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1 LA CONSULENZA TECNICA Trimestrale on-line www.laconsulenzatecnica.it Direttore Marco Lilli *************** SOMMARIO n. 3/2007 La consulenza tecnica preventiva Sanzioni accessorie a seguito di incidente Corte di Cassazione - IRAP riguardante gli studi associati Seminario Salerno 16.6.07 Intercettazioni Digitali Cerimonia di chiusura AA 2006/2007 Unitre Amelia Quando ad un perito assicurativo necessita la licenza d’investigatore Seminario Roma 28.4.07 Libro Terzo Codice procedura penale – Prove Quando nel 1999 la Consulta si occupò della nomina dei periti per i non abbienti ***************

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LA CONSULENZA TECNICA Trimestrale on-line

www.laconsulenzatecnica.it

Direttore Marco Lilli

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SOMMARIO n. 3/2007

La consulenza tecnica preventiva

Sanzioni accessorie a seguito di incidente

Corte di Cassazione - IRAP riguardante gli studi associati

Seminario Salerno 16.6.07

Intercettazioni Digitali

Cerimonia di chiusura AA 2006/2007 Unitre Amelia

Quando ad un perito assicurativo necessita la licenza d’investigatore

Seminario Roma 28.4.07

Libro Terzo Codice procedura penale – Prove

Quando nel 1999 la Consulta si occupò della nomina dei periti per i non abbienti

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IN TEMA DI CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA E PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE IN VIA

ISTRUTTORIA E NON DECISORIA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE CIVILI

I giudici bocciano la tesi secondo cui la consulenza tecnica preventiva avrebbe natura decisoria perché comporta un’anticipazione di giudizio sui fatti controversi e perché ciascuna delle parti può chiedere che la relazione sia acquisita agli atti del processo. Infatti il provvedimento del giudice che ammette la consulenza tecnica preventiva (art. 696bis Cpc) è istruttorio e non decisorio, in quanto la sua natura non è alterata dal fatto che la norma prevede un tentativo di conciliazione fra le parti ad opera del consulente.

Cassazione - Sezioni Unite Civili

Ordinanza 14301/2007

È stata depositata in cancelleria la seguente relazione: 1. La (omissis), con sede in Germania, premesso che (omissis) s.p.a. aveva richiesto al presidente del tribunale di Udine accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c. e consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in merito a manufatti forniti da (omissis) alla (omissis) e di cui quest'ultima lamentava vizi, mentre essa Acciaieria assumeva di aver diritto alla corresponsione degli oneri e costi sopportati fino a concorrenza del corrispettivo pattuito, ha proposto, con unico ricorso, regolamento di competenza ed impugnazione ex art. 111, c. 7, Cost., avverso il provvedimento del 26.9.2006, del tribunale di Udine con cui veniva ammessa consulenza tecnica preventiva, anche ai fini della conciliazione. 2. Preliminarmente all'esame delle censure pare che vada dichiarata l'inammissibilità tanto del regolamento quanto del ricorso straordinario per cassazione. Anzitutto va osservato che per costante giurisprudenza delle S.U. di questa Corte, il provvedimento che ammette un atto di istruzione preventiva non è suscettibile di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di un provvedimento connotato dal carattere della provvisorietà o strumentalità, come risulta dall'art. 698 c.p.c., secondo il quale l’assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito (S.U. 05/07/2004, n. 12305; S.U. 10540/01; S.U. n. 7129/98; S.U. n11133/97). Da ciò consegue l'inammissibilità del proposto ricorso ex art. 111 Costituzione. 3.1. Quanto al regolamento di competenza proposto, va osservato che con esso la ricorrente lamenta che la competenza si appartiene esclusivamente al tribunale tedesco, giusta una specifica clausola contrattuale. Conseguentemente, stante la giurisprudenza delle S.U. di questa Corte, la censura suddetta, con cui si lamenta che la causa debba essere decisa da un giudice straniero, attiene a questione di giurisdizione e non di competenza, da far valere con regolamento preventivo di giurisdizione (Cass. S.U. 1.2.1999, n. 6; Cass. S.U. 6.7.2005, n. 4807). 3.2. Sennonché tanto che si tratti di regolamento di competenza (quale formalmente appare) quanto che si tratti di regolamento preventivo di giurisdizione (quale è nella sostanza), esso è inammissibile. Infatti, relativamente al regolamento preventivo di giurisdizione avverso provvedimenti ammissivi di atti di istruzione preventiva, la costante giurisprudenza delle S.U. ha statuito che, stante l'esclusione dell'impugnabilità con il ricorso straordinario per cassazione “ex” art. 111 Cost. del provvedimento con cui il giudice dispone un mezzo di istruzione preventiva, deve ritenersi inammissibile l'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione nel procedimento di istruzione preventiva, non potendo logicamente ritenersi che la Corte di Cassazione possa decidere sulla questione di giurisdizione in via preventiva, quando non è possibile il ricorso straordinario per Cassazione “ex” art. 111 Cost. e, dunque, prospettabile la questione di giurisdizione in sede di impugnazione (Cass. S.U. 05/07/2004, n. 12304; S.U. n. 11133/97).

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3.3. Per analoghi motivi è stato escluso che il regolamento di competenza potesse essere proposto avverso i provvedimenti d'istruzione preventiva (Cass. S.U. 21/07/1998, n. 7129; Cass. S.U. n. 12304 e 12305; Cass. 19/08/2005, n. 17058). 4.1. La ricorrente ritiene di poter superare tale orientamento giurisprudenziale, osservando che nella specie era stato richiesto non solo un accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., ma anche una consulenza tecnica preventiva a norma dell'art. 696 bis c.p.c. e che quest'ultima ha natura decisoria, perché comporta un'anticipazione di giudizio in merito ai fatti controversi, perché ciascuna delle parti può chiedere che la relazione sia acquisita agli atti del processo e perché il consulente ha il dovere di tentare la conciliazione tra le parti e quindi di definire la vertenza per questa via. 4.2. Questa tesi della natura decisoria e definitiva del provvedimento di ammissione della consulenza tecnica preventiva, di cui all'art. 696 bis, c.p.c. è manifestamente infondata, dovendo invece affermarsi che anche esso, come tutti gli altri relativi ad atti di istruzione preventiva, ha carattere provvisorio e strumentale, con la conseguenza che da una parte non è ammissibile, per le ragioni dette, il ricorso straordinario per cassazione a norma dell'art. 111, c. 7 Cost., e dall'altra che non sono ammissibili i regolamenti di competenza e di giurisdizione. Anzitutto l'art. 696 bis, c.p.c., avente ad oggetto la «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», è stato aggiunto (dall'art. 2, comma 3, lett. e-bis), D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con l. n. 80/2005, a decorrere dal 1° marzo 2006) tra i "procedimenti di istruzione preventiva", già previsti dal codice di rito, per cui non vi è ragione per non ritenere che ne condivida la natura. 4.3. Inoltre la regola di cui all'art. 698, c. 2, c.p.c., rimane applicabile anche a tale consulenza e tale norma statuisce che: «L'assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione, nel giudizio di merito.» 4.4. Quanto poi alla considerazione, secondo cui con tale consulenza vi è un giudizio in merito ai fatti controversi, va osservato che tale valutazione non è contenuta nel provvedimento di ammissione del giudice (oggetto dell'attuale ricorso), ma nella successiva relazione di consulenza ed è - soprattutto - ascrivibile appunto al consulente e non al giudice. 4.5. Quanto all'osservazione secondo cui la natura decisoria deriverebbe dal fatto che la consulenza preventiva è finalizzata anche alla conciliazione delle parti, va osservato che tale figura (tentativo di conciliazione da parte del c.t.u.) non è sconosciuta nel nostro ordinamento, il quale l'ha prevista per le consulenze contabili (artt. 198-200 c.p.c.). La dottrina e la giurisprudenza (Cass. 15/10/2003, n. 15448), che hanno esaminato tale istituto, non hanno mai ritenuto che il provvedimento di ammissione di una consulenza contabile, con contestuale affidamento al c.t.u. di tentare la conciliazione delle parti, perdesse la natura di provvedimento istruttorio, per assumere quella sostanziale di sentenza per potenziale definitività e decisorietà su diritti soggettivi, con conseguente ricorribilità ex art. 111, c. 7, Cost., ed ammissibilità dei regolamenti di competenza e di giurisdizione. Né si vede la base normativa per giungere ad una diversa conclusione. La conciliazione di cui all'art. 696 bis c.p.c., come quella di cui all'art. 199 c.p.c., non può essere equiparata, nemmeno sotto il profilo sostanziale ad una sentenza, ed ancor meno lo può essere il provvedimento di ammissione di tale consulenza (che nella fattispecie è l'unico oggetto del ricorso). Non essendo tale conciliazione raggiunta davanti al giudice, è necessario che quest’ultimo attribuisca al relativo processo verbale la forza di titolo esecutivo, mentre secondo la condivisibile dottrina maggioritaria eventuali vizi della conciliazione, munita del decreto di efficacia di titolo esecutivo, possono essere fatti valere solo in sede di opposizione all’esecuzione. 5. Il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella redazione. Pertanto sia il regolamento che il ricorso devono essere dichiarati inammissibili. La ricorrente va condannata al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, sostenute dalla resistente (omissis)

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IN TEMA DI SANZIONI AMMINISTRATIVE ACCESSORIE A SEGUITO DI INCIDENTE STRADALE CON LESIONI PERSONALI – TERMINE PER L’EMISSIONE

DEL PROVVEDIMENTO PREFETTIZIO CHE DISPONE LA SOSPENSIONE PROVVISORIA DELLA PATENTE DI GUIDA

Nella fattispecie le sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza che segue, hanno sanato un contrasto di giurisprudenza, infatti le Sezioni Unite hanno statuito che, in caso di incidente stradale con lesioni colpose, il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente, di cui all’art. 223 del codice della strada, non può essere adottato a distanza dal fatto, in quanto vengono meno le esigenze cautelari alla cui salvaguardia lo stesso è preordinato.

Cassazione SU Civili Sentenza n. 13226/2007

Svolgimento del processo.

Con ricorso in data 16 febbraio 2001 (omissis) proponeva opposizione davanti a Giudice di pace di Rimini contro il provvedimento in data 19 gennaio 2001, con il quale il Prefetto della Provincia di Rimini aveva disposto nei suoi confronti la sospensione della patente di guida, ai sensi dell'art. 223, secondo comma, del codice della strada, in relazione ad un incidente stradale con lesioni personali verificatosi il 30 maggio 2000.

A fondamento della opposizione veniva, tra l'altro, dedotto che il provvedimento di sospensione della patente era intervenuto a distanza di oltre otto mesi dal sinistro, quando erano già cessate le finalità cautelari sottese all'art. 223, secondo comma, del codice della strada.

Con sentenza in data 2 giugno 2001 il Giudice di pace di Rimini rigettava l'opposizione, ritenendo che, in considerazione dell'iter che il Prefetto deve seguire prima di disporre la sospensione della patente, nella specie il relativo provvedimento doveva considerarsi emesso tempestivamente e nella presenza delle condizioni di legge.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (omissis) con cinque motivi.

La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite sul presupposto della esistenza, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte di un contrasto in ordine alla individuazione del termine entro il quale il Prefetto può adottare il provvedimento di sospensione della partente di guida, ai sensi dell'art. 223, secondo comma, del codice della strada.

Motivi della decisione

Da un punto di vista logico va esaminato per primo il secondo motivo del ricorso, con il quale il ricorrente deduce che non poteva comunque essere disposta la sospensione della patente, in quanto l'incidente (a quanto è dato comprendere) non era direttamente collegato alla circolazione stradale, essendo stata causato dell'apertura dello sportello della propria autovettura.

Il motivo è infondato, in quanto questa S.C. ha già avuto occasione di affermare, proprio con riferimento alla apertura dello sportello senza la dovuta attenzione, sia pure ai fini della responsabilità ex art. 2054 c.c. che nell'ampio concetto di circolazione deve ritenere compresa anche la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada o area pubblica di pertinenza della stessa (sent. 6 giugno 2002 n. 8216).

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Con il primo motivo il ricorrente ripropone la questione della tardività del provvedimento di sospensione della patente.

Rileva preliminarmente il collegio che il contrasto nella giurisprudenza di questa S.C. esiste solo tra la sentenza in data 8 agosto 2003 n. 11967, secondo la quale, in mancanza di un termine specifico, la sospensione sarebbe soggetta alla sola prescrizione ordinaria quinquennale, sul presupposto che il relativo provvedimento, oltre ad assumere una funzione cautelare (in attesa dell'eventuale sentenza di condanna), riveste comunque natura amministrativa sanzionatoria, come nel caso previsto dal precedente articolo 218 e sfuggirebbe, in quanto tale, al criterio dell'immediatezza dell'applicazione, tipico solo di detta funzione cautelare.

La sentenza 15 aprile 2005 n. 7813, richiamata nell'ordinanza di rimessione, e la sentenza 28 aprile 2006 n. 9863, nonostante la formulazione delle "massime" ufficiali, non hanno preso posizione sul problema, non essendo necessario ai fini della decisione, e si sono limitate a dare atto del contrasto.

La sentenza 6 settembre 2004 n. 17975, ugualmente richiamata nella ordinanza di rimessione, si è limitata ad escludere l'esistenza di un termine di venticinque giorni dall'incidente desumibile dall'art. 223, comma primo e secondo, del codice della strada, costituito dalla somma dei dieci giorni per la trasmissione del rapporto e dei quindici giorni per il parere del competente ufficio della Direzione Generale della M.T.C. in quanto si deve tenere conto del lasso di tempo necessario per la richiesta del parere e per la trasmissione dello stesso. Tale decisione ha peraltro aggiunto che nessuna decadenza è prevista per la eventuale inosservanza dei termini.

Nel senso, invece, che la sospensione di cui si discute non deve essere adottata a tale distanza dal fatto da essere venute meno le esigenze cautelari, cui è preordinata si sono pronunciate le sentenze: 24 agosto 2005 n. 17205; 2 novembre 2004 n. 21048; 27 aprile 2001 n. 6108; 25 ottobre 1999 n. 11959.

Ritiene il collegio di aderire a tale secondo orientamento, sia pure con alcune precisazioni.

In linea di principio, è senz'altro da escludere che il provvedimento di sospensione della patente non possa più essere adottato per il solo mancato rispetto dei termini di cui all'art. 223, comma primo (mancata trasmissione del rapporto entro dieci giorni al Prefetto ed alla Direzione generale della M.T.C.), e comma secondo (mancata trasmissione entro quindici giorni del parere del competente ufficio della Direzione Generale della M.T.C.), del codice della strada.

A prescindere dalla considerazione che nessuna decadenza è espressamente prevista per il mancato rispetto di tali termini, non sarebbe ragionevole precludere la possibilità di adottare un provvedimento previsto a tutela della incolumità pubblica per il ritardo di pochi giorni nel compimento di tali attività.

Tale effetto preclusivo potrà assumere rilevanza solo quando, per la sua consistenza, sia idoneo a non consentire la realizzazione delle esigenze cautelari in relazione alle quali la sospensione della patente è prevista.

Considerazioni analoghe valgono per l'attività di competenza del Prefetto.

Per quanto l'art. 223, comma secondo, del codice della strada prescriva che il Prefetto deve richiedere il parere al competente ufficio della Direzione Generale della M.T.C. "appena ricevuti gli atti", non sarebbe ragionevole ritenere che si verifichi decadenza nel caso di mancata richiesta del parere lo stesso giorno in cui il rapporto è pervenuto al Prefetto.

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Ugualmente sarebbe irragionevole ritenere che il Prefetto deve provvedere alla sospensione della patente appena ricevuto il parere in questione, anche in considerazione del fatto che tale sospensione deve essere disposta "ove sussistano fondati elementi di una evidente responsabilità", il che presuppone un adeguato spatium deliberandi.

Non è invece ammissibile una sospensione della patente che dovesse intervenire ad una distanza di tempo dal completamento dell'iter previsto dall'art. 223, primo e secondo comma, del codice della strada, tale da non essere giustificata dalla esigenza di valutazione degli elementi raccolti.

A tal fine va anche considerato che se lo scopo della sospensione della patente è quello di impedire provvisoriamente di guidare ad un soggetto la cui condotta di guida risulti pericolosa per la pubblica incolumità, come desumibile da un grave incidente in cui lo stesso sia rimasto coinvolto, sarebbe illogico adottare tale sospensione a distanza di molti mesi dall'incidente, quando il pericolo per la pubblica incolumità che si vorrebbe evitare si è comunque verificato.

A conclusioni sostanzialmente identiche è pervenuta questa S.C. in tema di interpretazione dell'art. 14 L. 24 novembre 1981 n. 689, avendo affermato che l'attività di accertamento dell'illecito (ai fini della contestazione dello stesso) deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell'infrazione, e quindi della fase finale di delibazione correlata alla complessità della indagine; compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevole necessario all'amministrazione per compiere tale valutazione, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell'assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo, essendo il relativo giudizio sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione.

Alla luce di tali considerazioni appare senz'altro fondato il primo motivo del ricorso, con il quale si censura la motivazione con la quale è stata rigettata l'opposizione.

E' sufficiente, in proposito, osservare che, a prescindere dal fatto che il provvedimento di sospensione della patente è stato emesso a distanza di ben otto mesi dall'incidente, il Giudice di pace non ha chiarito come potesse ritenersi giustificata la trasmissione del parere del competente ufficio della Direzione generale della M.T.C. a distanza di cinque mesi da tale incidente e come per la valutazione dei fatti fosse giustificato il trascorrere di altri due mesi.

L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento degli altri motivi.

In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, ad altro Giudice di pace di Rimini, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.

la Corte rigetta il secondo motivo del ricorso; accoglie il primo motivo; assorbiti gli altri motivi; in relazione al motivo accolto cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altro Giudice di pace di Rimini, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

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IN TEMA DI IRAP - RIGUARDANTE I PROFESSIONISTI DEGLI STUDI ASSOCIATI

Visto che negli ultimi tempi sempre più liberi professionisti tendono ad associarsi tra loro, pubblichiamo una sentenza della Cassazione, sezione Tributaria, che si è occupata proprio dell’applicazione della disciplina IRAP per gli studi associati. Infatti uno studio associato è soggetto ad IRAP quando l'esercizio in comune dell'attività professionale, pur non configurando un centro di interessi dotato di autonomia funzionale, stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell'esercizio delle professioni, dia, tuttavia, luogo ad un insieme di strutture, così che il reddito prodotto non sia esclusivamente il frutto della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì della stessa struttura associativa. I fatti portati dinanzi la Suprema Corte traggono origine da un ricorso proposto da uno studio associato avverso il silenzio rifiuto da parte dall'amministrazione su di un'istanza di rimborso IRAP, presentata per mancanza dei presupposti impositivi dell'imposta. Ne è derivato che i primi due gradi di giudizio hanno dato ragione allo studio associato, infatti i giudici di merito hanno escluso a priori l'autonomia di qualsiasi forma di organizzazione lavorativa, come per le cosiddette “professioni protette”, per le quali è previsto dalla legge uno specifico esame di abilitazione, così che l'iscrizione all'albo o all'ordine professionale costituirebbe l'elemento qualificante per escludere rilevanza a qualsiasi profilo organizzativo prescelto per l'attività. Mentre la Corte di Cassazione ha totalmente disatteso tale orientamento, ribadendo che, fermo restando che ogni fattispecie deve essere analizzata caso per caso dai giudici di merito, sussisterebbe una presunzione di autonoma organizzazione in capo agli studi associati e ciò in quanto l'esercizio in forma associata della professione dà, normalmente, luogo ad un insieme di strutture e mezzi di una qualche complessità anche se non di particolare onere economico, oltre che all'importante vantaggio di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero anche di sostituzione nell'espletamento dell'attività. Pertanto laddove i professionisti di uno studio associato chiedano il rimborso dell'imposta (IRAP), grava sui medesimi l'onere di superare tale presunzione e provare che il reddito sottoposto alla stessa tassa è derivato dal solo lavoro professionale e, neppure in via potenziale, dalla complessa struttura dello studio associato.

Cassazione - Sezione Tributaria – Sentenza n. 13570/2007

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria provinciale di Modena accoglieva il ricorso proposto dallo studio (omissis), dottori commercialisti associati avverso il silenzio-rifiuto dell'istanza di rimborso dell'IRAP, non ravvisando nell'attività svolta, ancorché in forma associata (due professionisti), l'autonoma organizzazione presupposto per l'assoggettabilità all'IRAP del reddito realizzato negli anni (omissis) e perciò condannava l'Amministrazione alla restituzione delle relative imposte versate. La Commissione Tributaria regionale di Bologna confermava tale decisione in quanto: 1) l'art. 2 del D.lgt. n. 446/1997 individua il presupposto dell'IRAP nell'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni, ovvero alla prestazione di servizi; 2) la sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 ha affermato che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione di impresa, altrettanto non può affermarsi in ogni caso per il lavoro professionale autonomo perché il presupposto dell'imposta è che l'attività si svolga con organizzazione di capitali o lavoro altrui (questione di fatto); 3) nella fattispecie non emergeva dalle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta considerati nessun dato da cui potesse desumersi l'impiego di personale dipendente e/o di beni strumentali oltre quelli indispensabili all'esercizio della professione, di valore piuttosto contenuto, per cui era inutile accertare se vi fosse un'autonomia organizzativa, da intendere come realtà "autonoma", ossia distinta rispetto ai soggetti che se ne erano resi promotori, il che peraltro era connaturale a qualsiasi prestazione professionale per quell'intuitus personae che rende l'organizzazione difficilmente differenziabile dall'attività del professionista.

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Ricorrono per cassazione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle Entrate, che hanno altresì depositato memoria. L'intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso le Pubbliche Amministrazioni ricorrenti deducono: «violazione e falsa applicazione artt. 3, comma 144, della L. n. 662/1996 nonché artt. 2, 3, 6, 27, 36 del D.Lgs. n. 446/97, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), del codice di procedura civile».

I presupposti dell'IRAP sono la produzione o lo scambio di beni o servizi; l'abitualità di tale attività e l'autonoma organizzazione della stessa. La Commissione tributaria regionale ha escluso quest'ultimo requisito, violando non solo l'art. 144, comma 3, della L. n. 662/1996 che, nel conferire la delega al Governo per l'istituzione dell'IRAP, tra i criteri direttivi ha dettato quello dell'applicazione dell'imposta nei confronti degli esercenti arti e professioni in relazione all'esercizio di un'attività organizzata per la produzione di beni e servizi, trasfuso nella versione originaria dell'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 in cui non compariva nessuna specificazione in relazione all'organizzazione autonoma, essendo sufficiente l'esercizio abituale della predetta attività, ma anche il successivo art. 3, che, dopo aver affermato la soggezione all'imposta di coloro che esercitano una o più delle attività di cui all'art. 2, ha precisato «pertanto sono soggette all'imposta le persone fisiche esercenti arti o professioni», prescindendo dal grado di intensità organizzativa.

Successivamente peraltro l'art. 1 del D.Lgs. n. 137/1998 ha inserito nel testo del precitato art. 2, dopo la parola "attività", le parole "autonomamente organizzata", la cui finalità è desumibile dalla relazione parlamentare e cioè «... rafforzare, dal punto di vista sistematico, la costruzione del tributo ... dal che discende un più stretto organico collegamento con l'individuazione dei soggetti passivi, che resta quella formulata nell'art. 3. Con le modifiche risulta però più chiaro il motivo dell'esclusione, dai soggetti passivi dell'imposta, dei collaboratori che svolgono attività coordinata e continuativa, il prodotto della cui attività viene ricompreso nella base imponibile, ma in capo al soggetto che si avvale della loro opera e organizza la loro attività". Dunque lo scopo della modifica normativa non è quello di escludere gli esercenti di arti e professioni non autonomamente organizzati, senza tener conto della loro capacità di reddito; va inoltre tenuto presente che la legge di delega, all'art. 3, comma 144, lettera q), riprodotta nell'art. 27 del decreto legislativo, aveva previsto una compartecipazione dei comuni al gettito IRAP per compensarli della contestuale abolizione (art. 36 del D.Lgs. n. 446/1997) dell'Iciap, dovuta da tutti gli esercenti arti e professioni (art. 1 della L. n. 144/1989), e cha la stessa Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 426/2002, ha affermato la legittimità della sottoposizione a tributo del valore aggiunto prodotto da ogni attività autonomamente organizzata, imprenditoriale o professionale, sì che il presupposto della soggezione all'imposta è la produzione del valore aggiunto, comunque realizzata, e perciò svincolata da un parametro di verificazione materiale come per l'impresa, a differenza dell'Ilor. E poiché la nozione di organizzazione autonoma non consiste soltanto nel servirsi di uomini e mezzi, essendo sufficiente che produca un valore aggiunto - nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva - perciò stesso quella attività è autonomamente organizzata, diversamente incorrendosi nella costituzionalmente illegittima ed illogica tassabilità di valori aggiunti inferiori, ma prodotti con mezzi materiali di maggior consistenza, e sottrazione alla tassazione di valori aggiunti maggiori, ma prodotti senza simili mezzi, mentre l'organizzazione va intesa in senso economico, come capacità di procurarsi clientela con il lavoro intellettuale e non materiale, e quindi anche se la struttura è limitata o addirittura minima.

2. Con il secondo motivo si deduce: "Violazione o falsa applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 2 e del D.Lgs. n. 446/1997, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), del codice di procedura civile".

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La Commissione tributaria regionale ha erroneamente ipotizzato la sottoposizione all'Irap se l'organizzazione prescinde dalle prestazioni del titolare, ma in tal modo tutte le professioni in cui il rapporto con la clientela è fondato sull'intuitus personae, come nelle attività professionali "protette", non sarebbero soggette ad imposta se non nel caso in cui l'esercizio della professione è un elemento dell'attività organizzata in forma di impresa (art. 2238 del codice civile), con l'ulteriore conseguenza che anche molte piccole imprese in cui l'imprenditore è fondamentale sarebbero sottratte all'Irap, diversamente da quanto affermato anche dalla Corte costituzionale; è vero invece che il lavoro autonomo in forma organizzata, idoneo a produrre reddito e remunerare il capitale proprio e di terzi, è soggetto all'Irap. Pertanto attività “autonomamente organizzata” va riferita ai terzi e, quindi al di fuori delle direttive e del controllo altrui, e non all'attività del titolare, che è un elemento dell'organizzazione. Quindi “autonomamente” non specifica i caratteri del lavoro professionale, come previsti dall'art. 49, comma 1, Tuir, bensì, per carenza di autonomia, esclude le attività di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 49, ora in parte assimilate al lavoro dipendente dall'art. 34 L. n. 341/2000, che fanno capo a contribuenti non soggetti ad Irap, e la presunzione in tali casi di mancanza di autonomia non è stata ritenuta incostituzionale (Corte Costituzionale n. 286/2001).

I motivi, connessi, possono trattarsi congiuntamente e sono fondati per quanto di ragione.

Appare opportuno preliminarmente esaminare la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 3 ottobre 2006, emessa nella causa C-475/03 che, nell'affermare la compatibilità dell'Irap, istituita con D.Lgs. n. 446/1997 con l'art. 33 della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte culla cifra di affari, come modificata dalla Direttiva n. 91/680/CEE del 16 dicembre 1991 (e ora sostituita dalla Direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006, in vigore dal primo gennaio 2007), ha innanzi tutto chiarito che la base imponibile Irap è di norma costituita dalla differenza tra il valore della produzione ed i costi della produzione (voci rispettivamente A e B dell'art. 2425 del codice civile).

Dunque l'Irap è un'imposta da calcolare sul valore netto della produzione (art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 446/1997) alla fine del periodo di imposta (art. 14 stesso D.Lgs.) e colpisce la differenza tra ricavi e costi dell'attività imponibile.

Questa, a norma dell'art. 2 precitato D.Lgs., è costituita dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio dei beni, ovvero alla prestazione di servizi, e perciò, tra i soggetti passivi dell'imposta (art. 3, comma 1), sono compresi coloro che esercitano [lettera c)] ".. arti e professioni di cui all'art. 49, comma 1, Testo unico 917/1986 (corrispondente, dal primo gennaio 2004, per effetto del D.Lgs. n. 344/2003, all'art. 53, n. 1 stesso D.P.R.) - e cioè coloro che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI (redditi di impresa).

L'esercizio della professione può poi esser individuale o in forma associata [lettera c)] del comma 3 dell'art. 5 stesso D.P.R.); in questo caso due o più soggetti pattuiscono di esercitare insieme la propria professione allo scopo di raggiungere un maggiore vantaggio patrimoniale, sia per l'effetto sinergico che ne deriva anche nell'acquisizione della clientela, sia per la suddivisione delle spese ed eventualmente dei compensi (Cass. n. 1405/1989, n. 13142/2003). Infatti, pur dovendosi riaffermare la non configurabilità, per effetto del contratto di associazione, tra professionisti di un centro autonomo di interessi dotato di autonomia strutturale e funzionale stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell'esercizio delle professioni per il cui espletamento è obbligatoria l'iscrizione all'albo (art. 2229 del codice civile) - e questa è la ratio del divieto dell'esercizio di dette professioni in forma societaria (artt. 1 e 2 della L. n. 1815/1939), mentre è consentita la forma associativa.

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È tuttavia innanzi tutto da presumere che l'associazione, atteso lo scopo della medesima, sia dotata di strutture e mezzi (immobili, mobili, arredamenti, macchinari, servizi, collaboratori), ancorché non di particolare onere economico (peraltro compatibile con le professioni intellettuali dato che possono anche costituire "elemento di una attività organizzata in forma di impresa" art. 2238 del codice civile, e cioè essere inserite in una struttura organizzativa frutto dell'impiego di capitale ed in cui all'attività personale del professionista si affianca un'attività di tipo organizzativo consistente nell'approntamento e nella gestione dei mezzi per l'esercizio di quella intellettuale). In secondo luogo è da ritenere che lo scopo della pattuizione dell'esercizio associato di una professione intellettuale sia anche quello di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero anche della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze (Cass. n. 6636/1987), con l'effetto di escludere l'autonomia organizzativa meramente soggettiva e personale di qualsiasi esercente una professione intellettuale, e di configurare invece quell'autonoma organizzazione oggettiva dell'attività abitualmente esercitata (art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 446/1997, Corte Costituzionale n. 156/2001), idonea a far presumere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita proprio per potenziare la produzione di ricchezza (VAP) a vantaggio degli associati, presupposto dell'Irap (valore della produzione netta, costituito dalla differenza tra i ricavi - o compensi dell'attività - e i costi della medesima).

Quindi, ribadito (Cass. n. 17146/2003, n. 3594/2006) che l'onere di dimostrare il fatto costitutivo della domanda di rimborso di un tributo spetta al contribuente - nella specie assenza di autonoma organizzazione nel senso suspecificato - nei su esposti termini il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame al fine di accertare, alla luce dei principi innanzi richiamati, se, in base alle concrete caratteristiche dello "studio impresa" associato provate dal medesimo, unitamente ad altre prove offerte, è superata la presunzione, sussistente per le ragioni innanzi esposte, che il reddito sottoposto ad Irap, di cui lo studio associato chiede il rimborso, è stato almeno potenziato derivato dalla struttura così come organizzata, e non è quindi derivato dal solo lavoro professionale dei commercialisti (Cass. n. 3676 e n. 3680/2007).

Il giudice del rinvio provvederà altresì a liquidare le spese, anche del giudizio di Cassazione.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa e rinvia alla Commissione Tributaria regionale dell'Emilia Romagna, altra Sezione, anche per le spese del giudizio di Cessazione.

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SEMINARIO DI STUDI ANACIP - CONFPERITI

SALERNO 16 GIUGNO 2007

IL VEICOLO COME SCENA DEL CRIMINE

IL VEICOLO BLINDATO: l’accertamento e la stima del danno

Centro di Formazione della Confcommercio e Confperiti

Interessante iniziativa della Confcommercio e Confperiti di Salerno che hanno dato vita ad un seminario che ha visto partecipare circa 70 tra periti assicurativi e consulenti tecnici iscritti nei relativi albi professionali. Si è parlato della scena del crimine all’interno dei veicoli; del sopralluogo giudiziario; della figura professionale del consulente tecnico; dell’allestimento dei veicoli blindati; della ricostruzione cinematica dei sinistri attraverso software specifici. Un grande successo visto l’interesse mostrato dai partecipanti. Un grazie particolare va al Cav. Oreste ADDONIZIO per la propria simpatia, cordialità, ospitalità e amicizia dimostrata. ml

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

CHAIRMAN Oreste Addonizio, Consigliere Nazionale ANACIP

RELATORI:

Carmelo Lavorino, Criminologo Criminalista, Direttore Tecnico Nazionale ANACIP

SCENA DEL CRIMINE AMBIENTATA ALL'INTERNO DI VEICOLI (Analisi investigativa ed analisi criminale nella tipologia delittuosa “evento rapina” - Sopralluogo mirato per ricerca tracce, ricostruzione dell’evento e della dinamica, individuazione elementi per la connotazione della “combinazione criminale”).

Marco Lilli, Inv. Penale, CT Criminalista, Consigliere Nazionale ANACIP

IL TECNICO RICOSTRUTTORE (Figura professionale e ruolo) IL CONSULENTE TECNICO (La consulenza di parte) IL PERITO (La perizia disposta dal Giudice) L'ESPERIMENTO GIUDIZIALE (Simulazione del fatto accaduto) LA CUSTODIA DEL VEICOLO SEQUESTRATO (Il veicolo come reperto) LE INDAGINI DELLA DIFESA (Incarico al Consulente Tecnico)

Dante Davalli, Inv. Penale, CT Criminalista, Consigliere Nazionale ANACIP

Costi degli elementi di un veicolo corazzato. Collaborazione con le aziende che trattano i veicoli con allestimento corazzato.

Ivan Macella, Consulente Forensicye

SIMULAZIONI VIRTUALI AL COMPUTER (Il rilievo e la rappresentazione della scena del crimine, la ricostruzione degli incidenti stradali, le perizie ergonomiche: metodologie, software e simulazioni).

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LE INTERCETTAZIONI DIGITALI

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un’interessante articolo di Marco Mattiucci, Ufficiale dei Carabinieri, Comandante della Sezione Telematica del Reparto Carabinieri Tecnologie Informatiche di Roma che si occupa a livello nazionale di crimini ad alta tecnologia.

Ulteriori argomenti correlati sono pubblicati sul sito dell’autore - www.marcomattiucci.it

INTERCETTAZIONI DIGITALI

… intercettare è ascoltare possibilmente senza essere ascoltati...

Premessa

Lo scopo dell’intercettazione è prelevare in tempo reale dei dati durante il loro fluire su di un canale di trasmissione e ricostruirne i contenuti in modo da renderli fruibili agli investigatori, all’AG, ecc.. Mentre queste fasi erano pressoché banali per le intercettazioni telefoniche su linea analogica divengono complesse e difficili da inquadrare nel digitale.

Esistono diversi livelli di intercettazione digitale proprio perché la Rete delle reti opera in maniera stratificata, ossia impiega layer che sono il più possibile impermeabili tra loro per ragioni di convenienza economica e tecnica.

Attraversando i diversi livelli si può avere quindi: (1) intercettazione su cavo del segnale di basso livello e ricostruzione completa dei protocolli; (2) intercettazione presso il Provider di servizi Internet ossia l’ente privato o pubblico che permette la particolare connessione (spesso gli Internet Service Provider = ISP); (3) intercettazione sulle dorsali (backbone) di comunicazione con separazione e filtraggio dei dati.

Esistono poi diversi servizi che si possono intercettare e la loro intercettazione può corrispondere ad azioni legali di natura differente. L’intercettazione delle email, che avviene ricevendo in un’apposita casella clone tutto quello che riceve o invia un soggetto, riguarda la corrispondenza o no? Si possono poi intercettare i movimenti dati su un sito web (uploading & downloading), le comunicazioni tramite chat, in linea di principio il VoIP, ecc.

Nella maggioranza dei casi il gestore, definita un'apposita "griglia" di selezione delle comunicazioni, fornisce alla polizia giudiziaria una linea telefonica, definita linea RES, dedicata allo sviluppo dell’attività di intercettazione. Tale linea può essere presa a noleggio da parte della procura presso il gestore, oppure presso società private o consorzi. Ad ogni modo, la linea RES viene attestata presso la sala intercettazioni della procura, dove vi è un server presso il quale viene convogliato il traffico telefonico e/o dati di delle utenze di cui l'AG ha disposto il controllo.

Problematiche tecniche

1. I canali di comunicazione di dati digitali possono essere di natura variegata: telefonia fissa (PSTN), mobile (GSM, GPRS, UMTS,ecc.), su Internet (VoIP), servizi Internet su banda larga, telefonia satellitare, ecc.;

2. Data l'ampiezza di banda mediamente disponibile sugli attuali canali di comunicazione, fattore che promette continua crescita negli anni, la quantità di dati trasportata è immensa e richiede sicuramente due attività: filtraggio (esclusione della maggioranza dei dati che ai fini delle indagini è generalmente inutile) e correlazione (non solo bisogna individuare le poche informazioni veramente utili ma spesso senza correlarle il risultato è nullo).

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A questo va aggiunta la necessità di operare in tempi strettissimi in quanto ampiezza di banda significa anche minimi tempi di trasmissione e quindi difficoltà di rilevazione.

3. Anonimato: l'impiego di Internet con i suoi vari servizi di anonimizzazione (proxy, anonymizer a pagamento, ecc.), l'impiego di SIM o USIM estere o rubate/trafugate, la possibilità di impiego degli Internet Café non controllati, ecc. consente ad un tecnico anche non molto esperto un livello di anonimato notevole.

Criteri di filtraggio delle comunicazioni

Ai fini di discriminare le comunicazioni di interesse su canale digitale possono essere impiegati i seguenti riferimenti:

a. CLI, discriminazione del chiamante;

b. MAC address, discriminazione della scheda di rete che opera la comunicazione;

c. IP address, discriminazione dell'indirizzo IP;

b. Porta TCP/UDP discriminazione di applicativi e servizi su rete;

c. Indirizzo EMAIL, discriminazione del mittente sulla base dell'indirizzo EMAIL/IP;

d. Nome utente, discriminazione del logging;

e. Sessioni VoIP identificabili;

f. URL, discriminazione degli IP dei visitatori del'URL;

g. Filtraggio su stringa (ricerca di parola chiave), analisi del traffico di rete e ricostruzione delle sessioni di comunicazione in base all'individuazione real time di parole chiave;

h. Discriminazione dello IMEI dei cellulari.

Alcuni metodi di intercettazione

1. Intercettazioni di GSM/GPRS ed UMTS

Il principale problema tecnico si ritrova nel roaming ossia della possibilità che le compagnie telefoniche hanno di instradare le chiamate di competenza presso tunnel appartenenti ad altre compagnie (tipico esempio la TIM che affitta canali ad altre compagnie). In tal caso bisogna che siano più gestori a fornire il servizio di controllo sulle comunicazioni. Caso ancora peggiore è quando con lo stesso cellulare si impiegano diverse SIM o meglio SIM di diversi gestori. In tale situazione si può mettere sotto controllo il codice IMEI del cellulare coinvolgendo tutti i gestori presenti sul territorio.

L'intercettazione di SMS non determina particolari problemi ma si evidenzia la complessità di intercettare gli MMS i quali, per loro natura multimediali, sono vere e proprie trasmissioni dati proprietarie da cui soggette a filtraggio e ricostruzione per la fruibilità del controllore.

Infine l'intercettazione sui telefoni UMTS nasce inserita come specifica prevista nei nuovi sistemi di gestione della rete per cui risulta efficiente e permette di usufruire di servizi particolarmente sofisticati ed innovativi come una nuova tipologia di radiolocalizzazione.

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2. Intercettazioni di telefoni satellitari

L'intercettazione dei telefoni satellitari, da un punto di vista tecnico, può essere svolta ma attraverso l'impiego di strumentazioni piuttosto complesse e costose che spesso devono muoversi nell'ambito del territorio in cui opera l'utente. Bisogna ricordare però che le celle satellitari sono spesso localizzate in ambito internazionale per cui la mancanza di accordi internazionali nel senso delle intercettazioni di Polizia Giudiziaria rende tale attività legalmente impossibile quando è coinvolta una cella in territorio non italiano. Una situazione quindi difficile attualmente senza soluzioni specifiche.

3. Intercettazioni di collegamenti "casalinghi" analogici ad Internet

Lo scopo è intercettare comunicazioni dati effettuate da utenti sotto controllo utilizzanti linee commutate analogiche. Il sistema di controllo (traslatore) viene posizionato in serie tra l’utenza sotto controllo e uno dei provider di connessione a disposizione dell’utenza stessa. Esso riesce ad identificare la chiamata indirizzata al provider mediante il numero composto o attraverso i segnali di controllo della trasmissione analogica. Successivamente trasferisce un clone della comunicazione verso la postazione di ascolto generando un trascurabile ritardo (solo nel caso di trasmissione dati e non voce). Tale postazione dispone di strumentazione idonea al riassemblaggio dei dati, alla loro validazione (correttezza), e presentazione su monitor e/o storicizzazione

4. Intercettazioni di collegamenti "casalinghi" digitali ad Internet

Nel caso di intercettazioni telematiche di utenti che accedono ad Internet dal domicilio viene svolto un filtraggio sull’indirizzo IP. Bisogna tenere conto che il flusso netto è generalmente inferiore ad alcuni Megabit/sec ed è quindi possibile addirittura pianificare un salvataggio completo del traffico in un predisposto sistema di storage.

Nel caso di linee fisse come ADSL, al posto del traslatore viene messa in centrale una sonda detta Front End collegata ad una porta c.d. mirror che riceve in copia tutto il traffico scambiato (in entrambe le direzioni quindi) dall'apparato di accesso che gestisce la connessione finale dell'utente. La sonda filtra solo il traffico rilevante per il decreto di intercettazione in base all'indirizzo IP del target (noto a priori o scoperto tramite la decodifica della comunicazione tra l'apparato d'accesso ed il server RADIUS con il quale l'utente svolge l'autenticazione). Il flusso netto viene poi scaricato localmente su disco e trasferito tramite linea dedicata ad alta velocità verso la postazione di decodifica (Back End).

La postazione di decodifica ha un modulo per la gestione amministrativa dell'intercettazione (indagine, decreto, persone abilitate) ed un modulo che interpreta e ricostruisce i protocolli in modo che l'addetto alla postazione possa vedere, ad esempio, i messaggi di posta elettronica inviati e ricevuti, le pagine web visitate, la comunicazione VoIP (se non crittata).

5. Intercettazioni di collegamenti multipli ad Internet

L’utente di un servizio internet, vi può accedere da diversi punti e con diverse tipologie di collegamento. Se è palese che il soggetto cambia continuamente via di collegamento, magari perché in movimento o perché avveduto della possibilità di essere controllato, bisogna impiegare una metodologia di intercettazione che operi contemporaneamente su più canali (audio/video/dati). Esistono, realizzati a tale proposito, dei particolari sistemi hardware denominati telemonitor, differenti da traslatori e sonde, di cui la polizia giudiziaria ha disponibilità, che possono essere inseriti su più linee e punti come osservatori.

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3. Intercettazioni di comunicazioni VoIP

Il "Voice Over IP" di Skype è ad oggi uno dei maggiori problemi dal punto di vista delle intercettazioni. La società skype, infatti, cripta i dati digitali corrispondenti alla chiamata telefonica (voce o video) VoIP ed anche gli eventuali file scambiati da nodo a nodo dagli utenti collegati, in maniera nativa, ossia a livello di protocollo stesso di trasmissione. Essendo l'algoritmo scelto particolarmente sofisticato ed essendo poi prevista una negoziazione di una nuova password ad ogni sessione di comunicazione neanche la società stessa è in grado di "penetrare" lo scambio dati. La conclusione attuale, in definitiva è che non è possibile intercettare una chiamata VoIP su Skype.

A ciò va aggiunto che la telefonia VoIP su sistemi P2P o client-server può essere implementata attraverso molti altri software/servizi normalmente non cripto. Si ricordi che l'utente, però, può aggiungere funzionalità cripto esterne al suo client. Questo fatto, per quanto renda problematiche le intercettazioni, non le esclude come sopra in quanto la funzionalità cripto rimane esterna al protocollo di trasmissione e quindi attaccabile separatamente (si pensi ad esempio che i dati di controllo, gli indirizzamenti, ecc. rimangono non crittati).

6. Intercettazioni su dorsali

Nel caso di intercettazioni parametriche su dorsali di comunicazione si è più spesso interessati ad identificare sessioni di traffico generate da un punto imprecisato di un’area geografica che contengono tipicamente parole o frasi chiave. Viene quindi impostato un filtro c.d. applicativo e tutti i pacchetti che compongono la comunicazione del canale vengono ispezionati. Se il traffico in ingresso al Front End non è troppo elevato da impedire lo storage in tempo reale nel sistema dischi della sonda si attiva il filtraggio sul Back End. In caso contrario, il filtro può avvenire sul Front End, con tutti i rischi connessi alla mancata cattura di pacchetti precedenti o successivi a quelli individuati che potrebbero risultare determinanti per una ricostruzione corretta e completa della comunicazione.

A tale proposito è importante chiarire che le cosiddette sonde poste negli snodi degli ISP possono tecnicamente intercettare tutto il traffico dati che passa loro attraverso ma, proprio per specifiche salvaguardie di ordine legali non possono mai operare indiscriminatamente. Definendo quindi il tipo di linea, i tipi di servizi che eroga, i protocolli che l'attraversano nonché tutta una nutrita serie di parametri che identificano il soggetto da porre sotto controllo è possibile selezionare accuratamente il traffico da storicizzare ed esaminare e si evita un terribile accumulo di inutili (dannosi ed illegali) informazioni.

Ovviamente è sempre l'AG che, attraverso i suoi provvedimenti di intercettazione telematica delimita il tipo di attività di filtraggio posto in essere (il numero IP, l’indirizzo di posta elettronica, ecc.) o ad alcune tecniche e caratteristiche della comunicazione che deve essere intercettata.

7. Intercettazioni di caselle di posta elettronica

Qualora l’utente accede ad internet in condizioni di mobilità, oppure il server di posta utilizza connessioni cifrate (caso in cui non è praticabile l’identificazione del traffico sul canale) si può optare per la duplicazione della cassetta di posta elettronica dello stesso utente con un adeguato sistema di forwarding presso la postazione di decodifica. Tale metodo è ovviamente indispensabile quando l'indirizzo di posta elettronica è l'unico elemento investigativo su cui si può operare.

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UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’

UNITRE DI AMELIA (TR)

ANNO ACCADEMICO 2006 – 2007

CERIMONIA DI CHIUSURA

COME SI CONDUCE UN’INDAGINE

DALLA REALTA’ ALLA FANTASIA

RELATORI INTERVENUTI

Dott. Luca SARCOLI (Dirigente Squadra Mobile di Terni)

Cap. Michele CARDONE (Com. Compagnia Carabinieri di Amelia)

Prof. Fabio D’ANDREA (Docente Università di Perugina)

Sig. Marco LILLI (Investigatore Penalista)

Sig. Cristiano DONATELLI (Autore libri gialli)

Il giorno 8 giugno 2007, si è svolta ad Amelia (TR) la cerimonia di chiusura dell'anno accademico 2006-2007 dell'Università della Terza Età. Per l'occasione la direttrice dei corsi (prof. Igea Frezza Federici) e la presidente (prof. Mara Quadraccia) hanno pensato di affrontare un tema di assoluta attualità dal seguente titolo: "Come si conduce un'indagine, dalla realtà alla fantasia". Sono intervenuti come relatori il Dott. Luca Sarcoli dirigente squadra mobile della Questura di Terni; il Capitano dei Carabinieri Michele Cardone comandante della Compagnia Carabinieri di Amelia; il prof. Fabio D'Andrea docente presso la facoltà di Scienze per l'Investigazione e la Sicurezza di Narni; il sig. Marco Lilli investigatore penalista e l’autore di libri gialli sig. Cristiano Donatelli. Ognuno ha relazionato in merito alle proprie competenze professionali ed in base alle esperienze vissute in campo investigativo. Ha preso parola per primo il dott. Sarcoli illustrando l'attività investigativa della Polizia Giudiziaria; a seguire il Capitano Cardone che ha illustrato l'importanza della presenza capillare dell'Arma sul territorio; poi il prof D'Andrea ha parlato del fenomeno legato all'aspetto sociologico del problema inerente l'investigazione; Marco Lilli ha riferito in merito all'espletamento delle indagini difensive e della consulenza tecnica di parte nel processo penale; infine ha parlato Cristiano Donatelli in merito a come nasce un'idea per la realizzazione di un libro giallo. Notevole interesse hanno mostrato i circa 100 partecipanti all'evento, molti dei quali iscritti all'università delle terza età, altri presenti come cittadini comuni. Il tutto si è concluso con un simpatico incontro conviviale presso il ristorante Scoglio dell'Aquilone di Amelia.

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ULTERIORI ATTIVITÀ DI INDAGINE

DEL PERITO ASSICURATIVO

In relazione all’attività di perito assicurativo - laddove lo stesso non ritenga siano esaustive le informazioni reperite presso gli organi di polizia che hanno rilevato il sinistro, attraverso l’accesso agli atti ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 11 del codice della strada - pubblichiamo la Circolare Ministeriale del 4 giugno 1998 avente come oggetto: Autorizzazione art. 134 TULPS per consulenti assicurativi incaricati. “Qualora il consulente assicurativo, legale, medico od altro soggetto imprenditoriale comunque abilitato, giacché iscritto in un apposito registro, non consideri esaustivo l’esito della predetta visione documentale ed intenda proseguire in un’attività investigativa, l’attuale legislazione qualifica l’esercizio in questione come una vera e propria forma di investigazione privata, sottoposta quindi alla restrizione di cui all’art. 134 del T.U.L.P.S.”

DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA

DIREZIONE CENTRALE AFFARI GENERALI

SERVIZIO POLIZIA AMM.VA E SOCIALE

559/C. 8862.10089.D.A Roma, 4 giugno 1998

OGGETTO: Autorizzazione ex art 134 T.U.L.P.S. – consulenti incaricati.

AI PREFETTI DELLA REPUBBLICA LORO SEDI

AL COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI TRENTO

AL COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI BOLZANO

AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE DELLA VALLE D’AOSTA AOSTA

AI QUESTORI DELLA REPUBBLICA LORO SEDI

e, per conoscenza:

AL COMMISSARIO DELLO STATO NELLA REGIONE SICILIANA PALERMO

AL RAPPRESENTANTE DEL GOVERNO NELLA REGIONE SARDA CAGLIARI

AL COMMISSARIO DEL GOVERNO NELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA TRIESTE

AL COMMISSARIO DEL GOVERNO NELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO LORO SEDI

AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI COORDINAMENTO NELLA VALLE D’AOSTA AOSTA

AL COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI ROMA

AL COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA ROMA

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Sono stati richiesti a questo Ministero dei chiarimenti in merito al regime autorizzatorio del settore dell’investigazione privata allorquando la raccolta di informazioni è effettuata da consulenti, o periti, incaricati da privati di ricostruire la dinamica degli incidenti stradali.

Con circolari n. 300/A/1520/124/77, datata 6 febbraio 1998, del Servizio della Polizia Stradale, avente per oggetto “Richiesta di informazioni relative alle modalità di incidenti stradali”, e n. 559/C. 5808.10089.D.A, in data 2 maggio 1997, del Servizio Polizia Amministrativa e Sociale, avente per argomento le investigazioni private, che si richiamano integralmente, sono stati forniti, rispettivamente, chiarimenti in merito alle formalità procedurali della presentazione agli organi di polizia della richiesta di accesso alle informazioni acquisite riguardanti le modalità degli incidenti stradali, e delucidazioni circa le autorizzazioni necessarie per lo svolgimento di tali attività da parte di periti assicurativi o di investigatori privati a ciò delegati dai privati. Invero dalle comunicazioni relative al rilascio di autorizzazioni di investigatore privato, pervenute a questo Ministero nel corso dell’ultimo semestre del 1997, è emerso che inspiegabilmente gran parte dei provvedimenti adottati si riferiscono a licenze di investigazione concesse a consulenti assicurativi o periti abilitati. Si ritiene al riguardo necessario fornire ulteriori precisazioni. La raccolta di informazioni per conto di committenti, consultando le risultanze di pubblici registri, necessita, come noto, dell’autorizzazione ex art. 115 del T.U.L.P.S., mentre non devono munirsi di licenza di polizia le imprese di assicurazione, e coloro che svolgono attività professionale di perito assicurativo, per l’accertamento e la stima dei danni alle cose derivanti dalla circolazione, dal furto e dall’incendio dei veicoli a motore e dei natanti, soggetti alla disciplina della legge 24 dicembre 1969, n. 990 purché iscritti nel ruolo istituito con legge 17 febbraio 1992, n. 166. In effetti il perito assicurativo, competente ad emettere un ponderato giudizio per accertare un fatto, per stimare l'entità di una cosa, può avere l’esigenza di documentarsi presso gli organi di polizia. Invero, alla luce delle citate circolari ministeriali, ulteriori categorie di soggetti possono visionare gli atti in parola, anche se per finalità parzialmente differente dall’accertamento del danno alle cose, quale per esempio quello relativo, in caso di esito di lesioni o di morte, all’accertamento dell’entità del danno alla persona, ovvero quello riguardante l’esercizio del diritto di difesa. In effetti, anche tali consulenti hanno la necessità di ottenere le informazioni già acquisite dagli organi di polizia relativamente alle modalità dell’incidente, alla residenza ed al domicilio delle parti, alla copertura assicurativa dei veicoli e ai dati di individuazione di questi ultimi. Qualora il consulente assicurativo, legale, medico od altro soggetto imprenditoriale comunque abilitato, giacché iscritto in un apposito registro, non consideri esaustivo l’esito della predetta visione documentale ed intenda proseguire in un’attività investigativa, l’attuale legislazione qualifica l’esercizio in questione come una vera e propria forma di investigazione privata, sottoposta quindi alla restrizione di cui all’art. 134 del T.U.L.P.S. Come è noto tale disposizione disciplina l’attività di indagine quando l’informazione, la notizia, il ragguaglio ed altra simile ricerca, non sia ricavabile semplicemente da pubblici registri, ma attraverso un’attiva indagine avente ad oggetto situazioni e circostanze di fatto da cui emergono dati successivamente rielaborati in un più ampio quadro complessivo.

Di conseguenza, nel caso in cui il perito assicurativo, il consulente del settore medico-legale, ovvero altro soggetto imprenditore iscritto in speciali elenchi, ritenga di esulare dal ponderato giudizio per cui è abilitato, al fine di estendere la ricerca al terreno dell’indagine e dell’investigazione, dovrà rivolgersi per l’attività investigativa privata ad un soggetto a ciò legittimato, oppure potrà conseguire la licenza di polizia, purché in possesso di tutti i requisiti previsti dall’art. 136 T.U.L.P.S.. Il rilevante numero di licenze di investigazione privata, riferito alla categoria dei periti assicurativi, come sopraricordato, farebbe supporre che non sia stata sempre effettuata una completa analisi di tutti i criteri stabiliti nel citato art. 136 del T.U.L.P.S., e in particolare la valutazione del numero e dell’importanza degli istituti già esistenti nella provincia prima del rilascio di nuove autorizzazioni. Infatti la circostanza che l’interessato iscritto in un elenco, ruolo o albo, chieda di essere autorizzato a svolgere i servizi investigativi privati, ancorché limitati ovvero dipendenti dalla propria qualificata attività lavorativa, non è da sola sufficiente al rilascio della licenza di polizia di cui all’art. 134 del T.U.L.P.S.

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La valutazione della capacità tecnica e del numero e dell’importanza degli istituti operanti appaiono, nella fattispecie in esame, meritevoli degli approfondimenti ex art. 136 T.U.L.P.S..

Il richiamato art. 136, infatti, non richiede una capacità tecnica specifica e limitata ad un determinato settore investigativo, bensì la più ampia e generale capacità di raccogliere informazioni e condurre indagini. Per quanto riguarda la valutazione del numero e dell’importanza delle imprese già operanti, in relazione alle nuove istanze di autorizzazioni a svolgere servizi investigativi, ancorché limitati ad una particolare materia, quale quella degli incidenti stradali, occorre accertare se tutti i soggetti operanti nella provincia siano sufficienti a soddisfare, in condizione di reale e diffusa concorrenza, le richieste.

Conseguentemente, in sede di applicazione pratica di rilascio di autorizzazione a svolgere servizi investigativi limitatamente ad una sola attività, è da tenere presente l’entità del numero sia delle imprese legittimate all’investigazione privata per una particolare utenza, sia di quelle che possono svolgere attività investigativa senza alcuna limitazione, sia del contingente complessivo degli enti comunque autorizzati.

E’ necessario in ogni modo tenere presente se la concessione di ulteriori titoli abilitativi, possa risolversi in danno dell’ordine e della sicurezza pubblica ai sensi dell’art. 136 T.U.L.P.S.. Di conseguenza, per i periti assicurativi, nonché per gli altri consulenti abilitati, non si rileva alcun titolo di preferenza, o privilegio, nella ponderazione dell’interesse pubblico che suggerisca il rilascio della licenza di polizia ex art. 134. Pertanto, per questo gruppo di consulenti, come per ogni altra categoria di consulenti o di professionisti, abilitati ad esercitare un’attività in via esclusiva, dovrà essere disposta un’istruttoria che abbia ad oggetto tutti ed esclusivamente i requisiti richiesti per l’espletamento della specifica attività di investigazione privata.

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SEMINARIO ANACIP – 28 APRILE 2007 IN ROMA

Si è tenuto a Roma il terzo seminario ANACIP dall’inizio dell’anno, sul tema: CRIMINOLOGIA INVESTIGATIVA CRIMINALISTICA E SCENA DEL CRIMINE

Analisi sistemica delle tracce nella scena del crimine. Analisi delle macchie di sangue nel loro modello e schema di formazione (BPA). Analisi delle ferite nel loro modello di schema di formazione (WPA).

Analisi delle tracce della diade criminoesecutiva nelle loro interrelazioni.

RELATORI: Carmelo LAVORINO (Criminologo Criminalista); Antonella CONTICELLI (Medico Legale); Matteo VILLANOVA (Criminologo Clinico); Eduardo ROTONDI

(Avvocato)

Da sinistra: Dott. Lavorino; Avv. Rotondi;

Prof. Villanova, in un momento del seminario La dott.sa Antonella Conticelli di fronte ai

circa 50 partecipanti al seminario

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NORME FONDAMENTALI DEL PROCESSO PENALE

E’ ferma convinzione di questo scrivente che un buon consulente tecnico che voglia operare nell’ambito del processo penale, oltre che avere, ovviamente, le dovute competenze in

relazione alla disciplina per cui si ritiene esperto, debba avere anche una buona preparazione per quello che sono le norme attinenti il processo. Non a caso, di seguito, pubblico una parte

essenziale del codice di procedura penale, ossia il libro terzo inerente le prove. ml

Libro Terzo - Parte Prima - Prove

TITOLO I

DISPOSIZIONI GENERALI

Artt. 187-193

187 Oggetto della prova

1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza.

2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.

3. Se vi è costituzione di parte civile (76 s.), sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato (74; 185 c.p.).

188 Libertà morale della persona nell'assunzione della prova

1. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti (642).

189 Prove non disciplinate dalla legge

1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l`accertamento dei fatti (187) e non pregiudica la libertà morale della persona (642). Il giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

190 Diritto alla prova

1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza (495) escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue (190 bis, 4954) o irrilevanti (468).

2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio (70, 195 224, 237, 507, 508, 511, 603).

3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio (495).

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190 bis Requisiti della prova in casi particolari

1. Nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3 bis, quando è richiesto l'esame di un testimone (194 s., 497 s.) o di una delle persone indicate nell'art. 210 e queste hanno giý reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio (392) ovvero dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a norma dell'art. 238, l'esame è ammesso solo se il giudice lo ritiene assolutamente necessario.

1-bis. La stessa disposizione si applica quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609 quinquies e 609-octies del codice penale, se l'esame richiesto riguarda un testimone minore degli anni sedici

191 Prove illegittimamente acquisite

1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.

2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (185-4).

192 Valutazione della prova

1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione (125-3, 606-1 lett. e) dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.

2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti (2729 c.c.).

3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (210).

4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'art. 371 comma 2 lett. b).

193 Limiti di prova stabiliti dalle leggi civili

1. Nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza

TITOLO II

MEZZI DI PROVA

CAPO I Testimonianza

Artt. 194-207

194 Oggetto e limiti della testimonianza

1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova (187). Non può deporre sulla moralità dell'imputato (234-3), salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità (133 c.p.) in relazione al reato e alla pericolosità sociale (203 c.p.).

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2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona.

3. Il testimone è esaminato su fatti determinati (499). Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico (2343) ne esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.

195 Testimonianza indiretta

1. Quando il testimone (209) si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre (62).

2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1 (190).

3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili (191) le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità.

4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni (Comma dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale).

5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale.

6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli artt. 200 e 201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

7. Non può essere utilizzata (191) la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame.

196 Capacità di testimoniare

1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.

2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni (220) con i mezzi consentiti dalla legge.

3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2 siano stati disposti prima dell'esame testimoniale non precludono l'assunzione della testimonianza.

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197 Incompatibilità con l'ufficio di testimone

1. Non possono essere assunti come testimoni:

a) i coimputati del medesimo reato (41, 110, 113 c.p.) o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 (210), anche se nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere (425), di proscioglimento (469, 529 s.) o di condanna (533), salvo che la sentenza di proscioglimento sia divenuta irrevocabile (648) ;

b) le persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'art. 371 comma 2 lett. b);

c) il responsabile civile (83) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89);

d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario ( 126).

198 Obblighi del testimone

l. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità (497) alle domande che gli sono rivolte.

2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale.

199 Facoltà di astensione dei prossimi congiunti

1. I prossimi congiunti (304-4 c.p.) dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia (333), querela (336) o istanza (341) ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato

2. Il giudice, a pena di nullità (181), avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione. Si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale:

a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;

b) al coniuge separato dell'imputato;

c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato.

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200 Segreto professionale

1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (331, 334):

a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano;

b) gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici e i notai;

c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;

d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale .

2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.

3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione ( 1957). Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.

201 Segreto di ufficio

1. Salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (331), i pubblici ufficiali (357 c.p.), i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) hanno l'obbligo di astenersi dal deporre (204) su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti (326 c.p.) .

2. Si applicano le disposizioni dell'art. 200 commi 2 e 3.

202 Segreto di Stato

1. I pubblici ufficiali (357 c.p.), i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) hanno l'obbligo (261 c.p.) di astenersi dal deporre (204) su fatti coperti dal segreto di Stato .

2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, il giudice ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che ne sia data conferma.

3. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per la esistenza di un segreto di Stato ( 129).

4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga.

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203 Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza

1. Il giudice non può obbligare (204) gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica a rivelare i nomi dei loro informatori (66 att.). Se questi non sono esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite ne utilizzate (191).

204 Esclusione del segreto

1. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli artt. 201, 202 e 203 (66l att.) fatti notizie o documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale. Se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice. Prima dell'esercizio dell'azione penale (405) provvede il giudice per le indagini preliminari su richiesta di parte.

2. Del provvedimento che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri (66 att. ).

205 Assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi ufficiali dello Stato

1. La testimonianza del Presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato.

2. Se deve essere assunta la testimonianza di uno dei presidenti delle Camere o del Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte Costituzionale, questi possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti.

3. Si procede nelle forme ordinarie quando il giudice ritiene indispensabile la comparizione di una delle persone indicate nel comma 2 per eseguire un atto di ricognizione (213) o di confronto (211) o per altra necessità.

206 Assunzione della testimonianza di agenti diplomatici

1. Se deve essere esaminato un agente diplomatico o l'incaricato di una missione diplomatica all'estero durante la sua permanenza fuori dal territorio dello Stato, la richiesta per l'esame è trasmessa, per mezzo del Ministero di Grazia e Giustizia, all'autorità consolare del luogo. Si procede tuttavia nelle forme ordinarie nei casi previsti dall'art. 205 comma 3.

2. Per ricevere le deposizioni di agenti diplomatici della Santa Sede accreditati presso lo Stato italiano ovvero di agenti diplomatici di uno Stato estero accreditati presso lo Stato italiano o la Santa Sede si osservano le convenzioni e le consuetudini internazionali.

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207 Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti

1. Se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove giý acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli, se del caso, l'avvertimento previsto dall'art. 497 comma 2. Allo stesso avvertimento provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e, se il testimone persiste nel rifiuto, dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge (476).

2. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall'art. 372 c.p., ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti.

CAPO II

Esame delle parti

Artt. 208-210

208 Richiesta dell'esame

1. Nel dibattimento, l'imputato, la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono esaminati se ne fanno richiesta o vi consentono.

209 Regole per l'esame

1. All'esame delle parti si applicano le disposizioni previste dagli artt. 194, 198 comma 2 e 499 e se è esaminata una parte diversa dall'imputato, quelle previste dall'art. 195.

2. Se la parte rifiuta di rispondere a una domanda, ne è fatta menzione nel verbale.

210 Esame di persona imputata in un procedimento connesso

1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'art. 195, anche di ufficio. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice ( 198), il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento collettivo (132, 513-2). Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni ( 197) .

3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio.

4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'art. 66 comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere (64).

5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli artt. 194, 195, 499 e 503 .

6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede (197), nel caso previsto dall'art. 371 comma 2 lett. b).

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CAPO III

Confronti

211 Presupposti del confronto

l. Il confronto (364, 392) è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate (194 s., 208 s.) o interrogate (65), quando vi è disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti.

212 Modalità del confronto

l. Il giudice, richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli, ove occorra, alle reciproche contestazioni.

2. Nel verbale è fatta menzione delle domande rivolte dal giudice, delle dichiarazioni rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto.

CAPO IV

Ricognizioni

Artt. 213-217

213 Ricognizione di persone. Atti preliminari

1. Quando occorre procedere a ricognizione personale (392), il giudice (361) invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento.

2. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.

3. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità (181) della ricognizione.

214 Svolgimento della ricognizione

1. Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Nuovamente introdotta quest'ultima, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa.

2. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima.

3. Nel verbale è fatta menzione, a pena di nullità (181), delle modalità di svolgimento della ricognizione. Il giudice può disporre che lo svolgimento della ricognizione sia documentato anche mediante rilevazioni fotografiche o cinematografiche o mediante altri strumenti o procedimenti.

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215 Ricognizione di cose

1. Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato (253), il giudice procede osservando le disposizioni dell'art. 213, in quanto applicabili.

2. Procurati, ove possibile, almeno due oggetti simili a quello da riconoscere, il giudice chiede alla persona chiamata alla ricognizione se riconosca taluno tra essi e, in caso affermativo, la invita a dichiarare quale abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa.

3. Si applicano le disposizioni dell'art. 214 comma 3.

216 Altre ricognizioni

1. Quando dispone la ricognizione di voci, suoni o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale, il giudice procede osservando le disposizioni dell'art. 213, in quanto applicabili.

2. Si applicano le disposizioni dell'art. 214 comma 3.

217 Pluralità di ricognizioni

1. Quando più persone sono chiamate ad eseguire la ricognizione della medesima persona o del medesimo oggetto, il giudice procede con atti separati, impedendo ogni comunicazione tra chi ha compiuto la ricognizione e coloro che devono ancora eseguirla.

2. Se una stessa persona deve eseguire la ricognizione di più persone o di più oggetti, il giudice provvede, per ogni atto, in modo che la persona o l'oggetto sottoposti a ricognizione siano collocati tra persone od oggetti diversi.

3. Si applicano le disposizioni degli articoli precedenti.

CAPO V

Esperimenti giudiziali

Artt. 218-233

218 Presupposti dell'esperimento giudiziale

1. L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo.

2. L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso.

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219 Modalità dell'esperimento giudiziale

1. L'ordinanza che dispone l'esperimento giudiziale contiene una succinta enunciazione dell'oggetto dello stesso e l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui si procederý alle operazioni. Con la stessa ordinanza o con un provvedimento successivo il giudice può designare un esperto per l'esecuzione di determinate operazioni.

2. Il giudice da gli opportuni provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, disponendo per le rilevazioni fotografiche o cinematografiche o con altri strumenti o procedimenti (134).

3. Anche quando l'esperimento è eseguito fuori dell'aula di udienza, il giudice può adottare i provvedimenti previsti dall'art. 471 al fine di assicurare il regolare compimento dell'atto.

4. Nel determinare le modalità dell'esperimento, il giudice, se del caso, dý le opportune disposizioni affinché esso si svolga in modo da non offendere sentimenti di coscienza e da non esporre a pericolo l'incolumità delle persone o la sicurezza pubblica.

CAPO VI Perizia

220 Oggetto della perizia

1. La perizia è ammessa (398, 495) quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.

2. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato (102-105 c.p.), la tendenza a delinquere (108 c.p.), il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

221 Nomina del perito

1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi (67-69 att.) o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina (74 att.) . Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice cura, ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito.

2. Il giudice affida l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.

3. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio (70-72 att.; 366 c.p.), salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall'art. 36.

222 Incapacità e incompatibilità del perito

1. Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità.

a) il minorenne (98 c.p.), l'interdetto (414 c.c.; 32 c.p.), l'inabilitato (415 c.c.) e chi è affetto da infermità di mente;

b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici (28, 29, 31 c.p.) ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte (30, 31, 35 c.p.);

c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali (215 c.p.) o a misure di prevenzione;

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d) chi non può essere assunto come testimone (197) o ha facoltà di astenersi dal testimoniare (199) o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone (120, 194 s.) o di interprete (143);

e) chi è stato nominato consulente tecnico (225, 233, 359) nello stesso procedimento o in un procedimento connesso.

223 Astensione e ricusazione del perito

1. Quando esiste un motivo di astensione il perito ha l'obbligo di dichiararlo.

2. Il perito può essere ricusato dalle parti nei casi previsti dall'art. 36 a eccezione di quello previsto dal comma 1 lett. h) del medesimo articolo.

3. La dichiarazione di astensione o di ricusazione può essere presentata fino a che non siano esaurite le formalità di conferimento dell'incarico (226) e, quando si tratti di motivi sopravvenuti ovvero conosciuti successivamente, prima che il perito abbia dato il proprio parere (227).

4. Sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione decide, con ordinanza, il giudice che ha disposto la perizia.

5. Si osservano, in quanto applicabili le norme sulla ricusazione del giudice (3i).

224 Provvedimenti del giudice

1. Il giudice dispone anche di ufficio (190, 468, 508) la perizia con ordinanza motivata (125), contenente la nomina del perito, la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini (220), l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo fissati per la comparizione del perito.

2. Il giudice dispone la citazione del perito (398, 468, 508) e da gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte all'esame del perito. Adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali.

225 Nomina del consulente tecnico

1. Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici (233, 359; 38, 73 att.) un numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti.

2. Le parti private, nei casi e alle condizioni previste dalla legge sul patrocinio statale dei non abbienti, hanno diritto di farsi assistere da un consulente tecnico a spese dello Stato (98) .

3. Non può essere nominato consulente tecnico chi si trova nelle condizioni indicate nell'art. 222 comma 1 lett a), b), c), d).

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226 Conferimento dell'incarico

1. Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni previste dagli artt. 222 e 223, lo avverte degli obblighi (70 att.) e delle responsabilità (373 c.p.) previste dalla legge penale e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: "consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell'incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto (329) su tutte le operazione peritali".

2. Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici (225, 233-2), il pubblico ministero e i difensori presenti.

227 Relazione peritale

1. Concluse le formalità di conferimento dell'incarico, il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale.

2. Se, per la complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice.

3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione (231) del perito; altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai consulenti tecnici (225, 233-2).

4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità (221-2), il termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può superare i sei mesi (392-2).

5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a norma dei commi 3 e 4, relazione scritta.

228 Attività del perito

1. Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento (431, 76 att.).

2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all'esame delle parti e all'assunzione di prove nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni.

3. Qualora, ai fini dello svolgimento dell'incarico, il perito richieda notizie all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento peritale.

4. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni relative ai poteri del perito e ai limiti dell'incarico, la decisione è rimessa al giudice (508-2), senza che ciò importi sospensione delle operazioni stesse.

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229 Comunicazioni relative alle operazioni peritali

1. Il perito indica il giorno, l'ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa dare atto nel verbale.

2. Della eventuale continuazione delle operazioni peritali il perito dà comunicazione senza formalità alle parti presenti.

230 Attività dei consulenti tecnici

1. I consulenti tecnici (225, 233-2; 38 att.) possono assistere al conferimento dell'incarico al perito (223-1 coord.) e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.

2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione (227, 360-3).

3. Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali (228), i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia.

4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l'esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali.

231 Sostituzione del perito

1. Il perito può essere sostituito (227) se non fornisce il proprio parere nel termine fissato o se la richiesta di proroga non è accolta ovvero se svolge negligentemente l'incarico affidatogli (70 att.).

2. Il giudice, sentito il perito, provvede con ordinanza alla sua sostituzione, salvo che il ritardo o l'inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili. Copia dell'ordinanza è trasmessa all'ordine o al collegio cui appartiene il perito.

3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma ...

4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione (223).

5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione e i risultati delle operazioni peritali già compiute.

232 Liquidazione del compenso al perito

1. Il compenso al perito è liquidato con decreto del giudice che ha disposto la perizia, secondo le norme delle leggi speciali .

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233 Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia

1. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'art. 121.

2. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall'art. 230, salvo il limite previsto dall'art. 225 comma 1.

3. Si applica la disposizione dell'art. 225 comma 3.

CAPO VII

Documenti

Artt. 234-243

234 Prova documentale

1. E' consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo .

2. Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia (112).

3. E' vietata (191) l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti (l94-1 e 3).

235 Documenti costituenti corpo del reato

1. I documenti che costituiscono corpo del reato (253) devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga (240).

236 Documenti relativi al giudizio sulla personalità

1. E' consentita l'acquisizione dei certificati del casellario giudiziale (688) della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici e presso gli uffici di sorveglianza monche delle sentenze irrevocabili (648) di qualunque giudice italiano e delle sentenze straniere riconosciute (730 s.), ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato o della persona offesa dai reato, se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa.

2. Le sentenze indicate nel comma 1 e i certificati del casellario giudiziale possono inoltre essere acquisiti al fine di valutare la credibilità di un testimone.

237 Acquisizione di documenti provenienti dall'imputato

1. E' consentita l'acquisizione, anche di ufficio (190), di qualsiasi documento proveniente dall'imputato (240), anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto.

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238 Verbali di prove di altri procedimenti

1. E' ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale (78 att.) se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio (392 s.) o nel dibattimento (496 s.) .

2. E' ammessa l'acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza che abbia acquistato autorità di cosa giudicata.

2-bis. Nei casi previsti dal comma 1, le dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'articolo 210 sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione

3. E' comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che anche per cause sopravvenute non sono ripetibili (247-271, 354, 360, 512; 782 att.); b) al comma 4, dopo la cifra: "2" e' inserita la seguente: ", 2- bis" e le parole: "se le parti vi consentono" sono sostituite dalle seguenti: "solo nei confronti dell'imputato che vi consenta

4. Al di fuori dei casi previsti dai commi 1, 2, 2-bis e 3, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento solo nei confronti dell'imputato che vi consenta; in mancanza di consenso, detti verbali possono essere utilizzati a norma degli artt. 500 e 503.

5. Salvo quanto previsto dall'art. 190 bis, resta fermo il diritto delle parti di ottenere a norma dell'art. 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1, 2, 2-bis e 4 del presente articolo.

239 Accertamento della provenienza dei documenti

1. Se occorre verificarne la provenienza, il documento è sottoposto per il riconoscimento alle parti private o ai testimoni.

240 Documenti anonimi

1. I documenti che contengono dichiarazioni anonime (3333) non possono essere acquisiti ne in alcun modo utilizzati (191, 108 att., 5 reg.) salvo che costituiscano corpo del reato (235, 253) o provengano comunque dall'imputato (237).

241 Documenti falsi

1. Fuori dei casi previsti dall'art. 537, il giudice, se ritiene la falsità di un documento acquisito al procedimento, dopo la definizione di questo, ne informa il pubblico ministero trasmettendogli copia del documento.

242 Traduzione di documenti. Trascrizione di nastri magnetofonici

1. Quando è acquisito un documento redatto in lingua diversa da quella italiana, il giudice ne dispone la traduzione a norma dell'art. 143 se ciò è necessario alla sua comprensione.

2. Quando è acquisito un nastro magnetofonico, il giudice ne dispone, se necessario, la trascrizione a norma dell'art. 268 comma 7.

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243 Rilascio di copie

1. Quando dispone l'acquisizione di un documento che non deve rimanere segreto (329), il giudice, a richiesta di chi ne abbia interesse, può autorizzare la cancelleria a rilasciare copia autentica a norma dell'art. 116 (258).

TITOLO III

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA

CAPO I Ispezioni

Artt. 244-246

244 Casi e forme delle ispezioni

1. L'ispezione delle persone, dei luoghi (103) e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato (354 1 e2, 364).

2. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente, curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica (359).

245 Ispezione personale

1. Prima di procedere all'ispezione personale (Cost 13. C.p.p. 354l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 (364).

2. L'ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto (disp. di att 79.).

3. L'ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni.

246 Ispezione di luoghi o di cose

1. All'imputato (60, 61) e in ogni caso a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo in cui è eseguita l'ispezione è consegnata, nell'atto di iniziare le operazioni e sempre che essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento.

2. Nel procedere all'ispezione dei luoghi, l'autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore (131, 378).

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CAPO II

Perquisizioni

Artt. 247-252

247 Casi e forme delle perquisizioni

1. Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato (253), è disposta perquisizione personale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso, è disposta perquisizione locale.

2. La perquisizione è disposta con decreto motivato.

3. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria (57) delegati con lo stesso decreto.

248 Richiesta di consegna

1. Se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata, l'autorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede alla perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini.

2. Per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro (253) o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini, l'autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) da questa delegati possono esaminare atti, documenti e corrispondenza presso banche (255). In caso di rifiuto, l'autorità giudiziaria procede a perquisizione.

249 Perquisizioni personali

1. Prima di procedere alla perquisizione personale è consegnata una copia del decreto all'interessato, con l'avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120.

2. La perquisizione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto (79 att.).

250 Perquisizioni locali

1. Nell'atto di iniziare le operazioni, copia del decreto di perquisizione locale è consegnata all'imputato (60, 61), se presente, e a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo, con l'avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120.

2. Se mancano le persone indicate nel comma 1, la copia è consegnata e l'avviso è rivolto a un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (80 att.).

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3. L'autorità giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, può disporre con decreto motivato che siano perquisite (247) le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato o cose pertinenti al reato (253). Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse. Il trasgressore è trattenuto o ricondotto coattivamente sul posto (131, 378).

251 Perquisizioni nel domicilio. Limiti temporali

1. La perquisizione in un'abitazione o nei luoghi chiusi adiacenti a essa non può essere iniziata prima delle ore sette e dopo le ore venti.

2. Tuttavia nei casi urgenti l'autorità giudiziaria può disporre per iscritto che la perquisizione sia eseguita fuori dei suddetti limiti temporali.

252 Sequestro conseguente a perquisizione

1. Le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro con l'osservanza delle prescrizioni degli artt. 259 e 260.

CAPO III

Sequestri

Artt. 253-265

253 Oggetto e formalità del sequestro

1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l`accertamento dei fatti (81 att.; 10 reg.) .

2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria (57) delegato con lo stesso decreto.

4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.

254 Sequestro di corrispondenza

1. Negli uffici postali o telegrafici è consentito procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza (616 c.p.) che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti dall'imputato (60, 61) o a lui diretti, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa o che comunque possono avere relazione con il reato.

2. Quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria (57), questi deve consegnare all'autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto.

3. Le carte e gli altri documenti sequestrati che non rientrano fra la corrispondenza sequestrabile sono immediatamente restituiti all'avente diritto e non possono comunque essere utilizzati.

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255 Sequestro presso banche

1. L'autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche (248 2) di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all'imputato (60, 61) o non siano iscritti al suo nome.

256 Dovere di esibizione e segreti

1. Le persone indicate negli artt. 200 e 201 devono consegnare immediatamente all'autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato (202, 204) ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione (103-2).

2. Quando la dichiarazione concerne un segreto di ufficio o professionale (200, 201) , l'autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza di essa e ritiene di non potere procedere senza acquisire gli atti, i documenti o le cose indicati nel comma 1, provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta infondata, l'autorità giudiziaria dispone il sequestro.

3. Quando la dichiarazione concerne un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che ne sia data conferma. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato.

4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, l'autorità giudiziaria dispone il sequestro.

5. Si applica la disposizione dell'art. 204 (66 att.).

257 Riesame del decreto di sequestro

1. Contro il decreto di sequestro l'imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324 (229 coord.).

2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.

258 Copie dei documenti sequestrati

1. L'autorità giudiziaria può fare estrarre copia (116, 243) degli atti e dei documenti sequestrati, restituendo gli originali, e, quando il sequestro di questi è mantenuto, può autorizzare la cancelleria o la segreteria a rilasciare gratuitamente copia autentica a coloro che li detenevano legittimamente.

2. I pubblici ufficiali (357 c.p.) possono rilasciare copie, estratti o certificati dei documenti loro restituiti dall'autorità giudiziaria in originale o in copia, ma devono fare menzione in tali copie, estratti o certificati del sequestro esistente.

3. In ogni caso la persona o l'ufficio presso cui fu eseguito il sequestro ha diritto di avere copia del verbale dell'avvenuto sequestro.

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4. Se il documento sequestrato fa parte di un volume o di un registro da cui non possa essere separato e l'autorità giudiziaria non ritiene di farne estrarre copia l'intero volume o registro rimane in deposito giudiziario. n pubblico ufficiale addetto, con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, rilascia agli interessati che li richiedono copie, estratti o certificati delle parti del volume o del registro non soggette al sequestro, facendo menzione del sequestro parziale nelle copie, negli estratti e nei certificati.

259 Custodia delle cose sequestrate

1. Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell'art. 120 (82 att.; 11 reg.) .

2. All'atto della consegna, il custode è avvertito dell'obbligo di conservare e di presentare le cose a ogni richiesta dell'autorità giudiziaria nonché delle pene previste dalla legge penale per chi trasgredisce ai doveri della custodia (334, 335 c.p.). Al custode può essere imposta una cauzione. Dell'avvenuta consegna, dell'avvertimento dato e della cauzione imposta è fatta menzione nel verbale. La cauzione è ricevuta, con separato verbale, nella cancelleria o nella segreteria.

260 Apposizione dei sigilli alle cose sequestrate. Cose deperibili

1. Le cose sequestrate si assicurano con il sigillo dell'ufficio giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell'ausiliario che la assiste ovvero, in relazione alla natura delle cose, con altro mezzo idoneo a indicare il vincolo imposto a fini di giustizia.

2. L'autorità giudiziaria fa estrarre copia dei documenti e fa eseguire fotografie o altre riproduzioni delle cose sequestrate che possono alterarsi o che sono di difficile custodia, le unisce agli atti e fa custodire in cancelleria o segreteria gli originali dei documenti, disponendo, quanto alle cose, in conformità dell'art. 259.

3. Se si tratta di cose che possono alterarsi, l'autorità giudiziaria ne ordina, secondo i casi, l'alienazione o la distruzione (83, 852 att.) .

261 Rimozione e riapposizione dei sigilli

1. L'autorità giudiziaria, quando occorre procedere alla rimozione dei sigilli, ne verifica prima l'identità e l'integrità con l'assistenza dell'ausiliario. Compiuto l'atto per cui si è resa necessaria la rimozione dei sigilli, le cose sequestrate sono nuovamente sigillate dall'ausiliario in presenza dell'autorità giudiziaria. L'autorità giudiziaria e l'ausiliario appongono presso il sigillo la data e la sottoscrizione.

262 Durata del sequestro e restituzione delle cose sequestrate

1. Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza (84, 85 att.; 12 reg.). Se occorre, l'autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione.

2. Nel caso previsto dal comma 1, la restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile (76), che sulle cose appartenenti all'imputato (60, 61) o al responsabile civile (83) sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'art. 316.

3. Non si fa luogo alla restituzione e il sequestro è mantenuto ai fini preventivi quando il giudice provvede a norma dell'art. 321.

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4. Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca (86, 88 att.).

263 Procedimento per la restituzione delle cose sequestrate

1. La restituzione delle cose sequestrate è disposta dal giudice con ordinanza se non vi è dubbio sulla loro appartenenza (84, 85 att.; 12 reg.).

2. Quando le cose sono state sequestrate presso un terzo, la restituzione non può essere ordinata a favore di altri senza che il terzo sia sentito in camera di consiglio con le forme previste dall'art. 127.

3. In caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro.

4. Nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate il pubblico ministero provvede con decreto motivato.

5. Contro il decreto del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta, gli interessati possono proporre opposizione sulla quale il giudice provvede a norma dell'art. 127 .

6. Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione, provvede il giudice dell'esecuzione (665, 676).

264 Provvedimenti in caso di mancata restituzione

1. Dopo un anno dal giorno in cui la sentenza è divenuta inoppugnabile, se la richiesta di restituzione non è stata proposta o è stata respinta, il giudice dell'esecuzione (665, 676) dispone con ordinanza che il denaro, i titoli al portatore, quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore e i valori di bollo siano depositati nell'ufficio del registro del luogo. Negli altri casi, ordina la vendita delle cose, secondo la loro qualità, nelle pubbliche borse o all'asta pubblica, da eseguirsi a cura della cancelleria. Tuttavia, se tali cose hanno interesse scientifico ovvero pregio di antichità o di arte, ne è ordinata la consegna al ministero di grazia e giustizia (87 att.).

2. L'autorità giudiziaria può disporre la vendita anche prima del termine indicato nel comma 1 o immediatamente dopo il sequestro, se le cose non possono essere custodite senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio.

3. La somma ricavata dalla vendita è versata in deposito giudiziale nell'ufficio postale del luogo. Questa somma e i valori depositati presso l'ufficio del registro, dedotte le spese indicate nell'art. 265, sono devoluti dopo due anni alla cassa delle ammende se nessuno ha provato di avervi diritto.

265 Spese relative al sequestro penale

1. Le spese occorrenti per la conservazione e per la custodia delle cose sequestrate per il procedimento penale sono anticipate dallo Stato, salvo all'erario il diritto di recupero a preferenza di ogni altro creditore sulle somme e sui valori indicati nell'art. 264 (842 att.).

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CAPO IV

Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni

Artt. 266-271

266 Limiti di ammissibilità

1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita (226 coord.) nei procedimenti relativi ai seguenti reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono.

2. Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p., l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

266 bis Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche

1. Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l'intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi.

267 Presupposti e forme del provvedimento

1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.

2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l'intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l'intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati.

3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1.

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4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria (57).

5. In apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni.

268 Esecuzione delle operazioni

1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale.

2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate.

3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica (90 att.). Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

3 bis. Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati .

4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.

5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, indicate dalle parti, che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima .

7. Il giudice dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intelligibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento .

8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su nastro magnetico. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7

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269 Conservazione della documentazione

1. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione.

2. Salvo quanto previsto dall'art. 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell'art. 127.

3. La distruzione, nei casi in cui e prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice. Dell'operazione è redatto verbale.

270 Utilizzazione in altri procedimenti

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l`accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza (380) .

2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell'art. 268 commi 6, 7 e 8.

3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate.

271 Divieti di utilizzazione

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3.

2. Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'art. 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

3. In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato (253).

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IN RIFERIMENTO ALLA CONSULENZA DI UN PERITO DATA GRATUITAMENTE A CHI PUÒ AVVALERSI DEL GRATUITO PATROCINIO

CORTE COSTITUZIONALE (1999)

Secondo lo spirito del nuovo processo penale (accusatorio e non più inquisitorio) la Consulta ha stabilito che chi può avvalersi del gratuito patrocinio ha diritto anche a richiedere gratuitamente la consulenza di un perito. La Consulta, proprio nella parte ove non consente la più completa equiparazione del consulente tecnico alla figura dell'avvocato difensore, non soltanto mira a sottolineare come il diritto alla tutela procedurale dell'imputato privo di mezzi debba estendersi anche al settore delle perizie, ritenute comunque utili ai fini della difesa, ma porta a coerenza il principio secondo cui, nel nuovo processo penale, i poteri del giudice in materia probatoria sono solo "suppletivi" anche se non proprio "eccezionali". Ciò significa che per la maggiore autonomia, riconosciuta alle parti nella fase istruttoria pre-dibattimentale, ha contribuito a qualificare la essenzialità del consulente tecnico alla difesa e, tale riconoscimento, in virtù della decisione di cui si tratta, viene esteso ai casi non specificamente disposti dal magistrato.

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 33/1999

Ritenuto in fatto

Il tribunale di Saluzzo, chiamato a provvedere sulla richiesta di liquidazione avanzata dal consulente tecnico nominato da un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in relazione ad un procedimento per i reati di cui all'art. 2621 del codice civile e agli artt. 224, 217 e 223 della legge fallimentare, nel corso del quale non era stata disposta perizia da parte del giudice, con ordinanza in data 28 maggio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma, 2, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui, per i consulenti tecnici di parte, limita la facoltà per l'imputato di godere degli effetti del beneficio del gratuito patrocinio ai soli casi in cui è disposta perizia.

Dopo aver ricordato il ruolo della consulenza tecnica extraperitale (art. 233 cod. proc. pen.) nel processo penale di tipo accusatorio, nel quale è positivamente prevista (art. 38 disp. att.) la possibilità per i difensori di avvalersi, al fine di esercitare il diritto alla prova, dell'opera di consulenti tecnici, e dopo aver sottolineato come, secondo la giurisprudenza di legittimità, dalle dichiarazioni dei consulenti tecnici, equiparati ai testimoni, il giudice possa trarre elementi di prova, il tribunale remittente rileva che, nel vigente sistema processuale di parti, la difesa tecnica assumerebbe un ruolo centrale, meritevole di garanzia non meno della tradizionale difesa esercitata dall'avvocato. Del resto, già in relazione al previgente ordinamento processuale, osserva il giudice a quo questa Corte aveva affermato che il consulente tecnico doveva ritenersi parte integrante dell'ufficio di difesa dell'imputato, nel cui interesse presta la propria opera di apporto tecnico mediante argomenti, rilievi ed osservazioni che hanno sostanzialmente natura di atti defensionali (sentenza n. 199 del 1974).

Pertanto, ad avviso del remittente, l'art. 4, comma 2, prima parte, della legge n. 217 del 1990, ponendo l'imputato nella impossibilità di godere dei benefici del patrocinio a spese dello Stato allorquando, per esercitare il proprio diritto alla prova e alla difesa tecnica, ritenesse necessario avvalersi di un consulente tecnico ex art. 233 del codice di procedura penale nei casi in cui non sia stata disposta perizia, si porrebbe in evidente contrasto con l'art. 24, secondo e terzo comma, della Costituzione.

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La medesima disposizione, secondo il giudice a quo sarebbe lesiva anche del principio di eguaglianza formale, per l'ingiustificata disparità di trattamento tra l'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato che si sia avvalso di un consulente tecnico in costanza di perizia e l'imputato, anch'egli ammesso al patrocinio a spese dello Stato, che invece non può ricorrere a tale ausilio difensivo, se non a proprie spese, quando la perizia non sia stata disposta.

L'art. 4, comma 2, prima parte, contrasterebbe, infine, con il principio di eguaglianza sostanziale: il fatto che venga disposta dal giudice una perizia, sulla base di una valutazione discrezionale senza che le parti possano in qualche modo interferire in tale decisione, assurgerebbe, infatti, ad irragionevole ed arbitrario discrimine per il riconoscimento o meno all'imputato del beneficio in questione.

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che l'istanza di liquidazione presentata dal consulente tecnico, in base alla disposizione censurata, dovrebbe essere respinta, pur se il ricorso dell'imputato all'opera di un consulente non possa ritenersi superfluo in considerazione della intrinseca complessità delle imputazioni contestategli.

Considerato in diritto

1. - Il tribunale di Saluzzo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), il quale prevede che gli effetti dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato si verifichino, relativamente ai consulenti tecnici, nei soli casi in cui dal giudice venga disposta perizia. Tale limitazione contrasterebbe, ad avviso del remittente, con l'articolo 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, poiché al cittadino non abbiente sarebbe impedito di avvalersi dell'opera di un consulente di parte per illustrare in chiave tecnica i propri argomenti difensivi all'autorità giudiziaria chiamata a giudicarlo.

La medesima disposizione violerebbe, inoltre, l'art. 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo: in primo luogo essa comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato che si avvalga di consulenza tecnica nel caso in cui sia stata disposta dal giudice una perizia e l'imputato, pure ammesso al patrocinio per i non abbienti, che, quando la perizia non sia stata disposta, non potrebbe ricorrere a tale ausilio difensivo se non a proprie spese; in secondo luogo essa comprimerebbe irragionevolmente il diritto di difesa dell'imputato subordinandolo ad una decisione discrezionale del giudice.

2. - La questione è fondata.

Non può negarsi che la facoltà dell'imputato di farsi assistere da un consulente tecnico sia espressione del diritto di difesa tutte le volte in cui l'accertamento della responsabilità penale richieda il possesso di cognizioni tecniche che, come non possono essere presunte nella persona del giudice, così possono non essere proprie del difensore. Questa Corte già nella sentenza n. 199 del 1974 ebbe a chiarire che il consulente deve essere ritenuto parte integrante dell'ufficio di difesa dell'imputato, nel cui interesse presta la propria opera mediante l'apporto di argomenti, rilievi ed osservazioni tecniche che hanno sostanzialmente natura di attività difensiva; e nella successiva sentenza n. 345 del 1987 non mancò di precisare che il divieto per le parti del processo penale di nominare più di due consulenti tecnici previsto dal codice previgente, doveva essere valutato con specifico riferimento a ciascuno degli accertamenti che fossero stati disposti dal giudice nella forma della perizia, e ciò proprio sulla premessa che l'ausilio del consulente tecnico altro non è che esercizio del diritto di difesa sicché ogni limitazione sostanziale imposta a tale ausilio si risolve in una menomazione di quel diritto.

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La stretta correlazione tra le funzioni del consulente tecnico e il diritto di difesa dell'imputato è stata affermata da questa Corte nel contesto dell'abrogato codice del 1930, che dava ingresso al consulente tecnico della parte solo in occasione di incarico peritale disposto dal giudice e negava autonomo rilievo alla figura del consulente extraperitale, considerato semplice ausilio del difensore, incapace di compiere valutazioni tecniche dotate di un intrinseco valore probatorio; le sue indicazioni si riducevano a mere sollecitazioni defensionali e non vano la forza di penetrare nel processo se non attraverso la mediazione del giudice, a sua volta ritenuto peritus peritorum.

Nell'attuale sistema quella correlazione si è vieppiù inverata. Il codice vigente, infatti, prevede la possibilità per le parti del processo penale di nominare consulenti tecnici anche nel caso in cui non sia stata disposta alcuna perizia (art. 233). E si tratta di previsione che, essendo consentito al giudice, come riconosce la giurisprudenza di legittimità, trarre elementi di prova dall'esame dei consulenti tecnici, la cui posizione viene assimilata a quella dei testimoni, vale a qualificare in modo ancor più evidente la loro attività come aspetto essenziale dell'esercizio del diritto di difesa in relazione alle ipotesi in cui la decisione sulla responsabilità penale dell'imputato comporti lo svolgimento di indagini o l'acquisizione di dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, secondo la formulazione dell'art. 220 del codice di procedura penale.

Il compiuto processo di assimilazione della figura del consulente tecnico extraperitale a quella del difensore si delinea in maniera ancor più nitida alla luce degli ulteriori elementi normativi, anche se in parte preesistenti, sui quali il remittente richiama l'attenzione: oltre agli artt. 380 e 381 del codice penale, che puniscono, insieme al patrocinio, la consulenza infedele, l'art. 103 del codice di procedura, che, sotto la significativa rubrica "garanzie di libertà del difensore", vieta, al comma 2, il sequestro presso il consulente di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa e, al comma 5, l'intercettazione relativa a conversazioni dei consulenti tecnici e loro ausiliari e a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite, nonché l'art. 200, comma 1, lettera b), del medesimo codice di rito, che assicura anche ai consulenti tecnici la tutela del segreto professionale. Un unitario e sistematico insieme di disposizioni conduce insomma a riconoscere che la facoltà di avvalersi di un consulente tecnico si inserisce a pieno titolo nell'area di operatività della garanzia posta dall'art. 24 della Costituzione.

3. - La legge n. 217 del 1990 garantisce ai non abbienti la prestazione del difensore, ma introduce, con l'art. 4, comma 2, una drastica limitazione: in relazione ai consulenti tecnici l'effetto della ammissione al patrocinio a spese dello Stato si verifica solo nel caso in cui il giudice abbia disposto perizia e non si estende alla ipotesi di consulenza extraperitale. Se pure l'accertamento da compiersi fosse compreso tra quelli che richiedono il possesso di particolari cognizioni tecniche e tuttavia il giudice non ritenesse di nominare un perito, l'imputato privo di mezzi non potrebbe giovarsi dell'assistenza di un consulente, neppure in circostanze estreme nelle quali essa apparisse essenziale e non meno decisiva, per l'effettività della sua difesa, dell'apporto professionale dell'avvocato.

Il diritto di difesa del non abbiente non ne risulterebbe così gravemente menomato se fosse possibile sostenere, come è stato prospettato da una dottrina valorizzando alcuni elementi testuali presenti nella disciplina processual penalistica in tema di perizia, che nelle ipotesi in cui la decisione da assumere coinvolga nozioni nel campo della tecnica, dell'arte o delle scienze che non possono presumersi nel giudice, per esso la nomina di un perito costituisca un dovere.

In astratto una siffatta soluzione avrebbe potuto essere ritenuta non incompatibile con la dizione dell'art. 220 del codice di procedura penale, il quale usa una terminologia che non evoca potestà discrezionali ma, con formulazione quasi deontica, dispone che "la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche". E non v'è dubbio che se questa soluzione interpretativa fosse prevalsa nella prassi, sarebbe stato arduo imputare all'art. 4, comma 2, della legge n. 217 del 1990 una vulnerazione del diritto di difesa del non abbiente.

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Ma una simile interpretazione contraddice allo spirito accusatorio del nuovo codice di procedura penale, imperniato, sia pure con i necessari temperamenti connessi al permanere di alcuni poteri officiosi, sul principio di disponibilità della prova (art. 190), sulla conseguente libertà di nomina dei consulenti tecnici anche al di fuori dei casi in cui sia stata disposta perizia (art. 233) e sul valore probatorio che viene attribuito alla consulenza di parte, come dimostra l'art. 422 del codice di procedura penale, che consente al giudice dell'udienza preliminare di ammettere l'audizione di consulenti tecnici nominati dalle parti quando si tratti di accertamenti decisivi.

I poteri del giudice in materia probatoria sono, in effetti, nel nuovo sistema processuale, suppletivi anche se non eccezionali (sentenza n. 111 del 1993) e sopravvengono solo in una fase in cui sia terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti (artt. 468, 493, 495) o indicate dal giudice (art. 506) e nuovi mezzi di prova appaiano "assolutamente necessari" (art. 507). È pertanto da ritenere perfettamente compenetrato nello spirito del nuovo processo l'orientamento della Cassazione secondo cui il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova dall'esame dei consulenti tecnici dei quali le parti si siano avvalse.

4. - Se dunque non può essere revocato in dubbio in questa sede che la consulenza extraperitale è suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza e che pertanto il giudice non è vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti, la soluzione della presente questione di costituzionalità consegue linearmente al riconoscimento, già compiuto da questa Corte nelle sentenze sopra richiamate, che le prestazioni del consulente di parte ineriscono all'esercizio del diritto di difesa, sicché privarne il non abbiente significa negargli il diritto di difendersi in un suo aspetto essenziale. Ove poi si consideri che, conformemente all'attuale modello accusatorio e sul fondamento dell'obbligatorietà dell'azione penale, al pubblico ministero per sostenere l'accusa è consentito avvalersi di esperti nei più svariati settori della scienza e della tecnica senza limitazione di oneri economici, nella garanzia affermata dall'art. 24, terzo comma, della Costituzione non può non ritenersi compresa una istanza di riequilibrio tra le parti del processo penale nei procedimenti nei quali siano coinvolte persone sprovviste di mezzi ed ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

La conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, prima parte, della legge n. 217 del 1990 deve essere circoscritta a quanto impone la Costituzione a tutela del diritto di difesa dei non abbienti, ai quali deve essere pertanto riconosciuta la facoltà di farsi assistere a spese dello Stato da un consulente per ogni accertamento tecnico ritenuto necessario, restando ovviamente salva la possibilità di un intervento del legislatore per una nuova disciplina della materia che comunque non incida sul nucleo essenziale del diritto garantito dall'art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) nella parte in cui, per i consulenti tecnici, limita gli effetti della ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui è disposta perizia

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