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La fauna: gli invertebrati La ventosità, la salsedine e le alte tem- perature estive che caratterizzano le coste rocciose rendono difficile la sopravvivenza di piccoli animali inca- paci di termoregolarsi in maniera effi- ciente e privi di un’adeguata protezio- ne contro la perdita di acqua dai tes- suti. Per questo motivo, non sono molti gli invertebrati terrestri che rie- scono ad insediarsi stabilmente in questi ambienti dove il suolo è povero o assente. I gruppi tassonomici più rappresentati sono i molluschi gaste- ropodi e gli artropodi associati alle fitocenosi di scogliera. Molluschi. Generalmente, i molluschi gasteropodi trascorrono il giorno nelle fessure o nelle cavità delle rocce, e si spostano nelle ore notturne per nutrirsi di piante. Ovviamente, sono più frequenti nei punti in cui la vegetazione arbu- stiva è più densa. Alcune specie si trovano in gran numero sotto resti di alghe e piante marine portate sulle rocce dalle tempeste. Tra le specie marine, visi- bili sulla scogliera nella zona degli spruzzi, figurano quelle appartenenti ai generi Patella e Littorina. Invece, tra le specie caratteristiche di acqua salma- stra, troviamo Truncatella subcylindrica, Paludinella littorina e Caracollina len- ticula. Di queste ultime, la prima è largamente diffusa lungo le coste mediter- ranee ed atlantiche dell’Europa e dell’Africa; la seconda è diffusa lungo le coste del Mediterraneo ed in Macaronesia; la terza è ristretta alle coste del Mediterrano occidentale. Tra i molluschi terrestri frequentatori di falesie, i clausilidi dei generi Lampedu- sa e Muticaria, endemici di Sicilia e/o delle isole circumsiciliane, sono piccole chiocciole dal guscio allungato e fusiforme, frequenti nelle fessure tra le rocce calcaree. Altri clausilidi presenti negli ambienti rocciosi sono le specie del 71 La fauna terrestre GIUSEPPE CARPANETO Falco pellegrino (Falco peregrinus) sulle falesie della costiera triestina (Friuli Venezia Giulia) Pozze e vaschette lungo la costa della Sicilia

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■ La fauna: gli invertebrati

La ventosità, la salsedine e le alte tem-perature estive che caratterizzano lecoste rocciose rendono difficile lasopravvivenza di piccoli animali inca-paci di termoregolarsi in maniera effi-ciente e privi di un’adeguata protezio-ne contro la perdita di acqua dai tes-suti. Per questo motivo, non sonomolti gli invertebrati terrestri che rie-scono ad insediarsi stabilmente inquesti ambienti dove il suolo è poveroo assente. I gruppi tassonomici piùrappresentati sono i molluschi gaste-ropodi e gli artropodi associati allefitocenosi di scogliera.

Molluschi. Generalmente, i molluschi gasteropodi trascorrono il giorno nellefessure o nelle cavità delle rocce, e si spostano nelle ore notturne per nutrirsidi piante. Ovviamente, sono più frequenti nei punti in cui la vegetazione arbu-stiva è più densa. Alcune specie si trovano in gran numero sotto resti di alghee piante marine portate sulle rocce dalle tempeste. Tra le specie marine, visi-bili sulla scogliera nella zona degli spruzzi, figurano quelle appartenenti aigeneri Patella e Littorina. Invece, tra le specie caratteristiche di acqua salma-stra, troviamo Truncatella subcylindrica, Paludinella littorina e Caracollina len-ticula. Di queste ultime, la prima è largamente diffusa lungo le coste mediter-ranee ed atlantiche dell’Europa e dell’Africa; la seconda è diffusa lungo lecoste del Mediterraneo ed in Macaronesia; la terza è ristretta alle coste delMediterrano occidentale.Tra i molluschi terrestri frequentatori di falesie, i clausilidi dei generi Lampedu-sa e Muticaria, endemici di Sicilia e/o delle isole circumsiciliane, sono piccolechiocciole dal guscio allungato e fusiforme, frequenti nelle fessure tra le roccecalcaree. Altri clausilidi presenti negli ambienti rocciosi sono le specie del

71La fauna terrestreGIUSEPPE CARPANETO

Falco pellegrino (Falco peregrinus) sulle falesie della costiera triestina (Friuli Venezia Giulia)

Pozze e vaschette lungo la costa della Sicilia

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Assai diffuso è Metaphalangium pro-pinquum, specie mediterranea chepredilige ambienti caldi e aridi, presen-te in tutte le isole italiane. Sulle sco-gliere di natura sedimentaria troviamoanche acari appartenenti a diversefamiglie, che si disperdono sul sub-strato alla ricerca di licheni, di uova diinsetti o di animali ospiti. Alcune spe-cie vivono a spese di lucertole, for-mando chiazze ben visibili nella pelledi queste. Quelli appartenenti allafamiglia alacaridi sono acquatici evivono sia nelle pozze di scogliera chenelle acque costiere. Nella fauna italiana, essi comprendono una cinquantinadi specie appartenenti a 17 generi. Anche alcuni pseudoscorpioni vivono sullecoste rocciose: alcuni di essi, come Neobisium maritimum e quelli del genereRoncus, vivono addirittura tra gli scogli presso la linea di riva.

Crostacei. Gli isopodi, meglio conosciuti come “porcellini di terra”, sono gliunici crostacei adattati all’ambiente terrestre e possono rinvenirsi nelle fessurerocciose dove trovano rifugio nelle ore diurne. Qui troviamo diverse specie diarmadillidiidi, resistenti alle condizioni xerotermiche, grazie anche al loro tegu-mento sclerificato che riduce la perdita di acqua dai tessuti. Alcune di questespecie sono endemiti insulari, come per esempio Armadillidium pseudassimiledi Capraia, A. oglasae di Montecristo, e A. tyrrhenicum del Giglio. Ma la speciepiù caratteristica della scogliera è senza dubbio Ligia italica, che si osservaanche di giorno correre sulle rocce, infilarsi nelle fessure o addirittura rifugiarsinell’acqua. Le femmine, durante il periodo riproduttivo, si immergono nell’ac-qua marina dove avviene la deposizione e la schiusa delle uova.

Chilopodi e diplopodi. Non esistono specie di chilopodi (centogambe) odiplopodi (millepiedi) esclusivi delle falesie costiere. In questo tipo di ambien-te le due classi sono rappresentate da specie legate genericamente agli habi-tat rupestri. Per esempio, un chilopode che si può comunemente trovare inquesto tipo di ambiente è Scutigera coleoptrata, frequente anche nelle abita-zioni umane. Predatore assai veloce, è caratterizzato da un corpo piuttostobreve e da zampe assai lunghe ma ridotte come numero, rispetto ad altri rap-presentanti di questa classe. Fra i diplopodi incontriamo diverse specie dijulomorfi, i classici millepiedi dal corpo cilindrico. Si tratta di animali detritivo-ri, lenti, per lo più notturni, che trascorrono le ore di luce nelle fessure tra le

genere Siciliaria, diffuse nei Balcani,nella Penisola Italiana e in Sicilia. Piùdiffuse sono le specie del generePapillifera, appartenenti alla stessafamiglia, e legate allo stesso tipo dihabitat. Uno degli elementi più caratte-ristici del popolamento rupicolo èPapillifera solida, specie mediterraneaoccidentale; un'altra specie importan-te ma molto meno diffusa è Marmora-na saxetana, endemita tirrenico.Inoltre, sulle coste rocciose troviamoanche molte specie di gasteropodi ter-restri non caratteristici di questi

ambienti ma eurieci, cioè ampiamente diffusi in molti tipi di habitat, o generi-camente associati a quelli rupestri. Nell'insieme, tutte queste specie formanopopolazioni abbondanti che rappresentano un'importante risorsa trofica permolti animali, come gli artropodi predatori, le lucertole e gli uccelli migratoriche si fermano lungo le coste.

Aracnidi. Fra gli artropodi troviamo diverse specie di aracnidi, soprattuttoragni, opilioni e acari. Alcune specie di ragni tendono le loro ragnatele sullepiante o trasversalmente alle cavità della roccia nella speranza di catturarepiccoli insetti. I più diffusi costruttori di ragnatele negli ambienti costieri appar-tengono alle famiglie dictinidi, araneidi e linifiidi. Solo gli araneidi tessonoampie tele regolari negli spazi vuoti tra la vegetazione; invece, i dictinidi (gene-ri Argenna e Lathys) e i linifiidi costruiscono tele irregolari all'apice delle piantesecche o su cavità del substrato. Alcuni linifiidi di piccola taglia si diffondononell'ambiente grazie al vento che li trasporta a bordo dei loro minuscoli “tappe-tini volanti”; in questo modo riescono a colonizzare anche le isole.Diverse specie di salticidi (per esempio quelle appartenenti ai generi Marpissa,Euophrys e Sitticus) si muovono agilmente sul substrato ricercando attivamen-te le loro prede su cui si avventano con balzi fulminei. Altre specie di ragni,come i tomisidi, si trattengono sui fiori delle piante rupicole, in attesa che qual-che insetto volatore li scambi per dei petali. Molte specie di ragni, come quelleappartenenti alle famiglie gnafosidi, clubionidi e liocranidi, sono notturne e tra-scorrono il giorno in bozzoli di tela, per poi diventare attive dopo il tramonto. Èil caso del piccolissimo gnafoside Haplodrassus minor, del clubionide Clubionafrisia e del liocranide Agroeca lusatica, caratteristici di ambienti costieri. Con i ragni, vengono spesso confusi gli opilioni, ordine di aracnidi caratteriz-zato da un corpo compatto, senza distinzione tra parte anteriore e posteriore.

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Littorina (Melaraphe) neritoides Ligia italica

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Un microhabitat assai interessante èdato dalle pozze di scogliera, piccolibacini d’acqua marina o piovana che siformano nelle cavità delle rocce. Le pri-me si riempiono durante le tempestemarine mentre le seconde raccolgonoacqua in seguito alle piogge primaverilied autunnali del clima mediterraneo. Lavicinanza al mare, il regime pluviometri-co, la stagionalità, la profondità degliavvallamenti e l’estensione di questi,sono fattori che determinano un mosaicocomplesso di situazioni, con tutte le pos-sibili variazioni di salinità. Durante i mesiestivi, la forte insolazione aumenta l’eva-porazione dell’acqua marina nelle pozzee quindi la concentrazione dei sali, fino aprovocarne la precipitazione; al contra-rio, le piogge tendono a diminuire la sali-nità, formando habitat salmastri o dolci.In queste pozze troviamo biocenosiplanctoniche d’acqua marina o salma-stra, composte da protisti flagellati, roti-feri, piccoli crostacei (isopodi, anfipodi,copepodi, ecc.) e insetti. Molto caratteri-stici sono i coleotteri idrenidi del genereOchthebius. Gli adulti di questi piccolissi-mi insetti (Ochthebius quadricollis e O.subinteger) misurano circa 2 mm, edhanno una colorazione nerastra conriflessi bronzati. Sono fitofagi e detritivori:si nutrono di alghe e di detriti vegetalipresenti all’interno delle pozze. Gli adulticamminano lentamente sul fondo e sullepareti delle pozze ma debbono recarsi insuperficie per respirare. La provvista d’a-ria viene fatta in un modo assai singolare(vedi disegno): l’insetto si distacca dalfondo, si capovolge e sale verticalmentea galla dove rimane aderente con le zam-pe alla faccia inferiore della superficiedell’acqua. In questo modo, pone il pro-prio ventre a contatto con l’aria atmosfe-rica che viene fissata dai numerosissimi ecorti peli che lo rivestono, formando unapellicola argentea. Una volta fatta laprovvista l’insetto cammina, sempre conil ventre all’insù, lungo la superficie del-

l’acqua e raggiunge la parete della poz-za, dove inizia la discesa. Le larve, inve-ce, vivono sul fondo e si nutrono di detri-ti organici. Quando, nei mesi estivi, l’eva-porazione è molto forte e la concentra-zione salina delle pozze diventa troppoelevata, questi coleotteri volano allaricerca di bacini più adatti alle loro esi-genze. Anche alcune specie di libellule possonofrequentare queste pozze, in particolarequelle d’acqua dolce. Dalle uova depostein acqua nascono le voraci larve, prontea nutrirsi di qualsiasi piccolo animale checerchi di colonizzare questi microhabitat. Mentre le larve delle libellule si muovonolentamente sul fondo e cacciano le loroprede con la tecnica dell’agguato, gli ete-rotteri acquatici, in particolare i gerridi, icorixidi e i notonettidi, si muovono velo-cemente e inseguono le loro prede. I ger-ridi corrono sulla superficie dell’acqua,mentre i corixidi e i notonettidi nuotanoagilmente. Tutti questi eterotteri cattura-no piccoli invertebrati e si nutrono deiloro liquidi interni grazie ad un potenterostro costituito dall’apparato boccale ditipo succhiatore pungente. In alcunespecie di gerridi, la colonizzazione avvie-ne grazie a individui macrotteri (con ali

Fauna delle pozze di scogliera

sviluppate) e questi si riproducono dandoorigine a popolazioni di individui brachit-teri (con ali ridotte). Altri predatori dellepozze sono i coleotteri ditiscidi, soprat-tutto quelli dei generi Agabus, Coelam-bus e Hydroporus. Sulla superficie del-l’acqua nuotano i coleotteri girinidi, chedescrivono ampi cerchi in superficie.I ditteri figurano soprattutto con i chiro-nomidi, i caoboridi e i culicidi. A quest’ul-tima famiglia appartengono le zanzare, dicui esistono specie adattate a svilupparsiin acque con vario grado di salinità,anche se la maggior parte di esse preferi-sce le pozze d’acqua dolce che si forma-no con le piogge. Tali microambienti,essendo isolati tra le rocce e quindi prividi pesci, sono ideali per lo sviluppo dellezanzare che possono riprodursi in questipiccoli bacini senza il controllo di preda-tori. Le uniche zanzare specializzate avivere nelle pozze di scogliera con fortesalinità, dove l’acqua può raggiungeretemperature elevate, sono Aedes mariaee A. zammitii. Queste due specie, soprat-tutto la prima, sono fortemente aggressi-ve verso l’uomo, penetrano nelle abita-zioni e pungono sia di notte che di gior-no, rappresentando un problema per ilturismo balneare. Altre specie di zanzare

possono svilupparsi in acque salmastre odebolmente saline (Culex modestus,Culiseta litorea, Anopheles sacharovi,Aedes detritus, ecc.) ma non sono tipichedelle pozze di scogliera.Solo in particolari situazioni, in cui le rac-colte d’acqua dolce piovana sono parti-colarmente grandi e magari parzialmenteombreggiate da rocce sporgenti, alcunespecie di anfibi (rospo smeraldino, raga-nelle e rane verdi) riescono a trovare lecondizioni idonee per la loro esistenza,soprattutto per quanto riguarda la tem-peratura dell’acqua che non deve essereeccessiva e l’esposizione agli uccelli pre-datori, generalmente elevata a causa del-la scarsa vegetazione.

Giuseppe Carpaneto

Patella ferruginea

aria

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Il ruolo dei predatori è svolto daicoleotteri carabidi, tra cui figura Ocy-dromus (Omoperyphus) steinbuehleri,specie caratteristica della battigia roc-ciosa e delle pozze di scogliera. Hauna colorazione blu metallica e si trovalungo le coste del Mediterraneo, anchese localizzata e non comune. In Italia,questa specie è stata raccolta inpoche stazioni isolate, sia lungo lacosta tirrenica sia lungo quella adriati-ca. Un altro carabide alobio, legatoquindi alla linea costiera, è Lymnaeumnigropiceum, diffuso lungo le costeeuropee dell'Atlantico e del Mediterra-neo fino al Mar Nero. Si trova sotto lepietre e nelle fessure alla base dellefalesie, nella zona intertidale. In Italia èstato raccolto soprattutto in Sardegna,in alcune isole tirreniche e nell'Adriati-co settentrionale. Ancora più localizza-to è Lymnaeum abeillei, rinvenuto inpoche stazioni costiere della Franciameridionale, Corsica, Liguria, Lazio eAbruzzo. Tuttavia, la grande maggioranza degliinsetti che vivono lungo le coste roc-ciose è associata alle comunità vege-tali, a partire dal critmo-limonieto dellescogliere alla macchia mediterraneasempre più densa che si sviluppa ver-so l’interno. Fra le specie fitofaghe piùlegate alle coste rocciose vere e pro-prie, figura il coleottero cerambicide Parmena pubescens, lungo circa 1 cm edi colore bruno, che vive a spese dell’ombrellifera Crithmum maritimum, spe-cie guida del critmo-limonieto stesso. Poche specie di insetti fitofagi sonoveramente esclusive delle coste rocciose. La loro distribuzione ecologica inte-ressa anche gli ambienti più interni, come il mosaico di macchia mediterraneasempreverde, bosco caducifoglio e pascoli che accompagnano la fasciacostiera. Parallelamente ai fitofagi, possiamo trovare insetti predatori più omeno specializzati oppure eurieci, ovvero indifferenti alla tipologia ambientale.

rocce. Invece, sulle scogliere in riva al mare, dove si risente l’influenza deglispruzzi e delle maree, vivono alcune specie assai caratteristiche. Il genereThalassisobates, comprende diplopodi di piccola taglia, specializzati a viverein questi ambienti, come T. adriaticus, che si trova generalmente a pochissimimetri di distanza dal mare. Fra i chilopodi troviamo specie che vivono sotto idetriti di alghe e poseidonie, indipendentemente dalla natura della riva:Hydroschendyla submarina, Geophilus poseidonis e G. fucorum si trovano siasulle coste sabbiose che su quelle rocciose.

Insetti. Pochissime sono le specie di insetti che vivono nella parte più bassa evicina al mare, cioè lungo la scogliera. Oltre a diverse specie di collemboli del-la zona intertidale, spesso associate alle pozze di scogliera, uno degli elemen-ti più esclusivi di questo ambiente è il tisanuro Petrobius maritimus che, comedice il nome, vive sulle rocce bagnate dalle onde. Questo delicatissimo esapo-de si può osservare, anche di giorno, correre a scatti sugli scogli e nasconder-si nelle fessure. Inoltre, nei punti in cui ciottoli e sabbia grossolana formanopiccoli greti tra gli scogli, si può osservare l’ortottero grillide Pseudomogopli-stes squamiger, specie esclusiva di questo tipo di ambiente, in tutto il bacinodel Mediterraneo. Anche un dermattero, Anisolabis maritima, vive lungo lascogliera, soprattutto dove si accumulano detriti vegetali spiaggiati ed alghe.

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Il dermattero Anisolabis maritima

Il coleottero Limnaeum nigropiceum

Il grillide Pseudomogoplistes squamiger

Il coleottero carabide Ocydromus(Omoperyphus) steinbuehleri

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■ La fauna: i vertebrati

Anfibi e rettili. Difficilmente troviamo anfibi sulle coste rocciose, a meno chequeste non alberghino pozze di scogliera con acqua dolce o salmastra. Lespecie che possono trovarsi in questi ambienti sono soprattutto il rospo sme-raldino (Bufo viridis), le raganelle (Hyla intermedia e H. sarda) e le rane verdi delgruppo “esculenta” (Rana hispanica e R. bergeri). Dove si insediano popola-zioni di anfibi, possiamo trovare anche rettili loro predatori, come la biscia dalcollare (Natrix natrix) e la biscia viperina (Natrix maura), soprattutto dove esi-stono concentrazioni di pozze d’acqua dolce di una certa entità. Un serpenteancora più diffuso lungo le coste rocciose è il biacco o colubro verde e giallo(Hierophis viridiflavus), che si sposta anche sulle rocce ripide alla ricerca diuova e nidi di uccelli. Ma le sue prede più ricorrenti sono le lucertole, checostituiscono i rettili più abbondanti e diffusi in questi ambienti.Lungo le coste rocciose e le falesie della costa triestina è talora possibileincontrare il serpente gatto (Telescopus fallax), che si spinge sino alla riva roc-ciosa in cerca di lucertole. Alla famiglia lacertidi appartengono diverse speciead ampia distribuzione ecologica che sono presenti dall’interno fin sulle costerocciose della Penisola, come la lucertola muraiola (Podarcis muralis) e lalucertola campestre (Podarcis sicula). Queste due specie tendono a formarepopolazioni differenziate a livello morfologico nelle aree insulari e pertantomolte sottospecie geografiche sono state descritte negli anni passati basan-

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Biscia viperina (Natrix maura) Il biacco o colubro verde e giallo (Hierophis viridiflavus)

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(Isolotto Argentarola, Toscana), P. m. muellerlorenzii (Isolotto La Scola, Tosca-na), P. m. tinettoi (Isolotto Tinetto, Liguria orientale). Studi sulla termoregolazio-ne degli individui di Argentarola, che costituiscono una popolazione melanica,hanno dimostrato che la temperatura corporea, dopo che l’animale si è riscal-dato al sole ed ha ripreso l’attività, è maggiore rispetto a quella di individui del-la popolazione del vicino Monte Argentario, che sono normalmente maculati. La Sardegna è abitata dalla lucertola tirrenica (Podarcis tiliguerta) che è larga-mente diffusa nell’isola, e da altre specie più localizzate come la lucertola diBedriaga (Archaeolacerta bedriagae). Quest’ultima, un tempo veniva ritenutauna specie legata agli ambienti rocciosi montani della Sardegna, come il Gen-nargentu e il Monte Limbara, dove si spinge fino a 1800 m sul livello del mare;in seguito sono state scoperte popolazioni costiere e perfino microinsulari. Peresempio, una popolazione vive a Folaca, un piccolo isolotto granitico chemisura solo 3700 mq di superficie e raggiunge appena 11 m sul livello delmare. Su questo isolotto, la lucertola di Bedriaga vive da sola, probabilmentea causa di meccanismi di esclusione competitiva. In Sicilia, invece, troviamo sia la lucertola campestre (Podarcis sicula) che lalucertola siciliana (P. wagleriana), diffuse in quasi tutti gli ambienti, anche se laseconda specie sembra essere più legata agli ambienti prativi e meno ai sub-strati rocciosi. Al contrario, la lucertola eoliana (Podarcis raffonei) è caratteri-stica degli ambienti rocciosi di alcune piccole isole dell’arcipelago omonimo,precisamente Vulcano (limitatamente alla penisola di Vulcanello e scogli vicini),

dosi sulle variazioni dei caratteri esterni (colorazione, taglia, disegno, formadelle squame). Alcune di queste sottospecie sono molto ben differenziate,come la lucertola azzurra dei Faraglioni di Capri (Podarcis sicula caerulea) chesi trova sulle pareti a picco di questi isolotti rocciosi. È caratteristica per la sualivrea blu scura nelle parti dorsali e di un azzurro intenso in quelle ventrali.Un’altra bellissima popolazione descritta come sottospecie a se stante è lalucertola dell’Isola Bella (Podarcis sicula medemi), presente sull’omonimoscoglio presso Taormina, caratterizzata da una colorazione ventrale rosso-mattone. Sulle falesie rocciose del comune di Duino-Aurisina (Trieste) è inol-tre possibile osservare la lucertola di Melisello (Podarcis melisellensis), che sipuò talora spingere sino alle rive rocciose.Parlando di lucertole, diventa difficile separare il discorso sulla fauna dellecoste rocciose da quello specifico sulla fauna insulare, poiché molte razze ospecie endemiche sono esclusive di piccole isole o di arcipelaghi. Comunque,fra le razze di lucertola campestre descritte da isolotti rocciosi e piccole isole,ricordiamo Podarcis sicula aemiliani (Scogli di Apani, presso Brindisi), P. s. tri-schittai (Isolotto Bottaro, Isole Eolie), P. s. calabresiae (Isola di Montecristo), P.s. klemmeri (Isola Licosa, Golfo di Salerno), P. s. lanzai (Isolotto Gavi, IsolePonziane), P. s. liscabiancae (Isolotto Lisca Bianca, nelle Isole Eolie), P. s.pasquinii (Scoglio Cappello, nelle Isole Ponziane), P. s. roberti (Formica Gran-de di Grosseto, Toscana). Invece, fra le razze di lucertola muraiola, ricordiamoPodarcis muralis beccarii (Isolotto Porto di Ercole, Toscana), P. m. marcuccii

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Lucertola di Bedriaga (Archaeolacerta bedriagae)Lucertola campestre (Podarcis sicula)

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Uccelli. Gli uccelli rappresentano la componente faunistica più importantedelle coste rocciose, anche a causa della spettacolarità offerta dalle colonienidificanti di specie marine che eleggono le coste rocciose ripide e verticali asiti ideali per la loro riproduzione. La difficile accessibilità delle falesie garan-tisce un certo grado di protezione ai nidi di questi uccelli che in tal modo evi-tano la predazione da parte di molte specie, fra cui l’uomo stesso. Sulle costedel Mediterraneo non troviamo esempi di colonie così numerose e ricche dispecie come si osserva lungo le coste dell’Oceano Atlantico, in particolaredell’Europa settentrionale. Il numero di specie che nidifica nelle coste roccio-se dei mari italiani, soprattutto delle isole, è piuttosto basso, così come ilnumero delle colonie. Tuttavia si tratta di un fenomeno degno di nota, checostituisce un’importante attrazione ecoturistica ed un argomento pertinentealla conservazione della fauna.Le specie di uccelli che nidificano sulle coste rocciose appartengono a diver-si ordini: procellariiformi, pelecaniformi, caradriiformi, falconiformi, colum-biformi, apodiformi, passeriformi. I procellariiformi sono veri uccelli marini che non frequentano mai la terrafer-ma. Hanno due caratteristiche narici tubulari esterne, disposte superiormen-te sul becco uncinato, dalle quali viene eliminato il sale in eccesso. Le alisono lunghe e strette; il volo è spesso radente, a pelo dell’acqua. Mentrevolano, questi uccelli cambiano continuamente inclinazione e possono riunir-si in gruppi convergendo verso le zone ricche di cibo. A seconda delle specie,

Strombolicchio, Scoglio Faraglione e La Canna. È interessante il fatto che que-sta lucertola ha conservato le capacità di autotomia (autoamputazione dellacoda per distrarre il predatore), fenomeno che spesso scompare in popolazionimicroinsulari dove la presenza dei predatori è assai ridotta.Nelle Isole Pelagie e Maltesi vive la lucertola maltese (Podarcis filfolensis)che, per quanto riguarda il nostro paese, è rinvenibile solo a Linosa e Lam-pione. Recenti studi hanno dimostrato che le popolazioni maltesi sono gene-ticamente molto vicine a quelle delle Isole Pelagie, e che quindi queste ultimesarebbero state colonizzate assai recentemente dalle lucertole, probabilmen-te grazie a trasporto involontario operato dall’uomo. È interessante osservareil successo riproduttivo di queste lucertole sugli isolotti intorno a Lampedusa,dove l’assenza di predatori permette loro di raggiungere densità di popola-zione molto più elevate rispetto all’isola. Secondo alcuni autori, a causa delclima caldo di queste isole, le lucertole maltesi e pelagie non presentano unperiodo di dormienza invernale; la loro attività cessa soltanto durante le gior-nate piovose dell’inverno. La cronica scarsità di risorse alimentari in questepiccole e aride isole ha portato la lucertola maltese ad una dieta assai gene-ralista, con casi frequenti di cannibalismo da parte degli adulti sui piccoli. Incattività, è stato osservato perfino il caso di una femmina che mangiava unuovo da essa stessa deposto. Sulle falesie a picco sul mare della costa trie-stina è infine possibile osservare l’algiroide magnifico (Algyroides nigropunc-tatus) che in queste zone è piuttosto comune.

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Algiroide magnifico (Algyroides nigropunctatus) Gabbiano reale mediterraneo (Larus cachinnans)

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dove nidificano da 300 a 600 coppie, mentre la berta minore forma colonieabbastanza numerose a Capraia, Montecristo e Giannutri, complessivamente200-1000 coppie. Invece, nelle isole circumsiciliane, la berta maggiore è pre-sente in 12 siti (15.000 esemplari a Linosa), mentre la berta minore figura conpoche coppie in 9 siti. Alle Isole Tremiti troviamo entrambe le specie.In alcune zone (Sardegna e Isole Egadi), si può osservare anche la nidificazio-ne dell’uccello delle tempeste, le cui dimensioni sono notevolmente più pic-cole. Questa specie, poco più grande di un passero, si riconosce dalle berteanche per il piumaggio più scuro, con cui fa contrasto il bianco delle strie ala-ri e del groppone fino a metà delle timoniere. Gli uccelli delle tempeste hannoun volo irregolare e sfarfallante, a pelo dell’acqua, durante il quale tengono lezampe distese. Per questo sembra che camminino sulle onde sostenendosicon le ali. Quando il mare è mosso questi piccoli procellariiformi sono parti-colarmente attivi perché la turbolenza dell’acqua porta a galla detriti e picco-li organismi marini di cui si nutrono. Nidificano su roccia in tratti costieri isola-ti e inaccessibili; spesso i nidi vengono fatti in cavità situate molto in basso,quasi a livello del mare.La nidificazione è talvolta asincrona, ovvero le coppie non nidificano tutteinsieme nello stesso periodo, ma si avvicendano nell’occupazione dei siti. Peresempio, a Marettimo (nelle Isole Egadi), una colonia di circa un migliaio dicoppie nidifica all’interno di un sistema complesso di grotte con uno sboccounico sul mare, dove il periodo riproduttivo della specie può protrarsi com-

si nutrono di piccoli pesci o di invertebrati marini che si lasciano trasportaredalle correnti, come piccole meduse, molluschi planctonici, piccoli calamari egamberetti. In alcuni casi, seguono le navi e i grandi cetacei. Normalmentedormono in mare, galleggiando. Solo nella stagione riproduttiva si recano sul-la terraferma per nidificare in colonie sulle coste rocciose, dove depongonoun solo uovo per covata. Durante questo periodo acquistano abitudini nottur-ne ed emettono particolari richiami rauchi o gutturali. Le specie che nidificano sulle coste rocciose italiane sono la berta maggiore(Calonectris diomedea), la berta minore (Puffinus puffinus) e l’uccello delletempeste (Hydrobates pelagicus). La prima si riconosce per le dimensionimaggiori, la colorazione dorsale di un marrone più chiaro (minore contrastofra piumaggio dorsale e ventrale) e per il volo più lento, contrassegnato da 3-4 battute lente seguite da una planata di 6-7 secondi. È l’unica specie di pro-cellariiforme del Mediterraneo che ha l’abitudine di volare in alto, come i gab-biani reali e gli albatri. Per quanto riguarda la berta minore, occorre ricordareche, secondo alcuni ornitologi, le popolazioni che nidificano nel Mediterraneoapparterrebbero ad una specie diversa (Puffinus yelkouan), distinguibile siaper caratteri morfologici sia per la voce. Troviamo colonie nidificanti di berte nelle isole di tutto il Mar Tirreno (Arcipe-lago Toscano, Isole Ponziane, Isole Eolie, Isole Egadi, Sardegna ed isolesatelliti), del Canale di Sicilia (Isole Pelagie) e nel Mare Adriatico (Isole Tremi-ti). Nell’arcipelago toscano, la berta maggiore forma colonie su 5 isolotti,

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Berta maggiore (Calonectris diomedea) Berta minore (Puffinus puffinus)

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co leggermente uncinato, è diventata ormai parte del paesaggio urbano diRoma e di altri centri abitati attraversati da grandi fiumi, dove si posa suglialberi, sui ponti e sugli argini di cemento. Nei cieli delle città, il suo volo lentoe regolare si distingue subito da quello planato dei gabbiani reali, da quellopiù pesante degli aironi cenerini e da quello rapido dei piccioni. Invece, il marangone dal ciuffo è una specie sedentaria e localizzata, chenidifica regolarmente sulle coste rocciose delle isole tirreniche, dove prediligei tratti di costa indisturbati e lontani dagli insediamenti umani. Oltre che inSardegna (dove nidificano più di 1000 coppie), esistono piccole colonie aLampedusa (circa 40 coppie) e nell’Arcipelago Toscano (Gorgona, Capraia,Pianosa, Montecristo e alcuni isolotti satelliti dell’Elba). In tutto, nell’arcipela-go toscano dovrebbero nidificare più di 50 coppie.Si riconosce dal cormorano per la sua colorazione interamente nera conriflessi verdi, salvo una stretta zona di pelle gialla alla base del becco, e per ilcaratteristico ciuffo sul capo. Quest’ultimo è formato da penne ricurve inavanti e si osserva negli adulti durante il periodo riproduttivo. Il marangonedal ciuffo vive per tutto l’anno lungo le coste marine, anche se i giovani ten-dono a disperdersi e possono talvolta raggiungere le acque interne. Tradicembre e marzo, depone generalmente tre uova di colore azzurro che sischiudono dopo circa un mese. In entrambe le specie (cormorano e marango-ne) l’incubazione e l’allevamento dei piccoli vengono effettuati da entrambi igenitori e i piccoli iniziano a volare dopo circa 7 settimane di vita. È interes-

plessivamente per circa 6 mesi ogni anno. Questa situazione è stata determi-nata dall’abbandono dei siti riproduttivi originari, in seguito all’eccessiva fre-quentazione turistica, soprattutto della motonautica da diporto. Ciò dimostrala grande vulnerabilità di questa specie all’impatto antropico.All’ordine pelecaniformi appartengono due specie di cormorani che nidifica-no anche in Italia. Sono il cormorano (Phalacrocorax carbo) e il marangonedal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis). Nel nostro paese, il cormorano è comu-ne e diffuso come svernante, ma raro e localizzato come nidificante. Nelsecolo sorso, questa specie nidificava solo sulle coste marine rocciose dellaSardegna occidentale. Tuttavia, a partire dagli anni ‘80, ha iniziato a nidificaresu alberi (salici e pioppi) in ambienti ripariali dell’Emilia-Romagna, della Lom-bardia e del Piemonte, nonché in Sicilia (presso Lentini). Tra gennaio e aprile il cormorano depone 3-4 uova che si schiudono dopo unmese. Gli individui che vivono presso le coste utilizzano spesso le scoglierecome posatoi da cui partire per le loro immersioni alla ricerca di pesci. Al gior-no d’oggi, il cormorano si è diffuso enormemente, come svernante, sul terri-torio nazionale: un elevato numero di individui sverna in Italia colonizzandoanche le acque di bacini lacustri e fluviali assai lontani dal mare. Nei bacinid’acqua dolce questo uccello ittiofago trova grandi quantità di cibo grazieall’abbondanza dei cefali favoriti dall’eutrofizzazione dei fiumi e di altri pescicon cui l’uomo ripopola le acque interne a scopo commerciale o per la pescasportiva. La sagoma scura del cormorano, con il suo collo allungato e il bec-

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Cormorano (Phalacrocorax carbo) Marangoni dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis)

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Il gabbiano reale mediterraneo (Laruscachinnans), detto anche gabbianoreale zampe gialle, è la specie di gab-biano più comune e diffusa in Italia,dove negli ultimi decenni ha manife-stato una impressionante crescitademografica, invadendo gli ambientiurbani, fluviali e lacustri. Ciò è dovutoalla grande abbondanza di rifiuti cherappresentano per questa specie unarisorsa trofica inesauribile.Molto spesso si osservano gruppi digabbiani reali che di mattina si dirigonodal mare verso l’interno e di sera com-piono il tragitto inverso. Il motivo di ciòsta nell’ubicazione delle discaricheche rappresentano la zona di foraggia-mento di questi gruppi sociali.Altri gruppi, invece, si sono stabilitidirettamente in prossimità delle disca-riche, soprattutto se queste si trovanonon lontano da corpi idrici e da roccesu cui riposare o nidificare. A partire daaprile, i gabbiani reali depongono disolito 3 uova, che si schiudono dopocirca un mese di incubazione, curatada entrambi i sessi. I giovani volanodopo 35-40 giorni.La maggior parte delle coppie nidificasulle coste rocciose delle isole (sia grandi che piccole) ed in alcuni tratti dicosta peninsulare del Tirreno e dell’Adriatico.Oltre all’aumento di coppie nidificanti, si assiste anche all’aumento dei sitiriproduttivi: in Sicilia, secondo i dati di Bruno Massa, tra il 1979 e il 1983 igabbiani reali nidificavano in 16 siti localizzati in due aree della regione e nel-le isole minori; tra il 1984 e il 1992, i siti sono diventati 32 e l’area di nidifica-zione si è estesa ai laghi artificiali interni ed ai silos di Porto Empedocle, inprovincia di Agrigento. Inoltre, non mancano colonie nidificanti in ambientiurbani, sugli edifici. Per esempio, piccole colonie nidificano sugli edifici e suimonumenti del centro storico di Roma. È da rilevare il fatto che, secondo letestimonianze di antichi naturalisti come Bonaparte e Alexander, rispettiva-mente nella prima metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, il gabbiano

sante notare che le due specie non sembrano essere in competizione perquanto riguarda le risorse alimentari. Infatti, il marangone dal ciuffo si nutre dipesci più piccoli che vivono in acque più profonde.I caradriiformi che frequentano le coste rocciose italiane sono rappresentati daalcune specie di gabbiani (due delle quali nidificanti) e due di alche. Nonostan-te il ruolo di primo piano che i gabbiani hanno nell’immaginario collettivo,come simbolo di una natura incontaminata o che resiste all’impatto umano (dacui l’ispirazione di molti poeti e scrittori), nella realtà alcuni di essi possonorappresentare il degrado dell’ambiente e costituiscono un esempio di invasio-ne favorita dall’uomo a scapito di altri animali selvatici. Ciò vale soprattutto peril gruppo dei gabbiani reali che, al pari dei corvidi (corvi e cornacchie), sonouccelli scaltri e intraprendenti, con un comportamento sociale che favoriscel’apprendimento e quindi l’adattamento culturale alle modificazioni dell’am-biente. Altre specie, come vedremo in seguito, non essendo sinantropiche maanzi evitando la vicinanza dell’uomo, sono in declino, anche a causa dell’inva-denza degli onnipresenti gabbiani reali. Non a caso il genio del cinema AlfredHitchcock ha fatto dei gabbiani reali e dei corvidi i protagonisti del suo film Thebirds (1963), in cui questi animali, nello scenario delle coste rocciose dellaCalifornia, si moltiplicano a dismisura ed invadono i centri abitati divenendoaggressivi contro gli umani. Dalla fantasia alla realtà il passo è breve, e nonmancano storie di persone minacciate dai gabbiani reali quando provano arecarsi sul terrazzo condominiale per controllare l’antenna del televisore!

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Gabbiano reale mediterraneo (Larus cachinnans) nel nido

Gabbiano reale mediterraneo adulto(Larus cachinnans)

Un giovane di gabbiano reale mediterraneo(Larus cachinnans)

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all’eventuale trasmissione di parassiti o malattie (in verità ancora non dimo-strata), questi invadenti uccelli prendono spesso di mira le guarnizioni di gom-ma e materiale plastico dei moderni edifici: si accaniscono contro di esse, permotivi non molto chiari, fino al punto di danneggiarle causando infiltrazioni diacqua piovana negli edifici e corto-circuiti. Ma il danno maggiore è quello ver-so altri animali selvatici che vengono da loro eliminati sia attraverso la compe-tizione alimentare sia per interferenza diretta.Come i corvidi, i gabbiani hanno una particolare inclinazione al mobbing(comportamento aggressivo verso un individuo della stessa specie o di spe-cie diversa) che rivolgono in particolare contro i falconiformi. Questo compor-tamento si spiega come una difesa dei gabbiani da potenziali predatori chepotrebbero insidiare la loro prole.Tuttavia, a causa dell’elevato numero di gabbiani reali oggi presenti e dellaloro abnorme diffusione nel territorio, tale comportamento si rivela pericolosoper la conservazione dei predatori. Il falco pellegrino, il gheppio, il nibbio, lapoiana e tutti gli altri rapaci diurni vengono fortemente disturbati durante laloro attività predatoria con conseguenze, difficili da valutare, sulla lorosopravvivenza e sul successo riproduttivo. Inoltre, in alcuni casi sono stateosservate aggressioni di gruppo che terminavano con la morte del rapace.Infine, il comportamento predatorio del gabbiano reale sulle uova e sui nidia-cei di molti uccelli (falconiformi compresi) va considerato attentamente nellagestione della fauna e della diversità biologica.

reale era una specie rara a Roma e nei suoi dintorni. Progressivamente, èaumentato sempre più il numero di individui che, soprattutto a partire daglianni ’50, frequentavano la capitale in cerca di cibo, risalendo lungo il corsodel Tevere. La prima nidificazione accertata nella città risale al 1971, ma nel1996 già si contavano 40-50 coppie stabili. E la popolazione nidificante è incostante crescita.Ancora più dei cormorani, i gabbiani reali sono diventati una presenza costan-te anche in altre città d’Italia. Il loro numero è assai elevato soprattutto nei cen-tri urbani costieri, in quelli attraversati da grandi fiumi ed in quelli costruiti sul-le rive dei laghi. Ci sarebbe molto da raccontare sul gabbiano reale e su varicomportamenti innati ed acquisiti che determinano i suoi rapporti con l’uomoe con gli altri animali. L’illuminazione notturna delle grandi città ha influito sulbioritmo di questa specie, che ormai si vede in volo anche in piena notte,essendo adattata a svolgere attività anche in condizioni di luce scarsa, comenelle notti chiare dell’estate artica e nei giorni velati dell’inverno artico. Così,nel centro di Roma, anche intorno a mezzanotte, si vedono apparire le sagomebianche dei gabbiani reali che volano da un edificio all’altro dandoci per unattimo l’illusione di aver visto un... barbagianni.Fin qui, niente di preoccupante, ma i problemi vengono fuori quando si esami-nano altri aspetti del comportamento di questa specie. Oltre al problema degliescrementi, che si sommano a quelli dei piccioni nel danneggiamento dellestrutture architettoniche (soprattutto del patrimonio storico-archeologico), ed

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Gheppio (Falco tinnunculus)Gabbiano tridattilo (Rissa tridactyla)

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Fuori del periodo riproduttivo, altre specie di gabbiani possono incontrarsi sul-le coste rocciose italiane. Essi sono lo zafferano (Larus fuscus), la gavina(Larus canus) e il gabbiano tridattilo (Rissa tridactyla). Lo zafferano è simile algabbiano reale, ma la colorazione delle parti dorsali è più scura. La gavinasembra un gabbiano reale in miniatura, con il becco interamente giallo e piùsottile. Il gabbiano tridattilo è ancora più piccolo e possiede le zampe nere,piuttosto corte; specie pelagica durante l’anno, nidifica su rocce a strampiom-bo nel Mare del Nord. Inoltre, più o meno frequentemente, si possono osser-vare anche specie non legate alle coste rocciose ma che frequentano soprat-tutto rive di laghi e fiumi, come il gabbiano comune (Larus ridibundus), il gab-biano corallino (Larus melanocephalus), il gabbiano roseo (Larus genei) e ilgabbianello (Larus minutus).Altri rappresentanti dell’ordine caradriiformi sono le alche. Diffuse prevalente-mente nei mari freddi dell’emisfero boreale, le alche sono i classici uccelli chenidificano sui promontori e sulle falesie del Mare del Nord, del Mar GlacialeArtico e dell’Atlantico settentrionale, dove formano colonie numerosissime. Lamaggior parte delle specie possiede una livrea simile a quella dei pinguini,superiormente nera ed inferiormente bianca. In effetti, essi rappresentano l’e-quivalente ecologico dei pinguini nel Circolo Polare Artico dove l’ordine deglisfenisciformi è assente. Come questi nuotano sott’acqua alla ricerca dei pescie degli altri organismi marini di cui si nutrono, utilizzando le ali anteriori comepinne e la coda come timone. Fino all’inizio del secolo scorso, nel Nord del-

L’attività di mobbing del gabbiano reale si mostra anche nei confronti del gab-biano corso (Larus audouinii). In questo caso, il mobbing non è rivolto verso unpredatore ma verso una specie congenere con cui esiste un ampio margine dicompetizione. Non sappiamo molto sulle relazioni fra queste due specie, masenza dubbio il mobbing può anche essere finalizzato all’esclusione competi-tiva di specie che consumano risorse analoghe o che occupano gli stessi spa-zi riproduttivi quando questi sono limitati.Il gabbiano corso è una specie rara e localizzata, endemica del Mediterraneo;fra tutti i gabbiani del mondo è quello che mostra l’areale meno esteso. Nidifi-ca in piccole colonie sulle coste rocciose delle isole. Attualmente si riproducein Sardegna, Corsica e Isole Toscane, oltre che in Spagna, Africa Maghrebinae Grecia: in tutto si tratta di circa 4000 coppie, di cui almeno 350 in Italia. Èuna specie pelagica, quindi più legata al mare rispetto al gabbiano reale, poi-ché sembra nutrirsi preferibilmente in acque aperte e si reca sulle costesoprattutto nel periodo riproduttivo. La competizione fra le due specie si svol-ge per interferenza.Nelle Isole Toscane è stata osservata una diminuzione del gabbiano corso in iso-le dove c’è un aumento del gabbiano reale, sia perché quest’ultimo esclude inmodo attivo il primo dai siti riproduttivi, sia perché preda le sue uova e i pulli. Oltrealle dimensioni, le due specie si riconoscono facilmente per la forma del becco:nel gabbiano reale è giallo con una macchia rosa nel tratto anteriore della mandi-bola, nel gabbiano corso è rosso con una banda trasversale nera presso l’apice.

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Zafferano (Larus fuscus)Gabbiano corso (Larus audouinii)

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Anche la gazza marina ha un becco assai caratteristico, nero, compressolateralmente, angolato inferiormente e attraversato da una sottile banda tra-sversale chiara. Nidifica esclusivamente sulle falesie e compare nel Mediter-raneo durante lo svernamento (Mar Ligure e Tirreno), con casi accidentali diestivazione.Diversi uccelli appartenenti ad altri ordini mostrano una predilezione per lecoste rocciose soprattutto per quanto riguarda la nidificazione, oppure mani-festano una tendenza a riprodursi indifferentemente sulle coste rocciose osugli ambienti rupestri interni. In questi casi, il fattore ecologico determinantenon è la vicinanza al mare né l’altitudine, ma semplicemente la presenza dipareti rocciose inaccessibili che favorisce certe specie di uccelli. È il caso dialcuni falconiformi come il falco pellegrino (Falco peregrinus), il gheppio (Falcotinnunculus), il grillaio (Falco naumanni) e l’aquila del Bonelli (Hieraaetusfasciatus), e di alcuni apodiformi fra cui soprattutto il rondone maggiore (Apusmelba). L’aquila del Bonelli mostra una particolare predilezione per le falesie:ben 150 coppie si riproducono in questi ambienti nelle Isole Eolie e Pelagie. Ilrondone maggiore, chiamato anche rondone alpino perché spesso osservatoin ambienti rupestri di montagna, si riconosce dalle specie sinantropiche dirondoni per avere il petto e il ventre bianco. Le sue dimensioni sono nettamen-te più grandi di quelle del rondone comune e del rondone pallido, le due spe-cie che si osservano comunemente in città. Il piccione selvatico (Columbalivia) è un columbiforme che nidifica in ambienti rupestri e si insedia spesso

l’Europa viveva l’alca impenne (Alca impennis), una specie così adattata aquesto ruolo ecologico (potremmo dire “pinguinizzata”) da aver perso la capa-cità di volare, caratteristica che facilitò la sua estinzione a causa dell’uomo. Lespecie che oggi sopravvivono sono tutte volatrici ed hanno un volo diretto, apelo dell’acqua, portato avanti con battiti rapidi e potenti. Solo due specie sispingono nel Mediterraneo per lo svernamento: il pulcinella di mare (Fratercu-la arctica) e la gazza marina (Alca torda).Il pulcinella di mare è un grazioso uccello che ricorda vagamente un pappa-gallo, per via del becco lateralmente compresso, largo e vivacemente colora-to. Questo becco lo rende inconfondibile e gli conferisce un aspetto che attiral’attenzione popolare. In realtà, la colorazione del becco ha lo scopo dimostrare la maturità sessuale dell’animale e la sua vitalità ai fini riproduttivi;infatti, nel resto dell’anno gli strati cornei superficiali del becco si perdono equesto diventa più piccolo e meno colorato. Inoltre, la grande capacità internadel becco consente a questa specie di portare al nido una maggiore quantitàdi prede (fino a una decina di sardine), vantaggio non indifferente dato che, perricercare il nutrimento necessario al piccolo, i genitori debbono compiere lun-ghe distanze in mare aperto. Come gli altri alcidi, depone un solo uovo percovata. Questo uccello può nidificare anche all’interno di buche da esso stes-so scavate nel terreno oppure abbandonate dalle berte o dai conigli selvatici,spesso al riparo di massi. In Italia si osserva regolarmente nel basso Tirrenodove alcuni individui possono anche estivare.

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Falco pellegrino (Falco peregrinus)Pulcinella di mare (Fratercula arctica)

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sulle coste rocciose, dove viene rego-larmente predato dal falco pellegrino.Le sue zone di alimentazione però sitrovano all’interno, negli ambienti colti-vati o presso i vicini centri abitati.Anche alcune specie di passeriformipossono nidificare sulle coste rocciosecosì come sulle rupi in montagna. È ilcaso del passero solitario (Monticolasolitarius), del codirosso spazzacami-no (Phoenicurus ochruros), della rondi-ne montana (Ptyonoprogne rupestris),della passera lagia (Petronia petronia),del corvo imperiale (Corvus corax) edella taccola (Corvus monedula). Perquanto riguarda il corvo imperiale,questo grosso corvide si osservaormai soprattutto in alcuni settori del-l’arco alpino (in cui è stato reintrodotto)

e dell’Italia meridionale, in cui si è miracolosamente conservato e dove pre-senta coppie nidificanti sia in montagna sia sulle coste rocciose (per esempioin Sicilia). Anche il grande gufo reale (Bubo bubo) frequenta talvolta le costerocciose, dove preda soprattutto gabbiani.Va tenuto presente che le città, soprattutto quelle storiche con grandi palazzi estrutture architettoniche complesse, piene di motivi ornamentali che per gliuccelli costituiscono cavità ideali per la nidificazione, hanno permesso a moltespecie rupestri di estendere la loro diffusione sul territorio antropizzato. Peralcune specie di uccelli, le città offrono sia rifugi che risorse alimentari abbon-danti. È il caso del piccione selvatico e dei rondoni, che sono diventati parti-colarmente abbondanti in ambiente urbano. Il primo è stato favorito dallagrande quantità di rifiuti presenti in città e dalla particolare inclinazione di mol-te persone ad ingrassare questi uccelli oltre ogni limite. Invece, per quantoriguarda i rondoni, queste specie insettivore sono diventate particolarmentenumerose grazie all’abbondanza di mosche e di altri ditteri antropofili che cat-turano in volo. In Italia, come si è detto, esistono due specie, nidificanti sia sul-le coste rocciose che negli ambienti rupestri e nelle città. Esse sono il rondone(Apus apus) e il rondone pallido (Apus pallidus), difficilmente distinguibili involo. Infine, ci sono altre specie di uccelli rupestri che, pur trovandosi regolar-mente nelle città, non vi raggiungono mai una densità elevata. Ciò può dipen-dere dal fatto che sono specie territoriali e solitarie oppure che, pur trovandouna buona disponibilità di rifugi nell’ambiente antropizzato, non vi incontrano

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Gufo reale (Bubo bubo)

Piccione selvatico (Columba livia)

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gone dal ciuffo. Le uova vengono covate per 28 giorni, soprattutto dalla fem-mina. I giovani iniziano a volare dopo 28-35 giorni.L’aquila di mare (Haliaeetus albicilla) era una specie nidificante in Italia lungo lecoste rocciose, sia direttamente sulla roccia sia su alberi. L’ultima nidificazio-ne accertata per l’Italia risale al 1956 e riguarda la Sardegna. La specie nonnidifica più in tutto il Mediterraneo occidentale. La presenza dell’aquila di marein Italia, al giorno d’oggi, è limitata al passaggio di individui erratici, per lo piùgiovani in dispersione, nei mesi invernali o durante il passo. L’aquila di mare èun predatore eclettico che si nutre di pesci, uccelli, mammiferi e animali morti.Spesso attacca altri predatori (altri falconiformi e gabbiani) costringendoli adabbandonare la preda. Anche l’aquila reale (Aquila chrysaetos) può nidificaresu coste rocciose, come nel caso della coppia che vive sull’Isola di Tavolara,nella Sardegna nord-orientale. Fra le prede dell’aquila rientrano i gabbiani rea-li e pertanto il rapace potrebbe svolgere un ruolo ecologico importante nelcontrollo di questi caradriiformi in forte aumento.Altri uccelli che si incontrano spesso sulle coste rocciose, anche se non vinidificano, appartengono all’ordine ciconiiformi. In particolare, gli aironi si tro-vano spesso sulle scogliere, in cerca di prede rimaste intrappolate nelle poz-ze dopo le mareggiate o di anfibi che popolano le cavità riempite di acquapiovana. Le specie che si osservano più facilmente in questi ambienti sonol’airone cenerino (Ardea cinerea), la garzetta (Egretta garzetta) e la sgarzaciuffetto (Ardeola ralloides).

una particolare abbondanza di cibo. Fra questi casi rientrano il passero solita-rio, il codirosso spazzacamino ed altri.Anche il grifone (Gyps fulvus) appartiene alla categoria di uccelli che utilizza-no sia le scogliere a picco sul mare sia le falesie montane. Estinto in Siciliaintorno al 1965, questo grande avvoltoio si è conservato in Sardegna con duenuclei nidificanti (Bosa e Punta Cristallo). Nell’ultima decade, la specie è sta-ta reintrodotta nell’Appennino centrale e nell’Italia nord-orientale (Lago diCornino, Udine).Il falco della regina (Falco eleonorae) deve il suo nome a quello di una princi-pessa del Medioevo, Eleonora d’Arborea, che fece promulgare delle leggi indifesa dei rapaci diurni in Sardegna, uccelli che a quel tempo erano largamen-te impiegati per l’esercizio della falconeria. Si tratta di una specie migratriceche nidifica esclusivamente su coste rocciose, in particolare sulle isole delMediterraneo e nelle Canarie. La maggior parte degli individui abbandona ilMediterraneo a novembre per andare a svernare nel Madagascar, anche sealcuni trascorrono i mesi invernali nel Mediterraneo orientale. In tutto esistonocirca 4000 coppie, 480 delle quali vivono nelle dieci colonie italiane censite(soprattutto in Sardegna, Arcipelago Toscano, Isole Eolie, Isole Pelagie). Ciòdimostra l’importanza dell’Italia nella conservazione di questa specie che, apartire da aprile-maggio, inizia ad esplorare i cieli del Mediterraneo catturandouccelli migratori in volo. Depone 2-4 uova in luglio-agosto, sfruttando piccolecavità e logge tra le rocce, o nidi di altre specie, per esempio quelli del maran-

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Falco della regina (Falco eleonorae)Grifone (Gyps fulvus)

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to Adriatico (comune di Duino-Aurisi-na, Trieste), inoltre, l’arvicola delle nevi(Chionomys nivalis) si spinge fino qua-si al livello del mare.Il muflone (Ovis orientalis), progenitoredella pecora domestica, è una specieoriginaria del Medio Oriente la cuiintroduzione in Italia sarebbe avvenutain tempi protostorici. Attualmente,questo artiodattilo si può facilmenteavvistare sui litorali rocciosi della Sar-degna, soprattutto nella parte setten-trionale ed orientale, e di diverse isoleminori, come Marettimo (Egadi), Zan-none (Ponziane) e Capraia (Arcipelago Toscano). L’impatto che questo erbivo-ro può avere sulla vegetazione rupestre è senza dubbio limitato, considerandoche la densità delle sue popolazioni, regolarmente insidiate dal bracconaggioe dai cani randagi, si mantiene relativamente bassa, sempre molto al di sottodi quella delle pecore. Tuttavia, in alcuni contesti insulari come Capraia e Zan-none, dove la specie è assai numerosa, la vegetazione può subire dei danni diuna certa gravità. L’assenza di predatori dei mufloni in una piccola isoladovrebbe quindi essere sostituita da una gestione basata sul controllo della

Mammiferi. Sia le coste sabbiose siaquelle rocciose sono regolarmente visi-tate dalla volpe (Vulpes vulpes). Questoeclettico carnivoro, che tende versouna dieta onnivora, esplora sistemati-camente le coste, vagabondando dinotte alla ricerca di rifiuti di qualsiasitipo. Animali marini spiaggiati, avanzidella pesca, rifiuti alimentari degli uma-ni, uccelli migratori feriti o stanchi, nidi,qualsiasi prodotto animale o vegetalepuò rientrare nella dieta della volpe. Ciòavviene soprattutto in quei tratti di lito-rale che sono accompagnati da aree di

macchia mediterranea, pinete e coltivi. I cani randagi e rinselvatichiti sono sem-pre più frequenti in numerosi tratti del litorale italiano. Il loro numero aumenta acausa di numerosi fattori, come i frequenti abbandoni, gli aiuti alimentari offertisoprattutto dai residenti estivi, e la presenza abbondante di rifiuti sia presso icentri abitati che nelle aree oggetto di forte pressione turistica. Fra i piccoli mammiferi di questi habitat esposti è il caso di ricordare il rattonero (Rattus rattus) e il topo quercino (Eliomys quercinus), che su molte fale-sie mediterranee sono piuttosto comuni. Sulle falesie e coste rocciose dell’al-

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Muflone (Ovis orientalis)Topo quercino (Eliomys quercinus)

Ratto nero (Rattus rattus) Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis)

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monache trovano rifugio dall’onnipresente disturbo antropico che si fa sentiresoprattutto durante i mesi estivi. Le spiagge delle foche, le tranquille caletteisolate tra gli scogli dove questi animali prendevano il sole, partorivano e siprendevano cura dei piccoli, fino a tutta la metà del XIX secolo, sono ormaiperennemente occupate da turisti che le raggiungono con mezzi nautici. Per-tanto, a causa del disturbo antropico, la foca monaca è stata obbligata a cam-biare il proprio modo di vita, diventando una specie legata alle coste rocciose ealle grotte marine. Questo pinnipede è l’unica foca del Mediterraneo. Lungo cir-ca 280 cm, può raggiungere il peso di circa 350 kg. Alla nascita, i cuccioli misu-rano circa un metro e pesano una ventina di chili. Essi sono completamenteneri e coperti dal sottopelo, che invece è quasi del tutto assente nell’adulto.L’alimentazione della foca monaca consiste di pesci (murene, dentici, spigole,saraghi, cefali, anguille, triglie, ecc.), grossi crostacei (gamberi, aragoste) e mol-luschi (polpi, seppie, bivalvi). La ricerca del cibo viene facilitata dalla presenzadi numerose e lunghe vibrisse con cui il predatore avverte la presenza degli ani-mali tra la sabbia e le rocce del fondale. Una foca adulta cattura in media quat-tro prede al giorno, ingerendo un peso complessivo di circa 10 kg di cibo.Nei secoli passati, l’areale della foca monaca si estendeva dalla costa atlanti-ca del Nordafrica (dove oggi vive la maggior parte degli individui) fino al MarNero. Nel Mediterraneo, i nuclei più consistenti sono rimasti nel Mar Egeo, trala Grecia e la Turchia, dove vivrebbero circa 200-300 individui. Una certa quo-ta di essi si trova nelle isole greche del Mar Ionio. Probabilmente, è proprio daqueste isole che proviene l’individuo osservato nell’estate del 2001 presso lacosta di Policoro in Basilicata. Ciò non deve stupire, perché le giovani fochemostrano una tendenza alla vita erratica, una fase esplorativa durante la qualecolonizzano nuovi territori e mantengono unito il flusso genico delle popolazio-ni. Divenute adulte, si comportano in maniera più sedentaria e territoriale. Lealtre segnalazioni sicure raccolte negli ultimi dieci anni lungo le coste italianesono comunque scarse e riguardano tutte la Sardegna (Golfo di Orosei, Tavo-lara, Capo Caccia). La presenza di grotte marine in quest’isola spiega lasopravvivenza della specie in quest’area, dove può ancora riprodursi. Senzadubbio, la foca monaca era molto più comune lungo le coste italiane nelledecadi passate: ciò viene attestato anche dai toponimi che riportano i nomivernacolari con cui i pescatori chiamavano questo animale: “bue marino” e“vacca marina”.Senza dubbio, la foca monaca è oggi il mammifero più minacciato della faunaitaliana. Oltre al disturbo provocato dal turismo balneare e dalla motonautica,questa specie viene spesso uccisa dai pescatori che la accusano di rubare ipesci dalle loro reti e di danneggiare le stesse. Nonostante la protezione lega-le di cui gode in tutti i paesi, la foca monaca sta diventando sempre più rara intutto il suo areale.

loro densità, evitando che la vegetazione sia sottoposta a stress periodiciaccompagnati dalla morte degli erbivori stessi per inedia.La foca monaca (Monachus monachus) è un consumatore secondario cheopera nelle catene trofiche marine. Tuttavia, questa specie non può fare ameno della terraferma che rappresenta per essa un rifugio essenziale per ilriposo, la termoregolazione e l’allevamento dei cuccioli. Attualmente, i pochis-simi individui rimasti di questa specie sopravvivono nei mari della Sardegna etrovano rifugio nelle grotte localizzate lungo le coste rocciose. All’interno diqueste grotte, su piccole spiagge o banchine di roccia emersa, le ultime foche

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Foca monaca (Monachus monachus) fotografata in una grotta della Sardegna

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Mentre i fondi sabbiosi e fangosi sono abitati da organismi che vivono per lopiù rintanati sotto la superficie del sedimento, invisibili ad un osservatoresubacqueo, i fondi rocciosi sono coperti da un paesaggio vivente di organi-smi ben visibili. A differenza di quanto avviene a terra, gli elementi del pae-saggio non sono solo vegetali: sulle rocce sommerse vivono anche animalisessili, attaccati al substrato. Le alghe, così come le piante a terra, vivonosfruttando l’energia solare grazie alla fotosintesi. Gli animali sessili possonofare lo stesso grazie a microscopici organismi simbionti fotosintetici, ma, piùspesso, essi catturano particelle di sostanza organica o piccoli organismisospesi nell’acqua. Le possibilità di sostentamento dei viventi, quindi, dipen-dono sia dalla disponibilità di luce (importante per i fotosintetici), sia dall’ap-porto di nutrimento dovuto al movimento dell’acqua (importante per gli ani-mali). La rilevanza relativa di questi due fattori determina la distribuzione degliorganismi. L’intensità luminosa è massima vicino alla superficie e diminuiscecon la profondità, finché diventa talmente debole da non sostenere più lafotosintesi. La torbidità dell’acqua determina la penetrazione della luce:acque limpide permettono la fotosintesi a profondità maggiori rispetto alleacque torbide. Il movimento dell’acqua dipende dal moto ondoso (in superfi-cie) e dalle correnti. Grazie alla disponibilità di luce, le alghe dominano i fondali rocciosi superfi-ciali. La loro efficienza fisiologica è tale da sopraffare qualunque altra forma divita nella lotta per l’occupazione del substrato. Con l’aumentare della profon-dità l’intensità luminosa si attenua, le alghe perdono efficienza e sono sosti-tuite dalla fauna sessile: si determina quindi una zonazione dei popolamenti.Partendo dalla superficie si possono riconoscere diversi “piani”: suddivisioniverticali dell’ambiente marino con condizioni omogenee o gradualmente sfu-manti fino ad una soglia critica che ne costituisce il limite. In corrispondenzadei limiti di piano si assiste a profondi cambiamenti floro-faunistici. I limiti dipiano sono definiti in termini biologici, e non batimetrici.La zonazione biologica, tuttavia, non è un semplice susseguirsi di popola-menti con la profondità. Quando l’inclinazione della roccia attenua la luce,anche in pochi centimetri d’acqua, le alghe passano il predominio agli anima-li, primi fra tutti le spugne. L’eterogeneità spaziale è dunque la caratteristicaprincipale dei fondi rocciosi.

105Il popolamento sommersoC. NIKE BIANCHI · FERDINANDO BOERO · SIMONETTA FRASCHETTI · CARLA MORRI

L’impressionante scenario di una parete di grandi colonie di Paramuricea clavata (Isole Tremiti, Puglia)

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Le alghe sono divise in tre gruppi principali: verdi, brune, e rosse. Il colore dipen-de dai pigmenti che accompagnano la clorofilla. In teoria, le alghe verdi, avendouna clorofilla simile a quella delle piante terrestri, dovrebbero essere le più super-ficiali, dove la luce solare è intensa. Con l’attenuarsi della luce, poi, dovrebberodominare le alghe brune e, infine, le rosse. Questa sequenza non corrispondealla realtà. Alcune alghe verdi sono abbondanti in superficie, come la nota lattu-ga di mare Ulva rigida. Il loro rigoglio, però, è legato alla presenza di apporti diacque dolci ricche di nutrienti. Sono le alghe brune a dominare i fondi pocoprofondi. Altre alghe verdi, come Halimeda e Codium, si trovano a maggioreprofondità, con luce meno intensa. Le alghe rosse, poi, contraddicono tutte leregole sulla distribuzione: è vero che in genere prediligono ambienti con luceattenuata, ma molte specie vivono presso la superficie o a bassa profondità. Poriferi, cnidari, briozoi e tunicati sono gli animali sessili che, con le alghe,contribuiscono a formare il paesaggio delle scogliere sommerse. Sono spessocoloniali, e la riproduzione asessuale li fa crescere rapidamente e li rende com-petitivi per l’occupazione del substrato. Ad essi si affiancano i serpulidi (poli-cheti tubicoli), i crostacei cirripedi e alcuni molluschi sessili come i vermetidi, imitili, le ostriche e gli spondili. In queste foreste di piante e animali circolanopoi gli organismi che corrispondono alla comune idea di animale: la faunavagile e natante. I pesci, innanzitutto, e poi i crostacei, come aragoste, gam-beri, granchi e molti altri, i molluschi gasteropodi, i vermi e gli echinodermi: ric-ci e stelle di mare, ma anche oloturie, ofiure e gigli di mare.

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Appena la luce si attenua, anche a bassissima profondità, le alghe vengono sostituite dagli animali. Oltrealle spugne arancioni, spiccano le colonie (molto simili ad alghe) degli idroidi (Eudendrium racemosum)

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Se i popolamenti algali, fotofili o sciafi-li, ci dicono con le loro distribuzioniquali siano le condizioni prevalenti diilluminazione, alcuni animali a coloniaplanare (idroidi e gorgonie) ci indicanole condizioni medie dell’idrodinami-smo. Gli strapiombi infralitorali appenaombreggiati sono caratterizzati daalghe rosse miste a idroidi piumosi delgenere Aglaophenia. Il movimento del-l’acqua, in superficie, è turbolento e le“piume” di Aglaophenia, per catturare ilcibo sfruttando il flusso d’acqua, sonoorientate in tutte le direzioni, perché datutte le direzioni arriva, appunto, il cibo.Quando, con l’aumentare della profon-dità, l’idrodinamismo passa da turbo-lento a oscillatorio, le Aglaophenia siorientano parallelamente alla superficiedel mare, in modo da essere attraver-sate perpendicolarmente dall’acqua inmovimento. Questo passaggio da mototurbolento a moto oscillatorio identificala prima profondità critica e ha unagrande importanza nel determinare gli

Le profondità critiche Ferdinando Boero · Simonetta Fraschetti

2.5 H

0.5 L

1ª profondità critica

2ª profondità critica

L

H

Schema del cambiamento del movimento dell'acqua secondo la profondità lungo una falesiarocciosa sommersa. Le profondità critiche dipendono dai parametri del moto ondoso (L = lun-ghezza d'onda, H = ampiezza d'onda).

apporti di cibo e gli stress meccanici.Anche le gorgonie si dispongono per-pendicolarmente al flusso dell’acqua, alfine di intercettare il massimo di nutri-mento. L’orientamento dei loro ventagliindica la direzione prevalente del movi-mento dell’acqua. Al di sotto della primaprofondità critica i ventagli delle gorgo-nie sono orientati parallelamente allasuperficie, come quelli delle Aglaophe-nia. Al crescere della profondità, però, ilmovimento oscillatorio diventa lineare. Ilpunto di passaggio identifica la secon-da profondità critica ed è reso evidentedal cambiamento di orientazione dellegorgonie che, da parallela alla superfi-cie, diventa ad essa perpendicolare.Quanto più profonde sono le profon-dità critiche, tanto più un determinatotratto di costa è esposto alle mareggia-te. Guardando la disposizione dellecolonie piumose è possibile capire lecondizioni ambientali medie cui sonosottoposti gli organismi in archi tempo-rali molto lunghi.

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Piattaforma di abrasione posta ad 1-2 m slm, caratterizzata dalla presenza di vaschette spessocoalescenti; il rapporto diametro/profondità è alto (pari a 5-10). La corrosione della roccia calcarea èfavorita dalla presenza di frammenti di posidonia all’interno delle vaschette (Golfo di Orosei, Sardegna)

■ La zona degli spruzzi

Il “piano sopralitorale” è la fascia emersa raggiunta dagli spruzzi, un ecotonotra terra e mare, un ambiente di transizione in cui vivono solo pochi organismispecializzati, con affinità sia terrestri sia marine. Nella parte superiore delsopralitorale, al limite con l’ambiente terrestre, si osservano licheni nerastri(Verrucaria adriatica su rocce calcaree e V. amphibia su rocce silicee), simili achiazze di catrame. Le alghe, eccetto alcune forme microscopiche, sonoassenti a causa dell’influenza marina dell’aerosol salmastro originato daglispruzzi delle onde, sufficiente a inibire le piante terrestri e troppo debole perpermettere l’instaurarsi di una vegetazione marina. È presente, però, unafascia di microorganismi di colore nerastro, noti come alghe azzurre o cianofi-cee o cianobatteri.Un tipico animale sopralitorale è Fucelia maritima, un dittero simile allemosche, da cui si distingue perché, a riposo, le ali si ripiegano una sull’altra,anziché rimanere divaricate. Il crostaceo isopode Ligia italica, che si muovesulle rocce completamente all’asciutto, è più affine ai rappresentanti terrestridi questo ordine (i cosiddetti porcellini di terra) che non a quelli marini. Il primoanimale marino del sopralitorale è Littorina (Melaraphe) neritoides, un piccologasteropode con conchiglia bruno-nerastra che si accalca presso fenditure edasperità della roccia, dove si conserva l’umidità.

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I cianobatteri, impropriamente detti “alghe azzurre”, formano una fascia nerastra sulla roccia sopralitorale

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■ Le pozze di scogliera

Le pozze di scogliera sono un peculiare ambiente del piano sopralitorale: rac-colte d’acqua salsa non connesse col mare e riempite da mareggiate e piog-ge. Le variazioni di salinità e temperatura sono estreme e, in estate, le pozzepossono prosciugarsi completamente. Il popolamento è rarefatto e specializ-zato: la fauna comprende forme ad affinità terrestre, come alcuni coleotteriidrenidi del genere Ochthebius, e ad affinità marina come copepodi arpatticoi-di del genere Tigriopus. Il dittero culicide Aedes mariae trascorre parte del ciclo biologico nelle pozzedi scogliera. Le larve abitano a migliaia le pozze elevate, dove l’acqua raggiun-ge alti valori di temperatura e salinità e, all’inizio dell’estate, prima che le poz-ze si prosciughino, si trasformano in moleste zanzare.Le pozze di scogliera sono ambienti effimeri e gli organismi che le abitanodevono essere in grado, quando il loro habitat scompare, di spostarsi in altriambienti (come sanno fare gli insetti) o di entrare in uno stato di quiescenza,incistandosi (come sanno fare i copepodi). Quando le piogge o le mareggiatericostituiscono l’habitat scomparso, la vita ritorna a proliferare.

■ Tra onde e maree

Il piano mediolitorale è caratterizzato dall’alternarsi di emersione e sommer-sione a causa di moto ondoso, maree e variazioni barometriche. I popolamen-ti sono ad affinità marina, capaci di tollerare emersioni prolungate.È l’ambiente prediletto dagli ecologi sperimentali, soprattutto dove l’escursio-ne di marea è ampia. Durante la bassa marea è possibile manipolare le situa-zioni naturali, per verificare la validità di ipotesi riguardanti, ad esempio, il ruo-lo dell’attività brucatoria delle patelle nel condizionare lo sviluppo dei feltrialgali. La semplicità dei popolamenti e l’accessibilità hanno permesso innume-revoli ricerche, e molti paradigmi dell’ecologia moderna derivano da esperi-menti compiuti nel mediolitorale.Come ogni medaglia, questa condizione favorevole ha il suo rovescio. Gliorganismi del mediolitorale sono diversi da quelli che vivono sempre som-mersi e, probabilmente, rappresentano casi estremi di adattamento. Adesempio, nel mediolitorale sono rari gli animali coloniali, che dominano inve-ce nell’ambiente sommerso. Alcune idee generali suggerite dall’ecologia delmediolitorale potrebbero essere il frutto di condizioni particolari e avere benpoco di generale.Il piano mediolitorale si distingue in mediolitorale superiore, decisamente al disopra del livello medio del mare, e mediolitorale inferiore, prevalentemente aldi sotto di esso.

110 ■ La fascia a ctamali

Nel mediolitorale superiore dominano gli ctamali: crostacei cirripedi sessili, noticol nome di denti di cane, protetti da carapaci calcarei simili a quelli dei mollu-schi. I primi ctamali compaiono verso il limite inferiore del piano sopralitorale,con Euraphia depressa. Le due specie mediolitorali Chthamalus stellatus e C.montagui possono essere così abbondanti da formare ampie fasce, grazie algregarismo (le larve si insediano dove già ci sono gli adulti). Le tre specie di cta-mali si riconoscono per dettagli del carapace (mantello), sempre grigio-bianca-stro o bruno chiaro. Dall’apertura possono sporgere le zampe che, come in tut-ti i cirripedi, sono trasformate in cirri per la cattura del plancton.La distribuzione degli ctamali fornisce indicazioni sull’esposizione media di unacosta alle mareggiate, anche in condizioni di mare calmo. Se gli ctamali si spin-gono molto in alto rispetto alla battigia, la zona è esposta a forti mareggiate; se,invece, gli ctamali non si allontanano molto dalla battigia, la costa è riparata.

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I denti di cane del genere Chthamalus sono tipici del mediolitorale

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■ Le prime cinture algali

In particolari situazioni (salinità variabile, eutrofizzazione), le alghe possonoabbondare, con forme filamentose come Bangia (rodofita) ed Enteromorpha(clorofita), già nel mediolitorale superiore; ma è nella porzione inferiore del pia-no che diventano predominanti, soprattutto con specie di consistenza mucilla-ginosa. La mucillagine è una difesa contro il disseccamento.Una delle più comuni specie del mediolitorale inferiore è la rodoficea Nemalionhelminthoides, volgarmente chiamata spaghetti di mare. Una caratteristica diquesti popolamenti algali è la disposizione in fasce abbastanza regolari, paral-lele alla linea di riva. Si parla infatti di “cinture” e di “orizzonti”. Rissoella verru-culosa, una rodoficea frondosa, forma una caratteristica cintura, cui può seguir-ne una di Ralfsia verrucosa, una feoficea incrostante. I popolamenti algali delmediolitorale presentano massimo sviluppo in primavera. Con l’arrivo dell’esta-te, le temperature più elevate ed il tempo più asciutto determinano situazioninon ottimali per queste alghe: le popolazioni si riducono fin quasi a scomparire.All’inizio dell’estate la cintura di Rissoella verruculosa già appare disidratata estinta. Nell’orizzonte sottostante la roccia sembra addirittura nuda.Nell’orizzonte più basso del mediolitorale si osservano le incrostazioni dell’al-ga rossa corallinacea Lithophyllum byssoides. In condizioni adeguate, su costebattute, il tallo calcificato di quest’alga può formare ampie cornici che possonoanche reggere il peso di una persona e vengono dette “marciapiedi”. Le con-

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L’alga rossa Nemalion helminthoides, talvolta chiamata “spaghetti di mare”

crezioni di L. byssoides albergano una ricchissima ma minuta faunula, tra cuisono caratteristici il bivalve Lasaea rubra, dalla piccola conchiglia rossa e tra-sparente, ed il polichete Spirorbis infundibulum, vivente in un tubo calcareoirregolarmente spiralato. Nell’Adriatico settentrionale, il mediolitorale inferiorepuò essere occupato da una cintura a Fucus virsoides, una specie endemicadel Nord Adriatico, a sottolineare le affinità tra tale zona e l’Atlantico settentrio-nale. F. virsoides, popolarmente detto quercia marina, si può osservare adesempio nella Riserva Marina di Miramare presso Trieste, e ne costituisce laprincipale emergenza naturalistica.Nel mediolitorale inferiore vivono essenzialmente animali vagili, come i mollu-schi gasteropodi del genere Patella, che raschiano la patina algale che coprele rocce; col loro pascolo le patelle controllano i primi stadi delle comunitàalgali, determinandone la dinamica. Ciascuna specie di Patella preferisce undeterminato orizzonte. La patella punteggiata (Patella rustica) vive più “in alto”,spingendosi anche nel sopralitorale. La patella rugosa (Patella ulyssiponensis),dalla conchiglia appiattita bianco verdastra, vive in ambito più strettamentemediolitorale. La grossa patella ferrosa (Patella ferruginea), con conchiglia acoste evidenti e bordo dentellato, è rara, presente soprattutto sulle coste del-le isole del Tirreno centrale. La patella comune (Patella caerulea), infine, pre-dilige la frangia infralitorale, ha conchiglia da circolare a irregolarmente penta-gonale, grigio bruna, sovente ricoperta da un feltro di alghe. Le specie delgenere Diodora sono simili a patelle, ma hanno un foro all’apice della conchi-

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Spugna rossa (Crambe crambe) e idroidi a piuma (Aglaophenia octodonta) con strutture riproduttive (corbule)

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glia. Altri gasteropodi, oltre a patelle e diodore, frequentano il mediolitorale: traquesti, gli appartenenti ai generi Osilinus e Gibbula, noti rispettivamente con inomi di cornetti e di trottole. Sempre tra i molluschi, alcuni chitoni prediligonoquest’ambiente. La loro conchiglia è costituita da piastre articolate tra loro, dacui il nome della classe: poliplacofori. Frequentatori del mediolitorale sono anche due granchi. Il granchio corridorePachygrapsus marmoratus ha carapace quadrangolare, generalmente verda-stro o bruno-violaceo, con macchie irregolari giallognole. Compie escursioni ascopo alimentare fin nel piano sopralitorale, rimanendo anche a lungo fuoridall’acqua. Il favollo Eriphia verrucosa è di colore arancione o bruno-verdastro,con le punte delle chele di colore nero. Si può osservare all’asciutto meno fre-quentemente del granchio corridore.Tra gli invertebrati sessili del limite inferiore del mediolitorale è da ricordare Acti-

nia equina, il pomodoro di mare. Il nome volgare deriva dal colore rosso e dal fat-to che durante il giorno è quasi sempre contratta, assumendo forma sferica.Comune nei mari italiani, è abbondante in Adriatico. La congenere A. cari, chesulla scogliera può trovarsi un po’ più in alto, è verde bruno con linee concentri-che brune e, contratta, assume forma conica. Paracoryne huvei è un idroide concolonie incrostanti, resistenti all’ondazione. In inverno, può in certi anni formaregrosse chiazze rosa sugli scogli battuti dalle onde, mentre in estate scompare,trasformandosi in cisti che possono restare quiescenti per molti anni.

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frangia infralitorale

alghe fotofile

posidonie

coralligenocircalitorale

infralitorale

mediolitorale superiore mediolitorale inferiore

adlitorale sopralitorale

Schema della zonazione verticale dei popolamenti sulle coste rocciose mediterranee

■ Le pozze di marea

Le pozze di marea sono piccole raccolte d’acqua tra gli scogli mediolitorali,ma, a differenza dalle pozze del sopralitorale, sono permanenti. Possono subi-re variazioni di temperatura e salinità durante la bassa marea, in conseguenzadella pioggia o, al contrario, a forte insolazione. Pur vivendo nel mediolitorale,gli organismi che le abitano non sono soggetti all’alternanza di emersione edimmersione. La flora e la fauna hanno affinità con quelle dell’infralitorale, matollerano forti variazioni ambientali. Vi si trovano diversi piccoli molluschi (adesempio Columbella rustica), gamberetti del genere Palaemon e piccoli pesci,soprattutto blennidi (le bavose). Le pozze di marea possono essere ricoperteda feltri algali o, quando gli scambi col mare sono molto intensi, da alghe eret-te (ad esempio Ulva).

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Il minuscolo gamberetto Periclimenes sagittifer

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■ Una frangia di transizione

Subito sotto al mediolitorale si sviluppa il piano infralitorale, con popolamentiesclusivamente marini. Il limite inferiore è convenzionalmente fissato al limiteprofondo di proliferazione delle alghe cosiddette fotofile (amanti di illuminazio-ne intensa). Si tratta di un ambiente condizionato dalla penetrazione della luce.In acque limpide può giungere ad una quarantina di metri, in acque più torbidepuò situarsi anche a meno di 20 m di profondità.La porzione più superficiale dell’infralitorale, detta frangia infralitorale, risentedi occasionali emersioni e presenta caratteri di transizione. La frangia puòestendersi in profondità per un paio di metri al massimo, è occasionalmenteemersa e, pertanto, da un lato si presta alla colonizzazione di organismi adaffinità mediolitorale, dall’altro determina l’esclusione di alcune specie infrali-torali. Per definire il confine tra mediolitorale ed infralitorale non si utilizzanocriteri batimetrici (ad esempio, lo “zero di marea”), ma criteri biologici. Lo “zerobiologico” è il livello più alto dove compaiono rappresentanti di generi algaliinfralitorali, come Cystoseira. Tra le specie della frangia vi sono C. amentacea,C. compressa e C. barbata, con ricche ma poco cospicue faune sessili e vagi-li. Le cistoseire sono definite specie costruttrici di habitat, in grado di influen-zare le caratteristiche del substrato attraverso la modificazione dell’intensità diluce, idrodinamismo ed essicazione. Ne consegue che sotto le loro fronde viveun popolamento molto ricco e vario composto da alghe (Corallina, Amphiroa,

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Patelle, mitili e l’alga rossa Corallina elongata possono caratterizzare il confine tra mediolitorale e infralitorale

Valonia, Peyssonnelia) e animali (l’antozoo Corynactis viridis, l’ascidia Diploso-ma listerianum, diversi idroidi e briozoi). In caso di riduzione della frangia aCystoseira, molto sensibile all’impatto antropico, questo popolamento tende ascomparire, lasciando il posto a popolamenti dominati da alghe filamentose.Tra gli animali presenti nella frangia, il mitilo Mytilus galloprovincialis ha unposto d’onore. In ambienti un po’ eutrofici vive nel mediolitorale inferiore per-ché la maggiore ricchezza di nutrimento gli permette di sopravvivere senza fil-trare (anzi, a valve ben chiuse per non disidratarsi) durante i periodi di emer-sione. Preferenzialmente, però, il mitilo è legato all’infralitorale. In condizionifavorevoli, può formare ampie fasce di individui molto ravvicinati tra loro, cui èassociata una faunula particolare. Il cirripede Balanus perforatus può formare dense popolazioni nella frangiainfralitorale o, comunque, nei primissimi metri di profondità. Ha carapaci mas-sicci che, anche vuoti, possono permanere attaccati alla roccia, formandoconcrezioni. Anche l’idroide Halocordyle disticha può proliferare a bassaprofondità, con grandi colonie pennate dai vistosi polipi bianchi. È raro oassente nelle zone più fredde del Mediterraneo, mentre caratterizza le scoglie-re della Penisola Sorrentina. Ben poche sono le specie di pesci che vivono inquesta zona, dove il rischio di restare fuori d’acqua è sempre presente. Si pos-sono ricordare alcune bavose (famiglia blenniidi), bavoselle (famiglia clinidi) epeperoncini (famiglia tripterigidi).

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Appena sotto la superficie, in piena esposizione alla luce, spiccano le fronde dell’alga rossa Laurencia, ilfondo poi scende verticalmente e, in pochi centimetri, la fisionomia dei popolamenti cambia:predominano alghe rosse (Amphiroa e Jania) e verdi (Cladophora) a tallo più basso, spugne arancioni,balani, idroidi a ventaglio (Aglaophenia)

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■ I fondi ad alghe fotofile

I fondi rocciosi infralitorali sono dominati dalle alghe che, spesso, formanopopolamenti esuberanti. Per quanto tutti i principali gruppi di macroalghe par-tecipino ai popolamenti algali fotofili, questi sono caratterizzati, in condizioniottimali, da grandi alghe brune erette, appartenenti ai generi Cystoseira e Sar-gassum. Le specie mediterranee di Cystoseira sono numerosissime e spessopresentano una ripartizione ristretta, tanto che la definizione delle fasce divegetazione sommersa si basa su di esse.Tra le specie più significative si possono menzionare, oltre a quelle già citateper la frangia infralitorale, C. crinita, che predilige zone poco battute nei pri-missimi metri di profondità; C. foeniculacea, a profondità intermedie; C. spino-sa, nella scogliera algosa relativamente profonda; C. zosteroides, la specie diacque più profonde che già prelude a popolamenti ad affinità circalitorale. Trai sargassi, provvisti di espansioni del tallo che assomigliano a foglie e di carat-teristici organi flottanti sferici, Sargassum vulgare è il più comune a bassaprofondità. Altre alghe fotofile comuni si trovano ancora tra le alghe brune,

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La bavosa Parablennius gattorugine

come Padina pavonica, a forma diimbutino biancastro, Stypocaulon sco-parium, dall’aspetto di ispida scopettabruna, e Dictyota dichotoma, dai ciuffiramificati a V con rami appiattiti e daibordi talvolta iridescenti; o tra le algheverdi come Codium vermilara, dal por-tamento a candelabro, Anadyomenestellata, fatta a rosetta e diffusa solonei mari meridionali, o l’ombrellino dimare Acetabularia acetabulum, forma-ta da un sottile stelo che porta all’api-ce un disco raggiato; o addirittura trale alghe rosse, che annoverano tra leforme fotofile i curiosi batuffoli di Janiarubens e le grandi fronde di Sphaero-coccus coronopifolius. Tra le alghe, gli animali sono numerosi,ma poco cospicui: si tratta per lo più diforme epifite, come molti idroidi e brio-zoi, o cavitarie, che vivono nelle anfrat-tuosità basali della vegetazione algale.L’idroide ad affinità tropicale Euden-drium racemosum ha colonie che sem-brano alghe per forma e colore, se nonfosse per i polipi aranciati alla sommitàdelle ramificazioni. Oltre che specie epifite o cavitarie, glianimali dei popolamenti algali com-prendono anche specie vagili: un esem-pio è il crostaceo misidaceo Leptomysismediterranea, che forma sciami tra lefronde di Dictyopteris membranaceaed altre alghe.Gli animali vagili che frequentano ipopolamenti algali possono compren-dere specie di grossa taglia, come imolluschi gasteropodi, sia prosobran-chi sia opistobranchi, e cefalopodi,come il polpo Octopus vulgaris. Tra lestelle marine vi sono Coscinasterias

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La grande alga bruna eretta Sargassum vulgare

L’alga verde Codium vermilara e l’alga brunaStypocaulon scoparium

Padina pavonica con talli a ventaglio, l’alga brunaDictyota e Liagora viscida con ramificazioni rosa

L’alga rossa Sphaerococcus coronopifolius inun popolamento algale fotofilo misto

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tenuispina, inconfondibile per averepiù di cinque braccia (da sei a nove), eMarthasterias glacialis.Tra i pesci dei popolamenti algali sonoda citare i labridi: il tordo comune(Labrus viridis) e il tordo pavone(Symphodus tinca) sono le specie piùcospicue, ma la donzella (Coris julis) ela donzella pavonina (Thalassomapavo), quest’ultima diffusa soprattuttonel meridione, sono vistose per i lorocolori e per la loro mobilità. Moltocomuni sono anche serranidi, comesciarrani (Serranus scriba) e perchie (S.cabrilla), e diversi sparidi, come i sara-ghi (Diplodus sargus, D. vulgaris, D.puntazzo) e le occhiate (Oblada mela-nura). Le salpe (Sarpa salpa) sono tra ipochi pesci erbivori del Mediterraneo etrovano il loro ambiente d’elezione trale alghe fotofile e nelle praterie di posi-donie. Nei mari di Sicilia e Puglia vivel’unico pesce pappagallo mediterra-neo: lo scaro (Sparisoma cretense).Non tutti gli animali cospicui dei popo-lamenti algali sono vagili. Alcuni ani-mali sessili contendono il substratoalle alghe. Si tratta per lo più di spugnee cnidari con microrganismi fotoauto-trofi simbionti. Nel caso delle spugnesono cianobatteri detti zoocianelle: gliesempi più famosi sono Petrosiaficiformis e Chondrilla nucula, cui lezoocianelle conferiscono un colore trail bruno ed il violaceo. I simbionti deglicnidari sono invece alghe unicellulari:le zooxantelle. Possiedono zooxantellel’anemone di mare Anemonia viridis edalcune madrepore, sia coloniali (adesempio, Cladocora caespitosa) siasolitarie (Balanophyllia europaea).

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Il sarago fasciato (Diplodus vulgaris)

La spugna zoocianellata Chondrilla nucula

Alghe brune (Dictyota), spugne oliva (Chondrillanucula), ricci (Arbacia lixula) e un vermocane(Hermodice carunculata)

La madrepora Balanophyllia europaea e laspugna Cliona rhodensis di colore vermiglio

■ I deserti sottomarini

I ricci possono giocare un importanteruolo nel condizionare lo sviluppo dellealghe fotofile. Molti, come Arbacia lixula,nera e dal guscio depresso, sono bruca-tori e, pascolando, possono deprimerelo sviluppo delle popolazioni algali, for-mando veri e propri deserti. Anche Para-centrotus lividus, verdastro, violaceo obruno, e dal guscio globoso, è un ricciobrucatore comune tra le alghe fotofile.Quando la pressione di pascolo è eleva-ta, le alghe erette scompaiono. Soloalcune rodoficee incrostanti a tallo cal-careo, in particolare Lithophyllum incru-stans, possono resistere.Oltre ai ricci ed al leggero strato dialghe calcaree, si possono ritrovarealtri organismi incrostanti difesi dastrutture calcificate (ad esempio brio-zoi, come Reptadeonella violacea eSchizoporella longirostris) o dalla presenza di spicole (ad esempio spugne,come Crambe crambe). L’uomo può contribuire alla desertificazione sottomarina. La pesca del datterodi mare (il bivalve Lithophaga lithophaga), dalla superficie a dieci-quindici metridi profondità, sta cambiando la fisionomia delle scogliere interessate da que-sta pratica criminalmente distruttiva.Lo smantellamento della roccia per estrarre i datteri causa l’eradicazione diogni forma di vita e prelude l’instaurarsi di densissime popolazioni di Arbacia eParacentrotus. I ricci, brucando, contribuiscono al permanere della desertifi-cazione, nutrendosi dei propaguli animali e algali che permetterebbero la rico-lonizzazione del substrato. In certi casi il proliferare dei ricci è legato allasovrappesca costiera che elimina i pesci che li predano. I deserti sottomarinisono un segno di degrado ambientale e di depressione della biodiversità. La desertificazione delle coste potrebbe avere effetti collaterali. Recentemen-te è arrivato in Mediterraneo l’idroide Clytia hummelincki, attualmente presen-te lungo le coste di Calabria e Puglia, proprio nei deserti causati dai ricci. Lemeduse di Clytia hummelincki raggiungono dimensioni notevoli per un’idro-medusa. Le meduse predano larve e uova di pesci: la loro proliferazionepotrebbe avere un effetto negativo sul pescato.

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L’eccessivo pascolo del riccio Arbacia lixuladetermina la scomparsa delle alghe frondoselasciando solo alghe incrostanti calcaree(Lithophyllum incrustans)

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Anche sui fondali rocciosi sommersi,così come sulle coste emerse, è possi-bile incontrare diverse specie originariedi altri mari, installatesi in Mediterraneograzie all’azione volontaria o involonta-ria dell’uomo.Un caso unico per il Mediterraneo è lapresenza del Canale di Suez, che harimesso in diretta comunicazione duemari separati da dieci milioni di anni.Centinaia di specie del Mar Rosso sonocosì penetrate nel Mediterraneo (perragioni idrologiche ed ecologiche il pas-saggio inverso è invece trascurabile).Questa penetrazione di specie vienechiamata “migrazione lessepsiana” dalnome dell’ingegnere Ferdinand de Les-seps, il diplomatico francese che pro-mosse il taglio del Canale di Suez. Quasinon passa giorno senza che vengasegnalato l’ingresso in Mediterraneo diuna ulteriore specie lessepsiana, cosic-ché la flora e la fauna del Mediterraneoorientale stanno acquisendo una sempremaggiore affinità tropicale; molte specielessepsiane hanno raggiunto anche lecoste italiane.Oltre ai migranti lessepsiani, molte altrespecie marine sono state e continua-mente vengono introdotte dall’uomointenzionalmente o accidentalmente:tramite il fouling delle navi, le acque dizavorra, l’acquicoltura, il commercio diesche vive, l’imballaggio di alimenti mari-ni con alghe viventi, l’acquariologia.Così come accade in ambiente terrestre,le specie esotiche si possono acclimata-re e naturalizzare, giungendo a soppian-tare le specie indigene e, attraverso l’al-terazione delle catene alimentari e dellerelazioni interspecifiche, indurre profon-de modificazioni negli ecosistemi origi-nali. Per quanto ne sappiamo, la mag-gior parte di queste introduzioni è avve-nuta negli ultimissimi decenni. Tuttavia,non sappiamo quanto importante siastata l’introduzione accidentale di speciein epoche storiche. Ancor prima dell’Era

Cristiana, i Greci viaggiarono forse finoin Islanda, i Fenici circumnavigarono l’A-frica e i Cartaginesi forse raggiunsero leisole dell’Atlantico, il Brasile e le Maldive.Con la scoperta dell’America, migliaia digaleoni spagnoli incominciarono a fareregolarmente la spola attraverso l’Atlan-tico. Le navi dei tempi antichi avevanocarene di legno e non utilizzavano verni-ci antifouling. Esse si ancoravano in baiecon una vita marina ricca e diversificata,non in porti inquinati come oggi. Quantespecie marine queste navi hanno tra-sportato con loro? Quante specie esoti-che furono accidentalmente introdottein Mediterraneo a quell’epoca e si sonosuccessivamente naturalizzate? Siamoben consci di questo fenomeno sullaterraferma (molti degli animali e pianteche attualmente vivono in Italia sono diorigine esotica), ma tendiamo a sottosti-mare la potenzialità dello stesso feno-meno in mare.Lungo le nostre coste si possono ormaitrovare numerose specie marine esoti-che, appartenenti a quasi tutti i tipivegetali ed animali. Un caso emblemati-co tra le alghe è quello di Caulerpa. InMediterraneo, tale genere algale erarappresentato fino a pochi anni fa da unpaio di specie, la principale delle quali èC. prolifera.A partire dagli anni ’80, una specie di ori-gine tropicale sfuggita dalle vasche del-l’Acquario di Monaco, C. taxifolia,cominciò ad invadere le coste francesi eliguri, ricoprendo i fondali, soppiantandomolte altre specie ed alterando le catenealimentari, tanto da aver fatto nascerel’espressione, in verità piuttosto infelice,di “alga assassina”. Essa è ora abbon-dante in diversi punti del Mediterraneooccidentale, dalle Baleari alla Sicilia. Nelfrattempo, un’altra Caulerpa era pene-trata dal Mar Rosso attraverso il Canaledi Suez: C. racemosa.Mentre i media dedicavano tanta atten-zione all’alga assassina, questa sua con-

Specie esotiche marine 123

sorella lessepsiana invadeva alla cheti-chella tutto il Mediterraneo orientale.Oggi è comune lungo molte delle costeitaliane, comprese quelle occidentali. InMar Ligure, le due caulerpe esotichesono giunte a contatto, entrando in com-petizione: e sembra che non sia l’algaassassina a mostrare comportamentopiù aggressivo, ma l’altra!Tra gli animali marini esotici, vale invecela pena di raccontare il caso davverosingolare di Oculina patagonica. Si trattadi una madrepora coloniale, provvista dizooxantelle simbionti e capace di bioco-struzione: insomma, qualcosa di abba-stanza simile alle specie che formano lescogliere coralline. A prima vista asso-miglia un poco alla nostrana Cladocoracaespitosa. Nessuno avrebbe potutocredere che un corallo potesse essere

trasportato passivamente tra il fouling diuna nave! Eppure, nel 1966, una grandecolonia di questa specie veniva acci-dentalmente scoperta presso il Porto diSavona. In anni successivi, vennerosegnalate ulteriori stazioni di questaspecie in Mar Ligure, nonché in altripunti del Mediterraneo: oggi è partico-larmente abbondante nel sud della Spa-gna ed in Israele. La cosa più notevole èche prima del suo ritrovamento pressoSavona la specie non era mai stataosservata viva. Era stata infatti descrittanel 1908 su esemplari subfossili raccoltiin Argentina, ma da allora nessuno l’hamai rinvenuta sui fondali marini argenti-ni. Sarebbe un paradosso se una specieormai divenuta abbondante nel Mediter-raneo fosse nel frattempo scomparsadalla sua patria d’origine.

Carlo Nike Bianchi · Carla Morri

L’alga verde invasiva Caulerpa taxifolia

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Flabellina affinis (in primo piano) e F. ischitana, due colorate specie di molluschi nudibranchi

■ Le zone in ombra, gli anfratti e le grotte

Basta una cresta di roccia, un piccolo anfratto e, nel passare dalla luce all’om-bra, il colore verde-brunastro degli habitat ad alghe fotofile si perde nel giro dipochi centimetri, con un netto cambiamento cromatico. I colori diventanointensi: il giallo dell’antozoo Parazoanthus axinellae o del porifero Clathrinaclathrus, il rosso della spugna Spirastrella cunctatrix, l’arancione del briozooReteporella, il nero delle spugne cornee Spongia e Ircinia, il blu della spugnaForbas tenacior. Numerosi sono anche gli idroidi, come Eudendrium armatum,simile ad alberelli a testa in giù. Negli anfratti trovano rifugio numerosi pesci,dai saraghi alle cernie, e crostacei decapodi come magnose (Scyllarides latus)e magnoselle (Scyllarus arctus).Le grotte marine sono popolate da organismi riscontrabili negli anfratti e sonoall’estremo opposto delle rocce a dolce degrado e fortemente soleggiate,regno delle alghe fotofile. Anche se ogni grotta è un microcosmo originale edirripetibile, le biocenosi cavernicole sono molto caratteristiche e presentanouna zonazione orizzontale ricorrente.In pochi metri, una grotta riproduce effetti sulla penetrazione della luce che,sui fondali esterni, si diluiscono su decine e anche centinaia di metri. A secon-da della conformazione delle grotte, infatti, si può passare dalla penombra del-l’ingresso al buio assoluto di una camera laterale. I vegetali sono rappresenta-ti da poche specie di alghe rosse e dall’alga verde Palmophyllum crassum,

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Il briozoo Reteporella septentrionalis, detto “trina di mare” o “trina di Nettuno”

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presenti solo fino a pochi metri dall’imboccatura, poi la vita è soltanto anima-le. Venuto a mancare l’apporto della luce, è il movimento dell’acqua a portareenergia dentro le grotte, sotto forma di plancton e sostanza organica particel-lata o disciolta. I filtratori sessili dominano le pareti delle grotte. I tetti delleimboccature, dove la luce è scarsa e il ricambio è forte, sono il regno degliidroidi. Le colonie di Eudendrium armatum assomigliano a minuscole querce,dai rami che si estendono in un piano principale, attraversato dall’acqua inmovimento. Anche il corallo rosso (Corallium rubrum) si può trovare all’imboc-catura di grotte e anfratti. Si tratta di piccole colonie di scarso valore commer-ciale. L’Italia è il centro della lavorazione mondiale del corallo e tutti i “giaci-menti” del prezioso antozoo sono stati ampiamente sfruttati nel passato, tan-to da rendere il corallo rosso una specie difficile da trovare a profondità acces-sibili ai subacquei.Nelle parti più interne delle grotte si trovano altri antozoi, come i madreporariCaryophyllia smithi e Leptopsammia pruvoti. Idroidi e antozoi hanno tentacoliarmati di cnidocisti con cui catturano le prede portate dalle correnti: sono,quindi, filtratori passivi e, per ottenere sufficiente nutrimento, hanno bisogno digrande ricambio d’acqua attorno alle loro colonie. È per questo che sonoabbondanti alle imboccature delle grotte dove anche un debole movimentodell’acqua viene amplificato. Gli idroidi si spingono fino a un certo punto all’in-terno delle grotte e il limite della loro distribuzione segna il limite di efficienzadel trasporto di nutrimento da parte delle correnti. Altri antozoi, con polipi di

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Particolare di rami di corallo rosso (Corallium rubrum) con i polipi espansi

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I biocostruttori costruiscono formazionisolide che innalzano il fondale marino.Essi edificano “da vivi”, anche se leloro costruzioni sono vive solo nelleparti apicali. Una biocostruzione iniziacon l’insediamento di un gruppo diindividui sessili, coloniali o gregari, cheproducono scheletri massivi, di solitodi carbonato di calcio. Quando il primostrato di organismi muore, sugli sche-letri si insedia un secondo strato.Quando anche questo strato muore, sisovrappone al primo, e sugli scheletrisi insedia un terzo strato. E poi unquarto, un quinto, e la costruzione pro-cede, per centinaia, migliaia di anni.Altre specie vivono negli spazi tra glischeletri, cementandoli.Le biocostruzioni più note sono le sco-gliere coralline tropicali. Formazionisimili, in Mediterraneo, sono prodottesolo in profondità dai coralli bianchiLophelia pertusa e Madrepora oculata. Ipescatori a strascico ben conoscono leloro scogliere perché possono provoca-re la perdita della rete. Nei mari del nord,le formazioni di coralli bianchi possonoarrivare a spessori di ottanta metri!Altri organismi biocostruttori si trovanotra le alghe corallinacee, i molluschivermetidi, i briozoi, i crostacei cirripedied i policheti serpulidi. Le biocostruzio-ni del Mediterraneo sono monospecifi-che o tutt’al più oligospecifiche, perquanto riguarda le specie responsabilidella loro edificazione. Da questo pun-to di vista, il Mediterraneo si conformaalla regola empirica secondo la quale ladiversità dei biocostruttori decrescepassando dalla fascia intertropicalealle maggiori latitudini. Le principali biocostruzioni presenti suifondali rocciosi mediterranei sono:1. I marciapiedi mediolitorali formatidall’alga corallinacea Lithophyllumbyssoides.2. Le piattaforme calcaree del mollu-sco vermetide Dendropoma petraeum,

estese nella frangia infralitorale,soprattutto lungo le coste più meridio-nali del nostro paese.3. Le cornici infralitorali del cirripedeBalanus perforatus.4. Le incrostazioni infralitorali dellealghe corallinacee Corallina elongata eLithophyllum incrustans.5. Le formazioni di tre specie infralito-rali di coralli mediterranei, forniti dizooxantelle simbionti: Cladocora cae-spitosa, Madracis pharensis e Oculinapatagonica. C. caespitosa ha tassi dicalcificazione comparabili a quelli dimolti coralli biocostruttori tropicali epuò formare banchi spessi un metro opiù ed estesi per decine di metri. 6. Le formazioni coralligene del circali-torale, formate principalmente da co-rallinacee (Mesophyllum lichenoides,Lithophyllum stictaeforme e Neogonio-lithon brassica-florida), presentano duetipologie: il coralligeno di falesia, che sisviluppa sulle pareti rocciose profonde,e il coralligeno di piattaforma, che si svi-luppa su substrato orizzontale.

I biocostruttori Carlo Nike Bianchi · Carla Morri

Fondale a bassa profondità, con dominanza dialghe rosse corallinacee

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Molti animali marini svolgono un’azio-ne meccanica di erosione sulle struttu-re biocostruite ed alcuni hanno lacapacità di corrodere chimicamente(con l’emissione di acidi) anche le roc-ce calcaree.I più importanti biodemolitori scavanonella massa carbonatica e sono detti“perforanti”. Probabilmente non sonobuoni competitori per l’occupazionedel substrato e non possono prolifera-re sulla superficie delle rocce.Per sfuggire alla competizione si com-portano come gli animali che si infos-sano nei fondi molli, solo che, invecedi scavare nella sabbia o nel fango,scavano nella roccia. La loro azionerende le scogliere e le biocostruzionimeno resistenti all’azione demolitricedel moto ondoso e può facilitare l’ero-sione marina delle coste. I maggiori organismi perforanti sonospugne (soprattutto clionidi), policheti(spionidi ed altri) e molluschi (special-mente bivalvi dei generi Lithophaga,Gastrochaena, ecc.).Il dattero di mare (Lithophaga lithopha-ga) perfora soprattutto substrati verti-cali o strapiombanti, mentre Gastro-chaena dubia perfora substrati debol-mente inclinati. Il dattero bianco (Pho-las dactylus), assai diffuso in AltoAdriatico, perfora meccanicamente lerocce tenere.I clionidi comprendono numerose spe-cie dai colori sgargianti (bruno, giallo,arancione, rosso, lilla, verdastro),capaci di combinare perforazionemeccanica e chimica.Il ruolo dei clionidi nel delicato equili-brio tra edificazione e distruzione delcoralligeno è importante e non com-prende solo l’azione distruttiva, arri-vando talvolta a promuovere la bioco-struzione.Cliona nigricans, ad esempio, è unavoluminosa specie dal colore variabileda giallo-grigiastro a verde scuro, ed è

una delle poche spugne zooxantellate(la maggior parte delle spugne ospitazoocianelle). Vive fino a cinquantametri di profondità ed è attiva anche incerti fondi biodetritici, dove attaccaframmenti di roccia e noduli di alghecorallinacee.Dalla forma α, attivamente perforante,che si accresce in camere dentro lamassa calcarea, rimanendo quasi invi-sibile da fuori, C. nigricans, come mol-te altre specie dello stesso genere,può evolvere nella forma β, che fuorie-sce in parte all’esterno, formandopapille più o meno vistose e, infine,raggiunge la forma γ, con cui inglobaframmenti calcarei sciolti all’internodel suo stesso corpo, creando un sub-strato biogeno più stabile e più grossoper numerosi altri organismi sessili.Quando è abbondante, essa produceuna continuità di substrato durosecondario, tale da ricreare un fondaledi tipo coralligeno: il più terribile deibiodistruttori diventa un biocostruttore!

I biodemolitori Ferdinando Boero · Simonetta Fraschetti

Spugne perforanti (Cliona celata), alghe rosseincrostanti (Lithophyllum) ed erette(Laurencia), e ricci di mare (Arbacia lixula)a 1 m di profondità

maggiori dimensioni, possono spingersi a maggiori distanze dall’imboccatura.Se il movimento dell’acqua diminuisce a mano a mano che si procede verso ilfondo della grotta, come possono sopravvivere i grandi antozoi? La risposta è:misidacei. Si tratta di crostacei simili a gamberetti. Alcuni, come Siriella eHemimysis, sono assidui frequentatori delle grotte e compiono migrazioni nic-temerali: di giorno penetrano in grandi sciami nelle grotte, per poi usciredurante la notte, in cerca di cibo. Con questo comportamento prelevano ener-gia all’esterno e la portano verso l’interno, dove diventano preda dei grossi fil-tratori passivi come anemoni e Cerianthus. Oltre ad essere prede, i misidaceisono anche fonte di nutrienti. Le loro deiezioni sono un apporto importante peri filtratori attivi che si nutrono di sostanza organica disciolta o particellata.Mentre i cnidari aspettano che il cibo arrivi sui loro tentacoli, portato dalla cor-rente, i filtratori attivi provocano microcorrenti con cilia o flagelli presenti suiloro apparati filtratori. Sono filtratori attivi, ad esempio, i briozoi come Myriapora truncata, il falsocorallo, le cui colonie rosse e arborescenti ricordano il corallo rosso. I filtrato-ri attivi per eccellenza, veri dominatori delle grotte marine, sono però le spu-gne. Petrosia ficiformis, tanto compatta da essersi meritata un nome che laassimila ad una pietra, abita le grotte dall’imboccatura alle parti più interne.Se la luce è sufficiente alla fotosintesi, ha una colorazione violacea, fornitaledalle zoocianelle simbionti. Quando la luce è troppo fievole o assente, Petro-sia è bianca.L’esplorazione delle grotte marine ha portato al ritrovamento di spugne appar-tenenti a gruppi che si ritenevano estinti. Si tratta di fossili viventi, come Petro-biona massiliana, scoperta nelle grotte della costa francese del Mediterraneo eritrovata poi in molte altre grotte, anche in Italia.Non è infrequente, osservando da vicino le pareti delle grotte, vedere deglialberelli rossi che non sono né coralli né briozoi. Si tratta di protozoi foramini-feri, Miniacina miniacea, che raggiungono alcuni millimetri d’altezza.Per quanto riguarda la fauna vagile, nelle grotte si trovano caratteristici gam-beri come Plesionika narval e Stenopus spinosus e granchi come Dromia per-sonata e Herbstia condyliata, ma sono i pesci a costituire la componente fau-nistica più appariscente e vulnerabile.Molte grotte, ad esempio, sono chiamate “delle corvine” perché un tempoospitavano grossi esemplari di Sciaena umbra. Ormai, purtroppo, delle corvineche abitavano molte grotte italiane è rimasta solo la memoria, così come èrimasta la memoria delle mostelle brune (Phycis blennoides) o dei gronghi(Conger conger). I grossi pesci, comunque, tornano a popolare le grotte sevengono prese adeguate misure di protezione. Piccoli pesci caratteristici dellegrotte sono il pesce cardinale (Apogon imberbis), il ghiozzo leopardo (Thoro-gobius ephippiatus) e la brotula nera (Oligopus ater).

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■ I fondi ad alghe sciafile

Dove la luce è insufficiente a mante-nere le alghe fotofile comincia il pianocircalitorale che si estende sulla piat-taforma continentale fino a profonditàsuperiori a quelle raggiungibili dall’im-mersione subacquea di tipo sportivo.Le sole alghe che si insediano sui fon-dali del circalitorale sono le alghesciafile, cioè amanti di una luce atte-nuata e soffusa.I primi popolamenti circalitorali di fondoduro sono quelli del precoralligeno. Ilprecoralligeno si distingue dal corallige-no (di cui secondo alcuni studiosi non èche un aspetto impoverito) per l’assen-za di una significativa bioconcrezione edi alcune specie importanti. Sarebbeperò meglio identificare una comunitàsulla base della presenza e non sull’as-senza di particolari caratteristiche. Tipica del precoralligeno è l’esuberan-za di alghe sciafile a tallo debolmentecalcificato o di consistenza cuoiosa. Sipossono ricordare le alghe verdi Hali-meda tuna e Flabellia petiolata e l’algarossa Peyssonnelia squamaria. Anchel’alga verde Codium bursa, di formagloboso-depressa, può abbondare incerti popolamenti emifotofili che prelu-dono al precoralligeno.Più tipicamente, lo strato elevato delprecoralligeno è caratterizzato da ani-mali, come l’antozoo Alcyonium acauleo la spugna Axinella verrucosa, dall’a-spetto di piccolo alberello. Lo zoantarioParazoanthus axinellae deve il suonome specifico al fatto che è spessoepibionte su Axinella. L’epibiosi èdovuta ad acrofilia (predilezione per le

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L’alga verde Codium bursa

Una “foresta” della gorgonia candelabroEunicella singularis

Il riccio monaco (Sphaerechinus granularis) suun fondo a alghe (Laurencia, Amphiroa)

Colonie dell’idroide Sertularella crassicaulis suapici della gorgonia Eunicella singularis

posizioni elevate), un modo di vita adottato per sfuggire alla sedimentazione eper protendersi maggiormente nella colonna d’acqua. La gorgonia Eunicellasingularis, dalla forma a candelabro, è l’unica gorgonia mediterranea conzooxantelle simbionti, che le conferiscono un colore bianco sporco. Tipici diquesto habitat ombreggiato sono i grandi idroidi del genere Eudendrium: E.glomeratum ed E. ramosum che, come il fotofilo E. racemosum e il troglofilo E.armatum, possono a prima vista essere scambiati per alghe brune. Molte alghescompaiono durante la stagione fredda e sono sostituite proprio dai grandiidroidi: oltre agli Eudendrium possiamo trovare specie di Halecium, Sertularellae Bougainvillia.Tra la numerosa fauna vagile che frequenta i popolamenti precoralligeni, sipossono menzionare l’aragosta (Palinurus elephas), il riccio monaco (Sphaere-chinus granularis) e la murena (Muraena helena), che trova riparo tra le anfrat-tuosità della roccia; a mezz’acqua sono spesso presenti grandi sciami dicastagnole (Chromis chromis).

■ Il coralligeno

Il coralligeno è la tipica biocenosi di fondo duro del piano circalitorale. La suacaratteristica principale è la realizzazione di una biocostruzione ad opera dialghe corallinacee calcaree (e non di coralli). Una delle principali corallinaceecostruttrici è Mesophyllum lichenoides, che può già rinvenirsi a profonditàinfralitorali (in effetti, si parla anche di coralligeno infralitorale). Altre corallina-cee edificatrici del coralligeno sono Lithophyllum stictaeforme e Neogonio-lithon brassica-florida.Gli animali partecipano alla bioconcrezione sia come costruttori (briozoi, ser-pulidi, madreporari ecc.) sia come disgregatori (poriferi clionidi, bivalvi e sipun-culidi perforanti), ma soprattutto dominano in maniera marcata la fisionomiadello strato elevato del coralligeno. Le grandi “foreste” di gorgonie ne sonouno degli aspetti più tipici. Le gorgonie e molti altri animali importanti delcoralligeno sono sessili e filtratori, nutrendosi di particellato organico sospesonell’acqua. Importano così energia dalla colonna d’acqua, sfruttandone la pro-duzione primaria (fitoplancton) e paraprimaria (detrito) e realizzando un colle-gamento tra il benthos e l’ambiente pelagico.Paramuricea clavata è la gorgonia più caratteristica, con colonie rosso rubinoche, in certe località, possono volgere al giallo. I rami ospitano molti epibionti,tra cui briozoi, idroidi, l’alcionario Parerythropodium coralloides ed il molluscobivalve Pteria hirundo. Eunicella cavolinii è un’altra gorgonia del coralligeno,anche se meno caratteristica. Simile ad una gorgonia è il falso corallo nero(Gerardia savaglia), un tempo oggetto di prelievo nonostante lo scheletro cor-neo sia troppo fibroso per essere lavorato.

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Nello strato basale del coralligeno,sotto le gorgonie, si trovano numerosialtri animali, tra cui spugne comeSpongia agaricina o Cacospongia sca-laris e molte ascidie. L’ascidia più tipi-ca del coralligeno è la patata di mare(Halocynthia papillosa), dal colore ros-so. La spessa e coriacea tunica dellagrossa ascidia Microcosmus sabatieri èincrostata di altri organismi (il nome delgenere significa “piccolo mondo”) esembra una pietra coperta di alghe eanimali: sono le strisce verticali viola-cee dei due sifoni a farci capire che sitratta di un’ascidia. Altre ascidie comu-ni nel coralligeno, i didemnidi, sonocoloniali e assomigliano a spugne.Sono comuni anche alcuni madrepora-ri coloniali, come Phyllangia mouchezie Polycyathus muellerae. Importanti, inquanto partecipano alla bioconcrezio-ne coralligena, sono diverse specie dibriozoi, fra cui le “corna di cervo”(Smittina cervicornis). Anche i serpulidi,policheti sedentari che vivono in untubo calcareo, contribuiscono alla bio-concrezione: una delle specie piùcomuni nel coralligeno è Serpula ver-micularis.Benché lo strato elevato del coralligenosia tipicamente formato da gorgonie,talvolta esse possono essere affiancateo sostituite dai grandi poriferi, comeSiphonocalina coriacea, dall’aspetto dilunghi tubi, o le grandi Axinella arbore-scenti: A. cannabina e A. polypoides.Anche i grossi briozoi eretti possonocostituire lo strato elevato del corallige-no. È il caso, ad esempio, delle “cornad’alce” (Pentapora fascialis), con colo-nie a volte larghe oltre mezzo metro.

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L’idroide Eudendrium racemosum e l’ascidiaHalocynthia papillosa

L’alga rossa calcarea Lithophyllum stictaeformepartecipa alla bioconcrezione coralligena

Il piccolo gasteropode Neosimnia spelta,predatore della gorgonia Eunicella singularis

Biocostruzioni a spugne, alghe e madreporaricon Sabella spallanzanii dai vistosi ciuffi branchiali

Alla base delle pareti coralligene, sullimitare tra roccia e fango, o anche sucerti fondi biodetritici, si incontra la raragorgonia Eunicella verrucosa, di colorebianco smagliante (talvolta roseo) easpetto ispido.Nel coralligeno di acque torbide, inambienti con ricca sedimentazione,vive un’altra gorgonia, Leptogorgia sar-mentosa, con sottili colonie di variocolore: giallo, arancio, rosso mattone,viola, ed anche bianco. La frequentepresenza sulle colonie di L. sarmentosadel giglio di mare Antedon mediterra-nea è un altro caso di acrofilia.Tra gli invertebrati vagili del coralligeno,si possono ricordare le tre stelle rossedel Mediterraneo: Echinaster sepositus,di aspetto ruvido, è la più diffusa;Hacelia attenuata, dalle braccia asezione poligonale, e Ophidiaster ophi-dianus, dalle braccia cilindriche, sonoristrette ai mari più caldi. Cospicui sonoanche il riccio melone Echinus melo e ilriccio diadema Centrostephanus longi-spinus, di affinità tropicale. Numerosi sono i pesci del coralligeno.La castagnola rossa (Anthias anthias)ne è pressoché esclusiva. Frequente èil grande scorfano rosso Scorpaenascrofa, dalla puntura temibile. Il gat-tuccio (Scyliorhinus stellaris), unosqualetto comune su questi fondali,attacca con appositi cirri le proprieuova ai rami delle paramuricee. Ilposto d’onore tra i pesci del corallige-no spetta alla cernia (Epinephelus mar-ginatus), ormai piuttosto rara e localiz-zata. Esemplari di grande taglia si pos-sono ormai osservare solo nelle areemarine protette.

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La stella di mare Echinaster sepositus si muovelentamente su una parete strapiombante a duemetri di profondità. Spiccano le colonieincrostanti del briozoo Schizobrachiellasanguinea, alghe arborescenti (Amphiroa) e aventaglio (Padina pavonica), corallinaceeincrostanti e spugne, sia perforanti (Cliona) siaincrostanti (Crambe crambe)

Una colonia del falso corallo nero Gerardiasavaglia circondata da uno sciame dicastagnole rosse (Anthias anthias)