La catena del valore

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    PARTE III.

    RISORSE E COMPETENZE NELLA CATENA DELVALORE

    3.1. L’analisi della Catena del Valore

    La catena del valore rappresenta uno strumento di analisi escomposizione del processo di generazione del valore. Esso è stato pensato,

     progettato ed utilizzato nelle aziende come un elemento di supporto alla pianificazione strategica in quanto, in presenza di una strategia complessivadell’impresa, esso risulta in grado di evidenziare i costi per attivitàelementari e suggerire decisioni alternative in termini di efficienza edefficacia (Porter, 1985).

    Tale strumento scompone il processo di generazione del valore (margine)in attività dette primarie e di supporto. Le une descrivono momenti definitidel processo di acquisisizione degli inputs, di trasformazione, didistribuzione ed assistenza post vendita dei prodotti; le altre supportano tale

     processo fungendo da meccanismi di integrazione e collegamento tra le

    attività primarie.Le attività primarie, quindi, sono poste in sequenza tecnica secondo unverso che rappresenta graficamente il percorso che le materie prime e i semilavorati affrontano per essere valorizzati sul mercato e nel consumo degliutenti finali, senza meccanismi di feedback o di controllo dichiarati.

    Distinguibilità e sequenzialità, dunque, sono i connotati della catenaintesa in senso tradizionale, alcuna indicazione deriva dal fatto che letecnologie risultino frazionabili in unità ben più elementari della singolaattività e che, inoltre, il nesso anche solo tecnologico tra attività possarispondere a logiche di tipo orizzontale o diagonale o più semplicementesistemico (Di Bernardo, 1989; Normann, Ramirez, 1994).

    Inoltre approcci teorici differenti hanno più volte sottolineato che ilvantaggio competitivo di un’azienda non risiede tanto nelle singole attivitàma nella capacità di combinare le risorse possedute, cioè nella generazionedi competenze che siano distintive rispetto ai concorrenti (Hamel ePrahalad, 1990). In sostanza non basta il possesso di un core asset perassicurare il successo del business, ma occorrre che si creino nell’impresa,lungo punti diversi della catena del valore, un sistema di asset

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    complementari che riescano a coordinare l’asset posseduto (Dunning, 1989).È proprio il possesso di questo insieme di competenze complementari checonsente all’impresa di difendersi dall’appropriazione da parte degliimitatori di una specifica conoscenza originariamente  firm specific. Sel’analisi dell’ambiente interno e dell’impresa come collection of resources (Penrose, 1957) è, quindi, necessaria per definire le potenzialitàdell’impresa in ambito concorrenziale, è pur vero che l’effettivoraggiungimento del vantaggio competitivo dipende anche dalla dimensioneesterna del business che descrive l’ambito competitivo (concorrenti, barriereall’entrata, fornitori, clienti, prodotti sostitutivi), in sintonia con gli assunti

    elementari dell’analisi strategica. Per cui, al fine di prendere inconsiderazione sia la dimensione esterna che quella interna (catena delvalore, competenze distintive) si possono analizzare le scelte strategichecome ponte tra le due dimensioni analizzando le modificazione che esserealizzano nel patrimonio delle competenze distintive in funzione dellascelta dell’ambito competitivo in cui operare (Calvelli, 1998). Se perl’analisi della dimensione esterna i modelli già noti in letteratura(concorrenza allargata) forniscono una visione adeguata dell’ambitocompetitivo, l’analisi della dimensione interna richiede, invece, ladefinizione di un approccio nuovo che unisca, da un lato, la visionedell’impresa come insieme di attività, tipica del modello della catena delvalore, e, dall’altro, una approfondita analisi delle risorse e dellecompetenze interne.

    A tal proposito bisogna interrogarsi sul ruolo che potrebbero assumere lecapacità e le competenze distintive nella catena del valore dell’impresa, esulla utilità che ha, in ragione dell’affermarsi di queste componenti tacite, lascomposizione del processo aziendale in unità distinguibili e sequenziali.

    In realtà, la pratica aziendale è efficacemente rappresentata dalla catenadel valore. Le aziende costruiscono il loro valore aggiunto sulla base di unforte vincolo tecnologico, risulta dunque necessario costruire attorno a talevincolo la miglior combinazione di azioni e di risorse.

    Tuttavia, partendo da tale considerazione, l’introduzione delle tecnologieinnovative in azienda, dei sistemi informativi e il maggiore coinvolgimentodi forze di lavoro qualificate espone la catena del valore dell’impresa adalcune zone d’ombra nell’interpretazione e nel miglioramento deimeccanismi sequenziali. Per esempio, le tecnologie innovative presentanocaratteristiche di reversibilità, di scarso ingombro, di integrazione contecnologie complementari, spesso non necessariamente sequenziali. In

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     breve, piu che nelle attività primarie tali tecnologie, o meglio leconseguenze che derivano dal loro uso, trovano riposta nelle attivitàtrasversali o di collegamento. In questo caso, l’impianto tradizionale dellacatena del valore incorpora il problema delle nuove tecnologie come un

     problema più ampio di innovazione, ma resta vago sulla sua realeimplementazione in azienda.

    Eppure in azienda le nuove tecnologie sono sistematicamente affiancate aquelle tradizionali, problemi di integrazione tecnologica, di inefficienza edinefficacia si ripropongono con costante frequenza.

    D’altra parte la stessa organizzazione in attività primarie e di supporto

    risponde ad una impostazione per specializzazione: i tecnologi nelle attivitàdi produzione, i commerciali nelle attività di marketing, i controllori nelleattività di supporto. E’ come dire che l’impostazione tecnicistica dellacatena del valore risponde alla presenza in azienda di specificità diverse,diversamente collocate in relazione al contributo che esse possono dare al

     processo di generazione del margine.In tal senso si può, quindi, ipotizzare una rilettura della catena del valore

    in cui le attività primarie contengono i saperi (competenze) tecnologici,distinguibili e sequenziali utili per realizzare i compiti dell’attività nellacatena. Inoltre se tali saperi non dovessero essere sufficienti l’azienda

     potrebbe pensare di integrare le aree di “ignoranza” attraverso investimentivolti all’accrescimento di conoscenze non ancora disponibili oppure, nelcaso in cui tali saperi non dovessero convenientemente essere inclusiall’interno dell’azienda, potrebbe pensare ad una loro completaesternalizzazione affidata fornitori specializzati.

    Anche le attività trasversali sono contenitori di saperi, anche se non cosìdefiniti e sequenziali come nel caso delle attività primarie. Tali saperi,infatti, rispondono alla necessità di integrare, in azienda o fuori da essa, tuttele attività primarie in maniera efficiente ed efficace. Inoltre essi risentono,evidentemente, delle peculiarità dell’impresa in termini di tradizioneimprenditoriale o manageriale, di routines decisionali consolidate, di

    orientamenti strategici di fondo compatibili con le flessibilità e reversibilitàdelle nuove tecnologie. Tali saperi sono, dunque, unici, diversi da impresaad impresa. Essi derivano dalla combinazione di saperi elementari già

     presenti in azienda e diversamente valorizzati nelle singole attività primarie.Un’impresa, per esempio, che abbia lavorato unicamente in condizioni di

    subfornitura difficilmente possiederà saperi utili a quantificare un ordine senon sulla base del propio break even. Le mancano, cioè, saperi commerciali

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    che inevitabilmente condizionano la combinazione di attività primariefacendo prevalere il dato tecnologoico su quello commerciale.

    Inoltre, tali carenze non sono sanabili sul mercato. Non è possibilecomperare i saperi che non si hanno, come nel caso delle attività primarie.Essi sono unici, diversi, diversamente efficaci sulle catene del valore delleimprese, sono, appunto, distintivi.

    3.1.1 Il modello tradizionale della Catena del Valore

    La Catena del Valore illustra la sequenza di attività generatrici di valore

    che costituiscono le unità fisicamente, tecnologicamente e, soprattutto,strategicamente distinte nelle quali un’azienda può essere suddivisa. Porterindividua 9 categorie di attività generiche che sono presenti in qualsiasitipologia di azienda, anche se la loro rilevanza e la loro composizionevariano a seconda del settore di appartenenza, della storia aziendale, dellastrategia adottata. Ciascuna attività contribuisce a generare valore, di quil’espressione catena del valore, che può essere misurato come il ricavototale, che include sia il prezzo di vendita del prodotto che l’azienda puòspuntare sul mercato sia la quantità venduta.  Ogni attività generatrice divalore si serve di input (acquistati dall’esterno o provenienti da un’altraattività), di risorse umane e finanziarie, adotta una specifica tecnologia,utilizza e crea informazioni. (figura 1).

    Figura 1: Catena del Valore generica

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    Fonte: Porter (1985)

    Le attività generatrici di valore si possono distinguere in attività primarie e di supporto, ad ognuna di esse è possibile attribuire specifici

    costi e ricavi. 

    Le attività primarie: sono quelle impegnate nella creazione fisica del prodotto, nella sua vendita e trasferimento al compratore, nell’assistenza post-vendita. Si possono distinguere in cinque categorie:

    •  Logistica in entrata: riguarda il ricevimento, il magazzinaggio e ladistribuzione degli input. Essa include le attività di gestione dei depositi, digestione dei materiali, di controllo delle scorte e di programmazione deivettori e restituzioni ai fornitori a cui vanno imputati costi relativi alle quotedi ammortamento o i fitti passivi dei magazzini, quelli relativi alla gestione

    delle scorte e degli ordini e al trasporto. Sono, infine, da imputare a questafunzione i costi del personale addetto alle diverse attività che lacompongono.•  Attività operative: riguardano la trasformazione degli input in

    output. Esse includono le attività di fabbricazione prodotti e componenti, dicollaudo e i controlli di qualità, di gestione e manutenzione impianti. Sono

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    attribuiti a questa funzione tutti costi relativi agli input, agli impianti e al personale impegnati in queste attività.

    •  Logistica in uscita: riguarda la raccolta, il magazzinaggio e ladistribuzione fisica dei prodotti al compratore. Essa include le attività dimagazzinaggio dei prodotti finiti, di gestione dei materiali, di gestione deivettori di consegna, a cui vanno imputati costi relativi alle quote diammortamento o i fitti passivi dei magazzini, quelli relativi alla gestionedelle scorte e degli ordini e al trasporto. Sono, infine, da imputare a questafunzione i costi del personale addetto alle diverse attività che lacompongono.

    •  Marketing e Vendite: riguardano tutte le attività dirette ad anticipareed interpretare le tendenze del mercato come la gestione della pubblicità,delle promozioni, della forza vendita, la scelta dei canali, la determinazionedei prezzi. Alle attività di marketing e vendite vanno imputati, oltre i costirelativi al personale addetto al marketing, tutti i costi che l’azienda sostiene

     per effettuare le vendite e per la gestione delle leve del marketing mix(prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione).•  Servizi: comprendono tutte le attività di impresa finalizzate a

    migliorare o a mantenere il valore dei prodotti. Ai servizi vanno imputati icosti relativi alle installazioni, alle riparazioni, all’addestramento, allafornitura di ricambi e i costi del personale addetto a queste attività.

    Le attività di supporto: sono quelle che sostengono le attività primarie esi sorreggono a vicenda fornendo input acquistati, tecnologie, risorse umanee varie funzioni estese a tutta l’azienda. Si possono distinguere in quattrocategorie:•  Approvvigionamento: riguarda la funzione di acquisto degli input

    usati nella Catena del Valore dell’azienda. Sono imputabili a tale attività icosti relativi alle ricerche di mercato poste in essere dall’azienda oacquistate dall’esterno, le spese relative ai contatti con i fornitori, il costodel personale addetto a tale funzione.

    •  Sviluppo della Tecnologia: riguarda le attività finalizzate almiglioramento dei prodotti e dei processi. A tale attività possono essereimputati sia i costi relativi specificamente all’attività di ricerca e svilupposia, in genere, tutti i costi relativi allo sviluppo del know-how, delle

     procedure informatiche, delle tecnologie di produzione, dei progetti e deglistudi di fattibilità.

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    •  Gestione delle Risorse Umane: è l’insieme delle attività che hanno ache fare con la ricerca, l’assunzione, l’addestramento, lo sviluppo di tutte letipologie di personale. Ovviamente i costi attribuiti sono quelli legatiall’acquisizione dell’esterno o allo svolgimento interno di tali attività.•  Attività Infrastrutturali: operano a sostegno dell’intera Catena del

    Valore e comprendono la Direzione Generale, la pianificazione,l’amministrazione, la finanza. Ad esse vanno imputati i costi per la gestionedegli uffici amministrativi e direzionali e per l’acquisizione delle procedureinformatiche ad essi relativi.

    Ogni azienda ha una propria Catena del Valore è però possibilecostruirne una generica che comprende il margine e le attività generatrici divalore. Il margine è, in pratica, il valore che si ottiene come differenza tra ilricavo totale ottenuto dalla vendita del prodotto e i costi che sono attribuibili

     per quota parte alle diverse attività. Per ogni attività si può individuare ilcontributo al margine analizzando come essa interviene nella creazione delvalore e quali sono i costi che la caratterizzano, in una prospettiva di

     pianificazione, infatti, la catena del valore indica al manager come è possibile intervenire, attività per attività, per aumentare il profitto aziendaleadottando una strategia che ha come obiettivo il raggiungimento di unvantaggio competitivo di leadership di costo o di differenziazione. Insostanza si può scegliere di intervenire sul margine in due modi: cercando diridurre i costi, agendo, ad esempio, sull’attività di produzione per larealizzazione di economie di scala o sull’attività logistica al fine di ridurre icosti legati alla gestione delle scorte; tentando di aumentare i ricavi, agendo,ad esempio, sull’attività di marketing e vendite per creare un’immagine dimarca che induca i consumatori a pagare un prezzo maggiore, rispetto aquello fissato dai concorrenti, per acquistare il prodotto.

    Il Vantaggio Competitivo si può conseguire o ottimizzando la gestionedi diverse attività, in modo da ottenere un risparmio di costi in quellecollegate, o coordinando la realizzazione delle varie attività, per esempio dal

     punto di vista temporale. Un esempio di ottimizzazione nella gestione delleattività di approvvigionamento risiede nel fissare specifiche più rigorose peril materiale o migliorare il controllo di qualità al fine di ridurre i costi diassistenza. Invece un esempio tipico di coordinamento tra diverse attività

     primarie potrebbe essere quello di sincronizzare temporalmente le attivitàoperative, di logistica in uscita e di servizio, al fine di rendere la consegna

     più puntuale. Comprendere come sfruttare tali collegamenti è spesso

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    complicato e necessita di un gran numero di informazioni, ecco perchéessere capaci di farlo spesso produce una fonte sostenibile di VantaggioCompetitivo. 

    L’analisi della Catena del Valore così come proposta da Porter puòessere utilizzata come strumento:

    •  Descrittivo, perché consente di fotografare l’aziendaindividuando le attività strategicamente rilevanti sulle quali ilmanager può intervenire per raggiungere specifici obiettivi

    Costruire la reputazione lungo la Catena del Valore: il caso Levi

    Strauss Corporation

    La mission dell’impresa moderna è la soddisfazione, in contemporanea,delle esigenze di tutti gli stakeholders cioè l’adozione di un comportamentosocialmente responsabile. Tale comportamento, se affiancato ad unaadeguata politica di comunicazione, infatti, si traduce in un miglioramentodella reputazione aziendale che genera, nel lungo termine, un miglioramentodelle performance aziendali . Affinché l’azienda ottenga questo risultato,

     però, deve intervenire su tutte le attività strategicamente rilevanti definendoil proprio comportamento nei confronti degli stakeholders con i quali essa siconfronta attività per attività, per questo può essere utile applicare ilmodello della catena del valore. La Levi Strauss Corporation è stata spessocitata come esempio di azienda socialmente responsabile proprio perché èriuscita ad agire in questo senso su tutte le attività generatrici di valore.La Levi Strauss Corporation venne fondata a San Francisco nel 1853 da unimmigrato bavarese, si occupò inizialmente in modo esclusivo della

     produzione di abbigliamento in tessuto Jeans, solo nel 1980 è entrata nelmercato dei Docker Casual Pant che divenne rapidamente uno dei prodottidi abbigliamento più venduti prima negli Stati Uniti e poi nel resto del

    mondo. Nel corso degli anni l’azienda ha investito molto per migliorare lasua reputazione di azienda socialmente responsabile agendo su tutte leattività della catena del valore.(fig.1)

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    Fig.1: La Catena del Valore di un’azienda socialmente responsabile:Levi Strauss Corporation

    Fonte: Preece, Fleisher, Toccacelli (1995) 

    ATTIVITA’ PRIMARIE:Logistica in Entrata. La Levi Strauss è molto attenta nella gestione deirapporti con i fornitori basati su relazioni di interdipendenza reciprocafondate sulla fiducia. Le aziende fornitrici sono considerate come estensionedella organizzazione aziendale anche e soprattutto quando sono collocate in

     paesi in via di sviluppo. È il caso, per esempio, di una impresa delBangladesh in cui erano impiegati minori di età inferiore ai 14 anni, la LeviStrauss ha mantenuto con essa relazioni di fornitura pagando affinché i proprietari dell’impresa continuassero ad erogare il salario a 25 minori

    dipendenti anche se essi invece di lavorare frequentavano la scuola.Attività Operative. La Levi Strauss investe continuamente in nuovetecnologie e in formazione dei lavoratori per ottenere prodotti di alta qualitàrealizzati con processi eco-compatibili.Logistica in Uscita. L’azienda mantiene rapporti molto stretti con le impresedistributrici, garantendo un continuo scambio di informazioni attraverso lacostituzione di una rete Edi.

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    Marketing e Vendite. Il successo della Levi Strauss è dovuto in gran partealla sua politica pubblicitaria basata sulla realizzazione di campagneinnovative ed originali, che vengono realizzate con la collaborazione diagenzie pubblicitarie con le quali l’Azienda intrattiene relazioni di lungo

     periodo. Un altro importante fattore che ha contribuito a creare una positivaimmagine aziendale è stata la creazione di punti vendita dedicati alladistribuzione esclusiva di capi Levi’s (Levi’s Only Stores). Infine la LeviStrauss Corporation è nota per essere una delle aziende che sostiene più davicino la campagna per la prevenzione dell’AIDS.Servizi. In questa area l’attenzione dell’azienda si è concentrata

     prevalentemente sulla tutela ambientale istituendo operazioni di riciclo deicapi in jeans usati e di trasformazione degli scarti del denim in carta(salvando la vita ad oltre 8000 alberi).

    ATTIVITA’ DI SUPPORTO:Approvvigionamento. La scelta dei fornitori non avviene solo in funzionedelle caratteristiche della fornitura (costo, qualità, innovazione) ma anche in

     base alla reputazione delle aziende fornitrici in tema di rispetto dei diritti deilavoratori e dell’ambiente.Sviluppo della Tecnologia. Il continuo investimento in questa funzioneconsente alla Levi Strauss non solo di realizzare prodotti qualitativamentemigliori ed eco-compatibili, ma anche di competere con successo in tutto ilmondo senza dover ricorrere allo sfruttamento dei lavoratori nei paesi in viadi sviluppo.Gestione delle Risorse Umane. La Levi Strauss è molto attenta a garantireuna elevata qualità del lavoro stimolando il lavoro di gruppo e attraverso un

     processo di coinvolgimento delle risorse umane legato alla concessione diun maggior livello di autonomia.Attività Infrastrutturali. La Direzione dell’azienda contribuisce a diffonderea tutti i livelli dell’organizzazione e anche all’esterno i principi dellafilantropia e della responsabilità sociale.

    Fonte: Preece, Fleisher, Toccacelli (1995), Building a reputation along the value chain at

    Levi Strauss, in Long Range Planning, Vol.28, n.6, pp. 88-98. 

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    •  Di pianificazione strategica, perché individuando il contributo intermini di costo e valore per ogni singola attività il manager puòdefinire in quali aree intervenire per raggiungere un vantaggiocompetitivo.

    La Catena del Valore dell’Olio Extravergine da agricoltura biologica

    Lo strumento della Catena del Valore è stato utilizzato dall’OsservatorioInternazionale di Olivicoltura Biologica per evidenziare, attraverso una analisi

    delle attività strategicamente rilevanti e del loro contributo al margine nel processo di trasformazione e di confezionamento dell’olio biologico, le possibili fonti del vantaggio competitivo per i due operatori che partecipano aquesto processo: l’azienda agricola e l’imbottigliatore.

    DETERMINAZIONE DELLE ATTIVITA’ GENERATRICI DI VALORE.

    ATTIVITA' PRIMARIE

    - Logistica in entrata:Stoccaggio olio sfuso (per l'imbottigliatore)

    Stoccaggio olive certificate (per l'azienda agricola)- Attività operative:ConfezionamentoManutenzioneEnergiaMano d'opera

    - Logistica in uscita:Stoccaggio olio confezionatoTrasporto olio confezionato

    - Marketing e venditePubblicitàPromozione

    ATTIVITA' DI SUPPORTO- Approvvigionamento

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    Ammortamento impianti di confezionamentoOlio BIOBottigliaTappo, dosatore, sigillo ed eventuale collarinoEtichetta e controetichettaImballaggi

    - Sviluppo della tecnologiaSpese di ricerca e sviluppoCosto della certificazione (considerandolo come attività che migliora la

    qualità del prodotto e genera valore, ma indirettamente).Eventuali assicurazioniAnalisi e controllo di qualità

    - Attività infrastrutturaliAmministrazione – Direzione -Pianificazione.

    CONTRIBUTO AL MARGINEAnalizzando la struttura della catena del valore per le due aziende, si nota chel'incidenza delle attività primarie è simile per le due tipologie, ma la

    composizione è diversa, in quanto, per l'imbottigliatore, hanno un'incidenzamaggiore le attività di marketing e vendite (mediamente del 4%), mentre perl'azienda agricola risultano avere un'incidenza maggiore le attività operative,in particolare le attività di molitura (intorno al 5-6%).(figg.1-2)

    Per le attività che Porter classifica come di supporto, ha un peso rilevante lamateria prima (olio bio); nel caso dell'imbottigliatore più del 50% in media,mentre per l'azienda agricola, considerando l'attività di molitura, si registrauna incidenza inferiore (intorno al 34-35%).

    Infine l'analisi dei margini evidenzia la diversità delle due tipologieesaminate; in quanto per l'imbottigliatore i margini aziendali sono contenuti

    in un range che va dal 7,58%, nel caso di vendita alla GDO, al 9,64% per lacessione del prodotto sul mercato estero. I margini spuntati dalla distribuzionesi attestano su un livello che va dal 14% circa per la GDO, al 22% nel casodei mercati esteri.

     Nel caso dell'azienda agricola, integrata verticalmente che produce, trasforma, imbottiglia e commercializza, la situazione è diversa, in quanto i margini

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    aziendali sono più alti, anche in considerazione delle minori quantitàcommercializzate come olio imbottigliato. Essi sono compresi in un intervalloche va dal 15 al 18%. In questo caso non si riesce a seguire il prodotto finoallo scaffale, ma ,mediamente, i margini della distribuzione si attestano su unlivello che varia dal 30 al 40% circa.

    Fig.1: Catena del Valore dell’azienda agricola e incidenza sul margine dellediverse attività

    Servizi

    Stoccaggi

    o olivecertificate

    (0.20%)

    Confezion

    amento,

    manutenzi

    one,energ

    ia,manod

    opera

    (10%)

    Stoccaggi

    o e

    trasporto

    olio

    sfuson

    (1.5%)

    Pubblicità,

    promozione

    (4.2%)

     Amministrazione, direzione, pianificazione (0.5%)

    Gestione delle risorse umane

    R&S, certificazione, controllo qualità (0.5%)

     Ammortamento, olive, imballaggio(34-35%)

     Fonte: rielaborazione da Porter (1985)

    Fig.2: Catena del Valore dell’imbottigliatore e incidenza sul margine dellediverse attività

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    Servizi

    Stoccaggio olio

    sfuso(2.6%)

    Confezion

    amento,manutenzione,energ

    ia,manod

    opera(1.7%)

    Stoccaggi

    o etrasportoolio

    confezion

    ato (2.1%)

    Pubblicità,promozion

    e(4.2%)

     Amminist razione, direzione , pianificazione (0.3%)

    Gestione delle risorse umane

    R&S, certificazione, controllo qualità (3%)

     Ammortamento, olio, bo ttiglia, et ichetta (60%)

     Fonte: rielaborazione da Porter (1985)

    ANALISI DELLE FONTI DI VANTAGGIO COMPETITIVOLe peculiarità del settore e dell’olio biologico hanno evidenziato alcune vociin grado di esprimere una eventuale strategia di differenziazione. In

     particolare per entrambi gli operatori si è notato la rilevante incidenza delcosto della materia prima, l’elevata qualità di questo input influiscedirettamente sulla qualità del prodotto finale, essa rappresenta una delle

     principali fonti di differenziazione. Per l’imbottigliatore la differenziazione si

     può attuare anche intervenendo sulle attività operative al fine di rendere piùattraenti i prodotti, sulla logistica in uscita per migliorare la puntualità delleconsegne, sullo sviluppo delle tecnologie migliorando il controllo di qualità.Per questo soggetto risultano strategicamente rilevanti anche le attività dimarketing e vendite sulle quali l’azienda interviene per comunicare ai clientiun’immagine di qualità del proprio prodotto.Per l’azienda agricola, invece, risultano maggiormente rilevanti come fonte di

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    differenziazione le attività operative, solo una gestione attenta di questeultime, infatti, consente all’azienda di migliorare la qualità della sua

     produzione, qualità che l’azienda agricola comunica ai suoi clienti attraversoun contatto diretto con gli imbottigliatori che la prediligono come fornitore

     proprio in ragione di questa caratteristica.

    Fonte: Osservatorio Internazionale Olivicoltura Biologica

    •  Di valutazione delle strategie, perché l’adozione di unastrategia piuttosto che di un’altra modifica la configurazione dellaCatena del Valore con conseguente modifica del margine. Ciòconsente al manager di valutare se la strategia adottata in passato hacontribuito ad incrementare o meno il valore per l’azienda.

    3.1.2 Le critiche al modello tradizionale della Catena del Valore

    Il modello della Catena del Valore è stato oggetto di numerose critiche da parte di Autori di epoche successive che ne hanno evidenziatol’inadeguatezza sia come strumento descrittivo, in quanto sia laclassificazione delle attività proposta dal modello tradizionale sia la

    definizione di valore da esso fornita sembrano non riuscire a cogliere lacomplessità dell’impresa moderna, sia come strumento di pianificazione, inragione della sua natura statica.

    Con riferimento al primo aspetto è stato osservato che la funzioneFinanza è stata trascurata dall’Autore che la include tra le AttivitàInfrastrutturali in posizione di supporto, mentre sarebbe più correttoconsiderarla come un’attività primaria, in quanto è a questa funzione checompete l’impiego e il reperimento dei fondi necessari per l’operatività e losviluppo aziendale. Anche la Tecnologia viene inclusa tra le funzioni disupporto, ma si è notato come, con l’avvento dell’informatica, essa non può

     più essere considerata solo di competenza della Ricerca e Sviluppo ma

     pervade tutte le attività aziendali influenzando il Vantaggio Competitivo intutte le funzioni chiave del management. Anche la funzione Marketingsembra non essere adeguatamente rappresentata nel modello proposto daPorter che ne evidenzia esclusivamente l’aspetto operativo trascurandone il

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    ruolo strategico1, in sostanza il modello della catena del valore sembra nonallontanarsi più di tanto dal concetto di filiera produttiva, che identificanella trasformazione fisica del prodotto il processo fondamentaledell’impresa2, elemento, questo, che lo rende poco adatto ad esprimere lacomplessità dell’impresa moderna.3  Infine, analizzando la concezione divalore proposta nel modello alcuni autori hanno sottolineato come ladefinizione di valore generato dall’impresa presente nel modello dellaCatena del Valore non comprenda il concetto di creazione di valore per ilconsumatore che deve costituire uno dei principali obiettivi di un’impresache voglia ottenere un vantaggio competitivo.

    Al contrario con riferimento alle potenzialità di utilizzo del modello èstata sottolineata la difficoltà di applicazione come strumento decisionale exante, utile a definire quale tipo di strategia attuare, in quanto, da un lato, laconfigurazione della catena e la distribuzione dei costi per le singole attivitàcambia in funzione della strategia adottata4 e, dall’altro, tale configurazionesi basa sull’individuazione di legami generici attuali all’interno dellestrutture esistenti, mentre l’elaborazione della strategia competitiva deve

    1 Day (1992) rielabora il modello di Porter costruendo una Catena del Valore orientata alMarketing, che compare sia tra le attività primarie che tra le attività di supporto come

    funzione di integrazione della Direzione Generale per garantire un orientamento al mercatonello svolgimento di tutte le attività creatrici di valore.2 in Di Bernardo (1989) op. cit pag

    3

     Nel lavoro di Porter, invece, come nota l’Autrice, appare sottovalutato il problema deicosti e dei rendimenti congiunti che sono invece il terreno essenziale del funzionamento deisistemi complessi dato che una parte non ha alcun valore utile se si prescinde dalla suacollocazione sistemica.

    4 . La catena del valore, quindi, può essere utilizzata solo come strumento di valutazioneex post al fine di definire le possibili aree di inefficienza all’interno dell’azienda.(DiBernardo, 1989).

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    essere il risultato di una proiezione futura e deve considerare le verosimilirisposte dei rivali.

    3.1.3 Catena del valore e competenze distintive 

    Alla luce di queste considerazioni, alcuni autori, facendo leva sui limitidell’approccio porteriano, hanno rilevato la necessità di integrare il modelloclassico con informazioni e strumenti orientati a misurare il contributo dellerisorse immateriali per il raggiungimento del vantaggio competitivo(Resouce based View) (Wernerfelt,1984; Rumelt, 1984; Barney,

    1986,1991).A tal proposito, sembra opportuno richiamare il modello proposto dallo

    stesso Porter (1991) che descrive il percorso che partendo dai “drivers” di base consente di identificare le attività della catena del valore sulle qualiinteragire per raggiungere un vantaggio competitivo. Questi drivers possonoessere ricondotti alle risorse materiali o immateriali a disposizionedell’impresa che, combinate tra loro, danno luogo alle diverse attività. Talecombinazione non avviene allo stesso modo per tutte le imprese in quantodipende, da un lato, dalla catena del valore iniziale e, dall’altro, dalle sceltemanageriali che agiscono in modo longitudinale lungo tutto il processo dicreazione del valore.

    Ogni attività della Catena del Valore può essere interpretata come uninsieme di risorse perchè occupa risorse umane, utilizza specifichetecnologie e specifici input, fa uso di capitali (Hofer e Schendler, 1976).Talirisorse, però, non sono utilizzate singolarmente ma devono essere combinatetra di loro per produrre un qualche valore, danno luogo cioè a specifichecompetenze: competenze produttive, logistiche, di commerciali....(Teece,Pisano e Shuen,1994). Il modello di Porter può essere, quindi, arricchito allaluce di una visione dell’impresa come insieme di competenze, più che diuna catena di attività si può parlare di una catena di competenze (primarie edi supporto), che identificano unità distinte e non ulteriormente divisibili. La

    necessità di collegare i due approcci teorici deriva anche dallaconsiderazione che l’ottica delle competenze, proprio perché appareconcentrata esclusivamente all’interno dell’azienda, non consente dievidenziare tutte le motivazioni che sono alla base della generazione dielevate performance aziendali. Del resto è proprio attraverso questainterazione tra impresa e mercato che si possono generare nuove risorse perl’impresa nella misura in cui le risorse e le capacità emergono sul mercato e

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    generano un vantaggio competitivo per l’azienda (Ray, Barney, Muhanna,2004).

    La descrizione dell’impresa come una catena di competenze isolate nonconsente di determinare le effettive fonti del vantaggio competitivo. Avereelevate competenze nell’attività di produzione può consentire all’impresa diottenere un vantaggio pro-tempore rispetto ai concorrenti, ma non diassicurarsi una posizione difendibile sul mercato. Le competenze distintive(Hamel e Prahalad,1995) travalicano i confini delle diverse attività erisiedono più che altro nella capacità di coordinare e ottimizzare le diversecompetenze di base, riguardano cioè quelli che Porter definisce

    collegamenti interni alla catena del valore. Per ottenere un vantaggiocompetitivo, di qualsiasi natura esso sia, non basta agire su una singolaattività della catena del valore (singola competenza di base) ma è necessariocoordinare più attività (competenze distintive). Per esempio il vantaggio dileadership di costo si può ottenere coordinando l’attività di produzione conl’attività logistica, ciò, infatti, consente all’azienda di ridurre i costiriducendo il volume delle scorte attraverso la realizzazione di un sistemaintegrato di gestione difficilmente imitabile dai concorrenti, per certi versicontenuto nell’attività trasversale di approvvigionamento.

    D’altra parte, i confini di una attività, intesa, così come intende Porter,come entità fisicamente e tecnologicamente distinta, non semprecorrispondono ai confini della specifica competenza (per esempio le attivitàdi logistica in entrata e di logistica in uscita richiedono competenze similitanto da giustificare l’attribuzione della loro gestione ad un singolomanager, lo stesso si può dire delle attività di marketing e servizi postvendita). Questo consente una prima modifica del modello classico, poichéla necessità di identificare delle competenze distinte e indivisibili conducead una riduzione del numero di attività primarie, ad esempio logistica inentrata e logistica in uscita sono considerate un’unica competenza integrata,così come marketing e vendite e servizi post vendita.

    Quindi alla classificazione tradizionale delle attività primarie se ne

    sovrappone una nuova basata sulle competenze primarie, che possono esseredivise in competenze logistiche, produttive e commerciali. Tali competenzeappaiono come combinazioni di risorse elementari e possono essere definitecompetenze di base perché prese singolarmente non garantiscono ilraggiungimento di un vantaggio competitivo (non sono competenzedistintive).

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    Fig. 3: La catena delle competenze aziendali

    Anche per le attività di supporto è possibile pensare ad una nuovariclassificazione che distingue tra competenze di general management, diinnovazione, di gestione delle risorse umane e di approvvigionamento. Adifferenza delle competenze primarie, queste competenze possono essereconsiderate come distintive proprio in ragione della loro trasversalità.

    Infatti, si è già accennato come la fonte del vantaggio competitivo nonrisieda nelle singole attività ma nella capacità di gestire i collegamenti tra lediverse attività della catena del valore interna e tra la propria catena delvalore e quella degli altri attori che compongono il sistema. Le attività disupporto (competenze trasversali) svolgono proprio questo compito dicoordinamento dei collegamenti trasversali, in quanto alcune hanno ilcompito di agire sulla gestione e sulla organizzazione delle risorse presenti

    Competenzecommerciali  

    Competenzecommerciali 

    Competenzelogistiche

      Magazzinooutputs

      Scorte  Vettori

    Competenze produttive

    Competenzelogistiche

      Magazzinoinputs

      Scorte  Vettori

    Competenze di general management

    Competenze per lo sviluppo della tecnologia

    Competenze per la valorizzazione delle risorse umane

    Competenze per l’approvvigionamento

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    in più attività primarie (per esempio le competenze di general managementgestiscono le risorse finanziarie, quelle di gestione delle risorse umanegestiscono il personale, quelle di sviluppo della tecnologia gestiscono lerisorse tecnologiche), mentre altre attività, come quelle diapprovvigionamento, gestiscono le relazioni con le altre imprese e, in

     particolare, si occupano di coordinare in modo adeguato i collegamenti conla catena del valore dei fornitori.

    Sul piano teorico, dunque, se è chiaro, che non si può più accettarel’ipotesi che vede i due approcci teorici, quello porteriano e quello della

     Resource Based View, come contrapposti è pur vero che potrebbe essere

    utile rivisitare un modello teorico che, da un lato, consideri quelle che sonole competenze presenti all’interno dell’azienda, dall’altro, valuti comequeste competenze si identificano nelle singole attività per contribuire arealizzare le performance aziendali.

    Per cui, piuttosto che approfondire lo strumento della catena del valore inun’ottica tradizionale quale elemento di scomposizione del processo digenerazione del valore, può essere utile utilizzarlo quale traccia, ossatura diun discorso mirato ad evidenziare e scomporre il complesso di risorse ecompetenze a disposizione del management strategico.

    3.2. Risorse e competenze nelle attività primarie

    3.2.1. La produzione

    Indipendentemente dalle loro caratteristiche, tutte le imprese svolgono, al proprio interno, un’attività di trasformazione (produzione)5.

    Il concetto di trasformazione si lega strettamente al concetto di produzione ma è più generale. Infatti, il concetto di produzione evoca,generalmente, un processo chimico-fisico di trasformazione di materiali inaltri materiali aventi diverse caratteristiche e funzioni d'uso. Il processochimico-fisico, in realtà, è quasi sempre presente ma, in molti casi, non

    rappresenta la parte sostanziale della trasformazione: per esempio, iltrasporto è finalizzato a spostare qualcosa nel tempo e nello spazio e cometale viene studiato (velocità del trasporto, sicurezza, ecc.): il fatto che ilgasolio per autotrazione subisca una trasformazione chimico-fisica in

    5 Il termine “produzione” e’ generalmente utilizzato con riferimento alle trasformazionifinalizzate alla realizzazione di beni da immettere sul mercato in un momento successivomentre negli altri casi e’ opportuno utilizzare il termine, piu’ generico, di “trasformazione”.

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    seguito al suo utilizzo nel motore diesel, non appare, in questo caso,l'aspetto rilevante delta trasformazione. Anche le imprese commerciali noneffettuano una trasformazione chimico-fisica, come le banche e molteimprese del settore dei servizi.

    L’impresa manifatturiera trasforma materie prime, componenti,semilavorati in prodotti che possono essere destinati ad un mercato finale oad un mercato intermedio. Un'impresa automobilistica, per esempio, utilizzamaterie prime, semilavorati (lamiere di acciaio, ecc.) e componenti (ilcruscotto, i vetri, gli pneumatici) per produrre autovetture destinate ad unmercato finale.

    I semilavorati sono materiali che hanno bisogno di ulteriori lavorazioni per poter entrare a far parte del prodotto finito; i componenti entrano a far parte del prodotto finito (automobile) e non hanno bisogno di ulteriorilavorazioni (per esempio, gli pneumatici).

    Ai fini dello studio delle trasformazioni, l'impresa può essere vista comeuna "scatola nera" avente la proprietà di trasformare gli input (materie

     prime, semilavorati, prodotti finiti) in output (prodotti). Questo processo ditrasformazione è governato dalla funzione di produzione.

    Le scelte che tale funzione deve affrontare sono varie e si possonodistinguere in scelte a livello infrastrutturale (dimensione, localizzazione,grado di focalizzazione degli impianti, grado di integrazione verticale edorizzontale), scelte a livello organizzativo (struttura organizzativa,meccanismi di coordinamento, competenze e incentivazione delle risorseumane) e scelte più strettamente produttive. In questo ambito specifico, le

     principali modalità di intervento risultano costituite dall’introduzione disoluzioni produttive a diversi gradi di contenuto tecnologico e gestionaleche determinano i livelli di automazione ed integrazione delleapparecchiature e i sistemi di governo delle stesse (pianificazione econtrollo della produzione e sistemi di qualità) (fig.1).

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    Fig. 1 −  Aree decisionali nella politica di produzione

    Fonte: ns. adattamento da Hayes e Wheelwright, 1984.

     Nonostante l’ adozione di una adeguata politica di produzionecoinvolga tutte le attività della catena del valore, è possibile, tuttavia,isolare delle problematiche peculiari della funzione di produzione e chedevono essere affrontate all’interno di questa attività. Si fa riferimento,in particolare alla scelta di un adeguato processo produttivo, alladefinizione del livello di capacità produttiva ottimale, alla scelta delletecnologie produttive da adottare. Tali decisioni dovrebbero essereorientate al soddisfacimento delle priorità competitive della funzione di

     produzione.

     Priorità competitive della funzione di produzione

    Politica di

    marketing/venditePolitica di

    produzione

    Politica di

    R&S

    Strategia di

    area di affari

    Strategia aziendale

     

     Dimensione Localizzazione Grado di focalizzazione  Grado di integrazione

    verticale e orizzontale

     Grado di automazione Grado di integrazione delle

    apparecchiature Sistemi di programmazione

    e controllo della produzione Sistemi di qualità

     Competenze dellerisorse umane

      Struttura organizzativa  Meccanismi di

    coordinamento

    Scelte Infrastrutturali Scelte Produttive Scelte Organizzative

    I  m pi   a n t  i  

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    Una delle priorità competitive citata con più frequenza in letteratura ericercata con maggiore insistenza nella pratica operativa riguarda lariduzione dei costi di produzione attraverso un aumento della produttività.

    Le nuove soluzioni tecnico-produttive influenzano marcatamente il costodi produzione in tutte le componenti elementari, dal costo delleimmobilizzazioni tecniche al costo del lavoro diretto ed indiretto; dal costodelle materie prime, dei componenti e dei semilavorati necessari per losvolgimento del processo produttivo al costo del capitale.

    La riduzione di costo totale ottenibile con una nuova tecnologia dovrebbeessere la risultante di un saldo positivo tra la riduzione del costo del lavoro

    diretto e l’aumento del costo delle immobilizzazioni tecniche (atteso chenulla è dato inferire a priori sull’effetto delle nuove soluzioni tecnico-

     produttive sul costo delle materie prime, dei componenti e dei semilavorati eche dall’introduzione di una nuova tecnologia vi è semmai da attendersi, in

     prima istanza, un aumento del lavoro indiretto).L’aumento di produttività può essere ottenuto attraverso una riduzione

    dei lead-time  produttivi che sono generalmente associati alle nuovetecnologie: riuscire a comprimere i tempi dei cicli significa, infatti, a paritàdi costo del lavoro, delle materie prime e delle immobilizzazioni tecniche,ridurre il costo unitario di produzione per l’aumento della quantità prodottanel periodo di tempo considerato.

    Va osservato che la riduzione dei tempi di produzione potrebbe ancheottenersi dall’adozione di soluzioni potenzialmente svincolate da costosiinvestimenti (tipicamente il  JIT   e il Kanban,  che possono richiedereinvestimenti minimi); in questo caso il costo delle immobilizzazionitecniche da controbilanciare sarebbe esiguo. Proprio il ridotto costo diqueste soluzioni, d’altra parte, ne spiega la pervasività.

    Mentre la produttività incide sul risultato economico attraverso unafunzione moltiplicativa (quantità prodotta nell’unità di tempo), la flessibilitàinfluisce attraverso l’ampiezza della gamma6. La relazione esistente tra

    6 Il concetto di flessibilità assume molteplici aspetti che, ove si vogliano enunciarenel dettaglio, fanno aumentare notevolmente la complicazione formale. Browne e al.(1984) e Sethi e Sethi (1990) fanno il punto sulle definizioni comunemente accettatedella flessibilità, sia in letteratura che nella pratica operativa, pervenendo al seguentecomplesso insieme:− Flessibilità della macchina : capacità di realizzare varie modalità di funzionamento senzarichiedere eccessivi costi e tempi nel passare da una modalità all’altra.− Flessibilità dell’handling del materiale : capacità di movimentare efficientemente i

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    queste due priorità competitive può essere dedotta dalla figura 2 in cui sonodescritti gli andamenti della produttività e flessibilità dal punto di vistatecnico.

    Il significato (tecnico) che le grandezze considerate assumono nellafigura 2 sono, rispettivamente, quelli di volume di produzione ottenuto in undato periodo di tempo (produttività) e di numero di famiglie di prodottidifferenti che un impianto può produrre nel periodo considerato. Alriguardo, va osservato che la flessibilità tecnica ha un significato edun’importanza soprattutto potenziali 7.

    Per effetto dei significati attribuiti alle grandezze considerate, gli

    impianti collocati nella zona in basso a destra della figura 2 sono piùflessibili, mentre quelli prossimi al vertice in alto a sinistra presentano lamaggiore produttività. Dalla figura, si evince, in primo luogo, che le due

     priorità competitive sono tra loro inversamente correlate e ciò pone unsevero vincolo all’attuazione di politiche volte alla loro ottimizzazionecongiunta.

    differenti tipi di componenti per un’adeguata lavorazione e posizionamento attraversol’impianto di produzione.

    − Flessibilità   di funzionamento dell’impianto: capacità di svolgere le attività in modidifferenti (generalmente attraverso il cambiamento della sequenza delle operazioni).− Flessibilità di processo: numero di prodotti (componenti) che il sistema può produrresenza incorrere in set-up rilevanti.− Flessibilità di prodotto: facilità con cui nuovi prodotti possono essere aggiunti osostituiti al mix  corrente.− Flessibilità di routine : capacità di disporre itinerari alternativi di produzione attraversoil sistema.− Flessibilità di volume : capacità di funzionamento efficiente ai differenti livelliquantitativi di output (elasticità).− Flessibilità di espansione : facilità con cui le capacità e le potenzialità possono essereaumentate quando è necessario ( modularità  ).− Flessibilità di programma : capacità del sistema di funzionare per un lungo periodoanche in assenza di manutenzione.

    − Flessibilità di produzione : ampiezza della gamma producibile senza dovere effettuareulteriori investimenti in immobilizzazioni tecniche.− Flessibilità di mercato: facilità con cui il sistema di produzione può adattarsi aimutamenti di mercato.

    7  Slack (1983) sottolinea che i prodotti che un impianto realmente produce nonnecessariamente ne riflettono la flessibilità. Rispetto alle altre priorità competitive,quali il basso costo o l’alta qualità, che devono necessariamente tramutarsi in capacitàcompetitive (priorità realizzate), la flessibilità è tipicamente una capacità potenzialepiuttosto che effettiva.

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    Fig. 2 - Relazione tecnica tra produttività e flessibilità

    Fonte: ns. adattamento da Goldhar e Jelinek (1983) e da Upton (1992).

     Nonostante il campo elettivo di perseguimento della flessibilità sia

    costituito proprio dalle imprese ad ampia gamma (produzioni di piccola emedia serie), essa riveste importanza strategica e interessa qualunquetipologia di produzione; è stato osservato (Noori, 1989; Tarondeau, 1987)che i tradizionali produttori di piccola e media serie perseguono

     principalmente economie di scopo, mentre le imprese operanti con impiantitradizionali ricercano economie di scala.

       P  r  o   d  u   t   t   i  v   i   t   à

       B  a  s  s  a

       M  e   d   i  a

       A   l   t  a

       2   5

       1   0 .   0

       0   0

       5   0   0

       2 .   0

       0   0

    1 o 2 5001005

    Bassa Media Alta

    Alta AltoBassa

    Bassa

    Alta

    Basso

    IMPIANTI

    CONTINUI 

    AUTOMAZIONE RIGIDA 

    FMS

    CELLE FLESSIBILIDI PRODUZIONE 

    M ACCHINE CONVENZIONALI A CONTROLLO NUMERICO  

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    Assumendo la prospettiva del mercato, le nuove soluzioni tecnico- produttive possono, dunque, consentire alle imprese operanti con piccoleserie di rivolgersi a segmenti di mercato più ampi (per le manovre di prezzoche le economie di scala consentono) ed alle aziende con linee produttive dimaggiori dimensioni di posizionarsi in nicchie precedentemente presidiateda produttori “su misura” (Bianchi 1983).

    La qualità, come la flessibilità, è un concetto multidimensionale inquanto investe molteplici aspetti dei prodotti e dei processi. In letteratura nesono state date molteplici interpretazioni, alcune delle quali costituiscono

    vere e proprie pietre miliari 8 sulla strada della costruzione del concetto.Ognuno dei cosiddetti “guru” della qualità ha fornito una sua diversa

    definizione, spesso modificata nel tempo, del concetto di qualità, ciascunadelle quali ha consentito di ricomprendere dimensioni precedentemente nonincluse.

    Si va, quindi, da “conformità alle specifiche” ad “idoneità all’uso”, da“soddisfazione del cliente” fino a “qualità totale” per poter approfondire letematiche più strettamente produttive, poi quelle della progettazione, delmarketing e, infine, quelle organizzative e gestionali relative alle relazioniinterne ed esterne all’impresa. Questa caratteristica evolutiva del concetto diqualità ha portato ad affermare che esso non rappresenta “una categorialogica, sempre valida e con uguale significato, ma una categoria storica, chetrae significati dal contesto” (Rullani, 1990).

    Pertanto, nell’esaminare i diversi aspetti della qualità sembra opportunoriconoscere i concetti maggiormente pertinenti all’ambito della produzione,

     partendo dalla classificazione ormai “classica” di Garvin (1987), cheenumera otto aspetti, tutti relativi al prodotto: prestazioni primarie,

     prestazioni secondarie, affidabilità, conformità, durevolezza, utilità, esteticae qualità percepita 9.

    8 Copiosi contributi classici al tema provengono da Deming, Juran e Crosby; una

    rassegna del loro pensiero e i riferimenti alle opere più significative sono contenuti inReeves e Bednard (1994).

    9  Le  prestazioni primarie   riguardano le caratteristiche di funzionamento di unprodotto o di un servizio nella sua funzione d’uso (ad es. la nitidezza dell’immagine diun apparecchio televisivo), mentre le prestazioni secondarie  attengono gli accessori all’usostesso (ad es. i sintonizzatori automatici su un televisore). L’affidabilità è la probabilitàche un prodotto o un servizio divenga inidoneo alla sua funzionalità durante unperiodo specificato di tempo. La conformità  è data dal livello di rispetto degli standard  predeterminati da parte di un prodotto o un servizio. La durata  è rappresentata dalla

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    Tutti gli aspetti della qualità considerati nascono prevalentementenell’ambito delle funzioni di ricerca e sviluppo e ingegneria, sono garantitiad opera della funzione di produzione e valorizzati a cura di quella dimarketing.

    È dunque chiaro che la qualità, nel suo carattere pluridimensionale, siottiene con il concorso di più aree funzionali aziendali sebbene alcuni deisuoi aspetti siano maggiormente correlati a specifiche funzioni; in

     particolare, nell’ambito di quella tecnico-produttiva, l’aspetto più rilevante èdato dalla conformità10.

    La conformità diventa il presupposto per il conseguimento dei risultati

    anche sugli altri aspetti della qualità e sulle altre priorità competitive (adesempio, la velocità di consegna e l’affidabilità possono esserecompromesse dal tempo sprecato nel riparare i guasti dovuti ad una scarsaconformità del prodotto agli standard ).

     Nell’assicurare la conformità, la produzione non si limita ad applicare letecniche di controllo statistico; infatti, la ricerca della conformità in ambito

     produttivo richiede l’impiego di tutti i principi, le pratiche e le tecnichesviluppate dal movimento della qualità.

    Per garantire la conformità, la funzione produttiva non potrà basarsi sullemodalità tayloristiche d’organizzazione del lavoro: sebbene il primoconcetto di conformità alle specifiche fosse coerente e funzionale alla

     parcellizzazione fordista, accade che, allorquando si deve organizzare la produzione su una base nuova, la qualità fordista, in cui la conformità èrelativa a standard  rigidi e interni, diventa disfunzionale (Rullani, 1995).

    La conformità, vista nell’ambito di un nuovo e più ampio concetto diqualità, del quale essa rappresenta solo un aspetto particolare, implica ilsuperamento di due punti cardine dell’organizzazione tayloristica: la

     parcellizzazione spinta delle attività elementari e la burocratizzazione dellestrutture con il conseguente predominio delle procedure (Cozzi, 1995). Al

    quantità d’uso che un prodotto può sostenere, prima di deteriorarsi fisicamente o fino

    all’insorgere della necessità di una riparazione non economicamente conveniente. Illivello di servizio riguarda la velocità, la cortesia e la competenza dell’assistenza. L’estetica  è relativa a tutti gli attributi dei prodotti/servizi percepibili sensorialmente. Infine, laqualità percepita  indica la valutazione, da parte del cliente, degli elementi rilevanti per lasua soddisfazione.

    10 Va osservato, a rigore, che anche la conformità potrebbe essere meglio assicuratada particolari soluzioni progettuali e costruttive, compresi i materiali con i quali ilprodotto è realizzato, questioni tipicamente affrontate nella ricerca e sviluppo enell’ingegneria.

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    contempo, la ricerca della conformità richiede l’applicazione dell’insieme, il più ampio, delle innovazioni a rilevante impatto gestionale ed organizzativoincluse nel TQM.

     Le diverse tipologie dei processi produttivi

    La classificazione dei processi produttivi universalmente meglio nota(Woodward, 1965) individua tre tipologie alle quali è possibile, nellagriglia concettuale dell’Autrice, ricondurre tutte le altre: produzionecontinua (di processo); produzione in grande serie (di massa); produzione

    unitaria e in piccola serie.Successivamente la letteratura si è arricchita di proposte di

    classificazione alternative, integrative o complementari a quelle dellaWoodward 11. Tra quelle di maggiore interesse ai fini di un collegamentocon il sistema tecnico-produttivo sottostante si ricordano leclassificazioni evidenzianti distintamente i processi di fabbricazione e diassemblaggio, tra cui quella di Brandolese, Pozzetti e Sianesi (1991).Questo modo di effettuare le classificazioni ha un carattere integrativorispetto a quello della Woodward in quanto evidenzia una quartafattispecie produttiva (l’assemblaggio) avente caratteri di processo

    affatto diversi rispetto ai precedenti

    12

    .Sempre in base al sistema tecnico-produttivo necessario per losvolgimento delle attività, risulta importante la classificazione propostada Tarondeau (1982) che, nell’individuare le tipologie produttiverilevanti, collega ad esse i sistemi di produzione appropriati individuandogli stessi in base ad un loro “grado di flessibilità”. Così, i “sistemi rigidi”o “poco flessibili”, in cui le macchine sono interconnesse funzionalmenteo tecnicamente in un reticolo rigido, sono adatti per le produzionicontinue e per le produzioni di massa; i “sistemi tendenzialmenteflessibili” sono idonei per le produzioni intermittenti a piccoli lotti sumodello per magazzino; i “sistemi flessibili”, in cui le singole

    apparecchiature sono tra loro disconnesse, sono idonei a trattare i problemi posti dalle produzioni di piccola serie o su commessa.

    11  Una rassegna estesa delle più rilevanti proposte di tassonomie dei processiproduttivi enunciate in letteratura è contenuta in Faccipieri e Calcagno (1995).

    12  Nella classificazione originale di Woodward, l’assemblaggio (produzione digrande serie su linee di assemblaggio) è in realtà inclusa nella produzione per grandilotti o di massa (Faccipieri e Calcagno, 1995).

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    La tassonomia proposta si fonda su quattro tipologie produttivecostituite dalle tre basilari della Woodward cui si aggiungel’assemblaggio. Oltre all’adozione di tale impostazione, le  produzionicontinue  vengono distinte in due classi (denominate “tradizionale” e“batch”) mentre quelle in serie vengono suddivise in cinque gruppi conriferimento alle diverse combinazioni flessibilità-produttività che esse

     presentano (tab.1).

    Tab.1. Una classificazione dei processi produttivi basata sulle tipologie di impianti, sul grado di automazione e sul grado di integrazione

     Tipologia produttiva Grado di automazione e di integrazione

     TradizionaleProduzione continua AutomatizzataRipetitiva

     Tradizionale AutomatizzataFlessibile a celle

    Produzione in serie

    Flessibile a sistemi integrati AssemblaggioProduzione unitaria e a piccolilotti

    Fonte: ns. elaborazione

    Assemblaggio

    Si tratta di un processo attraverso il quale differenti tipologie disemilavorati vengono assemblati insieme al fine di realizzare un prodotto

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      30

    finito. La principale ragione per la quale sembra necessario mantenerel’assemblaggio separato dalle altre modalità produttive risiede nelladifficoltà di automatizzare il collegamento di parti diverse sotto il profilogeometrico e delle caratteristiche costruttive e funzionali; tanto è elevataquesta difficoltà che gli studi e le esperienze sull’automazionedell’assemblaggio sono tuttora ad uno stadio iniziale e riguardano parti di

     processo circoscritte.

    Produzioni continue

    In quest’ambito si possono riconoscere due tipologie di processi,denominabili rispettivamente tradizionale e batch, in funzione del gradodi automazione e di integrazione richiesto dalle singole fattispecie

     produttive, che vanno dalla realizzazione di prodotti all’ingrosso,destinati al consumo o all’utilizzo come input di altri processi produttivi(ad es. nylon, carta), alla produzione di specialities  (ad es. i prodottifarmaceutici).

    La produzione è tipicamente per il magazzino, salvo le sporadicheeccezioni in cui l’impresa sia legata a particolari clienti esprimentiun’elevata domanda di un dato prodotto o facciano parte di una rete diimprese tutte concorrenti alla produzione di determinati beni.

    La principale caratteristica delle produzioni continue consiste nella prescrizione di standardizzazione degli output, degli input e delle condizionidi funzionamento degli impianti. Scostamenti anche lievi di temperatura e

     pressione di una “sezione” di una torre di distillazione in un processo petrolchimico – derivante, ad esempio, dall’utilizzo di un greggio petroliferoavente caratteristiche diverse anche di poco rispetto a quelle usuali –determinano alterazioni significative in tutto il processo. Collegata allarigida interconnessione degli impianti, altre caratteristiche della produzionecontinua sono l’ottenimento di beni congiunti e sottoprodotti; la necessità

    del controllo di qualità e di processo. Nonostante una forte analogia tra la produzione continua di tipotradizionale e batch, la manifattura di prodotti speciali presenta un

     potenziale elevato di variabilità nella creazione e nel completamento di un prodotto, realizzato in base ad una “ricetta” che svolge, in questo tipo di produzioni, il ruolo di una “distinta dei materiali” . La “ricetta” può

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    cambiare radicalmente secondo le specifiche del cliente, la disponibilitàdelle apparecchiature, delle materie prime, ecc.

    Per quanto attiene il sistema tecnico, il principale tratto distintivo tra ledue tipologie produttive è che la prima include imprese utilizzanti impiantidi produzione continui e controlli automatici che non hanno la necessità diautomatizzare il loro processo di programmazione della produzione né la

     produzione strettamente intesa né la progettazione per la determinatezza difunzionamento dell’impianto. La seconda, invece, utilizza vari sistemi diautomazione, primariamente MRP, JIT o Kanban, utili appunto a governarela varietà e la variabilità richieste dal cambiamento della ricetta.

     Nella classificazione proposta, si può riscontrare un’analogia con ladivisione tradizionale fra automazione fissa e flessibile; l’analogiaconsiste nel fatto che la produzione continua tradizionale è suscettibile diapplicazioni di automazione fissa mentre quella di tipo batch  ha una

     prospettiva di maggiore flessibilità. Nell’automazione fissa, infatti, il sistema automatizzato è strettamente

    finalizzato a realizzare il prodotto nel modo più efficiente possibile sulla base delle specifiche di progetto dello stesso. Nell’automazioneflessibile, per converso, le macchine presentano gradi di libertà anchenotevoli rispetto al prodotto in quanto possono essere riprogrammate perfabbricare molti beni (o famiglie di prodotti) diversi.

    Produzioni in serie

    La tipologia produttiva costituita dalle produzioni in serie è ampia ecomposita. In essa si ritrovano produzioni che vanno dagli altissimi edalti volumi di pochi prodotti standardizzati (produzioni di massa) avolumi limitati di un numero a volte consistente di famiglie diverse di

     prodotti.In quest’ambito, una prima distinzione opportuna è quella tra

     produzione di grandi serie (ripetitiva) e di medio-piccole serie.

     Nella tipologia di produzione “ripetitiva”, il modello cui si ispira il processo produttivo è fondamentalmente quello di tipo continuo. Nellatipologia produttiva di media serie, invece, ricadono una serie disottoclassi. Nel primo tipo di produzione, il vincolo di interconnessionetra le singole apparecchiature costituenti l’impianto è tale da configurareimpianti rigidi che nel loro funzionamento presentano molte analogie conle produzioni continue. Nella produzione di grande serie, infatti,

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    caratterizzata da una standardizzazione vincolante sia di processo che di prodotto, risultano importanti gli alti volumi di produzione e le economiedi scala ottenibili attraverso l’esercizio dell’impianto in modo piùripetitivo e continuo possibile. Questa circostanza distinguesensibilmente la produzione ripetitiva dagli altri processi presenti nellaclasse in esame in quanto essa si basa su impianti “dedicati” (tipicamentelinee transfert   rigide) mentre gli altri hanno a base singole macchine acontrollo numerico (CN) tra loro più o meno collegate.

    Ciò impedisce di pensare a percorsi di sviluppo tecnico-produttivodiversi da consistenti ristrutturazioni (sostituzioni dell’intero impianto) e

    dalle razionalizzazioni di processo possibili attraverso la programmazione della produzione basata sulla produttività (Kanban, Justin Time). Nelle altre classi identificate, i volumi produttivi sonotipicamente inferiori rispetto a quelli della produzione ripetitiva. Inquest’ambito si possono riconoscere ulteriori sottoclassi, definite nelseguito, sulla base del tipo di sistema tecnico che utilizzano e,

     precisamente, da:−   produzione in serie flessibile “a sistemi integrati”. In questa

    tipologia produttiva, le imprese tendono a realizzare l’integrazione tra più macchine −  o tra più celle di produzione −  fino a configurare unsistema flessibile alimentato da un sistema di trasporto automatico dei

     pezzi su cui eseguire le lavorazioni e governato da un calcolatorecentrale.−   produzione flessibile a celle. In questo caso, il processo è

    fortemente orientato all’ottenimento di un’elevata produttività (sebbeneinferiore naturalmente a quella conseguibile nel caso precedente) in

     presenza di livelli di flessibilità anch’essi elevati. Le singole celleflessibili di produzione (che possono essere anche più di una nello stessoimpianto), costituite da due o tre macchine tra loro collegate, dispiegano,infatti, un’elevata produttività mentre l’insieme delle celle, proprio per ilfatto di costituire un sistema disconnesso, presenta una flessibilità

    elevata.−   produzione job shop automatizzata. In questa classe vengono

     perseguite combinazioni di flessibilità e produttività comunque inferioririspetto al caso precedente attraverso l’integrazione delle macchine consoftware di controllo della produzione e sistemi nella programmazionedella produzione;−   produzioni  job shop. Qui il sistema produttivo è essenzialmente

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    costituito da insiemi di macchine tra loro svincolate; relativamente allealtre classi, questa presenta la massima flessibilità e la più bassa

     produttività.Anche la classificazione precedente riguardante il complesso delle

     produzioni in serie richiama la divisione tradizionale fra automazionefissa e flessibile. La prima categoria di produzione in serie (ripetitiva) è,infatti, più vicina all’automazione fissa, poiché le imprese si basanosull’automazione “in blocco” dell’intero processo produttivo. Le impresenelle categorie automatizzate, flessibili a celle e flessibili a sistemiintegrati a diversi gradi forniscono, invece, esempi d’automazione

    flessibile.

    Produzione di piccole serie, produzione per unità distinte

     Nella produzione in piccola serie o per unità distinte, una partegeneralmente fondamentale di un prodotto è progettata per un clientespecifico (cantieristica navale, macchine utensili, ecc.). In questo modo,la progettazione diviene parte integrante del processo di produzione.Molti prodotti sono costruiti soltanto per clienti specifici e potrebberonon essere mai più realizzati in futuro; in ogni caso, sebbene i volumi dei

     prodotti siano bassi, la complessità dei disegni e dei prodotti finiti tendead essere alta.

    In questo caso sono necessari sistemi specializzati di progettazione eingegnerizzazione tali da garantire il “ fit ” tra i componenti.

    A conclusione di questo breve esame delle caratteristiche delle produzioni continue e di quelle di serie va osservato che nelle produzionicontinue e ripetitive si riscontra un minor grado di automazione. Ciò inrealtà perché l’automazione in generale è rivolta all’integrazione deisistemi ed il processo continuo, tipicamente, è già di per sé integrato.

     La dimensione tecnico-produttiva

    Con riferimento alle scelte relative alla capacità produttiva sembraopportuno distinguere tra breve e lungo periodo. Tale differenza non è tanto

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    legata alla effettiva durata temporale quanto alle ipotesi che si fanno sulla possibilità dell'impresa di modificare la dimensione dell'impianto.

    Pertanto, nel lungo periodo (5-10 anni) l’impresa può cambiarel’impianto, mentre nel breve periodo (l’esercizio) l’impianto stesso restainvariato.

    La scelta della dimensione produttiva ottimale nel breve periodo èrelativa, esclusivamente, alla possibilità di ridurre il costo medio unitario di

     produzione aumentando il volume produttivo per ogni singolo impianto finoal raggiungimento del punto di minimo (economie di scala di breve

     periodo).

    Fig. 3 -  Rappresentazione grafica della curva dei costi unitari nel breve periodo.

    cmin

    Cu = C

    QQe CPE

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    Invece, nelle analisi relative al lungo periodo, si ammette che l'impresa possa modificare la propria struttura di costi fissi, aumentando le propriedimensioni.

    Con riferimento al grafico dei costi totali, si supponga che un'impresaraddoppi le proprie dimensioni in termini di capacità produttiva sostituendol'impianto A con l'impianto B (QB = 2 QA).

    Come si evince dal grafico 4 i costi assumono un andamento a scalino;

    infatti, l’ordinata relativa ad A è data dalle quote di ammortamentodell’impianto A “più” gli interessi sui debiti dell’impianto A (QAA + iDA)mentre l’ordinata relativa a B è data dalle quote di ammortamentodell’impianto B “più” gli interessi sui debiti dell’impianto B (QAB + iDB).

     Nel passaggio da un impianto A ad un impianto B di dimensioni doppie,le quote di ammortamento dell’impianto B nonchè la quota di interessi suidebiti saranno più elevate rispetto all’impianto A, in relazione all'entitàdell'investimento, quindi l’ordinata traslerà.

    Lo stesso dicasi per impianti di dimensioni triple, ecc.

    Fig. 4: Andamento dei costi totali all’aumentare del numero degli impianti

    B = 2A

    CT

    QA QB Q

    C = 3A

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    L’andamento a scalino dei costi fissi, integrato con i costi variabilicollegati alla tipologia dell’impianto, è rappresentato nella fig. n. 5:

    Fig. 5: Andamento a scalino dei costi fissi, integrato con i costi variabili

     Nel passare dall’impianto A all’impianto B, l’impresa consegue lecosiddette economie di scala  collegate proprio all'aumento dimensionaledell'impianto; in particolare, esse rappresentano una diminuzione del costomedio unitario del prodotto o servizio derivante dall’aumento delladimensione dell'impianto. Con altre parole, l'aumento della produzione è piùche proporzionale rispetto all'incremento dei costi determinato da siffatto

    ampliamento (al raddoppiare della dimensione dell’impianto, il costoaumenta, ma non raggiunge il doppio).Molteplici sono i caratteri e le fonti delle economie di scala.In primo luogo esistono economie legate alla complessiva configurazione

    dell’impianto (per esempio le attrezzature a bordo di una nave quali radar,motori, ecc. possono essere uguali indipendentemente dalla dimensionedella nave stessa).

    CT

    QA QB

    C = 3A

    B =

    Q

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    In secondo luogo, esistono economie di scala legate alla struttura fisicadell’impianto: esse derivano dal fatto che, in linea generale, mentre lacapacità produttiva degli impianti varia secondo una legge cubica (ilvolume), il costo di costruzione allestimento e attrezzano è determinato dauna legge quadratica (la superficie).

    Si prenda ad esempio un serbatoio, che è un tipico componente di unimpianto industriale; generalmente il serbatoio per i liquidi ha una formacilindrica, mentre per il gas ha una forma sferica per una questione didistribuzione delle pressioni. Nel costruire un serbatoio, ciò che incide sulcosto è il materiale impiegato; per costruire un serbatoio cilindrico che abbia

    un volume doppio rispetto ad un altro, non si deve utilizzare una quantità dimateriale doppia. Infatti, il volume di un serbatoio cilindrico è dato da V =Π r 2 h mentre la superficie e’ data da S = 2 Π r h. Così, al raddoppiare di r,si ha che V = Π 4 r 2 h mentre S = 4 Π r h. Ciò significa che al raddoppiaredel raggio, la superficie raddoppia mentre aumenta 4 volte. Questo tipo dieconomia di scala viene denominata economia di scala geometrica.

    Tali economie di scala rappresentano una fattispecie delle economie discala di tipo tecnologico strettamente legate alla funzione manifatturieradell'impresa, che determinano diminuzioni del costo medio di produzionefino alla realizzazione dell'impianto di dimensione ottima.

    Considerando le curve di breve periodo relative ad impianti di diversascala dimensionale, misurata dalla quantità Q producibile nell’esercizio, etenendo presente che i costi fissi al raddoppiare della dimensionedell’impianto non subiscono un aumento di pari entità, si avrà unospostamento della curva del costo medio a destra perché la capacità

     produttiva passa da QA a QB, dove QB è il doppio di QA; inoltre, il costounitario medio - minimo di ciascuna curva di capacità - diminuisce per leragioni precedentemente delineate.

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    Fig. 6: Curva delle economie di scala di lungo periodo

    C =cmu

    A

    Q

    C

    DEMDOM

    C

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    Secondo tale schema, l’impresa tende gradualmente a raggiungere ladimensione di impianto C, che presenta i costi medi unitari più bassi.

    La curva che unisce i costi minimi di ciascuna dimensione economicad’impianto, rappresentata da ciascuna delle curve di breve periodo,rappresenta la tendenza di lungo periodo a variare le combinazioni

     produttive verso quelle a maggiore dimensione, cioè verso strutture di costo più efficienti. Tale curva prende il nome di curva di inviluppo o curva deicosti unitari medi di lungo periodo.

    In termini economici, crescere lungo la curva di inviluppo, significarealizzare ingenti immobilizzazioni tecniche (interessi sui debiti, quote di

    ammortamento).La tendenza dell'impresa a conseguire elevati volumi di produzione è,

    d’altra parte, vincolata alla presenza di determinate condizioni di mercato,espresse da una domanda poco varia e poco variabile, cioè di un ambienteessenzialmente stabile, che sia in grado di assorbire le produzioni di massa.

    In quest'ottica l'impresa punta a conseguire quella dimensione incorrispondenza del minimo della curva di inviluppo, oltre il quale si registrauna tendenza all’aumento dei costi medi unitari. Dunque, anche incondizioni di mercato favorevoli, in cui l’impresa riesce a collocare tutta la

     produzione, si possono verificare alcune condizioni sfavorevoli chescoraggiano un ulteriore crescita dimensionale.

    Ad esempio, nel caso di una nave che abbia una dimensione pari a 400mila tonnellate, anche in condizioni di mercato favorevoli, si può incorrerenella difficoltà di ordine tecnico, legata, ad esempio, all’impossibilità diattraversare il canale di Suez e alla necessità, dunque, di circumnavigareI’Africa, con ricadute negative in termini di costi.

    Ritornando all'esempio dei serbatoi cilindrici e sferici, si consideri che imateriali necessari per la loro costruzione sono generalmente disponibili sulmercato con dimensioni standardizzate: in tal caso si ottiene un’economia discala se acquistando materiale con dimensioni doppie il costo aumentameno del doppio. Viceversa, se tale materiale non e’ disponibile sul

    mercato nelle dimensioni richieste e l’impresa deve commissionare larealizzazione del componente ad un’altra impresa, il costo, probabilmente,aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’aumento dimensionale.Tale situazione implica che, superata una certa scala di produzione pari alladimensione C dell’impianto, l’effetto scala tende ad interrompersi o in modonetto o gradualmente.

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     Nel caso più frequente, la curva di inviluppo presenta un tratto paralleloall’asse delle ascisse, in cui si riscontra, cioè, la presenza di dimensioni diimpianto diverse (C e D) che hanno gli stessi costi medi unitari;successivamente, tale curva risale in presenza di un impianto di dimensionimaggiori di D, a causa dell’insorgere di elementi di diseconomia; in altre

     parole, i costi fissi crescono più che proporzionalmente rispetto alladimensione dell’impianto.

    La tendenza dell'impresa, dunque, a non andare oltre una determinatadimensione deriva da almeno due cause fondamentali:

    1) il vincolo imposto dal mercato: l'impresa deve valutare il tasso dicrescita della

    domanda;2) il vincolo tecnico-economico che impone di non superare una certa

    soglia dimensionale.

    I punti di minimo di questa curva si definiscono rispettivamenteDimensione Ottima Minima (DOM) e Dimensione Efficiente Massima(DEM).

    La DOM è la dimensione ottimale minima, quella che segna l'inizio deltratto di curva parallelo; la DEM rappresenta il punto a partire dal quale lacurva ricomincia a risalire, cioè la dimensione oltre la quale non si è piùefficienti da un punto di vista economico perché il costo medio unitario di

     produzione tende ad aumentare.Allorché si abbia un unico punto di minimo del costo medio ( e dunque

    una curva non a L ma a U) la dimensione ottima minima coinciderà con ladimensione efficiente massima (DOM = DEM).

    Come si è già accennato precedentemente, l'obiettivo di minimizzazionedei costi attraverso il conseguimento delle economie di scala e, dunque,I'esistenza di una dimensione ottima d'impresa che garantisca le condizionidi efficienza, deve essere preso in considerazione nell'ipotesi che il mercato

    sia guidato dall'offerta, ovvero sia in grado di assorbire l'intera produzione.Per esempio le fabbriche automobilistiche negli anni ‘60 e fino agli anni70 potevano ragionevolmente contare su un mercato guidato dall’offerta;quello degli anni ’60, infatti, era un mercato in espansione economica e di

     prima motorizzazione.Pertanto, le fabbriche automobilistiche avevano l'obiettivo prioritario di

     produrre a costi medi unitari minimi di produzione, tali da rendere più

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    elevati i margini lordi commerciali; alla fine degli anni 60 le principalifabbriche automobilistiche crescevano dimensionalmente, alla ricerca dieconomie di scala sempre maggiori; in quest'ottica, esse si dotavano distabilimenti sempre più grandi e sempre più specializzati organizzati in basead una spinta divisione del lavoro.

    Successivamente, tali tendenze sono cambiate per la loro scarsacongruenza con la complessità della realtà economica attuale. Il mercatodelle automobili è diventato, nel tempo, molto più vario e variabile rispettoa quello degli anni ’60

    Per quanto attiene Ia forza lavoro, considerata una componente dei costivariabili, è noto che nella generalità dei casi le imprese si trovano a doveresostenere questa voce di costo indipendentemente dalla quantità prodotta.

    Pertanto, nell’attuale contesto ambientale, le imprese non tendono inmodo indiscriminato ad un tipo di crescita interna, cioè ad aumentare le

     proprie dimensioni per conseguire la minimizzazione dei costi di produzione; sebbene vi siano alcuni settori ed alcune tipologie di impresa ilcui sviluppo è subordinato all'aumento dimensionale, in linea generale,aumenta il peso percentuale di settori e di imprese che tendono ad unacrescita esterna, che punta sostanzialmente alla realizzazione degli accordicon altre imprese oppure utilizzando la tecnica della sub-fornitura; in talmodo, le imprese abbandonano i tradizionali criteri di gestione basatisull'orientamento alla produzione (abbassamento dei costi medi unitari) etendono a soddisfare le esigenze di mercato attraverso una strutturaflessibile.

     Nell’attuale contesto delle economie mondiali, le attività di servizi, leattività terziarie stanno crescendo, in peso percentuale, rispetto all’attivitàindustriale; cosa vuol dire peso percentuale? L’economia fino a 100 anni fasi fondava, essenzialmente, sull’agricoltura, si stima per un valore pariall'incirca all’80%, e al 20% sulle produzioni industriali; nel tempo, questorapporto è cambiato, ribaltandosi, fino ad arrivare negli anni del dopoguerra

    ad un valore, rispettivamente, pari al 20% e al 70%, e subentrava il settoredel terziario che contava il 10%; attualmente, con lo sviluppodell’economia, il terziario conta per il 40%, le attività industriali conteranno

     per il 45%, e l’agricoltura per- il 15%.Le considerazioni svolte sui costi medi unitari di produzione sembrano

    scarsamente applicabili al settore dei servizi.

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    Caratteristiche distintive delle soluzioni innovative nel processo

     produttivo

    L’applicazione di conoscenze e tecnologie dell’informazione all’insiemedelle attività riconducibili alla funzione di produzione ha trovato, negli annirecenti, la sua espressione più avanzata in una serie di apparecchiature efilosofie gestionali in grado di gestire livelli crescenti di complessità(Rullani, 1978).

    Sistemi definiti correntemente con espressioni quali FMS (Flexible Manufacturing System), TQM (Total Quality Management ), AMT

    ( Advanced Manufacturing Technology), ecc. 13  sono stati largamenteadottati nel mondo operativo e ampiamente analizzati dalla letteraturaeconomico-aziendale. Va, tuttavia, osservato, che nelle analisi teoriche, laloro trattazione non affronta in modo esauriente gli aspetti definitori che

     potrebbero, al contrario, facilitare la comprensione di analogie, aree disovrapposizione e complementarità.

    Emerge, quindi, la necessità di una distinta classificazione, la quale potrebbe essere di notevole utilità pratica nel complesso processo che, partendo dall’identificazione delle necessità di introdurre un’innovazione inambito tecnico-produttivo, induce i manager   ad informarsi sulle soluzionitecnologiche esistenti; a scegliere tra esse quella più appropriata; a valutarela soluzione prescelta, almeno in termini di metodi classici di valutazionedegli investimenti; infine, ad introdurre l’innovazione affrontando i

     problemi e sfruttando le opportunità ad essa connesse.Le classificazioni disponibili seguono criteri da cui emergono alcuni

    sottoinsiemi che, nel caso delle apparecchiature, privilegiano il contenutotecnologico (in termini di hardware e di software) oppure il loro gradod’integrazione. Meredith e Hill (1987) classificano le innovazioni infunzione del loro grado di integrazione (apparecchiature singole, collegatein celle, collegate in isole e pienamente integrate) 14.

    13  Rossetto (1991) sottolinea come tali acronimi richiamano “applicazioni daicontorni non troppo chiari per gli stessi addetti ai lavori, vittime, essi pure, diquell’ermetismo per iniziati, di cui sono stati e restano corresponsabili”.

    14  I livelli considerati da Meredith e Hill (1987) sono: le apparecchiature “stand- alone ” (robot o singole macchine a controllo numerico), le celle flessibili di produzioneutilizzanti il CAD e le tecniche di Group Technology, le isole di produzione (celleflessibili tra loro collegate e utilizzanti sistemi CAD-CAM, magazzini automatici, JIT eMRPII), i sistemi di produzione che realizzano la piena integrazione nell’ambito dellafunzione di produzione e tra questa e i sistemi informativi aziendali. Questa

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    Un’analisi più approfondita va fatta per la tassonomia proposta da Upton(1996), il quale suddivide le possibili innovazioni nella funzione di

     produzione in strutturali, di sistema e filosofiche (gestionali) 15.Le innovazioni strutturali  riguardano: l’apertura o la chiusura di nuovi

    impianti; l’outsourcing di interi prodotti complessi o di funzioni aziendalirilevanti quali, ad esempio, il sistema informativo; la costituzione di accordicon altre imprese, ecc. Il tratto comune più rilevante di queste innovazionirisiede nel fatto che esse modificano l’intera catena del valore diun’impresa.

    L’utilizzo di un approccio di natura strutturale ai problemi dell’efficacia

    e dell’efficienza della funzione tecnico-produttiva è, generalmente, problematico e rischioso. Il motivo principale di ciò risiede nel fatto che letecniche di selezione delle iniziative da chiudere o da tenere in vitanell’ambito dell’impresa piuttosto che esternalizzare, sono particolarmentedeboli.

    Le iniziative su cui intervenire, infatti, dovrebbero essere identificatesulla base delle performance di costo e di efficienza. Tuttavia, con gli attualistrumenti di contabilità analitica, risulta solitamente difficile riuscire avalutare con la dovuta precisione tali prestazioni ed il contributo reale sia diun determinato prodotto o processo rispetto al complesso delle attività diuna fabbrica sia della stessa fabbrica rispetto ai costi ed all’efficienzatecnica ed economica dell’intera azienda.

    Le innovazioni di sistema,