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La Conceria di Pompei

La conceria di Pompei

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La storia della conceria di Pompei

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La Conceria di PompeiL’Unione Nazionale Industria Conciaria, nel gennaio 2008, ha sottoscritto una

convenzione con la soprintendenza di Napoli e Pompei per il restauro di un

complesso conciario fra i più antichi del mondo che si trova negli Scavi di Pompei,

presso Porta Stabia, nel quartiere dei teatri (Regione I, Insula 5).

Scoperta tra il 1873-74, la conceria fu scavata nella sua completezza da Amedeo

Maiuri negli anni ’50. Nell’edificio erano l’abitazione del gestore e gli ambienti

destinati alle lavorazioni, come il porticato diviso in sei scompartimenti, separati da

cinque tramezzi, in 3 dei quali è murata la conduttura che portava acque alle giare.

Nella zona retrostante si trovano 15 vasche circolari in muratura, rivestite di

cocciopesto, con foro di carico e scarico. Dodici di esse venivano usate per la

concia al vegetale di pelli grandi e 3 per quella all’allume di rocca di pelli piccole.

Sotto il portico centrale avveniva la prima fase del lavoro, ovvero lo scuoio

dell’animale, poi seguita dall’immersione nei tini. Qui le pelli venivano trattate con

il tannino. Al livello superiore del primo ambiente si pensa ci fosse uno stenditoio

dove le pelli venivano stese ad asciugare. Sul fondo del cortile si trova un triclinio

con una tavola centrale prima decorata da una famoso mosaico, ora al Museo

Archeologico di Napoli, che con la rappresentazione naturalistica del teschio e

degli strumenti da muratore, esprime allegoricamente la caducità della vita e

l’incombere della morte.

Tali resti, insieme con il gran numero di attrezzi, anch’essi attualmente custoditi

presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sono

rivelatori di un livello produttivo e infrastrutturale di alta

qualità, durato per quasi due millenni, cioè fino al salto

industriale dei sali di cromo e dei macchinari a corrente

elettrica.

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La Conceria e il vulcanoBenvenuti in una cittadina campestre dell’Italia meridionale,

è una giornata serena e normale.

Benvenuti nella piccola e crudele Pompei, che giace a

i piedi del Vesuvio addormentato.

La sua denominazione, ampollosa e graziosa,

è Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum.

Un animato centro commerciale, che esporta salsa di pesce

garum, pietra vulcanica, lana, pelli, tessuti e vesuvinum

(secondo Plinio il Vecchio provoca mal di testa).

Una cittadina fiorente di ventimila abitanti che,

dopo il grande terremoto distruttore di diciassette

anni prima, ha subito altri sismi.

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Il Vesuvio verde scuro e dolce si erge alcielo, ora vellutato, ora annebbiato in cima,una montagna assopita nella pianura fertile.Sulle acque del golfo, barche dorate naviganolente, mentre gabbiani bianchi scivolano nelcielo limpido e terso da brezze.Da Porta Marina, la più transitata fra le settedella città, entrano carrette di merci portate dallenavi salpate da Alessandria, Pozzuoli, Cuma odalla Siria. E’ appena arrivata una nave piena di anfore diacqua del Nilo destinata al Tempio di Iside e,nella stiva, ha una tigre per l’anfiteatro.I vasi sono colorati e decorati con piccolicoccodrilli verdi. Li scaricano per primi, poi molti sacchi dicereali, quindi le pelli siriane, infine l’animale,maestoso. La plebe, fitta e curiosa, sta sul molo a guardare. Il chiacchiericcio è assordante.Anche Marcus Fabius Ululitremulus conciatore è lì, in questa mattinata limpida del 23 agosto.

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E’ l’ora quarta. Controllato che le pellicommissionate siano quelle giuste, torna allasua bottega, nei pressi di via dell’Abbondanza, in periferia. Quando il vento spira dal mare, si sente un granpuzzo, così lui ha fatto costruire un muro, anchese intorno ci sono più stalle che case.Pompei ha molti conciatori ma Ululitremulus èdavvero il più bravo.Il nome deriva da ulula (civetta), che è l’uccellodi Minerva, protettrice degli artigiani e veneratadai conciatori. Con lui lavorano i maestri conciatori Papilo,Leno, Eutrapelo, Dione, Veranio, Gerulus, deiquali, almeno l’ultimo, deve essere gallo diorigine (come Asterix). Parecchi schiavi, e gli amministratori sono CaioVulius e Pinario Aninius.Ululitremulus si è ricavato un cubiculum per sée a volte vi trascorre la notte, anziché tornare acasa, in via Grande.L’officina coriarorum consta di un porticato,diviso in sei scompartimenti, cinque tramezzi,

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in tre dei quali è murata la conduttura che portaalle giare. Dietro sono posizionate 15 vaschecircolari in muratura, rivestite di cocciopesto,con un foro di carico e scarico del conciante.Dodici vengono usate per la concia delle pelligrandi e tre per le piccole. Al piano superiore si trova lo stenditoio.Nel cortile, sul fondo, il triclinio ha una tavolacentrale con mosaico raffigurante un teschio estrumenti da muratore. Simboleggia la caducità della vita e l’incomberedella morte. La livella assicura l’orizzontalità, il sacco e ilbastone da un lato ed il manto di porporadall’altro ricordano che la morte mette sullostesso piano il ricco e il povero.All’angolo della strada Ululitremulus ha fattoedificare un orinatoio, meno rozzo di quelli diRoma, bensì grazioso, simile ad un’edicola,protetto da una tenda di lana blu, ingentilito dadipinti bucolici, provvisto di un grosso pitale diterracotta, dove i passanti si fermano per i lorobisogni.

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Uno schiavo, più volte al giorno, lo prende e loscarica nella vasca, versando l’urina sul lato pelodelle pelli, sovrapposte pelo contro pelo, che,dopo qualche tempo, si stacca per semplicetrazione. Basta un cavalletto di legno con unamezzaluna non tagliente. A Roma è prevista una tassa su questa materiaprima; a Pompei no, altrimenti scoppierebbe larivolta, sia dei conciatori sia dei fulloni. Ululitremulus va personalmente ad acquistare ilgrezzo, ogni giorno al macellum. Nella sua bottega arrivano le pelli imbrattate disangue ed escrementi, due schiavi le lavano ePapilo, maestro conciatore, si occupa dellamacerazione. L’operazione richiede il massimo controllo, vainterrotta prima di provocare danni al substrato.Il maestro sceglie di volta in volta il tipo disterco da utilizzare come macerante: cane perdare più morbidezza, uccelli se il materiale deveessere solido.Leno e Eutrapelo sono incaricati della concia.L’uno segue quella all’allume di rocca delle pelli

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piccole l’altro quella al vegetale. L’allume vieneda una miniera di Pozzuoli, quasi esaurita, odalle Isole Eolie. Leno lo miscela con il sale marino perdisidratare la pelle e favorire la penetrazionedella sostanza.Per la concia al vegetale serve la corteccia diquercia, le foglie di sommaco e le noci di galla,escrescenze prodotte dalla puntura di un insettosulla pianta della quercia. Ne deriva un cuoiodal colore caldo e odore aromatico.Il pellame è accatastato in vasca su vari strati dimateriale conciante. Vi rimane per circa tre mesi. Alla fine le pelli sitingono e si ingrassano, con i lavoranti che letirano a gran forza da tutte le direzioni per lapenetrazione degli oli.Il giorno è al termine, Veranio e Gerulus battonocon le mazze le pelli distese per ammorbidirle.Ululitremulus ha organizzato una cena presso laTaverna del Gladiatore.Nel menù quaglie, salsicce, utero di scrofasterile, fegato farcito di fichi, cotiche, mammelle

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di scrofa ripiene, capra selvatica, tortore, linguedi fenicotteri, ghiri, palline di calamaro, lepremarinata, piovra, mulo, zucca in salsa, passatodi orzo e meravigliose verdure dell’orto. Per condimento gani flos flos, poi vino speziato,panini africani al vino dolce, torta di formaggiobianco e latte cagliato.La mattina dopo, quando già si lavora, il primotuono rimbomba terribile, poi la scossa,violenta, l’edificio sembra crollare, escono tuttiper strada, i vicoli si ingombrano di gente, gliocchi fissi al Monte Vesuvio. Sta accadendoqualcosa di innaturale. La sommità si tinge di giallo e poi di nero edentro enormi, improvvise fiamme e poi tuttosale lento al cielo, molto in alto, sfiora la lunache di questa stagione è presente anche con laluce del sole, si allarga lassù come la chiomagigantesca di un pino marittimo con il tronconel cratere, che a un certo punto si spezza. La chioma orribile e smisurata precipita sullamontagna e nella cittadina campestre scendonorapidamente tenebre fitte e spaventevoli...

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