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588 VARIETAS E ADMIRATIO & IL BISTURI SUL CORPO DELLA NATURA & PROCESSO 1716 | 1717 |

L' Architettura di Pietra [capitolo: Materia] · diventa addirittura “letteratura litica”; la sua raccolta è formata da due grossi volumi le cui pagine sono “scritte” e “colorate”

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Page 1: L' Architettura di Pietra [capitolo: Materia] · diventa addirittura “letteratura litica”; la sua raccolta è formata da due grossi volumi le cui pagine sono “scritte” e “colorate”

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V A R I E T A S E A D M I R A T I O & I L B I S T U R I S U L C O R P O D E L L A N A T U R A & P R O C E S S O

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MATERIA

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L ’ A R C H I T E T T U R A D I P I E T R AAntichi e nuovi magister i costrutt iv i

Alfonso Acocel la

P R O D U T T I V O D I C A V A & L A V I T A D E L L A M A T E R I A & L E M E T A M O R F O S I D E L L E S U P E R F I C I L I T I C H E

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Per capire la pietra nel suo millenariorapporto con l’architettura dobbiamo

innanzitutto chiederci cos’è la pietra in quanto materia della natura ecos’è la pietra che diventa materiale per l’architettura. Pressoché ubiqui-taria, onnipresente è la roccia intorno a noi in quanto crosta terrestre edossatura del mondo intero. Emergendo a formare rilievi montuosi, stabi-lizzandosi sotto le pianure, inabissandosi a creare scoscendimenti e faglie,tiene insieme ogni cosa e conferisce alla terra il suo profilo generale.Attraverso la continuità delle rocce coagulate in grandi rilievi, in quellaliticità maestosa e sublime di scala paesaggistica, è possibile rileggereanche la nostra storia sviluppatasi a ridosso del Mediterraneo, quelmeraviglioso spazio acqueo all’intorno del quale si evolve la civiltàoccidentale di cui siamo figli, insieme all’architettura di pietra cheabbiamo inteso indagare.Immersi mentalmente in questo scenario geografico dilatato - caratteriz-zato dalla onnipresenza di monti, rocce, liticità molteplici e memoriemitiche che affondano le loro radici nella notte dei tempi - ci siamo chiestipiù volte, lungo la nostra ricerca, come ha preso avvio l’utilizzazione dellapietra per le esigenze della costruzione; quando - soprattutto - le roccestaccate dal banco di cava e sagomate secondo precise e definite confi-gurazioni geometriche, sono passate dall’informalità della natura agliartifici dell’Arte e dell’Architettura.L’uomo, indubbiamente, ha iniziato a confrontarsi con l’universo litico sindal suo primordiale essere sulla terra, per proseguire attraverso manifesta-zioni più coscienti, mirate, intenzionalizzate, soppesando ed intravedentoben presto in questa materia - offerta dalla natura in una assai ampiaquantità di tipi, di durezze, di configurazioni - le condizioni propizie perfarne arma, monile, strumento di lavoro, ricovero, recinto, monumento.Abbiamo riflettuto a lungo sui motivi di tale “fortuna” e ci è apparsoinspiegabile lungo le prime fasi esplorative della nostra ricerca rilevarecome una storia del rapporto estremamente variegato e molteplice chel’uomo ha instaurato con la pietra, impiegata con continuità nelle costru-zioni, non sia mai stata scritta in forma sistematica. Alla fine ci siamo resiconto che, forse, mai potrà essere formulata compiutamente per le diffi-coltà insormontabili presenti in tale impresa.Allo stesso modo ci è apparso votato all’insuccesso ogni tentativo diclassificazione rigorosa delle particolarità geologiche connesse allemigliaia di tipi di rocce scavate e commercializzate oggi, alimentando letransazioni di un mercato attivo su scala internazionale. A questi litotipi- afferenti prevalentemente al mondo delle pietre ornamentali - bisognaaggiungere il numero sterminato costituito dalle pietre locali (più poveree, spesso, poco note) con destinazione tipicamente costruttiva. È eviden-te, inoltre, come a fronte della crescita quantitativa dei litotipi incommercio - che imporrebbe, da un punto di vista ontologico, una loroprecisa classificazione e qualificazione - si assiste sempre più ad un’inca-pacità (a differenza di quanto è avvenuto nel passato) di produrreconoscenza e, conseguentemente, cultura architettonica inerente a taleorizzonte litico in progressiva espansione e globalizzazione di scambi.Per millenni le pietre dell’architettura sono state “pietre e basta”; l’uni-verso sterminato della crosta terrestre - con la sua molteplicità e varietà

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Varietas e Admiratio

1716-1717 Palazzo di Federico da

Montefeltro ad Urbino. Visioni della scala

spiraliforme.

1718-1719 Cava di pietra serena.

Comprensorio estrattivo di Brento Sanico

presso Firenzuola.

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- è stato esplorato agli usi per via empirica, subordinandone le molteplicipotenzialità offerte agli impieghi dei costruttori e alle sperimentazioni degliingegni più creativi. Pietre dell’architettura sono diventate tutte le rocce inpossesso di specifiche qualità che ne hanno consentito, nel tempo, condiversi risultati, la loro adozione nella costruzione.All’interno delle “pietre dell’architettura”, i graniti , i porfidi, i marmi, letante altre rocce lucidabili, gli alabastri, gli onici, hanno rappresentato“pietre particolari” capaci di declinare, contestualmente all’atto eminen-temente edificatorio di natura stereotomica, anche valenze squisitamentedecorative in base al loro spiccato valore estetico determinato daldisegno, dal colore, dalla lucentezza del “polimento”o dalla traslucenza.Nell’esperienza contemporanea la prassi analitica e razionalizzatrice,figlia del metodo scientifico moderno, ha tentato di dare un inquadra-mento rigoroso, una classificazione al mondo litologico; le pietre in sensostretto - intese quali rocce non suscettibili di lucidatura - sono stateenucleate, distinte e poste ad individuare una famiglia tanto ampiaquanto marginale rispetto ad altre categorie (in primis marmi e graniti)all’interno di un mercato che, disinteressato alle qualità sostanziali dellamateria (connesse alla solidità, alla massa, alle caratteristriche meccani-che), si è indirizzato negli ultimi decenni sempre più ad alimentare,attraverso le sue offerte di semilavorati, una concezione stratigraficadella costruzione insieme a “valori” di superficie riconnessi ad epidermi-di litiche di ridotto spessore e di critica durabilità.La semplicistica identificazione delle pietre quale sterminato orizzonte dirocce che ricevono la loro specifica connotazione in base ad un fattoreestetico limitativo - ovvero alla non lucidabilità e, conseguentemente, allamancata enfatizzazione dei colori - lascia non pochi dubbi e perplessitàsia per quanto riguarda la rigorosità del criterio classificatorio adottato(costretto ad ammettere numerose eccezioni) che per lo scarso contributoalla comprensione e alla valorizzazione delle materie litiche a disposizio-ne del progetto e della costruzione dell’architettura.Non poche - d’altronde - sono le pietre che ricevono e mantengono alungo la lucidatura e i colori; mentre altre, numerose, accettano una siapur “moderata” lustratura. Simmetricamente è da evidenziare come ildestino applicativo dei marmi e dei graniti non è necessariamentequello della loro restituzione rilucente e coloristicamente esuberante insottili superfici pavimentali o parietali. Abituati che siamo ad essereposti di fronte ad elementi in solido di marmo o di granito usati comepietre (con superfici pareggiate, scolpite, rigate, spuntate, bocciardate)ci chiediamo - allora - cosa distingua in questi casi la materia marmo-rea o granitica da quella pietrosa. Come architetti le diverse categorie litologiche, pur utili quanto adinquadramento generale o per le finalità eminentemente commerciali, ciappaiono appartenenti, e senza distinzione alcuna, tutte alla famigliadelle “pietre della costruzione” consegnate unitariamente all’orizzonte deL’architettura di pietra che abbiamo tentato di indagare.La lucidatura dei litotipi, medium capace di far emergere in superficie evalorizzare la molteplicità policromatica dei litotipi posta a spartiaque fra levarie categorie litiche, ci offre - comunque - l’occasione per ritornare al temacentrale del colore; al colore come “essenza particolare” della materia.Benché un Atlante dei colori del mondo geologico non sia stato ancoraeditato - se non nelle forme mute e parziali dei cataloghi merceologicidelle aziende - riteniamo che una storia del colorismo litico esista e civenga raccontata dalle pietre stesse.Questi frammenti naturali che non denotano artificio - visto che si“trovano”, si “cavano” e basta sotto mucchi di terre grossolane ed incoe-renti - si sono sempre prestati alla tematica del colore per le infiniteparticolarità ed assetti di toni cromatici di cui sono testimoni.Dell’incantesimo dei colori, di questa “essenza non formale” - o, forse,“forma stessa” - delle “cose” hanno parlato in molti; è quasi inevitabile,quando si cerca di descrivere i colori, ritrovarsi a parlare di pietre; lepietre stanno, nel comune sentire, per i colori in generale.Da sempre - nelle affermazioni dei naturalisti, degli scrittori, degli esteti,

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1720-1727 Graniti. Colori e stati super-

ficiali della materia.

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1728-1729 Teca bivalve con collezione

di marmi antichi commissionata dal car-

dinale Riminaldi (XVIII secolo). Ferrara,

Museo Civico.

1730-1731 Teca con raccolta di marmi

antichi. Roma, Musei Capitolini.

degli storirici dell’arte - le pietre sono state collegate ai concetti diadmiratio e di varietas. Nell’evocare questi concetti non ci riferiamo soloagli effetti seduttivi, alla malia delle pietre rare, delle gemme, delle pietredure e preziose. Il concetto di admiratio riteniamo sia da legarsi al mondolitico in generale: alle sue pietre particolarissime e rare, a quelle impiega-te nelle fabbriche architettoniche con i loro svariatissimi colori che nematerializzano e ne fissano, in una “seconda natura”, la loro presenza.Leon Battista Alberti collega la nozione di admiratio al fascino emanatodalle pietre nel loro molteplice presentarsi; inclassificabili nella lorovastità, giacenti immote sotto la crosta terrestre in attesa di un dissep-pellimento e di una rinascita. Lì sotto, la natura inorganica delle pietre giàpossiede, da tempi insondabili, incommensurabili con le vicende umane,il proprio colore; quel colore che la pietra inizia a comunicare - sia purancora con qualche “timidezza” ed “incertezza” - appena è cavata. Ilcolore, quindi, prima della forma, del disegno, del progetto.Alla molteplicità, alla sempre diversa presenza delle pietre, dei sui colori, faeco - da parte dell’uomo - lo stupore della scoperta, l’impegno dello studio,della conoscenza, dell’applicazione ma anche la pulsione istintiva algodimento, al possesso, cui si lega la formazione di collezioni a partire dalXVI secolo nei circoli umanistici di Roma e di Firenze. Così la lunga vicendadella scoperta, del disseppellimento delle particolarità geologiche si conden-sa - in epoca moderna - in numerose litoteche o “studi” di marmo. [177]Queste collezioni, oltre ad essere indubbiamente collegate a finalitàscientifiche, ci appaiono - nella cura che sempre accompagna il loroordinamento ed allestimento espositivo - come monumenti alle“maniere” dei colori litici; un omaggio ai piaceri intensi ed istantanei chesanno suscitare: scrigni e scaffali lignei posti a custodire pietre disegnateda grandi macchie e inclusioni minerali; onici flessuosi e traslucidi;graniti “puntinati” saturi ed intensi; marmi candidi, aurei, lividi, purpurei,ultramarini, attraversati - non infrequentemente - da venature cheportano altra linfa colorica “arricchente”.Numerosi eruditi hanno cercato di venire in possesso di queste seducentimaterie multicolori. Si è trattato di studiosi, di “agenti artistici” di sovrani, di“amanti” delle pietre belle e dei marmi antichi che - non solo in Roma - sicontendono tali doni della natura per la formazione di raccolte private.Ma cosa si nasconde dietro questa moda antiquaria, un pò “maniacale”.

[177] È una moda che prende corpo particolarmente lungo il XVI secolo come ci attes-tano gli studi del domenicano Agostino del Riccio, monaco di Santa Maria Novella aFirenze, sistematizzati nella famosa pubblicazione Istoria delle Pietre apparsa nel 1597 erecentemente ripubblicata: Agostino Del Riccio, Istoria delle pietre, (a cura di RanieroGnoli e Attilia Sironi), Torino, Allemandi, 1996, pp. 253.Altrettanto significativi sono l’attenzione e gli studi dedicati al mondo delle pietre e deimarmi colorati antichi da parte del monsignore Leone Strozzi, fra i massimi conoscitori ecollezionisti in Roma sul finire del Seicento, dedito alla ricerca, al commercio e alla for-mazione di una delle prime importanti collezioni. Con Leone Stozzi la “bella materia”diventa addirittura “letteratura litica”; la sua raccolta è formata da due grossi volumi lecui pagine sono “scritte” e “colorate” mediante sottilissime lastrine di marmo incastonatecome gemme in fogli di cartone doppio. Di questa particolarissima collezione ne parlano,con ammirazione, due stranieri d’eccezione che visitano l’Italia nei primi anni delSettecento; prima il barone di Montesquieu, presente nel nostro paese fra il 1728 e il1729 e, poco dopo, Charles de Brosses.«Anche il palazzo Strozzi - scrive de Brosses - ha grandi saloni, quadri, statue; ma ciò chevi si ammira in particolare è la collezione di pietre incise, tra le quali si trovano i due stu-pendi cammei di Livia e di Settimo Severo e la famosa agata onice, nota sotto il nome diMedusa Strozzi, considerata a ragione come il primo cammeo conosciuto, sia per la suagrandezza sia per la perfezione dell’opera. Questa Medusa è straordinariamente bella, evi assicuro che non pietrificherà nessuno, se non forse per l’ammirazione. Vi sono in casaStrozzi moltissime rarità di questo genere, medaglie rare, pietre preziose uniche, pietreincise antiche, tra le altre una che mi fu detto essere un diamante (stentai a crederlo);piante marine, conchiglie, libri e disegni di storia naturale, porcellane, frammenti di unastatua di cristallo di rocca, ed altre cose che non descriverò in particolare. Ma nulla mipiacque di più che la seguente cosuccia: un libricino in-quarto per lungo, che contiene dip-inte su pergamena finissima, tutte le specie dei marmi antichi e moderni, con tutti i piùminuti dettagli e con la superficie lucida, tanto che ogni pagina sembra essere vero e pro-prio marmo. Non si potrebbe trovare una collezione di campioni di marmo più graziosa epiù facile a portarsi. Questo libricino era abbandonato lì su una tavola nell’anticamera deiservi. Mi dispiace di non aver chiesto che me lo regalassero; forse lo avrebbero fatto. Nonpareva che ne facessero gran conto, mentre a me avrebbe fatto un gran piacere.» Charlesde Brosses, “Seguito della memoria su Roma”, p. 377, in Viaggio in Italia, Bari, Laterza, 1973,(tit. or. Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, 1799), pp. 678.

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Cosa alimenta, nel profondo, questa pulsione alla loro tesaurizzazione?Posti che sono di fronte a queste collezioni i loro istitutori, sicuramente,apprezzano le pietre e i marmi colorati in sé, assunti come materia indipen-dente da ogni uso, da ogni impiego architettonico, ornamentale o arredativo;“bella materia” e basta; sublimazione delle serie litologiche raggruppate inbase ai colori di fondo, ai disegni delle loro venature, brecciature, linee stratri-grafiche che ne segnano come in una pittura i campioni.Ogni litoteca - antiquaria o moderna - continua a parlare soprattutto deicolori. Trasmette, attraverso un singolo sguardo, una “sintesi orientata”dell’orizzonte sconfinato, indescrivibile del mondo litico.Ammirando queste raccolte ci accorgiamo che non si tratta di repertori di“colori stampati”, “progettati”, “riproducibili”, simili a cataloghi (sempreuguali a se stessi) pronti all’uso. Ogni campione esposto e schedatorappresenta un originale. Non esistono “campioni uguali” nelle variecollezioni ma solo “cose simili”; ogni lastrina litica è riguardabile comeuna perfetta pittura di Natura in miniatura; un denso concentrato dicolori saturi che, non paghi di far capolino sull’epidermide, attraversanotutto lo spessore della materia: una pagina autoriale di un Atlanteipercromatico sconfinato ed indicibile.L’indescrivibilità del colore delle pietre. Eccoci, finalmente, ad un altroaspetto misterioso e magico del mondo litologico.Una cosa è - infatti - vedere, ammirare, godere dei colori delle pietre etutt’altra cosa è parlarne. Le parole, le descrizioni sono sempre parziali,destinate al fallimento o quantomeno alla semplificazione. Forse perquesta difficoltà, la tematica del colore (e del colore delle pietre in parti-colare) ha impegnato - speculativamente - filosofi, eruditi, naturalisti,colllezionisti, artisti, esteti, teorici dell’arte. [178]Ci ricorda Johann Wolfagang Goethe, nella fondamentale Teoria dei colori(1810), che le tinte cromatiche non sono date senza luce. Illuminazione,riflessione, rifrazione sono i fattori attivi di gradazione, di “cangiabilità”,di “produzione” stessa del colore. Le categorie di fulgor e splendor sonostate sempre connesse alle pietre preziose, alle gemme che brillano di unaluce che sembra essere prodotta da essi stessi, ma tali categorie possonoindirettamente essere estese anche al mondo delle superfici litichedell’architettura. Nelle redazioni pavimentali, nei rivestimenti parietali,nei diaframmi litici opalescenti, il “polimento” delle superfici ha semprepuntato ad esaltare, ad intensificare i caratteri rilucenti e brillanti, lo“scintillio”, la luminosità dei colori incapsulati nella materia (essi stessi, aben rilettere, materia ) in attesa di una nascita.Solo allora i colori dell’universo litologico diventano vivi, attivi, parlanti;la lucentezza che li porta all’evidenza massima in superficie - con i relati-vi effetti indotti che ci parlano di “specchiature”, di “vortici”, di “riverberi”di luce - dissimula la bidimensionalità, compensa la mancanza di profon-

[178] L’età aurea per lo studio e la raccolta delle pietre e dei marmi colorati può essereconsiderata la prima metà dell’Ottocento in cui si colloca l’attività di ricerca di FaustinoCorsi, avvocato romano, studioso e collezionista che mette insieme più di mille esemplarilitici colorati (comprendenti marmi antichi e moderni, sia nazionali che stranieri), liriduce in piccoli campioni lastriformi (15x7,5x3cm) redigendone parallelamente unregesto analitico, un vero e proprio catalogo ragionato primo nel suo genere. Nel 1827tale collezione è venduta a Stefano Jarret e da questi donata all’Università di Oxford doveancora è visibile.Un anno più tardi dalla cessione della litoteca il Corsi pubblica un fortunato volume sullepietre antiche molto letto nella Roma dell’Ottocento e recentemente rieditato con splen-dide illustrazioni; l’edizione originale è del 1828, ripubblicata nel 1833 e - poi - nel 1845:Faustino Corsi, Delle pietre antiche (a cura di Caterina Napoleone), Milano, Franco MariaRicci, 2001, pp. 167. Siamo di fronte ad una delle opere più erudite sui marmi antichi,tuttora valido strumento di consultazione. Altri personaggi dell’Ottocento che forniscono contributi alla “fortuna” delle pietreantiche sono Biagio Garofalo (erudito napoletano), Edward Dodwell (archeologo viaggia-tore), Tommaso e Francesco Belli, entrambi romani, fra i più famosi raccoglitori ecollezionisti del XIX secolo, i quali proseguono questa tradizione legata alla ricerca, allostudio, al commercio della “bella materia”. A Tommaso Belli si deve la raccolta e la cos-tituzione della più importante raccolta, anch’essa venduta - come quella del Corsi - edoggi esposta nel Museo della Facoltà di Geologia dell’Università di Roma.Più in generale sulle raccolte e litoteche marmoree di età moderna si veda: CaterinaNapoleone, “Il collezionismo di marmi e pietre colorate dal XVI al sec. XIX” pp.99-115 (conricca bibliografia sull’argomento) in Marmi antichi ( a cura di Gabriele Borghini), Roma,Edizioni De Luca, 1997, pp. 342.

1732 Onice. Disegno “nuvolato” e colore

della materia.

1733 Vari tipi di alabastro in impiego

pavimentale. Reperto di età imperiale

dagli Horti Lamiani. Roma, Palazzo dei

Conservatori.

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dità dei piani, conferisce una vita autonoma alle superfici.Ma a proposito della brillantezza dei litotipi - ricercata ed ostentata sindall’antichità, come abbiamo visto, per conferire una “nota alta” ai colori litici- ci preme fare una precisazione, istituire un confronto fra il passato e ilpresente. Abbiamo imparato a riconoscere ed apprezzare il particolare “splen-dore” dei marmi antichi dove il “polimento” manuale con abrasivi, olii, cere haconferito alle superfici una bellezza tutta particolare, una patina di lucentez-za dal carattere “untuoso”, “saponato” di cui ci ha parlato con raffinatezza discrittura Raniero Gnoli in Marmora romana sulla scorta delle osservazioni deiviaggiatori che attraversano le città d’arte d’Italia alla scoperta di un mondofatto di policromia e di luce. Quel mondo che ancora ci emoziona, ricco diopere monumentali o di piccole sorprese (un pavimento cosmatesco inmarmi “spezzettati”, un lacerto di opus sectile, un ninfeo tappezzato ditessere litiche policromatiche) che in molti, oggi, non riescono più a vedere,ad apprezzare, a godere.A fronte delle immagini rischiarate da questo splendore “morbido”,“smorzato” ulteriormente dal tempo e dalla vita stessa della materia,abbiamo la lucentezza contemporanea dei litotipi ottenuta attraversoprocedimenti meccanizzati di finitura: una lucentezza assai rafforzata,intensificata, non di rado esageratamente riverberativa della luce; unalucentezza, allo stesso tempo, omogenea ed egualitaria.Da una parte - quindi - la materia litica appena lisciata, “tirata su” dallustro (spesso imperfetta nelle giunture, dotata di lacune quasi a volerconservare un qualche carattere di naturalità) frutto delle lavorazionimanuali che hanno lasciato sul materiale una “storia” fatta di tracce, disegni, di avvallamenti, di disuniformità, di stanchezza (e anche di “errori”)nello sforzo umano di dominio della materia; dall’altra gli elementi lastri-formi a grande formato dell’industria lapidea contemporanea,geometricamente perfetti, sottoposti alle azioni intense e potenti dellemacchine lucidatrici a nastro dove tutto si eguaglia, si omogeneizza, siporta a “specchio”.Ritornando ai caratteri, all’essenza dei colori delle pietre è di qualcheinteresse evidenziare come non si tratti di una pasta colorata spalmata suuna superficie piana come avviene normalmente nella pittura dove ilcolore, sotto forma di strato pellicolare, partecipa al sublime inganno, allacostruzione di una illusiva realtà colorata.Nel mondo litologico il colore sta a rappresentare la “natura stessa” dellepietre; il colore non è né sopra né sotto la superficie; ha posto nella “cosa”litica, ne è l’essenza. Non si ricorre al trucco del colore, quel colore“chimico” a cui la civiltà industriale, con il suo ridondante spettacolo dellemerci, ci ha abituato; il colore dei litotipi è stabile, profondo, naturale;naturale anche nel senso di non sofisticato, non alterato (e, forse, inalte-rabile) dalla tecnologia, dalle teorie scientifiche, filosofiche, estetiche edal linguaggio delle arti. Al tema della naturalità del colore delle pietre,del suo essere partecipe in tutto lo spessore, si associa conseguenzial-mente il suo valore durativo.Visto che nei vari litotipi i colori sono molteplici, dati in continuum, insovrapposizione, più spesso in contiguità, non ha senso poi parlare dicolore al singolare. C’e molta differenza, d’altronde, se il colore èmonografico o se il suo essere si esprime al plurale.Non si tratta qui di molteplicità colorica intesa come principio di aggre-gazione e di composizione (data attraverso l’intelletto, l’artificio) madella varietas consegnataci dalla natura. Abbiamo a disposizione -volendo - moltissime pietre e, conseguentemente, moltissimi colori. Maquanti in assoluto? Sono tanti, una moltitudine che neanche un bravissi-mo geologo saprebbe indicarli, nominarli, descriverli tutti.I colori delle pietre possono, forse, essere suddivisi in gruppi - se ciinteressa costruire una sorta di repertorio, un catalogo visivo utileall’uso; un accumulo di colori - in ogni caso - privo di una grammatica,di una sintassi, di un’estetica.Potremmo parlare allora di gruppi colorici riguardati attraverso i “coloridi fondo”. Ciò comporterà, comunque, rinunciare, semplificare per ricon-durre la materia ad un colore che acquista predominanza rispetto agli

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1734-1736 Policromismo litico. Interno

della Cappella dei Principi a Firenze

(XVI-XIX secolo) che accoglie le tombe

dei Granduchi Medicei: veduta di una

parete del primo ordine e visioni di det-

taglio.

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altri che si elidono. Tale perdita promette di far trasmigrare ogni pietra inun colore pronto all’uso, in definitiva produrre una “sottomissione” deicolori al colore più forte.Oggi, si parla, comunemente, fra gli operatori commerciali del settorelapideo, di rossi, di verdi, di grigi, di bianchi riferendosi unicamente allaprincipale componente colorica che ogni litotipo esprime. Il colore difondo indica - per tinta, tonalità e gradazione - il carattere dominante delmateriale lasciandone per strada tutti gli altri.Abbiamo così gruppi che organizzano ed omogeneizzano i beige, i gialli, irosa, i rossi, i marroni, gli azzurri, i grigi, i neri, i bianchi riconducendo aparametri univocamente orientati, materiali litici con personalità croma-tiche ben più spiccate e variegate.Vi è innanzi tutto la famiglia dei colori valutata a “debole” contenuto colori-co; il drappello dei cosiddetti “acromatici”: il bianco, il nero, il grigio. Il biancoe il nero sono stati spesso pensati come entità cromatiche autonome, assolu-te, fra cui si distende un intervallo fatto di una gamma estesa di grigi.Abbiamo ritrovato più volte il bianco dei marmi - quel bianco levigato -sul corpo dell’architettura classica occidentale e delle sue numeroserinascenze. È un caso - o, forse, è un destino - ritrovare il “gruppo deibianchi” (nella variegata famiglia dei marmi lattiginosi e cristallini:l’Acqua chiara, l’Arabescato, il Bianco Carrara, il Bianco statuario, il Lasa,il Bianco Taxos, il Pentelico) concentrato fra la Grecia e l’Italia.Il grigio - ma anche il nero - offre atmosfere inerti, immobili, solenni,prive sempre di risonanze; solo il grigio chiaro ci consegna - come diràKandisky - una “specie di aria”, di consolabilità.Vi è poi il gruppo dei colori dello spettro: rosso, giallo, verde, azzurro,porpora, arancione. A questi si aggiungono il beige, il marrone, il rosa.I colori litici più diffusi nel mondo - sotto il profilo giacimentologico -sono quelli che abbiamo indicato come appartenere al gruppo degli“acromatici” (bianco e grigio in testa) ai quali seguono le tonalità delbeige. Gli altri colori delle pietre - ovvero quelli più accesi ed esuberantiper intensità - sono assai meno diffusi, risultando, spesso, concentrati inun numero abbastanza limitato di Paesi (per il verde ancora l’Italia, per ilmarrone la Finlandia, l’azzurro il Brasile, per il nero il Sud Africa).Le pietre della Cina, dell’India, con i loro nuovi colori che non parlano piùd’Occidente, scriveranno, forse, la storia futura.

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1737 Piano a campionario di pietre

colorate di Sicilia (XVIII secolo). Dal Real

Laboratorio delle Pietre Dure in Napoli.

1738 Texture marmorea. Negozio

Raspini a Firenze (1986) di Cristiano

Toraldo di Francia.

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quanto riguarda gli impianti ditrasformazione e di lavorazione; ilCarso Triestino; il grande comprenso-rio Apuo-versiliese (con le grandirisorse di marmi prevalentemente“bianchi” e l’alto livello tecnologicodi specializzazione della strutturaproduttiva), stretto in una lingua diterra di pochi chilometri compresatra i rilievi montani e lo sviluppoinsediativo costiero, che annoveraoltre cento cave e un migliaio diaziende e laboratori di trasformazio-ne; le aree del travertinoprevalentemente concentrate inToscana (intorno a Rapolano Terme)e nel Lazio (Tivoli-Guidonia); i bacinipugliesi di Trani e Apricena; le zonemarmifere del Trapanese; il polo deigraniti della Sardegna.La notevole concentrazione di cave inquesti territori ha comportato, nellastoria recente, rilevanti problemiambientali. Ciò è evidente soprattuttoin tutti quei casi in cui l’apertura diaree di estrazione è avvenuta inmodo casuale e disordinato senzaun’adeguata attenzione ad un conte-nimento delle ripercussioni sugliaspetti paesaggistici e naturalistici.D’altronde è, indubbiamente, moltodifficile nel settore dell’escavazionela ricerca di un punto di equilibrioaccettabile fra parametri positivi(approvvigionamento per il mercatoin funzione della richiesta dimateria prima, sviluppo occupazio-nale) ed elementi perturbanti sottoil profilo ambientale.L’Italia, nel suo complesso, per posi-zione e ruolo, occupa nel settoredell’escavazione e della trasformazio-ne dei lapidei una posizione di primopiano a livello mondiale.«L’Italia - afferma Piero Primavori -non è solo il paese che vanta lamaggiore produzione in assoluto maè anche quello che registra imaggiori quantitativi di importazio-ni, sia di silicei che di calcarei. Aquesto dato fa riscontro il maggiorevalore in assoluto di prodotto finitoesportato, voce per la qual il nostropaese raggiunge quasi il 50% deltotale mondiale.Questa particolare struttura delsettore lapideo in Italia è dovuta allosviluppo nel tempo, ed al suo grandeaffinamento, del ciclo importazione-

IL BISTURI SUL CORPO DELLA NATURA

L’immagine dell’escavazione deiblocchi di pietra dal monte ottenutasostanzialmente “scalzando” la rocciatutt’intorno con mazza e piccone,grazie all’aiuto della sola forza dellebraccia umane, a volte forzandoalcune discontinuità naturali delmateriale, a volte “battendo” utensilimetallici cuneiformi in fori praticatiappositamente nella compaginerocciosa, appartiene ormai al passato.Al pari, testimonianza di un mondosostanzialmente rurale, appare oggila movimentazione dei grandiblocchi dalla cava ai laboratoriasservita, fino alla metà del XXsecolo, alla trazione animale.L’attività di escavazione negli ultimidecenni si è completamente trasfor-mata, assumendo metodicheoperative fortemente meccanizzate. Icosiddetti “tagli al monte” che sanci-scono, in pratica, il distacco deigrandi blocchi di roccia dai giacimen-ti, vengono oramai eseguiti inmaniera veloce e programmata damacchine tagliatrici investendo ilfronte di cava con fenomeni trasfor-mativi molto più profondi e diffusisul territorio rispetto al passato.È da evidenziare, inoltre, comeproprio l’evoluzione in senso impren-ditoriale ed “industriale” delle attivitàconnesse al mondo dei lapidei haspinto - soprattutto nel nostro Paese- verso una elevata concentrazionesia delle attività di escavazione chedi quelle di trasformazione dellamateria, a cui si collegano quelleausiliarie legate all’indotto produtti-vo di tale settore.A partire dalle condizioni geomorfo-logiche dell’Italia che limita a zoneristrette alcune tipi di risorse litichedi significatività commerciale si èassistito, negli ultimi cinquant’anni, alformarsi o al consolidarsi dicomprensori produttivi ad altaspecializzazione di attività e di litotipiestratti, dislocati in aree moltodistanti fra loro all’interno dellageografia del Paese.Fra questi è possibile citare: la Vald’Ossola per i graniti, i serizzi, lebeole; il comprensorio del marmoBotticino presso Brescia; l’area vero-nese, molto evoluta soprattutto per

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1739-1742 Alpi Apuane. Paesaggi di

cave di marmo.

1743-1748 Alpi Apuane. Cave di marmo

con sviluppo a pozzo d’ambito montano.

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La vita della materia

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trasformazione-riesportazione, conparticolare dedizione al prodottofinito. L’Italia importa cioè soloblocchi grezzi, che trasforma, per poirivendere in tutto il mondo.Ciò è stato reso possibile da unconnubio di parametri pressochéunico che il nostro paese puòvantare: una tradizione antichissima,con profondi connotati storico-arti-stici, una secolare esperienza diattività estrattiva con bacini produtti-vi disseminati sull’intero territorionazionale, una leadership dell’indu-stria delle macchine per cava e perimpianti, sempre a stretto contattocon le realtà estrattiva e trasformatri-ce, ed una capacità professionaledegli operatori che non ha eguali.È grazie a queste caratteristiche che ilpaese svolge, per tutti i materiali chevengono introdotti sul mercatomondiale, una insostituibile funzionepromozionale e catalizzatrice, colrisultato che rarissimi - pressochéassenti - sono i materiali che hannoraggiunto e mantenuto una buonadiffusione commerciale senza esserepassati attraverso il “canale” italiano.Oggi nessun altro paese vanta nelcomparto lapideo caratteristicheanaloghe a quelle italiane; il terziarioa supporto dell’intero settore, daitrasporti ai servizi tecnici, dall’indu-stria meccanica degli accessori aquella degli utensili, dai servizi diconsulenza a quelli di posa in opera,ha raggiunto un grado di professio-nalità realmente elevato, tale dariaffermare quella che, da sempre, èuna leadership indiscussa.Le insidie vengono ovviamente datutti quei paesi che, per caratteristi-che territoriali, hanno ingenti risorsea cui affiancano costi di lavoro edinfrastrutturali molto bassi, tali daconsentire l’ingresso di prodottisempre nuovi a prezzi estremamentecompetitivi.»(P. Primavori, I materiali lapidei orna-menali marmi, graniti e pietre, Pisa,Edizioni ETS, 1997, p. 211).Rientrando dalle problematiche gene-rali del settore trasformativo deilapidei verso i paesaggi produttivi dicava è necessario evidenziare comesia fondamentale rapportarsi alquadro naturalistico e geologico diriferimento, ai caratteri e alle esigen-

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Cave in fossa (o in pozzo). Anchenelle morfologie territoriali montuoseo collinari possono essere presenticave in fossa o in pozzo con proble-matiche simili a quelle che sivedranno per le cave a fossa o inpozzo di pianura. Date le particolaricondizioni morfologiche, tale tipolo-gia necessita di particolari attenzioniriguardanti la stabilità.Per la presenza di giacimenti stratoidio filoniani, per le problematichelegate all’anzianità della cava perl’esistenza di limiti di proprietà o diconcessione dei terreni, spesso sirende necessario approfondire al disotto della quota di campagna leoperazioni di escavazione.Conseguentemente, in molti distretti

estrattivi montani, le cave in fossa oin pozzo rappresentano l’evoluzionedi preesistenti cave a mezza costa.Tali cave, se ulteriormente approfon-dite, possono svilupparsi insotterraneo.Cave in sotterraneo (o in galleria). Lacoltivazione dei litotipi in sotterraneoimplica lo svolgimento delle attivitàestrattive all’interno della massarocciosa con contatti limitati rispettoall’esterno asssicurati dalle sole vie diaccesso e di servizio. Nel sottosuolol’escavazione procede entro unambiente spaziale vincolato dove, afronte di spazi di movimentazioneestremamente ridotti rispetto allecave a cielo aperto, vi è sempre l’in-combenza della massa litica che ne

frequentemente da strati sterili - èevidente come le cave a cielo apertorappresentino la tipologia di granlunga più diffusa ed economica. Alloro interno le cave sono riclassifica-bili in funzione dei caratterigeomorfologici del territorio in cui siinscrivono, dando vita a cave a cieloaperto di pianura (in fossa o inpozzo), cave di monte (a mezzacosta, culminali, in fossa o in pozzo),cave in sotterraneo (o in galleria).La coltivazione a cielo aperto vienesfruttata soprattutto per i banchirocciosi omogenei su un frontesufficientemente largo di escavazio-ne, effettuando un arretramentouniforme e progressivo di smantella-mento.

La coltivazione delle cave in sotter-raneo, più difficoltosa ed onerosa,attiene prevalentemente alla escava-zione di materiali pregiati che sitrovano nel sottosuolo, ad una certaprofondità, in forma stratificata olenticolare. In relazione alla specificaconfigurazione spaziale di scavovengono distinte: cave in sotterra-neo a grandi pilastri; cave insotterraneo a camere e pilastri, cavein sotterraneo a fronti lunghi.Cave a cielo aperto di monte. Lecave ubicate in ambito montagnosoo collinare sono denominate cave dimonte. Più difficilmente accessibilirispetto alle cave di pianura, sono ingenere caratterizzate da una minoredisponibilità di spazi per l’escavazio-ne e la movimentazione dei materialilapidei, dalla scarsità di luoghi didiscarica e dalle difficoltà di approv-vigionamento idrico ed elettrico.Queste problematiche, a cui siaggiungono spesso condizionamenticlimatici, rendono particolarmenteonerosa l’apertura delle cave dimonte. Per tali condizioni, spesso,queste realtà estrattive, più che inun’ottica imprenditoriale singola eisolata, si trova inquadrata nelcontesto di bacini estrattivi, gestitida più imprese spesso riunite inconsorzi di produzione.

Cave a mezza costa. Con maggiorefrequenza le cave di monte vengonoaperte sui fianchi dei rilievi montuosidando vita alle cave di mezza costa.Una parte consistente dei luoghi diescavazione delle pietre ornamentaliappartiene a questa tipologia (marmidi Carrara, graniti di Montorfano e diBaveno, graniti Sardi, marmi Greci,marmo Botticino di Brescia, ecc.).La forma tipica di queste cave èquella ad anfiteatro, caratterizzata dauna maggiore o minore regolarità edalla presenza di un numero variabiledi gradoni, cioè di settori di escava-zione limitati da una superficieverticale o fortemente inclinata, l’al-zata, e da ua parte orizzontale osub-orizzontale, la pedata. Le alzate

dei gradoni rappresentano il fronte inlavorazione, cioè la superficie lungola quale avviene il taglio della roccia,le pedate spesso si identificano con ilpiazzale, cioè lo spazio aperto nelquale si svolgono tutte le attivitàrelative al ribaltamento, alla riqua-dratura e al caricamento finale deiblocchi lapidei sugli automezzi.In funzione del numero di gradoni lacava può avere più piazzali collegatida rampe formate con i detriti dellelavorazioni di cava. Nelle morfologiemontuose caratterizzate da versantimolto ripidi, la ristrettezza di spazi inpiano e i consistenti dislivelli di quotapermettono di avere in attività unsolo fronte di escavazione facendoassumere alle cave una configurazio-ne a gradono unico.Cave culminali. Sono così denominatele cave aperte sulla cima dei rilievimontani. A fronte di un maggioregrado di libertà nello svolgimento delleoperazioni di escavazione, tali cavesono caratterizzate da particolariproblematiche di accessibilità e diapprovvigionamento idrico ed elettrico.Interessanti esempi di cave culminali sihanno nel comprensorio apuano aCervaiole e al Passo della Focolaccia.Le modalità di scavo non differisconoda quelle adottate nelle cave a mezzacosta.

ze di produzione, al livello tecnologi-co di estrazione.In relazione all’estrema diversità deisiti di escavazione, sempre riconnessaalla specifica topografia dei luoghi ealle caratteristiche giacimentologichedei filoni litici, le cave possono assu-mere assetti organizzativi e logichedi sfruttamento molto variate.È possibile, comunque, avanzare, siapur in forma generale, un quadroclassificatorio di riferimento in baseai modi in cui si presenta, sotto ilprofilo giacimentologico, il bancoroccioso:- massa estesa, costitutiva di interirilievi collinari o montani, collocata apoca profondità dalla superficieesterna;- massa estesa, sempre a pocaprofondità, in aree pianeggianti; - massa lenticolare o stratificatalocalizzata ad una certa profondità inambito territoriale pianeggiante ocollinare-montano.Da queste differenziate condizionigiacimentologiche derivano gliassetti configurativi ed organizzatividelle cave inquadrabili sostanzial-mente all’interno di due categorie:cave a cielo aperto e cave in sotter-raneo.Valutata la natura “affiorante”, quasigeneralizzata, dei litotipi - coperti

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1749-1752 Alpi Apuane. Cava di marmo

in sotterraneo.

1753-1762 Alpi Apuane. Cava di marmo

a cielo aperto: visioni generali del

giacimento con i blocchi sul piazzale,

preparazione del taglio della bancata a

mezzo di filo diamantato e vedute di

dettaglio di un fronte di cava con

cuscino espandibile (1758), particolari

dei cavi di taglio in acciaio.

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camere che i pilastri risultano affian-cati ed allungati.Ad offrire una variante ibrida dellecave in sotterraneo sono poste lecosiddette cave in sottotecchia. Taledenominazione gergale, che individuail passaggio da una cava a cieloaperto ad una in sotterraneo, si èdiffusa nel territorio di Carrara,laddove si definisce tecchia la pareteverticale naturale (o artificiale) chedelimita la cava verso a monte.A titolo esemplificativo di cava insotterraneo, a cui si perviene diretta-

mente attraverso l’apertura di unagalleria, è possibile citare la coltiva-zione della pietra di Vicenza (e dellapietra di Nanto) che si rinviene neimonti Berici sotto strati di rocceincoerenti. Tale situazione giacimen-tologica ha comportato, storicamente,una coltivazione in galleria.Individuata, in base ad indaginigeologiche specifiche, la potenzadelle bancate utili all’escavazione ilmetodo di coltivazione procedeseguendo un sistema di scavo ageometria estremamente regolaresecondo lo schema a “camere” e“pilastri” dove questi ultimi sonodisposti secondo allineamenti regolarial fine di un trasferimento costantedei carichi del tetto.Lo svolgersi delle attività estrattiveall’interno di uno spazio completa-mente ipogeo comportal’approvvigionamento di aria amezzo di sistemi forzati di ventila-zione con tubazioni in materialeplastico, flessibili ad assecondare lacontinua progressione spaziale deifronti di scavo, che trasportano ariafresca e pulita.Lo sviluppo regolare delle escavazioniè funzionale, oltre che alle esigenzedi sicurezza dello spazio di cava, almassimo recupero di materiale utile;nelle cave dei Monti Berici si effet-tuano camere di significativacubatura (con una larghezza massimadi circa 8 metri) coltivate dall’alto inbasso del fronte roccioso attraverso“passate” orizzontali consecutive. Il

rapporto di escavazione non supera,in genere, il 50 % del materiale dicava; per cui i “pilastri” mantengonoall’incirca le stesse dimensioni dellecamere. Tale consuetudine è frutto dilunghissima tradizione avvalorata daverifiche geomeccaniche.Particolarità della tecnologia di esca-vazione della pietra di Vicenza è dinon utilizzare acqua e prodotti abra-sivi per il raffreddamento del tagliodei banchi rocciosi. L’umidità natura-le, unitamente alla limitata durezzadella pietra, facilita il sezionamento a

secco del materiale. Tale procedi-mento consente di avere postazionidi lavoro estremamente pulite eduna quantità limitata di materialidetritici (in forma prevalentementedi polveri o granulati) che, progressi-vamente, viene asportata eaccumulata.La tecnologia di scavo è stata recen-temente innovata a mezzo dimacchine tagliatrici a catena, conbraccio di taglio orientabile, montatesu unità mobili cingolate. I tagli inparete procedono, in sequenza, apartire dalle prime due incisioniverticali (laterali) per poi passare aidue tagli orizzontali che definisconole dimensioni e il volume del bloccoda escavare; le incisioni di tagliopresentano una larghezza di circa 40millimetri.Cave a cielo aperto di pianura.Tratto distintivo della maggior partedelle cave di pianura è lo svolgimen-to di tutte le operazioni di scavo e ditrasformazione ad una quota altime-trica inferiore al livello di campagna.A fronte delle generalizzate condi-zioni favorevoli (agevoleaccessibililtà, disponibilità di ampiearee operative e di movimentazione,facile “scopertura” del giacimentolitico) queste cave possono, in casispecifici, interagire con le faldeacquifere che vanno irregimentate eincanalate per il loro allontanamen-to. Nell’ambito dei giacimenti dipianura si è soliti distinguere fracave in fossa e cave in pozzo.

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chiude, sia lateralmente che superior-mente, gli spazi di lavoro. Questecave, quasi sempre a “fondo cieco”,presentano - soprattutto nelle zonepiù interne - problemi di umidità e diaereazione a cui è necessario darerisposta mediante specifici impianticon notevoli aumenti dei costi diesercizio.Si opta per l’escavazione in sotterra-neo solo in presenza di particolaricondizioni:- impraticabilità (o antieconomicità)della rimozione del materiale sterile

ricoprente il giacimento litico dasottoporre a coltivazione;- difficoltà tecnica (od economica)nella realizzazione delle arterie diservizio e di collegamento; - indisponibilità nelle aree a cieloaperto di materiale conforme allequalità richieste dal mercato;- limitazioni di scavo fissate dagliorgani di tutela ambientale al fine diridurre l’impatto paesaggistico.La scelta di operare in sotterraneopuò essere suggerita - in contestigeografici particolari - dalla ricerca dicondizioni di lavoro non soggette alleforti variazioni climatiche in modo dapoter far svolgere con continuità -lungo tutto l’arco dell’anno - leoperazioni di cava con rese dell’attivi-tà estrattiva superiori a quelle dellecave a cielo aperto.Sotto il profilo della modificazionedei luoghi le cave in sotterraneoconsentono di ridurre notevolmente(se non addirittura azzerare comple-tamente) gli effeti di degradoambientale, consentendo la messa adiscarica di ogni materiale residualenegli stessi spazi di cava.A fronte di tali aspetti positivi è daevidenziare, comunque, come le atti-vità lavorative risultano moltovincolate rispetto alla maggiore fles-sibilità consentita dalle cave a cieloaperto. Tale condizione comporta lanecessità di definire una rigidaprogrammazione delle operazioni diescavazione.Numerosi sono gli esempi di materiali

litici italiani estratti in cave sotterra-nee, sia per obbligata caratteristicagiacimentologica, sia per “interna”evoluzione di cave originariamente acielo aperto a seguito di insorgentivincoli. Fra questi materiali moltisono di natura pregiata (marmo diCandoglia, marmi verdi della Vald’Aosta, alcuni marmi apuani, ilPortoro ligure, il marmo di Lasa delTrentino, il giallo d’Istria, ecc.) manon è infrequente l’escavazione, insotterraneo, di litotipi più comuni:l’ardesia ligure con banchi general-

mente inclinati, la pietra di Lecce conaccessi - a volte - mediante pozzi, lapietra di Vicenza.Ai fini della sicurezza degli spazi dilavoro è necessario approfondire lecaratteristiche geomeccaniche dellaroccia, le sole che consentono diprogettare le “architetture” di cava(vuoti e pilastri litici lasciati apposi-tamente in situ) evitando che lecamere di escavazione si distribuisca-no in modo regolare, seguendosemmai i filoni del materiale piùpregiato, sottovalutando la logica disostegno dell’ammasso rocciosoeroso alla sua base.Nelle cave in sotterraneo, in lineagenerale, si perviene a configurazionivariate di vuoti - nell’altimetria, nellecubature, nella distribuzione planime-trica - ma sostanzialmentericonducibili a configurazioni chealternano vuoti (camere) a porzionirocciose lasciate in sito (pilastri) conruolo strutturale di sostegno.In funzione delle geometrie spazialidi scavo si hanno tre tipologie dicoltivazione:- coltivazione a grandi pilastriquando tali sostegni si presentanoattraverso sezioni confrontabili con ivuoti di escavazione;- coltivazione a camere e pilastriquando i vuoti sono notevolmentesuperiori in termini dimensionalirispetto ai pilastri;- coltivazione a fronti lunghi quandole progressioni di scavo restituisconouna situazione dei luoghi in cui sia le

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Cave di pianura in fossa. Nelle zonepianeggianti l’escavazione viene effet-tuata, in genere, a fossa con lo“sbasso” graduale della superficie oriz-zontale del suolo mediante granditrincee a gradoni scavati in successio-ne. Il piazzale è accessibile ai mezzi dimovimentazione mediante piste orampe sfruttando l’ausilio delle potentipali meccaniche, con una notevolefacilitazione di tutte le operazioniinterne alla cava.Cave in fossa si rintracciano sia nellacoltivazione dei materiali calcarei (è il

caso dei travertini laziali, della pietra diApricena in Puglia) che di quelli siliceiquali i graniti sparsi in tutto il mondo.Cave di pianura in pozzo. Quando ilgiacimento si trova ad una profonditàrilevante per cui risulta antieconomi-co la rimozione del materiale sterile(o quando, esauritosi il materiale insuperficie all’interno delle cave agradoni, le ulteriori bancate utili delgiacimento si trovano al di sotto delpiazzale della cava stessa) è necessa-rio prevedere lo sviluppo dellelavorazioni prevalentemente in sensoverticale con accesso dall’alto dandovita, così, alla tipologia della cava inpozzo. Queste cave sono delimitateda pareti verticali (o subverticali) sututti i lati della cava con un unico

praticati, in verticale, nel terreno finoa raggiungere il giacimento spingen-dosi in alcuni casi fino agli 80-90metri rispetto al piano di campagna.In corrispondenza del giacimento loscavo si allarga a formare una“camera” che viene abbandonata soloquando il filone litico in escavazioneè esaurito (o quando vi è un pericolodi crollo della volta o delle pareti). Siaccede alle zone di escavazioneunicamente mediante scale, ascenso-ri o con l’ausilio di mezzi meccanicidi sollevamento verticale.Molto critica ed impegnativa è sia lamovimentazione dei blocchi scavatiche la rimozione di materiali discarto ai fini della loro messa adiscarica.

piazzale alla base.Individuano una tipologia di cavamolto impegnativa, costringendo adoperare in condizioni ambientali moltocritiche, che ha conosciuto una relativadiffusione in passato; oggi è limitata acave legate ad importanti bacinimarmiferi come gli esempi molto notirapresentati dalle cave di marmo rosadi Portogallo, quelle dei marmi grigi erossi di Belgio, i marmi del Vermontnegli Stati Uniti d’America.Nelle cave a pozzo l’estrazioneavviene mediante larghi condotti

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Coltivazioni delle cave a cielo aperto.Nella conduzione delle operazioni diescavazione assumono grande impor-tanza le metodologie di coltivazionedelle cave. Per determinare il modo ela sequenza secondo cui sfruttare ungiacimento lapideo è indispensabileanalizzare la sua forma, le sue dimen-sioni, la morfologia territoriale di cuifa parte e le proprietà intrinseche dellitotipo da scavare.Non esistono al riguardo regole gene-rali, tuttavia si possono individuarealcuni elementi di riferimento nella

coltivazione ascendente o discenden-te, nella presenza e nel numero digradoni, nella lunghezza e nell’orien-tamento dei fronti di lavorazione,nelle dimensioni delle bancate ditaglio, nelle caratteristiche del piaz-zale e della discarica per i detriti.La combinazione di questi elementidetermina una serie di tipi di coltiva-zione con cave ad escavazionedall’alto verso il basso o viceversa,cave a gradone unico o a gradonimultipli, cave con bancate alte elunghe o con bancate basse, cave conestrazione diretta di blocchi giàconformati.Le cave a cielo aperto sono sfruttatediversamente a seconda dei tipi dirocce. Le coltivazioni di graniti (o

1763-1767 Cava di granito grigio a

Buddusò in Sardegna. Settori del

giacimento in escavazione e visione di

dettaglio della superficie di cava segnata

dalle tracce verticali delle perforazioni.

1768-1769 Cava di tufo in fossa nel

territorio pianeggiante di Gagliano del

Capo in Puglia.

litotipi assimilati) possono esserericondotte per sommi capi allaseguente casistica:- coltivazione per platee orizzontalicon bancate o con gradino bassodove, nei casi di cave caratterizzateda ampi piazzali, si isolano cospicuivolumi di roccia dal giacimento;- coltivazione per fette verticali in cuiil giacimento viene suddiviso in“fette”, di altezza variabile e spessorepari ad una delle dimensioni deiblocchi;- coltivazione per squadratura diboulders dove i blocchi vengonoricondotti alle dimensioni commer-ciali da una suddivisione di grandibancate isolate con cariche esplosive;- coltivazione per abbattimento selet-tivo nei punti del giacimento chepresentano condizioni favorevoli aldistacco (più che una vera e propriamtodologia di coltivazione quest’ulti-ma tipologia di sfruttamento vaconsiderata come una necessitàimposta dalle caratteristiche struttu-rali del giacimento).I marmi (e le rocce assimilate) sonosoggetti in genere a:- coltivazione per splateamento,quando vengono asportate progressi-vamente delle “platee” di materiale,cioè delle fette orizzontali in cui estato progettualmente suddiviso ungiacimento;- coltivazione per fette verticali,tagliate dal monte con filo diamanta-to e riquadrate sul piazzale dopo illoro rovesciamento.

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movimentazione dei mezzi e il posi-zionamento in opera delle macchineutilizzate per l’escavazione.Eseguita la predisposizione deigradoni si procede alla fase del cosid-detto “taglio primario” della roccia(ovvero l’individuazione volumetricadelle grandi bancate continue dimateriale litico) a cui segue quella del“ribaltamento” a terra di fette dibancate utili alla fase finale corri-spondente alla riquadratura dellaroccia staccata dal monte da cui siricavare i blocchi commerciali.Con il taglio primario si effettua l’iso-lamento di un volume parallelepipedopiù o meno allungato (bancata) la cuialtezza è correlata alla produzione deiblocchi commerciali che tiene contodelle caratteristiche intrinseche delmateriale e della specifica configura-zione giacimentologica. Completatol’isolamento della bancata si procedeal suo sezionamento in fette(secondo spessori corrispondenti allefacce minori dei blocchi) idonee adessere ribaltate per la successivariquadratura in molteplici monoliticommerciabili.Quando la bancata non sviluppa volu-metrie molto rilevanti il ribaltamentopuò essere evitato procedendo diret-tamente alla suddivisione in blocchi.Lungo le operazioni del ribaltamentole fette di bancata vengono, prima,fatte ruotare su se stesse di una certaangolazione e poi sono spinte incaduta sul piano orizzontale del piaz-zale di cava. Il ribaltamento di questegrosse cubature di materiale liticoviene effettuato grazie all’ausilio dicuscini espandibili volumetricamentee di martinetti idraulici che spingonoil parallelepipedo fuori dal suo natu-rale equilibrio statico. La massa litica,spinta ad inclinarsi progressivamente,cade poi a terra su di un letto apposi-tamente predisposto in forma dicumuli di materiale detritico (scheggedi roccia, granuli, sabbia).

rampe di raccordo tra i diversi livelli euna pluralità di zone in potenzialeescavazione contestuale. I motivi che concorrono ad identifi-care la metodologia di escavazione agradoni quale sistema fra i piùproduttivi e diffusi sono legati preva-lentemente alla razionalità disviluppo del fronte di cava, dove nonsi verificano interferenze tra le attivi-tà in svolgimento permettendo diraggiungere in tempi relativamentebrevi gli strati profondi del giacimen-to dove, in genere, il materiale

presenta le caratteristiche migliori.L’escavazione a risalti regolariproduce, inoltre, un arretramentoprogressivo e parallelo del fronte dicava conservando una configurazionepressoché immodificata nel tempo,salvo l’aumento del numero deigradoni. I volumi scalettati, ripartitiregolarmente dall’alto in basso,permettono di ridurre l’impatto delfronte di lavorazione che altrimentiincomberebbe pericolosamente con lasua mole sul piazzale alla sua base.Inoltre, la geometria spaziale ordinatae ripartita dei gradoni, facilita la

volumi litici regolarizzati dei gradonie delle bancate, per “inciderla” estaccarla - poi - dal monte in formadi grandi monoliti, “blocchi di cava”capaci di alimentare a valle il circuitodei semilavorati lastriformi e deglielementi in solido nei vari campidelle costruzioni.L’obiettivo principale delle operazionidi escavazioni è quello della produ-zione di blocchi di adeguateproporzioni con requisiti volumetrici,dimensionali, qualitativi tali da essereappetibili al mercato internazionale.Comunemente si usa distinguere,

cielo aperto - la metodologia diestrazione praticata con più frequen-za (perché più razionale ed altamenteproduttiva) è legata alla predisposi-zione del fronte di scavo a gradoniregolari; si tratta in genere di uno opiù risalti scalettati, uguali o diffe-renziati nelle caratteristichedimensionali in funzione dei vari lito-tipi e della loro giacitura.L’attività di cava procede sempredall’alto verso il basso finalizzando lefasi preliminari alla predisposizione diuno o molteplici gradoni che indivi-duano il fronte di estrazione, con

all’interno della tecnica di cava, la“metodologia di estrazione” rispettoalla “tecnologia di estrazione”; laprima attiene prevalentemente aiprocedimenti generali di coltivazione(organizzazione degli spazi di cava,tipologia e progressione dello sfrutta-mento giacimentologico, ecc.), laseconda investe, più specificamente,l’apparato strumentale e la tecnicaesecutiva con cui vengono effettuati itagli al monte.All’interno della configurazione dicava più ricorrente - qual è quella a

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PROCESSO PRODUTTIVO DI CAVA

Sinora ci siamo soffermati nell’evo-cazione di paesaggi di cava fra echidi un passato lontano ed immagini diun presente a noi vicino; la materialitica è rimasta spesso indistinta,appartenente ai banchi rocciosi chesolidificano la crosta terrestre. Nelprosieguo della nostra trattazioneindagheremo più da vicino il cicloproduttivo di cava che scandisce lavita della materia, avviandoladall’ammasso roccioso informe ai

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come risulta dall’operazione diriquadratura).Costituiscono produzione utile dicava - sia pur di valore notevolmenteinferiore - i cosiddetti blocchiinformi i quali, a fronte di una purparziale riquadratura, possono essereavviati a lavorazioni specifiche cosìcome sarà precisato nel prosieguodella trattazione.Dopo la riquadratura i blocchi sonocaricati su autocarri e trasportati asegherie e laboratori dove sarannosottoposti ad ulteriori successivelavorazioni e trattamenti speciali.

L’impiego di cuscini espansivi ad ariao ad acqua (comandati da unacentralina che alimenta il gonfiaggiodi uno o due elementi inseriti nelsottile taglio verticale praticato nellabancata) non consente il ribaltamen-to delle fette ma solo la creazione diun divaricamento sufficiente all’inse-rimento di martinetti idraulici capacidi effettuare la vera e propria opera-zione di ribaltamento. La forza dispinta di entrambi i meccanismiraggiunge le 300 tonnellate.A volte le operazioni di ribaltamentodelle fette di bancata prevedonol’uso di macchine di cantiere qualipale meccaniche ed escavatori cheazionano benne spingenti all’internodello spazio aperto dai cuscini; altrevolte, invece, l’operazione vieneeffettuata a mezzo di funi metallicheposte in tiraggio.Le fette di materiale litico, cadendosui cumuli di detriti ricevono unaattenuazione dell’urto eliminando olimitando le rotture lungo i piani dicriticità interna del materiale stesso.Il ribaltamento costituisce, allo stessotempo, una sorta di verifica dellacompattezza del materiale estratto.La terza ed ultima fase di cavainveste, più nello specifico, la riduzio-ne e la riquadratura dei grandi volumilitici che giacciono a terra. La fase diselezione del materiale orienta i

criteri di sfruttamento della bancatarovesciata indirizzandoli ad ottimiz-zare le quantità di materiale estratto,escludendo le parti che presentanodifetti evidenti.Segue la fase di riquadratura vera epropria finalizzata a conseguire lasuddivisione dei grossi volumi litici aterra in blocchi di dimensionicommerciali. La riquadratura dellefette in blocchi viene effettuata amezzo di filo diamantato o medianteil sistema della perforazione.Nel primo caso il grosso volume diroccia a terra - libero su ogni lato -viene “aggredito” a distanze program-mate dal filo diamantato e segato inblocchi regolari.Le procedure di riquadratura a mezzodi perforazione sono analoghe epossono essere idrauliche, ad ariacompressa, manuali o automatiche.Solo sporadicamente viene utilizzatoesplosivo. Dopo aver eseguito i fori,grazie all’inserimento di cunei percos-si manualmente (punciotti), o dicilindri spaccaroccia a controllo elet-tronico, si ottiene il definitivosezionamento dei blocchi.Le operazioni di riquadraturavengono anche effettuate conmacchine monolama, o con impiantiad installazione fissa con filodiamantato.Il ciclo produttivo sino ad ora

descritto può subire in alcune cavevarianti mirate a ricondurre le trefasi ad un’unica operazione, conestrazione diretta di blocchi informato commerciale.L’ottenimento di blocchi regolarisquadrati (con limitate asperità,evidente parallelismo delle facce,volumetrie definite e precise) èl’obiettivo primario dell’operazionedi ritaglio; il valore economico deiblocchi è dato dal “volume pagante”(ovvero dal parallelepipedo regolarepiù grande inscrivibile all’internodella cubatura grezza del blocco così

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1770-1771 Bagni di Tivoli: cave di

travertino a cielo aperto. Visioni delle

aree di escavazione.

1772-1774 Cave di travertino

dell’azienda MARIOTTI a Bagni di Tivoli:

le fasi sequenziali del taglio primario, del

ribaltamento a terra della bancata e

della perforazione per la riquadratura.

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Queste ultime sono, a loro volta,suddivise in lastre rifilate a misurafissa di serie, lastre rifilate a casellario(elementi con forme e dimensionifissate dal disegno di progetto), lastrerifilate a correre (lastre aventilarghezza fissa e lunghezza variabileentro limiti stabiliti).In relazione al tipo di trattamentoeseguito sulle facce delle lastre sonodisponibili sul mercato dei lapidei:lastre a piano di sega (lastre senzaalcuna lavorazione successiva allasegagione a telaio); lastre a paramen-to lavorato (lastre la cui faccia a vistaè stata sottoposta ad un specificotrattamento di finitura); lastre aspacco (lastra la cui faccia a vistarisulta caratterizzata dallo stato dellamateria conseguente all’azione dellospacco meccanico).Per quanto attiene, invece, allanomencaltura delle lastre si ha:lunghezza (dimensione maggioredella lastra), larghezza (dimensioneintermedia), spessore (dimensioneminore), testa (superficie identificatadalla larghezza e dallo spessore),costa (superficie individuata dallalunghezza e dallo spessore), faccia(superficie generata dalla lunghezza edalla larghezza), faccia a vista (lafaccia destinata a rimanere in vista),spigolo o dietro (linea di intersezione

pervenire a semilavorati o componen-ti da impiegare all’interno dei diversicampi architettonici. Tale processo, inlinea generale, indirizza la materialitica sostanzialmente verso duecampi di impiego prevalenti.Il primo, indubbiamente meno rilevan-te sotto il profilo quantitativo ma digrande interesse, attiene alla produzio-ne degli elementi “in solido” (colonne,conci, cornici ecc.) destinati a realizza-zioni in cui la pietra svolge un ruolosignificativo di tipo costruttivo o,comunque, fortemente caratterizzantel’immagine architettonica.Non infrequentemente per questelavorazioni, che si presentano concaratteristiche specifiche, è necessa-rio utilizzare macchinari appositi; è ilcaso, ad esempio, dell’Aula liturgica diPadre Pio a San Giovanni Rotondo diRenzo Piano dove la produzione digrandi monoliti utili alla formazionedi arcate strutturali ha richiesto lacostruzione di attrezzature apposita-mente dedicate.Il secondo campo applicativo -maggioritario, sotto il profilo quanti-tativo - investe l’amplissimo settoredella produzione di semilavorati (oanche di elementi finiti) di naturaprevalentemente lastriforme (piùraramente masselli e spessori) otte-nuti dal processo meccanizzato disegagione dei blocchi di cava (siaregolari, sia informi).I principali procedimenti attengono adue linee di trasformazione:- segagione di blocchi regolari, esenti

da difetti strutturali, in lastre grezzedi grande superficie ma di “piccolo”spessore (max 330x200 cm) destinatealla fabbricazione di semilavorati ecomponenti specializzati a secondadei vari campi applicativi;- segagione finalizzata alla produzio-ne diretta di manufatti in serie conmisure standardizzate (60x30, 40x40,30x30, 30x15 cm e spessori variabilifra 0,7 e 2 cm); in questa secondalinea di trasformazione si opera sulblocco “riducendolo” direttamenteagli elementi finali senza passareattraverso la fase dei semilavoraticome nel ciclo precedente.Tali comparti indirizzati alla produzionedi elementi lastriformi hanno rappre-sentato, negli ultimi decenni, il campodi maggiore dinamicità ed evoluzionedel settore lapideo mondiale. Ad esso,conseguentemente è dedicato lo svol-gimento della trattazione che segue.Il ciclo di trasformazione dei blocchipuò essere suddiviso, schematicamen-te, nelle seguenti fasi:- riquadratura dei blocchi di cava(quando è richiesta una completa rego-larità sin dalla fase di escavazione);- segagione dei blocchi (con telaimultilama o con tagliablocchi);- trattamento superficiale;- taglio e rifilatura;- finitura.

Prima di passare a descrivere la faseproduttiva che trasforma i blocchi dicava riteniamo utile fornire alcuneprecisazioni e definizioni terminologiche.Per quanto rigurda il blocco di cava èda distinguere, subito, il bloccoinforme (blocco la cui configurazionevolumetrica si presenta con i tratti diuna evidente irregolarità geometricae dimensioni variabili derivanti dallecondizioni specifiche delle operazionidi escavazione) dal blocco squadrato(blocco su cui è stata effettuata unaspecifica regolarizzazione volumetri-ca, di natura tendenzialmenteparallelepipeda) e dal blocco squadra-to da telaio (di dimensioni ottimalitali da consentire una segagione dibuon rendimento economico).Per i blocchi assume fondamentaleimportanza, oltre che la forma, il lorovolume; questi due parametri sonoinfluenzati dalle caratteristiche giaci-mentologiche delle diverse cave, daimodi e dalle tecnologie di estrazione,Il risultato ottimale si ottiene quandoè possibile estrarre blocchi di formaparallelepipeda regolare (con cubatu-re oscillanti fra gli 8 e i 9 metri cubi,preferibilmente ottenute con dimen-sioni dell’ordine di 3,00x1,75x1,75metri); volumi minori sono comune-mente accettati, soprattutto per ilitotipi di maggior pregio. Da questiblocchi regolari è possibile ricavarepoi, tramite segagione, lastre digrandi dimensioni dell’ordine di280x150 cm.Per i marmi i blocchi riquadrati rego-lari, in linea generale, presentanodimensioni dell’ordine di 2,4x1,6x1,6metri (ed anche inferiori nel caso dimateriali colorati) corrispondenti aduna volumetria di circa 6 metri cubi;per i graniti, invece, si hanno dimen-sioni maggiori, dell’ordine di2,8x1,8x1,8 metri corrispondenti acirca 9 metri cubi. Tali indicazionidimensionali trovano, comunque,numerose e frequenti eccezioni nellespecifiche condizioni produttive diescavazione.Se la forma ottimale dei blocchi è aparallelepipedo ben regolarizzato esquadrato in realtà - soprattutto nelcomparto dei marmi - la fornitura dicava può comunemente immetteresul mercato blocchi semisquadrati(monoliti riquadrati solo su qualchelato) o blocchi informi.Si definisce lastra il semilavoratotridimensionale avente una delledimensioni generatrici del solido(ovvero lo spessore) notevolmenteinferiore delle altre due; in funzionedello spessore si hanno: lastre sottili(s < 20 mm), lastre (20 mm ≤ s ≤ 80mm), lastre spesse (s > 80 mm).Le lastre, poi, a seconda delle confor-mazioni geometriche al perimetrovengono, invece, distinte in lastreinformi con bordi irregolari (o ancheda telaio) e lastre rifilate, tagliatenelle dimensioni finali di utilizzo.

TRASFORMAZIONE E TRATTAMENTI

Dal monolite all’assottigliamentodella materia. I blocchi di cava,prodotti finali del processo di escava-zione ridotti nelle volumetrie eduniformati nei criteri di squadratura,sono normalmente trasferiti nei piaz-zali delle aziende del settore lapideoalimentando il processo di trasforma-zione e di specializzazioneapplicativa.Comunemente con il termine trasfor-mazione s’intende l’insieme delleoperazioni eseguite sui blocchi per

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fra due superfici contigue), angolo(punto di intersezione di due spigoliconvergenti).Insieme alle lastre altre due tipologiedi prodotti caratterizzano il settoredella produzione dei lapidei: i massellie i listelli.Per massello s’intende un elementosemilavorato a configurazione volu-metrica parallelepipeda nonlastriforme (dove lo spessore èconfrontabile con le altre due dimen-sioni dell’elemento) ottenibileattraverso diversificate modalità ditrasformazione. In funzione dei procedimenti diproduzione si distinguono masselli aspacco e masselli rifilati; in funzionedella specifica morfologia si defini-scono invece: masselli a dimensionefissa e masselli a correre (elementicon due dimensioni - altezza e spes-sore - costanti e la lunghezzavariabile entro limiti prefissati).Per listello, comunemente, si intendeun elemento semilavorato a configu-razione parallelepipeda in cui lalunghezza assume una dimensionenotevolmente maggiore dello spesso-re e della larghezza.Riquadratura dei blocchi. I blocchiche provengono dalla cava privi didefinita e regolare volumetriapossono richiedere una “riquadratura”

al fine di ottimizzare tutte le opera-zioni di taglio, incluse quelle dellasegagione in lastre.La riquadratura opera, in genere, unariduzione dei blocchi informi involumi regolari (parallelepipedi) edimensioni ottimali a seconda deltipo di litoide; viene effettuatamediante due tipi alternativi diattrezzature meccaniche: il telaiomonolama e la tagliatrice fissa a filodiamantato. Una terza tipologia dimacchina, di diffusione più limitata, èla segatrice a disco gigante.Il telaio monolama trova impiego soloper la segagione di marmi, travertinie rocce assimilate. La macchina èdotata di una o due lame diamantatea movimento cinematico rettilineo

(ad alta velocità di taglio, o cala, finoa 100 cm/ora) e viene irrorata conacqua durante il ciclo di lavorazione.Il telaio monolama è utilizzato, oltreche per la riquadratura dei blocchi,anche per la segagione di lastre agrosso spessore.La tagliatrice fissa a filo diamantato èusata per la riquadratura di blocchi dimarmo, travertino e granito; un cavoteso di acciaio, ricoperto di perline indiamante sintetico, è fatto scorrerefra due pulegge. Si tratta di unaapparecchiatura a cielo aperto checonsente di posizionare il blocco conestrema libertà e tagliarlo a mezzo delfilo diamantato (del tutto simile aquello impiegato in cava); il cavod’acciaio incide progressivamente ilvolume litico aiutato da una continuairrorazione di acqua utile al raffredda-mento e all’allontanamento dei detritiche si producono con il taglio.Le più recenti tagliatrici a filo diaman-tato - dotate di apparati di comandocomputerizzati - consentono il tagliodi elementi litici secondo sagomeparticolari, anche curvolineari.Segagione dei blocchi con telai multi-lama. La prima fase del processo ditrasformazione. avendo a disposizioneblocchi regolari di cava o apposita-mente riquadrati, è quella dellasegagione in lastre. Le massimedimensioni risultano in funzione deiblocchi di partenza; in genere le lastrenon superano i 3,50x2,00 m, con spes-sori variabili da 1,5 a 10-15 cm.Le principali attrezzature di segagionedei blocchi sono rappresentate daltelaio multilame per i blocchi regolarie dalla macchina tagliablocchi perquelli informi o sottodimensionati(finalizzati questi ultimi alla produzio-ne di elementi standard: marmette otiles). Segatrici a disco gigante e quellepiù recenti a cinghia diamantata(queste ultime caratterizzate da unanotevole velocità di lavorazione) sono,invece, finalizzate a tagli più specializ-zati quali quelli a grosso spessore.Gli impianti a telaio multilama sonocostituiti da grosse strutture metalli-che (i telai) entro cui lame l’acciaio

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1775-1777 Blocchi squadrati di granito

e di marmo sui piazzali delle aziende di

trasformazione.

1778-1779 Blocchi squadrati di

travertino di Tivoli. Azienda MARIOTTI

1780 Blocchi informi di marmo bianco.

1781 Macchina di taglio dei blocchi: il

telaio monolama.

1782-1783 Segagione di un blocco di

marmo con telaio multilama: visione

inferiore e superiore alle mute di taglio.

1784 Le lastre grezze a conclusione

dell’operazione di segagione.

1785-1787 Blocchi di granito sottoposti

alla segagione con acqua e graniglia di

acciaio all’interno di telai multilama.

parallele (le cosiddette mute) effet-tuano la segagione dei blocchiposizionati all’interno del telaio otte-nendo un numero di lastre infunzione del volume litico sottoposto

a segagione e della spaziatura reci-proca delle lame che determina lospessore delle lastre.Tali impianti sono riconducibili - infunzione delle modalità di funziona-mento delle mute (movimentorettilineo o pendolare) - a due tipiprincipali, destinati l’uno al taglio deigraniti (e rocce assimilabili) e l’altro aimarmi e litotipi affini.«Un primo tipo di telai - precisa PieroPrimavori -, adatto al taglio deiblocchi di granito e delle rocce assi-milate, presenta una cinematicapendolare (più raramente semi-rettili-nea) delle lame che scorrono con unmovimento di andirivieni incidendo ilblocco; la segagione si realizza comeconseguenza dell’azione combinata di

lame più la cosiddetta torbida abrasi-va. Quest’ultima è costituita da acqua,calce e graniglia di ghisa (o acciaio) eviene immessa con continuità dall’altotra le lame ed il blocco. La torbidaviene costantemente mantenuta effi-cace con prelievi della parteconsumata dal taglio in corso, sosti-tuzione della frazione esausta ereimmissione in circolo per mezzo diun impianto di pompaggio.Un secondo tipo di telai, adatto altaglio dei marmi e rocce assimilate,presenta una cinematica rettilineadelle lame nel corso della loro cala;qui la segagione si realizza mediantel’azione di segmenti diamantati iquali, saldati sul bordo inferiore dellelame, abradono il blocco durante loscorrimento delle stesse. Durante laloro azione le lame vengono irroratecon abbondante acqua allo scopo direfrigerare l’utensile e di asportare idetriti di taglio. Di questo tipo di telai

si possono avere sia modelli ove lelame si muovono verso il basso sulblocco mantenuto fermo, sia modelliin cui è il blocco ad essere sospintoverso l’alto, sia modelli in cui la mutadi lame è disposta verticalmente.»(P. Primavori, I materiali lapidei orna-mentali. Marmi, Graniti e Pietre, Pisa,ETS, 1997, p. 188).

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Il processo di segagione consiste,quindi, nel ridurre i blocchi in unaserie di lastre dello spessore richiesto(si assumono, in genere, come spesso-ri standard le dimensioni di 2 e 3 cm,anche se recentemente si è diffusoanche lo spessore di 1,5 cm) alternati-vo. Tali lastre alimentano tutta la retecommerciale dei lapidei costituita –fatta eccezione per i grandi poliattrezzati per la trasformazioneprimaria - da medie e piccole aziendeo da laboratori artigiani privi diimpianti di segheria, in grado però disvolgere tutte le fasi successive dellelavorazioni ad alto contenuto dispecializzazione e di valore economicoaggiunto.Le lastre, in altri termini, vanno acostituire il primo e, sicuramente, ilpiù importante prodotto standard dacui - attraverso successive fasi dilavorazione - è possibile ottenerevariegate e più specializzate produzio-ni di serie.La loro riduzione in elementi di serie oin componenti speciali a misura(questi ultimi in funzione di specificheprescrizioni di progetto) avvieneattraverso la fase di rifilatura a mezzodi macchinari quali le frese, distingui-bili in frese a ponte e frese multidisco.Segagione con tagliablocchi. Per lasegagione dei blocchi informi (comepure di quelli sottomisura o condifetti strutturali visibili) di cattivaresa economica se lavorati ai telaimultilame, è stata introdotta, succes-sivamente al telaio multilama, unamacchina per il taglio diretto deimonoliti a mezzo di apparati mecca-nici di inedita concezione checonsentono una riduzione significati-va dei costi.Si tratta di una macchina, dotata didischi diamantati di grande diametro,a cui è stato dato il nome di taglia-blocchi, capace di valorizzareeconomicamente anche il taglio diblocchi difettosi che, altrimenti,sarebbero destinati ad invadere i piaz-zali di cava o ad ingrandire lediscariche. Per il taglio utilizzano unoo più dischi diamantati disposti verti-calmente e un disco inferiore a taglioorizzontale.La macchina tagliablocchi è posta inapertura della linea di produzione dilastre standard (di piccole e mediedimensioni) di marmo (modularmar-mo), di granito (modulargranito) o dialtri litotipi assimilabili. L’offertaeconomica molto competitiva di taliprodotti negli ultimi decenni ha

consentito un allargamento d’uso deilapidei ornamentali anche a settoridell’edilizia tradizionalmente esclusiinnescando, indirettamente, una piùgeneralizzata attenzione verso leproduzioni più pregiate.La segagione dei blocchi viene effet-tuata grazie ad una serie parallela digrandi dischi diamantati (la muta),rotanti in senso verticale, a cui èassociata l’azione complementare diun disco orizzontale agente in posi-zione più bassa. La distanza tra i varidischi verticali oppure la translazioneorizzontale dell’unico disco verticaledetermina lo spessore della filagna; latraslazione verticale del disco orizzon-tale ne regola l’altezza, mentre lalunghezza è funzione della dimensio-ne maggiore del blocco.La muta taglia il blocco, fino ad unaprofondità pari al raggio dei dischiverticali (massimo 60 cm), producen-do delle strisce o liste (filagne, ingergo produttivo) con lunghezzecommisurate alle dimensioni delblocco e con spessori (anche al disotto del centimetro) in funzione delleesigenze di produzione e delle carat-teristiche dei litotipi impiegati); undisco diamantato - di dimensioni piùpiccole - taglia, contestualmente allabase, in senso orizzontale ogni singolastriscia di materiale litico.Ripetendo più volte tale operazione i

dischi completano, per mandatesuccessive, la segagione di tutto ilvolume del blocco in lavorazione,ridotto - alla fine - in una serie difilagne di eguale altezza e spessoreda considerarsi quali semilavorati dipartenza capaci di alimentare, lungouna linea di produzione continua edautomatica, le lavorazioni successive(ritaglio, levigatura, lucidatura, bisel-latura degli spigoli) utili alconseguimento di prodotti finiti perla posa.Le filagne trovano, subito dopo lamacchina tagliablocchi, delle unità ditaglio a misure fisse; si tratta di appa-recchiature - identificate con il nomedi attestatrici - formate da un bancoa rulli sui quali sono movimentate i

vari elementi che vengono tagliatiperpendicolarmente alla direzione discorrimento.All’interno del processo produttivocon tagliabloccchi è da evidenziareuna specifica prerogativa legata aimateriali marmorei e a tutti i litotipiad essi assimilabili per durezza. Per ilmarmo, a differenza dei graniti le cuifilagne sono sempre tagliate nellospessore definitivo, si possono preve-dere spessori maggiori (masselli) perpoi procedere - tramite appositeattrezzature denominate scoppiatrici- ad una successiva suddivisione inspessori minori; tale procedimentoconsente di innalzare la velocità dilavoro della macchina tagliablocchiattrezzata con dischi maggiormentedistanziati fra loro.La macchina tagliablocchi è, comun-que, rigidamente legata al concetto diproduzione standardizzata (con unalarghezza massima, in base alle poten-zialità odierne, di 60 cm) valida per larealizzazione di elementi per pavimen-tazioni e rivestimenti, (gradini, soglie,coprimuri, ecc.) purché di dimensioniunificate e di serie.Taglio e rifilatura. È questa l’operazio-ne che consente la riduzione a misuradelle lastre secondo le esigenze diserie o le richieste specifiche diprogetto. Tale tecnologia, universal-mente impiegata per la

trasformazione e la specializzazionedelle lastre prodotte dai telai multila-ma, è legata a dispositivi meccanici edutensili che eseguono sia il lavoro ditaglio che quello del ritaglio e dellarifilatura, indipendentemente daidiversi litotipi impiegati.Le operazioni sono effettuate median-te dischi metallici - dotati diplacchette diamantate - predispostisingolarmente, o in linea, all’internodi macchine tagliatrici chiamate freseche si differenziano per caratteristichedimensionali, cinematismi, numero ediametro dei dischi, modalità di cari-camento: frese a ponte (o a banco),frese multidisco continue, frese abraccio (o a bandiera).Frese a ponte. Insieme agli impianti a

telaio multilama le frese a pontecostituiscono le attrezzature princi-pali di ogni importante azienda ditrasformazione dei lapidei. Il nomederiva dall’architettura della macchi-na impostata a partire da duestrutture metalliche parallele, ancora-te al suolo, sulle cui guide superioriscorre una trave-ponte; a quest’ulti-ma viene collegato il gruppo motoree il relativo mandrino con il discodiamantato di taglio. Un bancale diappoggio, in genere girevole e movi-mentabile in direzione verticale,disposto al di sotto della struttura aponte, completa l’attrezzatura diservizio della fresa di taglio.La combinazione dei movimenticonsentiti dal meccanismo della traveponte attrezzata con il disco diaman-tato (avanzamento sull’asse portante,traslazione orizzontale sui binari discorrimento, traslazione verticaleverso l’alto e verso il basso), unita-mente alla rotazione del banco dilavoro su cui viene posizionato ilmateriale, consente di operare i tagliortogonali programmati sulle superficidelle grandi lastre con facilità e velo-cità di resa. Le macchine più recenticomandano elettronicamente tutti imovimenti del bancale girevole e delponte porta disco.L’ampio grado di flessibilità, unito

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1788 Macchina tagliablocchi in azione.

1789-1790 Macchina contornatrice a

controllo numerico per lavorazioni

speciali delle lastre.

1791-1792 Blocco monolitico per doccia

ottenuto con tagliatrice a filo

diamantato.

1793-1794 Macchina di taglio water-jet

in azione e dettaglio dell’elemento

architettonico di granito.

1795-1796 Macchina a controllo

numerico (tagliatrice a filo diamantato)

in azione ed elementi curvi in massello

dopo le operazioni di taglio.

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all’elevata capacità produttiva, haimposto la fresa a ponte comemacchina ideale per operazioni ditaglio delle lastre di serie di qualsiasilitotipo per la produzioni di elementida pavimentazioni e da rivestimento.Frese continue multidisco. A differen-za delle frese a ponte dove le lastrelitiche sono ferme (salvo le rotazionie i movimenti verticali prodotti dalbanco) e si muove l’apparecchiaturadi taglio, nelle frese continue multidi-sco è la lastra ad essere movimentata(secondo una velocità predetermina-

ta) fino ad incontrare i dischidiamantati stabilmente fissati ad unatrave d’acciaio. Queste macchinepermettono il taglio di una lastra pervolta, sia pur in rapida successione; lasequenzialità delle fasi di produzioneè resa possibile da una serie di nastritrasportatori, banchi rotabili e stazio-ni fisse.Le frese continue individuano unatipologia di attrezzature utili pereseguire, in contemporanea, piùtagli; quando sono attrezzate conun bancale girevole e un pontemobile a più dischi, consentono dieffettuare anche tagli a squadraortogonali fra loro.Frese a braccio (o a bandiera).Costituite essenzialmente da un

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gruppo motore con mandrino porta-disco ed un banco che scorre suguide d’acciaio, queste macchinerappresentano le attrezzature piùantiche e convenzionali per il tagliodella pietra.Si tratta di apparecchiature, cheeffettuano le operazioni sul materia-le litico posizionato orizzontalmentesu un bancale scorrevole, capaci diconsentire ogni tipo di lavorazione(con tagli sia verticali che inclinati)ma non funzionali alle lavorazioni diserie. Sono normalmente impiegate

superfici destinate a rimanere a vista(su cui ci soffermereno nel prosieguodella trattazione) od anche a quelleche specializzano le coste e le teste;per queste ultime lavorazioni oggi-giorno, si utilizzano sostanzialmentedue tipi di attrezzature automatiche:macchine lucidacoste e macchineforatrici e slottatrici.Macchine lucidacoste. Sono macchi-ne specializzate nella sagomaturadelle coste delle lastre (secondodiversi tipi di profili) e nella loro luci-datura in tutti quei casi in cui la

per limitate produzioni di lastresottili, di semilavorati in masselloquali soglie, gradini e lastre a fortespessore.Macchina di taglio water-jet. Graziead un getto d’acqua ad altissima pres-sione questa macchina, di concezionerecente, ha la capacità di incidere etagliare lastre e masselli litici conspessori di taglio ridottissimi (inferioriai 2 mm) e profondità fino ai 150mm.Possono essere mescolate all’acquaanche sostanze abrasive per aumen-tare le potenzialità della macchina.Tagli e lavorazioni speciali. Le lastre,dopo essere state rifilate, possonoessere sottoposte alle operazioni checaratterizzano con finiture speciali le

successiva posa in opera lo richieda.Tali lavorazioni interessano partico-larmente gli elementi e icomplementi d’arredo (tavoli,banconi da bar e da negozi, piani dabagno o da cucina ecc.); ma noninfrequentemente anche gradini discale, davanzali, soglie, e componentispeciali per rivestimenti d’esterni.Si tratta di macchine continue costi-tuite da una serie di mandrini cuisono collegati utensili abrasivi i qualismussano gli spigoli, calibrano, levi-gano e lucidano le coste, ecc.;all’interno del processo produttivo lelastre in lavorazione sono trasportateda un nastro mentre i vari utensilioperano in successione sulla sagomadelle coste.

Macchine foratrici, slottatrici, kerfa-trici. Si tratta di macchine moltorecenti, dotate di mandrini, atte adeffettuare una serie diversificata dialloggiamenti (kerf, slot, fori) per gliancoraggi metallici.Con tali macchine è possibile realizza-re nei pannelli litici tutti i tipi di fori oscanalature per gli ancoraggi metalliciutili al montaggio a secco dei rivesti-menti sottili, diffusisi particolarmentea livello internazionale negli ultimidecenni.Macchine a controllo numerico perlavorazioni in forti spessori. Il settoredei lapidei, grazie alla diffusione dimacchine che utilizzano il diamante ele nuove tecnologie elettroniche edinformatiche, offre oggi un’ampiagamma di possibili lavorazioni dellapietra in spessori notevoli, rendendocosì accessibile una serie di lavorazioniche fino a poco tempo fa erano di altocontenuto artigianale e risultavanoestremamente lunghe e costose.Macchine sofisticate, con automazio-ne dei cicli produttivi programmabilitramite controllo numerico (CNC),possono eseguire qualsiasi movimen-to per l’ottenimento di concavità,convessità, curve irregolari e sagoma-ture di varia natura che primarichiedevano un laborioso lavoromanuale.Tra queste macchine assolutamenteinnovative vanno annoverate le taglia-trici a filo diamantato multiassiali(fino a 5 assi di lavoro), le frese sago-matrici, i torni, i copiatori, lecontornatrici.A gestire le operazioni di tali utensili,pilotandone i movimenti di tipo robo-tico, sono i software di tipo CAD-CAM(Computer Aided Drafting - ComputerAided Manufacturing) con cui si“editano graficamente” i disegni deglielementi da realizzare elaborati nelpiano e nello spazio tridimensionale.Le principali applicazioni di questiprocedimenti di taglio si hanno nellarealizzazione di pezzi strutturali especiali per l’architettura, neglielementi di arredo e nella sculturacontemporanea.

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inserite lungo le linee continue edautomatiche del ciclo di lavorazionedelle lastre.Resinatura. A fronte dei litotipi piùduri e compatti che non necessitanodi particolari trattamenti, se non diquelli finalizzati alla valorizzazionedell’aspetto finale, alcuni materialilapidei - a causa di intrinseche critici-tà strutturali (presenza di fratture,scarsa compattezza, ecc.) - richiedonodelle lavorazioni speciali capaci diprodurre un loro rinforzo.La resinatura individua un trattamentodi preparazione normalmente applica-to su marmi, brecce, calcari nonparticolarmente compatti; frequente-mente riguarda litotipi colorati.Per specifici litotipi pregiati, ma debolistrutturalmente, quali il giallo Siena eil Portoro il trattamento di consolida-mento inizia ancora prima delle fasi disegagione del blocco attraverso latecnica dell’incamiciamento (incollag-gio, su almeno due lati del blocco, dilastre di marmo - più raramente dilegno - capaci di attutire lo stressmeccanico della segagione su questimateriali fragili); ad integrazione

dell’incamiciatura vengono, a volte,effettuate anche delle colate (od inie-zioni) di resine trasparenti miste agranulati di marmo.Tutta una serie di litotipi colorati, divalore commerciale medio-alto, purnon presentando fratture e disconti-nuità così marcate come nel caso delgiallo Siena e del Portoro, richiedono- al fine di innalzare le caratteristichemeccaniche del materiale - un tratta-mento di rinforzo eseguito con resinea base poliestere o epossidica.Le resine poliestere sintetiche utilizza-

te nel settore lapideo sono, comune-mente, di tonalità giallo paglierino; infunzione delle specifiche esigenze dicompatibilità rispetto ai diversi carat-teri cromatici dei litotipi possonoessere facilmente pigmentate e modi-ficate sotto il profilo cromaticomediante polveri d’ossido. Fibre divetro o di carbonio possono, invece,essere aggiunte alle resine poliestereper innalzare le caratteristiche di resi-stenza e di flessibilità.Le resine epossidiche sono caratteriz-zate, rispetto alle poliestere, da unpiù elevato coefficiente di adesione edi penetrazione; per quanto riguarda,invece, il loro aspetto si presentanoattraverso una elevata trasparenzache ne consiglia un uso privo di addi-

Scabrezza, rugosità, levigatezza,lucentezza, colore, opacità, traslucen-za, rappresentano i diversi “statilatenti” dell’epidermide litica e, con-seguentemente, dei caratteri singo-larmente selezionabili, con l’obiettivodi una enfatizzazione o attenuazio-ne-obliterazione, mediante specificheazioni eseguite sulla materia. È possi-bile fornire un lungo elenco di tratta-menti specializzati per i materiali liti-ci, effettuati con tecniche diversifica-te, fra cui: stuccatura, resinatura,levigatura, lucidatura, spuntatura,bocciardatura, rigatura, fiammatura,sabbiatura, spacco, water jet, laser,anticatura, spazzolatura.Le categorie di litotipi risultano ido-nee, in modo molto differenziato, a

ricevere tali trattamenti .Stuccatura. La stuccatura rappresentaun trattamento particolare, definibiledi preparazione, applicabile ad unnumero molto ristretto di litotipi; inparticolare viene impiegato all’inter-no della famiglia dei travertini. Lapresenza in questi materiali, diorigine chimica, di discontinuità della

struttura costitutiva (sottoforma dipiccole cavità e fratture ad andamen-to lineare) consiglia, ai fini delconseguimento di una completauniformità e omogeneità delle super-fici, la sigillatura a mezzo di stucchidi tonalità compatibile.Si può procedere, in queste operazio-ni, sia manualmente (stendendo iprodotti sigillanti con appositespatole), che meccanicamente, sfrut-tando apposite macchine stuccatrici;queste ultime, strutturalmente similialle lucidatrici a nastro, risultano

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LE METAMORFOSI DELLE SUPERFICI

LITICHE

In genere per trattamenti o finituresuperficiali s’intendono i risultati diuna o più lavorazioni eseguite sullefacce principali delle lastre al fine diconferire loro specifiche caratteristi-che d’aspetto o funzionali. La finiturasuperficiale delle lastre rappresental’odierna strategia di lavorazione perla valorizzazione delle potenzialitàprestazionali ed espressive dei pro-dotti lapidei.

tivi coloranti.Il trattamento della resinaturaprevede la spalmatura (ma, in casispecifici, anche la spruzzatura o ilprocedimento per caduta) sullasuperficie delle lastre, disposte subanchi di lavoro orizzontali, di resinepigmentate con tonalità conformialle caratteristiche dei materiali litici

su cui sono applicate; il cospargimen-to delle resine viene, in genere,effettuato in forma uniforme su tuttala superficie e nel caso di evidentifratture anche in forma puntualesulla faccia da lasciare a vista. Le resine penetrando e costipando lefessure naturali del materiale nerendono la superficie più compatta,resistente e lavorabile.Se le lastre trattate con il procedi-mento della resinatura nonraggiungono ancora le caratteristichetecniche idonee per affrontare le fasi

successive di trasformazione è possi-bile prevedere operazioni aggiuntivedi rinforzo. Una prima tecnica equella indentificata dalla “retinatura”.Si tratta dell’applicazione sulla super-ficie opposta a quella destinata arimanere a vista di una rete in fibre diplastica o di vetro sulla quale, ai finidel suo fissaggio e funzionalità, vienosteso un sottile strato di resina o dimastice collante.Operazioni di rinforzo delle lastrepossono essere effettuate adottandopannelli sottili o anche impiegandouna “bacchettatura” che prevede, sulretro della lastra, l’applicazione di unlistello di ottone (con sezione, ingenere, compresa fra i 10x3 mm e i15x5 mm) interamente inserito e resosolidale tramite mastice nello spesso-re del materiale litico dopo che vi èstata praticata un’apposita scanalatu-ra tramite fresa. Questa tecnica, ditipo “lineare”, risulta particolarmenteefficace e opportuna nei grandipannelli di rivestimento (a frontesoprattutto di contenuti spessoridelle lastre), nelle superifici a sbalzo ein tutti quei semilavorati speciali(piani e superfici per l’arredamento ol’architettura d’interni).Levigatura. Tenendo presente che,oggigiorno, i semilavorati lapideiornamentali si presentano sulmercato prevalentamente comeprodotti frutto del procedimento disegagione a telaio, si intuisce come lasuperficie a piano di sega rappresentila condizione di partenza di molte

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lavorazioni successive.A valle del processo di segagione deiblocchi litici al telaio multilama,come già evidenziato, ritroviamo lelastre caratterizzate da facce estre-mamente complanari. Si tratta disuperfici a piano di sega le cui speci-fiche caratteristiche sono fruttodell’azione combinata delle lamemetalliche e del tipo di abrasivoutilizzato (graniglia metallica, sabbia,polvere diamantata); l’aspetto super-ficiale delle lastre risulta - a secondadei casi - più o meno regolare ed

omogeneo. Nel comparto dei graniti,la cui elevata durezza comporta l’usodi graniglia metallica, la segagione altelaio multilama è molto impegnativae influenza le caratteristiche dellasuperficie a piano di sega; si registra-no frequentemente risultati nonsoddisfacenti (“malsegagione”) conevidenti rigature, discontinuità,mancanza di planarità superficiale.Nei casi in cui il conseguimento diuna superficie perfettamente conti-nua e planare delle lastre risultainsoddisfacente si procede attraversolavorazioni integrative quali la cali-bratura e la levigatura.Si tratta di metodiche di interventosul materiale lapideo inquadrabiliall’interno dei trattamenti a rasamen-

to che utilizzano attrezzature le qualiazionano e movimentano, sullesuperfici delle lastre, mole ed utensiliabrasivi appositamente testati all’uso;la calibratura è indirizzata essenzial-mente a verificare, ed eventualmentea correggere, planarità e tolleranzedimensionali dei semilavorati lastri-formi; la levigatura, invece, ha comeobiettivo la restituzione delle faccedelle lastre perfettamente piane ed èapplicabile a tutte le categorie di lito-tipi salvo quelli poco tenaci ecompatti. Le superfici risultanti da

questi trattamenti - salvo casi rari -non rappresentano soluzioni dalasciare a vista.È possibile lavorare le superfici attra-verso diversificate gradazioni dilevigatura: grossa, media, fine, finissi-ma, satinata (detta anche semilucida).La levigatura consente di portare allaluce una prima definizione dei coloridi fondo dei litotipi benchè le grada-zioni e i toni risultano comunementeopachi, stonalizzati e “velati” al tatto.Lucidatura. Tale procedimento, indub-biamente fra i più peculiari e diffusinel settore dei lapidei, può essereconsiderato come una sorta di prose-cuzione-completamento dellalevigatura; si caratterizza come trat-tamento misto, di tipo fisico-chimico,

indirizzato alla chiusura di tutti i poridell’epidermide dei litotipi e all’otte-nimento di piani speculari con lamassima esaltazione dei toni, dell’in-tensità e della brillantezza dei coloridei materiali.Il conseguimento di superfici croma-ticamente intense e speculari siottiene grazie all’azione di rasamentocontestuale all’applicazione diprodotti lucidanti differenziati aseconda dei litotipi (l’ossido distagno, l’acido ossalico, piombo inlamine sottili, ecc).

Rappresenta, allo stesso tempo, un“trattamento-verifica” nel senso chele qualità o i difetti del materiale(mancanza di disegno, disomogeneitàdi colore, ecc) diventano - a seguitodella lucidatura - palesi ed immedia-tamente percepibili.Le macchine sono simili (se non,spesso, le stesse) di quelle utilizzateper le operazioni di calibratura elevigatura, rispetto alle qualivengono modificati unicamente gliutensili e i tipi di abrasivi.Comunemente sono impiegateattrezzature scelte in funzione dellediverse categorie di litotipi (marmi,graniti e travertini), delle caratteri-stiche morfologiche e quantitativedei semilavorati da sottoporre a

lavorazione; in particolare si hanno:lucidatrici continue a nastro, lucida-trici a ponte e lucidatrici manuali.Le prime due tipologie - legate ai cicliseriali di trasformazione - trovanolarga utilizzazione nelle aziendespecializzate che movimentanograndi quantità di lastre con esigenzedi una forte produttività giornaliera;le lucidatrici manuali - invece - sonodi tipico impiego nei laboratori dicarattere artigianale con lavorazioniin piccola serie o addirittura di pezzisingoli e speciali.Le lucidatrici a nastro sono general-mente impiegate per portare alustratura elementi lastriformi conspessori compresi fra i 2 e 6 cm,ottenuti attraverso il procedimento

1797-1799 Negozio Olivetti a Venezia

(1957-1958) di Carlo Scarpa: gli

elementi in pietra d’Istria che hanno

ricevuto lavorazioni manuali ad urto.

1800-1802 Le operazioni di retinatura di

una lastra di marmo colorato.

1803-1806 Trattamenti ad urto di tipo

manuale con livelli decrescenti

d’incisione dell’epidermide litica.

1807-1810 Trattamento di lucidatura su

litotipi colorati.

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di segagione a telaio multilame; talilastre, predisposte in serie su di unnastro trasportatore a rulli, sonofatte avanzare a velocità controllatasotto i gruppi lucidanti (denominatianche teste); gli utensili con isupporti di abrasione, a granaprogressivamente più fine, simuovono esercitando una pressionesecondo direzionalità programmate edifferenziate (complanari e perpendi-colari alla faccia delle lastre conazioni oscillanti e basculanti) fino adottenere la lucidatura.La metodica “continua” di esercizio diqueste macchine implica l’assenza diinterruzione nell’alimentazione dellelastre sottoposte in sequenza, al ciclodi lucidatura; queste transitano,senza soste, sotto l’azione delle“teste” di abrasione fino alla perfettacomplanarità e lucentezza finale.Le lucidatrici a ponte - anch’esse inuso all’interno di grandi aziende ditrasformazione - sono costituite dauna trave in acciaio su cui vienefissato il gruppo motore con utensiliabrasivi lucidanti; la trave può scorre-re su dei binari orditiperpendicolarmente all’asse longitu-dinale, il gruppo motore lungo lostesso asse della trave. Al di sotto ditali dispositivi mobili è attrezzato unbanco, anch’esso regolabile, su cuivengono posizionate orizzontalmentele lastre da lucidare.Benché tali macchine siano utilizzabi-li anche per le produzioni di serie, ilvero campo d’impiego è legato allelavorazioni speciali, in particolaredelle lastre a grande spessore, nonmovimentabili lungo le linee dellelucidatrici a nastro; rispetto a questeultime si ha la possibilità di uncontrollo diretto dell’elemento inlavorazione che risulta fisso sulpianale del banco sotto l’azione delgruppo lucidante. Quest’ultimo, per ivari gradi di finitura, procede attra-verso la sostituzione progressiva didiversificati tipi di abrasivi. Lemacchine più recenti sono fornite diapparecchiature che consentono lalettura della forma e delle dimensionidegli elementi da lucidare al fine dicalibrare la pressione di lavoro e laripetitività di alcune operazioni susettori particolari.La lucidatrice manuale, denominata“manettone” nel lessico gergale deilavoratori, completa la serie dellemacchine utili a “dar lustro” e ad enfa-tizzare il valore cromatico dei litotipi.Si tratta della più tradizionale appa-recchiatura formata essenzialmenteda una testa lucidante collegata adun braccio snodato che agisce -grazie ad un “indirizzamento”manuale - su tutta la superficiedell’elemento a spessore o dellalastra posizionata orizzontalmente efissata sul pianale del banco; anchein questo caso - come la lucidatricea ponte - è possibile avere un

controllo dell’avanzamento del lavoroe della qualità della lucidatura inqualsiasi momento. Massimo della lucentezza e dellaspecularità, intensificazione dei tonidelle tinte cromatiche unitamentealla messa in evidenza del disegnografico dei materiali legato alla granae alla distribuzione dei diversi mine-rali, all’andamento e forma dellevenature, ecc., sono i caratteri pecu-liari del processo di lucidatura le cuiapplicazioni trovano ampio spazio neirivestimenti esterni ed interni dell’ar-chitettura, nelle pavimentazioni dipregio e in tutti gli oggetti di designe di arredamento.È opportuno evidenziare come lalucidatura, in quanto trattamentochimico-fisico, oltre al forte contribu-to nella valorizzazione estetica, agiscaanche in direzione di un notevoleinnalzamento della capacità di resi-stenza dei materiali litici rispetto alleaggressioni atmosferiche (soprattuttodi natura chimica) in quanto l’azionedi levigatura e di “lustratura”, implici-tamente, tendono a chiudere leporosità superficiali del materialeformando una pellicola protettiva cheimpedisce agli agenti inquinanti dipenetrare con facilità all’interno.È da sottolineare, infine, come la luci-datura rappresenti una lavorazionespartiacque utile ad una certa classi-ficazione commerciale fra le variefamiglie di litotipi. Le rocce sulle qualitale trattamento risulta impraticabile(o poco durevole) rientrano general-mente nella famiglia delle pietre chetrovano proprio in questa limitazioneuno degli aspetti fondamentali didifferenziazione rispetto ai marmi, aigraniti e ai travertini.

Trattamenti ad urto. Le tipologie deitrattamenti ad urto sono numerose epeculiari delle lavorazioni storichedei materiali litici; consentono dipervenire, anche con la stessa pietra,a risultati molto differenziati persegno di incisione, per resa cromaticae chiaroscurale del materiale stesso.Vengono inscritti in questa variegatacategoria tutti i procedimeni dilavoro effettuati a mezzo di utensilimetallici a percussione con conse-guente trasformazione della faccialiscia della lastra in superficie“incisa”, “corrugata”, “scavata”, concaratteri e livelli di intensità più omeno accentuati.Fra i vari trattamenti quelli ad urto -al pari di quelli a fiammatura -richiedono spessori maggiori perassorbire l’effetto dinamico degliutensili di percussione. In linea gene-rale è possibile distinguere duefamiglie di trattamenti ad urto infunzione dei caratteri assunti dalletracce sul materiale:- incisioni di tipo puntiforme (più omeno profonde e ravvicinate) prodot-te normalmente dalla spuntatura,bocciardatura, martellinatura, punti-natura, sabbiatura, ecc.- incisioni di tipo lineare (più o menoampie e marcate, rettilinee o anchecurve od incrociate) frutto dell’azionedella rigatura, gradinatura, scalpella-tura, rullatura, graffiatura, ecc.In linea generale è bene evidenziarecome nei procedimenti ad urto silavori secondo una logica oppostarispetto ai procedimenti a rasamento(in particolare alla lucidatura). Piùche l’enfatizzazione dei carattericromatici delle superfici piane erisplendenti, ciò che qui interessa èl’incisione, il “chiaroscuro”, la “corru-gazione” della materia litica; ciòspiega come la larga diffusione deitrattamenti ad urto sia tipica - anchese non esclusiva - delle pietre e deitravertini, materiali più refrattari allalucidatura, alla messa in gioco deivalori cromatici.Gli utensili applicati alle modernemacchine di lavorazione “replicano” inomi degli attrezzi tradizionali delloscalpellino: bocciarde, martelline,penne, raschini, gradine, scalpelli ecc.Allo stessso modo la terminologia deitrattamenti meccanici ad urto -spuntatura, bocciardatura, rigatura,martellinatura, ecc. - si ricollega aitradizionali magisteri di lavorazionedelle pietre.Si conseguono i migliori risultatid’aspetto in presenza di materiali agrana fine (capaci di registrare l’azio-ne incisiva e modificatrice degliutensili, impedendo sbeccature escalzamenti dei cristalli costitutividella struttura litica) e di colorazioneintensa e monocromatica; marmi,calcari, arenarie, ardesie e numerosealtre pietre - contrassegnati da talicaratteristiche - rappresentano le

catergorie litologiche in cui sono piùdiffusi i trattamenti ad urto; i graniti,invece, a causa dello specifica costi-tutività mineralogica che influenza lastruttura granulare di superficie,restituiscono in modo “appiattito” epoco efficace tali lavorazioni, soprat-tutto quelle poco incivise e profonde.Un vantaggio dei trattamenti ad urtoè di consentire l’impiego anche dipartite di materiale non perfettamen-te omogenee quanto a colori o adisegno (ovvero le partite commer-ciali di seconda e terza scelta) graziealla loro capacità di modificare lasuperficie del materiale, di maschera-re la disuniformità attraverso l’azionedistraente di una “rugosità ricopren-te”, in sostanza di una metamorfosisostanziale dell’epidermide a vista.Spuntatura. Fra i più antichi tratta-menti superficiali della pietra laspuntatura è indirizzata al raggiungi-mento di un effetto di sostenutaincisione che alterna parti scavate eparti in rilievo con un risultato parti-colarmente valorizzativo dei materialilitici a grana fine (tipica di alcunimarmi ed arenarie, ma soprattuttodei calcari) capaci di registrare, senzafrantumarsi, le azioni di percussione.L’effetto di rilievo della spuntatura,soprattutto se effettuata con utensiligrossi, si presenta con il massimo diintensità all’interno di tutti i tratta-menti ad urto compresa labocciardatura.Attualmente sono disponibili macchi-ne spuntatrici automatiche capaci diazionare pesanti utensili pneumatici(in sostituzione della vecchia “subbia”,usata dai lapicidi nell’esecuzionemanuale) sulla superficie litica; inparticolare tali attrezzature (che sipossono considerare come variantidelle macchine bocciardatrici) eserci-tano un’azione incidente a mezzo discalpelli di varie dimensioni che deter-minano un’alternanza di zone inrilievo e zone incavate sul cui fondo sileggono le tracce dei colpi inferti.L’effetto finale è legato, chiaramente,alle dimensioni degli utensili adottati eall’intensità dell’azione di percussione.Si usa distinguere, comunemente, trelivelli di spuntatura: grosso, medio efine dove l’effetto di rilievo e didepressione va, progressivamente,attenuandosi. L’utilizzo della spunta-tura grossa e media èparticolarmente diffusa nei rivesti-menti esterni con elementi di grandeformato e di significativo spessore; lospuntato fine è eseguibile, invece,anche nei piccoli formati.Bocciardatura. Replicativa di unadelle più antiche modalità di lavora-zione superficiale dei marmi e dellepietre dotate di un’adeguata durezza,la bocciardatura ricerca il carattere diuna minima rusticità del materialevalorizzando la tessitura costitutivadel litotipo. Gli “incavi” che disegna-no una sorta di puntinato sono

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distribuiti sulla superficie in formaregolare con scavi più o meno larghie profondi in funzione del tipo dipunzone impiegato e della forza dipercussione esercitata. L’effettobocciardato - scabro e in rilievo - puòessere paragonato alla configurazionesuperficiale di una buccia di arancia.La bocciardatura è indirizzata, più chea modificare il colore, ad interveniresulla tessitura costitutiva dei diversilitotipi; le tracce sul materiale sipresentano con dimensioni mai supe-riori ad alcuni millimetri.Lungo le linee seriali di lavorazioni labocciardatura delle lastre viene effet-tuata mediante attrezzature a ponteautomatiche e veloci che agisconoperpendicolarmente alla loro facciamediante gli utensili capaci di imitarel’effetto della tradizionale bocciarda(martello piatto a fitte punte pirami-dali). Le marcature superficiali sipresentano più fitte e meno in rilievodi quelle della spuntatura però conuna modificazione più sostanziale delcolore di fondo dei litotipi; all’internodelle parti ribassate è evidente la fittapunteggiatura bianca prodotta dallepunte degli utensili di percussione.È consuetudine distinguere tre livellidi trattamento bocciardato: grosso,medio e fine.La bocciardatura trova applicazioneprivilegiata ed ampia in esternosoprattutto nei rivestimenti verticali(in cui l’effetto chiaroscurale riesce amascherare anche eventuali difformi-tà e variazioni cromatiche delmateriale adottato) e negli elementispeciali (stipiti, architravi, zoccolaure,cornici, cordoli, colonne, ecc), menofrequenti gli impieghi nelle superficidi calpestio valutata la minima rugo-

sità assegnata alla materia litica cherisulta di veloce consunzione sottol’azione del calpestio. La bocciardatura, fuori dal cicloseriale e meccanizzato di lavorazione,viene anche eseguita manualmentesia pur utilizzando attrezzaturepneumatiche.Rigatura e gradinatura. Tra i tratta-menti ad urto la rigatura rappresentauna finitura superficiale di tipo conti-nuo e lineare realizzabile anche in“sovraimpressione” sugli altri tipi dilavorazioni (grezze, levigate, lucidate,bocciardate, fiammate). Consiste nelpraticare delle incisioni in forma dipiccoli canali paralleli - più o menoprofondi (2-5 mm) e larghi (8-15mm); tali rigature sono effettuate damacchine attrezzate con dischidiamantati che lavorano coassial-mente. Spesso le macchine per laspuntatura-bocciardatura possonoessere convertite in rigatrici-scalpel-latrici previa rapida sostituzione deltipo di utensile sulla testa operativa.Se interessa pervenire a canali menoregolari è possibile impiegare utensilispecializzati in funzione dei quali siottengono variegati effetti di superfi-cie (rigato, scalpellato, rullato,gradinato). I risultati finali prevedono- tra i solchi adiacenti - a volte“creste” esili e moderate, a voltelarghe e in forte risalto; inoltre isolchi possono essere rettilinei eparalleli, curvi, incrociati con unadiversa resa sotto l’azione della luce,soprattutto nelle fasi in cui i raggiluminosi si presentano radenti allasuperficie litica.Si differenzia, sia pur di poco, daltrattamento di rigatura la lavorazionedella superficie mediante il procedi-mento della gradinaturameccanizzata, effettuata a mezzo diun utensile speciale a forma di rullo;il risultato è quello di una superficiestriata caratterizzata da un disegnopiù fitto ed irregolare. I due tipi dilavoro sulla materia, del tutto assimi-labili, sono particolarmente diffusiall’interno della famiglia litologicadelle rocce arenarie e calcaree e, ingenere, di tutti i litotipi a grana fine;la loro adozione può essere estesa atutti i materiali sia pur con differen-ziata resa qualitativa.Sabbiatura. Si tratta di una lavorazio-ne effettuata da macchine alimentatead aria compressa, che prevede ungetto - a forte velocità e pressione -di una miscela composta da acqua eda una sostanza abrasiva (sabbia omateriali quali il carborundum, ilcorindone, la graniglia, il quarzo,ecc.). Tale trattamento consente, ingenerale, di pervenire ad una finezzadi rilievo della superficie litica.Le lastre, “erose” superficialmentedall’azione delle miscele abrasiveassumono un carattere di morbidaruvidezza, priva di forti asperità edincisioni; il rilievo ottenuto risulta

sempre più attenuato di quello dellabocciardatura; il colore naturale dellitotipo adottato viene maggiormantepreservato a causa della minoremodificazione dello stato superficialedel materiale.La sabbiatura, sia pur applicabile atutti i litotipi, trova largo impiego neigraniti, nei calcari e in alcuni marmi;la minore aggressività portata suimateriali litici - rispetto a lavorazioniquali la bocciardatura o la spuntatura- consente a quest’ultimo trattamen-to di essere praticato anche susuperifici litiche di ridotto spessore(fino ad un massimo di 8 mm). Oltreche ai nuovi materiali, la sabbiaturapuò essere utilizzata negli interventidi restauro come metodo di pulituradei materiali lapidei antichi anneriti eaggrediti dagli agenti atmosferici.

1811-1813 Trattamento meccanico ad

urto delle lastre litiche.

1814-1815 Trattamento ad urto di

litotipi: rigatura.

1816-1817 Trattamento di fiammatura

del granito: la superficie di una lastra e

la macchina a fiamma ossiacetilenica.

1818 Cava di porfido del Trentino

nell’area estrattiva di Albiano con

semilavorati a spacco naturale

accatastati sul piazzale.

Fiammatura. Si è in questo caso difronte ad una operazione di lavora-zione termica ottenuta attraversouna fiamma ossiacetilenica ad elevatatemperatura (che può raggiungere i2500° C), prodotta da cannelli cheagiscono investendo ed “erodendo”parzialmente la superficie secondo unmovimento lento e regolare.I concentrati e bruschi sbalzi ditemperatura sottopongono ad unoshock termico il materiale provocan-do la disintegrazione superficialedello strato litico più esterno condistacco di minutissime scaglievariando sensibilmente le caratteristi-che del materiale e conferendogli unaspetto scabro e un’attenuazione(una sorta di “ammorbidimento”)generale della colorazione di parten-za. Nel dettaglio la fiammatura

modifica l’epidermide litica per unaprofondità di circa 3 mm alternando-ne, in qualche modo, la resistenza; la“perdita” di materiale utile va consi-derata nelle fasi di progettazionemaggiorando gli spessori delle lastre.È necessario evidenziare come solo igraniti e poche altre rocce possonoessere sottoposti a trattamento difiammatura conseguendo risultatiestetici soddisfacenti.Sotto il profilo del risultato finale, lafiammatura si avvicina alle lavorazio-ni ad urto; lo strato più esterno,sottoposto ad uno shock termico convetrificazione dei minerali e perdita diomogeneità di materiale, assume l’ef-fetto di un “vellutato” rilievosuperficiale a cui si si associa, ingenere, un tono cromatico del tuttoparticolare.Applicazioni di lastre trattate confiammatura sono rintracciabili sia nelsettore delle pavimentazioni che inquello dei rivestimenti esterni.Spacco artificiale e piano naturale dicava. È possibile includere in questacategoria sia l’azione semplicementeselettiva di alcune caratteristiche dispecifici litotipi, sia tutti quei proce-dimenti - manuali o meccanici -tendenti a mantenere (o a “ricondur-re”) la roccia estratta ad uno statoprossimo a quello naturale di cavacon i relativi attributi di colore e distruttura costitutiva.

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tura giacimentologica fortementestratificata che in cava evidenziano (olasciano individuare) le linee di estra-zione e di suddivisibilità in spessorivariabili; fra questi le quarziti enumerose pietre (arenarie, alcunicalcari, porfidi, ardesie, ecc.).I contesti di inserimento di elementicon superficie grezza a piano di cavae superficie a spacco tendono a privi-legiare le applicazioni in esterno.Water-jet. In questa parte finale delnostra sintetica rassegna dei variega-ti trattamenti finalizzati a migliorarele prestazioni tecniche o a valorizzarele caratteristiche d’aspetto dei mate-riali litici, è quanto mai opportunosegnalare gli apporti dell’innovazionetecnologica recente che ha investitoanche il settore della trasformazionedei lapidei. L’introduzione dell’infor-

matica all’interno di apparecchiaturemeccaniche ha consentito, in parti-colare, di pilotare con precisioneutensili di lavoro sia nel piano chenello spazio.

I trattamenti con water-jet, con laser,con resine in ambienti sotto vuoto,appartengono a questa fase recente -in progressiva evoluzione - di innova-zione tecnologica e rappresentanol’ultima frontiera dei modi di inter-vento sui lapidei.Il water-jet (getto d’acqua abrasivo),oltre a consentire il taglio o la fora-tura dei semilavorati lapidei inspessori anche molto considerevoli,è utilizzabile per la lavorazionesuperficiale.In tale prcedimento viene proiettata,ad altissima pressione, acqua conaggiunta di minutissime sostanzeabrasive. Scegliendo e combinandoopportuni indicazioni di comandodella macchina water-jet è possibileottenere risultati superficiali differen-ziati nella rugosità e nel disegno dellamateria, molti dei quali similari (e,quindi, anche confondibili) rispettoalla fiammatura, alla scalpellatura,all’anticatura. Alla mancanza di uncarattere specifico ed originale latecnologia del water-jet contrapponeil vantaggio di riunificare, all’internodelle potenzialità di un’unica macchi-na, le prerogative di trattamentoafferenti altrimenti a diversificateattrezzature.Le macchine water-jet più diffuseoperano mediante un combinatomeccanico, formato da un’unità dipressurizzazione dell’acqua e un’unitàdi trattamento mobile lungo un’unicadirezione, che agisce sui semilavoratiposizionati in orizzontale: gli elementilastriformi da sottoporre a lavorazionesono fatti traslare secondo una dire-zione perpendicolare a quelladell’ugello del getto che proiettal’acqua ad altissima pressione.È da segnalare, comunque, come allostato attuale il campo applicativo ditale procedimento - pur molto flessi-bile nel lavorare formati di diversadimensione fino spessori dell’ordinedi 1 cm - sia limitato alle sole super-fici in piano. Caratteristica delwater-jet è la grande precisione dilavoro conseguibile fino ai bordi dellelastre e, parallelamente, la possibilitàdi cambio di tipo di trattamento suglistessi elementi in lavorazione in basead una semplice programmazionedella macchina. L’effetto prodotto datale trattamento sulla grana superfi-ciale del materiale litico va dal“vellutato” al rugoso profondo e nonaltera la naturalità del colore.Attualmente le applicazioni piùfrequenti del water-jet si hanno neirivestimenti esterni in granito.Laser. L’utilizzo della tecnica laserall’interno del settore della trasfor-mazione dei lapidei è ancora agliesordi, risultando - sotto il profiloquantitativo ed applicativo - limitatoe sperimentale. Al pari di quantoavviene con il water-jet è possibilesia effetuare tagli che incidere lesuperfici litiche: gli usi prevalenti ne

Quale risultato del procedimento dispacco s’intendono le superfici delmateriale da lasciare a vista ottenuteagendo meccanicamente su blocchi(o, comunque, elementi litici a spes-sore) lungo un piano prescelto.La spaccabilità dei materiali litici puòpresentarsi sottoforma evidente (se ipiani di separazione sono individuabi-li facilmente ad un’analisi visiva) olatente quando la suddivisibilità simanifesta solo sotto l’azione dellapercussione secondo “piani di debo-lezza” interni.Si usa comunemente distinguere fraspacco prodotto manualmente espacco da macchina; la scelta di taliprocedimenti dipende dalle caratteri-stiche specifiche dei litotipi e dallequantità rischieste dal progetto.Nello spacco manuale sono norma-lemtne impiegati utensili tradizionaliquali mazze e scalpelli (rispettiva-mente per la percussione e lasuddivisione del materiale): scalpelli alama larga e sottile, ad esempio nelcaso delle ardesie capaci di suddivi-dersi in lastre con spessori dell’ordinedi pochi millimetri; scalpelli larghi egrossi - unitamente a mazze pesanti- per separazioni grossolane come nelcaso della pietra di Luserna.Lo spacco meccanico, invece, è effet-tuato a mezzo di attrezzature

moderne (spaccatrici, tranciatrici,scapezzatrici, cubettatrici) in funzionedelle specifiche configurazionimorfologiche, dimensionali e costitu-tive dei materiali litici; il principio difunzionamento è, comunque, pertutte sostanzialmente analogo, conminimi adattamenti: un circuitoidraulico aziona potenti utensilicuneiformi i quali, con cinematismodi percussione, producono la suddivi-sione del materiale.Utilizzando la tecnica dello spacco èpossibile pervenire a piani di distaccodi differenziata configurazione: dasuperfici del tutto lisce e complanari(come nel caso delle ardesie) a super-fici mediamente scabre (pietra diBarge, pietra di Luserna, porfidi delTrentino e molte quarziti) fino a pianidi spacco fortemente irregolari capaci

di enfatizzare la profondità, i contra-sti chiaroscurali e lo spessore (maiinferiore ai 4-5 cm) assegnato aimateriali ; è quanto ottenibile spac-cando litotipi compatti, maattraversati da piani interni di minoreresistenza (come nel caso del traver-tino, della pietra di Prun, della pietradella Lessinia).Nel caso, molto diverso, delle superfi-ci grezze a piano di cava siamo difronte, più che ad un trattamento olavorazione in senso stretto, alla sele-zione e alla valorizzazione dello statonaturale di alcuni litotipi, così comelo si ritrova nell’affioramento roccio-so. Si intuisce, allora, come non sianonecessarie attrezzature e procedi-menti di trasformazione particolaritrattandosi di condizioni offerte dallaroccia sulla quale si interviene unica-mente per ridurla nelle dimensioni dicommercializzazione o di progetto.Offrono favorevoli condizioni allospacco tutti i materiali litici a strut-

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indirizzano attualmente gli impieghiverso la caratterizzazione dell’epider-mide dei semilavorati.La tecnica laser, com’è noto, sfrutta unagrande quantità di energia proiettando-la, ad alta velocità ed in formaconcentrata di fascio, sull’oggetto inlavorazione. La superficie litica, risultan-do incapace di assorbire completamenteil flusso energetico scaricato su di essane viene modificata attraverso un pari-colarissimo tipo di incisione che, in lineagenerale, può essere assimilato ad unasorta di bruciatura o, se si vuole, ad unamarcatura.

Le incisioni (effettuate per unaprofondità estremamente limitata, simostrano attraverso rugosità e rilievimoderati con un’evidente attenua-zione del colore del materiale. Lamassima valorizzazione di tale trat-tamento si ottiene su litotipi daicolori scuri (meglio ancora se lucida-ti). Utilizzando, ad esempio, il granitonero possono essere restituiti effetidi resa grafica (se nono addiritturafotografica).Le attrezzaure laser sono costituite dapiccoli banchi di lavoro su cui agisco-no unità di emissioni dei raggicomandate da sistemi informatizzatiattrezzati per l’acquisizione di imma-gini trasferibili in forma di comandoall’unità operativa capace di translare

e di muoversi sulla superficie inciden-dola. Le caratteristichedell’attrezzatura comportano un’e-sclusiva applicazione su formati liticimedio-piccoli.Di impiego ancora irrilevante nelleapplicazioni tipicamente legate almondo dell’architettura (una specialeadozione, di natura più funzionaleche d’aspetto, si registra in pavimentilucidati che necessitano di unminimo di sicurezza al calpestio dovesi opera con una microforaturasuperficiale non percepibile allosguardo) la tecnologia al laser trovacampo fertile nell’esecuzione di inci-sioni quali scritte, marchi, disegni,immagini su componenti litici,soprattutto se di modeste dimensioni.Il buon risultato del trattamento laserè legato ai litotipi impiegati; i graniti,in generale, sembrano offrire lemigliori caratteristiche per tale tipoinnovativo di lavorazione.La sbalorditiva precisione di riprodu-zione unitamente alla nettezza deicontorni ottenibili e agli aspettitecnologici di silenziosità e scarsausura degli utensili, lascia presagireun sicuro sviluppo futuro di questatipologia di trattamento.Anticatura. Si tratta di un procedi-mento di lavorazione dei litotipiindirizzato a conferire ai semilavoratiun aspetto caratterizzato da una nonperfetta regolarità geometrica e dasuperfici parzialmente logorate estonalizzate capaci di restituire lasensazione di una sorta di invecchia-mento del materiale. I processiattraverso cui normalmente si pervie-ne al risultato dell’anticatura sonoessenzialmente di due tipi: attritomeccanico ed acidatura.Le macchine utilizzate per effettuarel’abrasione meccanica (con parzialeconsunzione di materiale) si suddivi-dono in due categorie a cuicorrispondono minime differenziazioninel risultato finale dei litotipi sottopo-sti a questo tipo di trattamento:macchine con cilindro orizzontalerotante (simili alle betoniere da calce-struzzo) e macchine con cilindroverticale vibrante. Per entrambe glielementi litici da sottoporre ad usura emodificazione morfologica sono ”cari-cati” all’interno dei cilindri unitamentea sola acqua oppure a miscele(composte da da acqua più sabbia oaltri prodotti abrasivi).Dalle dimensioni dei cilindri neconsegue un’applicabilità di taleprocedimento di trattamento adelementi litici di piccolo formato, ingenere lastrine ottenute da operazio-ni di ritaglio di lastre più grandi o dalriciclo di materiale di scarto.Le differenze di risultato sono conse-guenza del tipo di azione cinematicaesercitata sui semilavorati. I cilindriorizzontali, con la loro azione centri-fuga, spingono gli elementi sullepareti dove, per l’attrito e il reciproco

urtarsi, si consumano parzialmenteassumendo una configurazionemoderatamente irregolare con i bordi“arrotondati”; i cilindri verticalivibranti, invece, movimentano versol’alto e verso il basso inducendo urtipiù ripetuti fra i vari semilavorati che,alla fine, si presentano sulle facce,lisci e levigati mentre sui bordi risul-tano significativamente scheggiati.L’anticatura ottenuta tramite acida-tura utilizza gli effetti di un procesochimico applicabile con buoni risulta-ti ad una serie di di litotipi di durezzamedia (marmi, calcari, travertini,brecce calcaree, ecc.).Le fasi tipiche di tale trattamentoprevedono il contatto dei materialilitici con sostanze acide di naturaliquida (comuni prodotti commercialia base di acido cloritico); tale contat-to, più o meno prolungato infunzione della specifica reattività deimateriali e dei risultati attesi, puòessere procurato attraverso diversifi-cati procedimenti esecutivi:spennellatura, irrorazione a pioggia,immersione nella sostanza acida.Dalla reazione chimica fra i litotipi ela sostanza acida si produconopiccole perdite, consunzioni, corru-gamenti localizzati del materiale conun esito finale delle superfici carat-terizzato da un aspetto consunto,stonalizzato, disuniforme, vicino aicaratteri delle pietra “invecchiate”dal tempo.Al trattamento segue sempre unprolungato ed accurato lavaggio deisemilavorati litici al fine di eliminareogni residuo delle sostanze potenzial-mente nocive.A fronte della notevole flessibilitàapplicativa dell’anticatura a mezzo diacidi che consente di trattare -soprattutto attraverso il prcedimentodell’immersione - elementi in solido olastre anche di rilevanti dimensioni,l’anticatura meccanica (a cilindrirotanti o vibranti) consente dioperare unicamente su semilavoratidi piccole dimensioni che, nellosviluppo recente di mercato, hannoprivilegiato forme geometriche rego-lari (quadrati, rettangoli, triangoli,cerchi, ecc.) la cui finalizzazioneapplicativa è prevalentemente orna-mentale ed indirizzata a sfruttare leopportunità di composizioni adisegno (grazie alla tecnica dell’incol-laggio su carta rinforzata, su reti dimateriale plastico o di fibre di vetro)in fasce e rosoni di pavimentazioni erivestimenti.Spazzolatura. Si tratta di un tratta-mento che permette di esaltarel’aspetto naturale dei lapidei di cuivalorizza il disegno ed i toni cromati-ci attraverso una leggera azioneabrasiva di tipo meccanico.Questa finitura viene eseguita impie-gando le stesse macchine utilizzateper le operazioni di calibratura-levi-gatura-lucidatura. In esse, al posto

degli abrasivi convenzionali, simontano spazzole metalliche flessibilidisponibili in diversi gradi di rugositàe durezza.L’effetto finale della spazzolatura,meglio apprezzabile in lastre digrande formato, conferisce allasuperficie litica una moderata rugo-sità, una sorta di leggera patinaturacaratterizzata da una “morbida”irregolarità.Le applicazioni più diffuse di tale tipodi trattamento riguardano litotipiquali graniti e pietre, utilizzati perpavimenti e rivestimenti interni, maanche per sistemazioni esterne diarredo urbano.Traslucenza. Le qualità di traslucenzadi alcuni lapidei, cioè la capacità didiffondere la luce incidente su di essi,è valorizzata da una serie di opera-zioni di taglio e lucidatura.Dopo essere state tagliate in lastresottili (non oltre i 2 cm), le pietre conquesto tipo di caratteristica vengonosottoposte ad accurati trattamenti dilucidatura su entrambe le facce dellelastre. In questo modo gli elementilastriformi sottili, messi in controluce,risultano valorizzati nelle loro carat-teristiche di trasparenza, cromia,grana e tessitura, potendo modularela luce e conferire una particolareatmosfera agli spazi interni.Gli effetti più interessanti e sugge-stivi si ottengono con marmicristallini, onici e alabastri dallecolorazioni tenui.

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1819-1820 Operazione di spacco del

porfido del Trentino ed elementi lastriformi.

1821-1822 Blocco di pietra di Luserna e

lastre litiche a spacco.

1823-1827 Masselli in travertino con

superfici a spacco (a confronto con

lastre lisce) e macchina a ghigliottina

per lo spacco presso l’azienda MARIOTTI

a Bagni di Tivoli.

1828-1829 Trattamenti water-jet.

1830 Superficie traslucida di onice.

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