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VIRGILIO LA CADUTA DI TROIA Traduzione del secondo libro dell' Eneide basata sui ritmi dei versi originali a fronte a cura di MARIO MALFETTANI ___________________________________ [email protected]

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VIRGILIO

LA CADUTA DI TROIA

Traduzione del secondo libro dell'Eneidebasata sui ritmi dei

versi originali a fronte

a cura di MARIO MALFETTANI

[email protected]

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Nel riquadro in copertina:Fuga da Troia di Enea,statua di Francesco Baratta in Piazza Bandiera, Genova.

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AVVERTENZA

Molto spesso i traduttori dichiarano la loro intenzione di fedeltà neiriguardi del testo originale. È tuttavia insita nel concetto stesso ditraduzione la necessità di ponderare a quali, tra i molteplici aspettidell'opera, debba essere attribuita maggiore o minore aderenza,inevitabilmente a scapito o vantaggio degli altri. Nel caso di traduzionidi opere poetiche, in particolare, c'è chi si dà come priorità l'esattacorrispondenza letterale – quasi parola per parola –, chi privilegiaquella concettuale a livello di frase o di verso, chi cerca di renderecomprensibili alcune espressioni idiomatiche o certi riferimenti nonuniversalmente noti incaricandosi di una funzione da altri lasciata allenote esplicative; più liberamente altri utilizzano anche espressionilontane da quelle del testo originale per renderne tuttavia al megliol'atmosfera emotiva e così via. Una discriminante fondamentale èinoltre quella dell'uso di una prosa più o meno “poetica” oppure di unoschema di poesia tradizionale italiana.

La scelta qui operata è stata quella di realizzare, nel testo italiano, unritmo che rievocasse quello dell'esametro latino, senza tuttaviarinunciare, ove possibile, a una puntuale corrispondenza al sensoletterale dell'originale.

La tecnica seguita è del tipo che è stato definito “metrica barbara allatedesca”, basata sull'applicazione di accenti ritmici intensivi allesillabe che nei versi latini sarebbero state in arsi e sul rispetto dellecesure. Ciò che più importa è che anche chi non abbia alcunaconoscenza della metrica latina venga naturalmente indirizzato dalladisposizione delle parole a conferire alla lettura un ritmo analogo aquello originale. A favorire ciò, sia nel testo latino, sia in quello dellatraduzione italiana, sono state comunque marcate, con il caratterecorsivo, le vocali sulle quali cade l'accento ritmico: tonale quello latino,intensivo quello italiano.

Si precisa che nel testo latino non è stato usato il corsivo per la “i”consonantica (es. “iam”), né per la “u” del gruppo “qu” (es. “quod”).

Neppure sono state segnalate con parentesi le elisioni metriche deltipo:

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“quid tant(um) Oceano properent se tinguere soles”.

Nel testo italiano, più vocali contigue in carattere corsivo – a indicaredittonghi, trittonghi, sinalefi o sinizesi – vanno pronunciate assieme.Es.:

“– sono molti gli anni trascorsi – i capi dei danai”;

“Quale mai follia! Credete voi sventurati,”.

L'accentazione dei nomi propri di derivazione greca o latina propostanella traduzione – è ben nota su questo tema la querelle tra "latinisti","grecisti" e "tradizionalisti" – risponde a un criterio personale dicompromesso che non ha, naturalmente, alcuna pretesa di validità aldi fuori di questa situazione.

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6 Verg. Aen. I, 740 – 756

… cithara crinitus Iopas 740

personat aurata, docuit quem maximus Atlas.Hic canit errantem lunam solisque labores,unde hominum genus et pecudes, unde imber et ignes,Arcturum pluviasque Hyadas geminosque Triones,quid tantum Oceano properent se tinguere soles 745

hiberni vel quae tardis mora noctibus obstet.Ingeminant plausu Tyrii Troesque secuntur.Nec non et vario noctem sermone trahebatinfelix Dido longumque bibebat amorem,multa super Priamo rogitans, super Hectore multa; 750

nunc quibus Aurorae venisset filius armis,nunc quales Diomedis equi, nunc quantus Achilles.«Immo age, et a prima dic hospes origine nobisinsidias» inquit «Danaum casusque tuorumerroresque tuos; nam te iam septima portat 755

omnibus errantem terris et fluctibus aestas».

Verg. Aen. II

Conticuere omnes intentique ora tenebant.Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto:«Infandum, regina, iubes renovare dolorem,Troianas ut opes et lamentabile regnumeruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi 5et quorum pars magna fui. Quis talia fandoMyrmidonum Dolopumve aut duri miles Ulixitemperet a lacrimis? Et iam nox umida caelopraecipitat suadentque cadentia sidera somnos.Sed si tantus amor casus cognoscere nostros 10

et breviter Troiae supremum audire laborem,quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,incipiam. Fracti bello fatisque repulsi

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Virgilio Eneide I, 740 – 756

… Iopa dai lunghi capelli, che alunnofu del grandissimo Atlante, la cetra d’oro intonando,canta l’errante luna e le eterne fatiche del sole;quindi degli animali e dell’uomo, di fulmini e piogge,canta l’origine e Arturo, le Iadi sempre piovose,l’Orse gemelle; perché d’inverno s’affrettino i soliverso l’oceano mentre le notti indugiano, tarde.Scroscia frequente l’applauso dei tiri e quello dei teucri.Mentre la notte così l’infelice Didone passava,presa da vari discorsi, beveva a lungo l’amore;molto andava chiedendo di Priamo e d’Ettore e comefossero l’armi del figlio d’ Aurora; poi di Diomedequali i cavalli apparissero e poi la prestanza di Achille.«Ospite, su, dall’inizio le insidie dei danai racconta»disse «dei tuoi la rovina e l'andare tuo sempre vagando;è la settima estate, difatti, questa che errantete per tutte quante le terre e i mari sospinge».

Virgilio Eneide II

Fece silenzio ognuno, tenendo fisso lo sguardo.Quindi Enea così cominciò dall’alto giaciglio:«Un dolore indicibile vuoi ch’io rinnovi, o regina:come i danai la forza di Troia e il suo sventuratoregno distrussero – eventi tremendi di cui testimonefui e attore importante –. Ma chi, pur mirmidone, oppuredolope, o anche soldato del duro Ulisse potrebbesenza pianto parlarne? E già dal cielo discende l’umida notte e le stelle calanti conciliano il sonno. Ma se tanto ti preme conoscere i nostri travagli e l’estrema agonia di Troia in breve ascoltare, anche se aborro il ricordo e da tanto dolore rifuggo, pur ti dirò. Dal conflitto fiaccati e respinti dai fati

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ductores Danaum, tot iam labentibus annis,instar montis equum divina Palladis arte 15

aedificant sectaque intexunt abiete costas;votum pro reditu simulant, ea fama vagatur.Huc delecta virum sortiti corpora furtimincludunt caeco lateri penitusque cavernasingentis uterumque armato milite complent. 20

Est in conspectu Tenedos, notissima famainsula, dives opum, Priami dum regna manebant,nunc tantum sinus et statio male fida carinis:huc se provecti deserto in litore condunt.Nos abiisse rati et vento petiisse Mycenas. 25

Ergo omnis longo solvit se Teucria luctu;panduntur portae; iuvat ire et Dorica castradesertosque videre locos litusque relictum:“Hic Dolupum manus, hic saevos tendebat Achilles,classibus hic locus, hic acie certare solebant”. 30

Pars stupet innuptae donum exitiale Minervaeet molem mirantur equi; primusque Thymoetesduci intra muros hortatur et arce locari,sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant.At Capys et quorum melior sententia menti 35 aut pelago Danaum insidias suspectaque donapraecipitare iubent subiectisque urere flammisaut terebrare cavas uteri et temptare latebras.Scinditur incertum studia in contraria volgus.Primus ibi ante omnis, magna comitante caterva, 40

Laocoon ardens summa decurrit ab arceet procul: “O miseri, quae tanta insania, cives?creditis avectos hostis aut ulla putatisdona carere dolis Danaum? Sic notus Ulixes?Aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi 45

aut haec in nostros fabricata est machina murosinspectura domos venturaque desuper urbiaut aliquis latet error: equo ne credite, Teucri.

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– sono molti gli anni trascorsi – i capi dei danaifanno innalzare, con l’arte divina di Pallade – grandequanto un monte – un cavallo di travi d’abete connesse.Fingono quindi che un voto per fare felice ritornosia; ne spargono in giro la voce e intanto, nel buiopetto, in segreto, alcuni tra i capi, a sorte prescelti,celano e riempiono l’ampie caverne del ventre di armati.L’isola, al largo, si vede di Tenedo, ricca di fama,florida mentre il regno di Priamo ancora durava,ora soltanto un golfo, malfido ancoraggio alle navi.Giunti colà, sul lido deserto si celano tutti.Noi li credemmo partiti, diretti col vento a Micene.Ecco che tutta la Teucria si scioglie da un lungo dolore.S’aprono allora le porte: conforta uscire e vederevuoto il campo dei dori e la riva sgombra da navi.“Qui la schiera dei dolopi, qui la tenda d’Achìlle,qui si trovava la flotta; qui si veniva a battaglia”.Sono stupiti, alcuni, del dono esiziale a MinervaVergine e molto la mole ne ammirano; primo Timetedentro le mura esorta a condurlo e quindi alla rocca,o per dolo o perché così voleva il destino.Capi invece e quelli che sono d’avviso migliorechiedono che, bruciato, si getti in mare il sospettodono, possibile insidia, o che, con trivelle, si proviche nascondigli segreti non celi il cavo suo ventre.È divisa, incerta la gente: opposti i pareri.Giù dalla rocca accorre per primo – infuriato e con grandeturba al seguito – lì Laocoonte che, ancora lontano,“Quale mai follia! Credete voi, sventurati,”grida “davvero partiti i nemici o che i doni dei danaisiano privi di inganno? D’Ulisse così vi fidate?O, lì dentro, rinchiusi nel legno, si celano achei,o tal macchina fu costruita in danno alle mura,per spiarci e dall’alto poter penetrare all’interno,o comunque nasconde un inganno: attenti al cavallo!

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Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentes”.Sic fatus validis ingentem viribus hastam 50

in latus inque feri curvam compagibus alvumcontorsit. Stetit illa tremens, uteroque recussoinsonuere cavae gemitumque dedere cavernae.Et si fata deum, si mens non laeva fuisset,impulerat ferro Argolicas foedare latebras 55 Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres.Ecce manus iuvenem interea post terga revinctumpastores magno ad regem clamore trahebantDardanidae, qui se ignotum venientibus ultro,hoc ipsum ut strueret Troiamque aperiret Achivis 60

obtulerat, fidens animi atque in utrumque paratus,seu versare dolos seu certae occumbere morti. Undique, visendi studio Troiana iuventuscircumfusa ruit certantque inludere capto.Accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno 65

disce omnis.Namque ut conspectu in medio turbatus inermisconstitit, atque oculis Phrygia agmina circumspexit:“Heu quae nunc tellus” inquit, “quae me aequora possuntaccipere? aut quid iam misero mihi denique restat? 70

cui neque apud Danaos usquam locus, et super ipsiDardanidae infensi poenas cum sanguine poscunt”.

Quo gemitu conversi animi, compressus et omnisimpetus. Hortamur fari: quo sanguine cretusquidve ferat memoret, quae sit fiducia capto. 75

[Ille haec deposita tandem formidine fatur:]“Cuncta equidem tibi, rex, fuerit quodcumque, fateborvera” inquit, “neque me Argolica de gente negabo:hoc primum; nec, si miserum Fortuna Sinonemfinxit, vanum etiam mendacemque improba finget. 80

Fando aliquod si forte tuas pervenit ad aurisBelidae nomen Palamedis et incluta fama

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Anche se portano doni, dei danai comunque diffido”.Disse e una lancia enorme scagliò con vigore nel fiancodell’animale, nel seno suo curvo di legni giuntati.Essa, confitta, vibrò: dal ventre percosso un rimbombovenne: emisero l’ampie caverne un gemito; forsesenza i fati divini e l’erroneo nostro giudizio,spinti ci avrebbe a scovare le argoliche tane e tuttoraTroia e di Priamo tu, svettante rocca, vivreste.Ecco frattanto che al re, dei pastori, con forte clamore,portano un giovane ignoto – le mani legate sul dorso –.S’era loro da sé consegnato covando l’intentodi consentire agli Achei l’ingresso all’interno di Troia,dentro di sé deciso e nell’animo ben preparatoa perpetrare l’inganno o votarsi a morte sicura.Per vederlo si accalca, da tutte le parti accorrendo, la gioventù troiana che fa, nel deriderlo, a gara.Ora ascolta le insidie dei danai e il crimine d'unosolo di essi t'insegni a conoscerli tutti.Fra di loro infatti fermatosi – inerme e turbato –,volto attorno a sé lo sguardo alle schiere dei frigi:“Quale terra,” disse “Qual mare accogliermi ormaipuò, cos’altro a me sciagurato resta alla fine,che tra i danai non posso restare e i dardanidi stessichiedono, ostili, ch’io sia condannato e si versi il mio [sangue?”.Mutano gli animi a tale lamento; del tutto si placal’impeto. Noi l’esortiamo a parlare: l’origine suadica e notizie e con quale speranza si sia consegnato.[Messo da parte il timore, così si espresse alla fine:] “Tutta la verità – qualunque cosa comporti –re, ti dirò, non negando che argolica sia la mia stirpe.Ciò per primo; se volle la sorte Sinone infelice,pure non lo farà – malvagia – vano e bugiardo. Forse ti giunse alle orecchie – parlando – il nome e la gloriafulgida di Palamede – progenie di Belo –: innocente,

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gloria, quem falsa sub proditione Pelasgiinsontem infando iudicio, quia bella vetabat,demisere neci, nunc cassum lumine lugent: 85

illi me comitem et consanguinitate propincumpauper in arma pater primis huc misit ab annis.Dum stabat regno incolumis regumque vigebatconciliis, et nos aliquod nomenque decusquegessimus. Invidia postquam pellacis Ulixi 90

(haud ignota loquor) superis concessit ab oris,adflictus vitam in tenebris luctuque trahebamet casum insontis mecum indignabar amici.Nec tacui demens et me, fors si qua tulisset,si patrios unquam remeassem victor ad Argos, 95

promisi ultorem, et verbis odia aspera movi.Hinc mihi prima mali labes, hinc semper Ulixescriminibus terrere novis, hinc spargere vocesin vulgum ambiguas et quaerere conscius arma.Nec requievit enim, donec Calchante ministro... 100

Sed quid ego haec autem nequiquam ingrata revolvoquidve moror? Si omnis uno ordine habetis Achivosidque audire sat est, iamdudum sumite poenas:hoc Ithacus velit et magno mercentur Atridae”.Tum vero ardemus scitari et quaerere causas, 105

ignari scelerum tantorum artisque Pelasgae. Prosequitur pavitans et ficto pectore fatur:“Saepe fugam Danai Troia cupiere relictamoliri et longo fessi discedere bello;fecissentque utinam! Saepe illos aspera ponti 110

interclusit hiemps et terruit Auster euntis.Praecipue, cum iam hic trabibus contextus acernisstaret equus, toto sonuerunt aethere nimbi.Suspensi Eurypylum scitantem oracula Phoebimittimus, isque adytis haec tristia dicta reportat: 115

"Sanguine placastis ventos et virgine caesa,cum primum Iliacas, Danai, venistis ad oras:

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lui – contrario alla guerra – i pelasgi, gravato di accusefalse, misero a morte – sentenza infame fu quella –salvo rimpiangerlo adesso, privato ormai della luce.Già dai primi anni, compagno d’armi e per sangueprossimo, a lui quaggiù mi mandò il mio povero padre.Fino a ch'egli, nel pieno dei suoi poteri, prendevaparte ai concili dei capi, di fama e onore io pureebbi un poco, ma poi, per l’invidia di Ulisse il mendace – parlo di cose note – lasciò questo mondo e da allora,triste, in ombra e nel pianto traevo la vita, indignatoper la tragica fine del mio non colpevole amico. Folle, non tacqui; vendetta giurai, se m’avesse la sorteda vincitore ad Argo concesso in patria il ritornoe suscitai, con le mie parole, odi violenti. Ebbe inizio da qui la rovina mia: con calunniesempre nuove Ulisse mi minacciava, spargendovoci ambigue, che lui sapeva abilmente inventare. Né si dette pace fin tanto che, grazie a Calcante...Ma perché rinvango vicende sgradevoli invano?Cosa aspetto? Se tutti gli achei per voi sono eguali,tanto vi basti; inflitta mi sia la pena: vorrebbeciò l’itacense e così gli Atridi, pagando un gran prezzo”. Siamo ansiosi, invece, di fare domande e indagare,non valutando i grandi misfatti e l’astuzia dei greci.Lui, timoroso: “I danai” con animo falso prosegue“vollero spesso tentare la fuga, Troia lasciando,per liberarsi, stanchi, da questo lungo conflitto;oh, lo avessero fatto! Ma spesso si opposero loroaspre tempeste di mare e li prese d’Austro il terrore. Specie da quando questo cavallo, contesto di travid’ acero, già si ergeva, tuonarono i nembi per tuttol’etere. Incerti, Euripilo noi mandiamo di Feboa consultare l’oracolo e lui la triste sentenzareca: "Col sangue voi d’una vergine, o danai, placaste– per raggiungere d’Ilio le sponde – i venti; col sangue

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sanguine quaerendi reditus animaque litandumArgolica″. Vulgi quae vox ut venit ad auris,obstipuere animi gelidusque per ima cucurrit 120

ossa tremor, cui fata parent, quem poscat Apollo.Hic Ithacus vatem magno Calchanta tumultuprotrahit in medios: quae sint ea numina divum,flagitat. Et mihi iam multi crudele canebantartificis scelus et taciti ventura videbant. 125

Bis quinos silet ille dies tectusque recusatprodere voce sua quemquam aut opponere morti.Vix tandem, magnis Ithaci clamoribus actus,composito rupit vocem et me destinat arae. Adsensere omnes et, quae sibi quisque timebat, 130

unius in miseri exitium conversa tulere. Iamque dies infanda aderat: mihi sacra parariet salsae fruges et circum tempora vittae.Eripui, fateor, leto me et vincula rupilimosoque lacu per noctem obscurus in ulva 135

delitui, dum vela darent, si forte dedissent. Nec mihi iam patriam antiquam spes ulla videndinec dulcis natos exoptatumque parentem;quos illi fors et poenas ob nostra reposcenteffugia et culpam hanc miserorum morte piabunt. 140

Quod te per superos et conscia numina veri,per si qua est quae restet adhuc mortalibus usquamintemerata fides, oro, miserere laborumtantorum, miserere animi non digna ferentis”.His lacrimis vitam damus et miserescimus ultro. 145

Ipse viro primus manicas atque arta levariVincla iubet Priamus dictisque ita fatur amicis:“Quisquis es, amissos hinc iam obliviscere Graios;noster eris. Mihique haec edissere vera roganti:quo molem hanc immanis equi statuere? quis auctor? 150

quidve petunt? quae religio aut quae machina belli?”.Dixerat. Ille, dolis instructus et arte Pelasga,

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d’una vittima argiva dovrete impetrare il ritorno″.Come la voce si sparse, ne furono assai sbigottitigli animi e gelido corse fin dentro le ossa un tremore:chi, segnato dal fato, chi mai reclamato da Apollo?Ecco che l’itacense – con strepito – il vate Calcante spinge nel mezzo e qual sia dei numi il volere richiede.Già mi annunciavano, in molti, di quel mestatore l’atrocecrimine ed altri – pur zitti – vedevano eguale futuro.Chiuso nel suo silenzio, per dieci giorni rifiutadi nominare lui stesso qualcuno, di esporlo alla morte.Dall’itacense infine, con grande clamore forzato,– come d’accordo – rompe il silenzio e all’ara mi danna.Tutti accettarono che sul capo d’un solo infelicesi riversasse il disastro per sé da ciascuno temuto.Ecco: già s’avvicina il momento nefando; s’apprestail sacrificio – farro salato, bende alla fronte –. Mi sottrassi alla morte, lo ammetto; rotti i legami,tutta la notte nascosto fra l’erbe di un lago melmoso,stetti in attesa, sperando che dessero vento alle vele.Più non v’era alcuna speranza ch’io rivedessiné la patria, né i dolci figlioli né il padre mio caro,forse chiamati a subire la pena per questa mia fugache con la morte espiare faranno a quegli infelici.Per gli dei – testimoni celesti del vero – e per quellaintemerata lealtà che rimasta mai fosse ai mortali,possano in te pietà suscitare tali sventuree di quest'anima il non meritato patire”.Alle sue lacrime vita e, di più, compassione gli offriamo.Priamo stesso, per primo, lo fa da lacci e manettesciogliere e a lui si rivolge con queste amiche parole:“D’ora in poi – chiunque tu sia – dimentica i greci;tu dei nostri sarai; ma dimmi il vero: per qualescopo fu eretto l’enorme cavallo? Chi n’ebbe l’idea?cosa si aspettano? ed è pio voto o strumento di guerra?”.Quello – maestro d’inganni e dell’arte pelasga – levate

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sustulit exutas vinclis ad sidera palmas: “Vos, aeterni ignes, et non violabile vestrumtestor numen” ait, “vos arae ensesque nefandi, 155

quos fugi, vittaeque deum, quas hostia gessi:fas mihi Graiorum sacrata resolvere iura,fas odisse viros atque omnia ferre sub auras,si qua tegunt; teneor patriae nec legibus ullis.Tu modo promissis maneas servataque serves 160

Troia fidem, si vera feram, si magna rependam.Omnis spes Danaum et coepti fiducia belliPalladis auxiliis semper stetit. Impius ex quoTydides sed enim scelerumque inventor Ulixes fatale adgressi sacrato avellere templo 165 Palladium, caesis summae custodibus arcis, corripuere sacram effigiem manibusque cruentisVirgineas ausi divae contingere vittas:ex illo fluere ac retro sublapsa referrispes Danaum, fractae vires, aversa deae mens. 170

Nec dubiis ea signa dedit Tritonia monstris.Vix positum castris simulacrum; arsere corruscaeluminibus flammae arrectis salsusque per artussudor iit, terque ipsa solo (mirabile dictu)emicuit parmamque ferens hastamque trementem. 175

Extemplo temptanda fuga canit aequora Calchas,nec posse Argolicis exscindi Pergama telis,omina ni repetant Argis numenque reducant,quod pelago et curvis secum avexere carinis.Et nunc quod patrias vento petiere Mycenas, 180

arma deosque parant comites pelagoque remensoimprovisi aderunt; ita digerit omina Calchas.Hanc pro Palladio moniti, pro numine laesoEffigiem statuere, nefasquae triste piaret.Hanc tamen immensam Calchas attollere molem 185

roboribus textis caeloque educere iussit,ne recipi portis aut duci in moenia possit

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verso le stelle le palme dai lacci disciolte, a sua volta:“Voi, eterni fuochi e la vostra divina potenzachiamo qui testimoni e voi, altari e nefandelame cui sfuggii e divine bende che m’hanno– vittima – cinto: lecito m’è con i greci i legamisacri spezzare, odiarli e svelare quanto in segretoserbino; leggi di patria più non mi legano ormai.Basta che tu le promesse mantenga, o Troia e – salvata –resti leale, se il vero dirò, se ben ripagata.Sempre il sostegno di Pallade fu per i danai la based’ogni speranza e fiducia per questa guerra. Da quandol’empio Tidide però e Ulisse, che trama delitti,a trafugare decisi dal tempio il fatale Palladio – della rocca più alta le guardie uccise – la statuasacra rapirono, osando – con mani grondanti di sangue –della vergine dea macchiare le bende, da allora esso vien meno e scemando va la fiducia dei danai,fiacche sono le forze, disposta altrimenti la dea.Dette segni di ciò la Tritonia con chiari prodigi. Posta appena nel campo la statua, di fiamme corruschearsero gli occhi suoi sbarrati, percorse le membraacre un sudore; tre volte dal suolo – mirabile a dirsi –si sollevò, brandendo lo scudo e l’asta vibrante.Subito esorta Calcante a fuggire, il mare sfidando:Pergamo l’armi argive non possono abbattere, senza nuovi auspici in Argo e il ritorno del nume, da lorogià sulle curve carene – varcando il mare – condotto.Anche adesso, diretti col vento alla patria Micene,armi preparano e dei a favore per giungere – il mareripercorrendo – inattesi; in tal modo Calcante gli auspicispiega e, del Palladio a compenso e per espiarel'onta al nume arrecata, li spinge a innalzare la statua.Fino al cielo, però – Calcante comanda – s’innalziquell’immensa mole di querce, così che non possa per le porte passare né, tra le mura insediata,

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neu populum antiqua sub religione tueri. Nam, si vestra manus violasset dona Minervae,tum magnum exitium (quod di prius omen in ipsum 190

convertant!) Priami imperio Phrygibusque futurum;sin manibus vestris vestram ascendisset in urbem,ultro Asiam magno Pelopea ad moenia belloventuram et nostros ea fata manere nepotes”.Talibus insidiis periurique arte Sinonis 195

credita res captique dolis lacrimisque coactis,quos neque Tydides nec Larissaeus Achilles,non anni domuere decem, non mille carinae.Hic aliud maius miseris multoque tremendumobicitur magis atque improvida pectora turbat. 200

Laocoon, ductus Neptuno sorte sacerdos,sollemnis taurum ingentem mactabat ad aras.Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta(horresco referens) immensis orbibus anguesincumbunt pelago pariterque ad litora tendunt; 205

pectora quorum inter fluctus arrecta iubaequesanguineae superant undas, pars cetera pontumpone legit sinuatque immensa volumine terga.Fit sonitus spumante salo; iamque arva tenebantardentisque oculos suffecti sanguine et igni 210

sibila lambebant linguis vibrantibus ora.Diffugimus visu exsangues. Illi agmine certoLaocoonta petunt. Et primum parva duorumcorpora natorum serpens amplexus uterqueimplicat et miseros morsu depascitur artus; 215

post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentemcorripiunt spirisque ligant ingentibus, et iambis medium amplexi, bis collo squamea circumterga dati, superant capite et cervicibus altis. Ille simul manibus tendit divellere nodos, 220

perfusus sanie vittas atroque veneno;clamores simul horrendos ad sidera tollit,

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rendere il popolo, grazie all’antico culto, protetto. Se profanassero mai di Minerva i doni le vostremani, grande rovina – piuttosto gli dei su di luila ribaltino! – al regno verrà di Priamo e ai frigi; Ma se alla vostra città, per vostra mano, ascendesse, l’Asia, da sé, porterebbe di Pelope contro le muragrande guerra, toccando tal sorte ai nostri nipoti”.Ci convinse l’inganno e di quello spergiuro Sinonel’arte: fu astuzia e un pianto forzato a vincere noi– non dal Tidide, né da quel di Larissa, Achille, non da un decennio, né da mille navi domati – .Ecco che, a questo punto, qualcosa di ben più tremendos’offre a quegli infelici, turbandone i petti, a sorpresa.Laocoonte, a sorte prescelto ministro a Nettuno,stava immolando sull'are rituali un gran toroquando, da Tenedo, due serpenti, in coppia, per l’altomare calmo – provo nel dirlo un brivido – immensespire sul mare innalzando, si portano verso la spiaggia.Svettano i loro petti, rizzati tra i flutti, e le cresterosso sangue sull’onde; la parte restante le acquesfiora, l’immenso dorso facendo in volute incurvare.Scroscia la schiuma agitata; già guadagnavano terra– gli occhi ardenti iniettati di sangue e di fuoco – e le loro lingue lambivano le sibilanti bocche, vibrando.Ci disperdiamo, esangui, a tal vista. Entrambi i serpentisu Laocoonte, decisi, dirigono. Prima, dei figlisuoi afferrano e stretti trattengono i piccoli corpi,delle misere membra cibandosi, a morsi sbranate;quindi afferrano lui, che armato veniva in soccorso,e, con grandi spire, due volte il corpo e due voltegli circondano il collo coi loro dorsi squamosie lo sovrastano entrambi col capo e l'alta cervice.Mentre di liberarsi dai nodi si sforza – le bendesono di bava e di scuro veleno cosparse – tremendegrida lancia alle stelle: muggiti paiono, quali

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qualis mugitus, fugit cum saucius aramtaurus et incertam excussit cervice securim.At gemini lapsu delubra ad summa dracones 225

effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcemsub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur. Tum vero tremefacta novus per pectora cunctis insinuat pavor, et scelus expendisse merentemLaocoonta ferunt sacrum qui cuspide robur 230

laeserit et tergo sceleratam intorserit hastam.Ducendum ad sedes simulacrum orandaque divaenumina conclamant. Dividimus muros et moenia pandimus urbis.Accingunt omnes operi pedibusque rotarum 235

subiciunt lapsus et stuppea vincula collointendunt. Scandit fatalis machina murosfeta armis. Pueri circum innuptaeque puellaesacra canunt funemque manu contingere gaudent.Illa subit mediaeque minans inlabitur urbi. 240

O patria, o divom domus Ilium, et incluta bello moenia Dardanidum! Quater ipso in limine portaesubstitit atque utero sonitum quater arma dedere:instamus tamen immemores caecique furoreet monstrum infelix sacrata sistimus arce. 245

Tunc etiam fatis aperit Cassandra futurisora, dei iussu non unquam credita Teucris:nos delubra deum miseri, quibus ultimus essetille dies, festa velamus fronde per urbem. Vertitur interea caelum et ruit Oceano nox 250

involvens umbra magna terramque polumqueMyrmidonumque dolos: fusi per moenia Teucriconticuere; sopor fessos complectitur artus. Et iam Argiva phalanx instructis navibus ibata Tenedo tacitae per amica silentia lunae 255

litora nota petens, flammas cum regia puppisextulerat fatisque deum defensus iniquis

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fa risonare un toro che fugge ferito dall’ara,dopo che ha scosso via l’incerta scure dal collo. Fuggono via strisciando i due draghi fino alla roccadella crudele Tritonide su, presso i templi, e acquattatipoi ai suoi piedi, riparo del tondo scudo si fanno.Ecco che a tutti noi si insinua nei petti tremantiun timore nuovo e si dice che Laocoonteabbia pagato il fio del crimine, avendo quel sacrolegno scalfito con l’asta profana scagliata nel tergo. Gridano tutti che al tempio si porti la statua e si preghidella diva il nume.S’apre una breccia, lasciando così le difese sguarnite. Tutti si danno da fare: chi scorrevoli rullisotto ai piedi inserisce, chi, per cingere il collo,lancia canapi. Pregna d’armati, quella fatalemacchina scala le mura; fanciulli e vergini gl’innicantano sacri e vanno con gioia toccando la fune.Sale e all’interno della città, minacciosa, s’insinua.Ilio, mia patria, di dei dimora e in guerra famose mura dardanie! Lì, sull'ingresso, si blocca ben quattrovolte: altrettanti rimbombi dal ventre emettono l’armima, noncuranti e dalla passione accecati, insistiamoe sulla sacra rocca il funesto mostro insediamo.Anche allora Cassandra – che mai, per volere divino,fu dai teucri creduta – rivela i fati incombenti:noi sventurati, invece, con fronde festose, nel nostroultimo giorno, in città degli dei adorniamo i santuari.Ruota frattanto la volta celeste e sale la nottesu dall’oceano, l’ombra sua grande stendendo su terra,cielo e mirmidoni insidie; si tacciono i teucri, all’interno sparsi; un profondo sonno le stanche membra pervade.Già nei silenzi complici va della tacita luna– in formazione schierata – la flotta argiva e dirige verso le note rive; un segnale di fiamma la regianave innalza: Sinone, protetto da iniqui, divini

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inclusos utero Danaos et pinea furtimlaxat claustra Sinon. Illos patefactus ad aurasreddit equus; laetique cavo se robore promunt 260

Thessandrus Sthenelusque duces et dirus Ulixes,demissum lapsi per funem, Acamasque ThoasquePelidesque Neoptolemus primusque Machaonet Menelaus et ipse doli fabricator Epeos.Invadunt urbem somno vinoque sepultam; 265

caeduntur vigiles, portisque patentibus omnisaccipiunt socios atque agmina conscia iungunt. Tempus erat, quo prima quies mortalibus aegrisIncipit et dono divum gratissima serpit:in somnis ecce ante oculos maestissimus Hector 270

visus adesse mihi largosque effundere fletus,raptatus bigis ut quondam aterque cruentopulvere perque pedes traiectus lora tumentis.Ei mihi qualis erat, quantum mutatus ab illoHectore, qui redit exuvias indutus Achilli 275

vel Danaum Phrygios iaculatus puppibus ignis,squalentem barbam et concretos sanguine crinisvulneraque illa gerens, quae circum plurima murosaccepit patrios! Ultro flens ipse videbarcompellare virum et maestas expromere voces: 280

“O lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum,quae tantae tenuere morae? Quibus Hector ab orisexspectate venis? Ut te post multa tuorumfunera, post varios hominumque urbisque laboresdefessi aspicimus! Quae causa indigna serenos 285

foedavit vultus? Aut cur haec vulnera cerno?”.Ille nihil, nec me quaerentem vana moratur,sed graviter gemitus imo de pectore ducens“heu fuge, nate dea, teque his” ait “eripe flammis.Hostis habet muros, ruit alto a culmine Troia. 290

Sat patriae Priamoque datum: si Pergama dextradefendi possent, etiam hac defensa fuissent.

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fati, dischiude furtivo i lignei serrami del ventreai rinchiusi danai. Li rende all’aria il cavalloora aperto; e lieti dal concavo legno Tessandroescono e Stenelo – due dei capi – e il perfido Ulisse,lungo una fune calata scendendo; Toante e Acamante,Pirro il Pelide e ancora: Macaone, prima,poi Menelao e chi costruì la trappola, Epeo.Entrano nella città sepolta nel sonno e nel vino;vengono uccise le guardie, le porte aperte e i compagnitutti accolti, riunendo – secondo le intese – le forze. Era il momento in cui gratissimo il primo riposonegli stanchi mortali per dono divino s’insinua,quando, nel sonno, dinnanzi ai miei occhi, presente mi parveEttore, triste assai e in preda alle lacrime, quale, dalla biga trainato – di polvere nero e di sangue,gonfi i piedi e dalle corregge solcati – appariva.Quale il suo aspetto, ahimè! Così diverso da quellostesso Ettore che con le armi di Achille ritorna,o bersaglia le navi dei danai con fiaccole frigie:barba incrostata, capelli di sangue aggrumati e segnatodalle ferite che a lui, numerose, attorno alle murapatrie furono inflitte! Per primo pareva ch’io stessomi rivolgessi piangendo con meste parole all’eroe:“Luce della Dardania e dei teucri più certa speranza,cosa mai ti trattenne così lungamente? Da dove,Ettore, tanto atteso, provieni? Come, sfiniti,– dopo i molti lutti tra i tuoi; la città, le personetanto colpite – ti rivediamo! Quale l’indegnacausa del volto sereno sfregiato? E queste ferite?”Egli ignora le mie domande vane, ma un cupogemito trae dal fondo del petto “Ah, fuggi” esclamando“Figlio tu di una dea, da queste fiamme lontano.Tiene le mura il nemico; dall’alto, Troia rovina.Alla patria, a Priamo già fu dato abbastanza;Pergamo avrei – se questione di braccio – io stesso difesa.

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Sacra suosque tibi commendat Troia Penatis:hos cape fatorum comites, his moenia quaere,magna pererrato statues quae denique ponto”. 295

Sic ait et manibus vittas Vestamque potentemaeternumque adytis ecfert penetralibus ignem.Diverso interea miscentur moenia luctuet magis atque magis, quamquam secreta parentisAnchisae domus arboribusque obtecta recessit, 300

clarescunt sonitus armorumque ingruit horror.Excutior somno et summi fastigia tectiascensu supero atque arrectis auribus adsto:in segetem veluti cum flamma furentibus austrisincidit, aut rapidus montano flumine torrens 305

sternit agros, sternit sata laeta bovumque laborespraecipitesque trahit silvas; stupet inscius altoaccipiens sonitum saxi de vertice pastor.Tum vero manifesta fides Danaumque patescuntinsidiae. Iam Deiphobi dedit ampla ruinam 310

Volcano superante domus, iam proximus ardetUcalegon, Sigea igni freta lata relucent.Exoritur clamorque virum clangorque tubarum.Arma amens capio; nec sat rationis in armis,sed glomerare manum bello et concurrere in arcem 315

cum sociis ardent animi; furor iraque mentempraecipitant pulchrumque mori succurrit in armis. Ecce autem telis Panthus elapsus Achivom,Panthus Othryades, arcis Phoebique sacerdos,sacra manu victosque deos parvumque nepotem 320

ipse trahit cursuque amens ad limina tendit.“Quo res summa loco, Panthu? Quam prendimus arcem?”Vix ea fatus eram, gemitu cum talia reddit:“Venit summa dies et ineluctabile tempusDardaniae. Fuimus Troes, fuit Ilium et ingens 325

gloria Teucrorum: ferus omnia Iuppiter Argos transtulit; incensa Danai dominantur in urbe.

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Troia i suoi sacri arredi ti affida e i Penati; del Fatoprendili quali compagni e ricerca per loro le grandimura che – a lungo il mare percorso – infine alzerai”.Dice e con le stesse sue mani dai sacri recessi trae la potente Vesta, le bende e il fuoco perenne.D’ogni parte il pianto, frattanto, invade le murae più e più – nonostante del padre Anchise la casamolto appartata e protetta dagli alberi sia – ben distintosi percepisce il frastuono e dell’armi aumenta l’orrore.Mi riscuoto dal sonno e, scalata la cima del tetto,m’alzo in piedi tendendo le orecchie: quando una fiammain coltivato campo s’appicca – con furia di vento –o torrente impetuoso – dal flusso montano ingrossato –spiana i campi, le messi fiorenti e dei buoi le fatiche,tronchi e rami traendo, così stupefatto il pastoreode dall’alta cima di un picco roccioso il frastuono.Ecco che la slealtà dei danai si fa manifesta, chiari gli inganni. Già di Deifobo il fuoco ha distruttol’ampia casa; quella vicina, d’Ucalegonte, arde; bagliori di fuoco riflettono l’onde sigee.S’alzano dei guerrieri le grida e squilli di trombe. Fuori di me le armi, ma senza riflettere, afferro;correre verso la rocca, raccolto un drappello dei nostri:questo mi detta l’istinto; furore e ira la menteprendono e bello m’appare con l’armi in pugno, morire. Ma, degli achivi ai colpi sfuggito, il figlio di Otri,Panto – che sacerdote è della rocca e di Febo –reca gli arredi sacri lui stesso e i numi sconfittie il nipote, verso di noi – forsennato – correndo.“Dove il punto cruciale? Che rocca, o Panto, assaliamo?”Dico appena ciò che, gemendo, in tal modo risponde:“Venne l’estremo giorno e il momento, per la Dardania,ineluttabile. Fummo troiani, fu Ilio e la grandegloria dei teucri: spostò tutto quanto ad Argo, spietato, Giove e, sull’arsa città, dei danai s’impone il dominio.

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26 Arduus armatos mediis in moenibus adstansfundit equus victorque Sinon incendia miscetinsultans. Portis alii bipatentibus adsunt, 330

milia quot magnis unquam venere Mycenis;obsedere alii telis angusta viarumoppositis; stat ferri acies mucrone corruscostricta, parata neci; vix primi proelia temptantportarum vigiles et caeco Marte resistunt”. 335

Talibus Othryadae dictis et numine divumIn flammas et in arma feror, quo tristis Erinys,Quo fremitus vocat et sublatus ad aethera clamor.Addunt se socios Ripheus et maximus armisAepytus oblati per lunam Hypanisque Dymasque 340

et lateri adglomerant nostro iuvenisque CoroebusMygdonides: illis ad Troiam forte diebusvenerat insano Cassandrae incensus amoreet gener auxilium Priamo Phrygibusque ferebat,infelix, qui non sponsae praecepta furentis 345

audierit.Quos ubi confertos audere in proelia vidi,incipio super his: “Iuvenes, fortissima frustrapectora, si vobis audendi extrema cupidocerta sequi, quae sit rebus fortuna videtis: 350

excessere omnes adytis arisque relictisdi, quibus imperium hoc steterat; succurritis urbiincensae: moriamur et in media arma ruamus!Una salus victis nullam sperare salutem”.Sic animis iuvenum furor additus. Inde, lupi ceu 355

raptores atra in nebula, quos improba ventrisexegit caecos rabies catulique relicti faucibus exspectant siccis, per tela, per hostesvadimus haud dubiam in mortem mediaeque tenemusurbis iter; nox atra cava circumvolat umbra. 360

Quis cladem illius noctis, quis funera fandoexplicet aut possit lacrimis aequare labores?

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Alto in mezzo alle mura il cavallo s’erge e guerrierilibera; appicca incendi Sinone e trionfa irridendo .Molti alle porte ormai spalancate s’affacciano, tantiquanti ne vennero già dalla grande Micene, a migliaia;altri bloccano ad armi spianate gli accessi alle strade;pronta alla strage, una schiera, compatta, le punte lucentimostra dell’armi; a stento le guardie alle porte, per prime,tentano la resistenza in un disperato conflitto”.Tali parole del figlio di Otri e il volere divinotra le fiamme e le armi mi spingono dove, funesta,chiama l’Erinni e il rombo e, al cielo levato, il clamore.Ci raggiunge Rifeo ed Epito – in armi eccellente – nel chiarore lunare comparsi; si affiancano a noiIpane e poi Dimante e Corebo, di Migdone il figlio.Volle il destino che a Troia in quei giorni il giovane,acceso per Cassandra da folle passione, fosse arrivato – genero – a Priamo e ai frigi portando soccorso; infelice!Non ascoltò della sua promessa sposa invasatale profezie.Come li vidi osare in battaglia, compatti, rivolsiloro queste parole: “Se voi, o giovani – invano petti gagliardi – spinge un tal desiderio di osarefino ai limiti estremi, qual è la realtà conoscete:tutti gli dei, sui quali poggiava il nostro potere,via dai sacrari e dall’are fuggirono; andate in soccorsod’una città bruciata; corriamo a morire in battaglia.È non sperare salvezza la sola salvezza dei vinti”.Cresce così il furore nei giovani. Poi, come lupiche, nella buia nebbia, rapaci, una fame smodataciechi sospinge – lasciata la prole, in attesa, con fauci aride – noi ci lanciamo, tra dardi e nemici, a sicuramorte incontro e della città nel mezzo passiamo;buia la notte aleggia e di tenebra avvolge le cose.Chi la strage, i lutti di quella notte potrebberendere con parole o col pianto eguagliarne gli affanni?

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Urbs antiqua ruit multos dominata per annos;plurima perque vias sternuntur inertia passimcorpora perque domos et religiosa deorum 365

limina. Nec soli poenas dant sanguine Teucri;quondam etiam victis redit in praecordia virtusvictoresque cadunt Danai. Crudelis ubiqueluctus, ubique pavor et plurima mortis imago.Primus se Danaum magna comitante caterva 370

Androgeos offert nobis, socia agmina credens,inscius, atque ultro verbis compellat amicis:“Festinate, viri; nam quae tam sera moratursegnities? Alii rapiunt incensa feruntquePergama; vos celsis nunc primum a navibus itis?” 375

Dixit et extemplo (neque enim responsa dabanturfida satis) sensit medios delapsus in hostis.Obstipuit retroque pedem cum voce repressit.Improvisum aspris veluti qui sentibus anguempressit humi nitens trepidusque repente refugit 380

attollentem iras et caerula colla tumentem:haut secus Androgeos visu tremefactus abibat.Inruimus, densis et circumfundimur armisignarosque loci passim et formidine captossternimus: adspirat primo fortuna labori. 385

Atque hic successu exsultans animisque Coroebus“O socii, qua prima” inquit “Fortuna salutismonstrat iter quaque ostendit se dextra, sequamur;mutemus clipeos Danaumque insignia nobisaptemus. Dolus an virtus, quis in hoste requirat? 390

Arma dabunt ipsi”. Sic fatus deinde comantemAndrogei galeam clipeique insigne decoruminduitur laterique Argivom accommodat ensem.Hoc Ripheus, hoc ipse Dymas omnisque iuventuslaeta facit; spoliis se quisque recentibus armat. 395

Vadimus immixti Danais haud numine nostromultaque per caecam congressi proelia noctem

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Crolla un’antica città per molti anni sovrana;giacciono senza vita qua e là per le vie numerosicorpi e così nelle case e nei sacri templi. Non sono solo i teucri a pagare un tributo di sangue: talvoltaanche nei vinti riaffiora nel petto il valore e i vincentidanai cadono pure. Un crudele dolore dovunqueregna: dovunque il terrore e la morte, in ogni sua forma.Ci si presenta per primo, con grande schiera di danai,l’inconsapevole Androgeo; per alleati ci scambiae, con parole amiche, a noi si rivolge: “Più in fretta,uomini, quale lenta pigrizia mai vi trattiene?Altri Pergamo in fiamme saccheggiano e fanno bottino;Voi dalle alte navi soltanto adesso giungete?”Disse e, come le loro risposte apparivano incerte,d’esser finito in mezzo ai nemici d’un tratto si accorse.Fu sbigottito e cessò di parlare e avanzare, ma come chi d’improvviso un serpente tra i rovi pungenti con forzaabbia a terra schiacciato e di scatto rifugga da quelloche, col ceruleo collo rigonfio, irato s’aderge,tale Androgeo a quella visione, tremando, arretrava.Tra le folte armi corriamo e loro – dei luoghipoco esperti e in preda al terrore – ovunque abbattiamo:nella prima impresa fu amica a noi la fortuna. Per il successo esultante e per l'animo ardente, Corebo“Una via di salvezza la prima sorte ci mostra;”dice “Seguiamola, amici, per dove appare propizia;scudi e quant’altro danai ci faccia sembrare, scambiamo.Dolo o valore: che importa, se del nemico si tratta?Ci forniranno essi stessi le armi.” Dice e il chiomatoelmo d’Androgeo indossa e lo scudo dal fine rilievo;quindi adatta al suo fianco la spada argiva. Lo stesso fanno Rifeo, Dimante e, con slancio, i giovani tutti;s’arma ciascuno di quelle recenti spoglie. Confusicon i danai marciamo, ma senza il favore divinoe, nella cieca notte, venuti a contatto, ingaggiamo

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conserimus, multos Danaum demittimus Orco.Diffugiunt alii ad navis et litora cursufida petunt, pars ingentem formidine turpi 400

scandunt rursus equum et nota conduntur in alvo.Heu nihil invitis fas quemquam fidere divis! Ecce trahebatur passis Priameia virgocrinibus a templo Cassandra adytisque Minervaead caelum tendens ardentia lumina frustra; 405

lumina, nam teneras arcebant vincula palmas.Non tulit hanc speciem furiata mente Coroebuset sese medium iniecit periturus in agmen. Consequimur cuncti et densis incurrimus armis.Hic primum ex alto delubri culmine telis 410

nostrorum obruimur oriturque miserrima caedesarmorum facie et Graiarum errore iubarum.Tum Danai gemitu atque ereptae virginis iraundique collecti invadunt, acerrimus Aiaxet gemini Atridae Dolupumque exercitus omnis: 415

adversi rupto ceu quondam turbine venti

confligunt Zephirusque Notusque et laetus EoisEurus equis; stridunt silvae saevitque tridentispumeus atque imo Nereus ciet aequora fundo. Illi etiam, si quos obscura nocte per umbram 420

fudimus insidiis totaque agitavimus urbe,apparent; primi clipeos mentitaque telaadgnoscunt atque ora sono discordia signant.Ilicet obruimur numero; primusque CoroebusPenelei dextra divae armipotentis ad aram 425

procumbit; cadit et Ripheus, iustissimus unusqui fuit in Teucris et servantissimus aequi(dis aliter visum); pereunt Hypanisque Dymasqueconfixi a sociis; nec te tua plurima, Panthu,labentem pietas neque Apollinis infula texit. 430

Iliaci cineres et flamma extrema meorum,

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molte battaglie e molti dei danai nell’Orco mandiamo.Fuggono alcuni alle navi, correndo alle spiagge fidate; altri il grande cavallo, con vile paura, di nuovoscalano e vanno a cercare nel noto ventre rifugio.Ah, – contrari gli dei – non è lecita alcuna speranza!Ecco Cassandra, la figlia di Priamo – per i capellisciolti tratta dal tempio e di Pallade dai penetrali –gli occhi ardenti al cielo invano levare; soltantogli occhi, ché lacci le palme sue tenere tengono avvinte. Non sopportò tal vista Corebo – la mente sconvolta –e si gettò della mischia nel mezzo, votato alla morte.Tutti noi lo seguiamo, tra fitte armi correndo.Prima, dall’alto tetto del tempio, le frecce dei nostrifanno di noi bersaglio: ne nasce una tragica strageper l’ingannevole aspetto dell’armi e dei greci cimieri.Poi – per la vergine loro sottratta rabbiosi – all’assalto, d’ogni parte, i danai si lanciano: Aiace possente,ambedue gli Atridi e dei dolopi tutta l’armata,quali talvolta – se un nembo si squarcia – si scontrano [oppostiventi: Zefiro e Noto e, dei suoi cavalli orientalifiero, Euro; i boschi stormiscono e, con il tridente,Nereo infuria e, schiumoso, le acque dal fondo sommuove. Anche quelli da noi nella notte oscura dispersi– grazie all’astuzia – e inseguiti, per la città, dovunque,ecco riappaiono e – primi – gli scudi e le armi scambiatesanno distinguere e fanno notare la lingua diversa.Siamo ormai sovrastati dal numero; primo, Coreboè da Peneleo, presso l’altare della possentedea abbattuto e cade Rifeo, dei teucri il più onesto,alla giustizia votato (ma parve altrimenti agli dei).Ipani, dai compagni trafitto, muore e Dimante;non ti protesse, mentre cadevi, o Panto, la tuagrande pietà, né di Apollo la sacra benda ti valse. Ceneri d’Ilio, dei miei l'estrema fiamma, io chiamo

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testor, in occasu vestro nec tela nec ullasvitavisse vices Danaum et, si fata fuissentut caderem, meruisse manu. Divellimur inde,Iphitus et Pelias mecum (quorum Iphitus aevo 435

iam gravior, Pelias et vulnere tardus Ulixi),protinus ad sedes Priami clamore vocati.Hic vero ingentem pugnam, ceu cetera nusquambella forent, nulli tota morerentur in urbe,sic Martem indomitum Danaosque ad tecta ruentis 440

cernimus obsessumque acta testudine limen.Haerent parietibus scalae postisque sub ipsosnituntur gradibus clipeosque ac tela sinistrisprotecti obiciunt, prensant fastigia dextris.Dardanidae contra turris ac tecta domorum 445

culmina convellunt (his se, quando ultima cernunt,extrema iam in morte parant defendere telis),auratasque trabes, veterum decora illa parentum,devolvunt; alii strictis mucronibus imasobsedere fores, has servant agmine denso. 450

Instaurati animi regis succurrere tectisauxilioque levare viros vimque addere victis.Limen erat caecaeque fores et pervius usustectorum inter se Priami postesque relictia tergo, infelix qua se, dum regna manebant, 455

saepius Andromache ferre incomitata solebatad soceros et avo puerum Astyanacta trahebat.Evado ad summi fastigia culminis, undetela manu miseri iactabant inrita Teucri.Turrim in praecipiti stantem summisque sub astra 460

eductam tectis, unde omnis Troia videriet Danaum solitae naves et Achaia castra,adgressi ferro circum, qua summa labantisiuncturas tabulata dabant, convellimus altissedibus impulimusque: ea lapsa repente ruinam 465

cum sonitu trahit et Danaum super agmina late

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voi testimoni: durante la vostra caduta, dei danainon evitai né dardi né rischi e cadere in battaglia– fosse stato quello il destino – avrei meritato.Ecco che d’improvviso un clamore da lì ci indirizza– Ifito e Pelia con me (ma Ifito avanti con gli anni,Pelia ferito da Ulisse) – di Priamo verso la reggia.Qui battaglia immensa! al confronto pareva che altrovenon vi fosse conflitto, in città nessuno morisse,tanto indomito Marte vediamo e i danai l’assalto dare alla reggia, schierati a testuggine contro la soglia.Salgono per i gradini le scale – contro le mura sotto le porte appoggiate – e a difesa, con le sinistre, scudi oppongono e armi; le destre s’aggrappano al tetto. I dardanidi torri, di contro, svellono e tetti degli edifici – con queste (che vedono ultime loro armi rimaste) si accingono, già vicini alla morte, alla difesa – e scagliano giù le travi dorate, fasto degli avi antichi; presidiano, in basso, il portone altri – a spade sguainate e serrati in schiera compatta –. Ci rinfranchiamo, decisi a portare là, nella reggia, ai combattenti soccorso e a ridare ai vinti la forza. V’era, disposto di lato, un ingresso, una porta segreta che collegava le case di Priamo; se ne serviva la sventurata Andromaca di preferenza, in privato, quando – durando il regno – dai suoceri in visita andava e con sé conduceva dal nonno il fanciullo Astianatte. Sbuco, da lì, sulla cima del tetto più alto, da dove vani proiettili a mano scagliavano i miseri teucri. Una torre a strapiombo e dai tetti protesa alle stelle – si soleva da lì l’intera Troia vedere e dei danai le navi e l’acheo campo – con ferri viene tutt’attorno scalzata, laddove le travi alte offrivano più sconnesse giunture; divelta dalle elevate sue sedi, giù la facciamo cadere: all’improvviso trascina macerie e con strepito sopra

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incidit. Ast alii subeunt nec saxa nec ullumtelorum interea cessat genus.Vestibulum ante ipsum primoque in limine Pyrrhusexsultat, telis et luce coruscus aëna: 470

qualis ubi in lucem coluber mala gramina pastus,frigida sub terra tumidum quem bruma tegebat,nunc positis novus exuviis nitidusque iuventalubrica convolvit sublato pectore terga,arduus ad solem et linguis micat ore trisulcis. 475

Una ingens Periphas et equorum agitator Achillis,armiger Automedon, una omnis Scyria pubessuccedunt tecto et flammas ad culmina iactant.Ipse inter primos correpta dura bipennilimina perrumpit postisque a cardine vellit 480

aeratos; iamque excisa trabe firma cavavitrobora et ingentem lato dedit ore fenestram.Apparet domus intus et atria longa patescunt,apparent Priami et veterum penetralia regumarmatosque vident stantes in limine primo. 485

At domus interior gemitu miseroque tumultumiscetur penitusque cavae plangoribus aedesfemineis ululant; ferit aurea sidera clamor.Tum pavidae tectis matres ingentibus errantamplexaeque tenent postes atque oscula figunt. 490

Instat vi patria Pyrrhus, nec claustra neque ipsicustodes sufferre valent; labat ariete crebroianua et emoti procumbunt cardine postes:fit via vi; rumpunt aditus primosque trucidantimmissi Danai et late loca milite complent. 495

Non sic, aggeribus ruptis cum spumeus amnisexiit oppositasque evicit gurgite moles,fertur in arva furens cumulo camposque per omniscum stabulis armenta trahit. Vidi ipse furentemcaede Neoptolemum geminosque in limine Atridas, 500

vidi Hecubam centumque nurus Priamumque per aras

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vasta schiera di danai rovina; ma giunge il rimpiazzomentre il lancio dei sassi e d’ogni altro oggetto non cessa.Proprio davanti al vestibolo e ormai sulla soglia, esultante,Pirro infuria e di bronzei bagliori d’armi fiammeggia,quale serpente che – d’erbe nutrito venefiche e, gonfio,sotto la fredda terra coperto durante l’inverno –ora alla luce, deposte le vecchie squame e rinatosplendido di gioventù, le spire avvolge lubriche,ritto il petto al sole e la trifida lingua che vibra.Premono contro la reggia, con lui: Perifante – possente –,Automedonte – scudiero, l’auriga d’Achille – e di Scirotutti i giovani; assieme, sui tetti lanciano fiamme.Egli stesso tra i primi, con una bipenne, la durasoglia spacca e svelle dal cardine i bronzei battenti;già, spezzata una trave, il robusto legno sfondatoampia visuale attraverso l’esteso squarcio mostrava. Dentro appare la reggia, i vestiboli lunghi, le stanzeintime, sia di Priamo, sia degli antichi sovrani;ritti sul limitare si vedono armati di guardia.All’interno, la reggia è sconvolta da gemiti e tristestrepito e – in fondo – grida di donne le sale spaziose fanno echeggiare; il clamore ferisce le splendide stelle.Vanno per l’ampie sale le donne in preda al terroree, delle porte avvinghiate ai battenti, vi imprimono baci.Pirro, con tutta la forza del padre, sovrasta: né sbarrené guardiani gli sanno resistere; cede la portaall’ariete insistente: le ante, dai cardini smosse,crollano; già la violenza dilaga; i danai gli ingressiforzano, uccidono i primi e dispongono ovunque soldati.Non altrettanto impetuoso, schiumando, un fiume, abbattutigli argini, esonda e con la corrente travolge gli oppostimassi: la piena i campi sommerge e per la pianura stalle e armenti trascina. Io stesso Neottolemo vidi,ebbro di strage ed entrambi gli Atridi alla soglia; le cento nuore ed Ecuba vidi e di Priamo il sangue lordare

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36 sanguine foedantem quos ipse sacraverat ignis.Quinquaginta illi thalami, spes tanta nepotum,barbarico postes auro spoliisque superbiprocubuere; tenent Danai, qua deficit ignis. 505

Forsitan et Priami fuerint quae fata requiras.Urbis uti captae casum convolsaque viditlimina tectorum et medium in penetralibus hostem,arma diu senior desueta trementibus aevocircumdat nequiquam umeris et inutile ferrum 510

cingitur ac densos fertur moriturus in hostis.Aedibus in mediis nudoque sub aetheris axeingens ara fuit iuxtaque veterrima laurus,incumbens arae atque umbra complexa Penates.Hic Hecuba et natae nequiquam altaria circum, 515

praecipites atra ceu tempestate columbae,condensae et divom amplexae simulacra sedebant.Ipsum autem sumptis Priamum iuvenalibus armisut vidit: “Quae mens tam dira, miserrime coniunx,impulit his cingi telis? Aut quo ruis?” inquit; 520

“non tali auxilio nec defensoribus ististempus eget, non, si ipse meus nunc adforet Hector.Huc tandem concede; haec ara tuebitur omnis,aut moriere simul”. Sic ore effata recepitad sese et sacra longaevom in sede locavit. 525

Ecce autem elapsus Pyrrhi de caede Polites,unus natorum Priami, per tela, per hostisporticibus longis fugit et vacua atria lustratsaucius. Illum ardens infesto vulnere Pyrrhusinsequitur, iam iamque manu tenet et premit hasta. 530

Ut tandem ante oculos evasit et ora parentum,concidit ac multo vitam cum sanguine fudit.Hic Priamus, quamquam in media iam morte tenetur,non tamen abstinuit nec voci iraeque pepercit:“At tibi pro scelere” exclamat, “pro talibus ausis 535

di, si qua est caelo pietas, quae talia curet,

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l’are e i fuochi votivi che aveva acceso lui stesso.Quei cinquanta talami – già di nipoti speranza –quelle porte, d’oro superbe e di barbare spoglie,crollano e i danai raggiungono ciò che al fuoco è sfuggito.Anche la sorte di Priamo vuoi conoscere forse.Come vide la vinta città crollare, le sogliedella reggia violate e il nemico nell’intime stanze,– troppo vecchio – invano le armi, a lungo desuete,sulle spalle tremanti per gli anni si pone, la spadacinge – inutile – e va, per morire, in mezzo ai nemici.Della reggia nel centro e a cielo aperto, un altarev’era, imponente, al di sopra del quale un vecchissimo allorol’ombra sua protendeva e con essa abbracciava i Penati.Ecuba invano e le figlie qui, degli altari a ridosso,– come colombe da scura tempesta, veloci, fuggite –stavano unite, sedute ed avvinte alle statue dei numi.Come Priamo vide dell’armi d’un tempo vestito,“Quale funesta idea, marito mio sventurato”disse “ti spinse a indossare codeste armi; ove corri?Tale aiuto non chiede il momento, né difensorisimili né, s’ anche fosse presente, il mio Ettore stesso.Fermati dunque; quest’ara sarà presidio per tuttio con noi morirai”. Così si espresse e il vegliardotrasse a sé, nel luogo sacrato guidandolo poi.Ecco frattanto Polite, di Priamo uno dei figli,alla strage di Pirro scampato, tra dardi e nemicisotto i portici lunghi fuggire e, ferito, i desertiatri percorrere. Pirro, furente, lo insegue: finirlovuole e già con la mano l’afferra e con l’asta lo preme. Come giunse, infine, davanti ai suoi genitori,venne meno e rendé con molto sangue la vita.Priamo allora, benché della morte preda ormai fosse,non si trattenne e non risparmiò la voce né l’ira. “Del tuo delitto” esclamò “delle osate tue nefandezze– se nel cielo una qualche giustizia vi bada – gli dei

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persolvant grates dignas et praemia reddantdebita, qui nati coram me cernere letumfecisti et patrios foedasti funere vultus. At non ille, satum quo te mentiris, Achilles 540

talis in hoste fuit Priamo; sed iura fidemquesupplicis erubuit corpusque exsangue sepulcroreddidit Hectoreum meque in mea regna remisit”.Sic fatus senior; telumque imbelle sine ictuconiecit, rauco quod protinus aere repulsum 545

et summo clipei nequiquam umbone pependit.Cui Pyrrhus: “Referes ergo haec et nuntius ibisPelidae genitori. Illi mea tristia factadegeneremque Neoptolemum narrare memento:nunc morere”. Hoc dicens altaria ad ipsa trementem 550

traxit et in multo lapsantem sanguine natiimplicuitque comam laeva dextraque coruscumextulit ac lateri capulo tenus abdidit ensem.Haec finis Priami, fatorum hic exitus illumsorte tulit, Troiam incensam et prolapsa videntem 555

Pergama, tot quondam populis terrisque superbumregnatorem Asiae. Iacet ingens litore truncusavolsumque umeris caput et sine nomine corpus.At me tum primum saevus circumstetit horror.Obstipui: subiit cari genitoris imago, 560

ut regem aequaevom crudeli vulnere vidivitam exhalantem; subiit deserta Creusaet direpta domus et parvi casus Iuli.Respicio et, quae sit me circum copia, lustro.Deseruere omnes defessi, et corpora saltu 565

ad terram misere aut ignibus aegra dedere. Iamque adeo super unus eram, cum limina Vestaeservantem et tacitam secreta in sede latentemTyndarida aspicio; dant clara incendia lucemerranti passimque oculos per cuncta ferenti. 570

Illa sibi infestos eversa ob Pergama Teucros

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ti ripaghino e assegnino a te meritato compenso, per avere, a me di fronte, ucciso mio figlio,contaminando così, con la morte, il volto paterno.Tale Achille – da cui, mentendo, nato ti vanti –non si mostrò con Priamo, pur se nemico; dirittie salvaguardia onorò di un supplice: esangue al sepolcrod’ Ettore il corpo rendé, rimandandomi salvo al mio regno”.Questo disse il vecchio e con poca forza un innocuodardo lanciò, che subito fu respinto dal raucobronzo e inutile poi dal centro del clipeo pendette.Pirrro a lui: “ Riferisci tu stesso e va’ messaggeroal genitore Pelide. Ricordati di raccontarglidi Neottolemo azioni funeste e devianze; ma oramuori”. Disse e proprio all’altare, tremante lo trassee vacillante in mezzo al copioso sangue del figlio;con la sinistra gli strinse i capelli e la fulgida spada– con la destra sguainata – nel fianco affondò fino all’elsa.Questa la fine di Priamo; fu dai fati volutatal conclusione per lui – già superbo regnante di tantipopoli e terre dell’Asia – che Troia incendiata, crollataPergamo vede. Giace sul lido il gran tronco, col capodalle spalle staccato: cadavere privo di nome.Per la prima volta, un terribile orrore mi prese.Fui sbigottito: la mente all’immagine corse del caropadre – vedendo il coetaneo re, crudelmente ferito,render la vita –, a Creusa – lasciata sola –, alla casa– forse distrutta –, all’incerto destino del piccolo Iulo.Quanti mi restino accanto, voltatomi, passo in rassegna.Mancano tutti, sfiniti: di schianto gettati gli esausticorpi a terra oppure lasciati in balia delle fiamme. Solo rimasto ormai, la figlia di Tindaro scorgo presso la porta del tempio di Vesta, in luogo nascosto,tacita; luce mi fanno gli incendi coi loro bagliorimentre vago e cerco qua e là di vedere ogni cosa.Lei, temendo il rancore dei teucri per la distrutta

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et Danaum poenam et deserti coniugis iraspraemetuens, Troiae et patriae communis Erinys,abdiderat sese atque aris invisa sedebat.Exarsere ignes animo; subit ira cadentem 575

ulcisci patriam et sceleratas sumere poenas.Scilicet haec Spartam incolumis patriasque Mycenasaspiciet partoque ibit regina triumphoconiugiumque domumque, patres natosque videbit, Iliadum turba et Phrygiis comitata ministris? 580

Occiderit ferro Priamus? Troia arserit igni? Dardanium totiens sudarit sanguine litus? Non ita. Namque etsi nullum memorabile nomenfeminea in poena est nec habet victoria laudem,exstinxisse nefas tamen et sumpsisse merentis 585

laudabor poenas animumque explesse iuvabitultricis flammae et cineres satiasse meorum”.Talia iactabam et furiata mente ferebarcum mihi se, non ante oculis tam clara, videndamobtulit et pura per noctem in luce refulsit 590

alma parens, confessa deam qualisque videri caelicolis et quanta solet; dextraque prehensumcontinuit roseoque haec insuper addidit ore:“Nate, quis indomitas tantus dolor excitat iras?Quid furis aut quonam nostri tibi cura recessit? 595

“Non prius aspicies, ubi fessum aetate parentemliqueris Anchisen, superet coniunxne Creusa Ascaniusque puer? Quos omnis undique Graiae circum errant acies et, ni mea cura resistat, iam flammae tulerint, inimicus et hauserit ensis. 600

Non tibi Tyndaridis facies invisa Lacaenaeculpatusve Paris, divom inclementia, divom, has evertit opes sternitque a culmine Troiam.Aspice (namque omnem, quae nunc obducta tuenti mortalis hebetat visus tibi et umida circum 605

caligat, nubem eripiam; tu ne qua parentis

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Pergamo e la vendetta dei danai e il coniuge iratoper l’abbandono – Erinni di Troia e al medesimo tempodella sua patria – sedeva all’altare, invisa e nascosta.L’animo avvampa e con l’ira s’affaccia l’idea di vendetta per la patria che cade e di far pagare i misfatti.“Dunque, incolume, Sparta vedrà costei e la patria sua Micene; in trionfo andrà – regina – e marito,casa vedrà, genitori e figlioli e una turba di donned’Ilio e di servi frigi a lei faranno da scorta?Priamo morto di spada? Dal fuoco Troia distrutta?Sangue avrà sudato il dardanio lido più volte?Non così. Sebbene punire una donna non diafama alcuna né sia vittoria apprezzabile, purelode avrò per aver soppresso l’infame e punitochi meritava la pena, saziando l’animo ardentedi vendetta e dei miei le ceneri avendo placate”. Ero assorto in tali pensieri e in preda alla furia,quando – agli occhi mai così chiara – l’alma mia madre splendida si presentò nella notte in nitida luce,dea palesandosi, grande e maestosa quale ai celestisuole apparire; con la sua mano destra mi presee mi trattenne; poi, con la rosea sua bocca, soggiunse:“Qual così grande dolore quest’ira, o figlio, scatena?cosa – furente – ti fa l’attenzione per noi trascurare?Prima non vedrai tu dove, stanco per gli anni,il genitore Anchise lasciasti? Se siano vivie la sposa Creusa e il fanciullo Ascanio? – le schieregreche loro attorno s’aggirano e, senza il mio aiuto,già sarebbero preda del fuoco o di spada nemica – .Non della figlia spartana di Tindaro il volto – a te inviso –,non l’incolpato Paride, ma degli dei l’avversione– sì, degli dei – abbatté dalla cima il potere di Troia.Guarda (infatti ogni nube via spazzerò che, qui intorno,umida, offusca e impedisce la vista tua di mortale;tu non temere alcuno degli ordini che da tua madre

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iussa time neu praeceptis parere recusa):hic, ubi disiectas moles avolsaque saxis saxsa vides mixtoque undantem pulvere fumum,Neptunus muros magnoque emota tridenti 610

fundamenta quatit totamque a sedibus urbemeruit. Hic Iuno Scaeas saevissima portasprima tenet sociumque furens a navibus agmenferro accinta vocat.Iam summas arces Tritonia (respice) Pallas 615

insedit, nimbo effulgens et Gorgone saeva.Ipse pater Danais animos viresque secundassufficit, ipse deos in Dardana suscitat arma.Eripe, nate, fugam finemque impone labori. Nusquam abero et tutum patrio te limine sistam”. 620

Dixerat et spissis noctis se condidit umbris.Apparent dirae facies inimicaque Troiaenumina magna deum.Tum vero omne mihi visum considere in ignisIlium et ex imo verti Neptunia Troia, 625

ac veluti summis antiquam in montibus ornumcum ferro accisam crebrisque bipennibus instanteruere agricolae certatim, illa usque minaturet tremefacta comam concusso vertice nutat,vulneribus donec paulatim evicta supremum 630

congemuit traxitque iugis avolsa ruinam.Descendo ac ducente deo flammam inter et hostisexpedior; dant tela locum flammaeque recedunt.Atque ubi iam patriae perventum ad limina sedisantiquasque domos, genitor, quem tollere in altos 635

optabam primum montis primumque petebam,abnegat excisa vitam producere Troiaexiliumque pati. “Vos o, quibus integer aevisanguis” ait “solidaeque suo stant robore vires,vos agitate fugam. 640

Me si caelicolae voluissent ducere vitam,

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vengano e non opporre rifiuto a seguirne i consigli): qui – dove vedi edifici distrutti, le pietre staccatedalle pietre e folate di fumo a polvere misto –con il gran tridente Nettuno, scuotendole, svellele fondamenta e i muri: l’intera città dalle basisue distrugge. Qui Giunone, spietata, le porteScee presidia per prima e – di ferro cinta – furente,chiama dalle navi la schiera amica.Guarda: la rocca più alta presidia già la TritoniaPallade; splende in un nembo e la Gorgone, truce, disvela. Giove stesso infonde coraggio e forze nei danai;contro i dardani va lui stesso incitando gli dei.Fuggi, figlio, e a questo travaglio un termine poni.Salvo ti scorterò – mai lontana – alla casa paterna”.Disse e della notte nell’ombre fitte si ascose. Delle grandi presenze divine nemiche di Troiaecco apparire l’aspetto tremendo. Tra le fiamme allora mi parve tutta crollareIlio e Troia – città di Nettuno – venir ribaltata,come quando – in alto, sui monti – gli agricoltorifanno a gara per sradicare un orno tagliatocon il ferro dai colpi frequenti delle bipennie minaccioso quello, la chioma agitando, vacilla– scossa la cima – finché, poco a poco dalle feritevinto, un’ultima volta gemendo, divelto, rovina.Scendo e, grazie alla guida divina, fiamme e nemicievito: i dardi spazio mi danno ed arretra l’incendio.Già degli antichi edifici – dimora avita – alla sogliagiunto, proprio mio padre – che primo volevo condurresu, nell’alto dei monti e che primo cercavo – rifiutadi proseguire in esilio la vita, adesso che Troiaè distrutta. “Voi col sangue intatto dagli anni”dice “E di valide forze per proprio vigore dotati,voi preparate la fuga. Fosse stato volere del cielo che ancora vivessi,

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has mihi servassent sedes. Satis una superquevidimus excidia et captae superavimus urbi.Sic o, sic positum adfati discedite corpus.Ipse manum morti inveniam; miserebitur hostis 645

exuviasque petet: facilis iactura sepulcri.Iam pridem invisus divis et inutilis annosdemoror, ex quo me divom pater atque hominum rexfulminis adflavit ventis et contigit igni”.Talia perstabat memorans fixusque manebat. 650

Nos contra effusi lacrimis coniunxque CreusaAscaniusque omnisque domus, ne vertere secumcuncta pater fatoque urguenti incumbere vellet.Abnegat inceptoque et sedibus haeret in isdem.Rursus in arma feror mortemque miserrimus opto. 655

Nam quod consilium aut quae iam fortuna dabatur?“Mene ecferre pedem, genitor, te posse relictosperasti tantumque nefas patrio excidit ore?Si nihil ex tanta superis placet urbe relinquiet sedet hoc animo perituraeque addere Troiae 660

teque tuosque iuvat, patet isti ianua leto;iamque aderit multo Priami de sanguine Pyrrus,gnatum ante ora patris, patrem qui obtruncat ad aras.Hoc erat, alma parens, quod me per tela, per igniseripis, ut mediis hostem in penetralibus utque 665

Ascanium patremque meum iuxtaque Creusamalterum in alterius mactatos sanguine cernam?Arma, viri, ferte arma; vocat lux ultima victos.Reddite me Danais, sinite instaurata revisamproelia. Numquam omnes hodie moriemur inulti”. 670

Hinc ferro accingor rursus clipeoque sinistram insertabam aptans meque extra tecta ferebam.Ecce autem complexa pedes in limine coniunxhaerebat parvumque patri tendebat Iulum:“Si periturus abis, et nos rape in omnia tecum; 675

sin aliquam expertus sumptis spem ponis in armis,

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salva questa dimora m’avrebbe lasciata. Fin troppestragi vidi e della città la caduta già vissi.Date, al mio corpo, così com' è – composto – l’addio.Chi m’uccida saprò trovare – pietoso, un nemicole mie spoglie vorrà – : rassegnata rinuncia il sepolcro.Già da gran tempo, agli dei sgradito ed inetto, trascinogli anni, da quando il padre dei numi e re degli umanime del fulmine scosse col vento e lambì con il fuoco”.Irremovibile, ciò ricordando, non recedeva.Noi, al contrario, la moglie Creusa e Ascanio e la casatutta, in lacrime andiamo pregando che il padre ogni cosa non travolga con sé, l’incombente fato affrettando.Lui non cede, ben fermo nel suo proposito e luogo. Spinto di nuovo in battaglia, la morte cerco, infelice.Quale scelta infatti si offriva o quale destino? “Ch’io me ne andassi, padre, lasciandoti, hai forse pensatoe così grande infamia sfuggì dalla bocca paterna?Se volontà degli dei è che nulla rimanga di tantogrande città, se, convinto, seguire vuoi con i tuoiTroia che cade, a tal morte si schiude una porta: grondantesangue di Priamo, Pirro s’appressa, che il figlio in presenza del genitore stronca e lui stesso accanto agli altari.Alma madre, per questo tu dunque ai dardi, agli incendi m’hai sottratto, perch’io nell’ intime stanze il nemicodebba vedere e Ascanio e mio padre e con loro Creusa– l’uno immerso nel sangue dell’altro – venir massacrati?L’armi, uomini, l’armi! già chiama i vinti l’estremogiorno. Rendetemi ai danai, lasciate ch’io torni all’accesamischia. Non tutti quest’oggi morremo senza vendetta”.Quindi dell’armi di nuovo mi vesto; stavo adattando,mentre uscivo all'aperto, al clipeo la mano sinistraquando sull’uscio mia moglie, con forza stringendomi i piedi,mi s’avvinghia e protende a suo padre il piccolo Iulo:“Porta – se vai per morire – noi pure, a qualunque destino;ma, se una qualche speranza nell’armi – esperto – riponi,

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hanc primum tutare domum. Cui parvus Iulus,cui pater et coniunx quondam tua dicta relinquor?”Talia vociferans gemitu tectum omne replebat,cum subitum dictuque oritur mirabile monstrum. 680

Namque manus inter maestorumque ora parentum,ecce levis summo de vertice visus Iulifundere lumen apex tactuque innoxia mollislambere flamma comas et circum tempora pasci.Nos pavidi trepidare metu crinemque flagrantem 685

excutere et sanctos restinguere fontibus ignis. At pater Anchises oculos ad sidera laetus extulit et caelo palmas cum voce tetendit: “Juppiter omnipotens, precibus si flecteris ullis, Aspice nos! Hoc tantum; et si pietate meremur, 690

Da deinde auxilium, pater, atque haec omina firma ”. Vix ea fatus erat senior, subitoque fragore intonuit laevum et de caelo lapsa per umbras stella facem ducens multa cum luce cucurrit. Illam, summa super labentem culmina tecti, 695

cernimus Idaea claram se condere silva signantemque vias; tum longo limite sulcus dat lucem et late circum loca sulpure fumant. Hic vero victus genitor se tollere ad auras, adfaturque deos et sanctum sidus adorat. 700

“Iam iam nulla mora est; sequor et qua ducitis adsum. Di patrii, servate domum, servate nepotem; vestrum hoc augurium vestroque in numine Troia est. Cedo equidem nec, nate, tibi comes ire recuso”. Dixerat ille, et iam per moenia clarior ignis 705

auditur propiusque aestus incendia volvunt. “Ergo age, care pater, cervici imponere nostrae; ipse subibo umeris nec me labor iste gravabit. Quo res cumque cadent, unum et commune periclum, una salus ambobus erit. Mihi parvus Iulus 710

sit comes et longe servet vestigia coniunx.

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questa casa per prima difendi. In che mani, altrimenti,lasci il piccolo Iulo e tuo padre e chi un tempo chiamataera tua sposa?”. Di tale lamento il palazzo echeggiavatutto quando, improvviso, un prodigio mirabile avviene. Tra le mani e i volti dei mesti suoi genitoriecco infatti al di sopra di Iulo apparire una lievepunta che emana chiarore e la soffice chioma è lambitada un'innocua fiamma che attorno alle tempie si avviva.Noi scuotiamo, in preda al timore, i capelli infiammatie quei fuochi sacri con acqua proviamo a domare. Lieto il padre Anchise – levando lo sguardo alle stelle –tese invece al cielo le palme e con esse la voce:“Onnipotente Giove, se mai può piegarti preghiera,guardaci! Solo questo; e se per pietà meritato,dacci un segno, padre, a conferma di tali presagi”.Questo disse il vecchio e, dal lato sinistro, di tuonovenne immediato un fragore e, dal cielo caduta, una stella corse attraverso il buio con grande scia luminosa.Splendida la vediamo passare sopra la cimadel palazzo e poi nel bosco dell’Ida celarsi,come a indicare la via; la traccia riluce per lungotratto e fuma di zolfo un’ampia zona all’intorno. Ora si solleva da terra il padre, convinto,e si rivolge agli dei, la santa stella adorando.“Più nessun indugio; vi seguo: portatemi ovunque.Dei della patria, salvate la stirpe, salvate il nipote;vostro il presagio: alla vostra tutela Troia s’affida.Cedo del tutto, figlio, e d’andare con te non rifiuto”.Dice e già più distinto si sente il fuoco avvamparetra le mura e gli incendi il calore avvicinano ancora. "Caro padre, aggrappato rimani al mio collo; sostegnoio ti darò con le spalle, né peserà la fatica.Quale che sia il destino, un comune pericolo o unastessa salvezza verrà per entrambi. Il piccolo Iulovenga con me, la consorte, dappresso, segua i miei passi.

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Vos, famuli, quae dicam animis advertite vestris. Est urbe egressis tumulus templumque vetustum desertae Cereris iuxtaque antiqua cupressus, religione patrum multos servata per annos: 715

hanc ex diverso sedem veniemus in unam. Tu, genitor, cape sacra manu patriosque Penatis; me, bello e tanto digressum et caede recenti, attrectare nefas, donec me flumine vivo abluero”. 720

Haec fatus latos umeros subiectaque colla veste super fulvique insternor pelle leonis succedoque oneri; dextrae se parvus Iulus implicuit sequiturque patrem non passibus aequis; pone subit coniunx. Ferimur per opaca locorum; 725

et me, quem dudum non ulla iniecta movebant tela neque adverso glomerati ex agmine Grai, nunc omnes terrent aurae, sonus excitat omnis suspensum et pariter comitique onerique timentem. Iamque propinquabam portis omnemque videbar 730

evasisse viam, subito cum creber ad aurisvisus adesse pedum sonitus, genitorque per umbramprospiciens “Nate” exclamat, “fuge, nate; propinquant;ardentis clipeos atque aera micantia cerno”.Hic mihi nescio quod trepido male numen amicum 735

confusam eripuit mentem. Namque avia cursudum sequor et nota excedo regione viarum,heu misero coniunx fatone erepta Creusasubstitit, erravitne via seu lapsa resedit?incertum; nec post oculis est reddita nostris. 740

Nec prius amissam respexi animumque reflexi,quam tumulum antiquae Cereris sedemque sacratamvenimus; hic demum collectis omnibus unadefuit et comites natumque virumque fefellit.Quem non incusavi amens hominumque deorumque 745

aut quid in eversa vidi crudelius urbe?

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Voi, domestici, a ciò che dirò prestate attenzione.Fuori dalla città c’è un rilievo e di Cerere un tempioin abbandono, vetusto e – vicino – un antico cipressodalla pietà dei padri per molti anni curato:Confluiremo lì, per diverse strade giungendo. Padre, prendi tu gli arredi e i patri Penati;ch’io li tocchi permesso non è, venendo da taleguerra e strage recente, finché con acqua che scorrenon mi sia mondato”.Detto questo, il manto di pelle d’un fulvo leonestendo sulle spalle e sul collo piegato e al suo pesomi sottopongo; stretto si tiene il piccolo Iuloalla mia destra e segue suo padre con passo ineguale;viene dietro la sposa. Per luoghi oscuri passiamo;io, che poc’anzi non ero turbato dai dardi scagliatiné dai greci raccolti in nemica schiera, atterritosono adesso da un soffio di vento e un rumore mi allarma– teso e ugualmente ansioso per chi conduco o trasporto –. Già – vicino alle porte – credevo d’aver superatotutto il percorso, quand’ecco un rumore fitto di passiparve venirmi alle orecchie; mio padre, scrutando nel buio,“Fuggi, figlio,” esclama “già stanno arrivando; dei clipeiscorgo i fiammanti bagliori e dell’armi di bronzo il brillio”.Qui – non so quale – un nume nemico offuscò la mia mentegià confusa per l’ansia; correvo infatti per luoghinon frequentati – lasciate le note vie – allorquandodietro mia moglie, Creusa, restò – da un triste destinoforse rapita, o smarrita la via, o sedutasi esausta –.Non si sa; né ci fu restituita mai alla vista.Non mi voltai – d’averla perduta ignorando – né in mentepiù mi tornò, fin che giunti non fummo al rilievo e al vetustotempio di Cerere; qui, riunitisi tutti, soltantolei mancò, deludendo compagni, figlio, marito. Chi – fuor di senno – non incolpai, tra uomini e dei?Cosa vidi di più crudele in tanta rovina?

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Ascanium Anchisenque patrem Teucrosque Penatiscommendo sociis et curva valle recondo.Ipse urbem repeto et cingor fulgentibus armis.Stat casus renovare omnis omnemque reverti 750

per Troiam et rursus caput obiectare periclis.Principio muros obscuraque limina portae,qua gressum extuleram, repeto et vestigia retroobservata sequor per noctem et lumine lustro.Horror ubique animo, simul ipsa silentia terrent. 755

Inde domum, si forte pedem, si forte tulisset,me refero. Inruerant Danai et tectum omne tenebant.Ilicet ignis edax summa ad fastigia ventovolvitur, exsuperant flammae, furit aestus ad auras.Procedo et Priami sedes arcemque reviso. 760

Et iam porticibus vacuis Iunonis asylocustodes lecti Phoenix et dirus Ulixespraedam adservabant. Huc undique Troia gazaincensis erepta adytis mensaeque deorumcrateresque auro solidi captivaque vestis 765

congeritur. Pueri et pavidae longo ordine matresstant circum.Ausus quin etiam voces iactare per umbram,implevi clamore vias maestusque Creusamnequiquam ingeminans iterumque iterumque vocavi. 770

Quaerenti et tectis urbis sine fine furentiinfelix simulacrum atque ipsius umbra Creusaevisa mihi ante oculos et nota maior imago.Obstipui steteruntque comae et vox faucibus haesit.Tum sic adfari et curas his demere dictis: 775

“Quid tantum insano iuvat indulgere dolori,o dulcis coniunx? Non haec sine numine divomeveniunt; nec te comitem hinc portare Creusamfas aut ille sinit superi regnator Olympi.Longa tibi exilia et vastum maris aequor arandum. 780

Et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva

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Ai compagni – nascosti nel cavo d’una vallata –lascio Ascanio, il padre e i Penati teucri in custodia.Io ritorno in città, cingendomi d’armi splendenti.Tutti gli eventi intendo rivivere, Troia da capotutta percorrere, espormi ai pericoli ancora una volta. Faccio dapprima alle mura e all’oscura soglia di quellaporta da cui m'ero mosso ritorno; le tracce a ritrososeguo attraverso la notte – lo sguardo intento a scrutare –. L’anima avverte un orrore diffuso; atterrisce il silenziostesso. A casa – chissà, vi si fosse recata – ritorno.Erano entrati i danai, l’intero palazzo occupando.Già, con il vento, il fuoco vorace alla cima dei tettisale; le fiamme s’innalzano, in cielo divampa il calore.Vado avanti; al palazzo di Priamo torno e alla rocca. Nei porticati vuoti, già di Giunone rifugio,– scelti a custodi – Fenice e il crudele Ulisse la guardiaal bottino facevano. Qui le ricchezze di Troia– d’ogni parte sottratte dai penetrali incendiati –si radunavano e mense di altari e d’oro massicciocoppe e tessuti rubati. Lì tutt’attorno una lungafila v’era di bimbi e di madri atterrite.Giunsi a lanciare grida nel buio e le vie di clamorefeci, così, risuonare, chiamando invano a gran vocee ripetendo più e più volte, mesto, “Creusa”.Come in preda a delirio, cercavo in mezzo alle casequando – fantasma infelice – dinnanzi agli occhi m’apparveproprio l’immagine sua – di Creusa – maggiore di lei.Fui stupefatto – i capelli rizzati e la voce bloccata –.Poi, con queste parole, da me gli affanni rimosse:“Da forsennato dolore perché, mio dolce marito,farsi vincere? Avviene non senza volere divinoquesto: seguirti non è consentito a Creusa e neppuredà il suo permesso colui che lassù l’Olimpo governa.Lunghi esili e vaste distese di mare per te; mapoi nella terra Esperia verrai, dove il Tevere lidio,

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inter opima virum leni fluit agmine Thybris;illic res laetae regnumque et regia coniunxparta tibi: lacrimas dilectae pelle Creusae.Non ego Myrmidonum sedes Dolupumve superbas 785

aspiciam aut Grais servitum matribus ibo,Dardanis et divae Veneris nurus,sed me magna deum genetrix his detinet oris.Iamque vale et nati serva communis amorem”.Haec ubi dicta dedit, lacrimantem et multa volentem 790

dicere deseruit tenuisque recessit in auras.Ter conatus ibi collo dare bracchia circum;ter frustra comprensa manus effugit imago,par levibus ventis volucrique simillima somno.Sic demum socios consumpta nocte reviso. 795

Atque hic ingentem comitum adfluxisse novoruminvenio admirans numerum, matresque virosque,collectam exilio pubem, miserabile vulgus.Undique convenere, animis opibusque parati,in quascumque velim pelago deducere terras. 800

Iamque iugis summae surgebat Lucifer Idaeducebatque diem Danaique obsessa tenebantlimina portarum nec spes opis ulla dabatur.Cessi et sublato montis genitore petivi».

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tra popolosi campi, con dolce corrente fluisce.Lieti eventi laggiù t’attendono: un regno e di regiastirpe una sposa. La cara Creusa non piangere; infatti,né dei mirmidoni né dei dolopi mai le superbecase avverrà ch’io veda né ché – dardanide e nuoraio di Venere – debba le greche matrone servire:me degli dei la gran madre trattiene in queste contrade.Ora addio: l’amore di nostro figlio conserva”.Disse, lasciando me che piangevo e dirle volevomolto ancora, ma lei, nell’aria lieve, scomparve. Mossi tre volte le braccia cercando di stringerla fortema, per tre volte, sfuggì l’immagine, invano afferrata,come vento leggera, che a sogno fugace somiglia. Torno così, consumata la notte, a vedere i compagni e, con sorpresa, di nuovi ne trovo, in gran numero giunti: donne e uomini – triste raccolta – all’esilio disposti, d’ogni parte affluiti; per forza d’animo e mezzi pronti a seguirmi dovunque volessi condurli per mare. Già Lucifero intanto lassù sorgeva, dagli alti gioghi dell’Ida e il giorno con sé conduceva; le porte erano tutte occupate dai danai; alcuna speranza più non restava. Allora mi misi in cammino; mio padre presi in spalla e diressi la marcia alla volta dei monti».

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NOTE

Virgilio Considerato nei secoli il massimo poeta latino, visse tra il 70 e il 19 a.C.godendo della protezione dell'influente Mecenate e dello stesso imperatoreAugusto. La sua fama è in gran parte legata all'Eneide, poema epico in dodici libriche non ebbe tempo di rifinire completamente; in esso viene esaltata la figuradell'eroe troiano Enea e dei suoi discendenti, fondatori di Roma, ultimo dei quali lostesso Ottaviano Augusto. Notevoli anche le dieci Bucoliche, opera giovanile dicarattere pastorale e soprattutto i quattro libri delle Georgiche, formalmenteappartenenti al genere didascalico.

I, 740 – 756 Questi versi costituiscono la parte conclusiva del primo libro delpoema. Li abbiamo qui riportati per ambientare la scena in cui si svolge tutto ilsecondo libro, occupato interamente dal racconto di Enea. Siamo nel palazzo reale,durante un banchetto di benvenuto, con onori principeschi, durante il quale l'eroetroiano non potrà rifiutare alla regina Didone, che lo ha accolto esule sbarcatosulle spiagge di Cartagine, la rievocazione – ancorché penosa – della caduta diTroia e delle peregrinazioni da lui affrontate.

741 Iopa, Atlante L'aedo di corte Iopa sarebbe stato istruito dal mitico Atlante,notissimo per la condanna inflittagli da Giove a dover sostenere sulle spalle ilmondo. Più che capacità artistiche Iopa avrebbe acquisito dal titano nozioni dinatura astronomica, come risulta infatti dagli argomenti trattati nel suo canto.Altre volte Virgilio esprimerà rispetto e ammirazione per i poeti, come Lucrezio, cheseppero cantare e spiegare i grandi fenomeni della natura.

744 Arturo Luminosissima stella il cui nome, derivato dal greco, è in relazione alfatto di trovarsi sul prolungamento della coda dell'Orsa Maggiore. Appartiene allacostellazione di Boote ed è legata ai miti di Zeus, Callisto ed Era.

744 Iadi Ammasso stellare nella costellazione del Toro. Nella mitologia: figlie diAtlante e sorelle delle Pleiadi. Divinità boschive di fonti e paludi, era loro attribuitala tendenza a procurare piogge.

745 Orse gemelle (Gran Carro e Piccolo Carro). In queste costellazioni i Romaniamavano vedere raffigurati due carri a quattro ruote trainati da tre buoi ciascuno.Combinando le sette (septem) stelle di ciascuna costellazione con l'immagine delcarro trainato dai buoi (triones) ne è poi derivato il termine di “settentrione” perindicare il Nord, ossia la parte del cielo in cui esse sono visibili e dove si trova il“polo”, individuato dalla Stella Polare.

747 tiri Originari della città fenicia di Tiro e sinonimo di “cartaginesi”.

747 teucri Sinonimo di “troiani”, discendenti di Teucro, primo re della Troade.

748 – 749 infelice Didone...beveva l' amore Vedova di Sicheo – re di Tiro,

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ucciso da Pigmalione, fratello di lei – Didone fuggì dalla patria e fondò la città diCartagine che, nonostante l'opposizione di Giunone (Era), il Fato voleva infinedistrutta da Roma. Il suo sfortunato innamoramento per l'eroe troiano è frutto diun piano di Venere per facilitare le imprese del figlio Enea. A tale scopo, assuntol'aspetto del giovinetto Ascanio, sarà il dio Amore – figlio di Venere – a partecipareal banchetto, in modo da instillare inesorabilmente nella regina la fatale passioneche la porterà al suicidio al momento dell'abbandono da parte di Enea.

750 Priamo Re di Troia, padre di numerosi figli, tra cui Ettore, Paride e Creusa,sposa di Enea.

750 Ettore Figlio di Priamo, nell'Iliade omerica è presentato come il più forte evaloroso difensore di Troia. 751 – 752 Vengono richiamati famosi personaggi omerici; in particolare si ricordala bellezza delle armi di Memnone, figlio di Eos (Aurora) e la passione per i cavallidi Diomede.

752 Achille Figlio di Teti e Peleo, è Il più forte e valoroso tra i guerrieri greciaccorsi all'assedio di Troia e protagonista dell'Iliade omerica.

754 danai Dal mitico re Danao di Libia sbarcato in Grecia; sinonimo di “greci”.

II, 2 Enea Ê il protagonista del poema: figlio di Venere e di Anchise, è l'eroe“pio”, perché sempre disponibile ad assecondare i voleri divini per realizzarel'impresa di fondare nel Lazio una nuova Troia, la futura Roma. Osteggiato daGiunone, era giunto sui lidi di Cartagine dopo sette anni di tormentateperegrinazioni.

4 Troia Detta anche “Ilio”, è la città il cui assedio è oggetto del poema omericoIliade.

7 – 8 mirmidone... dolope I mirmidoni erano un popolo della Tessaglia cosìcome i dolopi; i loro guerrieri erano venuti a Troia al comando di Achille.

8 Ulisse (Odisseo) Eroe positivo nella tradizione omerica per la sua intelligenza eaudacia, il re di Itaca verrà successivamente vissuto quale icona dell'ardire edell'aspirazione umana alla conoscenza. Nell'Eneide, al contrario, la sua perfidia,l'astuzia volta all'inganno e l'irriverenza verso la divinità ne tracciano un profiloantitetico a quello di Enea.

15 arte.... di Pallade Pallade Atena (Minerva), divinità vergine e guerriera natadal capo di Zeus (Giove), vanta, tra le sue numerose attribuzioni, anche quella diprotettrice dell'artigianato e delle opere d'ingegno. Avversa ai troiani e a Paride in particolare – reo di averle anteposto Venere nella sua valutazione di bellezza – nonfece mancare la sua ispirazione e il suo sostegno alla ideazione e costruzione delfamoso cavallo.

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21 Tenedo Isoletta prossima alle rive di Troia.

25 Micene Famosa città del Peloponneso, culla della civiltà micenea, collegata aquella cretese. Secondo il mito vi regnò Agamennone, capo della spedizione grecacontro Troia.

28 dori Stirpe del Peloponneso. Qui e altrove sinonimo di “greci”.

41 Laocoonte Un sacerdote di Nettuno, che aveva intuito l'inganno dei greci einutilmente aveva cercato di mettere in guardia i troiani.

45 achei altro sinonimo di “greci”.

49 Verso famoso da cui la citazione “Timeo Danaos et dona ferentes”, che esprimediffidenza nei riguardi di persone o popoli mostratisi più volte ostili e ingannevoli.

55 argoliche sinonimo di “greche”, dalla città di Argo.

68 frigi Altro sinonimo di “troiani”, la cui città si trova nella Troade, regione dettaanche “Frigia”.

71 dardanidi I troiani sono discendenti del mitico re Dardano.

83 pelasgi Antica popolazione della Tessaglia e poi della Grecia, altro sinonimo di“greci”.

100 Calcante Indovino al seguito dei greci all'assedio di Troia.

104 itacense Così è indicato Ulisse, re dell'isola di Itaca.

104 Atridi Sono i figli di Atreo: Agamennone, re di Micene e Menelao, re diSparta.

111 Austro (Noto); mitologica divinità che personifica il vento caldo del Sud,portatore di pioggia e tempeste: il nostro Scirocco.

114 Febo Divinità dei romani corrispondente all'Apollo dei greci.

116 Col sangue... Si fa riferimento al mito di Ifigenia, figlia di Agamennone, chefu sacrificata ad Artemide (Diana) per propiziare la partenza della spedizione grecacontro Troia.

164 Tidide Si tratta di Diomede, figlio di Tideo, uno degli eroi greci più celebrati nell'Iliade per valore e forza.

165 Palladio Nome dato alla statua di Pallade Atena, protettrice di varie città; quila statua lignea posta nella rocca di Troia, trafugata da Ulisse e Diomede.

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171 Tritonia (Tritonide); epiteto tradizionalmente attribuito ad Atena, ma diincerta origine, esistendo varie e contrastanti versioni, come, nell'ambito dellamitologia greca e romana, spesso avviene .

177 Pergamo Così è chiamata l'alta rocca di Troia, che non deve essere confusacon l'omonima città, capitale del potente regno ellenistico che Attalo III lasciò ineredità a Roma.

193 Pelopea... mura Stanno a indicare le mura delle città greche in genere.Pelope era stato il conquistatore della regione che da lui assunse poi il nome di“Peloponneso”. 197 Larissa Città natale di Achille, in Tessaglia.

201 Nettuno (Poseidone) Fratello di Giove, dio del mare. Fu il costruttore dellemura di Troia, contro la quale divenne ostile per non aver ottenuto dall'antico reLaomedonte il pattuito compenso.

246 Cassandra Figlia di Priamo. Sacerdotessa di Apollo, non volle corrispondereal suo amore e fu perciò dal dio condannata a non essere mai creduta.

250 Oceano Dio di tutti i mari e di tutte le acque, padre delle ninfe oceanine epersonificazione di una grande distesa acquea che circondava tutta la terra.

263 Pelide Pirro Pirro (o Neottolemo) è detto Pelide come suo padre Achille, cheera figlio di Peleo e della ninfa nereide Teti.

272 - 275 dalla biga trainato... con le armi di Achille Il riferimento è ai dueepisodi centrali dell' Iliade, in cui Ettore uccide Patroclo vestito delle armi diAchille e questi a sua volta compie la sua spietata vendetta su Ettore.

293 Penati Detti anche “Lari”, sono gli antenati, divinità protettrici della famigliasecondo la tradizione romana; le loro immagini vengono custodite nell'intimo dellacasa.

297 Vesta È la dea protettrice delle case e della città; per lei viene mantenutoacceso un fuoco perenne dalle sacerdotesse Vestali.

310 Deifobo Altro figlio di Priamo.

311 Ucalegonte Consigliere di Priamo.

312 onde sigee Mare prospiciente il promontorio Sigeo.

338 Erinni Le tre Erinni o Eumedini (o Furie, per i romani) erano divinità dedite alla persecuzione degli autori di gravi delitti. Qui viene personificata la furia del combattimento.

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341 Corebo... Migdone Il fidanzato di Cassandra e suo padre, re di Frigia.

394 Rifeo Personaggio minore – che non compare nell' Iliade – è assurto in tempimoderni a grande notorietà avendolo Dante inserito nel Paradiso della Commedia,tra le anime dei giusti. Vedasi il verso 426.

398 Orco Indica sia il regno degli inferi sia lo stesso Plutone.

414 Aiace si tratta di Aiace d'Oileo, importante capo tra i greci. Fu disperso inmare per la violenza da lui usata alla sacerdotessa Cassandra e per il suo spregiodegli dei. Da non confondere con Aiace Telamonio, valoroso e sfortunato guerrierogreco, più d' ogni altro meritevole delle armi di Achille, che furono ingiustamenteconcesse invece, a Ulisse. Tale fu la sua delusione che si suicidò.

417 Zefiro (O Favonio) personificazione del vento occidentale.

418 Euro (O Grecale) personificazione del vento orientale.

419 Nereo Dio marino, sposo di Doride, dalla quale ebbe le Nereidi, cinquantadivinità marine minori.

440 Marte (O Ares, per i greci) è la divinità che personifica la guerra e chetalvolta prende parte alle battaglie a favore di una delle parti. Ebbe da Venere(Afrodite) vari figli , tra cui Eros (Amore o Cupido per i romani).

455 Andromaca moglie di Ettore, poi schiava di Pirro dopo la caduta di Troia.

457 Astianatte Figlio di Ettore e Andromaca.

500 – 501 cento nuore È un numero iperbolico; secondo la tradizione Priamoavrebbe avuto cinquanta figli e una dozzina di figlie da diverse donne.

501 Ecuba Moglie di Priamo

503 cinquanta talami Vedansi vv. 500 – 501.

546 clipeo scudo a forma tonda.

562 Creusa Figlia di Priamo e di Ecuba, è la moglie di Enea.

563 Iulo Così è pure chiamato Ascanio, considerato dai romani il capostipitedella Gens Julia, della quale Augusto è, al tempo di Virgilio, l'ultimo erede.

567 figlia di Tindaro Elena, figlia di Tindaro e Leda e moglie di Menelao, seguìParide a Troia, causando la decennale guerra.

612 Giunone (Era) moglie di Giove e regina degli dei.

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12 – 13 Porte Scee Si tratta dell'ingresso fortificato di Troia, prospiciente lapianura che fu teatro delle battaglie con i greci assedianti.

616 Gorgone La testa di Medusa – una delle tre Gorgoni, mostri femminili conserpenti come capigliatura –, recisa da Perseo, era posta sullo scudo di Minerva eaveva il potere di pietrificare chi la guardasse.

643 già vissi Allude alla precedente distruzione, operata da Ercole, per lepromesse inadempiute del re Laomedonte.

649 me del fulmine scosse Anchise fu folgorato da Giove per essersi vantato delsuo rapporto amoroso con Venere, ma la dea stessa limitò le conseguenze dellapunizione deviando in parte il fulmine.

689 Giove (Zeus) Re e più potente degli dei, figlio di Crono, fratello di Nettuno(Poseidone), sposo di Era (Giunone), risiedeva sulla cima del monte Olimpo.

696 Ida Monte della Teucria; da non confondere con il Monte Ida, nell'isola diCreta, luogo di nascita di Giove.

713 Cerere La dea della madre terra, corrisponde alla Demetra dei greci.

773 maggiore di lei Come già Venere, anche Creusa appare ad Enea di maggioregrandezza, perché anch'essa accolta tra gli dei, da Cibele. Vedasi il verso 789.

781 Esperia L'Italia, per i greci, ossia la terra ad Occidente (Espero).

781 lidio Il Tevere nasce nella terra degli etruschi, che si riteneva originari della Lidia (Asia Minore).

783 regno … regia stirpe Allude alla fondazione di Lavinio nel Lazio da parte di Enea e al suo matrimonio con Lavinia, figlia del re Latino.

789 degli dei la gran madre Cibele (Rea per i greci), madre di tutti gli dei, è unadivinità particolarmente onorata nella Troade, in Frigia.

800 Lucifero Con questo nome Venere personificava la stella del mattino; conquello di “Espero” quella della sera.

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