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Liberté Dopo Parigi una parola sola. La più bella di tutte la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 11 GENNAIO 2015 NUMERO 514 Cult Gérard Biard. Massimo Bucchi. Umberto Eco. Ellekappa. Manuele Fior. Daria Galateria. Fabio Gambaro. Gabriella Giandelli. Gipi. Anna Godeassi. Bernard Guetta. Abdellatif Kechiche. Riccardo Mannelli. Ian McEwan. Francesco Merlo. Tullio Pericoli. Emiliano Ponzi. Atiq Rahimi. Roberto Saviano. Mario Serenellini. Michele Serra. Carlo Stanga. Mario Vargas Llosa. Ella Wolinski. Louise Giraudon Wolinski. Maryse Wolinski. Olimpia Zagnoli La copertina. L’artista manager Straparlando. Scianna: “Io, ladro di realtà” Mondovisioni. Il pomello di Helsinki ILLUSTRAZIONE DI GIPI

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LibertéDopo Parigi

una parola sola.La più bella

di tutte

la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 11 GENNAIO 2015 NUMERO 514

Cult

Gérard Biard. Massimo Bucchi. Umberto Eco. Ellekappa. Manuele Fior. Daria Galateria. Fabio Gambaro. Gabriella Giandelli.Gipi. Anna Godeassi. Bernard Guetta. Abdellatif Kechiche. Riccardo Mannelli. Ian McEwan. Francesco Merlo.

Tullio Pericoli. Emiliano Ponzi. Atiq Rahimi. Roberto Saviano. Mario Serenellini. Michele Serra. Carlo Stanga. Mario Vargas Llosa.Ella Wolinski. Louise Giraudon Wolinski. Maryse Wolinski. Olimpia Zagnoli

La copertina. L’artista managerStraparlando. Scianna: “Io, ladro di realtà”Mondovisioni. Il pomello di Helsinki

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 28LA DOMENICA

BBIAMO PERSO DEGLI AMICI, degli artisti, delle perso-ne che per noi erano come una famiglia, per meda vent’anni, per altri anche da sessanta. Non sose abbiamo perso anche una certa innocenza,questo lo dirà il futuro. Per ora, oggi, proviamo asuperare il dolore e prima di ogni cosa cerchiamodi continuare a fare il nostro lavoro come lo ab-biamo sempre fatto. Mercoledì prossimo pubbli-cheremo un numero di Charlie Hebdo che sarà“normale”, lo abbiamo deciso venerdì nella no-stra prima riunione di redazione. Vogliamo cheil numero sia uguale a quelli che abbiamo pub-

blicato ogni settimana, da vent’anni, e che spero potremo continuare a scrivereper altri venti.

Tutte le rubriche e tutti gli spazi saranno occupati dalle nostre firme di sem-pre, siano quelle dei morti o dei feriti, ci saranno anche loro sul giornale, come èsempre stato. Vogliamo che il lettore di Charlie Hebdo trovi il suo solito giorna-le così come vogliamo che chi ci comprerà per la prima volta scopra la tradizio-

nale anima di Charlie. Non possono uccidere Charlie Hebdo. Da qui in avanti spero che non saremo mai più bollati come inte-

GÉRARD BIARD

gralisti laici, non si può usare la stessa paro-la per le vittime e per gli assassini. Ma spero

anche che tutti coloro che fino a oggi han-no trovato buone scuse per giustifica-

re i fascismi religiosi ora capiscanoche la sola cosa che ci protegge dallabarbarie, che la sola cosa che preser-va la democrazia, è proprio la laicità.Abbiamo parlato molto di libertà distampa, di libertà d’espressione e dilibertà in generale, ma niente di tut-to questo è possibile senza laicità. Nélibertà, né fratellanza, né egua-glianza sono possibili senza la lai-

cità. Mercoledì scorso è avve-

nuto un fatto allucinante eora, dopo quattro giorni, ab-biamo tanti nuovi amici, mol-ti dei quali totalmente estra-nei alle nostre idee. Io stessosono stato sorpreso di vedere

campeggiare sulla pagina d’a-pertura di Google la scritta “NousSommes Charlie”, ma la cosa più in-congrua di tutte è stata questa: sen-tire le campane di Notre Dame suo-nare per Charlie Hebdo! Vorrei peròdire a papa Francesco che accettia-mo che le campane di Notre Damerintocchino ancora per noi soltantose a farlo saranno sono le Femen!

Direttore di Charlie Hebdo

Noi,vivi e mortidi CharlieHebdo

CHARB

STÉPHANE CHARBONNIER, DETTO CHARB, 47 ANNI, UCCISO IL 7 GENNAIO 2015.DAL 1992 DISEGNAVA LE SUE VIGNETTE PER CHARLIE HEBDO, DI CUI ERA DIRETTORE DAL 2009. IN ALTO A SINISTRA UNA CARICATURA DI HOLLANDE. A FIANCO: “COSA MANCA ALLA FRANCIA?” “IL SOLE DI GAZA. PER IL RESTO È UGUALE”. A SINISTRA, UN NANO E UN PAGLIACCIO TENGONO IN MANO UNO STRISCIONE DOVE AL POSTO DI “ALLAH” E SOPRA “AKBAR” C’È UNA RISATA “AH! AH! AH! È GRANDE”

CABU

JEAN CABUT, ALIASCABU, 76 ANNI,UCCISO IL 7GENNAIO 2015. TRA LE SUECREAZIONI LA SERIE DEI “BEAUFS”(FRANCESILAMENTOSI,RAZZISTI E SCIOVINISTI) E LE VIGNETTE SU MAOMETTOPUBBLICATE SU CHARLIE HEBDONEL 2006. SOPRA,MARIE LE PEN URLA“LA GUERRA SANTA CONTROBRUXELLES È LA NOSTRA JIHAD”

Liberté.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Abbiamo perso degli amicie forse anche l’innocenza

Intanto torniamo in edicolacon le vignette di chi è rimasto

e di chi non c’è più”Ecco quelle che ci ha mandato

il nuovo direttore, Gérard Biard

A

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 29

GEORGESWOLINSKI

NATO IN TUNISIA DA PADREPOLACCO E MADRETOSCANA, 80 ANNI,UCCISO IL 7 GENNAIO 2015.LA GIOVANEPAULETTEÈ UNA DELLEPROTAGONISTEDELLE SUE STORIE,DISEGNATASEMPRE SEMINUDA.LE SUE VIGNETTETRA L’EROTICO E IL POLITICO,COME SI VEDE QUI A FIANCO DOVEINSIEME A UNAGIOVANE DONNAAPPARE HOLLANDEE LO STESSODISEGNATORE,SONO APPARSEIN ITALIA SU LINUS

LO SLOGAN

SI CHIAMAJOACHIM RONCIN,39 ANNI, DIRETTOREARTISTICO DI UN MAGAZINE DI MODA. È L’INVENTOREDELLO SLOGAN “JE SUIS CHARLIE”CHE IN POCHISSIMIGIORNI HA INVASOLE PIAZZE VIRTUALIE NON DEL MONDO.“TUTTO È NATO DA UN TWEETLANCIATOMEZZ’ORA DOPO L’ATTACCO A CHARLIE HEBDO”

PHILIPPE HONORÉ

73 ANNI, DISEGNATORE DAL 1984. DAL 1992 LE SUE VIGNETTE (COME LE DUEQUI SOPRA) APPARIVANO SU CHARLIE HEBDO

ZIO BERNARD

ALL’ANAGRAFE BERNARD MARIS, 68 ANNI, UCCISO IL 7 GENNAIO 2015.ECONOMISTA NO-GLOBAL, SI BATTEVA PER LA CANCELLAZIONE DEL DEBITO. GRANDE ESTIMATORE DI KEYNES CUI HA DEDICATO UN LIBRO

TIGNOUS

BERNARDVERLHAC, IN ARTETIGNOUS, 57 ANNI,

UCCISO IL 7 GENNAIO 2015.

DISEGNAVA PER LA STAMPA

FRANCESE DAGLI ANNI ’80.

TRA LE SUEVIGNETTE

PIÙ FAMOSEQUELLE DEDICATE

ALLA PRIMAVERAARABA E A GÉRARD

DEPARDIEU. A FIANCO:

“BUONGIORNOBAMBINI, VOLETE

VENIRE A FARE LA JIHAD?”

Grazie RobespierreGrazie per aver inventato il suffragio universale, che lamaggior parte degli scrittori (Balzac, Stendhal, Flaubert, lenostre tre grazie) ha considerato una cosa orrenda.Delanoë si è rifiutato di intitolare una piazza a Robespierre,a Parigi, con la scusa non del Terrore, bensì dell’invenzionedel “culto dell’Essere supremo”. L’Incorruttibile, con le sueelucubrazioni deistiche, non meritava di essere associatoai Lumi. Pensava che una società non potesse “esistere”senza la speranza di un aldilà, fosse anche solo la confusaimmortalità dell’anima dopo la morte. In francese ciòsignifica che non può esistere una società senza religione.Aveva dunque in mente di riconciliare i Lumi, la ricercadella verità e la dissipazione dei falsi misteri per mezzodella ragione, e il fatto di credere in un “Essere supremo”.

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 30LA DOMENICA

MILANO

MORIRE DAL RIDERE— gli dico — sino a tre giorni fa era un tic linguistico,come alzare il gomito, baciamo le mani e colpo di fulmine. Ora inve-ce morire dal ridere è realismo: «L’uomo ride per tenere lontana lamorte». E invece qui... «I kamikaze che cercano il martirio, i fanaticicome quelli che a Parigi hanno ucciso, non hanno paura della morte.E dunque non capiscono il riso». Il tabù del riso è più forte della mor-te? «Ridere e sapere di dover morire sono proprie dell’uomo, sono ledue caratteristiche che lo distinguono dagli altri animali». E la ienaridens? «Emette un verso che somiglia alla nostra risata, ma non ri-de. Tranne che nei cartoni animati». Come Topolino, Paperino e Non-na Papera. «Già. Topi, papere e iene non sanno che omnia animaliamortalia sunt». Ma ridere non salva l’uomo dalla morte. «Lo aiuta».

In un angolo dello studio di Umberto Eco c’è, in cornice, una foto di un raro Totò su sfondo buio, se-duto, neri il cappello che indossa e il cappotto che lo copre tutto. «È bellissima, è di Ugo Mulas». Wo-linski era malinconico? Eco mi mostra una caricatura che Wolinski gli dedicò nel 2002: «Forse non eraun grandissimo disegnatore, ma sicuramente era bravo e molto simpatico». Perché gli umoristi e i co-mici sono sempre tristi? «Non è vero. Il punto è che osservandoli nella vita quotidiana appaiono ov-viamente molto più compassati. E dunque chi incontrava Achille Campanile non incontrava Il pove-ro Piero». Beh, però Totò in questa foto di Mulas è affascinante proprio perché è triste. «È vero» diceEco e scherza sul principe de Curtis: «Magari stava pensando a ripristinare lo Stato asburgico». Pareinfatti che Totò fosse malato di quella nobiltà che poi la sua comicità smontava: «Il riso mina il pote-re, questo è il punto di partenza». Anche la bestemmia mina il potere? «La bestemmia è un vilipendiodella religione. Noi non bestemmiamo in chiesa. Esiste una bestemmia popolare, quella che magarisi autofrena da sola, per consapevole timor di dio. Nel mio Piemonte, quando ero piccolo, non capivoperché i contadini dicessero “Dio Faust”. Era la correzione di “Dio faus” che vuol dire falso. In Tosca-na c’è “maremma maiala”, e poi “porco zio”... La regola è che non si bestemmia, come non si sputa per

Dai roghi cristiani per le streghe ai terroristiislamici per chi fa satira. “L’uomo rideper tenere lontana la morte, e il riso minail potere”. A colloquio con Umberto Eco

FRANCESCO MERLO ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR

terra. Ma se uno sputa per terra, non lo mandia-mo certo ad Alcatraz».

E la bestemmia al Dio degli altri? «Sui nostrigiornali noi oggi non prendiamo in giro il Dalai La-ma né gli altri capi e i simboli religiosi. Ma pensi aquanta fatica abbiamo impiegato prima di arri-vare a non disegnare più il negro con la sveglia alcollo, gli indiani d’America che facevano aughat-torno a un pezzo di legno chiamato Manitù, pen-si alle descrizioni che si permetteva Salgari dei sa-crifici alla dea Kali... Certo ci siamo spinti sino alvezzo retorico di chiamare “non vedente” il ciecoper non ferirne la suscettibilità, ma la civiltà delrispetto valeva la fatica. Anche se, come vede, ineri li ammazzano ancora».

Tra tutti gli autori seri che si sono occupati di ri-so, dal pedante Kant al cupo Pirandello al dispe-rato Baudelaire, Eco è uno dei pochi che il riso lopratica pure, con il suo corpo allegro da Obelix,con la sua passione per il dettaglio arguto, per i fu-metti, per i segni. È l’Obelix della semiotica: «Fac-cio pure i giochetti. Insomma, rido». A ottantatréanni il riso, forse più di prima, è la libertà che al-lontana la morte. «Ma non sono un compulsivodella barzelletta» mi dice, e me ne racconta una

sulla bestemmia che non tra-scrivo qui perché ho deciso di

mandarla a Charlie Hebdo. Spesso i vecchi sono aci-

di. «Forse invecchio con al-legria perché penso cheinvecchiare sia bellissi-mo. Non capisco i miei coe-tanei che si lamentano: so-no convinto di avere lastessa memoria d’acciaiodi quando ero ragazzo, an-

che se passo notti a cer-care libri con il dor-so giallo che hannoinvece il dorso ros-so. Di sicuro ho an-che una grandeesperienza. E poi...sono contento diavere fregato tutti

quegli altri che sono mor-ti prima di me». I libri quisono trentamila: «Stipen-dio uno per spolverarli,ma ha il divieto di toccar-li». E mi precede: «Questoè il corridoio della lettera-tura. Qui invece c’è il salo-ne della saggistica». C’è la

sezione dei cretini e «quisiamo al mio cimitero perso-

nale» , due pareti di foto «con i

grandi amici che non ci sono più, lì con Montale,e poi Musatti, Foucault, Barthes, Pratolini, Vol-poni, Berio… Invece questi lunghi scaffali con-tengono tutta l’Opera Eci che poi in latino sareb-be Econis».

Ha scritto della risata di Dio e del tabù del risoe anche chi non ha letto Il nome della rosa sa chelì c’è un monaco, Jorge, che sparge veleno sullepagine della Poetica, il libro che Aristotele dedicòappunto al riso, in modo che a ogni leccata di ditoil lettore... “Non elimini il riso eliminando il libro”gli obietta però il frate Gugliemo. Le religioni han-no paura del riso? «Nei primi secoli del Cristiane-simo anche i rigoristi, come i fondamentalisti mu-sulmani di oggi, non avevano paura della morte,e dunque, a loro volta, non capivano il riso. Puretra i cristiani c’erano quelli che cercavano la mor-te, gli eremiti...».

Ci sono molti libri che hanno tentato di alleg-gerire le religioni monoteiste cercandovi l’umo-rismo, scoprendo l’ironia non solo nelle piaghed’Egitto, nella trasformazione dell’acqua del Ni-lo in sangue e in tutte le altre enormità della Bib-bia, ma anche nelle parabole. «Le religioni poli-teiste sono invece allegre. E con qualche Dio di-vertito e divertente. Priapo era addirittura comi-co e forse perché la sua comicità non insidiava lagrandezza di Giove. Anche Schelm, una divinitàfolletto, era un Dio briccone con il pene enorme».E però, diciamo la verità, Gesù non ride mai. Pernon parlare della Madonna. «Forse gli evangeli-sti non volevano o magari non potevano perderetempo a raccontare le risate di Gesù. In fondo nonè interessante sapere come ridevano la seraquando si rilassavano Gesù e i suoi apostoli. Èperò sicuro che l’Occidente cristiano ha dovutofare un lungo esame di coscienza prima di accet-tare il riso. Un tempo bastava poco per mandaregli spiritosi al rogo».

Soprattutto le donne che era facile bruciare co-me streghe. Ci penso guardando passare la mo-glie di Eco, un’ottantenne che ricorda una fataceltica, con un viso da filosofia tedesca. L’intel-lettuale di casa sembra lei. Eco mi mostra una vec-chia foto che gli scattò Furio Colombo. Sua moglieRenate — gli dico — era ed è rimasta bellissima.Mi guarda e non sa cosa rispondere. Prende tem-po. Poi: «Se la cava. Siamo sposati da oltre cin-quant’anni».

Nel nuovo libro che ha scritto, Numero zero(Bompiani), c’è il gioco delle domande cretine edelle risposte cretine, tipiche di ogni intervista.Ecco un esempio a pagina 67: “Perché le dita han-no le unghie?”, “Perché se avessero le pupille sa-rebbero occhi”. In un’altra intervista feci con Ecoil gioco delle domande cretine, ma con risposte in-telligenti. Domanda: “Qual è il suo piatto preferi-

Liberté.

AncheDiosa

ridere

Certo, ci siamo spinti al vezzo retorico di chiamare non vedente il cieco,

ma la civiltà del rispetto valeva la fatica ”“

VIGNETTA DI BUCCHI

VIGNETTA DI ELLEKAPPA

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 31

I comici sono gli unici dai quali gli italianiaccettano lezioni di morale, certo non dai politici

Benigni è l’erede di Savonarola ”“

to?”. Risposta: “I piselli ripieni”. Ripropongo ilgioco: i suoi cinquant’anni di matrimonio sonostati divertenti? La risposta è “uhm” e in piedi,con il sigaro spento in bocca, Eco sembra il fra-tacchione goloso de Il nome della rosa.

I preti ridono? «Si, ma il loro tabù rimane il ses-so, la loro trasgressione si ferma alla cacca». Mal’offesa a Dio è ancora spirito? «Ci sono molti mo-di di fare satira. C’è la satira terapeutica, che aiu-ta a capire, anche Dio e anche la morte; c’è quellaeccessiva che può offendere; e poi c’è anche la sa-tira che non fa ridere. Ma appunto la civiltà ci hainsegnato che una cosa è offendersi e un’altra uc-cidere. La libertà di satira è un momento della li-bertà di espressione. Ti risenti per la caricaturache ti fanno, ma finisce lì. Se poi ti senti diffama-to c’è il Diritto. Ma va garantita anche la libertà divilipendio». E il capo dello Stato? «Quello è un re-siduo di una legge illiberale. Non c’è un vilipendiopeggiore di un altro».

Nella storia della satira italiana non c’è unCharlie Hebdo. «No. E sui nostri giornali non pren-diamo in giro Dio. Anche se la satira c’è semprestata. Abbiamo avuto il Becco giallo, il Bertoldo,il Marc’Aurelio, ma non giornali importanti chepraticassero un’irrisione così forte, con il gustodella bestemmia. Un po’ forse Cuore e, ancora dipiù, il Male. La Francia però ha un’altra storia. C’èRabelais... E ci sono gli chansonnier, i teatrini do-ve si rideva di gusto del potere ricorrendo alla vol-garità. È un’eredità della Rivoluzione francese».Bernardo Valli mi ha detto che in Charlie Hebdoc’è probabilmente anche un po’ di Céline e dellatradizione dell’invettiva. «Si, è sensato. Le nostreinvettive, di Petrarca e di Dante, sono poetiche.In Francia invece l’invettiva, che arriva sino aHouellebecq, è un genere molto violento». A par-tire dal J’accuse di Zola. «Sì, certo». Forse perchéin Italia il potere è meno tollerante? «Quando ilpresidente Gronchi in teatro cadde dalla sedia,Tognazzi e Vianello lo presero in giro in tv e furo-no cacciati dalla Rai». E però la satira oggi in Ita-lia è molto praticata. «Ma è un’altra cosa. Oggi lasatira in Italia ha sostituito la politica. I comici so-no i soli da cui gli italiani prendono lezioni di mo-rale. La politica infatti non ci riesce più. Altan èuno dei più grandi moralisti italiani. E ancheGiannelli. E infatti Renzi ha molta più paura diCrozza che di Salvini. E pensi a Benigni che, mi hadetto un amico...». Chi? «Un amico intelligente».Cosa ha detto? «Che è l’erede della tradizione deipredicatori toscani, alla Savonarola».

Benigni — dico — è un fenomeno straordinariodi ex comico autodidatta che sfida le cattedre deigrandi pensatori, un caso tutto italiano difficileda spiegare agli stranieri, persino agli americaniche pure hanno avuto Reagan. «E infatti in Ame-rica le cose che dice Woody Allen sono di meno ef-fetto delle cose che dice Obama. Benigni invece èa metà tra i fioretti di San Francesco e Bertoldo,Bertoldino e Cacasenno». Quindi oggi non rapi-rebbero Aldo Moro, ma un comico. «A Parigi nonhanno colpito alla cieca. È vero che potrebberosparare anche in un caffè o in un metrò, ma lì sa-pevano quel che facevano. Sicuramente sonoinformati e molto attenti. Volevano colpire la li-bertà d’espressione, e meglio ancora la satira, ilriso che li offende perché non lo capiscono». E mimostra un piccolo scritto del 2000 nel quale dice-va: “L’Europa sarà un continente multirazziale.Se vi piace sarà così e se non vi piace sarà così lostesso. Ma questo confronto (scontro) di culturepotrà avere esiti sanguinosi, e sono convinto chein una certa misura li avrà, saranno ineliminabi-li e dureranno a lungo”. Dunque lei pubbliche-rebbe quelle vignette per solidarietà? «Io no, per-ché non le avrei pubblicate neanche prima. Pen-so anche che solo nelle guerre totali i nemici si ca-ricaturizzano a vicenda, come fecero cattolici eluterani per esempio». E chiudiamo allora con lasatira: mandiamo un vignettista al Quirinale?«Sì. Ma non facciamo nomi sennò lo bruciamo».

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 32LA DOMENICA

QUASI MI VERGOGNO, adesso, del paio di querele per “vilipendio della religione” che me-ritai in quanto fondatore e direttore di Cuore, più di vent’anni fa. Scaramucce che miparvero, ai tempi, grande battaglie. E non lo erano perché la civilizzazione ci ha por-tato, tra i suoi tanti vantaggi, quello della mediazione giuridica dell’offesa. Il massi-mo disturbo era cercarsi un buon avvocato. Il massimo rischio, perdere del tempo.Quanto alla “religione” vilipesa devo aggiungere subito, perché non è un dettaglio,che la maggior parte delle (poche) seccature giudiziarie che ci toccarono, a Cuore,scaturirono non dalla suscettibilità dei bigotti, ma da quella delle aziende. La sacra-lità del Prodotto e del Marchio, già vent’anni fa, era decisamente superiore non so-lamente a quella degli déi; anche a quella degli esseri umani. Con Grillo — quando la-voravo con lui — avevamo stabilito, in sintesi, che offendere Andreotti era molto me-no rischioso che offendere Coccolino.Uso il verbo “offendere” perché non è intelligente né leale defalcare la satira a sempli-

ce attività spiritosa, innocuo divertimento. Non erano simpatici pagliacci, i caduti di Charlie Hebdo. Erano artisti e in-tellettuali che sapevano di usare un linguaggio di confine, non facile da pronunciare e neppure da capire: il malinteso,ogni satirico lo sa, è pane quotidiano. Sapevano che la parola è potente e che il segno lascia il segno. E sapevano di ri-schiare la vita, perché la comunità degli offesi, nel loro caso, non riconosce la mediazione giudiziaria (che è dialetticaper definizione). Conosce solo, per “lavare l’onta”, il sangue dell’altro. Ed è esattamente questo, per la nostra etica dicivilizzati, l’aspetto mostruoso, rivoltante dell’accaduto: imbatterci nella risoluzione pre-civile, primitiva, di un con-tenzioso culturale.

Allora come oggi non ho mai condiviso, e neppure mai capito fino in fondo, che cosa intende dire chi dice che “la li-bertà d’espressione non può avere limiti”. Mi sembra una concezione davvero riduttiva della libertà, quasi una sua“neutralizzazione”. Un renderla — appunto — inoffensiva, comoda e facile per tutti, comprensibile a tutti. Invece la li-bertà (da sempre!) è uno scandalo. Disturba e offende. Urta certezze e conformismi, irrita i repressi, scompiglia con-venzioni sociali sedimentate. Il suo “limite” è il cozzo, costante, con sensibilità e usanze altrui. Si pensi, per fare solo unesempio, alla ricaduta sociale della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta: non è forse per rimediare aquella “offesa” — l’offesa della libertà — che parecchi maschi patologici picchiano e uccidono le loro compagne quan-do queste scelgono di liberarsi di loro? Non sono forse, costoro, i lanciatori di acido, gli accoltellatori, artefici di un ter-rorismo diffuso contro l’autodeterminazione delle donne?

E per non parlare sempre degli altri: anche io che sono ateo, e non ho tabernacoli da difendere, mi offendo so-vente, per esempio per l’arroganza con la quale i bigotti giudicano strano e divagante il mio punto di vista, comese non fosse strano e divagante, piuttosto, venerare il calcagno di San Vattelappesca. Ma considero l’offesa — co-me dire — parte del mestiere di vivere e soprattutto del vivere in società. È un urto gestibile, mediabile, a volteaddirittura utile perché innesca (capita, mi è capitato) un processo di comprensione reciproca. E qualora non tro-vassi requie alla mia offesa, potrei sempre rivolgermi a un giudice. Perfino il duello — aggiungo — rientrava nel-la mediazione giuridica, sia pure in forma cruenta. Era ad armi pari e intriso, per i duellanti e i loro padrini, di unsentimento di lealtà tra chi si odia. Ripeto: lealtà tra chi si odia. Il contrario della vile esecuzione di inermi prati-cata, ormai su vasta scala, dagli assassini jihadisti.

Non è dunque l’offendersi di fanatici musulmani, siano essi pochi o tanti, il vero scandalo. Ogni essere umano e

“La satira è uno scandalo che disturba e offendee i caduti di Charlie Hebdo lo sapevano bene”Michele Serra riflette su un mestiere pericoloso

MICHELE SERRA ILLUSTRAZIONE DI OLIMPIA ZAGNOLI

ogni comunità hanno pieno diritto di considerarsi offe-si. Lo scandalo, di tale portata da configurarsi anche “tec-nicamente” come una dichiarazione di guerra, è la tota-le incapacità di quegli offesi di accettare la loro offesa co-

me parte integrante, inevitabile, vitaledel confronto culturale e della me-

diazione giuridica. Vuol dire, toutcourt, negare alla radice il con-fronto culturale e la mediazionegiuridica.

Ai tempi di Tango (predeces-sore di Cuore) Sergio Staino sin-tetizzò in una vignetta-manife-sto la questione satirica, che èpoi un sunto “specializzato”, mamolto rappresentativo, della

questione della libertà. Un Bo-bo guerriero, con lo spa-done sguainato, lanciavail suo urlo di guerra. “Chisi incazza è perduto”. Sa-peva bene, Bobo, che lasatira è una spada, me-taforica ma taglientequanto basta a produrre

ferite. E sapeva che può anchefare “incazzare”, che anche unamatita può essere così ben tem-perata da diventare acuminata.Ma assegnava giustamente aglioffesi il compito di gestire l’offe-sa. All’epoca non potevamo im-maginare che la gestione del-l’offesa (la sua elaborazione, di-

rebbe uno psicanalista) sarebbediventata una questione di vita e

di morte; nonché una questione diciviltà. Di vita e di morte della civiltà.

Non “la nostra” civiltà: quella di chiunque riconosce lamediazione dei conflitti, ovvero la democrazia, comebase della convivenza.

Ci consola e ci illumina considerare che, nel vecchioslogan di Staino, “perduto” è chi si incazza. Chi perde illume della ragione e del rispetto perde prima di tutto sestesso. Il fanatico è sempre perduto in partenza. Ha sem-pre perduto in partenza.

Liberté.

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La parolaè potentee il segno

lasciail segno

Considero l’offesa parte della vita. È un urtogestibile, a volte addirittura utile perché innescaun processo di comprensione reciproca ”“

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 33

Quasi mi vergogno, adesso, del paio di quereleper vilipendio alla religione che meritai più di vent’anni fa come direttore di Cuore... ”“

MARJANE SATRAPIIRANIANA, HA ACQUISITO FAMA MONDIALECON IL ROMANZO GRAFICO “PERSEPOLIS”

ART SPIEGELMANSTATUNITENSE, È AUTORE DI “MAUS” CON CUI NEL ’92 VINCE UN PREMIO PULITZER

JOE SACCOMALTESE, HA COMBINATO GIORNALISMO E GRAPHIC-NOVEL IN “PALESTINA” E “GAZA”

Furono gli unicia ripubblicare le vignettedanesi su Maomettonel 2006 per ragioniassolutamente giuste.Gli altri che lo fecerovolevano provocare i musulmani. Ma per Charlieera parte della missione chesi attribuivano: e cioè essereprovocatori di pensiero

Non amavo tutto quelloche facevano ma amavol’idea che avessimo una rivista così sovversiva.La gente ha il dirittodi avere differenti puntidi vista, e di provocare.Se permetteremo che azionidel genere creino un climadi paura, avremo perso la nostra libertà

Sono realmente disgustatoda questa tragedia.Ma cerco anche di capireperché certa gente si senteoffesa da simili vignette,anziché dire “perché nonsiete stati allo scherzo?”.Un’immagine di Maomettoin posizioni equivochenon è solo uno scherzo

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ETALE E AUTOSANTIFICANTE, il fondamentalismo islamico è diventato fontedi attrazione globale di psicopatici. Non si è mai vergognato di procla-mare gli oggetti del suo odio: istruzione, tolleranza, pluralismo, e so-prattutto, libertà di espressione — la libertà alla base di tutte le altre. Piùsignificative delle concettualizzazioni sono le persone che i jihadisti odia-no e uccidono: bambini, studentesse, omosessuali, donne, atei, non mu-sulmani, e molti, molti musulmani. A questo elenco ora dobbiamo ag-giungere la redazione coraggiosa e vivace di Charlie Hebdo, che speravadi sconfiggere l’odio con il riso. Il massacro di Parigi è una tragedia pertutta la società aperta. In un giorno cupo per la libertà intellettuale, si in-travede pure qualche flebile spiraglio di luce: i cortei calmi e determina-ti nelle città francesi; la speranza che la condanna generale di questi omi-

cidi possa avere un effetto unificante; il fatto che una cultura radicata nell’odio sia fragile e dicorto respiro; il fatto che gli psicopatici siano di gran lunga una minoranza.

Le anime più mortifere della propaganda del movi-mento Pegida o del Front National che pensano di bom-

bardare una moschea dovrebbero considerare che ilmodo più efficace di sopprimere o uccidere i musul-mani sarebbe quello di unirsi all’Isis o a uno dei suoiaffiliati. Dopo le speranze deluse della Primavera ara-

ba, gran parte del mondo arabo si ritrova schiac-ciato tra tirannie di stato e fanatismo religioso. Ilgenerale Sisi o l’Isis — il palindromo è appropriato.Un fenomeno marginale ma crescente, in partico-

lare in Egitto e Arabia Saudita, sono i siti inter-net di coloro che, disgustati dalla violenza jiha-dista, condannano l’Islam politicizzato e l’Islamin sé (come Black Ducks, Arab Atheist Network,Freearabs). Gli apostati si esprimono con paurae grande rischio, in quanto abbandonare il lorocredo religioso può essere severamente punito. Dopo Charlie Hebdo, deve rinascere la libertà di

espressione. Purtroppo per la libertà d’opinioneoccidentale, l’atteggiamento prevalente dell’I-slam nei confronti dell’apostasia rimane negati-vo, nella migliore delle ipotesi. Occorre un con-fronto civile.

(Traduzione di Ettore Claudio Iannelli) ©The Guardian

la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 34LA DOMENICA

ENSO CHE QUANTO SUCCESSO A PARIGI in questi giorni sia non solo una cosa orribileche mette i brividi per la sua crudeltà e la sua ferocia, ma anche un’escalation inquello che è il terrore. Finora uccidevano persone, distruggevano istituzioni, mal’assassinio di quasi tutta la redazione di Charlie Hebdosignifica qualcosa di an-cor più grave: vogliono che la cultura occidentale, culla della libertà, della de-mocrazia, dei diritti umani, rinunci a esercitare quei valori, che inizi ad appli-care la censura, a mettere limiti alla libertà di espressione, che stabilisca che cer-ti temi sono proibiti, e cioè che rinunci a uno dei princìpi più fondamentali dellacultura della libertà: il diritto di critica. Quello che vogliono, con questa stragedi giornalisti e vignettisti, è che la Francia, l’Europa occidentale, il mondo libe-ro, rinuncino a uno dei valori su cui si fonda la civiltà. Non poter esercitare quel-la libertà di espressione rappresentata dall’usare l’umorismo in maniera irri-

verente e critica significherebbe la pura e semplice scomparsa della libertà di espressione, cioè di uno dei pi-lastri di quella che è la cultura della libertà. Credo che l’Occidente, l’Europa, il mondo libero debbano pren-dere atto che c’è una guerra che si sta svolgendo nel loro territorio e chequesta guerra la dobbiamo vincere se non vogliamo che la barbarieprenda il posto della civiltà.

Dobbiamo agire con fermezza, senza complessi di inferiorità difronte a coloro che rappresentano il fanatismo, ma anche nel rigo-roso rispetto della legalità, che è tanto importante quanto la libertà.

“L’Europa deve reagire all’attacco dei fanatici religiosi così come degli xenofobi”Gli interventi del Nobel Vargas Llosa e dello scrittore inglese Ian McEwan

MARIO VARGAS LLOSA

Uno dei rischi più gravi di questo orribile attacco terroristico è chestimoli la xenofobia nei partiti estremisti, che sono tanto pericolosiper la democrazia quanto i fanatici islamisti.

Questa strage farà guadagnare aderenti a organizzazioni come ilFront National e a tutti i gruppi e gruppuscoli che vorrebberodistruggere l’Europa e far tornare i paesi europei all’epoca deinazionalismi intolleranti e xenofobi. Bisogna fare uno sforzoper impedire che questo accada e che l’Europa venga distrut-ta sia dai suoi nemici che da coloro che pretendono di difenderlacon altre forme di intolleranza e di fanatismo.

La Francia è uno dei paesi fondatori della cultura della libertàcon la dichiarazione dei diritti umani che ha stabilito costituzional-mente una libertà di espressione che i suoi cittadini, i suoi intellet-tuali e i suoi politici hanno esercitato in modo esemplare in tutto ilcorso della sua storia. Per questo la tragedia che la Francia vive in que-sti giorni è una tragedia che colpisce tutti noi, donne e uomini liberidi questo mondo, e per questo dobbiamo ripetere come stanno fa-cendo milioni di francesi ogni giorno: «Je suis Charlie Hebdo».

(Traduzione di Luis E. Moriones) © El País

Liberté.

© RIPRODUZIONE RISERVATA© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’Occidente va difesoAncheda sé

IAN MCEWAN

ILLUSTRAZIONE DI ANNA GODEASSI

P L

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Cannes, ho dedicato la Palma d’oro alla “bella gioventù dellaFrancia che mi ha insegnato tanto sullo spirito di libertà, di tolle-ranza e di vita comune”. Sento una grossa responsabilità verso ilmilieu sociale che descrivo. Nel cinema francese, sono rappre-sentate molto poco le “minoranze”, termine che detesto. I mediale caricaturizzano, ne rendono un’immagine falsa. Io mi so-no dato la regola di mostrare al cinema i punti in comuneche gli “esclusi” possono avere con le altre categorie sociali.I miei sono tutti film sullo sguardo, l’oppressivo sguardo de-gli altri, che determina quel che siamo e i limiti dei nostri di-ritti. Ha il potere di condizionare la vita: di chi è guardato,ma anche di chi guarda. C’è lo sguardo che imprigiona, cheparalizza o che ama. E lo sguardo collettivo, rivolto in una stessadirezione. Il mio sguardo è vicino a quello di Charlie Hebdo, cherovescia i cliché: nel suo caso prendendosene gioco, nel mio cer-cando di ristabilire la verità, i rapporti di forza, gli equilibri. Nonc’è niente di più provocatorio del rifiuto del conformismo, che èsempre a un passo da fanatismi e integralismi. Nulla di più scan-daloso della verità.

(Testo raccolto e tradotto da Mario Serenellini)

L RISCHIO, ADESSO, È CHE SI ACUISCA IL RAZZISMO, che persino la Francia rimpicciolisca il suosguardo. Anche in questo Paese tollerante il razzismo è brace sopita, fa parte del quoti-diano: oggi più di ieri si tende a amalgamare Islam e banlieue, rap e eversione. Non a ca-so, settimane fa Qu’Allah bénisse la France ha fatto piovere critiche su Abd Al Malik peril titolo del film, cosa che non era successa dieci anni fa all’uscita del suo libro. Eppure ilfilm ristabilisce la verità sull’Islam, facendo piazza pulita dei pregiudizi correnti: un’au-tentica dichiarazione d’amore alla Francia, patria della tolleranza che ci permette di vi-vere tutti insieme, non importa se ebrei, musulmani, cristiani, buddisti, atei. Come atto-re, negli anni Ottanta, sono stato vittima d’una forma di razzismo. L’arabo di turno, al ci-nema, era sempre un piccolo delinquente. Per questo nel mio cinema ho voluto mescola-re, con continui riferimenti, letterature diverse e lontane. In Tutta colpa di Voltaire, coa-bitano Ronsard e poeti arabi; in La schivata, Marivaux e autori persiani. I miei personag-

gi condividono tutti un sentimento di solitudine: cercano calore umano e, insieme, un posto nelmondo. In Cous cous il battello-ristorante è la metafora d’una società occidentale, dove ogni giorno,ogni ora, si millimetra un’ulteriore integrazione da una parte e unamaggiore apertura dall’altra. Il battello dondola, è sempre in equi-librio instabile, come ogni società, francese, britannica o ameri-cana, dove ognuno conquista o arricchisce il suo spazio anche gra-zie all’altro. Alla cerimonia di premiazione de La vita di Adele, a

la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 35

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FABIO GAMBARO

I SEMBRA DI ESSERE TORNATO A KABUL. Tanta violenza, tanto or-rore, tante armi. E soprattutto uomini mossi dall’odio che,in nome della religione, seminano il terrore» riflette a vocealta Atiq Rahimi, lo scrittore e regista afgano residente damolti anni a Parigi, autore di romanzi bellissimi come Terrae cenere e Pietra di pazienza. «Sono molto inquieto, perchéqueste tragedie favoriscono un clima di sospetto nei con-fronti di tutti i musulmani. Il dubbio e la paura s’insinuanopersino nelle persone più aperte. Tutto ciò a causa di crimi-nali per i quali l’Islam non è altro che un pretesto. Quelli cheattaccano così violentemente la nostra società sono spessogiovani delinquenti, emarginati senza punti di riferimento

che si sono radicalizzati a contatto con l’integralismo islamico. I fondamentalismi sono riusciti a mani-polarli, approfittando della loro solitudine e della loro ignoranza. La jihad e il richiamo alla religione di-

ventano un modo per giustificare l’odio e dare un senso alla lorovita: da criminali quali erano finiscono per sentirsi eroi. Ma qui

la fede non c’entra nulla». Cosa si può fare allora secondo lei per riuscire a evitare

queste derive?

«Occorre difendere ovunque la libertà e i diritti universalidell’uomo, contrapponendoli all’oscurantismo del fonda-mentalismo religioso. È insensato pensare che siano valorisolo dell’Occidente, tutta l’umanità si è battuta per conqui-starli. E l’Occidente deve smetterla di considerarli esclusi-

vamente suoi, perché così il resto del pianeta finisce persentirsi in una posizione d’inferiorità. L’Islam oggi èmolto più arretrato che nel passato».

A cosa è dovuta tale involuzione?

«A partire dal XVIII secolo il mondo islamico si è ri-piegato su se stesso, perdendo il contatto con la mo-dernità. Si è arroccato in difesa, sentendosi umiliato ed

emarginato per non aver saputo seguire l’evoluzione dellaStoria. Per giustificare tale condizione, si è trincerato dietrola religione, di cui ha abbracciato la versione più intransi-gente e tradizionalista. Il rifiuto dei valori universali vieneda qui. Purtroppo, fin quando il mondo musulmano non avràaccettato i diritti dell’uomo, fin quando non avrà fatto sua laconsapevolezza delle libertà individuali, un Islam tolleran-

te e aperto non sarà possibile».

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Il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche e lo scrittore afgano Atiq Rahimi:“Però, per favore, smettetela di considerarvi i soli paladini della democrazia”

I vostrivalorisono

i nostri

ABDELLATIF KECHICHE

ILLUSTRAZIONE DI CARLO STANGA

«I M

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 36LA DOMENICA

RRIVEDERCI ALLA PROSSIMA STRAGE. Arrivederci a quando il sangue farà es-sere tutti facilmente solidali. Tutta quest’attenzione, tutta la vicinan-za si stempererà, si annacquerà e ci ritroveremo alla prossima stragetutti abbracciati e convinti che la libertà d’espressione va difesa comeorigine d’ogni altro nostro diritto. Ma sino ad ora dove sono stati tutti?Mi ha impressionato la frase profetica che aveva pronunciato il diret-tore di Charlie: «Non ho paura delle rappresaglie. Non ho figli, non houna moglie, non ho un’auto, non ho debiti. Forse potrà suonare un po’pomposo, ma preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio». Sem-bra la dichiarazione di un monaco guerriero, di un volontario, di chi sache ogni propria scelta può ricadere su chi gli sta intorno. Charb,Stéphane Charbonnier, disegnava vignette, era direttore di una rivi-

sta d’essai di satira. Eppure le sue parole sembrano quelle di un soldato che va a combattere, di un me-dico che parte in missione sanitaria per luoghi contagiosi.

Il ricatto e la paura sono gli strumenti con cui si sta distruggendo la libertà d’espressione. E la si stadistruggendo, si badi. Non credo alle posizioni romantiche di chi commenta: «Adesso che il loro mes-saggio è arrivato dappertutto, quei giornalisti hanno vinto». No, no, e no. La vita era più preziosa del-l’affermazione del diritto per mezzo di un sacrificio. Eppure si era sottovalutato il rischio.

La scorta a Charbonnier non era una vera scorta, bensì una semplice tutela (un autista e un uomoarmato) e la redazione, quando si spostò, perse il presidio davanti all’ingresso, venendo dotata dellanota Vgr (“vigilanza generica radiocollegata”), ben poco efficace in casi simili: una pattuglia che sal-tuariamente passa e osserva. Lo stesso accadde a Salman Rushdie, al quale ripetevano parole che co-nosco fin troppo bene: «Porta fiori sulla tomba di Khomeini, senza di lui non saresti famoso come sei».

Dinanzi a una situazione di minaccia non c’è quasi mai una vera solidarietà, quanto il sospetto di avertrovato una strada furba per emergere. La libertà d’espressione non è un diritto acquisito da pratica-re solo nei giornali e nelle aule di tribunale, è un fatto, un principio, che trascende tutte le scartoffie le-gali e si incarna come la caratteristica sostanziale che rende, pur con tutte le sue contraddizioni e pro-gressive limitazioni, il mondo occidentale un mondo libero. Il mondo verso cui milioni di esseri umanisi muovono.

Scrivere può essere pericoloso, questo è innegabile, ma quando c’è un ricavo da parte dell’autore,quando viene fuori che i suoi scritti sono al centro di un commercio (libri, giornali, fumetti, film) allo-ra si ritiene misteriosamente che questi sia meno degno di tutele, che la sua sicurezza sia un affare tra-scurabile, che in fondo lo faccia solo per se stesso e che quindi, sì, è come se andasse a cercarsele. An-

ROBERTO SAVIANO ILLUSTRAZIONE DI TULLIO PERICOLI

che Wolinski e i suoi compagni hanno rice-vuto accuse simili.

In realtà, nonostante la Francia abbia ri-sposto assai meglio degli altri governi eu-ropei (in situazioni simili) alle prime mi-nacce e al primo attacco a Charlie Hebdo,dichiarando che se qualcuno si fosse rite-nuto offeso dal loro lavoro poteva ricorrereai tribunali, l’attacco è piovuto proprio ad-dosso ai francesi, ed è arrivato non con unaquerela o una richiesta di risarci-mento danni; è arrivato permezzo dell’unico tribunaleche questo manipolo di esal-tati conosce e frequenta:quello del fucile. A mezzabocca ovunque si ascoltava-no critiche verso quelle vi-gnette, il settimanale eraaccusato di alzare il tiro perriequilibrare i conti in ros-so: un umorismo forte, sen-za mezze misure, perfinoinelegante, fa mag-gior presa, salta subi-to all’occhio. Ma èpur vero che persinola blasfemia diventaun diritto quandovengono poste deter-minate questioni diprincipio, perché riaffer-marlo diventa, appunto,una questione di principioimprescindibile. Va ricor-dato che gli stessi giornaliche trovavano indecorosele bestemmiacce di Charliepubblicavano ogni sorta difoto di gossip e violavanoprivacy senza alcun pudore,cosa che invece la redazionedi Charlie non fece mai.

Nessuno deve mai praticare ilmutismo o l’autocensura per il timore di es-sere ucciso o minacciato o ricattato, o sem-plicemente odiato, questo è lampante. In talsenso, il diritto al travestimento e all’osten-tazione del kitsch quando l’omofobia occu-pa spazi preoccupanti, sembra speculare.L’Europa, oggi, ha dimenticato il diritto al-

la libertà d’e-spressione. Di-menticato non si-gnifica che ha can-cellato il diritto mache l’ha trascurato,l’ha lasciato difendereper inerzia, finché è arri-vato qualcuno che l’haseppellito sotto una monta-gna di proiettili. Al di là delterrorismo islamico, la que-stione si riflette anche nelle vi-cende mafiose: i governi tenten-nano, i tribunali considerano i mec-canismi di minaccia come reati co-rollari, riconoscendoli solo in presen-za di sangue.

Mi chiedo: sapete quanti giornalisti so-no morti l’anno scorso? Sessantasei sonostati uccisi, e centosettantotto arrestati. InTurchia ventitré giornalisti sono in carcereper la sola colpa di scrivere su un quotidianocritico verso il governo. Mi chiedo: com’è sta-to possibile dimenticare immediatamenteche in Messico si è ucciso per un tweet, chein Arabia Saudita si fustiga con mille frusta-te (le prime cinquanta date l’altroieri) RaifBadawi “colpevole” di aver aperto un forumonline di dibattito su Islam e democrazia;che in Italia decine di persone vivono sottoprotezione, che in Danimarca già provaronoad ammazzare il vignettista Kurt Wester-gaard per aver disegnato una caricatura delprofeta Maometto? Abbiamo già scordato ilregista Theo van Gogh assassinato in Olan-da? María del Rosario Fuentes Rubio vieneuccisa in Messico per le sue campagne sutwitter e decine di studenti per aver parte-cipato a una manifestazione. Bastava chequeste cose non fossero avvenute a Parigi oBerlino per ignorarle? Certo, siamo tuttiCharlie Hebdo, ed è una solidarietà emotiva

istintiva, quella pulsione che Kantdescriveva come la capacità

immediata di percepire an-cor prima della ragione ciòche è giusto e ciò che è sba-gliato. Come se fosse iscrit-ta dentro di noi la capacitàdi discernimento. Ma sitratta pur sempre di un’a-desione avvenuta a san-gue versato.

Charlie Hebdo non eraun giornale in grado di ar-

rivare a milioni dipersone, era in crisi,sempre sull’orlodella chiusura. Nonstiamo parlando diun attacco alla Cnnné al più grandegiornale di Francia.

La spiegazione la po-tremmo trovare forse nel-la tattica: facile assaltareun piccolo giornale piutto-sto che una grossa struttu-ra, con un grosso apparatodi vigilanza. Ma il motivonon è solo questo, c’è di più:indipendentemente daquanto si è grandi, quando

un messaggio riesce a pas-sare attraverso la marea di ar-

ticoli e di materiale stampato,questo messaggio fa più male, dà più fa-

stidio, è come un chiodo. Non mette paura ilpiù grande, mette paura chi riesce a innova-re un codice espressivo, a farlo pas-sare, a misurarne la contraddi-zione, a superare l’identica par-titura. Del resto ogni strategia militare di di-

Liberté.

Arrivedercialla

prossimastrage

Charbonnier disegnava vignettema le sue parole profetiche sembrano

quelle di un soldato che va a combattere ”“

“Sapete quanti giornalisti sono morti ammazzatilo scorso anno? E quanti incarcerati, torturati?”Roberto Saviano sulla libertà d’espressione

A

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 37

fesa identifica i luoghi sensibili del proprioterritorio, che qui, come si è visto, non sonopiù i parlamenti, i ministeri o le caserme.Sparare in una caserma è un atto di guerrache relega il conflitto a una questione tra di-vise e divise. Colpire politici significherebbe“annacquare” il proprio messaggio militare:siccome non esiste più nella politica europeaun personaggio simbolo che sintetizzi la sto-ria e i valori europei, rischierebbe di sem-brare un attacco parziale.

Colpire artisti, invece, colpire intellettua-li, colpire blogger, per il terrorismo islamico,come per quello dei narcos e per i regimi ti-rannici, significa colpire il pensiero. Vuol di-re intimidire chiunque, creare un’identifi-cazione immediata tra l’opinione pubblica ela persona colpita, rendere punibile la rifles-sione e la diffusione dell’idea. Non è un as-salto ai ruoli o alle istituzioni ma all’ultimoterritorio che rende l’occidente ancora unluogo diverso: la libertà d’espressione.

Ma presto tornerà il silenzio, se non cimuoviamo. Chiedo al parlamento euro-peo, chiedo a Matteo Renzi, AngelaMerkel, François Hollande, David Came-ron, e ai capi di Stato, di organizzare a unmese dalla strage un consiglio europeo de-dicato a tutti coloro che pagano e hannopagato sulla propria pelle il prezzo della li-bera espressione, che vivono sotto scorta,che hanno subìto minacce, attentati, ri-catti, violenze di ogni tipo. L’Europa si riu-nisca, e ascolti chi rischia in nome della cul-tura, dell’arte, dell’informazione, com-prenda che in queste libertà risiedono isuoi — i nostri — pilastri. Se la mobilita-zione di uomini e coscienze che sta scuo-tendo oggi il mondo occidentale dovessespegnersi presto, risolvendosi in qualchegiorno di sdegno e in manciate di minuti disilenzio, allora sì, dobbiamo dire: arrive-derci alla prossima strage.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dinanzi a una minaccia non c’è quasi mai una vera solidarietà, quanto il sospetto

di aver trovato una strada furba per emergere ”“

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 38LA DOMENICA

Liberté.

PARIGI

LE COSE POSSONO CAMBIARE, e molto in fretta. Chi può saperlo? Pas-sato questo istante di dramma e di grazia, la Francia potrebbeben presto ricadere in quella depressione collettiva che la corro-de sempre più nel profondo, da tanto tempo. Potrebbe ricomin-ciare a non credere più in niente e soprattutto a non credere in sestessa, a non credere più tanto nella sinistra quanto nella destra,a non credere più tanto in quell’unità europea che pure era statalei a concepire quanto nella sua economia, che pure è la quinta almondo. Questa Francia che aveva perduto peso venticinque an-ni fa perché la caduta del Muro la relegava al secondo posto, die-tro la Germania riunificata, in un’Europa in cui fino a quel mo-mento era stata leader, questa Francia che non si riconosceva più

perché il tracollo sovietico l’aveva privata all’improvviso di quello status tanto nobile,vantaggioso e singolare di potenza occidentale al di sopra del confronto fra i blocchi, que-sta Francia cupa e perduta potrebbe di nuovo abbandonarsi, a partire da domani, allanostalgia mortifera di una grandeur passata, ma in questi giorni di sfida, di lacrime e disangue, com’è bella, grande e fraterna, dignitosa, fiera e unita!La Francia non si è limitata a far fronte a questa sfida. Ora si supera e si sorpassa con questa

“Eppure in questi giorni di sfida, lacrimee sangue, com’è bella, grande e fraternala mia città”. Il politologo Bernard Guettaracconta una nazione che sta cercandodi rialzarsi finalmente in piedi

BERNARD GUETTA ILLUSTRAZIONE DI EMILIANO PONZI

marcia di protesta che François Hollande eNicolas Sarkozy guideranno oggi pomerig-gio a Parigi. Negli Stati Uniti sarebbe scon-tato: lì sarebbe normale vedere il presidentee i suoi predecessori ricompattati da una tra-gedia nazionale, al di là del loro colore politi-co. In Francia non è così: è una novità, è qual-cosa di mai visto, perché la Rivoluzione fran-cese aveva fatto dei partiti dell’ordine e delmovimento, la sinistra e la destra, due cam-pi avversi che si consideravano l’un l’altro co-me l’anti-Francia.

Un governo di grande coalizione alla te-desca a Parigi sarebbe semplicemente in-concepibile, un alto tradimento per i “popo-li” — così si dice perché ce ne sono effettiva-mente due — della sinistra e della destra, maqui questi due uomini, che si erano scontra-ti nel 2012 e potrebbero benissimo ritrovar-si di fronte fra due anni, oggi saranno in te-sta al corteo, circondati dagli esponenti piùin vista dei maggiori partiti. Questo succedeperché da subito, dopo la strage di merco-ledì, dopo essersi recato negli uffici insan-guinati di Charlie Hebdo, François Hollande

aveva invitato Nicolas Sarkozy all’Eli-seo per concertare le iniziative: ma

quel gesto è la Francia intera chel’ha voluto.

Nell’istante stesso in cui è ar-rivata la notizia — i dodici mortinella redazione di Charlie Hebdo— tutte le barriere politiche sonosparite nel Paese. Lo stesso sbi-gottimento, la stessa rivolta, lastessa solidarietà con quei vi-gnettisti che pure non andavano

a genio a tutti hanno investitoogni ambiente politico esociale. Era la Francia e isuoi due popoli, tutta laFrancia, a essere stata col-pita, e spontaneamente,in tutte le grandi città, an-cora prima che i sindacatidei giornalisti e i partiti

formulassero l’idea, l’evidenzasi è imposta.

Bisognava riunirsi nellegrandi piazze, riunirsi come siriuniscono dei manifestanti,ma anche come si riuniscono leforze di un Paese in lutto, e il luo-go naturale era Parigi, la Placede la République, di quella Re-

pubblica dileggiata. QuellaFrancia che si diceva amorfa e di-

sincantata si è ritrovata lì, una ge-

nerazione mischiata all’altra. C’erano ivecchi, quelli degli anni Sessanta che ave-vano rinunciato da tempo a scendere inpiazza, ma anche i loro figli e nipoti alla lo-ro prima manifestazione, perché nella po-litica non ci avevano mai creduto. Vedeva-no le manifestazioni come qualcosa di noio-so, un rituale di altri tempi, ma erano degliumoristi quelli che erano stati assassinati,e l’umorismo, l’insolenza, la derisione sonoprepotentemente di moda in Francia, dovegli ideali sono diventati così desueti.

A Place de la République, le persone pian-gevano in silenzio, senza una parola. Gli slo-gan erano “Ca-bu! Ca-bu!”: Cabu, il più ama-to dei disegnatori di Charlie Hebdo, un ado-lescente di settantasei anni che sapeva par-lare solo attraverso il suo pennarello, il piùdolce, generoso e timido degli uomini il cuitratto accompagnava la Francia da mezzosecolo. Le bandiere erano disegni di Charlie,branditi come un pugno chiuso, e il leitmo-tiv, mormorato di gruppo in gruppo, era: “Ècome se uno dei miei fratelli, dei miei figli,dei miei genitori fosse stato ucciso”.

Quelle immagini di una forza incredibiletutta la Francia le ha viste su tutte le reti, pri-ma o dopo un discorso televisivo di FrançoisHollande in cui la parola chiave era rassem-blement, unione. Place de la République hariunito la Francia, ha dato il la. È lì che è natoveramente il corteo di oggi pomeriggio, que-sta unione nazionale così poco francese mache non sarà soltanto francese.

Questo pomeriggio, a Parigi (altra novitàassoluta, altra cosa mai vista), l’Europa uni-ta manifesterà al fianco di una Francia riu-nita. L’Unione europea, questa Europa spe-lacchiata, rognosa, disincarnata, oggi tantovilipesa da così tanti europei si incarnerà im-provvisamente nell’espressione comune diun’emozione di tutta l’Europa, di una nazio-ne europea di cui forse un giorno diremo chesi è imposta nelle vie di Parigi, questa dome-nica 11 gennaio 2015.

Di incontri di capi di Stato ce n’è in conti-nuazione. Tra vertici economici e grandicommemorazioni se ne organizzano unadozzina all’anno, ma questo pomeriggiosarà diversissimo. Non è dentro a dei palaz-zi che si ritroveranno i presidenti della Com-missione, del Parlamento e del Consiglio eu-ropeo. Non è sulle spiagge dello sbarco inNormandia o nella Berlino riunificata che igovernanti di Gran Bretagna, Spagna, Ita-lia, Germania, Danimarca, Belgio, Paesi Bas-si e probabilmente altri ancora si uniranno a

Oggiin piazzaa Parigi

rinasceràl’Europa

A Place de la République si piangeva in silenzioQualcuno gridava“Ca-bu, Ca-bu”

Cabu, un adolescente di settantasei anni ”“

ILLUSTRAZIONE DI RICCARDO MANNELLI

ILLUSTRAZIONE DI GABRIELLA GIANDELLI

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la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 39

Possibile che non resti nulla di tutto questo?Sì, certo che è possibile diranno i pessimisti

Ma noi, per un attimo, sogniamo ”“

loro: è in piazza, in una manifestazione dipiazza al fianco del popolo francese.

E come nasce una nazione? Una nazioneprende coscienza di sé quando si vede unitada uno stesso dolore, uno stesso pericolo,una stessa solidarietà di fronte a una minac-cia contro valori comuni che sono, in questocaso, la libertà di stampa, lo Stato di diritto eun medesimo orrore verso il fanatismo, perun’Europa che proprio sul rifiuto del fanati-smo si era unita. L’Unione va male, si sa, magli europei oggi le scopriranno un’anima, l’a-nima di tutti, e questo potrebbe andare oltretante delusioni e diffidenze, tanti disaccordie incomprensioni di quello che ci unisce nel-la diversità.

E allora? Possibile che non resti nulla di unmomento tanto forte? Sì, certo che è possi-bile. È lo scenario più probabile, diranno ipessimisti. Non è affatto escluso in ogni ca-so, ma sogniamo per un attimo, perché nonè neanche scontato che andrà così, e per piùdi una ragione.

Già prima di questo dramma in Francia sistava assistendo a sviluppi sorprendenti.Tutta una parte della destra si rallegra, a vol-te esplicitamente, della svolta imboccata daFrançois Hollande quando, un anno fa, hadato la priorità al ripristino della competiti-vità dell’industria francese. Tutta una partedella sinistra auspica oggi, e non lo nascon-de, che le primarie della destra siano vintedal più aperto dei candidati in lizza, AlainJuppé, per poter votare per lui fin dal primoturno ed erigere in questo modo il più sicurodegli argini contro Marine Le Pen, che in unballottaggio con François Hollande non è af-fatto scontato che perderebbe.

Fra i due popoli di Francia i confini si atte-nuano, già da diversi mesi. Nei due schiera-menti, molti francesi aspirano di fatto aun’intesa fra la sinistra e la destra modera-te, intesa ancora lontana. Non siamo ancoraa questo punto, ma i cortei di oggi pomerig-gio a Parigi, e di ieri in altre grandi città, po-trebbero accelerare questa evoluzione in-frangendo pubblicamente un tabù.

La certezza, parallelamente, è che i fran-cesi questa settimana hanno ritrovato fie-rezza nazionale perché si sono resi conto chela Francia non è stata presa di mira per caso,ma perché è in prima fila nella lotta contro iljihadismo, in Africa come in Medio Oriente.La Francia si è riscoperta protagonista dellascena internazionale nel momento stesso incui le sue prime vere riforme e la caduta si-multanea del petrolio e dell’euro le ridannomotivi per sperare di rialzarsi. Non vienedetto quasi mai in modo esplicito, ma è nel-l’aria, e questo Paese alla fine si è sentito nonsoltanto ancora amato dal mondo, ma am-mirato e applaudito per quella tradizionevolterriana e iconoclasta che lo caratterizzae che Charlie Hebdo manteneva alta con tan-to talento.

Non è poco.È tanto, e ancora prima di venire a mani-

festare a Parigi l’Unione europea aveva av-viato quella svolta che i suoi popoli, Franciain testa, attendevano da lei da fin troppotempo. L’Unione parla un po’ meno di rigoredi bilancio e molto più di investimenti e ri-lancio della crescita. È così perfino a Berlinoe il paradosso ha voluto che sia stata la bar-barie jihadista a mettere la signora Merkelin prima fila in una manifestazione francese.Nulla è sicuro, ma… incrociamo le dita.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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Page 14: la domenica - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2015/11012015.pdf · due caratteristiche che lo distinguono dagli altri animali». E la iena ridens? «Emette

la Repubblica

DOMENICA 11 GENNAIO 2015 40LA DOMENICA

Sullo scrittoio, nello studio di casa pieno di finestre e di luce, tra mi-

gliaia di carte, il libro che ancora non aveva finito di leggere: Houel-

lebecq. Ora che quella stanza è rimasta vuota per sempre, la moglie

Maryse e le sorelle Ella e Louison raccontano ottant’anni di vita del

disegnatore celebre in tutto il mondo per le sue parigine felici e libe-

rate.“Anche nostro padre venne ammazzato, siamo cresciuti prati-

camente soli. E però Georges, fin

da bambino, è sempre stato uno

che ti faceva letteralmente pian-

gere dalle risate. Ed è anche per

questo che proprio ora non c’è

nulla da piangere”

Le donnedi Wolinski

DARIA GALATERIA

PARIGI

ARYSE, LA DONNA DI BELLEZZA RADIOSA E PICCANTE che è stato il modellodelle fantasie di Georges, le parigine libere da pregiudizi e da cu-lottes (“Bisogna nazionalizzare la felicità”, è una sua didascalia),sua moglie negli ultimi quarant’anni, si aggira oggi nel suo studio,e scopre un disegno che non aveva ancora visto, tra le migliaia di

carte di Wolinski, gli ottanta libri, e i libri degli amici artisti: «Ma che strano, chestrano...». C’è una coppia distesa, sono nudi. Lei abbraccia lui, di spalle; e l’uomo,che vediamo di fronte, con una mano tiene il braccio di Dio.

Sul tavolo di Georges Wolinski, il più anziano e il più celebre tra i vignettistiuccisi mercoledì nella redazione di Charlie Hebdo, c’è l’articolo di Le Pointper ilsuo ultimo libro, quello in cui le donne si sposano tra loro: è intitolato Il più fallo-crate dei femministi pubblica il suo primo romanzo grafico. C’è lo scrittoio mo-bile, di un legno dorato dal tempo, che viene da Washington: «Georges pensavache fossero i tavoli più funzionali». C’è il libro che Georges stava leggendo: Houel-lebecq. Ma non hanno fatto in tempo a commentarlo. Lo studio è pieno di fine-stre e di luce, come il salotto dell’appartamento elegantissimo in cui hanno vis-suto in affitto, godendo del lavoro e di tutti i piaceri della civiltà francese. Par-liamo dell’Italia, dove andavano spesso; Maryse ricorda il pomeriggio in cui a Fi-renze si sono trovati soli davanti alla Venere di Botticelli: «Georges piangeva».Maryse ha tutti i talenti: autrice di saggi, romanzi, canzoni, per la tv e per il tea-tro; gli ha dato una figlia luminosa, Elsa, e soprattuttoha creato per lui un matrimonio d’amore vivo, celebra-to nel 2002 con Chambres à part, camere separate —uno dei loro segreti.

Con Ella, la sorella, si passa ai ricordi d’infanzia. «SÌ

eravamo ebrei ma non eravamo praticanti», racconta .

«A Tunisi erano i miei nonni che tenevano gli ogget-ti di culto della sinagoga; per le cerimonie, venivanoa cercarli da noi. La sinagoga portava il nome di no-stro nonno, ed è stata bruciata durante la guerra. Mamio nonno prendeva il caffè tutti i giorni col grandeimam della Tunisia, Sid’Hamoud credo si chiamasse;erano molto amici. E l’imam gli diceva: “Sai, David, seun giorno c’è la guerra santa ti ucciderò”. Hamoudera sempre seduto vicino alla cassa della pasticceriadi mio nonno e io andavo a sedermi sulle sue ginoc-

chia; era veramente un brav’uomo».Parla dei nonni, la sorella di Wolinski, perché prestissimo i fratellini (nati a Tu-

nisi, lei nel 1930, Georgie, come l’hanno sempre chiamato, nel 1934) si erano ri-trovati senza i genitori. Il padre era un ebreo polacco in fuga dalla Polonia; erasbarcato in Tunisia travestito da donna araba. «Fu nascosto da amici; poi co-nobbe nostra madre, e il nonno, che era un uomo straordinario, lo accolse e loaiutò a mettere su una fabbrica di ferro battuto; cominciava a essere famoso inTunisia quando venne assassinato. La fabbrica aveva dei problemi e nostro pa-dre era stato costretto a licenziare un giovane italiano; si chiamava Matta, ave-va diciannove anni. Hanno detto che i comunisti gli avevano montato la testa,non so; era venuto a implorare nostro padre che lo riprendesse, ma non era pos-sibile. Allora tirò fuori un’arma e gli sparò. Georgie aveva due anni, io sei e mez-zo; fummo affidati ai nonni».

La madre di Wolinski era di origini italiane, livornesi; Georges in casa parlavaitaliano. Alla morte del marito, questa donna, Allegrina, prese da lui la tuberco-losi e si ammalò in modo gravissimo; partì per l’Algeria e poi per la Francia percurarsi. «La mancanza dei genitori, terribile, c’era. Tra di noi il legame era for-tissimo; eravamo sempre insieme. Con la mamma avevamo contatti solo tra-mite i telegrammi della Croce Rossa. Ed è così che, nel ‘43, sapemmo che ave-vamo una sorellina. Nel ‘45 rivedemmo nostra madre, che sbarcò con la primanave in arrivo dalla Francia; noi eravamo sulla banchina con i nonni. Aveva unfagottino, era la piccola Louison».

Ora è lei, Louison, a prendere la parola. «C’era uno zio, Victor Bembaron, fra-tello maggiore della mamma, che era il rappresentante del Partito comunistaitaliano a Tunisi; era stato in un campo di concentramento con Bourguiba. Fu-rono liberati dagli americani e mia madre litigò con il fratello perché pensavache ci fossero i comunisti dietro l’assassinio del marito. Lo zio è stato molto im-portante per Georgie, una figura paterna. Del resto c’è tutta una fila di comuni-sti nella sua formazione».

Fine della Tunisia: Georges andava male a scuola, e la mamma, rientrando inFrancia, lo prese con sé. Andarono a Briançon, a vivere in un sanatorio tra le mon-tagne — il nuovo marito della mamma era infermiere. Per Georges fu la scoper-ta dell’inverno: in Tunisia solo mare e deserto; «Non pensavamo che potesseroesserci tanti inverni diversi», ricorda Louison. «Con Georgie leggevamo tantis-simo e disegnavamo enormemente, con le matite. Georgie faceva morire dal ri-dere, le sue battute erano irresistibili. Leggemmo tutto Jules Verne, insieme; luiera più piccolo e leggeva più lentamente: quando giravo la pagina si arrabbiavaperché non aveva finito».

Nel ‘53 la famiglia si trasferisce a Parigi, in banlieue, in cinque in due stanze,Georgie in soffitta. «Ci si lavava in cucina e il bagno era in cortile; si mangiava nelvicino negozio di camicie e cravatte perché in casa non c’era spazio. Era la mise-ria». Ma a scuola — oggi il liceo Marcellin Berthelot è diventato un istituto d’éli-te — c’erano docenti d’eccezione, la storica Madeleine Rebérioux, del Partito co-munista, e in filosofia Roger Garaudy, oggi convertito all’Islam. Lì Georges in-contra la futura moglie Jacqueline, bella come una vestale greca, di famigliaagiata: abbandona la scuola e il lavoro nella maglieria di lusso dai suoceri, lei simette a fare la maestra per mantenere la famiglia; ebbero due figlie, Frédéricae Natasha.

È stata Natasha, in un bel romanzo del 2011, a resuscitare il dramma di Geor-ges e Jacqueline. Jacqueline s’innamorò di Jacques Serguine, gradevole scrit-tore di fantasie erotiche. «Doveva sentirsi molto colpevole, in quegli anni lonta-ni», immagina Louison, che oggi fa la psicanalista. «Pensava, credo, di separar-si; l’estate partirono come al solito per Juan les Pins dove i suoceri avevano pureun negozio: guidando, per evitare un cane, Jacqueline ebbe un incidente. Morì.Georgie dormiva sul sedile di dietro, e si ruppe solo un braccio».

Era il 1966; questo secondo lutto, dopo quello del pa-dre, fu per Georges difficile da superare. In tutto il suolavoro, il delizioso irriverente spirito di rivolta, nel fer-vore politico inesausto, ma sciolto nel riso — perfino nelgusto per le donne, che nel periodo di vedovanza assu-me forme «maniacali», dice la sorella — c’è l’ombra diqueste assenze. “Non ho molte soluzioni di fronte al pro-blema della morte, e soprattutto non Dio. Un umoristanon può credere nella religione”, ha scritto Wolinski.“Perché un umorista è un uomo solo, e ha paura. Per lui,la paura della morte in particolare, nulla può guarirla.L’umorista lotta contro la fabbricazione delle leggen-de che cercano di spiegarla”.

Ricordo Georges che prendeva appunti; tutto quelloche di ridicolo offre lo spettacolo degli uomini suscita-va il suo tratto divinatorio; era stato Cavanna — l’au-tore di Ritals, il romanzo forte e comico dell’immigra-zione italiana —, agli inizi di Hara-Kiria correggerlo daitratteggi troppo folti e particolareggiati: lo aveva visto,a una riunione di redazione, tracciare schizzi sommarie corrosivi, e glieli aveva additati. Era lì il suo genio. E ilresto è storia. Georges era un amico dolcissimo, a par-larne mi manca la voce. E Maryse mi dice, con la sua gra-zia militante: «Non bisogna piangere».

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RICORDO UN LONTANO POMERIGGIO A FIRENZE, CI RITROVAMMO IO E LUI,DAVANTI ALLA VENERE DI BOTTICELLI. BEH, LUI SI COMMOSSE. DICEVA CHE L’UMORISTA È UN UOMO SOLO

IL NOSTRO LEGAMEERA FORTISSIMO.FU LO ZIO VICTOR

A FARCI DA PADRE,ERA UN DIRIGENTE

DEL PARTITOCOMUNISTA

ITALIANO. C’È TUTTA

UNA SCHIERADI COMUNISTI

NELLA FORMAZIONEDI GEORGIE...

Liberté.

M

CI TRASFERIMMO A PARIGI NEL 1953, VIVEVAMO IN BANLIEUE LAVANDOCI IN CUCINA, IL BAGNOERA IN CORTILE E LUI DORMIVA IN SOFFITTAMANGIAVAMO NEL NEGOZIO ACCANTO PERCHÉ IN CASA NON C’ERA POSTO. ERA LA MISERIA

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DALLA FIGLIA ELSA