sono sciolti dal Kechari Mudra e dal Navi Kriya, rispettivamente. Il nodo della lingua ci separa dal serbatoio di energia che si trova nella regione del Sahasrara. Il nodo dell'ombelico si origina dal trauma del taglio del cordone ombelicale.

Le quattro fasi del Kriya Yoga sono sperimentate con il fatto di sciogliere tutti i nodi prima menzionati, nell'ordine seguente:[I] Nodo della lingua[II] Nodo di Vishnu (il Chakra del cuore)[III] Nodo dell'ombelico [IV] Nodo di Brahma (Muladhara) & nodo di Rudra (punto tra le sopracciglia)

Come possiamo vedere, nella visione di Lahiri Mahasaya, due nodi secondari (lingua ed ombelico) sono divenuti di importanza primaria e due nodi principali (Brahma e Rudra) è considerato un evento in due fasi che caratterizza la quarta ed ultima tappa del Kriya. [vedi il capitolo 7 per ulteriore discussione.] È stato spiegato che c'è un forte collegamento tra i nodi di Brahma e di Rudra. In effetti, avendo già sciolto i nodi della lingua, cuore ed ombelico, non appena attraversi la porta del Sushumna (nel Muladhara), tu sali istantaneamente, senza impedimenti, alla "porta dell'infinito" nel punto tra le sopracciglia.

Omkar Omkar è Om, la Realtà Divina che sostiene l’universo, la cui natura è vibrazione con aspetti specifici di suono, luce e movimento interiore. Il termine "Omkar" o "Omkar Kriya" è anche utilizzato per indicare qualsivoglia procedura che favorisce l'esperienza Omkar -- può essere una variante del Kriya Pranayama che utilizza il Mantra Om Na Mo Bha..., può includere la pratica del Thokar.

Padmasana In questo Asana il piede destro è posto sulla coscia sinistra ed il piede sinistro sulla coscia destra con la pianta rivolta verso l’alto. Il nome vuole dire "posizione nella quale si possono vedere i loti (Chakra)"; si spiega che, accompagnata da Kechari e Shambhavi Mudra, questa posizione crea una condizione energica nel corpo adatta a produrre l'esperienza della luce interna che proviene da ciascun Chakra.

Personalmente, non consiglio a nessuno di eseguire questa difficile posizione. Ci sono yogi che hanno dovuto farsi togliere la cartilagine dalle ginocchia dopo che per anni si erano imposti di assumerla. Nel Kriya Yoga, almeno per quelli che vivono in occidente e non vi sono abituati sin l'infanzia, è molto saggio e comodo praticare o il mezzo loto o la posizione Siddhasana.

Paravastha Questo concetto è collegato a quello di "Sthir Tattwa (Tranquillità)." Coniato da Lahiri Mahasaya, designa lo stato che si ottiene prolungando l’effetto successivo alla pratica del Kriya. Non è solo gioia e pace ma qualcosa di più profondo, vitale per noi come un processo di risanamento. Sin dai nostri sforzi iniziali volti a padroneggiare le sue tecniche, percepiamo momenti di profonda pace e armonia col resto del mondo che si estendono durante la giornata. Il Paravastha viene dopo anni di

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disciplina, quando lo stato di assenza di respiro è divenuto familiare: lo stato di tranquillità dura sempre, non va più ricercato con cura. Lampi dello stato di finale di libertà confortano la mente mentre affronta le battaglie della vita.

Pingala [vedi Nadi]

Prana L'energia presente nel nostro sistema psico fisico. Il Prana è diviso in Prana, Apana, Samana, Udana e Vijana che hanno la loro sede rispettivamente nel torace, nell'addome basso, nella regione della cintura, nella testa e nella parte rimanente del corpo - braccia e gambe. Che il termine che Prana abbia due significati non può creare confusione, se uno considera il contesto nel quale è usato. Nelle fasi iniziali del Kriya Pranayama siamo interessati principalmente in Prana, Apana e Samana. Quando usiamo il Shambhavi Mudra e durante il Pranayama mentale contattiamo Udana. Tramite varie tecniche (come il Maha Mudra) e con l'esperienza del Kriya Pranayama col Respiro Interiorizzato conosciamo la fresca natura rivitalizzante di Vijana.

Pranayama Il termine Pranayama contiene due radici: la prima è Prana; la seconda può essere sia Ayama (espansione) che Yama (controllo). Così il termine Pranayama può essere inteso sia come "Espansione del Prana" che "Controllo del Prana". Preferirei la prima accezione del termine ma penso che la seconda sia corretta. In altri termini, il Pranayama è il controllo dell'energia nell’intero sistema psicofisico, per mezzo del processo della respirazione, con lo scopo di riceverne un effetto benefico oppure di preparare l'esperienza della meditazione. I comuni esercizi di Pranayama - sebbene non implichino la percezione di una qualche corrente energetica nella spina dorsale - possono produrre straordinarie esperienze di sorgere di energia lungo la spina dorsale. Il che non è poco poiché una simile esperienza può regalare al praticante, finora scettico, il contatto con la realtà spirituale e spingerlo a cercare qualcosa di più profondo.

Nel Kriya Pranayama il processo di respirazione è coordinato con la attenzione che si muove in su e in giù nella spina dorsale. Mentre il respiro è lento e profondo, con la lingua o piatta o volta all’indietro, la coscienza accompagna il movimento dell’energia attorno ai sei Chakra. Approfondendo il processo, la corrente fluisce nel canale più profondo nella spina dorsale: Sushumna. Quando attraverso una lunga pratica una sottile forma di energia circola (in modo chiaramente percettibile) entro il corpo mentre il respiro fisico è totalmente placato, il kriyaban ha un’esperienza di impensabile bellezza.

Pranayama mentale Nel Pranayama mentale il kriyaban controlla l’energia nel corpo dimenticando il processo di respirazione e focalizzandosi solo sul Prana nei Chakra e nel corpo. La sua consapevolezza si sofferma su entrambe le componenti di ciascun Chakra, interna ed esterna, fin tanto che sente una irradiazione di fresca energia che rivitalizza ciascuna parte del corpo e lo sostiene dall’interno. Questa azione è contrassegnata dalla fine di tutti i movimenti fisici, da una perfetta quiete fisica e mentale. A volte il respiro diviene così calmo che colui che pratica ha la assoluta percezione di non star respirando affatto.

Preghiera [Japa, Mantra] La Preghiera è un atto di comunione con la Realtà suprema attraverso il quale il devoto porge la sua riverente supplica, o cerca una guida, o offre le sue lodi o semplicemente esprime i propri pensieri ed emozioni. La sequenza di parole usate nella Preghiera può essere una formula fissa o un'espressione spontanea. Qualunque sia l’appello a Dio, questo atto presuppone fede nella Volontà Divina di

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interferire nella nostra vita: " Chiedete e vi sarà dato " (Matt. 7:7, 8; 21:22) La Preghiera è un soggetto molto vasto; qui mi limiterò alla Preghiera ripetitiva. In India, la ripetizione del Nome del Divino è detta Japa. Questa parola deriva dalla radice Jap – che significa "pronunciare sottovoce, ripetere interiormente". Japa significa anche ripetere qualsivoglia Mantra: questo è un termine più ampio di Preghiera. Un Mantra può essere un nome del Divino ma anche un puro suono senza un preciso significato. Nei tempi antichi gli yogi sentirono il potere inerente a certi suoni e li usarono ampiamente. (Alcuni credono che la ripetizione di un Mantra abbia il misterioso potere di produrre la manifestazione della Divinità, "proprio come il rompere un atomo manifesta le tremende forze latenti in esso".) Il termine Mantra deriva dalle parole "Manas" (mente) e "Tra" (protezione): noi proteggiamo la nostra mente ripetendo continuamente la stessa salutare vibrazione. Di solito un Mantra è ripetuto a voce per un certo numero di volte, poi è sussurrato e poi, per un po’, è ripetuto mentalmente. Quasi sempre, il Japa si fa contando i Mantra per mezzo di una collana di grani nota come Japa Mala. Il numero di tali grani è normalmente 108 o 100. Il Mala è usato in modo che il devoto sia libero di godersi la pratica e non si preoccupi di contare le ripetizioni. Può essere praticato da seduti in posizione di meditazione o compiendo altre attività, preferibilmente camminando.

Sahasrara Il settimo Chakra si estende dalla corona della testa su fino alla Fontanella e sopra questa. Non può essere considerato della stessa natura degli altri ma una realtà superiore che può essere sperimentata solamente nello stato senza respiro. Non è perciò facile concentrarsi su di esso così come facciamo con gli altri. Solo dopo una pratica profonda del Kriya Pranayama, quando il respiro è molto calmo, la "sintonia" con esso è possibile; una particolare pressione viene percepita sopra la testa.

Samadhi Secondo l’Ashtanga (otto passi) Yoga di Patanjali, Samadhi è lo stato di profonda contemplazione nel quale l'oggetto di meditazione diviene inseparabile da colui che medita: esso deriva naturalmente da Dharana e Dhyana. A mio avviso, Samadhi non significa "unione con Dio." Noi diamo tante cose per scontate. Il nostro linguaggio è fortemente impedito: parole magniloquenti rischiano di non volere dire nulla. Divenire una sola cosa con Dio è diverso dal risvegliarsi alla realizzazione che noi siamo solamente una parte di Quell’Uno? Le parole ingannano la nostra comprensione e accendono in noi aspettative egoiste. Uno si esalta incontrando parole come: assoluto, eterno, infinito, supremo, celestiale, divino.

Io sarei dell’idea di proporre una definizione sobria di Samadhi, che possa stimolare una riflessione sul significato di sentiero spirituale in generale. Definisco quindi il Samadhi come una esperienza di quasi morte (NDE=near death experience), indipendente da incidenti e beatifica. Le descrizioni del Samadhi e della NDE seguono lo stesso schema: in pratica la natura del fenomeno che avviene nel corpo è quasi la stessa. Questa opinione può deludere coloro che vi fiutano una sfumatura di significato restrittivo e limitante; nondimeno preferisco pensare in questo modo e… scoprire molto più nella reale esperienza del Samadhi che prosperare in retorica. Anche se il Samadhi fosse nulla più che una esperienza di quasi morte, esso avrebbe comunque un valore sommo. In entrambe le esperienze, alla coscienza è concesso di gettare uno sguardo all'Eternità oltre la mente; in seguito (questo avviene allo yogi allenato) quella consapevolezza elevata si mescola, s’integra con la vita quotidiana che ne risulta totalmente trasformata in meglio. A chi si domanda se sia corretto sminuire il valore dello stato estatico del Kriya riducendolo ad un processo di contattare per un certo tempo la dimensione oltre la vita, rispondiamo che questa genuina esperienza non ha

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paragoni nel promuovere in modo pulito gli ideali di una equilibrata vita spirituale.

Shambhavi Mudra Un Mudra nel quale i bulbi oculari e le sopracciglia sono rivolti verso l’alto il più possibile; normalmente le palpebre si rilassano e un osservatore esterno nota il bianco della cornea sotto l’iride. Tutta la forza visiva dei nervi oculari è raccolta in cima alla testa. Lahiri Mahasaya nel suo noto ritratto mostra questo Mudra.

Secondo Kriya Sembra che usando la tecnica del Secondo Kriya, Swami Pranabananda, un eminente discepolo di Lahiri Mahasaya abbandonò il suo corpo consapevolmente (questo atto è detto Mahasamadhi - l'uscita consapevole dal corpo, al momento della morte). Non ci fu violenza al corpo; l’impresa riuscì solamente nel momento preciso determinato dal suo Karma. Ora ci si chiede: di quale procedura egli si servì?

a… Molti affermano che si trattava della tecnica del Thokar. È possibile che egli arrestasse il movimento del cuore e perciò poté abbandonare il corpo. Può aver praticato un singolo Thokar e fermato il cuore; questo vuole che pose tanta forza mentale in questo atto da bloccare l'energia che manteneva il suo cuore in movimento.

b… Alcuni credono che questa suprema azione di calmare il cuore fosse realizzata solamente da un atto mentale di immersione nel punto tra le sopracciglia, entrando nella luce del Kutastha. Dicono che quelli che erano attorno a lui, non notarono movimenti della testa. Similmente quando altri grandi personaggi abbandonarono il loro corpo, non si osservò alcun movimento.

c… A mio avviso, non essendo il Mahasamadhi un "accorto trucco esoterico" per padroneggiare il meccanismo di un suicidio indolore, certamente ciascun grande maestro conta su un'abilità già costruita di entrare in Samadhi. Creando una pace totale nel suo essere, il naturale desiderio di riottenere l’unione con la Sorgente Infinita mette in moto un naturale meccanismo di calmare il plesso cardiaco.

Siddhasana Il nome Sanscrito significa "Posa Perfetta". In questo Asana, la pianta del piede sinistro è posta contro la coscia destra così che il tallone preme sul perineo. Il tallone destro è posto contro l'osso pubico. Questa posizione delle gambe, abbinata al Kechari Mudra, chiude il circuito pranico e rende il Kriya Pranayama facile e proficuo.

Sushumna [vedi Nadi]

Talabya Kriya È un esercizio di allungamento dei muscoli della lingua, in particolare del frenulo, volto ad ottenere il Kechari Mudra [vedi]. Questa pratica crea un deciso effetto calmante sui pensieri ed è per questa ragione che non è mai messa da parte, neanche quando si realizza il Kechari Mudra. Thokar Una tecnica Kriya basata sul dirigere il Prana calmo – raccolto in testa per mezzo del Kriya Pranayama - verso l'ubicazione di uno (solitamente il 4°) o più Chakra, da un particolare movimento della testa (sobbalzo). Guidando il Prana nel Chakra Anahata, una luce cresce nella regione tra le sopracciglia. Questo favorisce lo stato di assenza di respiro. Aumentando la concentrazione sulla luce spirituale, vengono rivelate le luci di tutti gli altri Chakra. La pratica di Thokar va approfondita negli anni per ottenere l'abilità di entrare nello stato di Samadhi con solo uno colpo. Studiando le pratiche dei Sufi, (vedi gli studi condotti da Gardet e M. M. Anawati, specialmente Gardet in Revue Thomiste (1952-3)), scopriamo che il Thokar è una variante del Dhikr dei Sufi. Dhikr è la pratica della "memoria" del Divino, che è ottenuta ripetendo una

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particolare breve preghiera durante il giorno e guidandola, durante momenti di isolamento o di pratica devozionale di gruppo, in particolari centri nel corpo attraverso specifici movimenti della testa. È probabile che Lahiri conoscesse questa tecnica fin dalla gioventù. Alcune forme di preghiera che egli vide erano una forma lieve di Thokar. Fu il suo genio che la sviluppò al massimo della perfezione.

Tribhangamurari Alcuni insegnanti di Kriya presentano la pratica del Thokar in un modo molto particolare. L'insegnamento centrale è guidare la consapevolezza lungo un sentiero a tre curve detto Tribhangamurari (Tri-vanga-murari = tre-curva-forma). Questo sentiero comincia in Bindu, dopo aver piegato a sinistra, scende nella sede del nodo di Rudra (la regione che va dal midollo allungato fino al Bhrumadhya tra le sopracciglia), lo attraversa e continua verso il lato destro del corpo. Poi cambia direzione tagliando il nodo di Vishnu la cui sede è nel Chakra del cuore. Poi cambia di nuovo la sua direzione muovendosi verso la sede del nodo di Brahma nella regione del coccige, il quale nodo è pure attraversato entrando nella spina dorsale e salendo verso Bindu.

Questi insegnanti spiegano che nell'ultima parte della Sua vita, Lahiri Mahasaya disegnò con estrema precisione la forma a tre-curve, la quale è percepita approfondendo la meditazione dopo il Kriya Pranayama.

Uddiyana Bandha Serratura addominale: è praticata di solito col respiro fuori ma nel Kriya è utilizzata anche col respiro dentro specie durante la pratica del Mudra tipici del Kriya quali: Maha Mudra, Navi Kriya e Yoni Mudra.

Per praticarla col respiro fuori, utilizza, almeno in parte, Jalandhara Bandha. Fai una falsa inspirazione (compi la stessa azione di una inspirazione senza davvero lasciar entrare l'aria nel corpo.) Tira la pancia in su quanto possibile. Mantieni il respiro fuori. Per praticarla col respiro dentro, contrai leggermente i muscoli addominali fino a intensificare la percezione dell'energia nella colonna spinale nella regione del Manipura Chakra.

Yama – Niyama Yama è Autocontrollo: non violenza, evitare bugie, evitare di rubare, evitare bramosie e libidini e non attaccamento. Niyama sono le osservanze religiose: pulizia, appagamento, disciplina, studio del Sé e resa al Dio Supremo. Mentre nella maggior parte delle scuole di Kriya, queste regole sono poste quali premesse da essere rispettare onde ricevere l’iniziazione, un ricercatore assennato capisce che vanno invece considerate come le conseguenze di una pratica corretta dello Yoga. Un principiante non può comprendere cosa significa "Studio del Sé". Qualche insegnante ripete, come un pappagallo, la necessità di osservare quelle regole e, dopo avere dato spiegazioni assurde su alcuni dei punti precedenti (in particolare che trucco mentale utilizzare onde … evitare le bramosie della carne..) passa a spiegare le tecniche. Perché pronunciare parole vuote. Ma chi vuol prendere in giro? Il sentiero mistico, quando è seguito onestamente, non può accettare il compromesso della retorica. Quando si fa una affermazione, essa è quella e basta. Yama e Niyama sono un buon tema da studiare, un ideale da tenere in mente ma non una promessa solenne. È solo con la pratica che è possibile capire il loro vero significato e, di conseguenza, vederle fiorire nella propria vita.

Yoga Sutra (opera di Patanjali) Gli Yoga Sutra sono un testo che ha molto influito sulla filosofia e pratica dello Yoga: più di cinquanta diverse traduzioni in inglese sono la testimonianza della sua importanza. Anche se non si può esser sicuri del tempo esatto

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in cui visse il loro autore Patanjali, possiamo collocarlo tra il 200 A.C. e il 200 D.C. Gli Yoga Sutra sono costituiti da una raccolta di 195 aforismi che trattano gli aspetti filosofici della mente e della consapevolezza costituendo una solida base teoretica del Raja Yoga - lo Yoga della auto disciplina e della meditazione. Lo Yoga è descritto come un percorso fatto di otto passi (Ashtanga) che sono Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi. I primi cinque passi costituiscono il fondamento psico fisico per avere una vera esperienza spirituale; gli ultimi tre riguardano il modo di disciplinare la mente fino alla sua dissoluzione nell'esperienza estatica. Essi definiscono anche alcuni concetti esoterici, comuni a tutte le tradizioni del pensiero indiano, come il Karma. Anche se, a volte, Patanjali è chiamato "il padre dello Yoga", il suo lavoro è in realtà un sommario di tradizioni orali di Yoga pre esistenti, un disomogeneo insieme di pratiche che rivelano un indistinto e contraddittorio sfondo teorico. Comunque la sua importanza è fuori discussione: egli chiarì ciò che gli altri avevano insegnato; quanto era troppo astratto, lui lo rese pratico! Era un pensatore geniale, non solo un compilatore di precetti. Si apprezza molto il suo equilibrio tra il teismo e l'ateismo. Non troviamo i minimo suggerimento di adorare idoli, divinità, guru, o libri sacri - allo stesso tempo non troviamo alcuna dottrina atea. Sappiamo che lo "Yoga" oltre ad essere un rigido sistema di pratica della meditazione implica la devozione alla Intelligenza Eterna ovvero il Sé. Patanjali afferma l’importanza di dirigere l’aspirazione del cuore verso Om.

Yoni Mudra Il potenziale di questa tecnica include, a tutti gli effetti, la realizzazione finale del sentiero Kriya. Il Kutastha - tra le sopracciglia - è il luogo dove l'anima individuale ebbe la sua origine: l'Ego ingannevole ha bisogno di essere dissolto proprio là. Il nucleo della tecnica consiste nel portare tutta l'energia nel punto tra le sopracciglia ed impedire la sua dispersione chiudendo le aperture della testa – il respiro è acquietato nella regione che va dalla gola punto tra le sopracciglia. Se uno stato di profondo rilassamento è stabilito nel corpo, tale pratica riesce ad originare uno stato estatico molto intenso che si diffonde in tutto l’essere. Per quanto riguarda la realizzazione pratica, ci sono lievi differenze fra le scuole: alcune danno una più grande importanza alla visione della Luce e meno al dissolvimento del respiro e della mente. Tra le prime, ci sono quelle che insegnano, mantenendo più o meno la stessa posizione delle dita, a concentrarsi su ciascun Chakra e a percepire i loro diversi colori. Una soddisfacente osservazione, trovata nella letteratura tradizionale sullo Yoga, è che questa tecnica deriva il suo nome "Yoni", che significa "utero", dal fatto che come il bambino nell'utero, colui che pratica non ha contatto col mondo esterno, e perciò, la coscienza non è esteriorizzata.

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