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Studio legale D’Isa Tel/fax +390818774842 Rassegna giurisprudenziale e dottrinaria sulla comunione Codice civile Libro III della proprietà Titolo VII della comunione capo I artt. 1100 1110 Avvocato Renato D'Isa 23/08/2011 http://www.guidelegali.it/Avvocato/avv- renato-d-isa-1055.aspx La comunione

La comunione - Avvocato Renato D'Isa · Pagina 5 di 62 C) Figure di comunioni Comunioni speciali 1 – Comunione ereditaria 2 – Condominio 3 – Comunione legale e convenzionale

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S t u d i o l e g a l e D ’ I s a

T e l / f a x

+ 3 9 0 8 1 8 7 7 4 8 4 2

Rassegna giurisprudenziale e dottrinaria sulla comunione

Codice civile – Libro III della proprietà – Titolo VII della comunione – capo I – artt. 1100 – 1110

Avvocato Renato D'Isa 2 3 / 0 8 / 2 0 1 1

http://www.guidelegali.it/Avvocato/avv-

renato-d-isa-1055.aspx

La comunione

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Sommario

A Introduzione

Pag. 2

B Natura giuridica del diritto di comunione

Pag. 4

C Figure di comunioni

Pag. 5

D Regolamento della comunione

Pag. 11

E Contenuto del diritto di comunione

Pag. 15

F Poteri ed obblighi dei contitolari

Pag. 35

G L’Assemblea e l’amministratore

Pag. 44

H

Innovazioni e altri atti eccedenti l’ordinaria

amministrazione

Pag. 55

I

Rimborso di spese Pag. 56

L Profili processuali

Pag. 57

M Differenze comunione e società

Pag. 60

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A) Introduzione

art. 1100 c.c. norme regolatrici1: quando la proprietà o altro diritto reale spetta in

comune a più persone se il titolo o la legge non dispone diversamente si applicano le

norme seguenti.

Nel diritto civile, la comunione è la situazione per la quale la proprietà o un altro diritto reale spetta in comune a più persone.

È regolata dagli articoli 1100 e seguenti del codice civile.

Quando il diritto in comunione è quello di proprietà, si parla anche di comproprietà.

Se ne distinguono tre diverse categorie:

comunione volontaria (dipendente dalla volontà dei partecipanti; esempio: più persone comprano insieme un bene)

comunione incidentale2 (non dipendente dalla volontà dei partecipanti; esempio: più persone ricevono un bene in eredità3)

1 Per quanto riguarda il diritto di autore vedi gli artt. 10, 115, 116, 117, L. 22 aprile 1941, n. 633 ed il relativo

regolamento di esecuzione approvato con R.D. 18 maggio 1942, n. 1369. 2 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 09 marzo 2006, n. 5112. Nel caso in cui più soggetti, proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell'accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista la proprietà esclusiva della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell'intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà esclusiva dell'uno o dell'altro, salvo l'istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l'obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali. 3 A mente di una sentenza di merito (Tribunale di Treviso Sezione I civile, sentenza 15 marzo 2011, n. 482)

l'amministrazione della comunione incidentale, creatasi, nel caso di specie, tra i coeredi a seguito dell'apertura della successione, soggiace alle medesime regole che sovrintendono la comunione ordinaria, in forza delle quali, in particolare, ciascun comunista ha la facoltà di compiere singolarmente gli atti di ordinaria amministrazione, senza necessità di alcuna forma particolare e senza necessità di essere investito da alcun peculiare incarico. Ciascun comunista, invero, gode, salvo prova contraria, di pari poteri gestori atteso che vige, in materia, la presunzione che operi con il consenso di tutti, o almeno della maggioranza, i comunisti. In tal senso, la mera prosecuzione nella gestione di un rapporto locatizio, instaurato dal de cuius, con la relativa percezione dei canoni di locazione ed il pagamento degli oneri condominiali rientra, senz'altro, tra gli atti di ordinaria amministrazione, per il compimento dei quali, quindi, non occorre alcun atto di investitura particolare da parte di tutti i comunisti e che, quindi, può essere legittimamente gestito, autonomamente, solo da alcuni di essi, anche mediante il conferimento dell'incarico di gestione dell'immobile ad un terzo estraneo alla comunione.

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comunione forzosa (alla quale non ci si può sottrarre; esempio: condominio degli edifici)

Nel diritto romano il primo tipo di comproprietà si costituiva automaticamente alla

morte del pater familias tra i più heredes sui, per il fatto stesso che il patrimonio ereditario restasse in comune tra di essi (consortium ercto non cito).

Ogni consorte poteva infatti da solo non soltanto compiere atti di godimento e di gestione di cose comuni ma poteva anche disporne per l'intero. Ovviamente a ciascuno era fatta la possibilità di interporre veto. A porre fine a questo stato di indivisione interveniva l'actio familiae erciscundae.

In seguito si sviluppa come contitolarità del diritto di proprietà, nell‘ambito dei diritti reali, ammissibile anche in presenza di un mero accordo tra più soggetti, come nel caso di una società (cd. societas omnium bonorum).

Rispetto al consortium, la ―communio‖ classica è però governata dalla ―quota‖ che, quale frazione ideale dell‘intero, è il parametro per stabilire tutti i doveri di ogni partecipante (o comunista).

Questa tipologia di comunione (detta ―ordinaria‖) può avere ad oggetto i diritti reali di godimento ed il pegno, ma occorre precisare che la sua disciplina è innanzitutto quella dettata dalla volontà delle parti, in mancanza della quale si applicano le regole contenute negli articoli 1101 e seguenti del codice civile, aventi in generale carattere dispositivo, sebbene alcune di esse appaiono inderogabili, come per esempio il patto contenuto nell‘articolo 1111 che fissa in dieci anni il limite massimo di durata del patto di non scioglimento della comunione ordinaria. Ultima considerazione è che nell‘ambito della comunione si applicano per analogia molte pronunce della S.C. in materia di condominio essendo, logicamente molto più ampia la casistica per la litigiosità constante che contraddistingue i rapporti di vicinato condominiali.

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B) Natura giuridica del diritto di comunione

A) Teorie4 che negano l‘inquadramento della comunione nello schema della proprietà – 1) Tale teoria ravvisa nell‘ente comunione il titolare del diritto di proprietà; i singoli non avrebbero la proprietà della cosa comune dato che non possono mutarne la destinazione né, tantomeno, gestirla o disporre di essa in pregiudizio degli altri. E‘ all‘ente comunione che spetterebbero i poteri di gestione e disposizione della cosa comune. 2) Tali autori5 negano ugualmente la proprietà del singolo compartecipante, ma non la attribuiscono alla comunione; ai partecipanti spetterebbe, piuttosto, una sorta di proprietà collettiva.

– Contra tali teorie non sono condivisibili poiché: 1) in primo luogo la norma prevede che ai compartecipi spetti il diritto di proprietà; 2) inoltre tali teorie non stabiliscono quale diritto spetti precisamente ai

compartecipi, ed in quale rapporto si ponga con la proprietà del gruppo. B) Teorie6 che affermano l‘inquadramento della comunione nello schema della proprietà–

Ciascun compartecipe è contitolare della proprietà, ed è, cioè comproprietario 1) la comunione non limiterebbe il diritto del partecipante, bensì il suo oggetto, assegnando così a quest‘ultimo un diritto assoluto su una parte ideale della cosa.

– Contra 1) tale teoria non è condivisibile poiché la parte ideale di un bene non è suscettibile di proprietà e, se pure lo fosse, resterebbe priva di titolarità la proprietà della cosa intera. 2) tale teoria7 sostiene che ciascun compartecipe ha una quota ideale di proprietà sul bene intero (C.D. TEORIA DELLA PROPRIETÀ PLURIMA PARZIARIA). Il singolo compartecipe, però, in tal modo, non può alienare la cosa comune, poiché tale atto comporterebbe la disposizione di diritti non propri, ma dei compartecipi; può, invece, disporre liberamente della proprietà della sua quota. Il diritto di proprietà si ripartisce per quote tra i singoli compartecipi e ciascuno di essi è titolare di una quota del diritto di proprietà o del diverso diritto in comunione; tale quota è normalmente disponibile ed espropriabile. Il diritto del singolo soggetto incontra i limiti derivanti dal diritto degli altri contitolari, che, però, non annullano la proprietà del singolo, m la comprimono nella misura necessaria a non pregiudicare gli altri compartecipi.

4 Capozzi , I diritti reali, Branca 5 Pugliatti – Palazzo 6 Capozzi , I diritti reali, Ramponi 7 Fedele – Corte di Cassazione, sentenza 22 dicembre1995, n.13064. TEORIA PREFERIBILE per Capozzi

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C) Figure di comunioni

Comunioni speciali

1 – Comunione ereditaria

2 – Condominio

3 – Comunione legale e convenzionale tra i coniugi

Comunione legale e comunione ordinaria

La comunione fra coniugi si presenta come una fattispecie che opera su un piano

dinamico, poiché riguarda gli acquisti futuri che i coniugi effettueranno, insieme o

separatamente, fin quando non intervenga lo scioglimento del matrimonio e del

regime di comunione (art. 1919 c.c.).

La comunione ordinaria, invece, è un istituto che opera su un piano statico, in quanto attiene a diritti, che fanno già parte di un determinato patrimonio e si costituisce mediante un atto negoziale come un contratto o un testamento. Inoltre, l‘amministrazione dei beni in comunione legale è disciplinato da uno speciale regime giuridico (artt. 180 e ss. del c.c.) per cui le norme previste per la comunione ordinaria (artt. 1105 e ss. del c.c.) non potranno trovare applicazione. Nella comunione legale tra coniugi vige l‘inderogabile principio dell‘assoluta uguaglianza delle quote (art. 194 e 210 c.c.), mentre nella comunione ordinaria le quote dei partecipanti possono essere diseguali. La particolarità della comunione legale emerge soprattutto nel regime degli acquisti regolato dal 1° co. dell‘art. 177 del c.c. il quale prevede che costituiscono oggetto della fattispecie gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali. Alla luce della disciplina giuridica vigente, gli acquisti effettuati dai coniugi entrano automaticamente in comunione tutte le volte in cui non ricorra una delle eccezioni alla regola generale posta dall‘art. 177 del c.c., cosi com‘è previsto nell‘art. 179 del c.c. La regola generale, dunque, è quella dell‘indisponibilità degli effetti della comunione legale quale regime a cui il nostro ordinamento ricollega interessi di natura pubblicistica. Riguardo all‘oggetto, la comunione ha carattere generale ma non universale, poiché non comprende I beni personali anteriori o successivi al matrimonio.

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4 – Comunione forzosa del muro ex artt. 874 e 875 c.c.8

art. 874 c.c. comunione forzosa del muro sul confine: il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione (2932) per tutta l‘altezza o

per parte di essa, purché lo faccia per tutta l‘estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve

inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino.

art. 875 c.c. comunione forzosa del muro che non è sul confine: quando il muro si trova a una distanza dal confine minore di un metro e mezzo ovvero a distanza minore della metà di quella stabilita dai regolamenti locali, il vicino può chiedere la comunione del muro soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro

stesso, pagando, oltre il valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino

al confine. Il vicino che intende domandare la comunione deve interpellare preventivamente il

proprietario se preferisca di estendere il muro al confine o di procedere alla sua demolizione. Questi deve manifestare la propria volontà entro il termine (2964) di

giorni quindici e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta.

5 – La contitolarità di usufrutto9

Non vi è dubbio che l‗usufrutto possa spettare a più soggetti ed il fenomeno viene

ricondotto al quadro generale, per appunto, della comunione.

Ciascun partecipe è titolare di quota indivisa di usufrutto e può disporre della cosa

compatibilmente con l‗uso degli altri partecipanti; può percepire una parte di frutti

corrispondente alla sua quota; può concorrere all‗amministrazione della cosa

(amministrazione che dipende dalla volontà della maggioranza dei partecipanti); può,

infine, far cessare l‗usufrutto mediante la divisione, salve le eccezioni espressamente

stabilite per ogni comunione ordinaria o ereditaria.

8 Per una maggiore disamina degli istituti aprire il seguente collegamento: Le distanze tra le costruzioni ex artt. 873 e ss. c.c. 9 Per una maggiore disamina degli istituti aprire il seguente collegamento: L’usufrutto – l’uso – l’abitazione

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6 – Le vie vicinali agrarie

Per la S.C.10 le vie vicinali agrarie11 formate ex collatione privatorum agrorum traggono la loro origine da situazioni giuridiche obiettive di diversa natura, le quali possono essere determinate dalla volontà coincidente, anche se non concorde, di tutte le parti, manifestata attraverso il fatto materiale del conferimento in relazione all'effettiva esigenza dei fondi; manifestazione che, non avendo natura negoziale, produce effetti giuridici, anche in mancanza di qualsiasi forma scritta, e vale a costituire una comunione, avente le caratteristiche di una "communio incidens", onde il transito attraverso la strada avviene non "iure servitutis", ma "iure proprietatis". Inoltre12 la formazione di una via agraria "ex collatione privatorum agrorum" - cioè il fatto che il suo sedime facesse parte in origine dei fondi dei proprietari latistanti e sia stato da essi distaccato e conferito, appunto, allo scopo di creare una strada - può essere dimostrata, al pari di ogni altra "communio incidens", anche con testimoni o con presunzioni desumibili dal prolungato uso pacifico della strada da parte di tutti i proprietari di detti fondi, dalle caratteristiche dei luoghi, dalle esigenze di comunicazione e coltura dei fondi attraversati.

10 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 luglio 2006, n. 17111. Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 aprile 1994, n. 3536. La via agraria e` quella strada privata che i proprietari dei fondi latistanti hanno aperto e mantengono per loro esclusivo uso, cioè per transitarvi secondo le esigenze della coltivazione e dell`industria agricola; essa viene formata mediante conferimento di suolo o di altro apporto dei vari proprietari in guisa da dar luogo ad una comunione, avente le caratteristiche di una "communio incidens", per la quale il godimento della strada non è "iure servitutis" ma "iure proprietatis", e, pur avendo, di regola, fondi fronteggianti, non è escluso che possa essere utilizzata, in relazione alla situazione dei fondi ed alla necessità del tracciato, da più fondi in consecuzione, fermo restando, anche in questa ipotesi, il principio che essa possa servire a tutti i proprietari dei fondi in tutte le direzioni, onde ciascuno ne abbia per tutta la sua lunghezza la proprietà "pro indiviso". 11 Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Pozzuoli - sentenza 23 marzo 2011 Perché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche - da non identificarsi con quelle vicinali private formate ―ex collatione privatorum agrorum‖ e quindi di proprietà dei conferenti - devono sussistere: a) il requisito del passaggio, esercitato ―juris servitutis publicae‖, da una collettività di persone qualificate dall‘appartenenza ad un gruppo territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; c) un titolo valido a sorreggere l‘affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell‘uso da tempo immemorabile. In assenza di tale dimostrazione, deve ritenersi che la strada abbia natura di via vicinale agraria di interesse privato e non di interesse pubblico. 12 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 19 ottobre 1994, n. 8534. Nella specie, la S.C., in applicazione del

principio enunciato, ha confermato la sentenza di merito,la quale aveva riconosciuto alla parte la comproprietà della strada, in quanto essa era stata sempre indicata negli atti notarili come una delle "coerenze" degli immobili trasferiti, distinta dai fondi vicini e, quindi, oggetto di passaggio "jure proprietatis" e non "jure servitutis"

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7 – Sopraelevazione in zona comune in caso di mancata contestazione

Ad esempio – secondo la S.C.13 – la colonna d‘aria, configurandosi come proiezione,

verso l‘alto, dell‘area sottostante, appartiene al proprietario di questa, con la

conseguenza che lo spazio aereo, che sovrasta una determinata costruzione, deve

ritenersi comune se l‘area sottostante è comune: in tal caso, ciascun proprietario può

utilizzarlo secondo i principi della comunione.

Comunioni atipiche

Che sono quelle che non rientrano in alcun modello normativo

1 – comunioni di diritto di credito

È il diritto che hanno i soggetti attivi del rapporto di ottenere l‘esecuzione della prestazione dovuta. Il diritto di credito si qualifica COME DIRITTO SOGGETTIVO RELATIVO in contrapposizione ai diritti assoluti (la proprietà) in cui il termine passivo del rapporto è costituito, genericamente ed astrattamente, da tutti i consociati; il diritto relativo, invece, attribuisce al creditore il potere di pretendere la prestazione solo nei confronti di un soggetto determinato. Ad esempio nel caso di offerta al pubblico14, in via di principio al momento dell‘accettazione si applica il criterio della priorità temporale (prior in tempore potior in iure), ma se c‘è contemporaneità non è possibile un potere di scelta dell‘offerente, ma si avrà o un‘attribuzione pro-quota o si ipotizza la costituzione di un diritto comune se il bene oggetto del contratto è indivisibile.

2 – comunioni di diritti personali di godimento

Alle quali si applicano in via analogica le norma della comunione ereditaria

13 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 01 marzo 1994, n. 2027. Nella specie è stata confermata la sentenza

di merito che in applicazione del riferito principio ha ritenuto illegittimamente eretta una sopraelevazione gravante su una scala comune, pur se il sottoscala risultava dal titolo appartenere esclusivamente al condomino, che l‘aveva effettuata.

14 art. 1336 c.c. offerta al pubblico: quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui

conclusione è diretta, vale dunque come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.

La revoca dell‘offerta se è fatta negli stessa forma della offerta in forma equipollente è efficace anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia.

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3 – comunione di godimento

È caratterizzata dallo coesistenza, sulla cosa, di differenti diritti di godimento. In questo caso i diritti non sono in comune, ma è in comune il godimento della cosa, che rende applicabili le norme della comunione ordinaria. Ad esempio secondo la Corte di Legittimità15 nelle vicende del rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione; sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari16 in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione.

4 – I consorzi di urbanizzazione

Secondo il Tribunale capitolino17 i consorzi di urbanizzazione, preordinati alla sistemazione ed al miglior godimento di uno specifico comprensorio attraverso la realizzazione e fornitura di opere e servizi assai complessi e onerosi, costituiscono figure atipiche che, per essere caratterizzate dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, presentano i caratteri delle associazioni non riconosciute. Il problema della normativa ad essi applicabile va, peraltro, risolto alla luce della considerazione che, accanto all'innegabile connotato associativo, essi si caratterizzano anche per un forte profilo di realità - in quanto il singolo associato, inserendosi, al momento dell'acquisto dell'immobile, nel sodalizio, onde beneficiare dei vantaggi offertigli, assume una serie di obblighi ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di quelli eventualmente comuni, legittimamente qualificabili in termini di "obligationes propter rem" con riferimento non solo alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche della realizzazione

15 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 18 luglio 2008, n. 19929. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che ciascun condomino é legittimato ad agire per il rilascio del detto immobile, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi

sussistente il consenso già indicato, senza che sia necessaria la partecipazione degli altri e, quindi, l'integrazione del contraddittorio. Conforme Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 17 luglio 2002, n. 10394. Nelle vicende del rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono la disciplina della comunione e tale disciplina consente di delegare ad un amministratore la gestione del bene comune e la rappresentanza anche processuale della comunione nei confronti dei terzi; nel qual caso l'amministratore acquisisce il potere di svolgere le medesime attività di amministrazione che spettano per legge ai singoli compartecipanti nell'interesse ed a tutela dei detti beni, compreso il potere di intimare la disdetta del contratto di locazione e di rappresentare la comunione nel relativo giudizio di opposizione. 16

Vedi par.fo E, pag. 16 17 Tribunale di Roma Sezione 5 civile, sentenza 11 giugno 2010, n. 13399. Principio espresso dalla Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 22 dicembre 2005, n. 28492. Vedi anche par.fo E, pag. 16

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delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria - sicché, insoddisfacenti risultando tanto le teorie che propugnano l'applicazione generalizzata delle norme sulle associazioni, quanto quelle che propendono per il ricorso alle sole disposizioni in tema di comunione e condominio, è d'uopo rivolgere l'attenzione, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, ove questo nulla disponga al riguardo, passare all'individuazione della normativa più confacente alla regolamentazione degli interessi implicati dalla controversia.

Esula, invece, dal concetto di comunione la servitù; difatti secondo giurisprudenza consolidata18 sebbene la formula di cui all'art. 1100 c.c. lasci intendere che le norme in tema di comunione si applicano quando spetti in comune a più persone la titolarità di un diritto reale, tuttavia con riferimento alla servitù deve concludersi per l'inapplicabilità delle regole della comunione, stante l'impossibilità di frazionare tale diritto che non permette una spettanza per quote. Ciò, tanto più ove la servitù sia costituita a vantaggio di più fondi autonomi, ricorrendo in tal caso un semplice concorso di diritti sul medesimo bene. Va poi aggiunto che anche la dottrina minoritaria che ha ritenuto di poter ammettere una comunione del diritto di servitù, ha ritenuto di dover distinguere l'ipotesi in cui il diritto sia costituito a vantaggio di più fondi, da quello in cui la costituzione sia a vantaggio di un fondo in comunione. Solo in quest'ultima situazione sarebbe possibile infatti discorrere di comunione, in quanto vi sarebbe un'unica servitù in comune19, mentre nella prima fattispecie, ogni diritto di servitù sarebbe autonomo, essendovi un semplice concorso di diritti sul medesimo bene.

19

In tal senso in giurisprudenza si veda Cassazione civile, sentenza 1 ottobre 1997 n. 9573.

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D) Regolamento della Comunione

art. 1106 c.c. regolamento della comunione e nomina di amministratore: con la maggioranza calcolata nel modo indicato dall'articolo precedente, può essere formato

un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune. Nello stesso modo l'amministrazione può essere delegata ad uno o più

partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore.

Il regolamento – entro i limiti di contenuto fissati dalla legge – si configura sotto il profilo funzionale come negozio normativo, in quanto pone una seria di regole di condotta concernenti l‘uso, l‘amministrazione delle cose comuni, nonché l‘organizzazione necessaria per un ordinato svolgimento dei rapporti condominiali.

I maggiori dissensi in dottrina, peraltro, non concernono la funzione del negozio regolamentare, bensì la sua struttura.

1) secondo un parte della dottrina, la delibera di approvazione del regolamento ha i caratteri dell’atto collettivo – essa risulta, infatti, composta da più atti di volizione di eguale contenuto e provenienti da più persone, per il conseguimento di comuni interessi – negozio unilaterale pluripersonale, nel quale le dichiarazioni di più soggetti si dispongono tutte da un lato per la soddisfazione di interessi comuni, di guisa che i diversi soggetti formano una sola parte.

2) secondo altri autori, invece, il regolamento non può configurarsi come negozio unilaterale, perché le manifestazioni di volontà dei singoli condomini, anche se dirette al conseguimento di uno scopo comune, provengono da più parti, ossia da distinti centri autonomi d‘interessi. Il negozio medesimo non sarebbe né negozio unilaterale né contratto, ma integrerebbe la figura tipica dell‘accordo.

3) Per la S.C.20 non ha natura contrattuale il regolamento che, avendo ad oggetto l'ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune (art. 1106 c.c.), rientra nelle attribuzioni dell'assemblea e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha invece natura di contratto normativo plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il

20 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 04 giugno 2010, n. 13632. In precedenza la stessa Cassazione in maniera apodittica aveva affermato che il regolamento condominiale convenzionale è un vero e proprio contratto, che trae la sua forza vincolante dalla volontà dei condomini a somiglianza di qualunque altro contratto, e tale sua natura non cambia certamente anche quando abbia per oggetto materia che possa essere disciplinata, secondo le norme sul condominio, a maggioranza, di guisa che, il regolamento convenzionale, sempre che sia legittimo, in quanto le norme di previsione siano derogabili dalla volontà privata, può essere modificato solo da un‘altra convenzione da stipularsi con il consenso di tutti i condomini. Corte di Cassazione, sentenza del 3 aprile 1970, n. 882.

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consenso unanime dei comunisti, il regolamento quando - contenendo disposizioni che incidono sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscono obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinano criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali - lo stesso esorbita dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all'assemblea.

Il regolamento della comunione determina il sorgere di rapporti obbligatori e più precisamente di obbligazioni propter rem (o secondo alcuni autori di oneri reali), che data la loro natura – ossia in quanto ambulatorie – si trasmettono a tutti i successivi acquirenti.

Così, ad esempio, colui che subentra all‘originario comunista è tenuto a contribuire alle spese comuni di manutenzione della cosa così come è tenuto all‘osservanza del regolamento della comunione, purché – quanto al suo contenuto – il regolamento medesimo rispetti l‘ambito di competenza indicato dalla legge.

Oltre questo ambito e cioè quando il regolamento intendesse porre norme particolari relative alla disponibilità del diritto di ciascuno comunista, non si avrà un regolamento di condominio, ma una figura diversa (c.d. regolamento contrattuale).

Ambito di efficacia del regolamento

La dottrina si è posta un ulteriore problema: determinare l‘ambito di efficacia del regolamento della comunione per stabilire se la normativa che il regolamento medesimo pone abbia effetto tra le sole parti ovvero sia opponibile anche ai terzi (efficacia obbligatoria o reale).

art. 1107 c.c. impugnazione del regolamento: ciascuno dei partecipanti dissenzienti può impugnare davanti all'autorità giudiziaria il regolamento della comunione

entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. L'autorità giudiziaria

decide con unica sentenza sulle opposizioni proposte. Decorso il termine indicato dal comma precedente senza che il regolamento sia stato

impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti.

A tale quesito la Corte di legittimità ha formulato alcuni principi, ovvero: L‘omessa trascrizione del regolamento di condominio — che ai sensi dell‘art.

1138 cod. civ. deve effettuarsi nel registro di cui all‘art. 1129 cod. civ. — rende inopponibili le clausole limitative della proprietà soltanto ai terzi acquirenti e non già a coloro che pattuirono direttamente con l‘originario unico

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proprietario e venditore le limitazioni stesse, mediante richiamo del regolamento condominiale nei singoli atti di acquisto21.

Il regolamento di condominio edilizio predisposto dall‘originario unico proprietario dell‘edificio è vincolante, purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto, sì da far parte per relationem del loro contenuto, solo per coloro che successivamente acquistano le singole unità immobiliari, ma non per coloro che abbiano acquistato le unità immobiliari prima della predisposizione del regolamento stesso, ancorché nell‘atto di acquisto sia posto a loro carico l‘obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro, mancando uno schema definitivo, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell‘oggetto del negozio; pertanto, in questa ultima ipotesi, il regolamento può vincolare l‘acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, quest‘ultimo vi presti adesione. Tale adesione — e quindi la volontà del condomino di accettare le disposizioni del regolamento condominiale limitative del diritto di proprietà sulle parti esclusive del suo immobile — deve risultare per iscritto, in modo chiaro ed inequivocabile e non per fatti concludenti, non potendo pertanto costituire adesione, con i conseguenti effetti vincolanti, l‘«applicazione» e la «presa di cognizione» del regolamento stesso22.

La clausola di regolamento condominiale non trascritto, la quale preveda limitazioni ai diritti dominicali dei singoli condomini, come l‘obbligo o il divieto di dare a taluni locali una determinata destinazione, in tanto è opponibile al terzo acquirente di tali beni, in quanto sia esplicitamente riportata nel contratto d‘acquisto, ovvero il terzo acquirente abbia espressamente dichiarato di essere a conoscenza del vincolo suddetto, senza che siano ammessi equipollenti e che il terzo acquirente sia tenuto a svolgere indagini per conoscere aliunde l‘esistenza di vincoli, oneri o servitù non risultanti chiaramente dall‘atto trascritto23.

Per l‘acquirente di unità in immobile condominiale l‘obbligo di attenersi alle disposizioni regolamentari, limitative del suo diritto di proprietà esclusiva, qualora il regolamento risulti predisposto dall‘unico originario proprietario dell‘immobile condominiale, sorge se al momento della stipulazione del contratto di acquisto il regolamento condominiale risulta già predisposto e richiamato nell‘atto di compravendita; e sempre che l‘acquirente abbia manifestato nel contesto dell‘atto o, successivamente, per iscritto, in modo chiaro ed inequivocabile (e non per fatti concludenti) la volontà di accettare quelle

21 Corte di Cassazione, sentenza 25 ottobre 1988, n. 5776. 22 Corte di Cassazione, sentenza 13 settembre 1991, n. 9591. 23 Corte di Cassazione, sentenza 14 aprile 1983, n. 2610.

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disposizioni del regolamento condominiale limitative del diritto di proprietà sulle parti esclusive del suo immobile24.

La trascrizione non è richiesta per il regolamento condominiale convenzionale, salvo che questo contenga clausole limitatrici dei diritti sui beni comuni e dell‘uso della cosa propria di proprietà esclusiva, da qualificarsi oneri reali e servitù prediali, allo scopo di renderle opponibili ai terzi ed agli aventi causa25.

Il regolamento di condominio non può disciplinare, in quanto tale, le situazioni di diritto reale dei compartecipi in ordine alle parti comuni dell‘edificio ed a quelle di proprietà esclusiva, salvo che sia stato predisposto dall‘unico originario proprietario dell‘edificio ed accettato con i singoli atti d‘acquisto, ovvero adottato con il consenso unanime dei partecipanti manifestato nelle debite forme. Pertanto la clausola contenuta nel regolamento unilateralmente predisposto dall‘unico proprietario dell‘edificio vale a costituire detta proprietà comune solo con il primo atto di trasferimento di porzione dell‘edificio, di modo che se questo sia successivo alla trascrizione del diritto di un terzo, la clausola stessa non è opponibile al terzo medesimo, indipendentemente dall‘eventuale priorità della trascrizione del regolamento26.

24 Corte di Cassazione, sentenza 4 marzo 1983, n. 1634. 25 Corte di Cassazione, sentenza 3 aprile 1970, n. 882. Conforme Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27

luglio 2006, n. 17094 secondo la quale in merito alla quota, in un giudizio di rivendicazione che riguardi una quota ideale di un bene in comproprietà pro indiviso, non può essere ordinato il rilascio della quota, ma il giudice deve limitarsi alla declaratoria della titolarità da parte del rivendicante della predetta comunione per la quota indicata, atteso che è necessario prima procedere alla concretizzazione della quota in una porzione determinata attraverso la divisione del bene stesso, con la partecipazione necessaria di tutti i comproprietari. 26 Corte di Cassazione, sentenza 14 dicembre 1992, n. 13179.

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E) Contenuto del diritto della comunione

art. 1101 c.c. quote dei partecipanti: le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali.

Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote.

I singoli partecipanti hanno la facoltà di godere della cosa, facoltà che si realizza concretamente,

A) Nella presunzione relativa della parità di quote; In tema, secondo la S.C.27, ad esempio, nel caso di rivendicazione di una quota

indivisa di un bene, la presunzione di parità delle quote stabilita dall'articolo 1101 del c.c., resta superata dall'accertamento che la quota rivendicata è inferiore alla metà, non rilevando che eventualmente non risulti individuato il proprietario di una parte del bene, poiché il convenuto in rivendica, anche rispetto a tale parte, può limitarsi ad avvalersi del principio possideo quia possideo.

Inoltre, è bene anche riportare due casi particolari di applicazione del principio di parità di quota ex art. 1101 c.c., ovvero, per la Corte del Palazzaccio in forza del rinvio contenuto nell'articolo 20 della legge n. 1127 del 1939 alle norme del codice civile sulla comunione, nel caso di invenzione industriale dovuta a più autori, salvo convenzione contraria, opera la presunzione di parità delle quote di cui all'articolo 1101 c.c. e si applica il criterio della libera cedibilità delle stesse ai sensi dell'articolo 1103 c.c. Poichè il comunista non può ai sensi dell'articolo 1102 c.c. alterare la destinazione della cosa comune o impedirne agli altri il godimento, ne consegue però che, ove non sia stato a ciò autorizzato dagli altri comunisti, egli non può sfruttare unilateralmente l'invenzione e non può cedere a terzi la licenza di sfruttamento del brevetto, in quanto quest‘ultima implica la facoltà tipica del titolare del brevetto di vietare ad altri l'utilizzazione della stessa idea inventiva, il che priverebbe, pertanto, i contitolari del diritto di esclusiva. Di tale licenza può disporre, infatti, la comunità dei contitolari secondo le regole della comunione.

Altro caso28 è quello secondo il quale la stipulazione con il Comune di una convenzione di lottizzazione implica che i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione pongano in essere un negozio (interno) di costituzione di un consorzio urbanistico volontario - con assunzione delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione degli effetti reali necessari per conferire al territorio l‘assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla Amministrazione - da ritenersi assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal codice civile, ivi compreso l‘art. 1101, secondo

27 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 16 settembre 2003, n. 13553 28 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 febbraio 1994, n. 1125

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comma, con la conseguenza che, in difetto di espressa deroga convenzionale, giusta la regola da tale norma imposta, le spese per la lottizzazione (quali quelle afferenti, fra l‘altro, al progetto, alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria) ed i pesi alla medesima inerenti (quali la cessione al Comune delle opere di urbanizzazione e la destinazione di talune aree, con vincolo permanente, a vantaggio dell`intera lottizzazione o di singoli lotti) si ripartiscono e si distribuiscono in proporzione alle quote dei partecipanti.

Infine con una recente sentenza la Cassazione29 ha precisato che l‘assemblea dei comunisti non ha il potere di determinare in via provvisoria le singole quote di contribuzione dei partecipanti alla comunione alle spese comuni, giacché la misura di tale contribuzione, ove non stabilita dal titolo, è prevista, in via paritaria, dall‘art. 1101 c.c.

Infatti anche se è vero che la possibilità di una determinazione provvisoria delle quote (millesimi) è stata affermata dalla S.C. in tema di condominio, ma occorre considerare che in tema di condominio, prima della formazione delle tabelle millesimali, non esiste un criterio legale o convenzionale per determinare la misura della partecipazione alle spese, per cui la giurisprudenza in questione trova una sua giustificazione logica. In tema di comunione, invece, la misura della partecipazione in mancanza del titolo, è stabilita dalla legge, nel senso della parità delle quote (art. 1001 c.c.), per cui non vi è alcun bisogno di una determinazione provvisoria da parte dell‘assemblea.

B) Nell’acquisto di frutti civili e naturali, che spettano ai compartecipi, in

proporzione alla loro quote.

C) In terzo luogo la facoltà di godimento si specifica mediante l’uso della

cosa comune. art. 1102 c.c. uso della cosa comune: ciascun partecipante può servirsi della cosa

comune (quando non è possibile l‘utilizzo parziario di essa si può utilizzare la soluzione dell‘uso turnario), purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri

partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior

godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri

partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

29

Corte di cassazione, sezione II sentenza n. 11264 del 20 maggio 2011

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Quando il bene non permette a tutti i partecipanti la libera utilizzazione, è possibile regolamentare l‘uso della cosa con un contratto (avente efficacia meramente obbligatoria) oppure con un regolamento, come già analizzato, deliberato dall‘assemblea. Il compartecipe utilizza la cosa a titolo di proprietario ed è pertanto possessore della stessa insieme agli altri partecipanti ed è, precisamente, un compossessore. Il singolo proprietario, inoltre, può esperire le azioni a difesa della proprietà30. Ottima interpretazione della natura dell‘utilizzo comune viene fornita da un Giudice31 di merito, secondo cui la facoltà d'ogni condomino di usare della cosa comune, secondo la previsione dell'art. 1102 c.c., discende direttamente dal diritto di proprietà spettante al condomino stesso, e non può trovare limiti se non nel titolo dell'acquisto o in successivo atto di valore contrattuale, con effetti reali, sicché al fine di stabilire se la condotta del condomino rientri o no in detta facoltà è irrilevante la mera deliberazione assembleare in tema di regolamento, priva dei requisiti di cui sopra. Inoltre, sempre, per una sentenza di merito32 in materia di comunione, la sottrazione di una parte della cosa comune alla possibilità di uso collettivo realizza una vera e propria appropriazione di parte della cosa comune che può essere reso legittimo unicamente a seguito di consenso prestato dagli altri comunisti, consenso che, avendo la comunione ad oggetto un bene immobile, deve essere prestato in forma scritta ad substantiam. Modalità d’uso

1) Pari uso

A mente di una nota sentenza della Cassazione33 la nozione di pari uso della cosa

comune cui fa riferimento l'art. 1102 cod. civ. - che in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici - non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali

30

Vedi par.fo L, pag. 57 31 Tribunale di Catania civile, sentenza 03 febbraio 2003 32Tribunale di Vicenza Sezione I civile, sentenza 25 ottobre 2010, n. 1751 33 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 maggio 2003, n. 8808

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pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Casistica In tema di condominio di edifici, l'apposizione di targhe e tende nel prospetto dell'edificio condominiale costituisce espressione del diritto di comproprietà dei condomini su detta parte comune, corrispondendo alla normale destinazione di questa; ne consegue che l'esercizio di tale facoltà non può essere assoggettato a divieto o subordinato al consenso dell'amministratore condominiale34. Sempre in tema di condominio negli edifici, ma applicabile per analogia alla comunione, la costruzione di balconi e pensili sul cortile comune è consentita al singolo condomino, purché, ai sensi dell'art. 1102 c.c., non risulti alterata la destinazione del bene comune e non sia impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Nella fattispecie, la Suprema Corte35 ha rigettato il ricorso avverso la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto che l'edificazione, nel cortile comune, di due balconi alterasse la destinazione del cortile medesimo, diminuendo l'utilizzazione dell'aria e della luce che il bene era destinato ad assicurare.

2) Uso diverso

Per la Corte Suprema36 se la natura del bene di proprietà comune non ne permette il

simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l'uso comune può realizzarsi o in

maniera indiretta, oppure mediante avvicendamento; ma fino a quando non vi sia richiesta

di uso turnario da parte degli altri comproprietari il semplice godimento esclusivo ad opera

di taluno non può provocare un danno ingiusto nei confronti di coloro che hanno mostrato

acquiescenza all'altrui uso esclusivo, quando non risulti provato che i beneficiari del

godimento esclusivo del bene ne avessero anche tratto un vantaggio patrimoniale.

3) Uso ridotto

In merito, c‘è stata una sentenza del Tribunale Etneo37 secondo la quale, ad esempio, l'assemblea di condominio di un edificio ha il potere di disciplinare ed eventualmente - nel concorso di giustificate ragioni ed interessi comuni - di ridurre l'uso della cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma non anche quello di sopprimere totalmente un determinato uso, quando tale uso sia conforme alla destinazione del bene,

34 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 21 agosto 2003, n. 12298 35 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 agosto 2002, n. 12569 36 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 dicembre 2010, n. 24647 37 Tribunale di Catania Sezione III, sentenza 28 febbraio 2002, n. 821

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non ne alteri la consistenza e non modifichi la possibilità degli altri condomini di usare dello stesso bene in modi e misure analoghe. Una delibera di tal fatta verrebbe, infatti, ad essere in contrasto con l'art. 1120 c.c., che vieta le innovazioni (tra cui vanno ricomprese tutte le modificazioni della destinazione del bene) che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. Fattispecie in cui, nel riformare la sentenza di primo grado, il tribunale ha condannato il condominio convenuto a mantenere il condomino attore nel compossesso di una stradella, il cui accesso carrabile era stato impedito dall'amministratore che, in esecuzione di una delibera assembleare, aveva fatto apporre un paletto di ferro all'imbocco del tratto di stradella.

4) Uso esclusivo

Per la Corte di Legittimità38, a norma dell‘art. 1102 cod. civ., la utilizzazione della

cosa comune da parte di uno dei partecipanti alla comunione, anche se più intensa o

diversa da quella degli altri, non vale di per sé sola a mutare il titolo del possesso,

e, quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della disponibilità esclusiva

del singolo comunista, il quale, ove intenda espandere il suo possesso in via esclusiva sul

bene, pur non dovendo necessariamente compiere gli atti di interversio possessionis,

previsti dagli art. 114139 e 116440 cod. civ., rispettivamente per il mutamento della

detenzione in possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui, in possesso

corrispondente all‘esercizio della proprietà, deve tuttavia concretarsi in atti integranti un

comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini sulla

cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui.

38 Corte di Cassazione, sentenza 24 gennaio 1985, n. 319

39 art. 1141 c.c. mutamento della detenzione in possesso

Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.

Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga ad essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i successori a titolo universale.

40

art. 1164 c.c. interversione del possesso Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il

titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.

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5) Uso frazionato

È un principio pacifico41 che, in tema di comunione, l'uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra i partecipanti solo se l'utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c. rientri tra quelle cui è destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l'utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri. Pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente, alla possibilità di godimento collettivo nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nell'ambito dell'uso frazionato consentito, ma nell'appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti che - trattandosi di beni immobili - deve essere espresso in forma scritta "ad substantiam".

6) Uso più intenso

Secondo una sentenza del tribunale Meneghino42, a contrario, il passaggio carrabile ed il passaggio pedonale su aree comuni costituiscono servitù distinte ed autonome, tale che le relative utilità non possono intendersi ricomprese una nell'altra, né, pertanto, essere ricondotte soltanto ad un diverso grado di intensità nell'uso dei beni comuni.

In tal senso, la richiesta del condomino diretta ad ottenere il passaggio con automezzi su aree condominiali da sempre unicamente destinate a passaggio pedonale costituisce non già un uso più intenso della cosa comune, rientrante, in quanto tale, nel disposto di cui all'art. 1102 c.c., ma un vero e proprio mutamento di destinazione di parti comuni, stante la finalità di creare una utilità puramente individuale, recante i caratteri tipici della servitù prediale (servitù di passaggio esercitabile con automezzi).

Inoltre per la Cassazione43 in applicazione del principio secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso - e senza che tale uso più intenso sconfini nell'esercizio di una vera e propria servitù - deve ritenersi che l'apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l'unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell'ambito del concetto di uso (più intenso) del bene comune,

41 Tribunale di Vicenza Sezione I civile, sentenza 25 ottobre 2010, n. 1751. Cass. civ., Sez. II, 11 aprile 2006, n. 8429. Nella specie, è stata ritenuta illegittima la costruzione di un porticato e di un marciapiede con cui un comproprietario, autorizzato verbalmente dagli altri, aveva occupato in modo esclusivo una porzione del cortile comune a vantaggio dell'adiacente immobile di sua proprietà, sottraendola in via definitiva all'utilizzazione degli altri comproprietari; nello stesso senso: Cass. civ., Sez. II, 06 novembre 2008, n. 26737 42 Tribunale di Milano Sezione XIII civile, sentenza 02 ottobre 2010, n. 11261 43 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 giugno 2003, n. 8830

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e non esige, per l'effetto, l'approvazione dell'assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte ragione, alcuna costituzione di servitù.

Infine, per la medesima Corte44, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest'ultimi.

In particolare, per stabilire se l'uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell'art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all'uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l'uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l'utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall'uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso, non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune. Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito, secondo la quale la realizzazione di un passo carraio tra un fondo di proprietà esclusiva e la strada comune costituiva un uso consentito al condomino, in quanto non snaturava la funzione cui la strada era destinata, ne impediva l'uso della stessa da parte dell'altro comproprietario.

7) Abuso

Per una recente sentenza di merito45 si verifica abuso della cosa comune, ai sensi della disposizione di cui all'art. 1102 c.c., quando vi sia alterazione della sua destinazione ovvero l'impedimento del pari uso di essa da parte degli altri partecipanti alla comunione. Pertanto nessuno deve impedire agli altri di fare uso della cosa secondo la sua destinazione e quando tale destinazione sia quella propria di una pertinenza di un'abitazione e, contemporaneamente, di una attività commerciale è normale solo l'uso che non alteri anche l'estetica, la tranquillità, il decoro e l'ordine esterno del fabbricato. Sulla base di tale principio la Corte ha escluso che l'appellante potesse utilizzare la corte esterna del fabbricato, nella contitolarità dell'appellante medesimo e dell'appellato, come sala all'aperto della propria attività di ristorazione.

Secondo altra interpretazione46 sussiste violazione dell'articolo 1102 c.c. (applicabile

a tutte le innovazioni che non comportano ripartizione della relativa spesa fra tutti i

condomini ma solo a carico del singolo condomino che se ne sia assunto l'onere), quando

l'uso particolare o più intenso del bene comune da parte del condomino si configura come

illegittimo in quanto ne risulta impedito l'altrui paritario uso e sia alterata la destinazione

del bene comune, dovendosi escludere che l'utilizzo da parte del singolo della cosa

44 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 01 agosto 2001, n. 10453 45 Corte d'Appello di Roma Sezione III civile, sentenza 21 dicembre 2010, n. 5344 46 Tribunale di Roma Sezione II civile, sentenza 30 settembre 2010, n. 19295

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comune possa risolversi nella compressione quantitativa o qualitativa di quella, attuale o

potenziale, di tutti i comproprietari.

Modifiche alla cosa comune

In via generale, prima di affrontare i singoli casi è bene sottolineare che in tema di

decoro architettonico secondo la S.C.47 alle modificazioni consentite al singolo condomino

ex art. 1102, primo comma, cod. civ. si applica anche, in via analogica, per la identità di

"ratio", il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di

innovazioni dall' art. 1120 , secondo comma, dello stesso codice.

Orbene per decoro architettonico del fabbricato — il cui rispetto costituisce

limite al potere del singolo condomino di apportare le modificazioni necessarie per il

migliore godimento della cosa comune — deve intendersi l‘estetica data dall‘insieme delle

linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante, ed imprimono alle

varie parti dell‘edificio, nonché all‘edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata

armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio

artistico48.

Sempre in ambito generale, secondo alcune pronunce del T.A.R.49,qualora l'intervento edilizio comporta modificazioni della consistenza e della destinazione di parti comuni dell'edificio esso necessita, ai sensi dell'art. 1102 c. c., del previo assenso dell'assemblea del condominio; pertanto se l'assemblea condominiale nega l'assenso per la realizzazione delle suddette modificazioni alle parti comuni esterne all'edificio, al Comune, ai sensi dell'art. 4 della L. n. 10/1977, è precluso concedere l'autorizzazione edilizia al condomino richiedente poiché, nel caso di realizzazione di opere edilizie concernenti modifiche di parti condominiali dell'immobile, è illegittimo il rilascio della concessione di costruzione non preceduto dall'assenso del condominio.

Casistica

1) Ascensore

47 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 22 agosto 2003, n. 12343 48

Corte di Cassazione 14 gennaio 1977, n. 179. 49 Per tutte Tribunale Amministrativo Regionale - EMILIA ROMAGNA - Bologna, sentenza 21 maggio2003, n. 268. Cfr. Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, sentenza 18 gennaio 1999, n. 13; Tar Toscana, Sez. II, sentenza 28 maggio 1997, n. 347; Tar Trentino, Bolzano, sentenza 7 dicembre 1995, n. 254.

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Secondo la S.C.50, anche nel condominio degli edifici trova applicazione,

relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile dall‘art. 1102 cod. civ., che consente

al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine particolare, con

conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle

generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una

lesione del pari diritto spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di

specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l‘uso dell’ascensore per il

trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino

solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti

dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del

relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da

parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e

all‘eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la

custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per

accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono

derivare del suddetto uso particolare dello ascensore.

2) Muri perimetrali e comuni

Orbene per la Corte di Legittimità51, in senso generale, l‘utilizzazione, da parte del

singolo condomino, del muro perimetrale dell‘edificio per le sue particolari esigenze è

legittima purché non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri

condomini di farne un uso analogo e non arrechi danno alle proprietà individuali dei

medesimi altri condomini.

In particolare sempre per la medesima Corte:

a) il condomino di un edificio non può, eseguendo una costruzione in aderenza al

muro perimetrale comune, chiudere un‘apertura destinata a dare luce ad un

vano di proprietà di altro condomino, giacché l‘art. 1102 cod. civ. gli vieta di

attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune dell‘edificio, con correlativo

impedimento per un altro condomino di continuare a farne uso in conformità alla

sua destinazione52.

b) L‘apertura di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita

dal singolo condomino per accedere in altra sua proprietà esclusiva, estranea al

50 Corte di Cassazione, sentenza 6 aprile 1982, n. 2117. (conf. Cass. 6 settembre 1982, n. 686). 51 Corte di Cassazione, sentenza 20 marzo 1974, n. 776. 52 Corte di Cassazione, sentenza 22 aprile 1975, n. 1560.

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condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in quanto ne altera la

destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale,

assoggettandolo a quel passaggio in favore di un bene non compreso in detto

fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente diritto reale a carico

dell‘immobile condominiale53.

c) con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale è oggetto di

comunione per tutta la sua estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e

ad appartamenti di proprietà individuale, l‘utilizzazione del singolo partecipante

deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli

altri condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una

lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva. Nella

specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un sottostante

appartamento54.

d) I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetto pannelli di

rivestimento o di riempimento) delimitanti un edificio in condominio rispetto ad altro

edificio condominiale costruito in aderenza, ai sensi del combinato disposto di cui

agli artt. 934 e 1117 c.c. appartengono a tutti i comproprietari del suolo, in quanto

costruiti su suolo comune, e pertanto, costituendo un elemento strutturale

dell'immobile di cui beneficiano tutti i condomini, a tutti i proprietari dei piani o delle

porzioni di piano facenti parte del fabbricato in regime di condominio, che ne sono

conseguentemente compossessori. Nell'affermare il suindicato principio, la S.C.55 ha

cassato la sentenza del giudice di merito che, in ordine a due locali terranei dello

stesso proprietario facenti parte di una costruzione ad «elle» includente due distinti

condomini edificati l'uno in appoggio all'altro, aveva escluso la natura condominiale

del muro che li delimitava e separava, negandone il relativo compossesso in capo ai

condomini.

e) Il condomino non può innestare sul muro perimetrale dell‘edificio comune

una costruzione di sua esclusiva proprietà se non ottiene il consenso di tutti i

condomini, perché tale muro è destinato al servizio esclusivo di detto edificio, di cui

costituisce parte organica, e perciò ciascun condomino può usarne, ai sensi dell‘ art.

1102 cod. civ., per il miglior godimento della parte di fabbricato di sua proprietà

esclusiva, ma non a favore di un‘immobile distinto dall‘edificio comune, non

53 Corte di Cassazione, sentenza 8 aprile 1982, n. 2175. 54 Corte di Cassazione, sentenza 4 maggio 1982, n. 2751. 55 Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23453 del 16 dicembre 2004.

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essendo applicabile l‘art. 884 cod. civ. che consente al comproprietario del muro

comune di appoggiarvi la costruzione di sua proprietà esclusiva56.

È bene riportare anche alcune pronunce di merito.

Per la Corte Capitolina57 la comproprietà del muro condominiale implica, in

applicazione dell'art. 1102 c.c., la facoltà per ciascun condomino di procedere anche

all'apertura di un varco di accesso in esso, al fine di consentire, evidentemente, un

migliore utilizzo di tale cosa comune. Tale apertura, tuttavia, non può realizzare una

diretta comunicazione con altro immobile attiguo di proprietà del medesimo condomino

che ha proceduto ad effettuare l'apertura e ricompresso in un diverso e distinto edificio

condominiale. Pretendere la legittimità di siffatto operato, invero, comporterebbe la

creazione, a favore dell'immobile estraneo ed a carico del Condominio proprietario del

muro un diritto reale di servitù di passaggio, inammissibilmente gravoso e pregiudizievole,

non considerando che, comunque, sarebbe necessaria l'adesione di ogni singolo

comproprietario.

Con altra sentenza di merito58 il giudicante ha ritenuto, in particolare, condotta

illegittima la realizzazione di una recinzione in muratura e di un accesso carraio in

corrispondenza del confine tra la proprietà del comproprietario realizzatore e la corte

comune che, secondo le emergenze processuali, aveva limitato e modificato il precedente

utilizzo della medesima corte.

3) Canna fumaria

Per la Corte del Palazzaccio59 l'uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi

dell'art. 1102 cod. civ. — dal quale esula ogni utilizzazione che si risolva in un'imposizione

di limitazioni o pesi sul bene comune — presuppone, perché non si configuri come

56 Corte di Cassazione, sentenza 22 dicembre 2000, n. 16117. 57 Tribunale di Roma Sezione V civile, sentenza 17 dicembre 2010, n. 24847 58 Tribunale di Bassano del Grappa civile, sentenza 28 settembre 2010, n. 536. Nell'ambito della comunione, ciascun

comproprietario beneficia del diritto di godere della cosa comune anche in modo più intenso di quello che ne fanno gli altri partecipanti purché siffatto utilizzo non alteri o violi, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio, la destinazione del bene o, comunque, comprometta il diritto dei comproprietari di farne un pari uso. In tal senso, quindi, l'utilizzo del bene in comunione da parte di un comproprietario non deve precludere agli altri di poter usufruire del bene con le medesime modalità con le quali se ne è sempre avvalso, poiché risulta evidente che, in tale caso, si configurerebbe una inammissibile compressione dell'altrui diritto, nocumento ravvisabile anche nel semplice fatto di renderne più difficoltoso l'esercizio. Nel caso di specie il giudicante ha ritenuto, in particolare, condotta illegittima la realizzazione di una recinzione in muratura e di un accesso carraio in corrispondenza del confine tra la proprietà del comproprietario realizzatore e la corte comune che, secondo le emergenze processuali, aveva limitato e modificato il precedente utilizzo della medesima corte. 59 Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8852 del 10 maggio 2004.

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illegittimo, che non ne risultino impedito l'altrui paritario uso né modificata la destinazione

né arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Ne consegue che l'inserimento di una canna fumaria all'interno del muro comune -

costituente anche muro di delimitazione della proprietà individuale- ad esclusivo servizio

del proprio immobile non può considerarsi utilizzazione in termini di mero «appoggio»

della stessa al muro comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire

uso consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo peculiare

carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella non esclusiva bensì

comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad

altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne derivano.

Anche se in precedenza con una sentenza60 meno recente si affermava il contrario, ovvero

l‘inserimento di una canna fumaria entro un muro comune, da parte di un partecipante alla

relativa comunione, rappresenta utilizzazione della cosa comune a norma dell‘art. 1102

cod. civ.

Inoltre61, l‘appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l‘apertura di

piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un edificio condominiale

individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che

ciascun condomino — pertanto — può apportare a sue cure e spese, sempre che non

impedisca l‘altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza

dell‘edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno — quest‘ultimo — che si

verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova

opera si rifletta negativamente sull‘insieme dell‘armonico aspetto dello stabile.

Con altra sentenza la Corte62 ha affermato che in tema di condominio, nel caso in cui

un condomino utilizzi la canna fumaria dell'impianto centrale di riscaldamento – nella

specie per lo scarico dei fumi da una pizzeria – dopo che questo sia stato disattivato dal

condominio, sussiste violazione dell'articolo 1102 c.c., trattandosi non di uso frazionato

della cosa comune, bensì della sua esclusiva appropriazione e definitiva sottrazione alle

possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali praticati, per legittimare le quali è

necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta "ad substantiam") di tutti i

condomini.

4) Tubi di scarico

60 Corte di Cassazione, sentenza 8 luglio 1978, n. 3422. 61 Corte di Cassazione, sentenza 16 maggio 2000, n. 6341. 62 Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26737 del 6 novembre 2008.

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L'utilizzazione del muro comune con l'inserimento di elementi ad esso estranei e posti

a servizio esclusivo della porzione di uno dei comproprietari, deve avvenire nel rispetto

delle regole dettate dall'art. 1102 c.c., e in particolare del divieto di alterare la

destinazione della cosa comune, impedendo l'uso del diritto agli altri proprietari, e di quelle

dettate in materia di distanze, allo scopo di non violare il diritto degli altri condomini

esercitabile sulle porzioni immobiliari di loro proprietà esclusiva In applicazione di tale

principio, la Corte63 ha considerato corretta la valutazione di illegittimità, data dal giudice

di merito, con riguardo all'inserimento - nel muro comune - di alcuni tubi di scarico, oltre

la linea mediana, osservando che in tal modo veniva impedito al comproprietario di fare un

uso del muro, nella metà di sua pertinenza, pari a quello fatto dall'altro proprietario.

5) Strada vicinale

In merito la Corte di Piazza Cavuor64, con un‘unica pronuncia, ha avuto modo di

stabilire che il comproprietario di una stradella comune, posta al servizio dei singoli

fondi appartenenti in proprietà esclusiva a ciascun partecipante alla comunione, può

legittimamente aprirvi l‘accesso ad un locale costruito sul proprio suolo e destinato ad

autorimessa, ai sensi dell‘art. 1102 c.c., qualora non ne derivi un mutamento dell‘originaria

destinazione della stradella né un impedimento per gli altri condomini di farne pari uso.

6) Cortili

In tema secondo la Cassazione65 i balconi di un edificio condominiale prospicienti sul

cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla colonna d‘aria, soprastante a

ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono, in qualità di

pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in

veranda il balcone di sua proprietà senza dover richiedere l‘autorizzazione degli altri

compartecipi imposta dal regolamento del condominio soltanto per le innovazioni delle

parti comuni dell‘edificio.

Ancora, con altra pronuncia66, quando un cortile sia comune a due edifici,

ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo riguardo una disciplina

contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l‘uso del cortile da parte di

63 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 01 aprile 2003, n. 4900 64 Corte di Cassazione, sentenza 5 luglio 1978, n. 2814. 65 Corte di Cassazione, sentenza 7 luglio 1976, n. 2543. 66 Corte di Cassazione, sentenza n. 10 marzo 1986, n. 1598.

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questi ultimi non è assoggettato sia al regolamento dell‘uno che a quello dell‘altro

condominio, essendo, invece, applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in

particolare, l‘art. 1102 cod. civ., in base al quale ciascun partecipante alla comunione può

servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non impedisca

agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

7) Pianerottolo

Per la S.C.67 sempre però in tema di condominio negli edifici – poiché la casistica in

ambito della comunione tout court è scarna – i pianerottoli quali componenti essenziali

delle scale comuni e così avendo funzionale destinazione al migliore godimento

dell‘immobile da parte di tutti i condomini, non possono essere trasformati, dal

proprietario dell‘appartamento che su di essi si affacci, in modo da impedire l‘uso comune,

mediante l‘incorporazione nello appartamento, comportando una alterazione della

destinazione della cosa comune ed una utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del

concorrente diritto degli altri condomini nonché — in sede possessoria — lesiva del

compossesso degli stessi.

8) Cancelli

Con un ultima sentenza in merito secondo la Cassazione68, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, e senza che tale uso più intenso sconfini nell'esercizio di una vera e propria servitù. Pertanto, l'installazione, nel muro di confine comune, di un meccanismo fotocellulare per l'apertura automatica del cancello inserito nel muro, non sporgente all'interno del fondo prospiciente il lato opposto del muro stesso, non viola l'art. 1102 cod. civ., trattandosi di utilizzo più intenso della cosa comune, secondo la sua naturale destinazione (delimitazione perimetrale e protezione-isolamento dell'esterno delle proprietà), che ne consente il pari uso.

Con altra sentenza del 200369, è stato raffigurato un uso più ampio della cosa comune - ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall'art. 1102 primo comma, cod. civ. - l'apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato.

67 Corte di Cassazione, sentenza 2 agosto 1990, n. 7704. 68

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza del 21 ottobre 2009, n. 22341 69

Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 maggio 2003, n. 8808

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In precedenza, la medesima Corte70 ha avuto modo di affermare che in tema di uso della cosa comune, non può ritenersi consentita l‘installazione, da parte di un condomino, per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l‘accesso, tra l‘altro, a vani di proprietà esclusiva dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione costituisce, anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi del cancello, una modificazione delle modalità di uso e di godimento della cosa comune, che interferisce sul «pari uso» della stessa spettante agli altri condomini.

9) Condizionatore

La Corte71 di Piazza Cavour in tema ha affermato che l'installazione da parte di alcuni condomini di un voluminoso condizionatore sul muro perimetrale comune non integra un'innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c., ma una modifica all'uso del muro comune, in quanto tale soggetta non solo alle limitazioni di cui all'art. 1102 primo comma, c.c., ma anche al divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato. Tale divieto infatti per quanto previsto in materia di innovazioni dall'art. 1120 secondo comma, c.c. si estende in via analogica anche alle modificazioni, essendo informato alla medesima ratio legis.

10) Sottosuolo

Per la S.C.72, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando

nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad alimentare l'impianto termico

del suo appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a

condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a

quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione

del cortile praticata dagli altri condomini, nè escluda per gli stessi la possibilità di fare del

cortile medesimo analogo uso particolare.

Ancora73, è violato il disposto dell'art. 1102 c.c., quando la costruzione nel sottosuolo

del fabbricato condominiale di un vano destinato esclusivamente al soddisfacimento di

esigenze personali e familiari di un condomino, impedisce agli altri condomini di fare del

sottosuolo e del relativo sedime un pari uso, soprattutto in considerazione della vastità

70

Corte di Cassazione, sentenza 25 novembre 1995, n. 12227 71

Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 22 agosto 2003, n. 12343 72 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 20 agosto 2002, n. 12262 73 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 21 maggio 2001, n. 6921

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della superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo incompatibile

con la natura condominiale del bene utilizzato.

11) Trasformazione tetto

Nell'ipotesi in cui uno o più condomini trasformino una parte del tetto a falde di

copertura dell'edificio condominiale in superfici destinate a loro uso esclusivo (non

eliminando l'assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, ma

imprimendo ai nuovi manufatti, per le loro caratteristiche strutturali, anche una

destinazione ad uso esclusivo degli autori delle opere) non si configura un'innovazione ex

art. 1120 c.c., né è invocabile la previsione dell'art. 1122 c.c. dettata per le opere attuate

nel piano (o porzione di piano) di proprietà solitaria, riscontrandosi bensì una violazione

del divieto posto dall'art. 1102 c.c. di alterare la destinazione della cosa comune e di

impedire agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto: il che

presuppone la proposizione di specifica domanda avente propria causa petendi.

12) Finestre e porte

Secondo il Tribunale Genovese74 è infondata la domanda in forza della quale il condominio chieda dichiarare che le opere eseguite dal condomino, in assenza dell'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, sono abusive e quindi, relativamente alle stesse, ordinarsi la demolizione e la rimessione in pristino, laddove, le opere eseguite, consistano nella trasformazione della finestra in una porta finestra nel muro perimetrale e nel posizionamento di una scala metallica che dalla porta finestra conduce al distacco di proprietà del condomino convenuto. Dette opere, costituendo un uso più intenso del muro perimetrale comune, devono intendersi legittimamente eseguite rientrando nei limiti dell'art. 1102 c.c. per cui, esse, anche laddove siano eseguite senza la specifica autorizzazione assembleare, non sono contestabili. In linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza, difatti, è previsto che ciascun partecipante alla comunione ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione ovvero compromesso il diritto al pari uso degli altri condomini.

Con altra sentenza la S.C.75 – in applicazione del principio secondo il quale negli edifici in condominio i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà,

74 Tribunale di Genova Sezione III civile, sentenza 23 settembre 2010, n. 3499 75 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 26 marzo 2002, n. 4314

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disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato – ha confermato la sentenza del giudice del merito che aveva giudicato legittima l'apertura di una porta eseguita da un condomino nel muro condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che da essa non era derivata alcuna sostanziale modifica dell'entità materiale del bene nè il mutamento di destinazione dell'androne comune, di cui il ricorrente poteva continuare a fare uso secondo il suo diritto; incontestata essendo ulteriormente rimasta l'insussistenza di alterazione del decoro architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura.

13) Gazebo

In una vicenda affrontata dal tribunale Falsineo76 è stato ravvisato un comportamento illecito di una condomina per aver occupato con un gazebo una porzione del marciapiede comune. Si legge nella sentenza che, in tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c. al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedirne agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto deve ritenersi che la condotta del condomino (della convenuta), consistente nella stabile occupazione - mediante il gazebo per cui è causa - di una porzione del marciapiede comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini (i.e. agli attori), di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà; non ignorando, per completezza, come la nozione di pari uso della cosa comune, cui la riferimento l'art. 1102 c.c. non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio traile esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

14) Parcheggi

In un caso particolare la Suprema Corte77, ha confermato la sentenza della corte di

merito che, pur ritenendo valida, in assenza del regolamento di condominio, la

deliberazione con la quale l'assemblea condominiale aveva introdotto e disposto il divieto

di parcheggio di motocicli e ciclomotori nel cortile dell'edificio - divieto giustificato dalla

circostanza che tale parcheggio rendeva assai difficoltoso l'uso del cortile da parte dei

condomini - aveva tuttavia ritenuto infondata l'azione inibitoria e risarcitoria promossa dal

76 Tribunale di Bologna Sezione I civile, sentenza 12 ottobre 2010, n. 2783 77 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 novembre 2010, n. 22423

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Condominio stante il difetto di concreti elementi di prova tanto in ordine all'uso dei

motocicli e ciclomotori in capo ai condomini convenuti, quanto in ordine al parcheggio di

tali mezzi nell'area del cortile condominiale dopo l'adozione della delibera.

Innovazioni78

In una rilevante sentenza della S.C.79 si è stabilito che costituisce innovazione

qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero

nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della

conservazione, dell‘ordinaria amministrazione e del godimento della cosa, e che importi

una modificazione materiale della forma o della sostanza della cosa medesima,

con l‘effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento o, comunque, alterarne la

destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull‘interesse di tutti i

condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dell‘innovazione, anche

se sia stata programmata a iniziativa di un solo condomino che se ne assuma tutte le

spese. Non sono, invece, innovazioni tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione

della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazione della stessa e non

precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso

maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica. Lo stabilire se un‘opera nuova

integri gli estremi dell‘innovazione prevista dall‘art. 1120 cod. civ., oppure se gli atti e le

opere dei singoli condomini costituiscano atti di maggior godimento della cosa comune,

costituisce un‘indagine di fatto insindacabile in cassazione, se sorretta da corretta e

congrua motivazione.

Inoltre80 il rispetto del principio generale di cui all'articolo 1102 e delle conseguenti

regole, dettate dall'articolo 1120 del c.c., in tema di innovazioni di beni condominiali, nei

casi in cui parti del bene comune siano di fatto destinate a uso e comodità esclusiva di

singoli condomini, impone al giudice di merito un'indagine diretta all'accertamento di due

condizioni e cioè che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le

potenziali analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso

bene, qualora tutte tali esigenze venissero soddisfatte, non perderebbe la sua normale e

originaria destinazione.

78

Vedi par.fo H, pag. 56 79 Corte di Cassazione, sentenza 13 ottobre 1978, n. 4592. 80 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 14 giugno 2006, n. 13752

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Deroga

In via di principio, come stabilito dalla stessa Corte di Cassazione81, l‘art. 1102 c.c.

non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi più severi da un

predisposto regolamento condominiale (o dei comunisti), successivamente recepito nel

contratto d‘acquisto di beni compresi nel complesso condominiale.

Inoltre con una sentenza82, alquanto più recente, è stato stabilito – a conferma

della precedente statuizione – che la norma dell‘art. 1102 c.c., concernente la facoltà del

condomino di apportare modifiche a sue spese per il migliore godimento della cosa

comune, è derogabile per regolamento condominiale avente efficacia

contrattuale, in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in

modo espresso, e non può ritenersi implicitamente disposta per la previsione nel

regolamento dell‘assoggettamento a delibera assembleare (a maggioranza qualificata)

delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse, da

parte della pluralità condominiale, dato che queste ultime comportano non solo l‘incidenza

della spesa su tutti i condomini, ma altresì la modifica in tutto o in, parte nella materia o

nella forma, ovvero nella destinazione di fatto o di diritto della cosa comune, a differenza

delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non possono incidere che sul

pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.

Tutela83

Per quanto riguarda la comunione secondo la S.C. – con una nota sentenza84 – in

senso universale, in applicazione dell‘art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione,

con l‘esecuzione di nuove opere, renda impossibile o menomi l‘esercizio del diritto degli

altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si traduca in un pregiudizio

giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri condomini può chiedere la

rimozione dell’opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della

comunione.

Mentre da un‘altra sentenza85 della Corte del Palazzaccio, in ambito condominiale, si

evince che la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera

81

Corte di Cassazione, sentenza 24 aprile 1975, n. 1600 82 Corte di Cassazione, sentenza 5 ottobre 1992, n. 10895 83

Inoltre vedi par.fo L, pag. 57 84 Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 1974, n. 716 85 Corte di Cassazione, sentenza 13 luglio 1993, n. 7691

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di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al

compossesso di tutti i condomini, legittima gli altri all’esperimento dell’azione di

reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal che possa

continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata

modificazione, senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte.

Inoltre è possibile esperire anche le normali azioni possessorie.

Difatti, secondo la S.C.86, costituisce turbativa del possesso, tutelabile con l'azione

di manutenzione, il comportamento del compossessore che ponga in essere una

innovazione nella cosa comune comportante una modificazione delle concrete modalità di

godimento della cosa stessa dalla quale derivi ad altro compossessore una apprezzabile

limitazione delle sue facoltà di godimento della cosa. Nel caso di specie, un compossessore

aveva variato il congegno di apertura elettronica del cancello comune senza consegnare il

nuovo telecomando ad uno dei compossessori, che era stato costretto per un lasso di

tempo apprezzabile ad utilizzare l'apertura meccanica.

Ancora con altra sentenza si legge in una situazione di compossesso il godimento

del bene da parte dei singoli compossessori assurge ad oggetto di tutela possessoria

quando uno di essi abbia alterato e violato senza il consenso e in pregiudizio degli altri

partecipanti lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in

modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa

medesima, o che in modo apprezzabile ne modifichi o turbi le modalità di esercizio. Nella

specie, la S.C.87, in forza del sopraenunciato principio, ha accolto il ricorso e cassato con

rinvio la sentenza del giudice d'appello che aveva escluso che l'apposizione, da parte di

alcuni dei comproprietari, di una lapide sulla facciata esterna di una cappella funeraria in

aggiunta a quella preesistente e convenzionalmente accettata da tutti i compossessori

potesse costituire turbativa o molestia del compossesso del bene comune in danno degli

altri comproprietari del bene.

86 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 maggio 2002, n. 7914 87 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 luglio 2001, n. 10406

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F) Poteri ed obblighi dei contitolari

art. 1103 c.c. disposizione della quota: ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.

Per le ipoteche costituite da uno dei partecipanti, si osservano le disposizioni contenute nel capo IV del Titolo III del libro VI (artt. 2808, 2825.c.c.).

(2825 c.c.). Ipoteca su beni indivisi. L‘ipoteca (c.c. 2808) costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla comunione

produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che a lui verranno assegnati nella divisione.

Se nella divisione sono assegnati a un partecipante beni diversi da quello da lui ipotecato, l'ipoteca si trasferisce su questi altri beni, col grado derivante dall'originaria iscrizione e nei

limiti del valore del bene in precedenza ipotecato, quale risulta dalla divisione, purché l'ipoteca sia nuovamente iscritta con l'indicazione di detto valore entro novanta giorni dalla

trascrizione della divisione medesima . Il trasferimento però non pregiudica le ipoteche iscritte contro tutti i partecipanti, né

l'ipoteca legale spettante ai condividenti per i conguagli . I creditori ipotecari e i cessionari di un partecipante, al quale siano stati assegnati beni

diversi da quelli ipotecati o ceduti, possono far valere le loro ragioni anche sulle somme a lui dovute per conguagli o, qualora sia stata attribuita una somma di danaro in luogo di

beni in natura, possono far valere le loro ragioni su tale somma, con prelazione determinata dalla data di iscrizione o di trascrizione dei titoli rispettivi, nel limite però del

valore dei beni precedentemente ipotecati o ceduti. I debitori delle somme sono tuttavia liberati quando le abbiano pagate al condividente

dopo trenta giorni da che la divisione è stata notificata ai creditori ipotecari o ai cessionari senza che da costoro sia stata fatta opposizione.

La disponibilità della quota della comunione va in ogni caso evidenziata, poiché rappresenta una delle principali caratteristiche della comunione di tipo romano, in contrapposizione con quella di tipo germanico, dove l‘assenza di quote comporta l‘indisponibilità del bene da parte del singolo partecipante. È comunque possibile sancire l‘obbligo di non alienare le quote dal titolo di acquisto delle quote oppure mediante un accordo contrattuale tra i partecipanti, nell‘ambito dei limiti stabiliti dal codice (art. 1379 c.c.). Ciascun compartecipe può, inoltre ipotecare la propria quota o gravarla di diritti reali di godimento; non può, invece alienare le quote degli altri partecipanti né, tantomeno, l‘intera proprietà del bene comune.

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Per la giurisprudenza88, infatti, concorrendo sui beni oggetto di comunione pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione, relativa, che ognuno di essi operi con il consenso degli altri, con la conseguenza che il singolo comunista può stipulare contratti aventi ad oggetto il godimento del bene comune. La vendita La vendita dell‘intera proprietà da parte di un singolo contitolare è stata considerata da un‘autorevole opinione89 quale vendita di cosa parzialmente altrui. E' noto che, in tema di condominio, il singolo partecipante non può alienare separatamente la propria quota di comproprietà dei beni comuni, senza alienare la propria proprietà individuale a cui tali beni sono asserviti; se il bene comune ha determinate caratteristiche ed e' suscettibile di godimento individuale, esso può essere alienato, ma solo per effetto della volontà di tutti i condomini90. La sottrazione del bene alla sua destinazione comune che consegue alla sua cessione comporta, infatti, una rinuncia che richiede il consenso unanime dei condomini. Nel caso di comunione ordinaria, vige, invece, la regola della libera disponibilità della quota, in forza della quale ciascun partecipante alla comunione può cedere ad altri il suo diritto di comproprietà (articolo 1103 c.c.). In materia di proprietà, secondo la S.C.91, il principio generale che regola il regime giuridico della comunione "pro indiviso" è quello della libera disponibilità della quota ideale, sicché è ben possibile che ciascun comunista autonomamente venda o prometta di vendere la sua quota, valido essendo il contratto anche nell'ipotesi in cui il bene sia dalle parti considerato un "unicum" inscindibile, risultando in tal caso l'alienazione meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte alla stipula dell'atto. Si e' affermato92, in particolare, che se la vendita di un bene e' stipulata soltanto da uno o più ma non da tutti i comproprietari, il difetto del negozio, ravvisabile nella non coincidenza tra il bene ceduto ed il diritto che il cedente può trasferire, non e' tale da determinare la nullità del contratto, ma solo un'inefficacia relativa. Tale divergenza, infatti, non può essere eccepita dalla parte alienante, che ovviamente e' a conoscenza del fatto di poter trasferire solo la propria quota e non l'intera res ampia, ma soltanto dall'acquirente, che e' il solo titolare dell'interesse a che la cosa indivisa sia venduta per intero e che può

88 Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 08 aprile 1998, n. 3653 89 Capozzi, I diritti reali 90

Corte di Cassazione, sentenza n. 15444 del 2007. 91 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 marzo 2004, n. 4965. Nel fare applicazione del suindicato

principio, la S.C., nel rigettare la doglianza della ricorrente concernente la mancata declaratoria da parte del giudice del merito della nullità del negozio, ha ritenuto nel caso corretta la qualificazione da questi operata, in termini di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui a formazione progressiva, del contratto originariamente sottoscritto da una sola delle comproprietarie e recante la dichiarazione, inserita in epoca successiva, di consenso anche dell'altra comproprietaria. 92 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 08 aprile 2011, n. 8092. Conformi Cass. n. 155 del 2004; Cass. n. 4902 del 1998

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pertanto optare anche per la scelta di riconoscere validità ed efficacia al contratto limitatamente al trasferimento delle quote di comproprietà degli alienanti. Il contratto e' così suscettibile di rettifica, su richiesta dell'acquirente, nel senso che esso spiega efficacia solo limitatamente alle quota del cedente. Si aggiunge, peraltro, che tale conclusione può trovare un unico sbarramento nella diversa volontà manifestata dai contraenti, nei casi in cui dal contratto risulti che essi hanno voluto vendere la cosa per intero e quindi escludere una cessione parziale. Inoltre è bene anche sottolineare che l'alienazione che il comproprietario faccia del suo diritto, ai sensi dell'art. 1103 c.c., determina l'ingresso dell'acquirente nella comunione soltanto nel caso in cui l'alienazione riguardi la quota o una frazione di questa, mentre se il comproprietario disponga di un singolo bene, avendo l'alienazione efficacia obbligatoria, della comunione continua a far parte il disponente, che, pertanto, resta titolare dell'azione di cui all'art. 1111 c.c. e deve essere chiamato ad integrare il contraddittorio nel relativo giudizio da altri promosso93. Preliminare

Nel caso di preliminare di vendita di un bene immobile, concluso da uno solo dei comproprietari "pro indiviso", secondo la Corte di Piazza Cavour94 si deve escludere la facoltà del promissario acquirente di richiedere ex art. 2932 c.c. il trasferimento coattivo, limitatamente alla quota appartenente allo stipulante, non essendo consentito, in via giudiziale, costituire un rapporto giuridico diverso da quello voluto dalle parti con il preliminare, in quanto l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto è ammessa, ex art. 2932 primo comma, c.c. solo qualora sia possibile.

Inoltre in senso più ampio, è stato affermato95 che nel caso di contratto preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa, si presume, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato come un "unicum" inscindibile, e che le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno dei contraenti siano prive di specifica autonomia e destinate a fondersi in un'unica dichiarazione negoziale, in quanto i promittenti venditori si pongono congiuntamente come un'unica parte contrattuale

93 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 novembre 1996, n. 10629 94 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 10 marzo 2008, n. 6308. Conforme Corte di Cassazione Sezione II

civile, Sentenza 23 febbraio 2007, n. 4227. Nel caso di contratto preliminare di vendita di un bene oggetto di

comproprietà indivisa, si presume, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato come un "unicum" inscindibile, e che le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno dei contraenti siano prive di specifica autonomia e destinate a fondersi in un'unica dichiarazione negoziale, in quanto i promittenti venditori si pongono congiuntamente come un'unica parte contrattuale complessa. Ne consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria, o venga caducata per qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., restando escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quello tra i comproprietari promittenti dei quali esista e persista l'efficacia della relativa manifestazione negoziale. 95 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 17 maggio 2010, n. 12039. In senso conforme, vedi, Cassazione

civile, Sez. II, sentenza 19 maggio 2004, n. 9458 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 23 febbraio 2007, n. 4227.

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complessa. Ne consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria, o venga caducata per qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ai sensi dell'art. 2932 c.c., restando escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quello tra i comproprietari promittenti dei quali esista e persista l'efficacia della relativa manifestazione negoziale. Locazione

Per quanto riguarda, invece, la locazione secondo la Cassazione96, qualora la maggioranza dei comunisti - appresa l'intenzione della minoranza o di uno di essi di cedere in locazione (o in affitto agrario) ad un terzo la cosa comune, ovvero l'avvenuta stipulazione del contratto - si opponga, rispettivamente, alla conclusione del contratto o all'esecuzione del rapporto locativo, al terzo, cui venga comunicato tale dissenso, resta preclusa la possibilità di pretendere quella conclusione o esecuzione, con la conseguenza che il contratto, stipulato nonostante tale consapevolezza, é invalido per carenza di potere, o di valida volontà, della parte concedente di disporre per l'intero. Inoltre, la comunicazione del detto dissenso non solo alla minoranza, ma anche al terzo conduttore (o affittuario), determina la consapevolezza, in quest'ultimo, della mancanza di legittimazione alla stipula dell'atto da parte della minoranza e, quindi, il concorso, in malafede, nell'abuso del diritto nell'amministrazione del bene comune e ciò costituisce fatto illecito generatore del danno di cui é, pertanto, corresponsabile in solido il conduttore (o affittuario) che ha concorso e cooperato nella conclusione del contratto.

Sempre in merito alla locazione in tema di recesso dal contratto concernente un immobile oggetto di comunione – per la Corte di Piazza Cavour97 – il principio della concorrenza di pari poteri gestori in tutti i comproprietari comporta che ciascuno di essi sia legittimato a dare disdetta del contratto e ad agire conseguentemente, nei confronti del conduttore, per il rilascio dell'immobile in recesso contro il conduttore, senza che sia configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessario con gli altri comproprietari.

È bene anche sottolineare, in virtù anche di una pronuncia di merito98, che in ipotesi di

contratto di affitto di fondo rustico, nel quale si verifichi la contemporanea condizione di comproprietario e locatario della cosa comune o di parte di essa99, è efficace e valida la disdetta che provenga soltanto da alcuni dei comproprietari del bene100.

96 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 04 giugno 2008, n. 14759 97 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 19 settembre 2001, n. 11806 98 Tribunale di Reggio Emilia civile, sentenza 10 ottobre 2003, n. 1467 99

Conformemente al costante orientamento giurisprudenziale in materia (Cass., sentenza 28 settembre 2000, n. 12870),

il Tribunale ha affermato che il conduttore di un immobile che sia anche proprietario di una quota pro indiviso della res

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Da ultimo la Corte di Cassazione101, ha anche confermato il principio più volte stabilito dalla medesima Corte secondo cui in base all‘art 1105 cod. civ. che regola esclusivamente il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza, non è preclusa la locazione di quota ideale di bene comune, che è consentita dalla disposizione di cui all'art. 1103 del cod. civ., in forza del quale gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano il singolo titolare, potendo inoltre il conduttore cui sia stato concesso il godimento della cosa comune nei limiti di una quota detenere il bene insieme agli altri condomini possessori. Pertanto, contro il conduttore che abbia assunto in locazione da uno dei comproprietari una quota ideale (nella specie del 50 per cento), trovandosi già conduttore, in forza di precedente diverso contratto di locazione stipulato con altro comproprietario, della quota pari al residuo 50 per cento del bene, può essere intrapresa dal locatore della seconda quota un'azione nascente dal contratto di locazione, senza necessità di richiedere e ottenere il consenso del comproprietario primo locatore.

Infine, per gli Ermellini102 il principio stabilito dall'art. 1591 cod. civ., relativo all'obbligo del conduttore in mora nella restituzione del bene locato di dare al locatore il corrispettivo pattuito fino alla riconsegna effettiva di esso, salvo il risarcimento del maggior danno, deve trovare applicazione anche con riferimento al caso in cui il conduttore rivesta contestualmente anche la qualità di comproprietario del bene stesso, trovando giustificazione tale estensione nell'obbligo di reintegrare gli altri comproprietari nella facoltà di disporre della loro quota e di far uso della cosa comune secondo il loro diritto, alla stregua di quanto disposto espressamente dagli artt. 1102 e 1103 cod. civ. Usucapione della quota

Il partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa del bene comune anche attraverso la semplice estensione del possesso medesimo in termini di esclusività103; tuttavia, in simile evenienza, affinché il possesso possa essere ritenuto utile ad usucapire l'intero bene in comune, è indispensabile che esso si manifesti attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui - ossia il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta

locata assume la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune. Di conseguenza verrà a disporre dello stesso immobile in parte in virtù del titolo obbligatorio derivativo dagli altri comunisti, costituito dal rapporto di affitto (relativamente alle quote ideali spettanti a questi ultimi), ed in parte in base alla qualità di contitolare

del diritto reale (per la quota di sua spettanza). Tale principio, stante l'identità di ratio, appare applicabile anche alla fattispecie in esame in cui il rapporto di affitto è stato costituito in seguito all'acquisto della comproprietà del bene comune per effetto di successione iure hereditario. 100 Anche opinando diversamente, peraltro, i soggetti che intimarono la disdetta erano sempre titolari di quote

corrispondenti alla maggioranza dei condomini ai sensi e per gli effetti del comma 2 di cui all'art. 1105 c. c. Conseguentemente, si legge nella sentenza, deve essere accolta la domanda dei ricorrenti-comproprietari e va pertanto dichiarata la cessazione degli effetti del contratto di affitto del fondo rustico con riferimento alla data di cui alla disdetta. 101 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 23 maggio 2011, n. 11317. Conformi Cass. n. 165 del 2005, 330

del 2001. 102 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 03 settembre 2007, n. 18524 103 Tribunale di Chieti civile, sentenza 01 settembre 2010, n. 555

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per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene -, tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus e, quindi, da escludere che il godimento esclusivo sia stato semplicemente tollerato dagli altri comproprietari.

Principio già espresso dalla Corte Suprema104 in una nota sentenza secondo la quale il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla "res communis" in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus"

Difatti con ultima sentenza la Cassazione105 ha insistito sul presupposto secondo cui il possesso ―et corpore et animo‖, esercitato dal comproprietario, non è sufficiente a perfezionare l‘usucapione delle quote appartenenti agli altri comproprietari, ove non venga dimostrata l‘intenzione, manifestata agli altri coeredi, di possedere ―uti dominus‖ e non ―uti condominus‘‘.

Mentre sempre per la medesima Corte, con una recente pronuncia106, anche il compossesso non esclusivo è idoneo per l‘usucapione.

104 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 07 dicembre 2010, n. 24788 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 20 maggio 2008, n. 12775. Anche in mancanza di un atto formale di

interversione del possesso, può essere usucapita la quota di un comproprietario da parte degli altri, sempre che l'esercizio della signoria di fatto sull'intera proprietà comune non sia dovuto alla mera astensione del titolare della quota ma risulti inconciliabile con la possibilità di godimento di quest'ultimo ed evidenzi, al contrario, in modo del tutto univoco, la volontà di possedere "uti dominus" e non "uti condominus". Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto acquistata per usucapione la proprietà di una quota di un edificio in comunione, ricostruito a seguito di perimento totale, da parte dei soli comproprietari che, fin dalla edificazione della nuova costruzione, avevano occupato interamente i tre piani del palazzo, nel totale disinteresse dell'altro comunista. Vedi anche Cassazione civile, Sez. II, sentenza 28 aprile 2006, n. 9903 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 20 agosto 2002, n. 12260. In argomento, negli stessi termini, vedi anche, ex plurimis, cfr., Cassazione civile, Sez. II, sentenza 18 febbraio 1999, n. 1370, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 15 giugno 2001, n. 8152, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 22 luglio 2003, n. 11419 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 20 settembre 2007, n. 19478, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 27 luglio 2009, n. 17462. Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 20 agosto 2002, n. 12260. Il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla "res communis" in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus". Qualora, invece (come nella specie) il comproprietario - coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel

possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende, per tale via, a possedere (anche ai fini dell'usucapione) pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli "de facto", senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un'interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi. 105

Corte di Cassazione sezione II, sentenza 30 giugno 2011 n. 14467 106

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 16914 del 2 agosto 2011

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Per gli ermellini, infatti, su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso pro indiviso tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest‘ultimo, della comproprietà pro indiviso dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l‘usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato.

Né tale situazione di compossesso – prosegue la Corte – che consiste nel comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (che in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo); né richiede che il compossessore esclusivo ignori l‘esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l‘animus possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti condominus. art. 1104 c.c. obblighi dei partecipanti: ciascun partecipante (in rapporto alla sua quota) deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento

della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto.

La rinunzia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa. Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da

questo dovuti e non versati.

Per la S.C.107 in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l'obbligo di

partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti in quanto appartenenti alla comunione ed

in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto

al rimborso pro quota delle spese necessarie per consentire l'utilizzazione del bene

comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia

anticipate per gli altri in forza della previsione dell'art. 1110 c.c., le cui prescrizioni

debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese

necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l'utilità sua propria

secondo la peculiare destinazione impressale.

Tale obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle

spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell‘edificio – sempre

107 Corte di Cassazione, sentenza 27 agosto 2002, n. 12568. Ne consegue che vanno considerate alla stregua di spese necessarie al mantenimento della funzionalità delle parti comuni di un edificio destinato ad abitazioni (e vanno, dunque, rimborsate al condomino antistatario) le spese relative non solo alla conservazione degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento e di videocitofono, ma altresì quelle intese al mantenimento della continuità nell'erogazione dei relativi servizi, non essendo più condivisibile un'interpretazione degli artt. 1104 e 1110 c.c. che configuri come godimento, piuttosto che come conservazione della funzione essenziale d'un immobile ad uso abitativo, l'ordinaria erogazione dei servizi in questione, connaturati all'idoneità stessa dell'edificio a svolgere la sua funzione non altrimenti che le sue componenti strutturali.

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secondo la medesima Corte108 – è propter rem, essendo strettamente connessa alla

contitolarità del diritto di proprietà che i partecipanti alla comunione hanno su di

esse, con la conseguenza che deve presumersi l‘efficacia reale anche della clausola del

regolamento di condominio, di natura contrattuale, con cui la singola unità immobiliare

venga esonerata, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese stesse — salvo che dalla

clausola non risulti la inequivoca volontà di concedere l‘esenzione solo a colui che, in un

determinato momento, sia proprietario del bene — e deve quindi ritenersi che detta

clausola sia operante anche a favore dei successori, a titolo universale o particolare, del

condomino in favore del quale l‘esenzione era stata prevista.

Anche se in realtà una sentenza di merito109 ha specificato che ai sensi dell'art. 1104

c.c. solo le spese relative alla conservazione e manutenzione delle cose comuni, e non quelle relative al godimento, sono tra quelle cui il singolo condomino e/o comunista non può assolutamente sottrarsi.

Sentenza che ha recepito a pieno il principio già enunciato dalla S.C.110 secondo cui in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, vanno tenute distinte quelle per la conservazione, che sono quelle necessarie per custodire, mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo senza deteriorarsi (quali, nella specie, le spese per l'acqua occorrente per la irrigazione del giardino ), dalle spese per il godimento, che riguardano le utilità che la cosa comune può offrire (quali, nella specie, le spese per il combustibile e per l'energia elettrica necessari per il funzionamento dell'impianto di riscaldamento e per

108 Corte di Cassazione, sentenza 16 dicembre 1988, n. 6844. 109

Tribunale di Potenza civile, sentenza 26 febbraio 2009, n. 173. Così, in tema di riscaldamento centralizzato, il

condomino che decida di staccare il proprio impianto onde renderlo autonomo può rinunciare unilateralmente al riscaldamento condominiale - sottraendosi così al relativo onere delle spese sia di manutenzione che di godimento per il carburante - solo se dimostri che la propria iniziativa non sia di nocumento agli altri né in termini di squilibri termici né rispetto all'eventuale aggravamento delle spese per coloro che fruiscono dell'impianto. In tale caso il condomino che abbia deciso di staccarsi dall'impianto condominiale (ed abbia fornito le dimostrazioni di cui sopra) non è tenuto a sostenere le spese per il carburante, ai sensi dell'art. 1123 c.c. mentre rimane inderogabilmente obbligato, come detto, a sostenere le spese di conservazione e manutenzione dell'impianto che rimane di proprietà comune. 110 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 01 agosto 2003, n. 11747. Conforme, Corte di Cassazione Sezione

II civile, sentenza 27 agosto 2002, n. 12568. In tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l'obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti in quanto appartenenti alla comunione ed in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso "pro quota" delle spese necessarie per consentire l'utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell'art. 1110 cod. civ., le cui prescrizioni debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l'utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale. Ne consegue che vanno considerate alla stregua di spese necessarie al mantenimento della funzionalità delle parti comuni di un edificio destinato ad abitazioni (e vanno, dunque, rimborsate al condomino antistatario) le spese relative non solo alla conservazione degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento e di videocitofono, ma altresì quelle intese al mantenimento della continuità nell'erogazione dei relativi servizi, non essendo più condivisibile un'interpretazione degli artt. 1104 e 1110 c.c. che configuri come godimento, piuttosto che come conservazione della funzione essenziale d'un immobile ad uso abitativo, l'ordinaria erogazione dei servizi in questione, connaturati all'idoneità stessa dell'edificio a svolgere la sua funzione non altrimenti che le sue componenti strutturali.

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l'acqua potabile). Soltanto le spese per la conservazione, nel caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e solo di esse può essere chiesto il rimborso. Relativamente alle spese per il godimento, le quali, invece, debbono essere sostenute solamente da chi concretamente gode della cosa comune, il rimborso non è previsto, in quanto il singolo comunista le ha anticipate per un godimento soggettivo, che è suo personale, e non riguarda anche gli altri partecipanti alla comunione.

Inoltre, sempre per altro Tribunale111, la funzione e il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione dell'immobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come è dato evincere, in via di principio generale, dal disposto dell'art. 1104 c.c. - dettato in tema di comunione - e, sub specie dei rapporti di condominio, dalla norma di cui all'art. 1123 stesso codice, a mente della quale i contributi per la conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzioni di piano, mentre le spese d'uso che traggono origine dal godimento soggettivo e personale si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo affatto autonomo rispetto al valore della quota.

In merito alle spese comuni, poi, è intervenuta da ultimo la Cassazione112 andando a stabilire i criteri di riparto tra l‘acquirente ed il venditore di un‘unità immobiliare alienata successivamente all‘approvazione dei lavori straordinari, questione cara, a parere di chi scrive, a non pochi e foriera di grattacapi per gli amministratori.

Per il Supremo Collegio, dunque, in caso di vendita di un'unità immobiliare in condominio (ma del tutto applicabile per analogia nel caso di comunione), nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione o di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza di accordo tra le parti, nei rapporti interni tra alienante ed acquirente è tenuto a sopportarne i relativi costi chi era proprietario al momento della delibera dell'assemblea, sicché, ove tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell'atto di trasferimento dell'unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l'acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva di cui all'art. 63 disp. att. c.c.113

111 Tribunale di Bari Sezione III civile, sentenza 03 maggio 2007 112 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 03 dicembre 2010, n. 24654 113Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 18 agosto 2005, n. 16975 L'art. 63, comma 2, att. c.c., che limita al biennio precedente all'acquisto l'obbligo del successore nei diritti di un condomino di versare, in solido con il dante causa, i contributi da costui dovuti al condominio, è norma speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall'art. 1104 ultimo comma, c.c., che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido con il cedente, a pagare i contributi dovuti dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dell'art. 63, comma 2, att. c.c. poiché il rinvio operato dall'art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione in

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La S.C.114, in precedenza, però aveva chiarito a tale proposito che, nei rapporti tra venditore e compratore, per capire su chi deve gravare la quota spese relative ad opere di straordinaria manutenzione approvati nelle more del contratto definitivo di compravendita, si deve guardare non tanto alla data della deliberazione assembleare su tali opere quanto al momento della concreta attuazione della attività di manutenzione ciò in quanto l'obbligo del condomino dì pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività dà manutenzione e sorge quindi per effetto dell‘attività gestionale concretamente compiuta.

G) L’Assemblea, le deliberazioni e l’amministratore

L’assemblea È l‘organo di governo della comunione, competente:

1) per l‘emanazione del regolamento; 2) la gestione della cosa comune; 3) la nomina dell‘amministratore.

art. 1105 c.c. amministrazione: tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa comune.

Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza (semplice – valore superiore alla metà del valore complessivo del bene) dei partecipanti, calcolata

secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.

generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio.

art. 63 Riscossione contributi condominiali Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore può ottenere

decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo , nonostante opposizione. (1) Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi

all'anno in corso e a quello precedente. In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, l'amministratore, se il regolamento di condominio ne contiene l'autorizzazione, può sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono

suscettibili di godimento separato. ----- (1) E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, del presente comma dell'art. 63, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l'amministrazione del condominio può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonstante opposizione, per la riscossione dei contributi dovuti dai singoli condomini, in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea (C. Cost.19.01.1988 n. 40). 114 Corte di cassazione, sentenze 26 gennaio 2000, n. 857, nonché 17.5.1997, n. 4393

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Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati (quindi non è necessaria, a meno che non è prevista nel

regolamento, la presenza di un numero minimo di contitolari) dell‘oggetto della deliberazione.

Se non si prendono i provvedimenti necessari per l‘amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all‘autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di

consiglio e può anche nominare un amministratore.

Secondo il Tribunale Capitolino115 ove sorgano difficoltà gestionali in merito ad un bene comune lo strumento accordato dal legislatore è quello previsto dall'art. 1105 c.c. teso alla nomina di un amministratore giudiziario per la gestione del bene.

L'area d'intervento della disposizione testé citata si estende infatti a tutti i casi in cui non si adottano i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero non viene eseguita la deliberazione adottata. La nomina dell'amministratore è ammessa, pertanto, non solo in caso di inerzia ma anche ove si presentino concrete e specifiche difficoltà gestionali. Da quest'ultime chiaramente non si può prescindere.

E', infatti, ai comproprietari che spetta ogni determinazione in ordine all'amministrazione delle cose comuni sia che si tratti di spese voluttuarie, utili o necessarie, sia che si tratti di stabilire le modalità di godimento, donde presupposto indefettibile per l'ammissibilità del ricorso ex art. 1105 IV comma c.c., è la comprovata impossibilità di addivenire ad una decisione da parte dei comproprietari. Ed è all'evidenza che nell'ipotesi in cui i comproprietari siano due, posto che in caso di disaccordo nessuna maggioranza potrà mai formarsi, sarà sufficiente - per la proposizione del ricorso in esame - il loro disaccordo gestionale.

In merito poi alla convocazione116 è per uniforme giurisprudenza di legittimità il presupposto secondo cui l'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti.

Inoltre, secondo la Corte d‘Appello Meneghina117, la convocazione dell'assemblea della comunione disciplinata dall'art. 1105 c.c. non prevede un termine fisso di convocazione, demandando al giudice la valutazione della congruità del termine in concreto concesso.

115 Tribunale di Roma Sezione V civile, sentenza 22 marzo 2011, n. 5911 116 Corte di Cassazione, sentenza n. 26408/08 e Corte di cassazione, sentenza n. 875 del 3 febbraio 1999. Da ultimo vedi

anche Tribunale di Genova, Sezione III civile, sentenza 20 gennaio 2011, n. 276 117 Corte d'Appello di Milano civile, sentenza 08 gennaio 2007. Nel caso di specie è stato ritenuto congruo - alla luce

delle circostanze del caso - un termine di due giorni

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Proprio perché la suddetta norma regola in modo specifico la fattispecie, non è ravvisabile una lacuna e quindi non è applicabile una diversa regola mediante interpretazione analogica dell'art. 66118 comma III disp. att. c.c. dettato in tema di condominio di edifici, il quale fissa in 5 giorni il termine minimo per la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea ai partecipanti.

Non pochi problemi sono sorti in merito al luogo della riunione assembleare, ma che secondo ultima giurisprudenza di merito119, appunto, le riunioni dell'eventuale assemblea costituitasi non debbono essere tenute necessariamente presso il luogo in cui si trova l'immobile risultando inapplicabile qualsiasi regola dettata in tema di condominio - stante la mancanza di uno specifico obbligo di costituire un'assemblea - su tale questione. Viceversa può risultare confacente il richiamo ad un criterio di ragionevolezza e convenienza, dettato in tema di condominio ma autonomamente applicabile anche alla comunione, in virtù del quale fissare l'assemblea in un luogo moralmente e fisicamente idoneo a consentire non solo l'intervento di tutti i soggetti partecipanti alla comunione ma anche un sereno ed ordinato svolgimento della riunione. Così, nel caso in cui l'assemblea venga convocata in un luogo che non consenta il regolare ed ordinario sviluppo della discussione, essa non potrà che essere dichiarata non valida.

Per la validità delle deliberazioni è bene riportare una sentenza120 della S.C. con la quale si è affermato che in tema di comunione semplice — diversamente da quanto statuito per il condominio degli edifici — gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono la costituzione formale dell‘assemblea, ma semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti. Pertanto deve ritenersi regolarmente costituita e capace di deliberare, la riunione dei partecipanti alla comunione con la presenza dell‘amministratore per decidere su oggetti di comune interesse.

Per quanto riguarda gli effetti nei confronti dei terzi la Corte di Piazza Cavour121 ha affermato che il potere di concorrere nell'amministrazione della cosa comune statuito dal primo comma dell'art. 1105 c.c. può, nei confronti dei terzi, indurre a ritenere che chi agisce per la comunione la rappresenti ma, per vincolare i comunisti agli atti non stipulati dalla maggioranza, occorre, in ogni caso, che gli stessi vi prestino consenso. Infatti, per gli atti di ordinaria amministrazione, tra cui quelli indicati dall'art. 374 c.c.122, poiché l'esercizio

118

art. 66 convocazione dell'assemblea condominiale in via straordinaria

L'assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall'art. 1135 del codice, può essere convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da

almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione.

In mancanza dell'amministratore, l'assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino.

L' avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza.

119 Corte d'Appello di Firenze Sezione I civile, sentenza 11 giugno 2009, n. 786 120 Corte di Cassazione, sentenza 27 ottobre 2000, n. 14162. 121 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 04 giugno 2008, n. 14759 122

art. 374 c.c. autorizzazione del giudice tutelare: il tutore non può senza l'autorizzazione del giudice tutelare :

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da parte del singolo della facoltà di amministrare la cosa comune può collidere con quello analogo degli altri, ai sensi del secondo comma della norma citata, la potestà di disporre spetta alla maggioranza delle quote, la cui volontà vincola la minoranza e, comunque, ciascun comunista, se ritiene di esserne pregiudicato, può ricorrere all'autorità giudiziaria, ai sensi del quarto comma del richiamato art. 1105 cod. civ., come nel caso in cui non si formi la volontà della maggioranza o non si deliberi sull'amministrazione della cosa comune.

Andando ad analizzare, nuovamente, i provvedimenti previsti dall‘ultimo comma

dell‘art. 1105 secondo la costante giurisprudenza della Corte di legittimità123, i decreti emessi dal giudice, anche in sede di reclamo, in ordine ai provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune a norma dell'articolo 1105 c.c., u.c., sono soltanto suscettibili di revoca o di modificazione, e non impugnabili con il ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost., in quanto aventi natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione.

Inoltre secondo una sentenza di merito124 è inammissibile la revoca da parte dell'Autorità Giudiziaria, adita su ricorso di un partecipante ex art. 1105 c.c. in sede di volontaria giurisdizione, dell'amministratore di comunione nominato ai sensi dall'art. 1105 c.c., comma 2, non essendo applicabile in materia di comunione lo strumento camerale, eccezionale ed urgente, previsto invece per il condominio negli edifici dall'art. 1129 comma III, c.c., né ricorrendo per le regole della comunione un principio analogo ed inverso a quello previsto per il condominio nell'art. 1139 c.c.

1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazione

del patrimonio. 2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che

queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l'ordinaria amministrazione del suo patrimonio;

3) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni; 4) fare contratti di locazione d'immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il

raggiungimento della maggiore età; 5) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto

e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi. 123 Corte di Cassazione, Sezione VI civile, ordinanza 17 gennaio 2011, n. 880. Inoltre vedi anche Corte di Cassazione,

Sez. I, 18 marzo 1997, n. 2399; Sez. II , 29 dicembre 2004, n. 24140; Sez. II, 16 giugno 2005, n. 12881 in tema di amministrazione della cosa comune, i decreti emessi ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1105 cod. civ. hanno natura di

provvedimenti di volontaria giurisdizione che, essendo suscettibili in ogni tempo di revoca e di modificazione, non sono impugnabili con il ricorso di cui all'art. 111 Cost.; peraltro, il ricorso straordinario in cassazione è esperibile qualora la decisione, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi. (Nella specie è stata cassata la decisione che, nell'accogliere in sede di reclamo il ricorso proposto ai sensi dell'art. 1105 ultimo comma cod. civ., aveva autorizzato il condomino a demolire e ricostruire il fabbricato stante l'opposizione dell'altro comproprietario dell'edificio condominiale). 124 Tribunale di Salerno Sezione I, sentenza 11 maggio 2010. Nella specie, deducendosi dalla ricorrente curatela

fallimentare l'interesse a conoscere l'esatta entità dei beni e delle attività del patrimonio comune, a fronte delle incompletezze del rendiconto predisposto dall'amministratore della comunione, il Tribunale ha indicato la percorribilità delle alternative a cognizione piena consistenti nella impugnazione ex art. 1109 c.c. della delibera di approvazione del rendiconto, ovvero nell'esperimento del procedimento di rendiconto di cui agli art. 263 e ss. c.p.c.

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Mentre, sempre continuando a leggere nella medesima sentenza, in caso di irregolarità della gestione della comunione, ciascun partecipante può ricorrere all'assemblea e chiedere la revoca dell'amministratore, divenendo in tal caso ammissibile il ricorso del singolo all'autorità giudiziaria a norma dell'art. 1105 c.c. laddove non si formi al riguardo una maggioranza assembleare. Quando, invece, l'assemblea si tenga e decida di non procedere alla revoca dell'amministratore, il comunista può procedere ad impugnare la delibera ai sensi dell'art. 1109 n. 1 c.c.

In definitiva in materia di gestione della cosa comune il ricorso all‘autorità giudiziaria ex art. 1105 cod. civ. presuppone ipotesi tutte riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia125 in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza o per difetto di esecuzione della deliberazione adottata; detta norma non è, invece, applicabile quando l‘assemblea condominiale abbia approvato dei lavori considerati necessari per la manutenzione delle parti comuni dell‘edificio, contestati da taluni compartecipanti, in quanto l‘intervento del giudice in tal caso si risolverebbe in un‘ingerenza nella gestione condominiale ed in una sovrapposizione della volontà assembleare. Impugnazione

art. 1109 c.c. impugnazione delle deliberazioni: ciascuno dei componenti la

minoranza dissenziente può impugnare davanti all'autorità giudiziaria le deliberazioni della maggioranza :

1) nel caso previsto dal secondo comma dell'articolo 1105 (―per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata

secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente‖), se la deliberazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune;

2) se non è stata osservata la disposizione del terzo comma dell‘art 1105 (―per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano

stati preventivamente informati dell‘oggetto della deliberazione‖); 3) se la deliberazione relativa a innovazioni o ad altri atti eccedenti l‘ordinaria

amministrazione è in contrasto con le norme del primo e del secondo comma dell‘art 1108.

L‘impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro 30 giorni dalla deliberazione. Per gli assenti, il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. In pendenza del giudizio, l‘autorità giudiziaria può ordinare la sospensione

del provvedimento deliberato.

125 Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 5889 del 20 aprile 2001.

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Secondo le Sezioni Unite della S.C.126 in tema di condominio negli edifici (applicabile per analogia alla comunione), la sanzione della nullità deve ritenersi limitata alle delibere dell'assemblea condominiale: 1) prive degli elementi essenziali; 2) con oggetto impossibile o illecito (contrario, cioè, all'ordine pubblico alla morale o al buon costume), ovvero comunque invalide in relazione all'oggetto; 3) con oggetto non ricompreso nelle competenze dell'assemblea; 4) incidenti su diritti individuali su cose o servizi comuni; 5) incidenti sulla proprietà esclusiva di un condomino, mentre devono, per converso, ritenersi soltanto annullabili le delibere: 1) affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; 2) adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale; 3) affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione e/o informazione dell'assemblea; 4) affette genericamente da irregolarità nel procedimento di convocazione. Orbene proprio in riferimento alla regolare costituzione dell’assemblea per il Tribunale127 Capitolino i condomini e/o comunisti devono essere previamente messi al corrente dei temi oggetto della delibazione collegiale sì da consentire una partecipazione effettiva e concreta e permettere, nel contempo, di poter operare le personali valutazioni in merito anche all'opportunità o alla necessità, in ragione del personale interesse, a intervenire alla stessa. Ne consegue che l'eventuale deliberazione su questioni che non siano state inserite all'ordine del giorno e che non siano state oggetto di pregressa informativa ai condomini partecipanti, proprio perché pregiudicante detto diritto alla partecipazione effettiva e consapevole normativamente sancito dagli artt. 1105 e 1136 c.c., é illegittima e, pertanto, possibile oggetto di giudiziale gravame ai sensi dell'art. 1137 c.c.

In aggiunta a tale giurisprudenza si può far riferimento anche ad altra pronuncia128 che in maniera più esplicita ha affermato l‘invalidità della deliberazione assembleare assunta su un argomento non incluso nell'ordine del giorno contenuto nell'avviso di convocazione.

Secondo la S.C.129, per una partecipazione informata dei condomini ad un'assemblea condominiale, al fine della conseguente validità della delibera adottata è sufficiente che, nell'avviso di convocazione della medesima, gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno nei termini essenziali per essere comprensibili, senza necessità di prefigurare lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea.

126 Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza 07 marzo 2005, n. 4806 127 Tribunale Roma, Sezione V, sentenza 07 aprile 2009 128 Tribunale Ascoli Piceno, sentenza 14 ottobre 2008 129 Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 10 ottobre 2007, n. 21298. Nella specie la Corte confermava l'assunto del giudice di merito secondo cui la formula "presentazione degli elaborati" relativi al progetto di risanamento e ristrutturazione del condominio non potesse che comprendere anche il riferimento alla decisione circa l'approvazione o meno degli stessi.

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La sentenza enunciata riprende appieno altro provvedimento della medesima Corte130 – attinente sì alla materia societaria, ma applicabile per analogia – secondo cui l'indicazione, nell'avviso di convocazione dell'assemblea dei soci, dell'elenco delle materie da trattare ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione all'assemblea con la necessaria preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell'ordine del giorno. A tal fine, tuttavia, non è necessaria un'indicazione particolareggiata delle materie da trattare, ma è sufficiente un'indicazione sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica, la quale consenta la discussione e l'adozione da parte dell'assemblea dei soci anche delle eventuali deliberazioni consequenziali ed accessorie.

Infine sul punto con una nota sentenza la Corte di Piazza Cavour131 aveva già affermato che in tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti.

In particolare, sempre per la medesima Corte132, la disposizione dell'art. 1105, III comma, c.c. la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea.

L'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea condominiale – nonché della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in

130 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 27 giugno 2006, n. 14814 131 Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 30 luglio 2004, n. 14560. Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. confermava la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che la delibera adottata dall'assemblea, che impegnava il condominio per l'esecuzione di opere definitive per un ammontare pari a oltre 247 milioni di lire, potesse oggettivamente riconnettersi ad un ordine del giorno che indicava come oggetto di discussione l'esecuzione di diverse e specifiche opere provvisionali urgenti, per un importo inferiore a 10 milioni di lire, ovvero, in alternativa, di opere più rilevanti, ma per un importo di 55 milioni di lire. Principio ripreso da un‘ultima pronuncia della medesima Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 19 ottobre 2010, n. 21449 secondo cui in tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non

analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che autorizzazione all'amministratore ad aprire un nuovo conto corrente, una volta saldato quello precedente in passivo, e di procedere ad uno sconfinamento, in quanto connessa e logicamente consequenziale ai punti dell'ordine del giorno relativi alla nomina del nuovo amministratore ed all'avvio della nuova gestione condominiale, con l'approvazione del rendiconto relativo alle annualità pregresse, non richiedesse una indicazione analitica e separata dalla questione). 132 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 10 febbraio 2010, n. 2999 In senso conforme, vedi, Cassazione

civile, Sez. II, sentenza 27 marzo 2000, n. 3634. Negli stessi termini, confronta anche, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 22 luglio 2004, n. 13763 e Cassazione civile, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 21298.

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discussione indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione – è poi demandato all'apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.

E secondo giurisprudenza di merito133, affinché detto vizio possa essere concretamente riscontrato è, però, necessario che la determinazione assembleare verta su di un tema del tutto alieno rispetto a quanto posto al relativo ordine del giorno o, comunque, non sia ad esso riconducibile in via logica. Di contro, nel caso in cui tra quanto deliberato e quanto in precedenza indicato nel pertinente ordine del giorno sia enucleabile una relazione di "ampia coincidenza" o comunque di "convergenza" ciò escluderà ogni profilo di illegittimità proprio perché il dovere informativo ha trovato ottemperanza.

In rapporto, poi, alla validità del verbale tout court secondo la Corte nomofilattica134 un verbale di assemblea condominiale ben può essere utilizzato allo scopo di manifestare una volontà negoziale degli intervenuti o di alcuni di essi, ma, se per il negozio è richiesta la forma scritta ad substantiam, in tanto è soddisfatto il requisito formale, in quanto le parti del negozio abbiano proceduto alla sottoscrizione di detto verbale, poiché, ove lo scritto sia prescritto ad substantiam, la sottoscrizione è essenziale ai fini dell'operatività ed efficacia della manifestazione della volontà negoziale; conseguentemente, la sottoscrizione del verbale di assemblea solo da parte del presidente e del segretario non è idonea ad integrare il suindicato requisito di forma, relativamente a negozi di cui siano parti altri soggetti.

Pertanto la mancata sottoscrizione, di tutti i legittimi partecipanti alla comunione, ai lavori ―assembleari‖ determina la invalidità dello scritto.

In merito, infine, al ricorso introduttivo dell’impugnativa, con un provvido intervento le Sezioni Unite135 hanno affermato che in applicazione del principio di conservazione, l‘impugnazione delle deliberazioni condominiali (e dei comunisti) può avvenire efficacemente, pur se irritualmente, anche con citazione, a condizione però che nel termine di trenta giorni l‘atto non sia soltanto notificato, ma anche depositato in cancelleria, poiché unicamente in tal caso può essere equiparato a un ricorso.

Il caso partiva dall‘opposizione sollevata mediante citazione, appunto, da due condomini contro una delibera di rifacimento della copertura del garage dell‘edificio.

I ricorrenti si vedevano dare torto sia in primo grado, dal tribunale di Bergamo, che in appello, dalla Corte di Brescia, in quanto non avevano introdotto il giudizio mediante ricorso, né successivamente avevano sanato l‘invalidità dell‘atto facendo seguire alla notifica, fatta correttamente, anche il deposito in cancelleria, nel termine previsto di trenta giorni (articolo 1137 del cc). Orbene, nella sentenza si legge:

133 Tribunale di Roma Sezione V civile, sentenza 07 aprile 2009, n. 7649 134 Corte di Cassazione, sentenza 08 luglio 1981, n. 4480 135

Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza del 14 aprile 2011, n. 8491

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―A proposito delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, invece, è stato seguito anche un diverso orientamento, secondo cui è sufficiente la tempestiva notificazione della citazione, non occorrendo anche il suo deposito in cancelleria, che avviene successivamente, al momento della iscrizione a ruolo della causa136‖.

Ritiene il collegio che l’art. 1137 c.c. non disciplina la forma che deve assumere l’atto introduttivo dei giudizi di cui si tratta.

―Depone in questo senso, in primo luogo, la sedes materiae della disposizione, la quale è inserita in un contesto normativo – il codice civile – destinato alla configurazione dei diritti e all‘ apprestamento delle relative azioni sotto il profilo sostanziale dell‘an e non anche sotto quello procedurale del quomodo: contesto normativo nel quale il termine ―ricorso‖ è spesso utilizzato per indicare l‘atto con cui si reagisce, eventualmente anche in sede stragiudiziale, alla lesione di un diritto‖.

Proprio nell‘ambito della disciplina del condominio, infatti, l‘ art. 1133 c.c. prevede la possibilità del «ricorso all‘assemblea» contro ì provvedimenti dell‘amministratore, mentre la parola «citazione», nell‘art. 1131 c.c., indica tutti gli atti con cui il condominio è «convenuto in giudizio», atti che ben possono avere la forma del ricorso, quando si verte in materie per le quali così è disposto. Non è quindi significativo l’argomento lessicale, che viene ricavato dal testo dell’ art. 1137 c.c., nel quale il termine “ricorso” è impiegato nel senso generico di istanza giudiziale, che si ha facoltà di proporre per ottenere l’annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento dì condominio.

“Infatti la prescrizione del ricorso, come veste dell’atto introduttivo dei giudizi in determinate materie, è sempre accompagnata dalla fissazione di varie altre regole, intese in genere a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità: regole che mancano del tutto con riguardo alle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, per le quali non si dubita che siano soggette alle norme comuni dì procedura‖.

―Ciò non solo corrobora la tesi del significato generico del termine «ricorso» , come compare nell‘ art. 1137 c.c., ma fa cadere anche l‘argomento relativo alle esigenze di celerità che la norma avrebbe inteso soddisfare: a questo fine risulta ininfluente che la causa sia promossa nell‘una forma o nell‘ altra, se poi deve seguire il suo iter con il rito ordinario; né rileva la diversità – sulla quale pure è stato posto l‘accento – del sistema dì fissazione della prima udienza, da parte del giudice invece che dell‘attore, poiché eventuali manovre dilatorie di quest‘ ultimo possono essere efficacemente contrastate con il rimedio dell‘an-ticipazione di cui all‘art. 163-bis c.p.c., ma sono comunque già frustrate dalla prevista immediata esecutività delle deliberazioni condominiali, anche se impugnate‖.

Poiché dunque la norma in considerazione si limita a consentire ai dissenzienti e agli assenti di agire in giudizio, per contestare la conformità alla legge o al regolamento dì

136

Cass. 16 febbraio 1988 n. 1662, 30 luglio 2004 n. 14560, 11 aprile 2006 n. 8440, 27 luglio 2006 n. 17101,

28 maggio 2008 n. 14007

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condominio delle decisioni adottate dall‘assemblea, ma nulla dispone in ordine alle relative modalità, queste vanno individuate alla stregua della generale previsione dell‘ art. 163 c.p.c, secondo cui «la domanda si propone mediante citazione». Si evita così anche la discrasia, cui la contraria opinione da luogo, tra le azioni di annullamento e quelle di nullità delle deliberazioni condominiali, in quanto unanimemente soltanto alle prime si ritiene applicabile l‘art. 1137 c.c.137, sicché nei due casi le domande dovrebbero essere proposte in forme diverse, anche quando si impugna una stessa deliberazione e si deduce che è affetta da vizi che ne comportano sia la nullità sia l‘annullamento. Si evita altresì la divergenza, sopra evidenziata, tra le soluzioni adottate a proposito delle condizioni richieste per la sanabilità dell‘atto, quando si verte nella materia del condominio o nelle altre per le quali è prescritto il ricorso.

Ciò stante, la questione della conversione sì pone in termini inversi rispetto a quelli in cui è stata finora affrontata: si tratta di stabilire se la domanda di annullamento di una deliberazione condominiale, proposta impropriamente con ricorso anziché con citazione, possa essere ritenuta valida e se a questo fine sia sufficiente che entro i trenta giorni stabiliti dall‘art. 1137 c.c. l‘atto venga presentato al giudice, e non anche notificato. A entrambi i quesiti va data risposta affermativa, in quanto l’adozione della forma del ricorso non esclude l’idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in cancelleria, mentre estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine non risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre grava l’attore di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da una sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall’ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione.

In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza impugnata, secondo la S.C. andava cassata con rinvio ad altro giudice uniformandosi al seguente principio di diritto:

«L’art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, che vanno pertanto proposte con citazione, in applicazione della regola dettata dall’ art. 163 c.p.c.»” .

L’amministratore Poteri ed obblighi dell‘amministratore sono definiti dall‘assemblea o in via analogica, dalle norme sull‘amministratore di condominio e, infine, da quelle sul mandato. art. 1106 2 co c.c. regolamento della comunione e nomina di amministratore:

………………………………………………………………..

137

tra le altre, Corte di Cassazione, sentenza 19 marzo 2010 n. 6714

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Nello stesso modo l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore.

È stato riconosciuto in giurisprudenza che l‘amministratore ha soltanto una rappresentanza ex mandato dei compartecipi, riconoscendo, in tal modo, a ciascuno di questi ultimi, il potere di gestione della cosa comune: questo potere, però, non può essere esercitato in contrasto con il potere dell‘assemblea e dell‘amministratore. Infatti secondo il Collegio di Legittimità138 l'articolo 1105 del c.c. prevede che tutti i partecipanti alla comunione abbiano diritto di concorrere all'amministrazione della cosa comune; l'eventuale nomina di un amministratore, consentita dall'articolo 1106, comma II, non investe il medesimo di tutti i poteri di gestione e dei poteri di rappresentanza dei partecipanti, come avviene nel condominio ai sensi degli articoli 1130 e 1131 del c.c.; l'articolo 1106, infatti, prevede che con il conferimento della delega a un amministratore devono essere definiti i poteri e gli obblighi dello stesso; ne consegue che solo con espresso conferimento del relativo potere, l'amministratore può avere la rappresentanza dei partecipanti alla comunione. Per la Cassazione139, l'amministratore della comunione, anche se nominato giudiziariamente ai sensi dell'art. 1105 c.c., è privo della legittimazione ad agire in giudizio nei confronti di uno dei comunisti in rappresentanza degli altri, mancando, in materia di comunione, una disposizione analoga a quella posta, per l'amministratore del condominio, dall'art. 1131 c.c., che, in via eccezionale, attribuisce a questi il potere di agire in giudizio sia contro i terzi che nei confronti dei condomini. In assenza di un amministratore il contitolare può avvalersi dell‘indirizzo giurisprudenziale che attribuisce al singolo compartecipe la legittimazione a compiere atti di ordinaria amministrazione sulla base di una presunzione di autorizzazione da parte degli altri contitolari. Secondo alcune sentenze di merito140, inoltre, deve ritenersi infondata la domanda giudiziale tesa ad ottenere l'annullamento della delibera assembleare con cui sia stata nominata amministratrice del condominio (ed eventualmente di una comunione) una società. La disciplina codicistica in tema di nomina, revoca ed attività dell'amministratore del condominio degli edifici non esclude la possibilità che l'incarico di amministrazione sia conferito ad una pluralità di soggetti. Invero, grazie al rinvio alle norme sulla comunione, operato dall'art. 1139 c.c., è possibile applicare alla presente materia l'art. 1106 c.c., e conseguentemente è possibile prevedere che il suddetto mancipium gestorio sia affidato ad una società, in cui la disciplina del potere di amministrazione come

138 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 giugno 2007, n. 14826 139 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 luglio 2006, n. 15684 140 Tribunale di Cagliari civile, sentenza 14 febbraio 2007, n. 449, Tribunale di Roma Sezione III civile, sentenza 29

novembre 1996

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derivante da un rapporto di mandato fra la collettività dei soci amministratori (art. 2260 c.c.) e l'attribuzione, nei rapporti esterni, della rappresentanza del socio amministratore (art. 2266 c.c.) presenta un notevole parallelismo con quella dell'art. 1131 c.c., alla quale aggiunge la predisposizione di regole legali per la risoluzione del conflitto tra gli amministratori (art. 2257 c.c.).

H) Innovazioni ed altri atti eccedenti l’ordinaria

amministrazione

art. 1108 c.c. innovazioni e altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione: con deliberazione della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purché esse

non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa .

Nello stesso modo si possono compiere gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei partecipanti.

E' necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni .

L'ipoteca può essere tuttavia consentita dalla maggioranza indicata dal primo comma, qualora abbia lo scopo di garantire la restituzione delle somme mutuate per la

ricostruzione o per il miglioramento della cosa comune.

Per la Corte141 nomofilattica costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero nella destinazione, di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell‘ordinaria amministrazione e del godimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della sostanza della cosa medesima, con l‘effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento o, comunque, alterarne la destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull‘interesse di tutti i condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dell‘innovazione, anche se sia stata programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni, tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilita di utilizzare la cosa, facendone lo stesso maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica.

141 Corte di Cassazione, sentenza 14 febbraio 1980, n. 1111.

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L‘atto di disposizione del fondo comune, consistente nella costituzione su di esso di un diritto reale di servitù, esige il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, in difetto del quale, il compimento da parte di uno solo o da alcuni di questi è inidoneo alla produzione di siffatta costituzione e non determina pregiudizi nei confronti degli altri compartecipi142.

I) Rimborso di spese

art. 1110 c.c. rimborso di spese: il partecipante che, in caso di trascuratezza

degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso.

Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite143, la diversa disciplina dettata dagli

articoli 1110 e 1134 c.c. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per

la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di

edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri

partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova

fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità

finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono

decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i

beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la

legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella

loro amministrazione.

Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di

accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra

anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli

partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel

caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'articolo 1134 c.c.

In particolare, per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la

cosa comune, il condomino deve dimostrarne l'urgenza, ai sensi dell'articolo 1134 c.c.,

ossia la necessità di eseguirla senza ritardo e, quindi, senza potere avvertire

tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini. Tale accertamento di fatto

compete al giudice di merito e detto giudizio e' insindacabile in sede di legittimità, se

adeguatamente motivato144.

142 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 marzo 1994, n. 3083 143 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 31 gennaio 2006, n. 2046 144 Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 26 marzo 2001, n. 4364

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Poiché, in realtà, assumendo l'art. 1105 c.c. e valore di principio generale quanto

alla necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria per la nomina di un amministratore

laddove non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione o non si formi

una maggioranza, la deroga introdotta dall'art. 1110 c.c. (circa il diritto del partecipante al

rimborso delle spese affrontate per la necessaria conservazione della cosa comune in caso

di trascuranza) deve ritenersi eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione. Essa,

quindi, non può aver ad oggetto le consuete spese correnti destinate al mero

«godimento» anziché alla «conservazione» della cosa comune (l'art. 1104 comma I, c.c.,

distingue nettamente le due ipotesi e l'art. 1105, a sua volta, considera solo le seconde)

ovvero le spese (come ad esempio la manutenzione ordinaria dell'impianto di

riscaldamento) chiaramente estranee alla «necessaria» preservazione dell'integrità della

cosa stessa.

L) Profili processuali

È riconosciuta al contitolare la legittimazione ad esercitare le azioni a difesa della proprietà. Difatti la Corte di Cassazione145 ha avuto modo di affermare che in tema di azioni a difesa della proprietà, con riferimento alle parti comuni del fabbricato, il proprietario esclusivo di una porzione di un edifico abitativo, quale comproprietario delle parti dell'edificio con destinazione necessaria all'uso comune, è abilitato, in forza di trascrizione del suo titolo esclusivo di proprietà, ad agire nei confronti del terzo per ottenere la rimessione in pristino della violazione o manomissione di tali parti comuni. Ancora secondo giurisprudenza recente146 in materia di comunione il principio generale dell'autonomia del diritto di ciascuno dei partecipanti impone di ritenere sussistente in capo ad ognuno di essi il diritto di esercitare da solo tutte le azioni a difesa della proprietà.

145 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 25 maggio 2006, n. 12397 146 Tribunale di Trento civile, sentenza 08 febbraio 2010, n. 151. Corte di Cassazione Sezione II civile Sentenza 06 ottobre 2005, n. 19460. Il diritto di ciascun condomino ha per oggetto la cosa comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui, con la conseguenza che egli può legittimamente proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune senza che si renda necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini. (Nella specie, la S.C.. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto non doversi procedere all'integrazione del contraddittorio, avendo alcuni dei condomini agito nei confronti di altri per far accertare la proprietà condominiale del sottotetto sovrastante gli appartamenti siti all'ultimo piano dello stabile, illegittimamente occupato dai proprietari di questi, che assumevano di averne la proprietà esclusiva). Ne consegue, inoltre, sempre per la medesima Corte Corte di Cassazione Sezione III civile, Sentenza 02 agosto 2004, n. 14772 che in tema di cessazione, recesso o risoluzione di contratti aventi ad oggetto l'utilizzazione economica dell'immobile oggetto di comunione (nella specie, affitto di fondo rustico), vige il principio della concorrenza dei pari poteri gestori in tutti i comproprietari, in forza del quale ciascuno di essi è legittimato ad agire, anche in giudizio - e senza che sia all'uopo

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In tal senso, pertanto, nella fattispecie la intervenuta proposizione della domanda di costituzione di una servitù di passaggio coattivo a favore del fondo comune intercluso da parte di alcuni solo dei partecipanti alla comunione, non costituisce il pur eccepito ostacolo all'esame della domanda attorea. Principio espresso nuovamente in un‘ultima sentenza della S.C.147, ovvero: le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione. In particolare, in tema di rapporti condominiali, nel giudizio instaurato a tutela della proprietà comune per l'eliminazione di opere abusive compiute da alcuni condomini (e non per l'accertamento della natura condominiale di alcuni specifici beni), non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri comproprietari, dovendo i singoli convenuti rispondere autonomamente dell'addebitato abuso e potendo ciascuno dei condomini agire individualmente a tutela del bene comune. (1) Per la S.C.148, invece, con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata la legittimazione (attiva) del comproprietario del bene locato "pro parte dimidia", ove risulti l'espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell'art. 1105 c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell'ordinaria amministrazione della cosa comune. In precedenza la stessa Cassazione149 aveva affermato che nel caso di immobile in comunione il singolo comproprietario il quale faccia valere un‘esigenza propria può agire per il rilascio nei confronti del conduttore ai sensi dell‘art. 28 legge 27 luglio 1978 n. 392, non essendo richiesto che l‘invocata esigenza sia comune agli altri comproprietari il cui consenso è presunto.

necessaria una autorizzazione degli altri compartecipi, contro chi pretenda di avere un diritto di godimento sul bene, sulla base della comunanza di interessi tra tutti i partecipanti alla comunione e della conseguente presunzione di un loro consenso all'iniziativa volta alla tutela di detti interessi, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale

presunzione, il dissenso della maggioranza dei partecipanti stessi. (In applicazione del principio di cui sopra, la S.C ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto idonea a provocare la cessazione del contratto la disdetta inviata da uno solo dei due comproprietari, ancorchè questi non avesse espressamente dichiarato di agire anche in nome e per conto dell'altro ed essendo irrilevanti le diverse disposizioni relative all'esercizio del diritto di ripresa ex art. 42 legge 203 del 1982). 147 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 09 agosto 2010, n. 18485. In tema, in senso conforme, ex plurimis, vedi, Cassazione civile, Sez. II, ordinanza 7 settembre 2009, n. 19329, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 aprile 2000, n. 4345 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 10 maggio 1996, n. 4388. 148 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 13 gennaio 2009, n. 480 Conforme Cass. 19 aprile 1991, n. 4261 149 Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 22 maggio 1997, n. 4568. Conforme Corte di Cassazione, III

sezione, sentenza 3 luglio 1989, n. 3174.

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In ambito generale è bene sottolineare che nel giudizio avente ad oggetto una domanda di condanna alla demolizione di un immobile, sono necessari contraddittori tutti i comproprietari pro indiviso del manufatto, in quanto, stante l'unitarietà "ab origine" del rapporto dedotto in giudizio, una sentenza di demolizione pronunciata soltanto nei confronti di alcuni di essi sarebbe inutiliter data. Mentre150 non sussiste litisconsorzio necessario processuale, sì da richiedere l‘integrazione del contraddittorio ai sensi dell‘art. 331 c.p.c., tra coloro che hanno partecipato ai precedenti gradi di giudizio per tutelare la proprietà comune nei confronti di altri, perché la relativa controversia può esser instaurata da alcuni contitolari soltanto, senza necessità di integrazione del contraddittorio (c.d. sostanziale) a tutti. O ancora151 quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalità di uso della cosa comune, ancorché riguardanti una modificazione che, non incidendo sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti ( art. 1102 , comma II, c.c.) né eccedendo l'ordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.), tende al suo migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v'è litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti alla comunione. In merito poi alle domande giudiziali è possibile apportare delle modifiche riguardo alla domanda originaria di accertamento della comunione. Infatti secondo la S.C.152 anche in secondo grado, e pur in comparsa conclusionale, può modificarsi l‘originaria domanda di accertamento della comproprietà su di un bene in quella della proprietà esclusiva, senza incorrere nel divieto di "jus novorum" (art. 345 c.p.c.), ovvero il giudice può dichiarare l‘inesistenza di limite al diritto di proprietà su di un bene, in base alle risultanze processuali, senza che ciò implichi vizio di "ultra petita" (art. 112 c.p.c.). Tutto ciò in virtù del fatto che il diritto di comproprietà di un bene si esercita sull‘interezza di questo, e non su una sua frazione, l‘analogo diritto altrui ne costituisce il limite, che, se viene meno, determina la espansione di quel diritto, ossia la proprietà esclusiva.

150 Corte di Cassazione Sezione 2 civile, sentenza 23.02.1999, n. 1505. Confronta Sentenza 22 dicembre 1995, n.

13064 sez II Civile, Sentenza 26 ottobre 1992, n. 11626 sez II Civile, Sentenza 28 agosto 1998, n. 8546 sez II, Sentenza 16 luglio 1994, n. 6699 sez II Civile. 151 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 07 marzo 2003, n. 3435 152 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 22 maggio 1997, n. 4571

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M) Differenze Comunione e società

Differenza strutturale

art. 2248 c.c. comunione a scopo di godimento: la comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del Titolo

VII del Libro III (1100 e seguenti).

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell‘affermare che, A) mentre il rapporto di società tende all‘esercizio dinamico di un‘attività economica

speculativa; per la Cassazione153 l'elemento discriminante tra comunione a scopo di godimento e società è costituito dallo scopo lucrativo perseguito tramite una attività imprenditoriale che si sostituisce al mero godimento ed in funzione della quale vengono utilizzati beni comuni. Nel caso di comunione d'azienda, ove il godimento di essa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte dei partecipanti alla comunione, è configurabile l'esercizio di una impresa collettiva (nelle forme della società regolare oppure irregolare o di fatto), non ostandovi l'art. 2248 c.c., che assoggetta alle norme dell'art. 1100 c.c. e seguenti, la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento.

B) il rapporto di comunione si configura come una situazione statica, che mira alla mera conservazione e al godimento in comune di beni.

In altri termini la stessa dottrina ha rilevato che: A) nella società il risultato utile per ogni partecipante dipende dalla valorizzazione dei

beni, in senso produttivo, ottenuta con l‘esercizio; ed è quindi la conseguenza di una particolare attività svolta collettivamente dai soci sui beni stessi. I beni conferiti, prima di tale attività elaboratrice e senza di essa, non sarebbero capaci di dare il risultato utile a i partecipanti.

B) Nella comunione, invece, il risultato utile dipende e discende dalla produttività naturale della cosa comune, in quanto essa, per la sua destinazione e per la sua natura, è capace di dare immediatamente un risultato utile, la cui funzione,

153 Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 06 febbraio 2009, n. 3028. Come rileva nella pronuncia in esame la stessa Suprema Corte, la massima esprime un principio consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità: sotto tale profilo, vedi in particolare, Cassazione civile, Sez. L, sentenza 21 febbraio 1984, n. 1251 e Cassazione civile, Sez. L, sentenza 27 novembre 1999, n. 13291 le quali hanno ribadito il principio affermando espressamente che nel caso di comunione incidentale di azienda, ove il godimento di questa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte di uno o più partecipanti alla comunione, è configurabile l'esercizio di un'impresa individuale o collettiva (nella forma della società regolare oppure della società irregolare di fatto), non ostandovi l'art. 2248 c.c., che assoggetta alle norme degli artt. 1100 e ss. dello stesso codice la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento. Citata anche nella decisione esaminata, vedi anche Cassazione civile, Sez. I, sentenza 10 novembre 1992, n. 12087, per la quale nel caso di comproprietà di un'azienda alberghiera, lo sfruttamento di essa direttamente da parte dei comproprietari (i quali non si limitano a darla in affitto a terzi ed a goderne la rendita) dà luogo ad un'attività necessariamente imprenditoriale e, quindi, alla costituzione di società.

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pertanto, può venir conseguita da ogni semplice esercizio del diritto reale che gli compete; il diritto reale, infatti, tra le sue facoltà, comprende l‘uti e il frui.

Ulteriore differenza per quanto riguarda la natura giuridica del diritto:

A) il comunista ha un diritto frazionato sui singoli beni compresi nella comunione e può cedere pertanto, anche la sua quota su uno solo dei beni;

B) il socio, invece, è titolare della quota sociale nella quale sono riuniti e fusi i beni sociali nel complessivo e indifferenziato patrimonio sociale, sottoposto ad una gestione produttiva.

Differenza di disciplina

A) nella comunione, mancando l‘esercizio in comune, il comunista può cedere ad altri il proprio diritto indipendentemente dal consenso degli altri partecipanti (art. 1103);

B) mentre ciò, in linea di principio, non è consentito al socio di società personale, perché in essa la cessione della qualità di socio viene considerata una modifica del contratta sociale.

A) nella comunione ogni partecipante ha diritto alla divisione in natura dei beni

esistenti fin dall‘inizio (art. 1111); B) mentre in sede di liquidazione della società, l‘attivo residuo netto viene ripartito di

regola in denaro (2282) e, solo se tutti i soci lo consentono, in natura. La legge mentre manifesta un interesse alla continuazione della società manifesta un interesse contrario. Ciò spiega perché:

1) il comunista ha sempre diritto alla divisione; 2) mentre il socio può solo recedere; 3) per la società può essere stabilita una durata ultradecennale ed è favorita

anche tacitamente dalla sua proroga; 4) mentre la comunione viene considerata una situazione giuridica temporanea,

tanto che il patto d‘indivisibilità non può avere una durata superiore ai 10 anni e, non è inoltre prevista alcuna proroga.