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Materiali per una proposta di modello della psicoterapia ipnotica, parte 3: L’IPNOTERAPIA IN PSICOTERAPIA E L’IPNOTERAPIA COME PSICOTERAPIA: UN APPROCCIO EVOLUZIONISTICO Ambrogio Pennati, medico psichiatra psicoterapeuta Milano [email protected] “Chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali; perché il tempo è il più grande degli innovatori”. Francis Bacon, Saggi. Il presente lavoro si propone di trattare l’argomento dell’ipnosi nella psicoterapia e dell’ipnosi come psicoterapia secondo un approccio evoluzionistico. Si distinguerà tale ipnosi dalla psicoterapia ipnotica che sarà oggetto di una successiva specifica trattazione. ALCUNE DEFINIZIONI OPERATIVE Facendo riferimento ai lavori usciti sugli ultimi numeri della rivista, nella presente trattazione verrà considerata ipnosi come “il complesso e variegatissimo insieme delle procedure non fisiche (quindi prescindenti dall’utilizzo di strumenti materiali aggiuntivi al corpo) che l’homo sapiens ha sviluppato nei millenni per modulare lo stato di coscienza allo scopo di giungere alla trance (ipnotica) ed attivare dei moduli di (auto)guarigione che l’evoluzione ha messo a punto” (2,8,9,17,21,26,27,32,43,50,68). L’ipnosi verrà qua intesa come dispositivo induttore di stati modificati di coscienza (nello specifico, induttore della trance) (2,26,3039,43,48,60,70). Come già dimostrato, all’esperienza della trance appare intrinsecamente associata l’esperienza del rapport, centrato sulla sintonizzazione affettivo-emotiva con una – o più - importante figura di riferimento (8,21,24,51). Il background evoluzionistico di tali concetti è stato esposto nei precedenti lavori. Per terapia si intende la cura di una malattia o di un disturbo mediante mezzi socialmente e scientificamente riconosciuti come atti allo scopo.

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Materiali per una proposta di modello della psicoterapia ipnotica, parte 3:

L’IPNOTERAPIA IN PSICOTERAPIA E L’IPNOTERAPIA COME PSICOTERAPIA:

UN APPROCCIO EVOLUZIONISTICO

Ambrogio Pennati, medico psichiatra psicoterapeuta

Milano

[email protected]

“Chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali; perché il tempo è il più grande

degli innovatori”. Francis Bacon, Saggi.

Il presente lavoro si propone di trattare l’argomento dell’ipnosi nella psicoterapia e

dell’ipnosi come psicoterapia secondo un approccio evoluzionistico.

Si distinguerà tale ipnosi dalla psicoterapia ipnotica che sarà oggetto di una successiva

specifica trattazione.

ALCUNE DEFINIZIONI OPERATIVE

Facendo riferimento ai lavori usciti sugli ultimi numeri della rivista, nella presente

trattazione verrà considerata ipnosi come “il complesso e variegatissimo insieme delle

procedure non fisiche (quindi prescindenti dall’utilizzo di strumenti materiali aggiuntivi al

corpo) che l’homo sapiens ha sviluppato nei millenni per modulare lo stato di coscienza

allo scopo di giungere alla trance (ipnotica) ed attivare dei moduli di (auto)guarigione che

l’evoluzione ha messo a punto” (2,8,9,17,21,26,27,32,43,50,68).

L’ipnosi verrà qua intesa come dispositivo induttore di stati modificati di coscienza (nello

specifico, induttore della trance) (2,26,3039,43,48,60,70). Come già dimostrato,

all’esperienza della trance appare intrinsecamente associata l’esperienza del rapport,

centrato sulla sintonizzazione affettivo-emotiva con una – o più - importante figura di

riferimento (8,21,24,51).

Il background evoluzionistico di tali concetti è stato esposto nei precedenti lavori.

Per terapia si intende la cura di una malattia o di un disturbo mediante mezzi socialmente

e scientificamente riconosciuti come atti allo scopo.

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L’ipnosi diventa ipnoterapia quando nel corso delle procedure ipnotiche vengono applicate

delle tecniche di cura da un operatore umano socialmente - e legalmente - riconosciuto

(da se stesso, dal cliente, dal mondo) come terapeuta.

L’ipnoterapia, in medicina, è stata dimostrata utile nel trattamento di varie condizioni:

ferite, emorragie, ustioni, anestesia, verruche e disturbi dermatologici, colon irritabile e

disturbi funzionali di vario genere, dolore cronico, preparazione ed assistenza al parto solo

per citarne alcune. In questi casi non si può propriamente parlare di ipnoterapia come

psicoterapia, dato che gli obiettivi del trattamento – e quindi del contratto tra terapeuta e

cliente - non riguardano direttamente e strettamente la sfera psichica e/o relazionale. Non

è quindi necessario avere in questi casi una teoria del funzionamento mentale e

dell’etiopatogenesi dei disturbi che sia coerente con la metodologia di cura adottata,

condizione richiesta per una psicoterapia “scientifica” (56).

Infatti, la psicoterapia, almeno nel presente lavoro, è intesa, in accordo alla recente

definizione del Royal College of Psychiatrists del Regno Unito, in un’accezione estensiva

come “ogni modalità di aiutare le persone a fronteggiare stress, problemi emotivi,

problemi relazionali o abitudini problematiche; queste modalità hanno in comune il fatto di

essere tutti trattamenti basati sul parlare ad un’altra persona e talvolta fare qualcosa

insieme”.

Nell’ambito dell’ipnoterapia potremo quindi avere un’ipnoterapia come psicoterapia ed

un’ipnoterapia in psicoterapia.

Stando alle definizioni di cui sopra, l’ipnoterapia come psicoterapia si fonda, esplicitamente

o no, sulla trance – quindi sulla modulazione dello stato di coscienza del cliente - come

condizione ontologicamente necessaria sia dell’ipnoterapia che della psicoterapia in

oggetto, quindi la proceduralità ipnotica appare di se stessa terapeutica (vedi lavoro

precedente); in questo caso, pertanto, pertanto ipnoterapia e psicoterapia appaiono

consustanziali. In questa categoria si possono inserire procedimenti quali il rebirthing, il

training autogeno, il biofeedback, il rilassamento muscolare profondo, la

desensibilizzazione sistematica, alcune tecniche bioenergetiche, pratiche terapeutiche di

derivazione orientale, EMDR, danza e teatro terapia, il reve eveillè, la respirazione

olotropica, alcuni approcci transazionali, alcuni approcci sistemico-strategici, alcuni

approcci della PNL, l’analisi configurazionale, oltre, ovviamente, alla psicoterapia ipnotica

propriamente detta. In tali contesi la modulazione dello stato di coscienza appare

condizione irrinunciabile per la messa in atto di un corretto trattamento. Ne consegue che

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tali approcci hanno sviluppato, chi più chi meno sia dal punto di vista qualitativo che

quantitativo, una teoria del funzionamento mentale e dell’etiopatogenesi dei disturbi che

sia coerente con la metodologia di cura adottata, e che quindi preveda che la

strutturazione di stati modificati di coscienza giochi, o abbia giocato, un ruolo chiave nel

processo in atto. In senso molto lato appare corretto affermare che l’ipnoterapia come

terapia si inserisce nei contesti terapeutici che hanno sviluppato un modello del

funzionamento mentale e dell’etiopatogenesi dei disturbi psichici che preveda che un

utilizzo disfunzionale e disadattativo del meccanismo di difesa della dissociazione da parte

dell’organismo rappresenti una condizione necessaria, anche se spesso non sufficiente e

comunque non antitetica all’utilizzo parimenti disfunzionale di altri meccanismi di difesa

(4,23,26,27,30,33,34,41,49,54,68).

L’ipnoterapia in psicoterapia, invece, si fonda, esplicitamente o no, sulla trance come

condizione ontologicamente necessaria dell’ipnoterapia mentre la psicoterapia che utilizza

quest’ultima considera la trance come condizione accessoria – e comunque non antitetica -

della sua identità pratica e teorica. Quindi in tali contesti la proceduralità ipnotica non

appare per se stessa terapeutica, ma lo diventa solo quando facilita i processi che la

psicoterapia in azione riconosce come suoi propri e specifici derivati. In questa categoria

rientra l’uso dell’ipnosi nella terapia psicanalitica, cognitiva, comportamentale,

interpersonale, sistemica, ove la modulazione dello stato di coscienza può venire

considerata utile – per quanto non indispensabile- per la messa in atto di un corretto

trattamento. In questo caso, ovviamente, la strutturazione di stati modificati di coscienza

non è considerata importante né per le teorie generali del funzionamento mentale, né dei

meccanismi etiopatogenetici, che questi approcci hanno sviluppato. Marginalmente a tali

considerazioni ci si permette di considerare come, almeno secondo il presente impianto

metodologico, sia del tutto privo di senso parlare di ipnosi senza trance. In questi modelli

di lavoro l’utilizzo disfunzionale della dissociazione gioca un ruolo secondario rispetto ad

altri meccanismi di difesa.

IPNOTERAPIA COME PSICOTERAPIA

È evidente, ricollegandoci ai precedenti lavori, come il valore evoluzionistico della trance

informi di sé gli approcci che si possono ricondurre all’ipnoterapia come psicoterapia, e

come quindi tali approcci si qualifichino, costitutivamente, come naturalistici dato che

naturale è la trance e la capacità di svilupparla (1,22,32,39,43,71).

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Ne consegue che, dato che in tale categorie la trance può/deve giocare un ruolo sul piano

etiopatogenetico, anche i sintomi stessi avranno una duplice connotazione: di

adattamento/protezione e di sofferenza dell’organismo. Pertanto, l’esperienza della cura in

tali contesti non può non fondarsi anche – e soprattutto- su una valutazione funzionale

dell’importanza del sintomo per l’omeostasi psicofisico del soggetto sofferente. Sembra

banale - sed repetita iuvant – affermare che non può esistere ipnoterapia che si prefigga

quindi la semplice rimozione/soppressione del sintomo. Ciò che caratterizza questi

approcci – fra i quali rientra la psicoterapia ipnotica ericksoniana – è la non necessità

dell’interpretazione, cioè della lettura dei fenomeni di interesse clinico secondo un modello

precostituito e fondato su basi “scientifiche” e/o “filosofiche”.

L’ipnoterapia come psicoterapia nasce con Janet, che sviluppa specifiche tecniche di

induzione ipnotica e specifici protocolli di terapia coerenti con le teorie etiopatogenetiche

che egli sviluppa in base alla sua esperienza clinica (molto focalizzata su patologie

postraumatiche) e che si fondano sul concetto di desagregation, embrionale ma già estesa

categorizzazione di differenti fenomeni di natura dissociativa (26,35,36,37).

L’autore che successivamente implementa procedure di psicoterapia ipnotica è Milton

Erickson, che contrapponendosi allo zeitgeist della sua epoca focalizza il ruolo dello

psicoterapeuta come colui che cura, e non colui che classifica od interpreta; in Erkickson

l’ipnoterapia come psicoterapia si identifica nella pratica clinica più che nella pratica

teoretica, proprio perché genialmente e coraggiosamente Erickson comprende che ciò che

conta è curare, non costruire modelli linguistici compulsivamente tendenti alla perfezione

formale e strutturale (cioè aderenti al modello di precisione linguistica, peraltro già

demolito da Wittgenstein come criterio di validità di una teoria o della bontà del sapere

che vi sta sotto) che poi procedono come macchine classificatorie e snaturano l’essenza

del lavoro terapeutico (24). Ad Erickson non interessa troppo teorizzare come funziona la

mente, anche se un’analisi esegetica dei suoi scritti lascia trasparire un approccio che oggi

potremmo definire a ponte fra l’evoluzionismo ed il neodissociazionismo; ad Erickson

interessa una teoria della pratica clinica, e quindi gli basta usare concetti molto semplici e

funzionalistici per spiegare cosa c’è sotto il suo lavoro. La definizione dell’inconscio di

Erickson è quanto mai semplice: tutto ciò che non è immediatamente cosciente, e di volta

in volta ciò può essere visto come risorsa, come problema, a volte come metafora. Non

interessano, per le sue modalità di lavoro e per la sua posizione nel movimento

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terapeutico dei suoi tempi, i meccanismi più profondi in base ai quali ipoteticamente

l’inconscio funziona.

Chi poi si spinge un po’ oltre è Hilgard, che sviluppa, in base ad una lunga esperienza di

laboratorio, il modello neodissociativo del funzionamento mentale (30), il quale prevede

che l’inconscio funzioni soprattutto grazie ad un utilizzo del meccanismo della

dissociazione, governato da un monitoring self che osserva il comportamento ed il suo

bidirezionale rapporto con l’ambiente attraverso l’utilizzo di unità TOTE raccordate al

comportamento messo in atto dal cosiddetto executive self, la parte del sé che opera

fattivamente.

E per Hilgard è proprio la dissociazione diventa patologica quando si assiste ad un

disfunzionale (non sempre è disfunzionale, come abbiamo visto nei lavori precedenti;

spesso è evolutivamente vantaggioso) scollamento fra executive self e monitoring self,

ovvero quando vengono messi in atti comportamenti che non sono

rappresentati/rappresentabili nel monitoring self. In questi casi si ha una patologia dello

stato di coscienza, per Hilgard rappresentato dall’armonica integrazione fra executive self

e monitoring self, integrazione dinamica che fonda l’esistenza del cosiddetto Overall Self,

cioè la funzione che consente a noi stessi di percepirci come unità integra nel tempo, nello

spazio e nel mondo.

Questi elementi verranno ripresi nell’articolo finale relativo alla psicoterapia ipnotica

propriamente detta.

Praticare l’ipnoterapia come psicoterapia è per alcuni versi vantaggioso, perché qui l’ipnosi

si muove nelle sue acque d’origine, quello dell’utilizzo di stati modificati di coscienza, e

quindi il clinico – soprattutto il giovane - non si sente tirato per la giacca da approcci

teorici potenzialmente antitetici al suo operare. Non ci si pone, quanto meno in

automatico, il problema dell’integrazione con altri approcci.

IPNOTERAPIA IN PSICOTERAPIA

In quest’ambito le cose appaiono un poco più complesse, ma anche più importanti dato

che in genere l’ipnoterapia viene usata in una psicoterapia che non assegna alla

modificazione degli stati di coscienza, né sul piano terapeutico né sul piano teorico, un

ruolo primario.

L’utilizzo dell’ipnosi in psicoterapia- sia essa di orientamento analitico, cognitivo,

comportamentale, cognitivo - comportamentale, strategico, sistemico, interpersonale- con

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obiettivi di tipo riparativo o generativo non può sottrarsi allo sforzo di trovare

un’integrazione con il modello di psicoterapia nel quale essa viene usata. Ma cosa si

intende per integrazione, almeno in questo specifico caso?

Certamente, per rigorosità terminologica in accordo alle definizioni proposte sopra, non

potremmo non parlare di un’integrazione di una tecnica di psicoterapia con un’altra, dato

che l’ipnoterapia è comunque psicoterapia. Quindi ci si porrà il problema di un’integrazione

in senso stretto.

Le strade dell’integrazione fra psicoterapie sono numerose, e le principali appaiono le

seguenti (3,5,6,7,12,28,29,38,44,53,55,58,59,63,73):

• integrazione basata sui fattori comuni a tutte le psicoterapie (stabilità del setting,

bontà della relazione terapeutica, capacità di spiegare fenomeni che occorrono nella

vita del paziente fra cui la relazione con il terapeuta)

• eclettismo tecnico, cioè la capacità di selezionare il miglior trattamento per quello

specifico problema di quello specifico cliente, guidati dall’esperienza relativa a ciò

che meglio ha funzionato in passato

• integrazione teoretica, dove si cerca di integrare il più possibile due o più modelli

teoretici nella speranza che tale integrazione dia risultati migliori della semplice

somma dei due singoli modelli

• integrazione assimilativa, dove un approccio dominante – spesso la prima scelta

formativa operata dal singolo terapeuta, quindi nella stragrande maggioranza dei

casi coerente con lo zeitgeist del periodo e del luogo della sua prima formazione-

assimila nuove e differenti tecniche e modelli.

Dato che, in base alle varie metaanalisi condotte sull’efficacia delle varie psicoterapie, non

vi sono elementi in grado di dimostrare che una strada sia meglio dell’altra, ogni terapeuta

potrà sentirsi libero di adottare la procedura di integrazione che più vive come onesta,

corretta, utile e prossima al suo modo di essere qui e ora nel mondo. Va in ogni caso

ricordato che comunque il rapport con il cliente è considerato il principale fattore di

integrazione (6).

Ciò che conta è che ci si ricordi che l’utilizzo dell’ipnosi, per la natura intrinseca di questa,

comporta sempre il contatto con un mondo ancestrale, pre e meta linguistico, che sfugge

a definizioni rigorose e univocamente accettate. L’ipnosi in psicoterapia è sempre la Regina

Rossa di Alice del paese delle meraviglie, che appena ti avvicini sfugge e scompagina le

carte e le regole del gioco. E ciò ha a che fare con i moduli cerebrali attivi durante la

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trance ipnotica che sembrano appartenere ad un passato solo apparentemente ancestrale,

quello dei nostri avi cacciatori-raccoglitori che vivevano in tribù di 100-150 persone (che,

nota bene, corrisponde alle media del numero di relazioni significative che a tutt’oggi

ciascuno di noi ha, sia che in città o fuori), moduli che hanno consentito la sopravvivenza

e la riproduzione, in condizioni per lo più estreme, dell’homo sapiens prima della nascita

dell’agricoltura e dell’allevamento e la conseguente genesi nascita degli stati e delle classi

sociali (1,18,19,20,27,62) e che sembrano avere un ruolo dominante nell’effetto placebo,

oggi sempre più visto come l’espressione del modulo interno di guarigione che ognuno di

noi possiede, così come sembra esistere un effetto nocebo, espressione di un modulo di

auto soppressione che presumibilmente si attiva quando il soggetto percepisce,

consapevolmente o meno, di essere di danno alla sua inclusive fitness (quindi quando il

soggetto teme che la sua sopravvivenza possa danneggiare i suoi consanguinei,

abbassando così la probabilità che i suoi geni possano replicarsi)

(4,6,9,14,21,27,32,41,43,52,57,67). In sintesi ciò che conta ricordare quindi è che l’ipnosi

è imprescindibilmente legata al mondo delle relazioni preverbali, quindi biologico-emotivo-

affettivo, con il gruppo di riferimento principale, sia esso genetico (condivisione di unità di

informazione trasferibili per replicazione attraverso il genoma) che memetico (condivisione

di unità di informazione trasferibili per replicazione attraverso il comportamento). Come

afferma Erickson, l’ipnosi è “il rapporto vitale di una persona con le sue esperienze

generato dal calore di un altro”, o, come forse più sinteticamente afferma Shore, l’ipnosi è

sempre “a labor of love” (50).

In ogni caso esisterà sempre un quantum di non integrabilità dell’esperienza

ipnoterapeutica nelle psicoterapie più formalizzate proprio perché l’esperienza ipnotica in

quanto tale trascende i limiti del linguaggio (13).

L’importante, nella pratica clinica e nel confronto con terapeuti di altre scuole, è

ricordarselo, perché ricordarselo significa avere la consapevolezza delle origini dello

strumento che si sta usando.

UNA PROSPETTIVA DI VALIDAZIONE NEUROBIOLOGICA

Le precedenti affermazioni appaiono suffragate da recenti osservazioni sperimentali.

Uno degli aspetti più importanti dell’ipnosi è che essa è da sempre studiata in laboratorio;

per quanto sussistano importanti e strutturali differenze fra ipnosi clinica e ipnosi

sperimentale, possiamo utilizzare le esperienze di molti ricercatori per integrare le nostre

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conoscenze sulle modalità del funzionamento dell’organismo durante l’esperienza della

trance ipnotica (61).

Numerosi recenti lavori di neurobiologia e neuropsicologia suggeriscono che sia negli stati

modificati di coscienza che nella trance ipnotica si assiste ad una transitoria de attivazione

della parte anteriore dei lobi frontali (22,31); inoltre, ogni specifico induttore di ASC

avrebbe la sua specifica modalità di disattivazione di tali strutture. Nello specifico,

l’induzione ipnotica avrebbe la caratteristica, simile a quella della meditazione, di

disattivare le funzioni superiori dei lobi frontali incrementando l’attenzione verso stimoli

sociali esterni, dipendendo dall’interlocutore e incrementando la tendenza ad imitare il

comportamento di importanti figure di riferimento (22). Sembrerebbe in particolare

implicata una disattivazione della corteccia prefrontale dorso laterale dell’emisfero sinistro

e del giro cingolato anteriore, che sul piano generale si tradurrebbe in una generale

disconnessione funzionale di moduli cerebrali, dato che validerebbe la teoria

neodissociativa del funzionamento mentale proposta da Hilgard nel 1977, riproposizione

riveduta e corretta delle pioneristiche osservazioni di Janet (16,30,66).

Altre recenti sperimentazioni hanno evidenziato che nella trance ipnotica si verifica una

riduzione dei conflitti fra vari moduli cerebrali legata ad una riduzione dell’attività della

corteccia del cingolo anteriore (40), una riduzione dello stroop effect nel test Stroop

(quindi un miglioramento delle capacità di apprendimento extralinguistico) (47,64,65).

Altre importanti osservazioni, che nascono dal recente filone di studi relativo alla

cosiddetta teoria della mente, hanno parallelamente evidenziato che ad una riduzione

dell’attività della corteccia anteriore del cingolo corrisponde una maggiore capacità di

provare empatia ed identificazione con l’altro, e che la capacità di rappresentarsi lo stato

della mente dell’altro dipende dal ruolo di controllo esercitato su un complesso sistema

cerebrale dalla corteccia anteriore del cingolo, dalla corteccia orbitofrontale, dalla corteccia

ventrale e dorsale mediale prefrontale, dalla corteccia infero laterale prefrontale

(1,10,15,60,65).

L’ipnosi è quindi uno stato, uno stato modificato di coscienza, che necessita, per il suo

instaurarsi, di precise (anche se non necessariamente esplicitate) negoziazioni fra chi

ipnotizza e chi è ipnotizzato, negoziazioni che si fondano su un reciproco contratto che a

sua volta si basa su numerose variabili di tipo sociale, fra le quali le reciproche aspettative,

la reciproca percezione dei rispettivi ruoli, lo sfondo relazionale ed economico nel quale lo

scambio di beni/servizi ha luogo; tutte queste variabili possono, ovviamente, essere

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influenzate anche dai reciproci assetti personologici e stili emotivo-cognitivi e

comunicazionali. A parere dello scrivente l’integrazione, sia essa relativa ai fattori comuni,

assimilativa, eclettica, teoretica, dell’ipnosi in psicoterapia può avvenire limitatamente al

terreno della negoziazione e della ritualità preliminare (necessaria ma non sufficiente allo

scopo) all’instaurazione dello stato di trance ipnotica, che già di per sé, come evidenziato

nei lavori precedenti, può avere valenza clinica e terapeutica.

ALCUNE RIFLESSIONI SU ERICKSON E SULL’ERICKSONISMO DI IERI, DI OGGI, E

(FORSE) DI DOMANI

Certamente il lavoro di Milton Erickson è stato rivoluzionario, sia per l’innovativo utilizzo

dell’ipnosi che per il cambio di paradigma che egli ha portato nell’ambito del movimento

psicoterapeutico. Il lavoro di Erickson si può collocare a ponte fra un uso dell’ipnoterapia

come psicoterapia ed un uso dell’ipnoterapia come psicoterapia, con una geniale

focalizzazione sulla creatività nel lavoro clinico come principale strumento di adattamento

alle sempre diverse necessità dei clienti. Buona parte della sua opera sembra cogliere sul

piano clinico le scoperte neuropsicologiche sopradescritte: l’uso delle tecniche di

confusione, di shock, di disseminazione, di metaforizzazione sembrano fatto su misura per

disattivare le funzioni critiche linguistiche (quindi la funzionalità frontale); a volte per

Erickson ciò era sufficiente per intervenire sui problemi oggetto del trattamento, a volte

egli approfondiva sino a raggiungere la trance ipnotica allo scopo di accedere a risorse

emotive-comportamentali-cognitive bloccate da un uso disadattativo del linguaggio.

L’opera di Erickson di base sembra contestualizzarsi all’interno di un approccio

implicitamente evoluzionistico, per quanto ai tempi tale disciplina non fosse ancora

sviluppata. Diverso sembra l’ericksonismo, sviluppato da molti suoi allievi o autodichiaratisi

tali, che ha spostato il focus del lavoro clinico (e della formazione e della supervisione e

della ricerca) sulla proceduralità delle induzioni e sulle modalità di comunicazione,

trasformando ciò che per Erickson era un mezzo in un fine, spesso fine a se stesso.

Erickson ha sempre lavorato in stretto contatto con antropologi e psicologi sperimentali

evitando una metodologia clinica e teorica autoreferenziale, mentre buona parte degli

ericskoniani ha percorso una strada diametralmente opposta, rifuggendo nei fatti il

confronto e l’integrazione con altre discipline che non fossero la linguistica.

Pertanto il lavoro di Erickson, che certamente era inquadrabile in un approccio

naturalistico, è stato lentamente spostato nel cosiddetto Standard Social Science Model,

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antitetico al primo. E ciò ha comportato il progressivo svincolamento della psicoterapia e

dell’ipnoterapia ericksoniana dalla matrice originaria empirica a quella postmodernista; e

come sempre accade in questi casi, associata ad una divinizzazione del fondatore che

sembra fatta apposta per snaturarne lo spirito critico, scettico, creativo e innovativo.

Quanto un modello di lavoro si regge sulla coerenza e sulla bontà di un costrutto

linguistico, che per i postmodernisti può equivalere alla realtà fattuale, occorre sempre

provare i dogmi che reggono tale costrutto. E di solito si trovano nelle opere del pioniere,

che, come ogni testo sacro non esegeticamente analizzato, contengono tutto ed il

contrario di tutto e sono buone per ogni occasione.

Una rivisitazione critica di questo percorso è da tempo in atto nella nostra scuola, che non

a caso parla di psicoterapia ipnotica post-ericksoniana; e che si propone innanzitutto di

insegnare a osservare e a praticare, più che giocare on le parole.

Essere ericksoniani oggi è studiare il lavoro di Erickson di ieri che vale, nel suo

naturalismo, ancora oggi come varrà domani; essere ericksonisti oggi è chiudersi in una

teoretica che porterà questo movimento (come molti altri ne abbiamo visti) in un

progressivo isolamento autoreferenziale sino alla sua naturale estinzione, dato che le

modalità dell’ericksonismo sono standardizzate e lontane dalla spinta creativa che il

quotidiano contatto con la pratica dava al fondatore.

Ed essere ericksoniani è essere aperti verso la ricerca, che, con le nuove tecniche di

neuroimaging funzionale e di valutazione neuropsicologica (25,34,45,46,69), consentirà

alle menti aperte di trovare sempre nuovi spunti di riflessione e ipotesi di lavoro da

implementare nella loro pratica clinica, ericksoniamente orientata ad attivare

l’autoguaritore che ogni cliente ha in sé, se lo vuole (6,42,72).

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