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Elaborato per
L’ Islam a confronto con la Laicità
Percorsi di storia di un difficile rapporto
di MARIO CAMPLI *
2
INDICE
I. INTRODUZIONE
Come in uno specchio
Periodizzazione e questioni di metodo
La lingua araba
II. CAPITOLO PRIMO: II tempo di Medina, della insorgente fitna e del ‘compromesso
medievale’
Il mito di Medina
Dopo la morte del Profeta
Il compromesso medievale
III. CAPITOLO SECONDO: ‘Fasl al-maqal’ (‘Trattato decisivo’)
L’incontro con la modernità
La “svolta maggiore”
Il “Trattato decisivo”
Nuova fitna? Integralismo di ritorno
IV. CAPITOLO TERZO: al-‘almāniyya e al-‘ilmāniyya
Il contesto linguistico
La questione etimologica
Il contesto filosofico
V. CAPITOLO QUARTO: Dall’Islam in Europa, all’Islam europeo
Modernità e Islam: due concetti polisemici
Dall’islam in Europa all’islam europeo
Un ritorno all’inizio del nostro cammino
VI. CONCLUSIONI
Bibliografia
3
“Wa amruhum shurâhaynahum” (Q. 42,38)
(Si consultano vicendevolmente su quel che li concerne)
“Lā-ikrāh fī al-dīn” (Q. 2,256)
(Non c’è costrizione nella religione)
INTRODUZIONE
1. Come in uno specchio…
Lo scenario, nel quale desidero collocare l’ incipit del teatro storico in cui evolverà il percorso del
difficile rapporto tra Islam e Laicità, è la tolda della fregata l’Orient– il 30 giugno 1798 - sulla
quale il generale Napoleone Bonaparte parla alle truppe, appena prima dello sbarco in Egitto:
I popoli con i quali dovremo vivere sono maomettani; il loro primo articolo di fede è questo: Non c’è
altro Dio che Dio e Maometto è il suo Profeta. Non dovete contraddirli; dovete agire con loro come
abbiamo agito con gli Ebrei, con gli Italiani; dovete avere riguardo nei confronti dei loro mufti, dei
loro imam, come ne avete avuto nei confronti dei rabbini e dei vescovi; abbiate per le cerimonie che
prescrive il Corano, per le moschee, la stessa tolleranza che avete avuto per i conventi, per le
sinagoghe, per la religione di Mosè e quella di Gesù Cristo (...) 1.
Come in uno “specchio” due mondi si riflettono, ma non si guardano (da lontano arriva l’eco del
discorsetto napoleonico che sembra pronunciato su una barca di turisti; mentre, consapevolmente,
premevano gli interessi economici del contrasto alle vie commerciali britanniche verso le Indie
orientali). Nello specchio si riflette lo sguardo del mondo costretto ad un inatteso e non voluto
impatto.
La spedizione di Bonaparte in Egitto nel 1798 può essere considerata come il primo impatto dell’islam
con la modernità. In effetti, da quel momento le condizioni d’esercizio del pensiero musulmano non
saranno più le stesse ; e ciò non solo perché Bonaparte inaugura la question d’Orient, ma soprattutto
perché i musulmani scoprono un altro ordine culturale. Essi vengono così a porsi la questione, a
tutt’oggi non risolta della propria identità culturale, con tutte le conseguenze che essa comporta sul
piano dei meccanismi di autorappresentazione delle società islamiche nei confronti dell’Occidente 2.
Sullo stesso scenario è presente un altro mondo, ancora inconsapevole dei caratteri culturali delle
società islamiche e incapsulato in
un approccio ancora prigioniero del prisma ottico delle crociate; l’Islam era noto come fede
monoteista, ma si sapeva ancora poco sui suoi uomini e sul funzionamento delle sue società (…). Il
processo di trasformazione sociale, di modernizzazione attuato in Occidente e trasportato nelle società
islamiche colpisce violentemente le élite urbane del mondo musulmano. L’assenza di una vera e
propria stratificazione sociale nonché di una funzione e definizione dell’intellettuale nelle società
1 F. Charles-Roux, Histoire de la nation égyptienne, 1936, Paris – cit. in: Kh. F. Allam , L’Islam contemporaneo, in G.
2 Allam, L’Islam contemporaneo p. 220.
4
islamiche aveva impedito che gli echi della Rivoluzione francese e della filosofia dei lumi
pervenissero a quelle élite. Si può capire dunque l’effetto sconvolgente di quel mondo che si
apprestava sbarcare in Egitto”.3
Sullo sfondo: una nebbia di inconsapevoli, supponenti, invincibili equivoci. Complessivamente, il
mondo occidentale ed europeo era ignorante dei caratteri della cultura – nel senso più ricco e
completo del termine - del mondo islamico e oscillava tra “due letture”, ambedue incomplete e
distorte:
Quella del romantici, legata alla eredità di Goethe (…) che vede nell’Oriente l’ideale della purezza
originaria , e quella degli orientalisti e dei filosofi, il cui rappresentante più significativo è Ernest
Renan, per i quali l’islam e tutta la cultura semitica sarebbero refrattari agli ideali di progresso e
libertà: sulla scia del positivismo vincente, l’islam viene assimilato ad una sorta di impossibilità
strutturale della modernità.4
Ma questo affresco non sarebbe completo se non introducessimo un altro elemento nella riflessione
(che è solo all’inizio, ma ha un obiettivo ultimo che desidero rendere esplicito: illuminare meglio il
rapporto contemporaneo tra Islam e Laicità) che mette in campo ambedue i soggetti, ambedue i
mondi. Diciamolo ancora con la esattezza dell’ Allam:
Le mutazioni socio-culurali e le tensioni spesso contraddittorie che oggi attraversano gran
parte delle società musulmane s’inscrivono in un quadro storico che, dalla fine del Settecento
fino ai giorni nostri, ha avuto l’Occidente, e più ancora l’Europa, come punto di riferimento
per la formulazione delle proprie strategie politiche (…). L’Europa e L’islam divengono così
protagonisti di una stessa storia. Quella della difficile irruzione della modernità. 5
La sottolineatura è nostra. E vuole costituire una sorta di “guida” per tutta la ricostruzione del
difficile rapporto su “ Islam e Laicità”, uno sforzo di interpretazione (ijtihad 6) per evitare (o
almeno renderli espliciti) ogni apriori ideologico. Nello stesso tempo, la sottolineatura sta a
ricordare che lo stato attuale della situazione geopolitica evidenzia – drammaticamente – come e
quanto non si sia tenuto conto nei secoli passati proprio di quel co-protagonismo (in altri termini, un
comune destino). E’, per altri versi, la sottolineatura della “questione mediterranea” nel continente
europeo (e nella geopolitica del pianeta): un’area strategica che anche il processo di costruzione
dell’Unità europea, ancora molto incompleta ed oggi a rischio, ha in gran parte trascurato. Per cui
oggi – anche sollecitati dal fenomeno migratorio – siamo, come europei, alla ricerca affannosa di
soluzioni politiche e sociali che sembrano, però, sfuggire al monito di affrontare le emergenze,
dandosi una prospettiva strategica.
2. Periodizzazione e questioni metodologiche
Desideriamo anche richiamare – sin dall’inizio (cosa che illustra ulteriormente la complessità della
ricostruzione del rapporto tra Islam e Laicità) - un dibattito mai concluso tra gli storici sul
cosiddetto “brusco risveglio” del mondo islamico e del suo impatto con l’Occidente (Europa). Nel
3 Allam, L’Islam contemporaneo, p. 220.
4 Allam, L’Islam contemporaneo, p. 221.
5 Allam, L’Islam contemporaneo, p. 219.
6 cfr. M. A. Amir-Moezzi, Dizionario del Corano, Mondadori, 2007, p. 805.
5
paragrafo precedente abbiamo assunto come guida alla nostra indagine, l’analisi di Khaled Fouad
Allam; ora prendiamo nota anche della complessità della questione Islam/Modernità attraverso un
diverso approccio:
La visione di un mondo islamico che si risveglia bruscamente, all’indomani dell’invasione
napoleonica dell’Egitto, dal suo letargo secolare, è fuorviante. La maggioranza dei musulmani -
basti pensare all’impero ottomano o all’India – già da più di un secolo aveva infatti dovuto
affrontare il problema della superiorità tecnologica ed economica dell’Europa, sperimentando
ricette di convivenza con la nuova realtà. 7
Consapevole anche di questa sottolineatura, intendiamo mantenere al centro l’evento della
spedizione militare napoleonica, in quanto consente di orientarsi diacronicamente, con un
approccio da cui emerge con nettezza un prima e un dopo, e delineare, così, la nostra indagine con
la minore indeterminatezza possibile. Condividiamo, peraltro, quanto lo stesso Ventura afferma: “
tra la fase della modernità e quella contemporanea dell’islam non vi è dunque continuità, ma
neppure una totale frattura”8.
Il cammino che l’Elaborato intende, dunque, percorrere mette al centro l’invasione napoleonica e
procede alla ricerca della laicità nell’Islam muovendosi all’indietro – a partire dalle origini (dal
movimento dei Credenti) – e in avanti (vedi Appendice 1: «Avvenimenti storico-politici e strategici,
1798-1995; e Avvenimenti socioculturali 1822-1995»)9.
La ratio storico-metodologica è ben espressa in questa citazione da Abdou Filali-Ansary:
Nel secolo XIX, quando si pose il problema specifico del rapporto tra Islam e Laicità, le due
società erano giunte, ognuna per la sua strada, a una specie di consenso, di equilibrio o di
compromesso, che passò per una soluzione apparentemente stabile, o addirittura definitiva, del
problema. Questa “soluzione” non era la stessa per le due parti.10
Questa scelta metodologica consente, peraltro, di evitare una sorta di slittamento nell’ approccio al
tema, di tipo ideologico (‘teologico’) - politico ( nell’odierno crogiuolo del dibattito politico quasi
irresistibile ed automatico!); per restare, invece, ancorato all’approccio dei “percorsi della storia”.
Dentro questo schema metodologico, il prisma ottico attraverso il quale la laicità verrà indagata è,
pertanto, quello della dialettica (complicata e articolatissima) tra Potere-Stato-Religione-Società.
3. La lingua araba
Non possiamo mancare, infine, di sottolineare che a complicare (o arricchire) la interpretazione
della situazione, sullo sfondo - vera interfaccia della “nascita dell’Islam”- domina la questione della
7 A. Ventura, L’islam della transizione, in G. Filoramo, Islam, p. 216.
8 A. Ventura, L’islam della transizione, p. 210.
9 Kh. F. Allam, L’Islam contemporaneo, pp. 224-228.
10 A. Filali-Ansary, Islam e laicità – il punto di vista dei musulmani progressisti, Cooper&Castelvecchi, Roma 2003, p.
22 (questo testo costituirà un punto di riferimento nello sviluppo del saggio, anche per la sua particolare concisione e
specializzazione).
6
lingua araba:11 anche essa in formazione ed in evoluzione e, conseguentemente, la nascita del
linguaggio politico nell’Islam:
Le origini del linguaggio politico islamico, come quelle di altri aspetti dell’Islam, vanno ricercate
nel Corano, nelle Tradizioni del profeta e nella prassi dei primi credenti. Tutto ciò trova a sua
volta le proprie radici nell’Arabia antica, e in diversi credo religiosi – ebraico, cristiano, pagano
locale –già diffusi all’epoca dell’avvento dell’Islam. Ma la grande estensione del regime e della
comunità islamica sotto i primi califfi (…) ha sottoposto fede e civiltà nuove, ancora fresche e
malleabili, a una grande varietà di influenze. Gli zoroastriani delle province orientali, i cristiani
delle province centrali e occidentali e – in misura minore – le sopravvissute minoranze ebraiche
residenti all’interno delle une e delle altre, apportarono tutti il loro contributo12
.
Chiosa, opportunamente Filali-Ansary: “In effetti il problema politico ha dominato, si è imposto
all’attenzione dei musulmani (…) al punto di far dire che tutte le divisioni e opposizioni presenti tra
loro hanno un fondamento esclusivamente politico, contrariamente a ciò che si è verificato in altre
religioni”13
.
11
“Per rendersi conto, in qualche modo, della politica dell’Islam e di movimenti e cambiamenti sentiti ed espressi in
termini islamici, dobbiamo innanzitutto comprendere la lingua del discorso politico tra musulmani, la maniera in cui le
parole sono usate e intese, il sistema di metafore e di allusioni che è parte necessaria di ogni comunicazione” (B. Lewis,
Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, Bari-Roma 1991, p.8). 12
B. Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, Bari-Roma 1991, p. 9 13
A. Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 39-40.
7
CAPITOLO PRIMO
“II tempo di Medina, della insorgente fitna e del compromesso medievale”
La fase uno che vogliamo ora lumeggiare è quella delle “Origini”: in quel periodo, una «questione-
laicità» non esiste, neppure a livello lessicale. Tuttavia, emerge con chiarezza la questione del
«Potere» - una «Guida» politico-militare - certamente già all’indomani della morte del Profeta, ed
anche durante la sua vita e missione (ci confronteremo, a tale proposito successivamente, con la
intrigante e decisiva domanda: “Il Profeta è un Re”?, posta da ‘Ali ‘Abd al-Rāziq nel suo studio del
1925-Cairo). Si tratta, quindi, in questa fase, di delineare gli elementi più rilevanti di un contesto
assolutamente pertinente, ma non ancora quello di un vero e proprio rapporto “Islam-Laicità”.
1. Il mito di Medina
Nella storia dell’Islam, e nell’immaginario dei musulmani, il ricordo del periodo medinese ha
sempre rappresentato il luogo del sogno, fino a costituire un vero mito fondativo.
Arrivato, fuggitivo dalla Mecca, a Yatrib14
, nel 622 (anno dell’ hijra – migrazione), attraverso
stradine tortuose e poco note, in compagnia di Abu Bakr, Muhammad costruì la sua abitazione in
uno spazio scelto, secondo la tradizione, dalla sua cammella, lasciata libera di procedere a briglie
sciolte; e presto raggiunse un Accordo con i medinesi (in rappresentanza e a nome anche degli altri
emigrati – muhajirun – meccani), pervenuto ai nostri giorni come “Documento della umma” (detto
anche “Costituzione di Medina”), dove si afferma:
Questo è un documento del profeta (al-nabi) Muhammad, tra i Credenti e i musulmani dei
Quraysh e Yatrib e coloro che ne sono seguaci e si sono uniti a loro e combattono al loro fianco.
Certamente sono una comunità (umma) che esclude le altre popolazioni.15
Con l’Accordo nascevano forme e modalità dello stare insieme di un certo rilievo (ed anche
cominciano a prendere forma un vocabolario di un linguaggio politico): “All’interno della umma.
tutte le controversie andavano portate davanti a Muhammad, che le avrebbe giudicate; nessuna
componente della umma poteva stipulare una pace separata con qualsiasi organismo esterno”16
.
Siamo di fronte ad una sorta di innovazione “politica” su cui merita soffermarsi in quanto
assolutamente pertinente al percorso dell’Elaborato. Osserva, peraltro, Celeste Intartaglia:
Il cambiamento più importante fu la sostituzione della fede, al sangue come legame sociale (…)
questa evoluzione comportava, all’interno della umma, la soppressione della faida e, grazie
all’arbitrato, il rafforzamento della sua unità. Di pari importanza era la nuova concezione
dell’autorità. Lo shayh della umma – lo stesso Muhammad - svolgeva il suo compito per coloro
che erano sinceramente convertiti, non in virtù di un potere condizionato e consensuale, concesso
14
Successivamente la città fu denominata: Medina, da madinat al-nabi – città del profeta. 15
F.M. Donner, Maometto e le origini dell’Islam, Einaudi, Torino 2011, pp. 240. 16 C. Intartaglia, Dispense del corso di Storia, Propedeutico –Storia (I), P.I.S.A.I., 26 ottobre 2016.
8
malvolentieri dalla tribù e sempre revocabile, ma per effetto di una prerogativa religiosa assoluta.
La fonte del potere fu trasferita dall’opinione pubblica a Dio, che lo conferiva a Muhammad in
quanto suo Inviato prescelto.
Siamo, dunque, di fronte ad un potere/ruolo politico; mentre la fonte è eminentemente religiosa.
Osserva, a tale proposito, Fred. M. Donner: “ Si può ritenere che il ruolo di capo politico di
Muhammad non creasse problemi particolari a ebrei e cristiani del suo tempo”17
. Poi, il Donner si
chiede: “Ma come percepivano i Credenti il ruolo di Muhammad e, in particolare, come poté questa
comprensione influire sulla volontà di aderire al movimento dei credenti da parte di ebrei e cristiani
a conoscenza del suo messaggio?” Questo interrogativo fa emergere che per il Donner il “ruolo
politico” (e il potere connesso) – pur non disturbando i seguaci di altra religione, ma comunque
credenti monoteisti – poteva influire sui processi di conversione e, quindi, essere prevalente, almeno
in questa fase , sull’elemento religioso.
Sulla definizione (e i relativi molteplici termini) del ruolo e delle figura di Profeta di Muhammad
nel Corano, non ci soffermiamo in questa sede; mentre ci sembra rilevante e pertinente sottolineare
il carattere della Umma:
La Umma aveva un carattere duplice: da una parte era un organismo politico, una sorta di nuova
tribù, con Mohammad capo e composta di musulmani e non-musulmani; nello stesso tempo era
una comunità religiosa. In altre parole, una religione che si esprimeva e si organizzava
politicamente, una religione che forniva la coesione indispensabile a costituire tra gli arabi una
«formazione statale»18
Il dato che emerge da questa primissima fase è che né dal Profeta personalmente, durante la sua
guida a Medina, né dal Corano – in questa fase soltanto memorizzato dai compagni del profeta e da
altre figure tra i musulmani - provenivano elementi precisi circa la successione a Muhammad o
sulla “forma di governo” della comunità dei credenti. Nello stesso tempo la prassi in vigore nella
umma e il ruolo del Profeta rivelano una chiara connotazione politica.
Sulla forma di ‘governo’ – la cui prassi era reale e abbastanza caratterizzata - si può osservare che:
“La direzione del movimento dei Credenti da parte di Muhammad fu di tipo autocratico e non
esisteva una catena di comando ben definita che ne stabilisse il successore” 19
. I caratteri essenziali
delle sua configurazione erano la coincidenza totale dei ruoli di capo religioso e capo politico e
militare. Certamente presentavano caratteri post-tribali, misto ad una forte accentuazione del
carisma religioso (la Rivelazione e la Profezia)20
. Sotto questo specifico aspetto, il periodo
medinese non dà origine ad alcuna “istituzione” propriamente statuale; nello stesso tempo
rappresenta una netta evoluzione rispetto al periodo meccano e al modello nomadico:
Il messaggio di Muhammad, che alla Mecca aveva prodotto la divisione della comunità, a
Medina invece è motivo di integrazione. La netta rottura sul piano religioso conduce anche alla
frattura con la comunità tribale. Fra gli emigrati e i musulmani di Medina si crea una sorta di
fraternità religiosa (…) e qualche anno dopo la umma, una comunità con fondamento religioso.
17
F.M. Donner, Maometto, p.77. 18
C. Intartaglia, Dispense , 26 ottobre 2016. 19
F.M. Donner, Maometto, p.101. 20
Nubuwwa.
9
Le strutture tribali e il particolarismo genealogico sopravvivono, e vengono semplicemente
inquadrati nella concezione della umma: fino al 750, lo “Stato islamico” rimane un’alleanza di
tribù.21
2. Dopo la morte del Profeta
Subito dopo la morte del Profeta - mentre viene a determinarsi un ampio quadro di discussioni e
vere e proprie “divergenze d’opinione, i confronti, addirittura la discordia”- emerge la “grande
questione, che potremmo formulare così: come, e per quali vie e mezzi, si devono mettere in pratica
i principi e le regole di vita della religione islamica?22
E’ pur vero che l’idea di mantenere l’unità della comunità sotto forma di unità politica ha
rapidamente trionfato, al punto da far credere che fosse la naturale evoluzione, forse la sola
possibile, e che non ci fosse altra evoluzione concepibile per la comunità. Le alternative, quelle
che avrebbero potuto mantenere l’autonomia delle sfera politica rispetto a quella religiosa,
vennero rapidamente scartate. Tuttavia niente, né nei testi sacri né nelle Tradizioni del Profeta,
permetteva di definire la forma che avrebbe dovuto assumere la nuova entità politica. I pareri si
sono immediatamente divisi e non hanno cessato di contrapporsi fino ai nostri giorni.23
L’autore di questa analisi appena citata (Filali-Ansary) sarà, in questo Elaborato un punto
permanente di riferimento, avendo curato una delle due traduzioni in francese del saggio
dell’egiziano ‘Ali ‘Abd al- Rāziq (1925), di cui tratteremo approfonditamente nel successivo capito.
La sua affermazione (la sottolineatura alla citazione, sopra riportata, è nostra) ci invita agli
approfondimenti storici necessari.
La storia del califfato ha attraversato una evoluzione assai articolata, e già nel suo primo inizio si
presenta diversificata, per quanto riguarda il suo rapporto con il « Potere». Vero che i califfi
rashidun-ben guidati “governarono grazie al loro legame personale con il Profeta e trassero la loro
autorità patriarcale e religiosa dalla fedeltà all’Islam”24
; è anche vero che l’esercizio e l’uso di tale
potere politico si presenta tendenzialmente diversificato quanto al rapporto tra potere e religione.
Un esempio tipico (ricorrente, peraltro, nella storia tout court) lo si può rilevare nella politica del
terzo califfo:
‘ Othman, che successe a ‘Omar, era un aristocratico meccano del clan Umayya. Egli rovesciò la
politica di ‘Omar e favorì gli interessi degli Omayyadi e di altri gruppi meccani a spese dei
compagni del Profeta e dei medinesi. (…) Egli prese anche delle iniziative in campo religioso, fra
cui la pubblicazione di un’edizione ufficiale del Corano, ciò che suscitò il risentimento di quei
musulmani che si consideravano i custodi del libro sacro. Pertanto ‘Othman operò per restaurare
la coalizione preislamica di meccani emergenti dell’Islam, e rivendicò al califfato un maggior
potere di attuare riforme sociali, economiche e religiose”25
21
C. Intartaglia, Dispense,27 ottobre 2016. 22
A. Filali-Ansary, Islam e laicità, p.39. 23
A. Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 39 24
I.M. Lapidus, Storia delle società islamiche, I, Le origini dell’Islam, Einaudi, Torino 1993, p. 63. Lapidus aggiunge:
“ La storia del califfato passò per varie fasi, che coincisero con i califfi rashidun (ben guidati, 632-661), la dinastia
omayyade (661-750), il primo impero abbaside (750-833) e il suo declino (833-945)”, p. 62. 25
Lapidus, Storia delle società islamiche, I, p. 63-64.
10
Sin dall’inizio, dunque, (le “origini”) quell’inestricabile intreccio dei diversi elementi della filiera:
Potere-Stato-Religione-Società (l’uno è contenitore dell’altro elemento e viceversa) è la realtà
concreta nella quale emergono fratture profonde, trasformazioni, innovazioni.26
Ma procediamo
con ordine, inserendo anche queste problematiche nella nostra indagine, delineando i caratteri
essenziali della fase che va dalla morte del Profeta all’inizio delle vere e proprie dinastie islamiche.
Si tratta di un circa un quarantennio27
– detto dei “califfi ben guidati” (rashidun) – nel quale i
musulmani intesero affrontare quella che sopra abbiamo chiamato la “grande questione” (come, e
per quali vie e mezzi, si devono mettere in pratica i principi e le regole di vita della religione
islamica); apparentemente un problema “religioso”; nei fatti si dimostrò (contestualmente)
eminentemente “politico”, con approcci, metodi e sbocchi persino violenti e fratricide.
Quattro califfi (khalifa - successore), tre dei quali hanno concluso la loro “missione”, assassinati. La
forma e il modello successorio furono sempre diversi, in funzione delle lotte di potere, anche nel
ristretto giro parentale del Profeta. Ciò nonostante – insieme ai fatti incontrovertibili di lotte e
conflitti anche sanguinosi intorno alla gestione del potere – ci è stato tramandato (altro fatto
incontrovertibile) che non furono considerati come “Re”, ma “gestori” (ben guidati, non dal
Profeta-inviato di Allah, che era deceduto, ma comunque dalla “parola di Dio”) dei destini della
‘comunità-umma’. Anche qui, ed ancora una volta, siamo di fronte a un processo di mitizzazione o
di costruzione di un archetipo fondante, su cui è utile tornare sempre a riflettere:
26
Non trovo molto convincente, in generale, l’approccio del Lewis – ricorrente, peraltro anche in altri autori - quando
si afferma una supposta distinzione netta, indiscutibile ed evidente tra la vicenda storica della/e cristianità (termine
appropriato e distinto da «cristianesimo») e quella dell’Islam: “Nell’Islam classico non vi era alcuna distinzione tra
Chiesa e Stato. Nella Cristianità l’esistenza di due autorità risale al fondatore stesso, che invitava a dare a Cesare ciò
che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (…)” (Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam, p. 5). Condivisibile,
ovviamente, è la osservazione che nell’Islam non c’è nessuna “Chiesa”, non un “sacerdozio”, ecc. Ma il riferimento al
passaggio evangelico ed al “Fondatore” (Gesù di Nazareth - è ormai acquisito - non ha avuto l’intenzione di «fondare»
nessuna religione, non il cristianesimo tanto meno una cristianità) non risulta coerente con la più accorta e ormai
acquisita analisi esegetica (la quale si concentra opportunamente sulla domanda posta da Gesù: “di chi è questa
immagine e l’iscrizione”) e neppure rispondente alle diverse fasi della storia del cristianesimo e alle diverse cristianità
(apostolica, costantiniana, teodosiana e post teodosiana, ecc. ecc.). Osserva, a tale proposito Olivier Roy: “Chi vuole
sottolineare la specificità dell’Islam insiste sul fatto che il cristianesimo accetta il principio di laicità (riferendosi alle
parole di Gesù nel Vangelo, «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio», Matteo 22, 15-22). Ed è qui che si
commette quello che senza dubbio deve essere considerato l’errore metodologico più inquinante del dibattito (…)[la
sottolineatura è nostra]. Che un teologo o un papa tiri fuori il « 22,15-22» nell’intento di benedire la laicità è tipico dello
stile cattolico, ma l’esistenza di quel versetto non ha mai garantito né una pratica laica né una teologia della laicità. Il
Sillabo scritto da papa Pio IX nel 1864 rifiuta la laicità come la intendiamo oggi (proposta LV dichiarata falsa dal papa:
« La Chiesa deve essere separata dallo Stato e lo Stato separato dalla Chiesa» La Chiesa ha finito per accettare la
repubblica laica non perché una commissione di teologi avesse riletto e studiato per anni il Vangelo, ma perché il
Vaticano si è convinto dell’ineluttabilità della repubblica e vi si è adattato” (O. Roy, Islam alla sfida della laicità.
Dalla Francia una guida magistrale contro le isterie xenofobe, Marsilio, Venezia, 2008, pp. 69-70; ed. originale Paris
2005). Inoltre, come per il Cristianesimo e le diverse, successive “Cristianità”, anche per l’Islam le coppie ‘Islam e
modernità’, ‘Islam e Stato moderno’, ‘Islam e democrazia’, ‘Islam e pluralismo’, ecc. ( vedi: Filali-Ansary, Islam e
laicità, p. 24), vanno trattate con senso storico e anche molta circospezione, altrimenti non si rende un buon servizio a
nessuno dei due soggetti della coppia; “come se l’Islam fosse un dato ben definito, immutabile nel tempo, concepito
nello stesso modo” (ancora: Filali-Ansary). Ma sulla problematica rinviamo al capitolo IV, dove la tratteremo in modo
specifico. 27
“ La comunità dei credenti fu lacerata da un’aspra lotta intestina sulla questione della leadership durata oltre un
quarantennio, grosso modo dal 31/650 al 73/692. (…) ebbero una certa somiglianza con un vasto e aspro litigio
famigliare. (…) Possiamo chiamare, rispettivamente, prima e seconda guerra civile (35-40/656-661; 60-73/680-692)”.
Donner, Maometto e le origini dell’Islam, p.151.
11
I quattro califfi (…) occupano nell’immaginario dei musulmani un posto paragonabile a quello
degli Apostoli nel Cristianesimo. (…). Il regime dei califfi è dunque diventato agli occhi dei
musulmani, il simbolo del sistema islamico giusto, rispettoso allo stesso tempo dei principi
religiosi e degli interessi della comunità. La sua fine rappresenta un momento tragico nel vero
senso della parola. 28
Continuando nell’indagine sulla tipologia del governo (il prisma: Potere-Stato-Religione-Società),
soffermiamoci ad esaminare la «grande discordia» o « grande disordine» (fitna kubra), con lo scopo
preciso di illuminare – anche attraverso questo genere letterario- la concezione del potere e del
governo; osserva, infatti, Filali-Ansary, che “ i musulmani hanno chiamato fitna kubra i disordini
seguiti alla loro [dei califfi ben guidati]sostituzione con un califfato di tipo monarchico”. Una sorta
di innovazione anche linguistica che evoca un vulnus la cui caratteristiche meritano un
approfondimento.
Le conseguenze furono, in effetti, gravissime: l’assassinio dell’ultimo dei rashidun – Ali (cugino
del Profeta) e dei suoi figli – ha portato anche alla più grave rottura dell’unità religiosa e di fede
nell’Islam, oltre che a quel cambiamento politico che riguarda l’insieme della storia dei musulmani.
Insomma una sorta di frattura archetipa (anche qui) che avvolge tutta la filiera circolare (e
inestricabile) del Potere-Stato-Religione-Società, toccando le diverse concezioni dei differenti
sistemi politico-istituzionali che si sono succeduti nel tempo:
I musulmani sono giunti a considerare questa svolta come una caduta irrimediabile, a concepire la
Storia che segue questo momento come una regressione costante e a vivere le loro condizioni
storiche come si accetta un male inevitabile.29
La tradizione musulmana più tarda, riflettendo su quella disdicevolezza, ha parlato di fitna,
termine coranico che significa “seduzione”, “tentazione”; nella fattispecie la “tentazione” di
perseguire l’interesse personale, il vantaggio materiale a detrimento degli interessi comuni e
spirituali. Non è chiaro quando questo termine sia stato utilizzato per la prima volta, ma potrebbe
risalire all’epoca delle guerre civili30
.
Ci saremmo aspettato – dopo questa interpretazione spirituale/filosofica/morale – che la
conseguenza della fitna kubra avesse intaccato quel processo di mitizzazione del contesto politico-
organizzativo del potere e delle società delle “origini”. Invece, siamo di fronte alla sua conferma,
con una sottolineatura che merita di essere ben memorizzata: “Tutto ciò ha contribuito
enormemente a rafforzare l’idea che esista un modello islamico del potere e che questo modello sia
stato effettivamente realizzato nel corso della Storia” 31
. Ne consegue l’altra immancabile tendenza:
quella del ritorno alle origini, come una costante che riemergerà, in vario modo, nel corso della
storia delle società islamiche 32
.
28
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 41. 29
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 41. 30
Donner, Maometto e l’origine dell’Islam, p.151.Per le guerre civili, si veda la nota precedente, n.29. 31
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 41 32
Forse potrebbe risultare utile un salto molto in avanti, nel cuore della vicenda storica contemporanea, per sottolineare
la strategicità perdurante di questi elementi, lo facciamo con questa citazione da Olivier Roy: “Oggi l’immaginario
politico dominante tra gli islamisti e i neo-fondamentalisti è quello del tempo del Profeta. Ma tale immaginario politico
non viene dal passato (…). La ri-attualizzazione del passato quale radice fondante rappresenta, come spesso accade, il
12
Questi aspetti sono molto pertinenti alla nostra indagine, ed anche strettamente collegati al tema
della laicità, ovviamente non nel senso della vulgata della separazione religione-stato, ma riferito
alla concezione del potere, delle sue forme, dei suoi soggetti (laicità, come a-sacralità del sovrano e
del potere, a prescindere dai contesti religiosi), e come assunzione completa del metodo storico
(studio e critica delle fonti, ecc.). Si osservi, peraltro, la citazione seguente, e la si ponderi
considerandone le conseguenze su una possibile teoria del potere e sulla natura e la forma di un
Diritto – costituzionale o meno - che sia di fondamento a una qualche forma di organizzazione
statuale.
(…) l’Islam proporrebbe una «Costituzione implicita», la cui messa in opera permetterebbe di
realizzare l’ideale delle società giusta e di vivere secondo l’etica religiosa. La nostalgia per
questo “regime” non ha, per così dire, mai abbandonato i musulmani. Essi sono giunti a
considerarlo come il solo a essere realmente legittimo e a considerare gli altri regimi sotto i quali
hanno vissuto tutt’al più “legali”, ma privi assolutamente di reali legittimità.33
La suggestione di una costituzione implicita – pur senza mettere in campo alcuna religione -
manifesta una “resistenza” – si direbbe, primordiale – ad un approccio razionale-laico, in termini sia
filosofici che politici; quindi anche di filosofia politica. Naturalmente non ci sfugge che su questo
percorso, l’indagine potrebbe incorrere in uno di quegli “ apriori ideologici”, di cui scrivevamo
nella Introduzione; e sui quali abbiamo preso l’impegno di “evitarli o almeno renderli espliciti”.
Ecco un caso in cui bisogna, dunque, esplicitare il rischio per confrontarsi con esso e per fare un
passo avanti sulla strada del “difficile rapporto”.
Nell’VIII secolo, quando la dinastia degli Omayyadi è al tramonto, e di nuovo nel IX secolo,
l’ideologia politica non si distingueva dall’ideologia teologica. Ogni formulazione teorica era
imbevuta di religione, imbevuta di Islam. Di fatto, ogni ideologia, politica o filosofica, era anche
teologica, una ideo-teo-logia, e non c’era spazio per una ideologia laica in senso stretto. Il concetto
di laicità o di laicismo, un’ideologia, cioè, senza l’ombra di una qualche influenza teologica, era
una casella vuota nel pensiero di quei secoli.34
Prima di procedere, ci sembra utile fare un cenno al “razionalismo” nell’Islam e, quindi, al
movimento dei Mu‘taziliti. “Siamo nell’VIII secolo. Il secolo seguente, il IX, vedrà l’apogeo del
movimento, e sarà l’età dell’elaborazione degli strumenti intellettuali che più avanti, nel secolo
XIII, saranno gli strumenti di Tommaso d’Aquino. In questo senso si possono certamente mettere in
relazione il tomismo e la teologia musulmana” 35
. Si tratta, dunque, della applicazione della
razionalità allo studio del Corano e anche a Dio (una sorta di teologia negativa: dice di Dio ciò che
tentativo di riappropriarsi di una forma di modernità. La ricorrente confusione tra islamisti e neo-fondamentalisti può
essere presa ad esempio. I primi ritengono che la re-islamizzazione passi attraverso lo Stato; i secondi dalla devozione
personale. Tutti condividono tuttavia uno stesso immaginario politico: l’idea che la società musulmana ideale sia quella
del tempo del Profeta. Ma tale paradigma non funziona direttamente. (…). Una possibile lista di ciò che costituisce la
base dell’immaginario politico islamico (il califfato, la non separazione tra religione e politica) ci consente di vedere
che questi paradigmi funzionano grazie all’intermediazione di un’elaborazione giuridica o ideologica. Un dogma
religioso non produce mai un effetto diretto in politica. Esso funziona solo se ripreso, tradotto e ridefinito da
un’ideologia politica, da un’elaborazione giuridica o da un dispositivo di potere, tutti dipendenti da una situazione
politica precisa: vedremo più in là come lo Stato islamico sia in realtà un’elaborazione ideologica specifica del XX
secolo” (Roy, Islam alla sfida della laicità,, pp. 97-98. (La sottolineatura e il corsivo sono nostri). 33
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 41. 34
M. Talbi, Islam e libero pensiero. Laicità e democrazia nel mondo musulmano, UTET, Torino 2015, p. 219. 35
M. Talbi, Islam e libero pensiero, p. 222.
13
non è, non potendo dire ciò che è; “una teologia che proveniva dall’ellenizzazione del pensiero
musulmano”). Contestualmente, purtroppo, questa innovazione ha poi dato spazio ad una reazione
contraria ed anche violenta, tesa a bloccare questo approccio, attraverso la legalizzazione del delitto
di ridda (apostasia): a colui – murtadd –che si macchiava della ridda veniva comminata la pena
capitale; la norma, elaborata nell’VII secolo fu ammessa all’unanimità da tutti i teologi
musulmani”36
.
3. Il compromesso medievale
Intanto le conquiste procedono, e la «comunità dei credenti» comincia a prendere la forma di un
impero: merita, quindi, ora concentrarsi sul periodo che prende le mosse dalla fine del primo
sistema di califfato e arriva alla nascita degli Stati moderni nei secoli XIX e XX. A questo periodo
è stata attribuita la formula del “compromesso medievale”. Vediamo di cosa si tratta.
Le dimensioni amministrative e militari dello statalismo tipico del califfato tardo omayyade
furono sostenute da una nuova linea ideologica. Durante il regno di ‘Abd al-Malik, il califfato
cominciò a coniare per la prima volta le proprie monete (…). La sovranità dello stato si espresse
altresì nella costruzione di grandiosi monumenti37
.(…) Mentre il califfato dei primi tempi aveva
visto succedersi regni profondamente dipendenti dalle qualità personali, religiose o patriarcali, dei
sovrani, il nuovo califfato era un’istituzione indipendente dalla persona che ne ricopriva la carica
(…) gli Omayyadi mutuarono dai greci motivi, ma anche costruttori e artisti, per decorare le loro
moschee (…)trasformarono i motivi tradizionali e conferirono a vecchie forme contenuti nuovi,
onde creare un simbolismo di stato specificamente islamico. L’ideologia statalista derivò dagli
imperi precedenti, ma fu espressa in forme tipicamente islamiche38
.
Queste ad altre innovazioni (la nascita di vere e proprie città: Bagdad, eretta in soli quattro anni dal
califfo Abù Ga’far ‘Abd Allàh al-Mansur, nel IX secolo misurava circa 25 miglia quadrate, con una
popolazione tra i 300.000 e i 500.000 abitanti, dieci volte più grande di Ctesifonte, cinque volte più
grande di Costantinopoli, e rimase tale fino al XVI secolo) unite al pluralismo inedito delle
popolazioni coabitanti ( ebrei, cristiani, musulmani, pagani non dichiarati, persiani, iracheni, arabi,
siriani; nestoriani provenienti dai villaggi di tutto l’Iraq scelsero Bagdad per loro città) crearono
una situazione socio-politica completamente nuova: “La casa di una nuova società mediorientale,
eterogenea e cosmopolita, composta di molti elementi arabi e non arabi, ora integrati in un’unica
società sotto gli auspici dell’impero arabo e della religione islamica” 39
. Questa nuova
configurazione: amministrativa, nella tassazione, nel pluralismo delle razze, nella dimensione
architettonica ed urbanistica, portò con sé anche una trasformazione della Società. Nasce, quindi,
un nuovo personale politico (all’inizio mutuato dai regni che venivano occupati), dotato di
specializzazioni tecnico-professionali ed anche di poteri collegati alle loro specifiche funzioni, a cui
si interfaccia un’altra «categoria».
Un personale che avrebbe avuto in seguito un ruolo decisivo nell’avvenire della comunità:
gli ulama (plurale di alim, sapiente) e i fuqaha (plurale di faqih), i chierici. In altri termini, la
36
M. Talbi, Islam e libero pensiero, p. 224. 37
Sotto il califfo ‘Abd al-Malik (685-705), ad esempio, Gerusalemme divenne città santa dell’Islam e nel luogo dove
era stato il Tempio ebraico, egli eresse la Cupola della Roccia. 38
Lapidus, Storia delle società islamiche, I, p.69- 70-71 passim (la sottolineatura è nostra). 39
Lapidus, Storia delle società islamiche, I, p. 78.
14
fine del primo “sistema di califfato” (khilafa rashida) segnò non soltanto la fine di un regime
politico, ma la fine di tutto un ordinamento e l’emergere della separazione tra le funzioni politiche
e religiose, tra i militari detentori dei poteri politici e il clero detentore del potere religioso. 40
Una sorta di separazione tra sfera pubblico-statale e sfera religiosa? Procediamo con calma,
evitando di attribuire al tempo passato, categorie e configurazioni socio-politiche moderne e
contemporanee. Osserviamo, dunque, le cose più da vicino.
L’indagine entra, ora, in un terreno nuovo e non ancora esplorato. Il dato di fatto – la nascita di ceti
urbani appartenenti a religioni diverse e padroni di competenze autonome, acquisite da conoscenze
tecniche, profondamente profane e secolari – potrebbe costituire una premessa e anche la spinta ad
una seconda nascita: quella di una religione/fede (suoi sistemi specifici: fonti scritturistiche e
proprie autorità ed istituzioni) autonoma, anche essa sovrana nel suo ambito. Ma sarà così? La
descrizione della situazione, operata dal Flali-Ansary, continua in questi termini:
Quest’ultimo aveva sì l’incarico di condurre i riti e assicurare l’educazione religiosa di base, ma
anche di formulare leggi a partire dai testi sacri e dalla Tradizione e di praticare le funzioni
giudiziarie. Dai ranghi del clero uscivano gli imam (‘direttori della preghiera’), i mufti (‘esperti
della Legge islamica’) e i qadi (i ‘giudici’)41
.
Osserviamo che su tale impianto sociale e giuridico, il dibattito degli intellettuali dell’epoca, risente
delle diverse opzioni ideologiche e delle diverse aspettative di gruppi sociali e categorie
professionali, variamente protagonisti; e delle loro diverse aderenze alle dinamiche e alle logiche
del «Potere» in carica. La natura del «compromesso», pertanto, è duplice: è provvisorio e non è
dichiarato (teorizzato). Come tutti i compromessi, questo accordo non scritto forma, per sua
natura, un contesto socio-politico (in parte anche con rilevanza giuridica) sempre cangiante e
sottomesso ai rapporti di forza delle componenti sociali e dei poteri che sono in campo, a loro volta
cangianti (evoluzioni e/o involuzioni) nel tempo.
Di certo non credo che tale situazione possa essere semplicisticamente definita una
“secolarizzazione di fatto”. Certamente possiamo e dobbiamo considerarlo un cambiamento
importante. Molto opportunamente alcuni studiosi e analisti della storia delle società musulmane
hanno sottolineato che in questo nuovo contesto sociale e politico viene provocata “una frattura di
fatto tra Stato e Società, fondata ormai su ideali e sistemi di valori differenti, perfino opposti”42
.
Una situazione, questa, molto ricorrente in quelle configurazioni istituzionali, politiche e sociali
nelle quali la basi giuridiche e costituzionali risultano incerte, fragili o inesistenti; come anche nelle
fasi storiche di transizione e/o di crisi (‘quando il nuovo non ancora nasce ed il vecchio è già
morto’).
In questa fase dell’indagine islam –laicità attraverso i percorsi di storia del mondo musulmano, non
è necessario assumere una valutazione definitiva sulla natura (e caratura) del compromesso, mentre
è sufficiente che sia ben messo a fuoco il carattere storico del compromesso stesso:
41
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 42. 42
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 43. La sottolineatura è nostra.
15
Il sistema che si è imposto a partire dagli Omayyadi ha consacrato, insieme alla separazione delle
funzioni politiche da quelle religiose, un regime in cui il potere, nonostante il suo carattere molto
vasto e potenzialmente illimitato, non poteva manipolare a suo piacimento le norme e le leggi
fondamentali. Le norme (nel senso etico e giuridico) erano formulate, difese e messe in pratica
dai ‘ulama’ e dai‘fuqaha’. Erano considerate come fondate nella religione ed emanate per
applicarne i comandamenti, e quindi dotate di un carattere sacro, di là da qualsiasi
manipolazione e al di fuori della portata degli uomini. La funzione degli uomini di religione
consisteva precisamente nel formularle, interpretarle e sorvegliarne l’applicazione.43
Siamo, pertanto, con tutta evidenza in una situazione di non secolarizzazione (non di fatto, tanto
meno di principio) e di non laicità. Ma, attenzione, non per questo la novità risulta meno reale e
meno importante. Ed essa resta tale, anche ai fini del successivo approfondimento storico,
teologico, giuridico, filosofico e linguistico, che faremo.44
Tuttavia, è importante – già in questa fase e senza voler accelerare il passo lento e prudente della
nostra indagine – sottolineare come questa configurazione socio-culturale-politica (tra
compromesso e doppiezza irrisolta) sta alla base di questo duplice stato di fatto. Da una parte,
rilevare che:
Quella che noi chiamiamo storia dell’Islam è costituita principalmente da regimi che i musulmani
non hanno praticamente mai accettato come realmente legittimi, né come rappresentativi della
concezione islamica del potere.
Dall’altra parte, costatare che:
Ciò non impedisce ad alcuni ambienti contemporanei [a quell’epoca] di attribuire loro, malgrado
tutto, il grande merito, in confronto ai modelli che predominano da uno o due secoli, di essere
stati, contrariamente allo Stato moderno, sottomessi alla “Legge islamica” (shari’a) e rispettosi
del ruolo e del parere dei ‘ulama’.E non impedisce a numerosi osservatori [anche odierni]di
associarli all’Islam come religione e di farne l’espressione unica e autentica.45
43
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 43-44. Le sottolineature sono nostre. Ed è appena il caso di osservare che a fronte di
questa situazione la facile e semplice (semplicistica?), corretta osservazione che l’Islam non ha un «clero» costituisce ,
insieme, una ovvietà ed una costatazione (banale) che resta alla superficie dei fenomeni. 44
Ad adiuvandum potrà forse risultare utile anche attirare l’attenzione del lettore sulle configurazioni, pur altamente
consolidate e giuridicamente fondate di laicità (con basi anche Costituzionali) ed anche di “secolarizzazione” nelle
società occidentali contemporanee, ove spessissimo si verificano situazioni nelle quali le religioni (le loro istituzioni e i
loro movimenti nella società) spingono verso la sovrapposizione ed anche la confusione, concettuale e pratica – ad
esempio - tra illegale/peccato o crimine/colpa ( vedasi: le legislazioni che regolano il ricorso all’interruzione della
gravidanza, quelle che regolano il fine vita, quelle che definiscono le basi giuridiche dei matrimoni e/o delle unioni
civili, ecc.) e fanno pressione sui Parlamenti per una legislazione che legittimi la sovrapposizione di quelle categorie e/o
una scelta tra le diverse opzioni su base religiosa. Il “compromesso medievale”, pur nella sua fragilità e
indeterminatezza, è – dunque- un importante dato/risultato storico. Risulta assolutamente pertinente tenerlo presente
nel prosieguo della indagine, per monitorarne l’evoluzione e la portata e, nello stesso tempo, evidenziarne un loro
apprezzamento, specie a fronte di derive e/o tendenze che si vanno affermando nei nostri giorni; con l’aggravante di
farli passare come normali e connaturate alle basi scritturistiche dell’Islam (Corano, Sunna). 45
A. Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 45.
16
Si configura, pertanto a questo stadio, una situazione complessivamente bloccata. Anche in forza di
questa situazione di irrisolutezza (conflittualità interna ed opposti visioni), l’incontro con la
modernità e l’occidente si profila aperto a sviluppi di diverso carattere.
CAPITOLO SECONDO
‘ Fasl al-maqal’ / Trattato decisivo’
1. L’incontro con la modernità
L’avversione, il rigetto e la lotta contro la modernità, nei paesi musulmani, inizieranno a prendere
forma successivamente. Agli inizi, l’incontro con l’ occidente46
(Europa) è stato, invece,
caratterizzato da manifestazioni di prevalente fascinazione. “L’autore più importante, che traduce
il clima psicologico che pervade tutta la cultura arabo-islamica del XIX secolo, è senza dubbio
l’imam Rifà’a Rafì‘ al Tahtàwì (1801-1873)”. E’ famoso il suo diario di viaggio a Parigi – fra il
1826 e il 1832- a capo di un gruppo di quaranta studiosi, “con il compito di imparare le scienze
esatte, la tecnica e le scienze umane”. “Per uno storico delle mentalità, il suo diario dal titolo
Takhlìs al-ibrìz ilà talkhìs Barìz( L’oro di Parigi) è di estrema importanza, poiché traduce la “onda
d’urto” provocata da questo nuovo paesaggio culturale. (…). La Francia stava avviando la propria
rivoluzione industriale. Lo sguardo di un Tahtawi può apparire ingenuo, ma è un periodo in cui tutti
si sentono depositari del futuro, e dunque dell’emancipazione del proprio paese (…) Questo
trinomio – studiare, imparare, riprodurre – è presente non solo in Tahtawi, ma in quasi tutto il
movimento che si richiamerà alla rinascita dell’Islàm. (…) La pubblicazione del Diario fu accolta
con entusiasmo dagli stessi ‘ulama’ dell’Università di al-Ahzar”47
Citiamo dal frontespizio della pubblicazione:
Gloria a colui che manifesta le meraviglie delle sue opere nella differenza di condizioni delle sue
creature, nella varietà delle specie del mondo e nella diversità dei suoi aspetti. (…). Bisogna
incitare l’uomo ragionevole a viaggiare e muoversi in altre contrade, al fine di crescere in scienze
certe e di superare in poco tempo, per il tramite della conoscenza dei servi di Dio (…).48
46
E’ utile aggiungere qualche altra data illuminante: “In Europa l’interesse scientifico per l’Islàm è anteriore alle
imprese coloniali: risale al 1539 la prima cattedra di lingua araba al Collège de France di Parigi, e mentre l’impero
ottomano estendeva il suo controllo sul Mediterraneo si assiste alla nascita di nuove scuole e istituzioni che si occupano
di islàm” (Allam, L’Islàm contemporaneo, p. 220). 47
Allam, L’Islàm contemporaneo pp. 221-222. 48
La citazione è tratta da: Allam, L’Islàm contemporaneo; il quale rinvia a: al-Tahtawi, Rifa’a Rafi‘, 1953, Taklis al-
ibriz ilà talkhiz Bariz, Il Cairo (trad. francese, L’or de Paris, a cura di A. Louca, Paris 1988).
17
La terminologia, il tono e l’approccio configurano una situazione molto pertinente al tema della
nostra indagine; merita, pertanto, dedicare alcune sottolineature (a cominciare dai corsivi da noi
introdotti nella citazione sopra riportata) e una messa a punto della fase storica nella quale stiamo
entrando.
Al netto dell’entusiasmo (“ il testo può apparire a volta infantile”), rileviamo un vocabolario, con
cui in seguito dovremo confrontarci in dettaglio, che rinvia ad una fase politica e culturale su cui
dobbiamo intrattenerci. Stiamo, infatti, entrando nel cuore della ricerca sui “percorsi di storia del
difficile rapporto tra Islàm e Laicità”; e qui, al prisma ottico (o filiera) potere-stato-religione-
società se ne interfaccia un altro ragione-scienza-conoscenza-laicità. Al- Tahtawi, imam e membro
del gruppo in viaggio ufficiale di studio in Francia, scrive nel 1826-31: nel suo scritto ( fermo
restando che quei termini entusiastici vanno presi con le molle) evidenzia, da una parte, la necessità
storica per la società islamica del suo tempo di approvvigionarsi alle fonti delle innovazioni
tecniche e scientifiche della società francese e della sua fase di sviluppo, dall’altra afferma ( mentre
evoca contestualmente un quadro religioso e di fede - “La gloria a colui che manifesta le meraviglie
delle sue opere nella differenza delle sue creature” – confermando esplicitamente di essere
immerso in esso) il valore della “conoscenza” e della “scienza della storia vasta”.
Questo ragionare (la formula usata è “l’uomo ragionevole”) avviene in un contesto socio-culturale
che va approfondito storicamente.
Il termine che identifica questo periodo è la parola “scienza”: non solo perché essa è vista come
vettore della modernizzazione e perché sembra essere il percorso più breve per l’emancipazione
dopo la lunga notte vissuta dai paesi islamici; ma soprattutto perché la parola “scienza” , nelle
mentalità musulmane e nel lessico dell’Islàm, evoca il periodo d’oro (turàth ), gli antichi fasti
dell’islàm. Tahtawi si rifà , come altri, a questo immaginario che sognando ciò che fu in passato
la civiltà islamica, fa dimenticare la debolezza del presente. Questo atteggiamento tipico delle
élite musulmane, è già in sé una forma di acculturazione, ma denuncia anche un riflesso
psicologico che impedirà di vedere quali siano le vere difficoltà epistemologiche, i veri problemi
di significato. Tahtawi e i pensatori che si rifanno al suo pensiero sembrano convinti che sia
sufficiente importare la modernità per risolvere i problemi politici e sociali.49
Quel “linguaggio” nuovo, dunque, risulta innestato in un Pensiero con “difficoltà epistemologiche”.
Di cosa si tratta? Riprendendo le fila della formazione di quel “Pensiero”, osserviamo sullo sfondo
un flusso di storia plurisecolare (depositato nell’immaginario individuale e collettivo del gruppo di
studiosi che dall’Egitto arriva a Parigi) che Ira M. Lapidus riassume in questi termini molto
illuminanti:
Visto a ritroso, l’Islàm appare come il guscio nuovo di una civiltà più antica. (…). Per certi versi
la formazione delle società islamiche fu il riepilogo di precedenti processi di sviluppo storico
mediorientale e la ridefinizione delle forme istituzionali preislamiche nei termini della cultura
musulmana. (…) Il processo di formazione della civiltà islamica non fu assimilazione passiva,
ma lotta fra portatori di differenti concezioni. (…) Le comunità urbane assorbirono parimenti una
molteplicità di orientamenti contrastanti. (…) Espressi in una forma o nell’altra, convivevano
atteggiamenti religiosi fondamentalisti, conservatori, rigoristi, concilianti, realisti e millenaristi.
49
Allam, L’Islàm contemporaneo, p. 223.
18
(…) Nell’ambito teologico l’equilibrio fra rivelazione e ragione fu trovato in un limitato ricorso a
quest’ultimo; la posizione mutazilita, più razionalistica, fu messa al bando. I problemi dei rapporti
fra legge, teologia e misticismo non erano stati però risolti.50
2. La “svolta maggiore”
Quel lungo flusso della storia porta, quindi, al confronto con l’Europa, società islamiche niente
affatto omogenee e con molti conflitti interni: “i confronti più gravidi di conseguenze furono quelli
che opposero l’Islàm di corte all’Islàm delle comunità urbane”51
. Su questo processo irrisolto
piomba la “svolta maggiore”. Esaminiamola nel dettaglio, partendo da questa affermazione del
Filali-Ansary: “Questo sistema sociopolitico è messo a dura prova quando le pressioni europee si
fanno più forti a partire dal secolo XVIII e in pieno nel XIX”52
.
Verso il XVIII secolo, il sistema mondiale53
delle società islamiche aveva raggiunto l’apogeo e
iniziato il declino politico (…).La causa che si rivelò cruciale per il declino di tutti i regimi
musulmani fu la crescente potenza europea54
. I popoli che vivevano nel lembo più occidentale del
continente eurasiano stavano realizzando una rivoluzione che avrebbe cambiato il corso della storia
del mondo. (…). La potenza mondiale europea ebbe origine da un intreccio di condizioni socio-
economiche e culturali che portarono alla formazione di una società fortemente pluralistica. (…)
Della massima importanza fu la tendenza a separare lo stato dalla chiesa. Mentre in Medio Oriente
dilagava la simbologia musulmana, la società europea andava laicizzandosi.55
Abbiamo soltanto aperto una finestra su una realtà articolatissima; si tratta di poco più di un
affresco. Molte strade erano state percorse dalle società islamiche e dalle società europee; cammini
faticosi e per molti versi contorti e instabili. Potrà tornare utile ricordare il quasi monito del Filali-
Ansary da noi riportato nella Introduzione: “Nel secolo XIX, quando si pose il problema specifico
del rapporto tra Islam e laicità, le due società erano giunte, ognuna per la sua strada, a una specie
di consenso, di equilibrio o di compromesso, che passò per una soluzione apparentemente stabile, o
addirittura definitiva, del problema. Questa ‘soluzione’ non era la stessa per le due parti”56.
Nell’immaginario di Tahtawi, del suo gruppo di studiosi e dei musulmani che, in Egitto, leggono i
loro réportages albergavano entusiasmo, ma anche sentimenti contradditori e altalenanti. Da una
parte “nel XIX secolo l’immagine dell’Europa cominciava a colpire la fantasia del mondo
musulmano” (Ira M. Lapidus), dall’altra la rapidità e anche la lunga corsa degli Stati europei (
anche in contrasto tra loro, e volta a volta persino con alleanze militari contrastanti e contrapposte -
50
Lapidus, Storia delle società islamiche, I, p. 129-131. 51
Lapidus, Storia delle società islamiche, I, p. 129-131. 52
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 45. 53
“I maestri e i santoni musulmani, collegati alle confraternite religiose, delle scuole di diritto e dalla rete informale di
studio e di viaggio, costituivano una comunità musulmana internazionale. Questo universalismo ci consente di parlare
di ‘mondo musulmano’ ( I.M. Lapidus, Storia delle società islamiche II, Einaudi, Torino 1994, p.23) 54
“Nel XVIII secolo (dopo una lunga serie di sommovimenti ed evoluzioni) la riorganizzazione dell’economia
mondiale e il consolidamento del predominio commerciale e politico europeo avevano ormai decretato la rovina delle
società musulmane, privandole delle entrate derivanti dalla tassazione e dal commercio”. (I. M. Lapidus, Storie delle
società musulmane, II, p. 39) 55
I.M. Lapidus, Storia delle società islamiche II, Einaudi, Torino 1994, p. 31-32. 56
Vedi nota 10 (Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 22).
19
proprio con alcuni stati musulmani - per combattersi tra loro) alla conquista dei mercati e delle
merci, fuori del continente europeo- delineano la “difficile emergenza” e contestualmente la
“tentazione” della modernità - per usare i termini appropriati di Khaled Fouad Allam - che
successivamente impareremo a conoscere, come una delle ragioni del rapporto –difficile - tra Islam
e Laicità.
E c’è anche di più. Il contesto in cui siamo collocati presenta, infatti, una duplice componente: la
prima è il risultato di un flusso di storia che parte dalla progressiva crisi della cultura cosmopolita,
indotta dalla decadenza delle grandi città (come Bagdad, capitale del califfato-impero Abbaside,
distrutta dai mongoli alla fine del XIII secolo) ), con il contestuale “riemergere dell’aspetto
segmentario dell’Islàm, e il venir meno della vocazione cittadina: subentra una cultura molto
frammentata, certamente più complessa, che si riferiva ad autorità locali e non più centrali. E’ ciò
che il riformismo musulmano ha chiamato il ‘ripiegamento’ dell’Islàm su se stesso”57
. La seconda è
l’ atteggiamento volenteroso ed entusiastico – lo abbiamo già incrociato – che “guardava alla
modernità come qualcosa di adattabile meccanicamente a qualsiasi realtà sociologica, che in certa
misura travisava l’effettiva natura della problematica” 58
. Insieme - il ripiegamento e il facile
entusiasmo - generano uno degli scontri più rilevanti, dal punto di vista culturale e anche politico,
in questo periodo: quello tra i “fautori del riformismo e i seguaci del misticismo delle turuq, una
forma di religiosità arcaica, ostacolo alla modernizzazione”59
.
2.1 Tra la metà del XIX secolo e la metà del XX
Abbiamo ascoltato e registrato parole, quali “riformisti” e “modernisti” musulmani. Dobbiamo,
quindi, soffermarci un poco per chiarire la situazione. Tra la metà del XIX secolo e la metà del XX
si assiste ad una fase un po’ caotica del confronto culturale e teologico, con conseguenze sul piano
politico di segno opposto. Dal filone caratterizzato dalla volontà di non fermare la
“modernizzazione” o comunque di confrontarsi con essa, fuoriescono una duplice contrastante
tendenza:
A) Sia i ‘riformisti’ che adottano i “riferimenti ideologici al pensiero di un Ibn ‘Abd al–Wahhab
(1703-1792), fondatore della dottrina politico-religiosa: il wahhabismo (islàm forte, stato dirigista e
intransigente), certamente in lotta contro le confraternite e la cultura delle turuq accusati di scarso
rigore teologico (la unicità divina–tawhìd), e successivamente, anche di collaborazionismo con il
potere coloniale. Questa tendenza procederà fino ad uno sbocco prettamente conservatore e con
aspetti reazionari.
B) Sia, la riflessione critica contro un “ eclettismo che dà la modernità per scontata” (Allam Khaled
Fouad). A tale proposito è molto interessante ascoltare il mesto, netto giudizio dello scrittore
egiziano Muhammad al-Muwaylihi (1868-1930), che scrive nel 1926: “La vera causa è l’intrusione
improvvisa della città occidentale nei paesi d’Oriente, e l’imitazione degli occidentali da parte degli orientali
in tutte le situazioni della vita. (…). Essi si contentano di una timida vernice di civiltà occidentale, e
accettano la dominazione straniera che considerano un fatto compiuto e l’opportunità di un destino
57
Allam, L’Islam contemporaneo, p. 229. 58
Allam, L’Islam contemporaneo, p. 229. 59
Allam, L’Islam contemporaneo, p. 230.
20
favorevole” .60 Questa ulteriore tendenza sarà a base del movimento politico e sociale dei “Fratelli
Musulmani”, fondato da Hasan al - Banna, nel 1929, affermando che “l’Islàm è dogma-culto-patria-
nazionalità- religione-stato-spiritualità-azione, Corano e sciabola”61
.
2.2 La «Nahda»
E, infine, più o meno sopportata, la riflessione corale e contorta della Nahda , che ha tenuto le fila
di un dibattito variegato di grande interesse. Al suo interno si sono manifestate personalità con
tendenze riformatrici (Gamal al-din al-Afghani, 1838-1897: “il primo pensatore musulmano che si
sia misurato con le personalità e il clima intellettuale europeo; la sua polemica con Ernest Renan è
rimasta famosa”), ed altre anche di spessore teologico (Muhammad ‘Abduh, 1849- 1905: “per lui il
riformismo nell’Islàm non consiste soltanto in una rilettura teologica, ma sconfina in una riflessione
sociale, i cui paradigmi sono tolleranza e razionalità; insite sul rapporto tra ragione e rivelazione e
cerca di superare l’antinomia tra i due termini”) ed altre – infine e contraddittoriamente – di stampo
conservatore (Rashìd Ridà, 1865-1935: “egli si situa su posizioni molto più conservatrice, ma la sua
figura è estremamente importante perché concepisce e realizza il pensiero riformista e il movimento
della Salafiyya; l’idea fondamentale della salafiyya è che il risveglio dell’Islàm passa attraverso il
ritorno alle fonti e dunque attraverso l’eliminazione delle innovazioni sul piano teologico (bid’a) e
del culto dei santi – vale a dire della mistica islamica - turuq e delle confraternite- sul piano
antropologico”)62
.
Questa sintesi estremamente succinta dei tre maggiori protagonisti della Nahda (mutuata dal Allam,
e tratte dal suo: L’Islàm contemporaneo, citato, passim, pp. 235-244) ci conduce al centro del
confronto e della ricerca su “il difficile rapporto, Islam –Laicità”. Il pensiero di Rashìd Ridà,
infatti, «lavora su un doppio registro»:
a) Il primo è quello di una rinascita dell’Islàm attraverso la sua purificazione (…). La critica è
rivolta essenzialmente a ciò che viene chiamato l’Islàm parallelo, la mistica islamica e le
confraternite (turuq), che secondo Ridà, sono all’origine del declino dell’Islàm, di
quell’indebolimento che lo condurrà a un’accettazione passiva della colonizzazione.
b) Il secondo registro è che l’occidentalizzazione equivale al taqlìd (imitazione servile) (…) Il
salafismo di Ridà è una forma di conservatorismo che si basa sul mito fondatore di un’età
dell’oro, quella dei primi momenti dell’Islàm; dall’altra parte egli rifiuta in blocco tutto ciò
che la storia ha prodotto all’interno della civiltà islamica, poiché si tratta di innovazioni
condannabili.63
E’ certamente molto chiarificatrice questa ultima istantanea del dibattito tra gli intellettuali
musulmani: da una parte, re-incontriamo il ritorno all’origine, con la mitizzazione della comunità
60
Cit. in Allam, L’Islam contemporaneo, p. 234. 61
“Abbiamo – valuta opportunamente A. Khaled Fouad – tutte le premesse per un pericoloso ed eclettico amalgama che
elimina con un colpo di spugna tutti gli sforzi di ricerca critica e di emancipazione sociale compiuti da alcuni
intellettuali” (in: L’Islàm contemporaneo, p. 234). 62
Cfr Allam, L’Islam contemporaneo, passim, pp. 242-243.. 63
Allam, L’Islàm contemporaneo, p. 242. Aggiunge Allam: “La Salafiyya è importante non tanto come costruzione
dottrinale, ma soprattutto perché essa ha già inscritte in sé tutte le pulsioni e le tensioni che il mondo musulmano vivrà
durante il XX secolo” (p.243).
21
di Medina (sulla quale ci siano intrattenuti all’inizio del nostro percorso); dall’altra assistiamo ad
una sorta di corto circuito intellettuale e politico.
Ed è in questo contesto – forse non proprio promettente, ma incandescente - che si immette, come
un vero e proprio “colpo di frusta” (così lo definisce, Abdou Filali-Ansary) il saggio di ‘Ali ‘Abd
al-Ràziq, L’Islàm e i fondamenti del potere, Il Cairo, 1925.
3. “Il Trattato decisivo”
Sul complicato percorso, sopra succintamente ricostruito - tra declino politico militare degli stati,
crisi delle società islamiche e disorientamento nel dibattito degli intellettuali – piomba l’evento del
secolo (una nuova fitna kubra) l’abolizione del califfato (1924) e, successivamente, nascita dello
«stato laico» della Turchia di Mustafà Kemal.
L’abolizione del califfato ottomano è stata sentita come il crollo di tutto l’edificio comunitario
tradizionale che rappresentava per gli uni il simbolo della loro esistenza come musulmani, e per
gli altri un peso e un ostacolo alla riforma in profondità. Ciò che era certo, per gli uni e per gli
altri, è che una pagina era stata voltata e che una nuova epoca stava cominciando (…) Potremmo
parlare di “crisi della coscienza” islamica o perfino, per prendere in prestito esempi dalla Storia,
di una nuova fitna kubra (grande discordia o grande disordine). Ancora una volta, beninteso, è la
problematica politica che sta all’origine delle preoccupazioni e al centro dei dibattiti.64
In questo contesto di accresciuta complicazione, al Cairo, Ali ‘Abd al-Ràziq, un membro
dell’università di al-Azhar, pubblica, dunque, il suo saggio ( “che dire- si domanda il Filali-Ansary -
di un’opera che suscita uno sconvolgimento politico in un paese con una maggioranza di
analfabeti?”65
) .
Una sorta di ‘Trattato decisivo – fasl al – maqal’ ( riprendere il titolo di un’opera di Ibn Rushd)
che applica alla questione dei rapporti tra l’Islam e la politica un trattamento radicale, in modo da
64
A. Filali-Ansary, Islam e Laicità, p.46-47.
A latere della meditata riflessione del Filali-Ansary in nota, riportiamo una dichiarazione di tipo prettamente «politico»
di M. Kemal Ataturk, fatta in quell’epoca; non è un dato “scientifico”, ma forse potrà risultare di una qualche utilità
l’impatto – direi scioccante, ma non solo di ordine emozionale, anche di natura politica – che produce la sua semplice
lettura: a fronte di un lungo dibattito e una faticosa ricerca di cui abbiamo dato una modesta ricostruzione, la dura e
sbrigativa “sentenza” (netta e senza appello? l’interrogativo è d’obbligo nel tempo in cui scriviamo, a fronte degli
sviluppi politico-istituzionali della Turchia!) del capo politico e istituzionale dello Stato laico, che succede al califfato
ottomano; eccola:
« Per quasi cinquecento anni, queste regole e teorie di un vecchio arabo e le interpretazioni di generazioni di
religiosi pigri e buoni a nulla hanno deciso il diritto civile e penale della Turchia. Loro hanno deciso quale
forma dovesse avere la Costituzione, i dettagli della vita di ciascun turco, cosa dovesse mangiare, l’ora della
sveglia e del riposo, la forma dei suoi vestiti, la routine della moglie che ha partorito i suoi figli, cosa ha
imparato a scuola, i suoi costumi, i suoi pensieri e anche le sue abitudini più intime. L’Islam, questa teologia
di un arabo immorale, è una cosa morta. Forse poteva andare bene alle tribù del deserto, ma non è adatto a
uno Stato moderno e progressista. La rivelazione di Dio! Non c’è alcun Dio! Ci sono solo le catene con cui
preti e cattivi governanti inchiodano al suolo le persone. Un governante che abbisogna della religione è un
debole. E nessun debole dovrebbe mai governare». (https://it.wikipedia.org/wiki/Mustafa_Kemal_Atat%C3%BCrk).
65
Fiali-Ansary, Islam e laicità, p. 48.
22
eliminare l’ambiguità e la confusione nelle quali si era trovata per secoli, per giungere a
conclusioni chiare e quindi permettere un reale sblocco della situazione e un vero progresso nella
vita dei musulmani.66
3.1 Il piano dell’opera e lo scenario politico
Lo scenario nel quale si colloca l’uscita, nell’aprile del 1925, di Al-Islam wa-usul al-hukm: baht fi
al-khilfa wa al-hukuma fi al-Islam (Islam e fondamenti del potere: ricerca sul califfato e il governo
nell’Islam)67
è, dunque, il seguente: in Egitto , la rivoluzione egiziana del 1919, con la Costituzione
liberale del 1923; in Turchia, l’abolizione del califfato nel 1924; ancora in Egitto, appena prima
dell’aprile 1925, due significative altre pubblicazioni : Il califfato e l’imamato supremo (1922, una
raccolta di articoli scritti da Muhammad Rashid Rida - successore di Muhammad Abduh alla
direzione del movimento riformista islamico68
e coeditore assieme a lui della rivista “al- Manar”, di
cui abbiamo sopra tratteggiato il pensiero ed anche il suo approdo di stampo conservatore, molto
distante dal suo primo maestro Muhammad Abduh) e Il califfato e il potere della nazione (1924, di
Abd al-Ghani Senni, traduzione in arabo di un trattato destinato assemblea nazionale turca a
proposito dell’istituzione califfale)69
.
Siamo, dunque, in un contesto politico e intellettuale gravido di tensioni e conflitti. Era proprio il
momento opportuno per una messa a punto della problematica, cruciale e radicale delle fondamenta
del Potere. In effetti, ciò che subito colpisce di questo saggio è quel “riprendere la questione dalle
radici e applicarle un trattamento sistematico, per giungere ad una soluzione definitiva” 70
.
L’altro elemento, forse il più importante che ci sembra utile sottolineare, è che ‘Ali Abd al-Ràziq “è
stato il primo a difendere la laicità all’interno dell’Islam e in nome dei suoi precetti, costruendo le
sue argomentazioni tendo a base il Corano e le Tradizioni del Profeta ed una rilettura della storia
dei primi musulmani”71
.
3.2 Gli snodi principali
66
Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 55. 67
“ L’opera è stata oggetto di due traduzioni in francese. La prima è di Léon Bercher pubblicata con il titolo L’Islam et
les bases du pouvoir par Ali Abderraziq, “Revue des E’tudes Islamiques”, quaderno n. 3,1933. La seconda da noi stessi:
A. Abderraziq, L’islam et les fondaments du puovoir, Paris, La Découverte,1994, e Casablanca, Le Fennec, 1995 (cfr.
nota 2, p. 55, in: A.Filali-Ansary, Islam e Laicità- Il punto di vista dei musulmani progressisti, Cooper&Castelvecchi, I
edizione marzo 2003, Roma – titolo originale dell’opera: L’Islam est-il hostile à la laicité, Le Fennec, Casablanca,
1996). 68
Di una certa utilità potrà essere ricordare che la famiglia Abd al-Ràziq “aveva legami privilegiati con Muhammad
Abduh, principale figura del riformismo islamico, che dominò la scena religiosa e intellettuale alla fine del secolo XIX
e all’inizio del XX in Egitto. Il fratello maggiore, ‘Ali Mostafa, (…) diventò uno dei primi pensatori arabi del secolo
XX che combinavano una formazione tradizionale a una cultura moderna. (…) Ricoprì funzioni importanti come quella
di ministro degli Awqaf (Affari e Beni religiosi) in più governi tra il 1938 e il 1946, e fu rettore dell’Università islamica
di al-Azhar. Il fatto che un ’alim (‘teologo giurista’), come lui, sia divenuto professore di filosofia moderna, e poi
shaykh (‘decano’) di al-Azhar, illustra le condizioni eccezionali che prevalevano in quel momento: filosofia e
razionalità potevano accordarsi con religione ed eredità culturale. Questo periodo era dominato dall’ambizione di
riabilitare alcune correnti razionaliste e ‘progressiste’ dell’Islam lasciate da lungo tempo nell’oblio come il mu’tzilismo”
(Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 49-50). Noi, al mu’tzilismo abbiamo accennato al capitolo primo, paragrafo 2. 69
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 51. 70
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 55. 71
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 48.
23
Durante la buriana della reazione al suo saggio e della polemica aspra sulle sue originali
argomentazioni, ‘Ali Abd al-Ràziq (prima di chiudersi in un silenzio, raramente interrotto) il 30
settembre del 1925 (quindi cinque-sei mesi dopo l’uscita del saggio) pubblica un editoriale sul
giornale (al-Siyasa) di un partito politico (“Liberali-Democratici”), con un titolo da manifesto
politico/teologico: “Ti hanno fatto re, o Inviato di Dio, e ti hanno proclamato capo di governo,
poiché sono i soli segni di grandezza che i loro spiriti riconoscono”.
Non c’è che dire: un vera e propria sfida all’intellighenzia musulmana, con un’indiretta e sobria
professione di fede ed anche un esplicito riconoscimento della “grandezza e nobiltà” del Profeta;
ma senza arretrare di un solo passo dalla sua impostazione strategica72
.
In coerenza con la nostra impostazione di indagare il “difficile rapporto Islam e Laicità” dentro la
dialettica della filiera Potere73
-Stato-Religione-Società, ci proponiamo di analizzare nel dettaglio i
passaggi del lavoro di ‘Ali Abd al-Ràziq, proprio perché il suo approccio illumina – come non
facilmente avviene in altre opere e in altri tentativi di analisi – diversi contesti: teologici, giuridici
e statuali (califfato) della «questione laica» nell’Islam. And al-Raziq, da esperto e da musulmano,
sta ben dentro l’intreccio della filiera e, nello stesso tempo, sa cogliere le specificità delle diverse
sue componenti. Si può dire anche così: egli manifesta un fondamentale approccio «laico», sia
quando riflette sul potere tout court, sia quando riflette sulla religione tout court. Da una parte,
infatti, Abd al-Ràziq usa (ed ha) un linguaggio da cui si evidenzia che “ è pienamente consapevole
di occuparsi di cose sacre, o considerate tali, e che il suo approccio rappresenta, negli ambienti
islamici, un modo completamente inedito di trattare argomenti che riguardano la religione”;
dall’altra “è convinto della necessità di procedere ad un chiarimento totale, che permetta di superare
un conflitto che ha pesato su tutta la comunità dalla morte del Profeta”74
.
L’articolazione dell’argomentare di Abd al-Ràziq “si svolge in tre tempi che vertono
rispettivamente su: l’istituzione califfale, il Profeta e il potere, lo stato costituito dopo la morte del
Profeta”, come opportunamente ci introduce Filali-Ansary, da cui assumiamo la sintesi del
pensiero di ‘Ali Abd al-Raziq, essendo il suo migliore interprete (nonché traduttore) in Europa.75
Innanzitutto egli parte dall’analisi delle multiformi visioni del califfato, manifestatesi nel corso
della storia dell’Islàm; spaziando sull’insieme delle fonti letterarie, di qualsiasi natura (avendo a
cuore di farci conoscere “la rappresentazione del califfato nell’immaginario dei musulmani”, p. 57)
dimostrando la presenza, nella lunga storia delle società islamiche, di due concezioni del califfato
(“nettamente opposte”, p. 57). Una attiene ad una tipica teocrazia, l’altra ad una impostazione di
tipo contrattuale (“due polarità estreme che i teologi rifiuteranno con decisione”, p. 58).
72
Il giovane ‘Ali – pubblica il saggio all’età di 37 anni – aveva alle spalle studi in Europa (il “viaggio in Europa”, ormai
‘tradizione’ di molti intellettuali progressisti musulmani), dal 1912 al 1915, vigilia dello scoppio della prima guerra
mondiale: studia lingua inglese, acquisisce il Bachelor of Arts, ad Oxford. In seguito al suo rientro si dedica al lavoro di
qadi (‘giudice islamico’) e conduce una riflessione sul “sistema giudiziario islamico e i fondamenti (usul) di questo
sistema e sulle teorie delle origine e dei fondamenti del potere nell’Islam” (Filali-Ansary). 73
“I musulmani si sono sempre scontrati sulla questione del potere al punto di renderlo un tema dell’enorme carica
tragica” (Muhammad ‘Emara, citato da A. Filali-Ansary). 74
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 56-57. 75
Salvo espliciti riferimenti ad altri autori, tutte le citazioni virgolettate sono da riferirsi, pertanto, a: Abdou Filali-
Ansary e al suo: Islam e Laicità, il punto di vista dei musulmani progressisti.
24
Successivamente, ‘Ali interroga la Legge (shari’a) alla ricerca dello statuto-hukm della istituzione-
califfato (“la legge islamica è in effetti per i musulmani tradizionalisti, e fino all’avvento dello Stato
moderno, la misura di tutte le cose, la Norma suprema”, p. 58). E contemporaneamente cerca la
risposta anche nel Corano, negli Hadith e nelle opinioni di grandi teologi. Quindi, indaga se nel
corso della storia vi sia stato un consenso-ijma’ dei credenti che abbiano dato alla istituzione
califfale una legittimazione. Scrive Abd al-Ràziq:
Abbiamo rilevato che il Libro sacro non si è mai degnato di menzionare il califfato né di fare la
benché minima allusione a suo riguardo, che la Tradizione del Profeta (Sunna) l’ha ignorato, che
nessun ijma’ (‘consenso’) si è verificato al riguardo. Quali argomentazioni restano quindi ai
sostenitori del califfato? Si può ancora parlare di obbligo religioso, quando non possiamo
appoggiarci né al Libro sacro, né alla Tradizione del Profeta e neppure a un ‘consenso’ dei
fedeli?76
Concludendo questa prima parte, affronta una di quelle ricorrenti affermazioni tipiche, ripetute nel
sistema educativo ufficiale delle società islamiche: “la necessità di una forma di potere islamico per
condurre i riti e applicare la legge; in una parola «il bisogno di qualcuno che curi i suoi interessi»”
(questa è detta “formula di Abu Bakr”, il primo dei califfi rashidun-ben guidati). La risposta di Abd
al-Ràziq è che questa argomentazione esorbita dalla Legge e diviene un ragionamento del tutto
umano, quindi sottomesso alle verifiche umane della storia concreta; e qui: “La prova la fornisce
proprio la Storia: il califfato è potuto sparire senza che la religione e i suoi riti e le sue leggi
sparissero anch’essi. Non si può nemmeno affermare che i suoi precetti siano stati meglio osservati
sotto il califfato – potere fondamentalmente islamico – piuttosto che nelle situazioni in cui non c’era
alcun potere islamico”, p. 60).
La seconda parte della sua opera, ‘Ali Abd al- Ràziq, la intitola Islam e governo, ed in essa
affronta altre due cruciali questioni: a) la definizione esatta della missione del Profeta (“il profeta è
soltanto un profeta oppure allo stesso tempo è anche re?”); b) l’esame del sistema di governo
islamico dopo la morte del Profeta e, indirettamente, la questione del rapporto tra arabità (‘urūba:
arabismo, carattere arabo, riferito alla cultura) e islam.
Sulla prima questione: “ Profeta e re, è possibile”? Il terreno di analisi era particolarmente
pericoloso: mai la teologia si era avventurato ad analizzare in modo diretto la “missione” di
Muhammad77
. Una questione molto delicata, perché “passando in rassegna la letteratura consacrata
alla vita del Profeta, scopriamo con stupore che, senza ammetterlo, senza accettarne tutte le
conseguenze, l’opinione più diffusa tra i musulmani è che Muhammad ‘cumulasse’ le funzioni di
profeta e di re” (Filali-Ansary, p. 62)78
. Ovviamente Abd al-Ràziq non nega queste circostanze, ma
non si ferma a queste evidenze – in questo sta anche la sua critica serrata ai teologi, di essersi
adagiati – e va oltre, mettendo in discussione (dopo aver dimostrato che nelle fonti sacre e profane,
76
‘A. Abd al-Ràziq, L’Islam et les fondements du pouvoir, pp. 75-76. 77
“Certo la questione può sembrare grave e temibile per il fatto che verte sulla dignità del Profeta e che esamina il
rango che egli occupa. Eppure, nonostante questa impressione, porre una tale domanda non conduce affatto a mettere in
dubbio la sostanza o i fondamenti della religione islamica” (Abd al-Ràziq, L’Islam et les fondements du pouvoir, p.
138). 78
“Tra i principali argomenti invocati in favore di questo modo di vedere le cose c’è in primo luogo il fatto che egli ha
condotto, personalmente, campagne militari. Citiamo anche la creazione di un’amministrazione finanziaria, le iniziative
diplomatiche e altre pratiche ancora” (Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 62)
25
non ci sono “i fondamenti del potere e del governo”) il comune sentire e attaccando direttamente
uno dei mostri sacri di questa tendenza, niente affatto naturale o scontata:
Come si vede, per Ibn Khaldun l’Islam è una religione che implica contemporaneamente un
appello a tutti gli uomini, una legislazione e un principio di realizzazione di questa legislazione. Il
potere spirituale e il potere temporale vi sono riuniti, cosa che distingue la religione islamica da
tutte le altre.79
A questa presa di distanza, esplicita e significativa, fa seguire - dato il livello dell’interlocutore80
-
l’interrogativo urticante, a cui nessuno del ceto intellettuale nel suo complesso intendeva correre il
rischio di (affrontare) una risposta, e che evitava persino di porsi pubblicamente:
Perché (il Profeta) non ha esposto su questi argomenti i principi del suo sistema di governo e le
regole della consultazione popolare (che doveva permettere di perpetuare il sistema)? Perché
avrebbe lasciato regnare la perplessità tra i teologi su un argomento così importante, e cioè il
sistema di governo stabilito ai suoi tempi? (…) Se la costituzione di uno stato avesse fatto parte
della sua missione (è certo – Dio ci preservi dal credere il contrario – che Egli non ha lasciato la
vita senza aver prima trasmesso l’integralità del messaggio di Dio) come avrebbe potuto lasciare
una tale questione in una confusione simile, al punto che i musulmani trovandosi in un’oscurità
totale giunsero rapidamente a uccidersi gli uni con gli altri?81
A questi interrogativi incalzanti, la risposta (già di per sé implicita) sarà netta ed esplicita. Con
riferimento alla questione ‘ arabità e Islam’– così riassume il Filali-Ansary : “ L’unità degli arabi
era all’inizio di tipo religioso e ciascuna ‘popolazione’ (tribù) araba conservava la sua
organizzazione privata e il controllo dei propri affari; in seguito, è intervenuta un’operazione di
tutt’altra natura, essenzialmente temporale, che ha approfittato di questa unione religiosa per creare
un’entità politica, uno Stato” (Filali-Ansary, p. 64).
Mentre sulla spinosissima questione successoria, Abd al-Ràziq scrive:
Il Profeta è morto senza aver nominato un successore, né designato chicchessia a occupare le
funzioni che egli ricopriva nella comunità. Ancor di più, durante la sua vita, non ha mai fatto
riferimento a qualcosa che potremmo chiamare Stato islamico o Stato arabo. 82
Gli approdi di questa incalzante argomentazione sono tutti, via via, resi espliciti e così riassumibili:
- dalle “Fonti” sacre: nessuna indicazione a forme di stato e/o di governo;
- tutte le scelte fatte, in questo campo, sono frutto dell’iniziativa degli uomini;
- l’uso della religione è stata strumentale;
- la missione del Profeta non si può trasmettere: di essa non potrebbero esserci successori;
- tutto ciò che il Profeta ha fatto (“capo politico”) andando oltre la specifica missione di
“inviato”, essendo unicamente legato alla sua persona, si esaurisce con la sua morte;83
79
‘A. Abd al-Ràziq, L’Islam et les fondements du pouvoir, p. 138 (la sottolineatura è nostra). 80
“Ibn Khaldun ‘Abd al-Rahmàn (1332-1406) storico arabo. Di famiglia arabo-spagnola, ricoprì importanti incarichi
politici in Marocco, nel sultanato di Granada in Spagna e alla corte dei sultani mamelucchi d’Egitto(…) La sua figura
spicca per originalità di pensiero nel quadro della contemporanea cultura araba, ormai in fase di decadenza” ( C.
Carminati (a cura di), Dizionario dell’Islam, Garzanti editore, Milano, prima edizione 1996). 81
Abd al-Ràziq, L’Islam et les fondements du pouvoir, p. 140-41. 82
‘A. Abd al-Ràziq,L’Islam et les fondements du pouvoir, p. 140-41.
26
- la costruzione di questo Stato ha preso in prestito le consuetudini del processo storico
comparativo, ossia i meccanismi strettamente ‘temporali’ (…). La religione era l’Islam ma
lo Stato costituito dopo la morte del Profeta era uno Stato arabo;
- le contestazioni a questo Stato, e le guerre di apostasia (hurub al-ridda) sono guerre
politiche;
- l’identificazione, progressiva e tardiva del califfato alla stregua di un articolo di fede,
costituisce una immensa deriva storica: la nascita di un potere di carattere “secolare” o “a-
religioso” che si identifichi con la religione.84
Per concludere questa ricostruzione - molto limitata e rapida - di un’opera che resta una
testimonianza nella storia dell’Islam e delle società islamiche particolarmente significativa,
riportiamo di seguito due citazioni direttamente dal libro di Ali ‘Abd al-Ràziq, per la loro specifica
rilevanza sulla corretta concezione dell’Islam a proposito delle componenti della filiera Potere-
Stato-Religione-Società, dentro la quale stiamo indagando i percorsi di laicità :
- A ben esaminare questa questione, osserviamo che l’insieme delle leggi portate dall’Islam e che il
Profeta ha invitato i musulmani a osservare (…) i suoi dettami, anche uniti gli uni agli altri, non
costituiscono che una parte limitata dell’apparato legislativo richiesto da ogni Stato temporale85
;
- Nessun principio religioso impedisce ai musulmani di fare concorrenza alle altre nazioni in tutte le
scienze sociali e politiche. Niente vieta loro di distruggere questo sistema desueto che li avvilisce e li
addormenta sotto la sua stretta. Niente impedisce loro di costruire il loro Stato e il loro sistema di
governo sulla base delle ultime conquiste della ragione umana e sulla base dei sistemi la cui solidità
è stata provata, quelli che l’esperienza delle nazioni ha designato come tra i migliori.86
Dalla rapida ricostruzione dello sviluppo delle sue argomentazioni, rileviamo che non si parla mai
di (e non si usa mai la parola) “laicità”. Il termine, di per sé, non poteva essere ignoto ad Abd al-
Ràziq (con un baccellierato ad Oxford e studi in Europa!). Tutto il saggio, d’altra parte verte sul
tema della laicità; nella precedente citazione emerge – con sorprendente spontaneità – la
terminologia:“la ragione umana”. Nel prossimo capitolo affronteremo la questione dei “termini”
per dire “laicità” nella lingua araba e la lunga discussione connessa. Ma non crediamo che nel
saggio di Abd al-Raziq vi sia un problema terminologico: evitare l’uso esplicito del termine
potrebbe invece essere stata una scelta voluta, per evitare attacchi ideologici e accuse di servilismo
filo-occidentale ed anche una esplicita volontà di stare rigorosamente al metodo e alla sostanza
della sua analisi.
83
Osserva acutamente Filali-Ansary: “due colpi attendono il lettore musulmano ingenuo: il primo consiste nel collocare
la svolta maggiore della storia della comunità islamica non trent’anni più tardi (transizione tra i quattro califfi rashidun
e la monarchia ereditaria instaurata da Mu’awiya-omayyadi), ma molto prima, immediatamente dopo la morte del
Profeta. Il secondo consiste nell’usare il qualificativo secolare riferito già al primo potere islamico della Storia, quello
che resta nella memoria dei musulmani come il momento vero e proprio del potere islamico” (Filali-Ansary, p. 66), a
cui – aggiungiamo noi - tornare comodamente di tanto in tanto come ai mitici tempi delle origini e rigenerarsi o
purificarsi! 84
La carrellata di cui sopra (pur senza virgolettato) è una estrema sintesi, usando termini, parole e anche frasi del Filali-
Ansary, Islam e laicità, pp. 65-67 passim. 85
Due interessanti note a proposito della citazione: A) commenta Filali-Ansary: “ E’ qui abbozzata in pochi termini, la
distinzione fondamentale tra shari’a e diritto positivo e tra una prospettiva d’ordine etico e un sistema legislativo
‘meccanico’. B) Muhammad Ibn al -‘Arabi conta solo , secondo le opinioni estreme che cita nel suo libro Ahkam al-
Qu’ran (Le norme del Corano) tra 200 e 500 norme. Quante, a fronte ne allinea l’Antico testamento? 613. Quante ne
contiene il codice di diritto canonico romano? 2414 (in: J. Berque, Relire le Coran, Paris, 1993, p. 88). 86
A. Abd al-Ràziq, L’slam et les fondaments du pouvoir, p. 156. ( i corsivi e le sottolineature sono nostri).
27
3.3 Reazioni e conseguenze 87
Come sopra abbiamo ricordato, Ali ‘Abd al Ràziq (con l’eccezione di un articolo sul giornale di un
partito politico e delle “ Note sulla nozione di ijma’-‘consenso’, quarto fondamento della shari’a’,
p. 53) si chiuse nel silenzio88
. Le reazioni furono via via crescenti ed anche i provvedimenti a suo
carico (revoca della qualifica di ‘alim [teologo-giurista] e di tutte le funzioni collegate). Egli stesso
spontaneamente rinunciò all’abito tradizionale di shaykh, adottando l’abito europeo, quello di
effendi, uomo secolare. Non si arrivò, per fortuna, al provvedimento estremo di dichiarazione di
apostasia. Le reazioni e le obiezioni alla sua opera vertevano su diversi aspetti: la selezione tutta
personale delle numerosissime citazioni del Corano e altri testi; la sua giovane età e, quindi, una
presunta immaturità; soprattutto gli pesò la sua argomentatissima e intensa analisi sul califfato, un
punto politicamente molto sensibile, a fronte della volontà della monarchia egiziana della
restaurazione del califfato ( appena dopo la abolizione effettuata dalla Turchia).
In estrema sintesi due ordini di obiezioni o attacchi: a) motivi di ordine prettamente politici (non di
“teoria politica”), la incomprensione degli esponenti nazionalisti-progressisti – poco interessati ad
una azione di scavo teorico ( alle radici del potere islamico), e solo concentrati su obiettivi politici
di breve prospettiva e la ovvia avversione dei tradizionalisti; b) il secondo – più delicato ed anche
più rilevante per il nostro lavoro- da parte dei teologi-giuristi, molto illuminanti a nostro avviso, in
quanto attraverso le domande poste in contrapposizione alle arogomentazioni di Abd al-Raziq
(“Che resta dell’Islam se si elimina l’applicazione dell’ordine sociale che esso propone? Le
numerose prescrizioni della Legge che regolano diversi aspetti della vita sociale non hanno bisogno
di un potere pubblico per essere applicate?”), confermano “ quell’ atteggiamento tipico delle élite
musulmane [che] è già in sé una forma di acculturazione, ma denuncia anche un riflesso
psicologico che impedirà di vedere quali siano le vere difficoltà epistemologiche, i veri problemi di
significato” che abbiamo già evocato sopra, attraverso l’analisi del Khaled Fouad. “Un dialogo tra
sordi” – chiosa opportunamente Filali-Ansary – e precisa come quegli interrogativi “ si avvalgono
dell’autorità degli antenati a scapito di quella dei testi, e quindi si aggancia a tradizioni che Abd al-
Ràziq aveva denunciato con virulenza. Insomma, la confusione tra Dogma e Storia e la pretesa di
dedurre il primo (Dogma) dalla seconda (Storia)”(p. 71).
87
A completamento della descrizione della situazione sociale e politica del tempo in cui il libro di Abd al-Ràziq esce e
compie la deflagrazione che in parte abbiamo ricordato, occorre aggiungere notizia di un’altra opera uscìta soltanto un
anno dopo (1926) di Taha Hussein (anche essa si trasformò in un caso politico teologico e giudiziario di prima
grandezza) sulla poesia pre-islamica – la cui funzione e valenza furono molto significativi sia sul versante della nascita
della lingua araba, sia in merito all’audience popolare che essa registrava già al tempo di Muhammad, (al punto che
suscitò la contrarietà esplicita del profeta e anche le sue reazioni in termini di norme contrastanti e puntivi). Taha
Hussein dovette ritrattare onde evitare azioni penali, ed eliminare i passaggi accusati di blasfemia, in cui mette in
dubbio la verità storica di alcuni passi del Corano (cfr. Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 69). 88
Ali Abd al-Ràziq, dopo la morte del fratello, di cui abbiamo sopra ricordato il profilo, fu riabilitato e reinserito in
importanti funzioni pubbliche. In ogni caso è utile ricordare anche che la sua opera fu ristampata tre volte durante la vita
dell’autore; e che la prima traduzione in francese – che la portò all’attenzione dell’Europa, è del 1933.
28
A questa grande distorsione la cultura ufficiale non sapeva dare un nome, e non sapeva trovare una
soluzione. Il colpo di frusta si rivelò impari – da solo - al compito e alle esigenze di società
islamiche alle prese con una crisi e una rottura epocali.
4. Nuova fitna? Integralismo di ritorno e orientalismo
Torniamo, dunque, a illuminare la fase drammatica delle società islamiche e degli Stati, ma anche
della intima contraddizione che domina quello che abbiamo chiamato “incontro” con la controparte
occidentale-europea, introducendo un altro importante storico attore: la colonizzazione. E i
colonizzatori.
4.1 Nuovo contesto
Sul versante musulmano, alla vigilia della prima guerra mondiale, ecco come si presenta la
situazione:
L’impero ottomano ha perso quasi tutti i territori europei; in Africa i britannici controllavano
l’Egitto; i francesi hanno esteso il loro dominio nel Maghreb, occupando il Marocco e l’Algeria;
gli italiani entrano nella Libia nel 1911. La prima guerra mondale (1914-1918), che vede la
Sublima Porta alleata con gli imperi centrali, segna il definitivo tramonto ottomano. Il conflitto si
chiude con la perdita di Libano, Siria. Iraq, Transgiordania, Palestina. Nella penisola arabica
andavano perduti lo Yemen e i territori sui quali nascerà l’Arabia Saudita. Il nuovo Stato turco,
sorto al posto dell’impero ottomano, riuscirà a riaffermare un’effettiva indipendenza solo grazie
al movimento nazionalista guidato da Mustafà Kemal Pasha”89
A carico del versante occidentale-europeo, le considerazioni da tenere sempre presenti sono le
seguenti:
La colonizzazione produrrà anche una resistenza politica e culturale dei colonizzati, destinata a
produrre una memoria che si sedimenterà nel tempo. La resistenza armata si svilupperà in tempi
diversi tra ottocento e novecento: in Sudan contro gli inglesi, in Libia, Etiopia e Eritrea contro gli
italiani, in Algeria contro i francesi. (…) La dominazione diretta, prima o indiretta, dopo la
indipendenza - dal 1932 l’Iraq, fino al 1948 Palestina – genererà un diffuso e acuto risentimento
contro l’occidente. Nel mondo arabo, particolarmente, questo si concentrerà intorno a due temi: la
divisione (taqsim) in stati nazionali, che minano l’unità; l’appoggio politico fornito al movimento
sionista, sfociato nel 1948 nella nascita dello stato ebraico in Palestina. A queste istanze si
aggiungerà la questione del controllo delle risorse petrolifere, percepito dalle popolazioni come
una forma di sfruttamento.90
4.2 «Stato nazionale»
Per il tema che stiamo trattando, ancora più importante è considerare come - se lo “stato nazionale
è la principale innovazione istituzionale dell’Europa (insieme al capitalismo di mercato e
all’universalità di ricerca) e che nell’esperienza storica della modernità europea esso rappresenta
89
R. Guolo, Sociologia dell’Islam –religione e politica, Mondadori Università, Milano, 2016, p. 43. 90
R. Guolo, Sociologia dell’Islam, p. 42.
29
l’incarnazione dell’autorità politica e il principale fattore di strutturazione della società (al cui
interno sono state affrontate le grandi questioni della libertà individuale, della giustizia sociale,
della risoluzione non violenta dei conflitti)”91
- esso non troverà facile attecchimento nelle società
islamiche.
Funzionale come ideologia mobilitante e autonomista, il nazionalismo sarà, però, meno efficace
nel forgiare una nuova comunità (…). Pur declinato secondo diverse ideologie, il nazionalismo
non riuscirà a produrre nuove identità collettive: il concetto di nazione resterà patrimonio di
poche élite. Grande parte del mondo musulmano continuerà a riconoscersi nella identità religiosa,
transnazionale, o nelle identità particolari, tribali, etniche.92
Diversamente da quanto era avvenuto con l’emergere degli stati-nazione in Occidente, la nazione
nel pensiero islamico non consacra la nascita di uno spazio autonomo del politico, e dunque un
concetto di cittadinanza: al contrario, essa si struttura su una visione dell’Islam in quanto fattore
aggregante non solo di diverse comunità, ma della nazione stessa.93
Questo contesto ha indotto anche i leader politici più propensi alla modernizzazione, ad una
strategia – politico/culturale – di questo tipo: “ costruire lo stato-nazione come recupero della
modernità mancata e mantenere l’islam come fattore strutturante” 94
.
Una parte della fragilità che ha colpito l’opera, straordinariamente innovativa, sul piano dell’analisi
e dell’impianto teorico, di ‘Ali Abd al-Rāziq va individuata in questo contesto politico e di società,
da cui invece di emergere una spinta di innovazione culturale e ideologica, si sono originate nuove
contraddizioni e rinnovate pulsioni di rigetto.95
4.3 Integralismi e ‘nuova’ fitna
Abbiamo già attirato l’attenzione sula spaccatura dentro il ‘movimento’ dei riformatori, con la
deriva conservatrice di Rashid Ridda, il suo ‘ritorno alle fonti’ e la Salafiyya (si vedano anche le
note 62-63). Se manteniamo sempre a fuoco questo contesto – culturale, teologico e politico –
possiamo meglio comprendere perché l’opera di Ali ‘Abd Ràziq si arena e non riesce a produrre un
vero movimento di pensiero e di azione in direzione della laicità ( seppure parametrata alla storia
delle società islamiche). Il confronto – meglio, lo scontro - era, dunque, proprio tra queste due
91
A. Cavalli-A. Martinelli, La società europea, il Mulino, Bologna 2015, p. 77. 92
R. Guolo, Sociologia dell’Islam, p. 42. 93
Allam, L’islam contemporaneo, p. 252. Scrive ancora Allam:“Una delle caratteristiche dell’islam contemporaneo è
che la formulazione delle ideologie e dei progetti politici è strettamente dipendente dalla personalità e dalle vicende
personali dei leader (…) Ciò è dovuto certamente alla natura carismatica del potere nelle società e negli stati di tipo
neo-patrimoniale – come dimostrato da Max Weber – ma dipende anche dalla natura organica dell’intellettuale nel
mondo musulmano”, p. 261. ( è appena il caso di sottolineare che una tendenza del genere si sta affermando anche nelle
democrazie occidentali, sia nei casi dove la “natura neo-patrimoniale” risulta evidente sia nei casi dove questa
connotazione non è presente; è la vicenda dei populismi contemporanei, la cui natura e i cui approdi costituiscono il
‘dramma della scena’ politica, in cui si confrontano, in queste ore, le società dell’occidente laico). 94
Allam, L’Islàm contemporaneo, p. 252 95
Per una sintesi, rapida ed efficace, dei cambiamenti verificatisi nelle società islamiche nei secoli XIX e XX,
rimandiamo alla Osservazioni conclusive del terzo volume dell’opera di Ira M. Lapidus: Storia delle società islamiche,
III. I popoli musulmani, secoli XIX-XX, Einaudi, Torino 1995 e 2000, pp. 400-4002. Quelle pagine e i capitoli del terzo
volume del Lapidus risultano anche molto illuminanti per la comprensione della storia che si dipana, drammaticamente,
sotto i nostri occhi; resistendo alle facili e sbrigative note giornalistiche (scritte o orali) nelle quali siamo
quotidianamente sommersi.
30
posizioni: un “riformismo” purificatore e ‘integrale’ e un approfondimento riformatore della storia
dell’Islam, attraverso l’uso della ‘ragione’ e del ‘metodo storico’. In un certo senso si può dire che
il “confronto” non ebbe la possibilità neppure di avviarsi: già erano state erette nuove, temibili,
barriere – teologiche e culturali – quali il concetto di taqlìd (imitazione servile della
occidentalizzazione) e, persino, evocato il pericolo (e l’accusa) di essere ricacciati nella (mitica,
pagana) giāhiliyya: la condizione pre-islam.96
Giunge, quindi, un terzo attore, una nuova corrente che avrà un’influenza determinante
sull’evoluzione del dibattito. (…) E’ nel corso di questi anni Venti e grazie al dibattito che si era
bloccato che nasce il movimento integralista.97
Insoddisfatto dei tradizionalisti, che accusa di tolleranza e cedimento, esso punta a ristabilire una
purezza rigorosa dell’applicazione dei precetti religiosi. Niente di nuovo? L’analisi del fenomeno
merita una nostra attenzione: essa va da una posizione tesa a ricondurre il fenomeno “ad alcune
correnti che si sono manifestate regolarmente nel corso della storia dei musulmani” (Filali-Ansary);
ad un’altra, più attenta a contestualizzare il fenomeno alla contemporaneità di altri – ben consistenti
e strategici – eventi politici, istituzionali, di controllo delle economie e delle società islamiche. In
effetti sarebbe madornale se si declassasse a fatto di secondaria importanza la profonda e pervasiva
novità dello stato moderno che era in casa ed era all’opera:
“Ciò che i cosiddetti movimenti integralisti sembravano voler esprimere è una volontà di far
fronte all’apparato dello Stato moderno e all’appropriarsi della simbologia religiosa da parte delle
élite legate al potere. (…). Una reazione diretta di frange della società, insoddisfatte dell’Islam
ufficiale degli ‘ulama e molto più capaci di mobilitare le masse (…) L’idea di legittimità islamica
trova dunque una nuova espressione (…). E’ questa ‘nascita’, così come le violenze che l’hanno
accompagnata, che permette di parlare di nuova fitna (…). In realtà, il fatto determinante nella
nuova situazione è la comparsa dello stato moderno e la sua capacità di dominare, di atomizzare e
di polverizzare la società.98
Anche dopo la conquista dell’indipendenza (approdo intorno agli anni Sessanta), i paesi islamici
non hanno, dunque, affidato il loro consolidamento ai percorsi di laicizzazione, bensì “ al
patrimonio e alla tradizione arabo-islamica (turàth)”.99
Su questo dato storicamente inconfutabile
bisognerebbe approfondire molto l’analisi. Noi, anche per limiti di spazio connessi alle finalità di
questo ‘elaborato’, potremo soltanto effettuare due ulteriori sviluppi, anche essi incastonati in un
conflitto tra “orientalismo” e “occidentalismo”.
a. L’ «orientalismo»
Nella situazione, dunque, che si presenta bloccata in uno spazio politico-culturale ambivalente ed
anche ambiguo (Modernità attesa dalla formula socio-politica dello “stato nazionale” –contra-
96
Tra i protagonisti di questa tendenza sono il pakistano Abùal-A’là al- Mawdùdì (1903-1979) e l’egiziano Sayyid Qutb
(1906-1966). Il primo, in particolare, passa dei periodi in prigione ma riesce a impedire l’adozione di una costituzione
di tipo laico nel suo paese; anzi nel marzo 1956 il Pakistan adotta una costituzione di ispirazione islamica; cui seguirà
un scontro politico e militare che porterà prima, nel 1971, al potere le correnti progressiste con Bhutto, e in seguito il
suo rovesciamento manu militari. Al-Mawdùdi muore nel 1979. 97
Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 78. 98
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 80. 99
Allam, L’islam contemporaneo, p. 252.
31
Islam come unico fattore aggregante della società), entra un altro, nuovo protagonista (già, peraltro,
all’opera, ma in forme defilate: le università e poco altro ) che diventa componente rilevante di
quelli che abbiamo chiamato “percorsi di storia di un difficile rapporto”. Si tratta (dagli anni Venti
in poi) di :
Una nuova categoria di specialisti e ricercatori (accanto agli ‘ulama’e ‘udaba’- letterati) che
adotta dei nuovi metodi, quelli delle scienze umane e sociali apparse di recente nei paesi
occidentali (…) la presenza degli europei nei paesi musulmani ha permesso a queste discipline di
svilupparsi (…) l’insegnamento moderno, secolare, attuato parallelamente all’insegnamento
religioso tradizionale è stato all’origine della nascita e dello sviluppo di questi nuovi approcci. Se
i metodi scientifici moderni sono stati elaborati in Occidente, sono stati gli Stati-nazione dei paesi
musulmani, e non le autorità coloniali, che li hanno adottati e che li hanno considerati come
strumenti di modernizzazione e sviluppo.100
Lo studio metodico e sistematico dell’insieme delle eredità iscritte nel mondo musulmano -
chiamato orientalismo- costituisce anche una forma di secolarizzazione-laicizzazione di fatto di
componenti delle società islamiche; e rappresenta una manifestazione concreta della possibile
convivenza di approcci culturali diversi, sullo terreno di una stessa società e dello stesso Stato
musulmani: approcci che non hanno il carattere di eredità culturali e religiose provenienti dal seno
delle società islamiche;
Questi nuovi approcci scientifici hanno contribuito a trasformare profondamente gli atteggiamenti
delle società nei confronti delle loro eredità intellettuali e della loro storia (…) diventano un
oggetto del sapere e non sono più considerate come referenze dotate di valore assoluto (…) si
crea così un autentico distanziamento.101
Siamo di fronte ad un passaggio importante della nostra indagine; lo affronteremo confrontandoci
con alcuni interrogativi che enumeriamo in anticipo, per consentire una migliore messa fuoco del
nostro percorso:
- Siamo di fronte ad due contrapposti statici integralismi, tradizionale / moderno?
- Si tratta di una forma/prodotto della globalizzazione (una sorta di marketing) del sapere e
dei fenomeni culturali?
- Di una Secolarizzazione a passi forzati?
- Della nascita di una nuova coscienza islamica?
La visione del fenomeno come uno spazio ed un luogo dove si consuma una frattura tra due
tipologie di intellettuali, in contrapposizione tra di loro (tradizionale e in difesa, l’una; moderno,
impaziente e all’attacco, l’altra) non sembra adeguata a coglierne la portata e la sostanza. Il Filali-
Ansary vi intravvede, infatti, “la nascita di un nuovo modello, quello del «musulmano culturale»,
che conserva un attaccamento ai valori spirituali e alle concezioni fondamentali dell’identità
islamica senza aderire ai dogmi né orientare la propria vita individuale in funzione degli ideali e
delle prescrizioni dell’Islam (…) Assistiamo anche alla nascita del musulmano agnostico o del
100
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 81. 101
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 81 (la sottolineatura è nostra, mentre il corsivo è nel testo ed è dell’autore).
Approfittiamo di questa citazione per evidenziare che nella lingua araba, “scienza” e “ conoscenza” vengono tradotte
con «‘ilm »; un termine sul quale torneremo dettagliatamente nel prossimo capitolo.
32
«musulmano ateo» ”.102
Una tale configurazione – divenuta di massa- potrebbe costituire il seme di
una vera e propria rivoluzione nel mondo musulmano. Ha, essa, una consistenza tale da prendere
radice? Il contesto nuovo nel quale essa si colloca è caratterizzata da una inedita pluralità e
ampiezza spaziale (fenomeno globale, ormai) del dibattito sull’Islam: dei campi tematici di studio e
di confronto, attivati contestualmente da diversificati categorie professionali (giuristi, teologi,
politici, sociologi, ecc.). Una realtà che può generare e degenerare in un amalgama con derive
banalizzanti; ma anche rendere uguale l’islam alle altre religioni e ai loro sistemi connessi: alla loro
incessante ricerca di rispondere alle attese degli uomini e delle donne di questa umanità. E’ un bene,
un male? Può essere, questa, una forma di laicizzazione delle opzioni religiose che disturba; ma,
nello stesso tempo, potrebbe essere occasione di ‘purificazione’ della propria «scelta di fede», in
chi sceglie (in questo caso) l’Islam, come fede. Non una diminutio, ma un inveramento. (Forse il
Corano stesso chiama a questo percorso, e soltanto la paura della privazione/liberazione da
elementi, costrittivi e/o di sicurezza, esterni alla fede, impedisce di ascoltarlo?).
Certo, non può sfuggire che un tale percorso di laicità (ed anche di secolarizzazione – inteso qui
come autonomizzazione della politica - governo della polis) implica e richiede, con forza, una
contestuale dinamicità delle società islamiche in direzione dei diritti di cittadinanza, della
tendenziale cancellazione di preoccupanti e insuperati squilibri sociali, della giustizia sociale, della
democrazia e dello Stato di diritto. Le due facce della medaglia, sono veramente co-sostanziali.
Osserva, con fiducia, il Filali-Ansary che nelle società islamiche, dopo la conquista
dell’indipendenza, “la liberazione nazionale, poi lo sviluppo economico, hanno rappresentato
obiettivi prioritari nel corso di questi ultimi decenni. Se le speranze di sviluppo rapido sembrano al
giorno d’oggi essersi indebolite, la rivendicazione alla partecipazione politica segue i loro passi”.103
Il blocco da cui sopra eravamo usciti è, tuttavia, sempre in agguato: un confronto infinito tra
pulsioni ideologiche (con manifestazioni anche violente), con il rimpallo inesauribile di basi
scritturistiche e dettami delle Tradizioni; nello sfondo emergono la crisi dello “Stato-nazionale” e
una società civile debolmente strutturata.
Ciò che si è creato nel contesto dominato dalla controversia, dai mass-media e dalla secolarizzazione
effettiva, e che ha tutta l’aria di passare completamente inosservato, è la nascita di una nuova corrente
in seno all’Islam (…) è difficile svincolare gli approcci moderni dai limiti di carattere apologetico
(…). Le imprese culturali che alcuni chiamano Islam dei lumi, Islam riformato o Islam della
modernità, rivelano in realtà la nascita di una nuova coscienza religiosa. Esse accettano i procedimenti
delle critica storica. L’utilizzo di metodi scientifici per esaminare la storia dell’islam, i testi fondatori e
le diverse formulazioni che sono state fatte sul Dogma, sono considerati come un approccio inevitabile
per l’uomo moderno.(…). Ma senza fermarsi qui. La Fede e la pietà a misura dell’individuo sono al
102
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 82. Aggiunge il Filali-Ansary (quasi a scusarsi per aver osato tanto!): “espressioni
che sono paradossali solo in apparenza”. A noi, peraltro, non sembra fuori luogo rinviare ad un fenomeno che da
qualche tempo si manifesta nelle società laiche dell’occidente: la normalità di un « cattolicesimo culturale» che si
esprime in scelte e comportamenti eticamente e anche sociali e politiche ”cattolici”, senza alcuna opzione di fede
cristiano-cattolica. Si evidenzia anche una categoria degli “atei devoti”(una terminologia giornalisticamente molto
diffusa). Come pure quella dell’ebreo ateo. 103
Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 85.
33
primo posto per loro. La realizzazione della comunità islamica e il suo essere intrisa di etica religiosa
sono subordinate al riconoscimento del carattere individuale e libero della fede.104
b. L’«occidentalismo»
Accenti diversi, direi in contrasto – incastonati in una sorta di pessimismo dell’intelligenza e
ottimismo della volontà – provengono (a completare il quadro precedentemente disegnato da “un
punto di vista dei musulmani progressisti”105
) da Falzur Rahman106
(per la sua definizione di
“occidentalismo”, si veda la nota 110, successiva).
L’avvenimento più importante verificatosi in questo secolo nell’ Islam è l’indipendenza dalla
sovranità straniera, conquistata dai popoli musulmani nelle rispettive patrie. (…) L’Islam ha avuto
una parte molto importante nella lotta per l’indipendenza; una parte che in certi casi è stata
dominante e decisiva. (…) Ma l’altro fatto importante e attuale è proprio che questo “Mondo
musulmano” non esiste (…) i discorsi periodici di “Unità islamica” sono destinati a rimanere utopie
fino a quando non siano state costruite le basi materiali, effettive, di tale unità. (…) Eccezion fatta
per la Turchia, dove almeno ufficialmente si mantengono le basi laiche stabilite da Ataturk (ma le
esperienze dell’ ultimo decennio mostrano che questa soluzione potrebbe non essere quella
definitiva107
), tutte le società musulmane chiedono all’Islam di fornire una base ai loro programmi
di ricostruzione. (…) Il problema è veramente cruciale, perché se queste società non dovessero
trovare una risposta adeguata, non resterebbe loro che l’alternativa di una forma o l’altra di
laicismo; ciò equivarrebbe, non v’è dubbio, a un mutamento della natura stessa dell’Islam.108
La posizione e l’approccio di Rahman – che è, scrive Massimo Campanini, “un campione
dell’assimilazione razionale della modernità, mantenendo tuttavia fissi i punti di riferimento
islamici, ed anzi rivendicandoli”109
- oscillano, di fatto, tra: un giudizio aspro dell’occidente,
dell’occidentalismo ( che egli così definisce: “cioè la proiezione della modernità occidentale nelle
104
Filali-Ansary, Isalm e Laicità, p. 89. 105
Ricordiamo che questa espressione costituisce il sottotitolo del saggio di Filali-Ansary, Islam e laicità, il punto di
vista dei musulmani progressisti. 106
Falzur Rahman (1919-1988), pachistano, nasce nel 1924, un anno prima dell’uscita del saggio di ‘Ali Abd al-Raziq.
Dopo aver conseguito il dottorato in filosofia ad Oxford, ha insegnato dal 1950 al 1961 all’università di Durban;
rientrato in Pakistan ha diretto l’Istituto di ricerche islamiche di Karachi ed in seguito si è trasferito negli USA,
insegnando all’università di Chicago e collaborando anche con il Dipartimento di Sato americano, come consigliere per
i rapporti con i paesi musulmani. 107
Bisogna riconoscere - di fronte ai fatti di queste ore, e giorni e mesi - che questa preveggenza si è dimostrata
pressoché esatta. A tale proposito ci sembra interessante questo giudizio sull’esperienza storica della Turchia, rilasciato
da Kh.F.Allam: (intervista) D. “La Turchia ha effettivamente creato una separazione fra potere politico e potere
religioso”? – R. “Sì, dopo la caduta del califfato nel 1924, la Turchia si è trasformata in un paese moderno e laico, ma
non è mai diventato un paese secolarizzato. Secolarizzazione non è la stessa cosa di laicità, perché essa comporta che le
comunità umane di definiscano su certi criteri antropologici e condizioni sociali. Queste condizioni non le troviamo
ancora in Turchia”. Un mondo in ebollizione, in: AA.VV., Lumi dell’Islam. Nove intellettuali musulmani parlano di
libertà, Marsilio, Venezia 2004, p. 72. 108
Rahman, La religione del Corano, le radici spirituali di una grande civiltà, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 328 109
Campanini, La filosofia islamica, p. 105. Che aggiunge:“ partendo da basi metodologicamente nuove, arriva a
formulare una nuova teologia”.
34
società non-occidentali”110
) e della laicità (che confonde, come si vedrà subito, con laicismo), la
convinzione della centralità dell’Islam per le società islamiche, nel passato e nel futuro (“ il suo
problema fondamentale è di sapere quali elementi della sua storia deve mettere in valore per
affermarsi validamente nella situazione attuale: quali elementi deve modificare, quali deve
scartare”111
) e un giudizio di inadeguatezza sui movimenti intellettuali e politici in azione nel suo
tempo.
Nato da una violenta frattura spirituale con il suo diretto genitore, il medievalismo europeo, il
liberalismo occidentale è una legge chiusa in se medesima, che non cerca né negoziati né
compromessi con alcun sistema spirituale, con alcuna ideologia morale. (…) D’altra parte
l’occidentalismo ha in sé una potenza, che consiste nel fatto nudo e crudo dell’attrattiva esercitata a
livello collettivo dalla scienza e dalla tecnologia moderne, e a livello individuale dal liberalismo,
dalla libertà, dall’iniziativa, dalle possibilità illimitate. (…). L’occidentalismo moderno, quindi, è
laicismo puro. (…)112
Considerando, poi, che “ certi problemi, considerati puramente militari, avevano poi creato la
consapevolezza della necessità di una riforma politica” e che “la ricostruzione politica non sarebbe
stata possibile senza una riforma sociale e una modernizzazione economica”, esprime la
consapevolezza che: “legati [quei problemi] come sono alle questioni del nazionalismo e del
laicismo, essi esercitano un peso diretto sulla storia religiosa dell’Islam”113
. E anche da questo
punto specifico di analisi, la sua opposizione alle concezioni e alle forme occidentali è netta:
V’è un significato ‘sociologico’ del termine nazionalismo: la coscienza di una comunanza di
costume (e di lingua), che conferisce un senso di unità e coerenza a un dato gruppo umano (…) un
contadino turco, egiziano, pakistano è un ‘nazionalista’. Ma gli stessi possiedono anche un forte
sentimento islamico. Si tratta quindi di un ‘nazionalismo’ tutt’altro che incompatibile con una
“fedeltà” più vasta. (…) Vi è poi un secondo significato per cui il nazionalismo primordiale si
concreta in una ideologia politica e forma la base della nazione-stato, che proclama la propria
sovranità e chiede fedeltà assoluta ed esclusiva. E’ questo significato politico del termine,
sviluppatosi in Occidente, che se portato alle ultime conseguenze logiche, non può non entrare in
conflitto con gli ideali dell’Islam.114
E quali sono “le ultime conseguenze”? Rahman continua – muovendo la sua riflessione in un
equilibrio prudente – “se si evita di arrivare a tale « nazionalismo estremo » ( e non intendiamo lo
sciovinismo, ma il principio «la Nazione al di sopra di tutto»), anche la nazione-stato permette si
sviluppi una collaborazione islamica reale”. Poi, vira ed afferma:
Il nazionalismo estremo, invece, per sua natura, non può essere che laico; e il laicismo, a sua volta,
non può non tagliare le radici dell’Islam. Le taglia in un duplice senso: distruggendo le possibilità
110
Rahman, La religione del Corano, p. 294. 111
Rahman, La religione del Corano, p. 311. 112
Rahman, La religione del Corano, p. 294. E’ interessante notare quello che Rahman aggiunge: “In Occidente questa
modernità ha subito costantemente la pressione del cristianesimo, pressione esercitata a vari livelli, da varie direzioni,
con vario successo, tendente a sintesi concrete o perlomeno a una forma o l’altra di equilibrio”, p. 295. Per certi versi
questa notazione riecheggia l’approccio del Lewis; secondo il nostro modesto parere rappresenta una sorta di abbaglio
storico che fa derivare la modernità occidentale tout court dal cristianesimo (e spesso aggiungendo che il tutto era già
chiaro e scritto nei Vangeli!). 113
Rahman, La religione del Corano, p. 289-299, passim. 114
Rahman, La religione del Corano, p. 299. La sottolineatura è nostra.
35
esterne di unità della comunità (umma) musulmana e, all’interno, riducendo l'Islam alla condizione
di un credo e di una pratica privati, in quanto “semplice rapporto fra il cuore dell’uomo e il suo
Dio”, come vuole il cliché laico.115
Dunque, è la “laicità” che disturba il pensiero e persino l’emotività del filosofo islamico (con cui
torneremo a confrontarci nel capitolo successivo). La sua analisi prosegue confrontandosi con la
vicenda politica della Turchia, sottolineando che lì la laicità è stata imposta con la forza e
sottolineando un distinzione (che ulteriormente ci aiuta a definire la sua posizione) relativamente
ad uno dei padri del nazionalismo turco – il sociologo, non un politico, precisa Rahman: Ziya
Gokalp- “non era un sostenitore del laicismo, respingeva il tradizionalismo e il laicismo puro di
marca occidentale e criticava quell’atteggiamento dualistico che cerca di separare la religione dallo
stato, sostenendo con forza che si doveva tendere a una sintesi. Era invece nemico della «teocrazia»
del «clericalismo» [sono parole sue]” 116
.
A questo punto, sembra farsi chiaro il punctum dolens di Falzur Rahman: è la relazione «stato-
religione», dentro, però, quella più grande questione della volontà dei ‘laicisti’ di una “riduzione”
(termine che lui stesso usa) della religione islamica (e indirettamente, sembra che si riferisca anche
alle altre religioni) al “ privato”. Le sue incursioni sulla laicità e l’uso indifferenziato di laicità e
laicismo, con gli aggettivi “puro”, “nudo” e “crudo”, denotano un approccio alla “questione laica”
come pensiero e weltanschauung (termine da lui usato), a cui è avverso.
Il problema più grosso per il futuro dell’Islam in quanto tale – problema dalla cui soluzione
dipenderà anzi se l’Islam è destinato o meno ad avere un futuro- è quello, ideologico, dei rapporti
fra stato e religione. E’ la controversia tra revivalisti, modernisti e laicisti. Tra laicisti e non laicisti,
il punto in discussione è se l’Islam sia semplicemente una religione privata o non si estrinseca
invece, direttamente, nella vita sociale e politica.117
Ora il quadro è sufficientemente chiaro. Meno chiaro, invece, è perché l’analisi del Rahman sia così
sbrigativa e ‘leggera’ sulla elaborazione di quelli che lui chiama “laicisti”; afferma, addirittura: “Si
può dire che non vi sia alcuna formulazione intellettuale esplicita del punto di vista laicista”;
trattando il saggio di ‘Ali Abd al-Ràziq con un “salvo quella di ‘Ali Abd al-Ràziq nella sua opera al
Usul al-Hukum, che sollevò le ire degli ulema di al-Azhar” . Afferma subito dopo: “il vero laicista
musulmano si trova a dover dimostrare l’impossibile, e cioè che Maometto, nella sua veste di
legislatore o di capo politico, agì su di un piano extra-religioso e laico”118
. Sembra non aver ben
letto l’insieme degli scritti di Abd al-Ràziq, non riflettuto affatto all’interrogativo, fondamentale: “il
Profeta è re”? Non aver letto, ad esempio, l’editoriale pubblicato nel giornale “al-Siyasa”, il 30
settembre 1925, da Ad al-Ràziq, con il titolo provocatorio, ma certamente esplicito: “ Ti hanno
fatto re, o Inviato di dio, e ti hanno proclamato capo di governo, poiché sono i soli segni di
115
Rahman, La religione del Corano, p. 299 116
Rahman, La religione del Corano, p. 300-301. Il Rahman aggiunge: “ Dei filoni nazionalistici laici del Medio
Oriente arabo contemporaneo diremo che, in essi, è stato ed è un fattore attivo e potente la presenza di forti minoranze
cristiane; minoranze che furono le prime a essere influenzate intellettualmente dall’Occidente moderno e per le quali il
laicismo rappresenta un’ancora di sicurezza nel bel mezzo di un oceano musulmano” (p.301). 117
Rahman, La religione del Corano, p. 302. Ancora una volta dobbiamo attirare l’attenzione sul fatto che anche
nell’occidente laico e anche nel cristianesimo e nel cattolicesimo - da parte dei responsabili delle Chiese – questo
dualismo laicità/laicismo ed anche l’uso della dizione “laicità sana”, è ricorrente. 118
Rahman, La religione del Corano, p. 302 passim.
36
grandezza e nobiltà che i loro spiriti riconoscono”. E se lo ha fatto, la sua è una dura critica anche a
Abd al-Ràziq. Il quale avrebbe osato “dimostrare l’impossibile”.
Dunque il punto sta sempre nella concezione dello statuto dell’Islam come religione speciale e
nel timore che la fede, la nuda fede nel “Signore dei mondi” (Q I, 2) possa evaporare, se da essa
non deriva anche una forma di governo. Nel fondo, rimane una sua visione molto negativa della
laicità: “Se il problema del conservatorismo musulmano è un grosso problema, più grossa ancora è,
per la società musulmana, la minaccia del laicismo puro e del materialismo”119
.
E’ giunto, dunque, il momento – anzi la necessità - di procedere all’indagine del termine “Laicità”
nella lingua araba.
119
Rahman, La religione del Corano, p. 332.
37
CAPITOLO TERZO
al-‘almāniyya e al-‘ilmāniyya
1. Contesto linguistico
In questo capitolo intendiamo procedere, brevemente, prima ad una ricognizione intorno alle parole-
chiave che stanno a base della Laicità e della Secolarizzazione nella lingua araba (che risultano,
come vedremo, molto connesse); poi, ad una breve contestualizzazione dei termini presi in esame,
nel pensiero arabo-musulmano. Considerando che gli autori con i quali ci intratterremo sono, per lo
più, filosofi e letterati, questo capitolo avrà una connotazione meno storica e in parte di storia
della lingua letteraria e della filosofia islamica; sempre, tuttavia, nel quadro di una impostazione di
ricostruzione storica del rapporto Islam e Laicità.
Dell’importanza della lingua politica tra i musulmani e delle origini del linguaggio politico islamico
abbiamo già accennato nella Introduzione e nelle note n.11 e 12. Qui è utile iniziare la nostra breve
indagine sui termini che direttamene o indirettamente hanno a che fare con Laicità e
Secolarizzazione con il ricordare che non esisteva nell’Islam, e non nell’ arabo classico
coppia di termini omologa a ‘spirituale’ e ‘temporale’, ‘ecclesiastico’ e ‘laico’, ‘religioso’ e
‘secolare’. E’ solo partire dai secoli XIX e XX, e per di più sotto influenza di idee e di istituzioni
occidentali, che si coniano nuove parole, prima in turco poi in arabo, per esprimere il concetto di
‘secolare’. (…) Non vi è però di certo equivalente alcuno per il termine ‘laicità’, espressione vuota di
significato nel contesto dell’Islam.120
Lewis, dunque, si sofferma sul termine “secolare” e sulla sua versione in lingua turca “ladini”
(letteralmente: ‘non religioso’).
Questo termine, coniato dal famoso sociologo e teorico nazionalista Ziya Gokap, fu spesso inteso
nel senso di ‘irreligioso’ o anche di ‘antireligioso’, e tali interpretazioni acuirono ulteriormente
l’ostilità con cui la nozione fu recepita. Più tardi fu rimpiazzato da làyik, un prestito dal francese.
L’arabo adottò un termine utilizzato dagli arabi cristiani, indotti a esprimere una nozione del genere
ben prima che essa riguardasse o interessasse i musulmani: ‘ àlamàni da ‘àlam, ‘mondo’, cioè
‘mondano’, in contrapposizione a ‘dell’altro mondo’ o ‘spirituale’. In epoca moderna la parola fu
diversamente vocalizzata: oggi si pronuncia ‘ilmàni, ed è presa nel senso di ‘scientifico’, da ‘ilm,
‘sapere’ o ‘scienza’, e in quanto tale contrapposta a ‘religioso’ (terminologia e interpretazione
assolutamente erronea)”121
Fi qui l’approccio e la ricognizione del Lewis. Lasciamo, almeno in questa fase, che questa
istantanea svolga la funzione di un approccio di massima e procediamo nell’analisi del dizionario
fondamentale per la relazione Islam-Laicità, attingendo direttamente dal confronto anche serrato tra
120
B. Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam, Laterza, Bari 1995, p. 5. 121
B. Lewis, Il linguaggio politico dell’Islam, nota 2 al capitolo primo, p. 135. Il Lewis, rinvia a N. Berkes (non è
chiaro se citandolo direttamente per l’insieme della sua ricognizione oppure intendendo attribuire a lui soltanto la
valutazione sulla erroneità che afferma con nettezza), The Development of Secularism in Turkey, Montreal 1964; B.
Tibi, Islam and Secularization, in Proceding of the First International Islamic Philosophy Conference, 19-22 november
1979, Cairo 1982, pp. 65-79
38
intellettuali (letterati e filosofi/teologi) mussulmani; ricorreremo ad una interessante e molto ampia
pubblicazione di Etudes Arabes – dossiers, “Islam et Laicité”.122
Offriamo, come ulteriore incipit, una osservazione di un autore più recente, che con un approccio
opportunamente storicizzante ci dà un affresco che arriva fino ai nostri giorni, scrive:
Sull’onda dei contatti squilibrati fra Europa e mondi islamici nel periodo coloniale, in arabo si
tradusse ‘laico’ con il termine ‘ladini’ (‘senza religione’), che implicava una autonomia molto più
forte fra modernità e religione. Una società ‘senza religione’ era qualcosa di inimmaginabile per la
maggior parte della popolazione musulmana, dato che – come noto – l’islam permea e regola tutta
l’attività visibile del credente, Anche per questo, si passò a utilizzare il termine ‘ilmaniyya o
‘almaniyya, che rappresenta meglio il concetto di secolarizzazione, fino ad arrivare al successo del
termine madaniyya, molto utilizzato durante i dibattiti sull’organizzazione dello Stato durante le
primavere arabe123
.
2. La questione etimologica
al-‘ilmàniyya e al-almàniyya sono i due termini alla base del confronto. La discussione non è
soltanto di natura linguistica, ma anche – come è ovvio - di sostanza e di contenuto. La vocale
utilizzata nella prima sillaba di questa parola araba fa, già, una prima differenza: la parola con la
iniziale “a” viene dalla radice alm – “mondo secolare” ( laicità nel senso di ‘secolarizzazione’);
con la iniziale “i”, viene dalla radice ilm - “scienza/conoscenza”( laicità nel senso di ‘ scientismo’).
Il confronto deve partire dalla consapevolezza che, da una parte la storia della espressione è
avvolta nell’oscurità, dall’altra la sua etimologia risulta non del tutto chiara.
Serait-elle issue du mot ‘ilm (la science – ‘ilmàniyya à la première syllabe) ou du mot ‘alam
(‘almàniyya avec un “a” à la première syllabe ) et ceci en nous fondant sur un étymologie
contestable? La première dérivation nous semble plus probable parce qu’elle a une racine dans la
langue arabe courante et parce que sa conjugaison est régulière. Par ailleurs, les tentatives di cheikh
‘Abd Allàh al-‘Alà’ili pour dériver al-‘almàniyya de al-‘alam (le monde) ne sont pas
convaincantes, d’autant plus qu’elles sont très récentes et décalées, par rapport à la réalité du
terme.124
Successivamente anche ‘Azìz al-‘Azmah ammette, tuttavia, che il termine – sia che lo si consideri
derivato da al-‘alam (il mondo) sia da al-‘ilm (la scienza) – va assunto tenendo conto dell’uso nel
processo storico. Ma cosa, precisamente, aveva scritto lo sceicco, ‘Abd Allàh al-‘Alà’ili? Di seguito
il pensiero preciso dello sceicco, come riportato da Ahmad Hatum:
122
Etudes Arabes è una pubblicazione periodica del P.I.S.A.I. (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica-Roma);
apparso nel 1962, come dossier trimestrale, divenne una vera pubblicazione con schede di autori arabi moderni.
Attualmente ha cadenza annuale dal contenuto monografico. Il comitato di redazione è composto dai docenti del
PISAI. Direttore, Celeste Intartaglia, docente di ‘Storia del mondo islamico’. Per il nostro elaborato facciamo
riferimento al N° 91-92 del 1996/2-1997/1, AA. VV., Islam et Laicité; il numero offre scritti in arabo e a fronte la
traduzione in francese; tutte le citazioni sono riferite a questo dossier; indicheremo, pertanto, successivamente, soltanto
il nome dell’autore, il titolo dell’estratto tradotto in francese, la pagina del numero di “Etudes Arabes” e l’anno di
pubblicazione del saggio originario. Le citazioni saranno in lingua francese, in quanto tutto il dossier è curato in questa
lingua. 123
R. Redaelli, Islamismo e democrazia, Vita e Pensiero, Milano, 2015, p. 22. (Riccardo Redaelli è professore di
Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia). 124
‘Azìz al-‘Azmah, A propos de la terminologie de ‘Ilmàniyya, p. 11-12, 1992.
39
al-‘almaniyya est un terme qui a été élaboré, en ses tous début, au milieu du XIX siècle, pour
correspondre au terme franҫais de “laicisme” ou au terme anglais de “secularism”. Le premier de
ceux qui l’ont alors forgé est le linguiste Samsì al Turkì. C’est à lui que le mu’allim Butrus al-
Bustàni l’a emprunté pour le mettre en son dictionnaire Muhìt al-muhìt, tout comme chez beaucoup
avec un “i” à la première syllabe, ce qui est erreur évidente, car il n’existe aucun lieu, proche ou
lointain, avec la racine latine du mot “science”, Sa prononciation exacte est avec un “a” à la première
syllabe, en relation avec al-‘alm (avec un “a” à la première syllabe et pas de voyelle sur la “l”), ce
qui signifie “le monde séculier”, terme auquel on a ajouté le “à” et le “n”.125
Che la problematica diviene subito una questione di contenuti, appare con chiarezza da un saggio
(un libro) del 1988 di Muhammad ‘Amara126
che afferma:
“ al-‘ilmàniyya ( la laїcité ) contient ‘ilm (science) (…) Et cela du fait de son apparition et de sa
cristallisation dans un environnement culturel qui a été témoin d’un antagonisme notoire et persistant
entre la religion, telle que la présente la théologie catholique en Europe, et telle que l’exprime le point
de vue officiel de l’église catholique – et, d’autre part, la science (‘ilm) qui est à la base de la
renaissance européenne moderne.127
‘Amara – docente di lettere all’università del Cairo, dal 1961 – chiarisce molto bene il suo pensiero
quando afferma : “Il n’y a pas de place en Islam pour la laicité, et les musulmans n’en ont aucun
besoin, s’ils sont effectivement des musulmans qui se laissent guider par l’islam” 128
. In questa
breve e secca affermazione è compreso un punto decisivo della questione: « Dans ce livre, l’auteur
expose la normativité islamique dans ses différentes expressions juridique, économique, étique et
théologique. Dans le passage que nous avons choisi de traduire, l’auteur explique l’incompatibilité
de la laicité avec la spécificité de l’Islam. L’argument de la spécificité revient souvent dans les
raisons des islamistes qui disent “non” à la laicité. Il y a là une constitutionalité qui ne fait pas de
distinction entre la politique et la religion »129
.
Conviene, quindi, approfondire subito –attraverso sempre un autore musulmano- la importante
questione dell’Islàm religione ‘speciale’. ‘Alì Harb –l’autore che stiamo per consultare – ha scritto
una ermeneutica del testo islamico in tre volumi, nel 1993.
D’abord, l’islam ne se limite pas à son sens religieux, mais il est plus large que cela, puisque il peut
signifier un milieu culturel, ou bien un aire de civilisation ou encore diverses pratiques politiques
ainsi qu’une expérience de commandement. En outre, l’islam peut indiquer encore une époque où
s’épanouirent les sciences rationnelles au même titre quelles sciences religieuses fondées sur les
textes. Cela montre donc tout ce que l’on peut qualifier d’islamique. De ce fait, c’est là un terme
don’t les acceptions sont différentes et dont les niveaux de significations son multiples, Il est donc
certain que l’islam inclut une certaine laicité, si on le considère d’un faҫon aussi large, puisque il
n’est pas possible de le dépouiller de son activité rationnelle illuminatrice, de son effort
d’émancipation et de sa visée humaniste.130
125
Ahmad Hàtùm, Al-‘Ilmaniyya avec un “i” et non point un “à”, p. 23, 1990. 126
“Al-Dawla al-islàmiyyabayna l-‘ilàniyyawa-l-sulta- Lo stato islamico tra la laicità e il potere religioso”. 127
Muhammad ‘Amara, Islam et laicité: un rappel de cinq points essentiels, p. 131, 1988. 128
‘Amara, Islam et laicité, p. 131. 129
‘Amara, Islam et laicité, p. 129 ( introduzione redazionale al testo di ‘Amara). 130
‘Ali Harb, Le Divin et l’Umain, p. 201 e 203, passim, 1993.
40
Il panorama è, a questo punto, abbastanza chiaro, e con il saggio di Muhammad ‘Abid al-Ğàbrì si
allarga agli aspetti più propriamente politici131
. Abid al-Ğàbrì sottolinea che “nessun slogan [sic!]
come quello di ‘ilmàniyya (laicità) è stato caricato di ambiguità e di malintesi nel pensiero arabo
moderno”; e, dopo aver ricordato che la parola “laico” non ha alcuna relazione con la parola
“scienza” (‘ilm) e che “la parola deriva dal greco laos che significa appartenente al popolo, alla
gente comune (laikos) per opposizione a kleros” fa due precisazioni che (dal suo punto di vista)
aggiungono alla nostra ricerca importanti elementi:
Il est évident que la laicité est une idée liée dès le départ à un contexte spécifique (…) un société où
la religion ne serait pas fondée sur une relation directe entre l’homme et Dieu (…). Il est clair que
cette idée est totalement étrangère à l’Islam. (…) En bref, proposer le slogan de la laicité, traduit par
‘ilmàniyya, dans une société pratiquant l’islam, est injustifié, illégitime et n’a aucun sens. (…) C’est
au milieu du XIX ème siècle que ce slogan a été proposé dans le monde arabe. Ce sont des penseurs
chétiens, originaires de Syrie, qui l’avait lancé.(…) Le slogan de la ‘ilmàniyya (laicité) a donc été
proposé, dans le monde arabe corrélativement à celui d’indépendance vis-à-vis des turcs (…) Il est
arrivé ensuite que ces deux slogans ou courants d’idées ont fusionné et donné naissance à
l’arabisme, qui est devenu un peu plus tard le “nationalisme arabe”132
Era (quella alla quale ‘Abid al-Ğàbrì fa riferimento), l’epoca anteriore all’ abolizione del ‘califfato
islamico ottomano’. Successivamente, e “Quand les Etats ont accédé à l’indé- pendance arabe, la
laicité a de nouveau été ptoposée, notamment dans tous ces pays arabes où il y avait des minorités
religieuses (sourtout chrétiennes)133
.
La vraie signification de ‘ilmàniyya, dans ce nouveau contexte de recherche théorique visant à créer
un Etat arabe unifié, est organiquement liée à la question des droits de minorités religieuses.
Signification qui tendait à faire valoir le droit de ne plus etre soumis à la religion de la majorité. Par
conséquent, la laicité de ce point de vue signifiait avant tout la création d’un état fondé sur bases
démocratique, rationnelles, et non sur une prépondérance religieuse quelconque.134
Fin qui, le precisazioni di ‘Abid a-Ğàbrì ci appaiono utili e anche, in qualche modo, chiarificatrici.
Le sue ulteriori riflessioni, molto meno. Esaminiamole, pertanto, dettagliatamente.
Au beau milieu de ces polémiques politico-idéologiques entre partis politiques et courants d’idées,
certains ont traduit cette idée par l’expressions de “séparation de la religion e de l’ètat”. Expression
qui n’est pas du tout appréciée dans un société islamique parce que l’opposition entre l’état et la
religion est un non-sens en Islam. Cette opposition ne peut avoir de sens que dans les pays où le droit
d’exercer la maitrise spirituelle en laissant en contrepartie l’Etat exercer le pouvoir temporel.135
Se la difficoltà o il problema di ‘Abid al-Ğàbrì fosse di natura linguistica (la lingua araba non
avrebbe – secondo la sua analisi- un termine adeguato a tradurre e rendere “apprezzabile” nella
società islamica il concetto di laicità ) allora, si potrebbe semplicemente prenderne atto. Ma se,
131
Muhammad ‘Abid al-Ğàbri insegna filosofia araba e islamica nell’università di Rabat dal 1967. Le citazioni che
proporremo provengono al suo libro (1992) “Wighatnazrnahwa i‘àdatbinà’ qadàyà al-fikr al-‘arabì al-mu’àsir (Un
point de vue pour une reconstruction des problèmes de la pensée arabe contemporaine). 132
Muhammad ‘Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme plutot que laicité, p. 271 e 273; 1992 133
‘Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme, p. 275. 134
‘Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme, 275. 135
Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme, p. 275.
41
come appare, il problema è altro, allora non è coerente aggirarlo o confonderlo polemicamente e/o
apologeticamente, come sembra fare al-Ğàbri. Infatti, nella “laicità” non è insita alcuna
“opposizione” tra lo stato e la religione, bensì soltanto l’esigenza di una separazione, una
distinzione dei profili e dei rispettivi statuti.
Le problème de la laicité est un faux problème, c’est à dire, qu’il est l’expression des certains
aspirations, mais avec un contenu qui n’y correspond pas. C’est cette aspiration à l’indépendance
dans le contexte d’une identité nationale commune; c’est aussi l’aspiration à une démocratie
respectant les droits des minorités; c’est également le désir d’une politique rationnelle.136
Il professore di “filosofia araba e islamica” sembra percepire un rischio teologico insito nel
termine “laicità” e invece di approfondirne i connotati storici e cercare la valenza corretta del
termine, lo rigetta tout court; nello stesso tempo sembra, però, voler farsi carico del problema dei
“diritti” (lui dice: delle minoranze) e di “certe aspirazioni”. Ma con tanti distinguo e anche un di
più di passione apologetica. Scrive :
Certes, il y a des nécessités objectives, des demandes raisonnables et indispensables dans le monde
arabe, mais qui perdent leur pertinence et leur absolue nécessités, voire leur légitimité, quand elles
sont véhiculées dans des concepts aussi ambigus que celui de la laicité.137
Con tutta evidenza la concezione della Laicità di ‘Abid al-Ğàbrì è la stessa che anche sopra
abbiamo esaminato nel saggio di Falzur Rahman, e che abbiamo, opportunamente,
contestualizzato, anche in un’analisi dei relativi contesti storici e politici.
Tuttavia, merita anche riportare il contributo – piuttosto interessante anche per il linguaggio usato -
di Hàlid Muntasir (molto noto al pubblico egiziano) risalente al 1994 e tutt’altro tenore:
La laicité n’est pas le contraire de religion, mais de cléricalisme. La laicité est ce qui place le pouvoir
politique parmi les réalités de ce monde et le pouvoir religieux parmi les réalités divines. La laïcité
n’est essentiellement que la véritable interprétation et la compréhension scientifique du phénomène
religieux. La laïcité ne prend pas la religion comme fondement de la citoyenneté; elle ouvre les
portes de la nation à tous ceux dont la religion diffère. Telle est, ni plus ni moins, la nature de la
laïcité. Jamais et nulle part elle n’a été synonyme de négation du religieux. (…) Les fondements de
l’Etat laïc sont représentés par ce qui suit: a) Le droit à la citoyenneté est le fondement de
l’appartenance à la nation, en ce sens que nous appartenons à l’Egypte en tant qu’Egyptien, que nous
soyons musulmans ou coptes. b) Le fondement du régime constitutionnel est ce qui garantit l’égalité
de tous les citoyens et assure la liberté de foi sans aucune mise en garde, ni aucune condition.138
Tornando a Abid al-Ğabrì ed a quella sua sorta di idiosincrasia per il termine (ed anche , molto
probabilmente, per i contenuti e le percezioni che della Laicità sono arrivati dall’occidente,
connessi alla colonizzazione e alle varie forme di controllo di ampi settori delle società islamiche
anche dopo l’indipendenza), egli manifesta contemporaneamente la consapevolezza che “ oggi il
pensiero arabo deve rivedere la sue concezioni”.
136
Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme, p. 275 137
Abid al-Ğàbrì, Démocratie et Rationalisme, p. 275 138
Halid Muntasir, La laicité, voilà la solution, p. 193 e 195, 1994.
42
Je pense même qu’il faudrait éliminer de la phraséologie philosophique arabe ce mot d’ordre de
laïcité. Substituons-le par les concepts de démocratie et de rationalisme qui disent de façon plus
adéquate les nécessités de la société arabe: une démocratie qui garantit les droits des individus et des
groupes, un rationalisme qui signifie une pratique politique émanant de la raison et des ses critères de
logique et de morale, et non des passion, des fanatismes et de caprices de l’humeur. 139
Dunque, è interessante sottolineare come da una parte sembra convinto che : “ ni la démocratie, ni
le rationalisme, ne signifient aucunement le limogeage [il siluramento] de l’islam”, dall’altra
esprime la necessità di : “considérer l’islam comme le fondement même de l’être arabe: cet islam
spirituel par rapport aux arabes musulmans, et cet islam culturel par rapport à tous arabes, qu’ils
soient ou non musulmans”.140
3. Contesto filosofico
Facciamo ora un rapido cenno (solo ai fini di rafforzare una lettura del “pensiero” che sta racchiuso
nei termini e nella lingua di cui sopra abbiamo offerto una rapida analisi) alla filosofia
contemporanea islamica.
L’occasione ce la offre proprio il ‘nostro’ Al-Jabri (si tratta del al – Ğabrì di cui abbiamo dato conto
precedentemente; useremo ora la translitterazione adottata da Massimo Campanini, dalla cui analisi
prendiamo lo spunto):
Al-Jabri che è sfortunatamente poco noto in Occidente anche se è stato un originale rappresentate
di quel trend di pensatori modernisti che hanno tentato di rifondare criticamente e storicamente il
turath (eredità) arabo-islamico, attraverso una critica della ragione araba (‘aql in senso tecnico può
tradurre sia l’ “intelletto” sia la “ragione”). Al-Jabri ha elaborato una vera ‘filosofia della
modernità’ sostenendo la necessità di ‘criticare, riorganizzare e ricostruire il nostro patrimonio
culturale (turath), e operare onde dare fondamento ai valori della modernità all’interno della
nostra cultura’. (…) Nella sua Introduzione alla critica della ragione araba, Al-Jabri ha
vigorosamente sostenuto che il futuro della cultura arabo-islamica deve essere “averroista”, cioè
razionalista e democratico141
.
Muhammad ‘Abid al-Jabri, peraltro, nel corso del degli anni ’90 del XX secolo, ha intrattenuto un
intenso scambio epistolare con un altro maestro della filosofia islamica – Hasan Hanafi (nato
1935)- proprio sulla questione della Laicità.142
Nel prossimo capitolo, potremmo approfondire
anche altri contesti della filosofia islamica contemporanea143
.
139
‘Abid al-Gàbrì, Démocratie et Rationalisme plutot que laicité, p. 277. 140
‘Abid al-Gàbrì, Démocratie et Rationalisme, p. 277. Interessante questa analogia di concetti e similarità di termini
(“islam culturale”) con Falali-Ansary, cfr. nota n. 78. 141
Campanini, La filosofia islamica, p. 113-115. 142
cfr. “Hiwàr al-Masriqwa-l-Magrib” (Dialogue du Masriq et du Magrib), Beirouth, 1990 143
Anche in questo settore degli studi sull’Islam il dibattito è molto articolato e anche complicato. Riportiamo soltanto
l’incipit del breve ed intenso volumetto di Massimo Campanini, al fine di darne un brevissimo accenno: “Si tratta,
dunque, più che di (ri)fare l’ennesima storia, di interrogarsi su che cosa veramente è la filosofia islamica, intanto sul
piano del metodo e quindi sul piano del contenuto.(…) Ardisco affermare a-priori che i pilastri della filosofia islamica,
classica o cosiddetta medievale, e contemporanea allo stesso modo, sono l’unità e la trascendenza di Dio (tawihd e
tanzih, rispettivamente). Partendo da questa base, il rapporto del tawhid e del tanzih con l’eredità greco - ellenistica ha
qualificato in particolare la filosofia classica, mentre il problema della prassi e del rapporto con la modernità hanno
43
dominato l’orizzonte della filosofia contemporanea”. (M. Campanini, La filosofia islamica, Morcelliana, Brescia 2016,
p. 5-6. La sottolineatura è nostra.
44
CAPITOLO QUARTO
Dall’Islam in Europa, all’Islam europeo
Nella Introduzione avevamo delineato come obiettivo ultimo dell’elaborato quello di illuminare i
caratteri della relazione dell’Islam contemporaneo con la Laicità, avendo consapevolezza che
l’Europa e l’Islam – nello svolgersi dei secoli – divengono protagonisti di una stessa storia nel
rapporto con la Modernità.
1. Modernità e Islam: due concetti polisemici
Siamo di fronte (o dentro) due contesti e due configurazioni, ambedue di natura polisemica: sia
Modernità sia Islam.
Senza poter e voler entrare troppo nel merito, essendo noi incamminati in un ‘percorso storico’, ci
sembra tuttavia utile, almeno, fare un accenno alla necessità di prendere con le molle il termine
«modernità». “Modernità – osserva Massimo Campanini – è un termine polisemico, che può
declinarsi in molti modi diversi”144
. Essendo, peraltro, in sé «termine astratto», Campanini
suggerisce di avvicinarci alla sua comprensione “più concretamente” e si affida ad uno dei più
grandi filosofi viventi, ed anche eminente studioso del costituzionalismo europeo, Jurgen
Habermas, che così definisce la «modernizzazione»:
“un fascio di processi cumulativi che si rafforzano a vicenda: la formazione del capitale e la
mobilitazione delle risorse; lo sviluppo delle forze produttive e l’incremento della produttività del
lavoro; l’imporsi dei poteri politici centrali e la formazione di identità nazionali; l’estensione dei
diritti di partecipazione politica, delle forme di vita urbana, dell’educazione scolastica; la
secolarizzazione di valori o di norme, e così via”145
.
Anche Islam, però, è termine polisemico; e lasciamo che ad illustrarlo sia un musulmano: Abdou
Filali-Ansary, che parte da un interrogativo: “conflitto di culture o conflitto di nozioni” ?
Nel caso di cui ci occupiamo è frequente vedere citate coppie quali “Islam e modernità”, “Islam e
Stato moderno”, “Islam e democrazia”, “Islam e pluralismo”, ecc. Non è soltanto a livello di
terminologia, che la maggior parte degli autori e dei partecipanti al dibattito si comporta come se
l’Islam fosse un dato ben definito, immutabile nel tempo, concepito nello stesso modo, ugualmente
accessibile a tutti e che la medesima cosa si verificasse per gli stessi concetti che gli vengono
contrapposti. Il procedimento, che forse si può giustificare come modo di porre determinati problemi
o di trattare alcuni soggetti, finisce per essere adottato come l’espressione della sostanza stessa delle
cose. Così i contrasti, le opposizioni, i conflitti identificati sono interpretati come conseguenze della
natura stessa delle “realtà” esaminate e non come il risultato di confronti fatti da osservatori
esperti.146
144
Campanini, La filosofia islamica, p. 96. 145
J. Habermas Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Bari 1997, p. 2. 146
Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 24. La sottolineatura è nostra.
45
Non sono, tuttavia, sufficienti queste due riflessioni, occorre entrare di più nel merito. “La
definizione di Habermas – chiosa infatti Massimo Campanini147
– si fonda, tuttavia, su un punto di vista
eurocentrico, poiché descrive le condizioni dello sviluppo storico dell’Europa e dell’Occidente in generale:
capitalismo, nazionalismo, diritti civili sono i prodotti delle storia europea nella cosiddetta età moderna
(XVI-XIX secolo)”.
Nel percorso da noi (nei capitoli precedenti) rapidamente ricostruito, abbiamo anche evidenziato
come i vari contesti (colonizzazione, indipendenza con controllo dell’economia, ecc.) entro i quali
l’incontro tra Islam e modernità si è concretizzato, hanno prodotto
“una crisi di identità che si tradusse nel problema dell’autenticità. Per ritrovare siffatta autenticità
bisognava procedere a un rinnovamento (…). La realtà dell’Islam e la sua evoluzione storica sono stati
ovviamente differenti e si sono dipanati secondo altri parametri. E’ perciò che, in prospettiva filosofica,
la modernità islamica (hadatha) ha assunto fondamentalmente le caratteristiche – che hanno anche un
input religioso – del ‘rinnovamento’ (tajdid) e dell’ ‘autenticità’ (asala).”148
Ma per non restare nell’indeterminatezza, procediamo nell’approfondimento attraverso l’analisi di
un altro concetto chiave: quello della “specificità” dell’Islam; lo abbiamo già evocato e ora
riteniamo utile riportarlo all’attenzione.
Dans le passage que nous avons choisi de traduire, l’auteur explique l’incompatibilité de la laicité
avec la specficité de l’Islàm. L’argument de la specificité revient souvent dans les raisons des
islamistes qui disent “non” à la laicité. Il y a là une costitutionalité qui ne fait pas de distinction
entre la politique et la religion”149
La pubblicazione a cui facciamo riferimento l’abbiamo esaminata nel capitolo precedente, è quella
di Muhammad Amara, datata nel 1988 (vedasi note 127-129). Ora la rimettiamo a fuoco - insieme
al carattere polisemico dei termini-mondi “islam” e “modernità” - affinché il percorso del difficile
rapporto abbia i “confini” ben delineati.
Siccome, ora il nostro percorso è condotto nell’ambiente Europa (e non più in quello musulmano),
la questione con la quale dobbiamo confrontarci – senza infingimenti di sorta – è se una
“specificità” culturale e di weltanschauung (che sul terreno musulmano è rivendicato, e con la
nostra indagine abbiamo conosciuto) non si possa porre – legittimamente - anche sul terremo
europeo. Il problema è assolutamente pertinente: infatti, la “laicità” (il cui rapporto con l’Islam
stiamo ora focalizzando nel quadro dell’incontro tra islam e modernità) è, storicamente, una
fondamentale componente dell’ habitat culturale europeo/occidentale, la cui weltanschauung non
è interpretabile come un terreno vergine o desertico, indifferente ad ogni innesto di cultura “altra”,
con modalità e intensità sconfinate (senza confini) e illimitate (senza limiti).
Detta in altri termini, stiamo affrontando questa domanda: «modernizzare l’Islam o islamizzare la
Modernità»? Una domanda cruciale: lo era (e lo è ancora) sul terreno storico/geografico dell’Islam;
lo è in tutti i terreni nei quali l’Islam approda, anche in e per Europa/Occidente.
147
Campanini, La filosofia islamica, p. 97. 148
Campanini, La filosofia islamica, p. 98. 149
cfr. nota 129.
46
Tenendo sullo sfondo propriamente storico questo interrogativo, riflettiamo all’affresco di un
duplice posizionamento che comincia ad essere stabilmente in campo sul terreno europeo, oltre che
nel mondo (orientale e occidentale):
a) Con modernizzazione dell’Islam si intende quella tendenza a ritenere che la Weltanschauung
islamica ormai in molti punti obsoleta e legata alla venerazione di un passato che la schiaccia, non
sia in grado di rispondere alle sfide della contemporaneità: essa pertanto deve essere adattata al
mondo moderno, resa compatibile con il mondo moderno al prezzo di profondamente modificarla, di
rileggerne i fondamenti epistemologici, o addirittura, nel caso limite, di abbandonarla. Si tratta di un
atteggiamento mentale che in fondo ha introiettato, anche senza accettarli pienamente, i processi
della colonizzazione e della decolonizzazione, cerando di omologarsi a una visione del mondo altra.
b) Con islamizzazione della modernità si intende invece quella tendenza a ritenere la Weltanschauung
islamica per sua natura moderna, in grado di interpretare e di governare la modernità alla luce dei
suoi principi fondamentali e immutabili: essa pertanto deve essere vivificata adattando il mondo
moderno, rendendo compatibile il mondo moderno con le risoluzioni etiche, politiche, ma anche
teologiche di una ideologia che ha tutte le qualità intrinseche per riemergere dall’oblio della
decadenza. Si tratta ovviamente di un atteggiamento mentale che comunque, a livello più o meno
intenso, confligge con l’Occidente, con la sua visione del mondo e i suoi valori.150
Tornati, dunque, in Europa (con alle spalle la lunga attraversata dei “percorsi di storia del difficile
rapporto Islam –Laicità” nel mondo (nei mondi!) musulmano, siamo anche di fronte alla
immersione nella articolata “specificità” – di Pensiero, di Strutture statuali e dello Stato di
diritto151
, di Religione e di non- Religione 152
- del mondo (dei mondi) della modernità occidentale.
2. Dall’Islam in Europa all’ Islam europeo
Le responsabilità storiche (nel duplice significato di: ‘rispondere a qualcuno di qualcosa’ e di
‘abilità a rispondere’) appartengono – non c’è dubbio - ad ambedue i mondi.
150
Campanini, La filosofia islamica, p. 99. Le sottolineature sono nostre; ed è appena il caso di almeno accennare che
anche per quanto riguarda la storia del cristianesimo si è posto e si pone ancora la stessa domanda; e le risposte sono lì –
nella sua storia – a confermare che ciò che è avvenuto è una contaminazione: un processo in cui si è realizzata sia una
cristianizzazione della modernità sia una modernizzazione – più o meno accettata, più o meno rifiutata, più o meno
consapevole - del cristianesimo (con buona pace della recente volontà o desiderio di affermare nella Costituzione -
Trattato dell’Unione Europea la unicità delle “radici” cristiane o giudaico-cristiane). 151
Per una comprensione, la più rapida ed inequivoca, di questa dizione, citiamo l’art. 2 del Trattato vigente sull’Unione
europea: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a
minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non
discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini” 152
Il presidente (dell’epoca) della Commissione europea, José Manuel Barroso, nel discorso ufficiale tenuto alla terza
Assemblea ecumenica (delle tre confessioni cristiane) europea- Sibiu, Romania, 4-9 Settembre 2007 – afferma: “La
compatibilité entre les divers éléments qui permettent d’envisager le continent européen comme un tout, résulte d’une
identité comune, fondé sur un ensemble de valeurs partagés et sur l’idée meme de diversité et respect de cette diversité.
Le dialogue avec les differentes églises, communautés confessionnelles et communautés de convinction et la défense
intransigente de la liberté de religion, ainsi la liberté de ne pas avoir de religion, traduisent la reconnaissence de cette
diversité et ce pluralisme qui sont au coeur de notre idée d’Europe”.(la sottolineatura è nostra ; l’autore di questo
saggio era presente al discorso e può offire la sua testimonianza diretta su quanto accaduto: insieme ad altri, ha potuto
constatare che gli organizzatori della conferenza hanno diffuso tardivamente il testo del discorso alla stampa, senza
questo « inciso » ; nello stesso tempo si è potuto verificare che sul sito della Commissione europea il testo ufficiale,
apparso contemporaneamente alla sua pronuncia, conteneva la contestata affermazione).
47
I legami dell’Islàm con l’Europa sono antichi153
. Se quelli conflittuali spaziano dalle crociate154
ai
tempi di incursione musulmana conclusisi con l’assedio di Vienna nel 1622, si è avuta anche una
presenza stabile dell’islàm sia nella Spagna andalusa fino al 1492 che in Sicilia e nei Balcani. Il
conflitto recente nella Bosnia-Erzegovina ha resuscitato nella memoria collettiva l’esistenza di un
islàm dimenticato nel cuore d’Europa.155
La caduta del muro di Berlino ha contribuito a far riemergere
altri mondi musulmani rimossi, quelli dell’Albania e delle repubbliche islamiche dell’ex URSS. E’
ancora troppo presto per valutare che tipo di islàm emergerà da questa nuova situazione geopolitica,
anche se vari indicatori vanno nel senso della radicalizzazione delle forme identitarie.156
Ora – come afferma K. F. Allam, riportando un pensiero dell’orientalista Jacques Berque –c’è “un
islam che vuole identificarsi geograficamente con l’Europa, frutto di flussi migratori e di immigrati
della seconda e terza generazione, nati spesso su suolo europeo, che hanno ottenuto per diritto o per
naturalizzazione la cittadinanza di un paese europeo”157
.
Ma se già esiste un “Islam in Europa”, non pensiamo che si possa affermare che già esista “un
islàm europeo”. Ed è proprio relativamente alla nascita ed alla formazione di un “islàm europeo” (il
passaggio, quindi, dall’Islam in Europa, all’Islam europeo) che consiste la sfida ed il compito che
attendono i due co - protagonisti, in forza di quelle duplici responsabilità alle quali sopra ci
affidavamo.
Le premesse (e le promesse?) di una “dialettica delle alterità” ci sarebbero, come risulta anche da
diversi scritti di Hasan Hanafi (che, come ricordavamo sopra, ha intessuto con al- Jabri un
importante scambio epistolare proprio sulla Laicità) nei quali ha delineato “ una peculiare filosofia
della storia che individua uno svolgimento parallelo e a corrente alternata delle vicende storiche di
“Oriente” – ma qui si tratta fondamentalmente del mondo arabo-islamico – e di “Occidente”,
secondo tre fasi, ognuna delle quali lunga approssimativamente 700 anni”.158
Per una più completa analisi - nel tempo e nei secoli – di questa dialettica delle alterità si rimanda
a Massimo Campanini 159
, qui conviene riportare il giudizio conclusivo dello stesso Campanini:
Almeno fino a dopo le due guerre mondiali del XX secolo (la terza strisciante è in corso nei primi
decenni del XXI), lo schema di Hanafi funziona perfettamente. Quanto sia utile a comprendere le
trasformazioni contemporanee è invece discutibile. Le fenomenologie violente di al-Qa’ida e
dell’ISIS sembrano negare l’ottimismo di Hanafi, e la cultura occidentale sembra sempre più
dominante, sebbene non più onnipotente, ma anzi fragile ed essa stessa in profonda crisi. Tuttavia
l’utopia di Hanafi ha due meriti: quello soprattutto di rivendicare l’intersoggettività interloquente
delle culture (contro lo spettro maligno di Huntington, Fukuyama, Kagan e simili, sfortunatamente
materializzatosi nel XXI secolo); ma anche quella di evidenziare una crisi dei fondamenti della
civiltà cosiddetta occidentale che è sotto gli occhi di tutti e di cui Nietzsche è stato profeta (…).
153
Cfr. F. Cardini, Noi e l’Islam. Un incontro possibile?, Roma, 1994. 154
C. Cahen, Orient et Occident au temps des Croisades, Paris, 1983. 155
J,A. Dérens-L.Geslin, L’Islam più antico d’Europa, Le Monde diplomatique, n. 9, anno XXIII, settembre 2016. 156
Allam, L’islàm contemporaneo, p. 285 157
Allam, L’islàm contemporaneo p. 285. La sottolineatura è nostra e mira anche distinguerci dall’affermazione
contenuta nel brano citato dove si scrive: “la situazione inedita che si è venuta a creare a partire dagli anni Ottanta è la
nascita di un Islàm europeo”.. 158
Campanini, La filosofia islamica, p. 7. 159
Campanini, La filosofia islamica, da pag. 8 a pag. 10.
48
Orbene, lo schema di Hanafi implica non solo la percezione della contiguità dei due mondi, ma
anche la necessità di trascegliere gli elementi chiave che consentono e alimentano il confronto.160
Questa ricerca dell’Islam europeo potrà avvenire, dunque, soltanto se alla percezione della
contiguità dei due mondi, uniamo la consapevolezza della necessità di trascegliere gli elementi
chiave che consentono e alimentano il confronto.
Nel precedente capitolo – interamente dedicato ad un confronto interno all’Islam e tra musulmani
sulle radici, anche etimologiche nella lingua araba, della laicità – abbiamo potuto rilevare quanto
pluralismo di approcci e quanta distanza, anche, esista nel mondo islamico nella non univoca e
neppure comune, bensì contrastata e conflittuale, ricerca della possibilità e normalità del confronto
con la modernità occidentale.
Riassumendolo e collocandolo dentro una visione di carattere planetario, l’affresco si presenta in
bilico, tra appartenenza identitaria e autonomia individuale.
L’affermazione, insieme alla crescente radicalizzazione, di specificità culturali, parallelamente ad
una mondializzazione che si propaga nei quattro angoli della terra, implica una crisi del soggetto; le
nuove volontà di potenza cercano nuove scelte, nuove interpretazioni politiche e religiose. Che sia
il proto-nazionalismo o l’attuale tendenza verso ciò che alcuni studiosi chiamano l’islamo-
nazionalismo 161
, l’oscillazione è sempre la stessa, fra appartenenza identitaria (olismo) e
autonomia individuale. La storia dell’ islàm di questo secolo è segnata da questi tentativi, che sono
anche risposte a queste due sfide. Il tenore del dibattito si misura anche nelle interpretazioni e negli
studi svolti dagli stessi autori musulmani. Tra un autore come ‘Ali ‘Abd al-Raziq che pubblica nel
1925 un saggio subito condannato che gli vale l’espulsione dall’università di al-Azhar, Al-islam
wa-usul al-hukm(“L’Islam e i fondamenti del potere”) – e l’esegesi coranica di Sayyid Qutb dal
titolo Fi Zilal al Qur’an(“All’ombra del Corano”) la distanza epistemologica è grande. 162
Per alcuni aspetti della distanza epistemologica abbiamo già dato conto, aggiungiamo ora alcuni
altri elementi che possono essere evidenziati come aspetti specifici e nuovi dei “percorsi di storia
del difficile rapporto”, sul terreno europeo. Anche considerando quanto afferma lo storico Kh. F.
Allam: “ Le polemiche hanno assunto talvolta toni violenti (…). Questi episodi danno la misura
della difficoltà di trovare un linguaggio e dei quadri di riferimento concettuali in grado di chiarire
ciò che sta avvenendo.”163
Inseriamo, quindi, altri pochi elementi di analisi sullo scenario dell’islam in Europa.
Quando ci riferiamo al ruolo della religione , e all’Islam in particolare, nell’integrazione europea,
generalmente pensiamo ad esso in termini negativi, e cioè come ostacolo a tale processo di
integrazione. (…) [e avendo già aderito ai valori europei della modernità o all’europeità]con questo
particolare background storico e culturale, è strano pensare una cittadinanza europea in termini di
integrazione attraverso la religione. Ma d’altra parte un ripensamento del ruolo della religione nella
costruzione dell’essere europeo, non solo dal punto di vista dell’eredità cristiana ma anche in
relazione alla presenza islamica, è una bella sfida (…). Il tema del ruolo della religione
160
Campanini, La filosofia islamica, p.10; la sottolineatura è nostra. 161
cfr. M. Rodison, L’Islam politique et croyance, Paris, 1993. 162
Allam, L’islam contemporaneo, p. 289. (La sottolineatura è nostra). 163
Allam, L’Islam contemporaneo, p. 288. Le sottolineature sono nostre.
49
nell’integrazione europea ci invita a riconsiderare la religione come una specie di forza positiva, di
valore positivo [che Danièle Hervieu-Léger ha definito « le travail civilisationnel»]. Dal punto di
vista della religione islamica il compito diventa ancora più difficile, non solo perché oggi l’Islam
viene usato (e sfruttato) come forza di opposizione, ma anche perché viene percepito da molti
europei come l’«altro», il diverso, che pertanto va contenuto ed emarginato.164
Questi “linguaggi” tipici della sociologia della religione, ci aiutano a comprendere, ad esempio, che:
“la religione nel mondo moderno è diventata un’esperienza di carattere più personale e spirituale.
Ma ciò non vuol dire che sia limitata alla sfera privata. (…) L’esperienza religiosa diviene parte di
un «individualismo espressivo» (…) un proprio percorso individuale in opposizione al modello
imposto dall’esterno-dalla società, dalla generazione precedente, o dall’autorità religiosa”.165
Aggiunge Nilufer Gole:
A mio avviso, il processo di deistituzionalizzazione dell’esperienza religiosa è valido anche per
l’Islam. L’Islam, che ha sempre costituito un forte collante tra individui appartenenti a una
particolare località, confessione o Stato nazione, oggi diventa punto di riferimento di un immaginario
legame tra musulmani socialmente sradicati. (…) L’Islam si de-tradizionalizza ad opera
dell’islamismo in particolare e del moderno mondo laico in generale.166
Ecco una indicazione molto precisa ed anche produttrice di nuova comprensione scientifica e
politica sulla quale meriterebbe lavorare e studiare, per evitare di camminare in avanti, avendo la
testa e lo sguardo rivolti all’indietro. Precisa, infatti, Gole: “L’Islam si sta spostando verso nuovi
ambiti dell’esistenza ma abbiamo ancora la tendenza a concepirlo come appartenenza a una località,
senza alcuna pretesa di universalismo.”167
. Deve essere chiaro che tali evoluzioni complicano le
cose, e di molto, in direzione di processi di sradicamento ed estraniazione reali e pesantissimi, fino
alle manifestazioni di terrorismo (banalmente riferiti a “radicalizzazione islamica”). Ma nello stesso
tempo – se vogliamo essere conseguenti ed esaminare questi fenomeni “religiosi” come elementi
storici e con metodo scientifico–bisogna che, in particolare, gli europei ricordino che:
Tuttavia, come ci insegnano i classici della letteratura sociologica, la mobilità sociale è anche
condizione preliminare dell’acquisizione di uno stato di predisposizione alla personalità moderna.
Adesso bisogna considerare come tutto ciò possa essere messo in collegamento con la religione. Lo
sradicamento e la mobilità sociale degli attori musulmani implicano il loro sperimentare un senso di
distanza, se non di rottura con le proprie origini sociali e geografiche. Il discorso vale per i
musulmani immigrati in Europa, ma anche per i gruppi sociali protagonisti di una recente
urbanizzazione nei paesi musulmani. Conseguentemente, la loro è un’ esperienza religiosa di tipo
totalmente nuovo. (…) Il loro Islam non è legato a un territorio o a una tradizione, come l’Islam
shiitao sunnita. Quel che vediamo entrare in azione è una specie di Islam sincretico.168
E, dunque, alla luce di questi “percorsi di storia”, in azione nella presente contemporaneità, emerge
che i due mondi devono insieme prendere atto che le responsabilità dei loro sviluppi appartengono
164
N. Gole, Nuovi musulmani e sfera pubblica europea, in: AA.VV.,“ Europa laica e puzzle religioso”, Marsilio, 2005,
p. 135-136. 165
Gole, Nuovi musulmani, p. 138. 166
Gole, Nuovi musulmani, p. 138 167
Gole, Nuovi musulmani , p. 140. 168
Gole, Nuovi musulmani, p. 141.
50
ad ambedue: da e per ciascuno di essi, quindi, con i rispettivi linguaggi e processi di apprendimento
vanno urgentemente promossi.
Dicevamo sopra che la distanza epistemologica , tra i protagonisti musulmani della riflessione
teorica e culturale in senso lato, è grande! Nessuno immagina che il percorso possa delinearsi in
una sorta di due tempi: prima, ciascuno si mette d’accordo nel proprio “mondo” e poi, si “dialoga”.
E dunque? Dunque, il confronto è a trecentosessanta gradi e nei trecentosessantacinque giorni, che
ogni anno ci offre: il suo faticoso avanzare genererà cambiamento e conflitti; conflitto e
cambiamenti, di fronte al mondo e nel cuore delle sue molteplici umanità.
In questo elaborato potevamo soltanto indicare alcuni ambiti di una riflessione crescente e
altalenante, della quale non si può non tenere conto, pena la impossibilità di almeno tendere alla
comprensione della realtà. Resistendo al rischio – sempre in agguato e soprattutto nell’era del
web169
- dell’ “appannamento della memoria storica”, che spinge ad una sorta di sovrapposizione
del presente contemporaneo sulle configurazioni storiche precedenti. Mentre concludiamo questo
lavoro, abbiamo sotto gli occhi un intelligente articolo di Giovanni Belardelli (Corriere della Sera
11 dicembre 2016): “Negli USA e in Inghilterra il politicamente corretto colpisce classici della
letteratura e feste come il Columbus day, perché è difficile percepire la distanza tra il presente e il
passato. Ogni epoca è valutata sulla base di valori contemporanei”.
3. Un ritorno all’inizio del nostro cammino
Lo facciamo, nel capitolo dedicato all’ Europa, in quanto riteniamo che in questo preciso contesto
sociale, istituzionale e culturale – e nella nascita dell’Islam europeo - si “giochi” la strategica sfida
all’Islam contemporaneo. Lo faremo adottando lo schema di uno dei compagni di strada al quale
questa nostra modesta indagine deve molto: Abdou Filali-Ansary170
; il quale concludendo la sua
ricerca e raccogliendo le fila della suo saggio sul “Punto di vista dei musulmani progressisti” così
schematizza le diverse posizioni:
L’Islam non ha bisogno della laicità
L’Islam è ostile alla laicità
L’Islam è compatibile con la laicità
Sulla base di questa articolazione, noi sintetizziamo il nostro percorso:
a) L’Islam non ha bisogno della laicità
Una posizione che potrebbe essere considerata banale, quando riduce la laicità alla separazione tra
“chiesa e stato” (in quanto l’Islam non ha una “chiesa” e non ha “istituzioni religiose separate dalla
società”), mentre mostra la sua consistente fragilità di fronte al concetto vero della laicità, completa
e sostanziale: l’autonomia del uomo e della razionalità umana; con la sua conseguenza principale: “
la definizione dell’ordine sociale senza riferimenti ai concetti [come veri e propri apriori]religiosi”.
169
Cfr. F. Ferrarotti, Un popolo di frenetici informatissimi idioti, Edizioni Solfanelli, 2013. 170
La breve sintesi che faremo ha il solo scopo di una pre-conclusione: eviterà auto-citazioni e, quindi, ripetizioni di
analisi effettuate ed anche riferimenti ad autori di cui già abbiamo documentato ed esaminato il pensiero. Il
virgolettato è sempre tratto da: A. Filali-Ansary, Islam e laicità. Il punto di vista dei musulmani progressisti, da p. 92 a
p. 110, passim.
51
I due pensatori più rappresentativi, in questo senso, sono – come abbiamo visto – Hasan Hanafi e
Muhammad al-Jabri. In estrema sintesi, così si esprime Filali-Ansary: “Il programma che ci è proposto
ha due risvolti: mettere in pratica la laicità (o piuttosto vivere in un sistema secolare) senza pronunciarne il
nome. [ detto ] altrimenti, conservare il concetto di shari’a pur costruendo leggi secolari”.
b) L’Islam è ostile alla laicità
Il background di questa posizione sta in un triplice fondamento (ai quali abbiamo fatto ampi
riferimenti nei capitoli precedenti): la cosiddetta Costituzione implicita, la convinzione che la Legge
religiosa (shar’ia) “ è di origine divina, valida in tutti i tempi e tutti i luoghi, di un valore che
oltrepassa il suo aspetto religioso e che ha radici nella verità del messaggio divino”, lo “Stato [non
importa in quale forma: califfato – da quello virtuoso, alle dinastie più dure e sanguinarie- o altra
forma] è concepito come lo strumento di applicazione delle disposizioni trascendenti”. I pensatori
che esprimono questa posizione vanno dalle diverse ondate di riformatori o di ritorno alle origini
della mitica “ comunità dei credenti” o alla purezza delle fonti, ai diversi movimenti dei
tradizionalisti, fino alle manifestazioni dell’integralismo più intenso. In generale, ciò che accomuna
tutti questi tentativi è il riferimento alla religione, intesa come: “non l’Islam del Dogma (di cui i
testi non riportano alcuna costituzione), ma l’Islam storico”.
E’ per reagire a un modello concorrente che sono stati realizzati sforzi per spiegare e dare forma a un
sistema islamico in tempi moderni. (…) Un grande giurista come Abderrazaq Sanhoury ha potuto
costruire una sintesi integrante i principi e gli elementi dei sistemi occidentali e delle tradizioni
islamiche, compresa in particolare l’idea del califfato spirituale, incaricato degli affari religiosi e di
promuovere lo spirito di solidarietà in tutte le comunità musulmane. All’altro estremo, con un pensatore
come Muhammad Asad, l’insieme delle tradizioni è messo da parte e, partendo da un nucleo di principi
e regole tratte dai testi, viene ricostituito un nuovo sistema, che prende in prestito, senza riconoscerli,
concetti e meccanismi dei sistemi politici moderni o che combina questi concetti e meccanismi con
qualche particolarità del modello islamico originale171
c) l’Islam è compatibile con la laicità
Il fatto nuovo che comincia a profilarsi ( lo abbiamo evidenziato nei precedenti capitoli, soprattutto
nel precedente, dove un islam sul terreno non suo originario fa i conti non solo con la “modernità”,
ma anche con le sue proprie aspirazioni universalistiche - e quindi la conseguente esigenza/
necessità di “incarnare” la fede in culture altre rispetto a quella nella quale essa originariamente “è
stata rivelata” ed ha preso a camminare nella storia) è una concezione e prassi della fede/religione
individuale, “divenuto concepibile e realizzabile nelle condizioni più ostili, comprese quelle in cui
non esiste un’autorità musulmana”.
L’apparizione di una nuova coscienza islamica che, conservando un profondo legame con il Dogma
e osservando fedelmente i riti islamici, operi un allontanamento reale nei confronti della storia
passata e delle tracce impresse nella memoria dei musulmani, ha iniziato a trasferire nella coscienza
171
Filali-Ansary, Islam e Laicità, p. 101 (la sottolineatura è nostra) cita due autori: A. Sanhoury. Le califat, son
évolution vers une société des nations orientales, Paris, Paul Geuthner,1926 – per il primo tentativo – e: M. Asad,
Making Islamic Constitution, Lahore, 1948 – per il secondo. Per quanto riguarda le forme di “adattamento” di strumenti
e meccanismi delle società moderne al modello islamico, questi autori fanno riferimento a procedure, arabo-islamiche,
come l’analogia (qiyas) o il consenso (ijma’).
52
collettiva la separazione tra ciò che appartiene alla sfera storica e ciò che appartiene a quella dei
principi.172
Riappare, dunque, la parola (e il concetto, ma applicato, ora, a qualcosa di più profondo dello Stato)
« separazione», come luogo e metodo di una “nuova coscienza”. E quale, nel concreto, saranno le
modalità per “realizzare questa distinzione tra Dogma e Storia”? Abbiamo esaminato a lungo il
metodo di ‘Ali ‘Abd al-Ràziq: “che – osserva il Fiali-Ansary - ha proposto di farlo prendendo in
prestito i metodi della inchiesta scientifica”, ma non senza ricordare e riconoscere che: “quella pista
aperta non è riuscita, fino ad oggi, a invadere la coscienza dei musulmani” (p. 106).
Finora non abbiamo mai evocato un’altra esperienza – intellettuale e umana, ad un tempo – quella
di Mahmoud Taha173
, che “ha voluto andare più lontano”, nota il Filali-Ansary:
Ha cercato di escludere tutta la Storia, compresa quella del periodo esemplare in cui il Profeta ha
officiato a Medina, per conservare solo il cuore del massaggio. Il suo procedimento è sicuramente
troppo radicale, ma ha il merito di evidenziare la frattura tra Dogma e Storia, compreso quel momento
della Storia in cui il Profeta ha consegnato il messaggio attraverso una pratica comunitaria”174
Torna alla nostra attenzione l’interrogativo – diretto ed anche inquietante – che ‘Ali Abd al- Ràziq,
rivolgeva ai suoi critici: “ Il Profeta è anche re?”. Avviciniamoci alla testimonianza del Taha.
“Nel senso di una maggiore relativizzazione della shari’a e della sua applicazione, si è mosso il
sudanese Mahmoud Mohamed Taha, che nel 1985 pagò con la vita la sua coerenza politica. Per
cui l’Islàm non ha avuto la definitiva realizzazione con la sua “prima missione”, quella cioè del
Profeta Muhammad agli Arabi, ma è una realtà dinamica, tesa verso la piena realizzazione. Gli
ideali che portano verso tale “seconda missione”, quella cioè che riguarda i musulmani di oggi,
vanno ritrovati nello spirito e nei contenuti della prima predicazione di Muhammad alla
Mecca”175
Nell’Islam sono numerose le “premesse” per fare costantemente e inesauribilmente questo lavoro:
“da una parte la «de-mitologizzazione» dei concetti religiosi [rigetto dei miracoli, i feticci e tutto
quell’armamentario che offuscano la trascendenza e la unicità di Dio] e dall’altra l’attaccamento
esplicito alla razionalità [ richiami in questo senso sono espliciti, e anche numerosi, nel Corano
stesso]”176
.
Ecco un – il – terreno vero della sfida che attende i musulmani (ed anche gli europei e l’occidente,
per la loro parte): lavorare indefessamente su questi profili del Pensiero, della Politica, del Diritto,
dell’Umanesimo.
Senza chiedere ad altre culture alcuna sottomissione e per dotarsi di una solida autonoma
weltanschauung , che eviti a sua volta, alla propria cultura di essere sottomessa. Fierezza ed umiltà!
172
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 104. Il corsivo è dell’autore, mentre la sottolineatura è nostra. 173
Mahmoud Mohamed Taha, Il secondo messaggio dell’Islam, trad. di C. Intartaglia,, Bologna, 2012 (tit. orig.: al-
Risàlaal-thàniyamin al-Islàm). 174
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 107. 175
F. Zannini, Comunità islamiche e laicità dello Stato, in: A. Di Stasi, Cooperazione internazionale allo sviluppo e
tutela dei diritti umani, Università di Salerno- Rubettino, 2004, p. 251. 176
Filali-Ansary, Islam e laicità, p. 112.
53
Non è forse questa la sfida che tutte le religioni – quelle monoteiste in primis- hanno di fronte alla
umanità? Non è, quindi, una sfida che tocca soltanto l’Islam e, tuttavia, questa che teologi e filosofi
musulmani asseriscono essere una «religione speciale» ha, dunque, alcune scadenze con la storia
ancora.
“Il pensiero islamico, dovendosi declinare politicamente nella dimensione della prassi, non ha
ancora positivamente risolto almeno tre ordini di problemi del paradigma della modernità:
a) la costruzione dello Stato democratico, sia pure secondo una nozione di democrazia fondata
su principi islamici;
b) la ridiscussione del problema teologico-politico della relazione della religione con potere
politico e civile;
c) la formulazione di un’utopia che non sia più retrospettiva, cioè guardi al futuro piuttosto che
al passato, purtroppo irripetibile data la imperfezione umana, dei tempi del Profeta.
Questi tre obiettivi sono stati coartati da tre ostacoli contro cui il pensare islamico ha cozzato (da
due secoli ormai si può dire):
- il voler riformare la modernità senza coglierne il nucleo filosofico (l’Islam non ha conosciuto
l’Illuminismo né la filosofia classica tedesca);
- il voler reagire alla modernità senza coglierne, gramscianamente, il carattere storico-sociale
(borghese nell’ottocento, ma poi, oltre, secondo la dialettica borghesia-proletariato del
Novecento e in relazione alla “società liquida” e priva di punti di riferimento del XXI
secolo);
- il voler contestare la modernità senza sfruttarne il potenziale decostruttivo che pure contiene
e l’antagonismo (nei termini di Foucault) che produce.177
Massimo Campanini approfondisce la sua ricerca quando titola un suo recente saggio (raccolta di
saggi pubblicati negli anni): “Oltre la Democrazia…”, e afferma:
La proiezione del pensiero politico islamico in una direzione oltre-democratica, attraverso
l’intersecazione di tematiche (“occidentali” e islamiche) apparentemente allogene, dovrebbe (e
questo è negli auspici) consentire all’Islam di recuperare il ruolo che merita nella soggettività
politica, e all’Occidente di poter relativizzare un’eredità di paradigmi e concetti che non possono
fossilizzarsi nella ricetta erudita, né nel mito della “fine della storia” e del trionfo del pensiero
unico”178
.
177
Campanini, La filosofia islamica, Morcelliana, Brescia 2015, pp. 121-122. 178
Campanini, Oltre la Democrazia, temi e problemi del pensiero politico islamico, Mimesis Edizioni, Milano-Udine,
2014, p. 10.
54
CONCLUSIONI
Non sarebbe coerente con l’approccio e l’impostazione che abbiamo scelto – a partire dal Titolo -
per questo elaborato se, procedendo alle “conclusioni”, prendessimo la via di una sorta di sintesi
forzata, o, addirittura, pretendessimo di proporre una sorta di “prontuario” – di tipo valutativo e/o
una “guida alla laicità”- ad uso degli ordinamenti, statuali e del diritto, e delle società e delle
culture (comprensive della religione) dell’Islam.
Ci accingiamo, pertanto, ad arrestare il nostro cammino, con questa formula: abbiamo tentato di
ricostruire i percorsi (a volte anche un andirivieni) di storia (cultura, forme di governo, religione e
società) del difficile rapporto Islam-Laicità e ora, concludendo, possiamo soltanto delineare,
succintamente, il “dove siamo”.
a) « Noi siamo qui»
Islam e Modernità, non sono scatole chiuse di tesori intangibili; sono – al contrario- Pensiero ed
Attività in movimento: lavori in corso al servizio degli uomini e delle donne di questa umanità.
Uno dei luoghi speciali nei quali incontrarsi per fare quel lavoro è la “Storia”; li si sono svolti alcuni
capitoli, anche tragici, della confusione tra storia e dogma. E’ ancora il tempo – anzi, era ieri - per
rispondere alla domanda (1925) di ‘Ali ‘Abd al Raziq: “Il Profeta è re?”. I primi responsabili (nella
doppia accezione di: abili a rispondere/dovere di rispondere di qualcosa a qualcuno) di questa
risposta sono i musulmani. Potranno farlo da soli?
L’altro luogo strategico e cruciale del lavoro è la “Geografia”: è il lavoro già svolto ed ancora in
svolgimento nel/dal cosiddetto Islam della costellazione, chiedendosi costantemente:
“Se l’islam così ricco, così variegato per storia e cultura, si è adattato a tante situazioni impreviste,
chi può conoscere ciò che cova nel fondo dell’Asia, del medio oriente o dell’Africa e che darà
domani un altro volto a questo islam e che coloro che l’amano troppo, e che coloro che non l’amano
affatto, vogliono vedere irrigidito nella sua contrazione attuale?”179
Infine, ricordiamo che nel pensiero e nelle società occidentali, la laicità non vive in un deserto o in
un vuoto di senso:
Laico è anche ogni credente non superstizioso, capace, cioè, anzi desideroso, di discutere
faccia a faccia col proprio Dio. Non assicurato a Lui, ma appeso alla sua presenza-assenza.
E così è laico ogni non credente che sviluppi senza mai assolutizzare o idolatrare il proprio
relativo punto di vista, la propria ricerca, e insieme sappia ascoltare la profonda analogia che
lo lega alla domanda del credente, all’agonia di quest'ultimo.”180
Fin qui il pensiero del filosofo, a-teo o con credente, Massimo Cacciari. Forse ci stupirà la
parola (e la vita) di un teologo cristiano, Dietrich Bonhoeffer, che nel carcere nazista da cui
179
A. Laroui, Intervista rilasciata a Hassan Arfaoui in “M.A.R.S. – Le monde arabe dans la recherche scientifique”,
1993, 2, p. 17- citato in Allam, L’islam contemporaneo, p. 290. 180
M. Cacciari, (intervista), “la Repubblica”, 29 ottobre 2003.
55
sarebbe uscito solo per andare al sacrificio della vita, offerta per la sua patria, la Germania, per
la Democrazia e per la sua fede cristiana, libera e liberante. Scriveva in una delle sue Lettere
dal carcere (aprile 1943-luglio1944):
Tenterò ora di riprendere il discorso teologico recentemente interrotto. Ero partito dalla
costatazione che Dio è sempre più estromesso dal dominio di un mondo diventato adulto e dal
dominio della nostra vita e della nostra conoscenza (…) Io pretendo che Dio non venga ficcato di
contrabbando in qualche estremo e segreto ricettacolo, che si prenda molto semplicemente atto
della età adulta del mondo e dell’uomo, che non si stronchi l’uomo nella sua mondanità, ma losi
metta a confronto con Dio nelle sue posizioni più forti (…) Dove è, a questo punto, lo spazio di
Dio? Si chiedono spiriti pavidi (...) Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo
vivere nel mondo etsi deus non daretur. Proprio questo noi riconosciamo: al cospetto di Dio, Dio ci
fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza Dio. Il Dio che è con noi, è il
Dio che ci abbandona (Mc 15,34). Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio, è
il Dio al cospetto del quale siamo in ogni momento. (…) Gesù rivendica per sé e per il regno di Dio
l’intera vita umana in tutte le sue manifestazioni, ecco il tema che mi interessa: la rivendicazione da
parte di Gesù Cristo del mondo divenuto adulto181
.
b. «Siamo tutti in cammino»
Tutti, dunque, sulla strada! Scriveva S. Bencheikh182
: “Se l’islam non vuole essere escluso dal
nuovo ordine internazionale che oggi si configura e si annuncia, deve prepararsi per l’Universale,
anche a casa propria, e accettare di essere un partner convincente, senza spirito di conquista né
volontà egemonica. Oggi i diritti dell’uomo sono la regola la più condivisa per generare una società
umana plurale ed eterogenea”.
Siamo tutti in cammino: nessuno, perciò, può dire (pretendere) di essere già alla meta. Capita,
perciò, nei giorni di Sadiq Khan e di Francesco183
, cioè oggi, che:
Il 25 marzo 2016, Francesco, vescovo di Roma e papa dei cattolici, ha inserito nella preghiera
pronunciata nella via crucis queste parole: «o Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che
vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità
laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato». La condanna della
paganità laicista viene (…) collocata tra la denuncia degli orrori del terrorismo di origine islamica e
l’indignazione per il traffico di armi. [Mentre] Il 7 maggio 2016, Sadiq Khan, neo sindaco di
Londra, musulmano praticante (…) ha scelto di giurare in una cattedrale anglicana, a Southwark,
dichiarando:« Voglio mettere insieme l’amministrazione più trasparente, accessibile e impegnata
nella storia della città, voglio rappresentare ogni comunità e ogni singola parte di Londra, voglio
essere il sindaco di tutti i londinesi.184
».
Fin qui, quanto al cammino di Soggetti e Istituzioni. Ma possiamo anche allargare lo sguardo dei
“camminanti” allo scenario globale delle Società contemporanee, dove:
181
D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, Bompiani, Milano 1969, passim 255-261. 182
S. Bencheikh, Vers une théologie de la minorité, “Islam de France”, 1- 1988, pp. 62-64 ( Bencheikh, era, nel 1988,
responsabile della moschea di Marsiglia) 183
Ci riferiamo al nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan, pachistano e al papa dei cattolici, Francesco (Jorge Mario
Bergoglio, argentino). 184
A. Pascale, La laicità al tempo di Francesco e Sadiq Khan, in “Quaderni Confronti, «Religioni e politica nell’Europa
post-secolare», settembre 2016, pp. 27-29. Le sottolineature sono nostre.
56
Liquida come la post-modernità del citatissimo Bauman, la religiosità post-secolare è informe e
pervasiva , si espande in spazi che un tempo le erano preclusi ed assume forme imprevedibili. (…)
La post-secolarizzazione non è la «rivincita di Dio» sulla secolarizzazione, ma una confusa stagione
di nuove forme religiose, cammini spirituali, pratiche sincretiche, integralismo. (...) Tra i caratteri più
evidenti della nuova religiosità post-secolare vi è la frammentarietà dei processi e delle loro
narrazioni e quindi un nuovo individualismo. (…) Molto dipenderà da quello che accadrà nelle
religioni, cioè da quale sarà la risultante dello scontro in atto tra teologie diverse e incompatibili
riguardo al rapporto con le democrazie occidentali, la tradizione cristiana, la laicità degli Stati.185
c. «Camminando s’apre cammino»
Il senso e la lezione della “Storia” ci ammaestrano che il cammino è iniziato da tempo, si è
interrotto, spesso perduto, ma è anche costantemente riemerso, anche nei conflitti, e non solo quello
tra le idee. Ma non siamo all’anno zero: dobbiamo rintracciare costantemente e insistentemente i
passi e le tracce di questo cammino, resistendo alla pressione, a volte insostenibile, del presente
caotico, ciarliero e a volte violento che ce li fa dimenticare o disconoscere.
Come ben evidenzia Olivier Carré, per molti secoli il mondo musulmano ha avuto al suo interno un
sistema religioso meno pervasivo di quello cristiano186
:« Nell’XI secolo della nostra era, la
separazione del potere religioso e politico non solo esisteva concretamente, ma era elaborata e
giustificata dottrinalmente sia nell’islam sunnita sia nell’islam sciita187
».
Abbiamo bisogno di coltivare un ambiente ed una weltanschauung del “pellegrino”, più che del
“convertito”188
, sapendo che “a difficili domande”, nessuno può rispondere da solo, “e forse i
musulmani da soli non ce la possono fare, tenendo conto che una parte di questi problemi è comune
tra le religioni con sfumature e ombre diverse”(A. Mokrani) e mai dimenticando quel che rimane,
sempre ed ancora, la questione di base ( può apparire evidente, ma non è ancora – e lo sarà mai?-
incontrovertibile), che
nelle fonti fondanti dell’slam non troviamo sistemi politici, ed economici ben definiti, bensì principi
etici generali e linee guida. Questa flessibilità dovrebbe permettere la creatività e l’adattamento dei
nuovi sistemi. Esiste un vuoto giuridico, non per mancanza o dimenticanza ma per grazia e libertà. Il
versetto chiave è: waamruhum shùrà baynahum / si consultano vicendevolmente su quel che li concerne
(Q. 42,38). Un versetto che non indica la maniera in cui si svolge la consultazione, né da chi è svolta,
né definisce il soggetto della consultazione.189
Per “grazia e libertà”: non poteva essere detto, in modo più sobrio190
e più efficace.
185
P. Naso, Dopo la secolarizzazione. Lo scenario, le sfide, in “Quaderni Confronti”, pp. 38-41 186
Radaelli, Islamismo e democrazia, p. 23. 187
O. Carré, L’Islam politico, il Mulino, Bologna, 1977, p. 22 188
Qui si evoca, la illuminante indagine, di qualche anno fa, di Danièle Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito. La
religione in movimento, Paris 1999, Il Mulino, Bologna 2003. 189
A. Mokrani, Leggere il Corano a Roma, ICONE Edizioni, Roma, 2010, p. 153. Le sottolineature sono nostre. 190
Noi abbiamo qualificato come “sobrio” questo approccio del teologo musulmano, Adnane Mokrani; non ci sfugge,
però, che a base di esso c’è una lettura teologica, profonda e fondata, del Corano, a cui rinviamo: A. Mokrani, Leggere
il Corano a Roma, pp. 97-127 (soprattutto i capitoli: “Il pluralismo religioso nel Corano”- “Le religioni nel pensiero
classico islamico”). Scrive, a proposito della teologia e del teologo, Olivier Roy: “Il riformismo teologico presuppone la
separazione della politica dalla religione, non tanto per salvare la politica dalla religione (come in Francia), quanto per
salvare la religione dalla politica, e ridare la libertà al teologo e al semplice cittadino. In questo caso la laicità non è né
57
Anche per noi, la evocazione di questo profetico binomio– in cui le coppie: spiritualità e razionalità,
storia e metastoria (dove la «e» congiunge e distingue) possono coesistere e convivere - rappresenta
la migliore conclusione.
*
Mario Campli, sociologo. Ha fatto anche studi di teologia ed esegesi biblica; e recentemente di
Islamistica (Storia del mondo islamico, Introduzione al Corano, Introduzione alla Sunna: presso il
Pontificio Istituto di Studi Arabici e Islamistica – PISAI - Roma). Consigliere del Comitato
Economico e Sociale Europeo dal 2006 al 2015, ha pubblicato: “Europa. Ragazzi e ragazze
riscriviamo il sogno europeo” (Marotta&Cafiero, Napoli 2014) e “Il tempo d’Europa, tra intervallo
e durata- Diario 2015-2016” (Cavinato Editore International, Brescia 2017). Con Marcello Vigli,
“Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile” (Edizioni Tracce, Pescara
2009). Con Alfonso Pascale: « La casa comune è casa di tutti, il dovere e il rischio del dialogo
fino in fondo », una lettura ragionata della enciclica ‘Laudato sì‘ (e-book, Informat edizioni, Roma
2015).
la conclusione di un ragionamento teologico, né l’affermazione della supremazia in diritto del potere secolare, ma un
principio metodologico per meglio (ri)formulare la religione. L’Islam deve essere liberato dalla politica.” (Islam alla
sfida della laicità. Dalla Francia una guida magistrale contro le isterie xenofobe, Marsilio, Venezia 2008, p. 79).
58
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